Tesi la peste da metafora del male a occasione di rinascita
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SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di laurea in Beni culturali [L]
LA PESTE DA “METAFORA DEL MALE” A “OCCASIONE DI RINASCITA”
Tesi di laurea in BIO/08 ANTROPOLOGIA
Relatore Presentata da
Prof. Giorgio Gruppioni Mauro Marabini
Correlatore Prof. Antonio Clemente Domenico Panaino
III sessione Anno Accademico 2013/2014
La peste (dal latino pestis, "distruzione, rovina, epidemia") è una malattia infettiva acuta e molto grave causata da uno schizomicete, Yersinia pestis, che trova la sua riserva naturale nei Roditori (zoonosi), ma può colpire l'uomo (antropozoonosi), fino a determinare epidemie. L'infezione viene abitualmente trasmessa tra i Roditori e dai Roditori all'uomo da un ectoparassita ematofago: la pulce. Nel passato, le epidemie di peste diffuse in tutto il mondo (pandemia pestosa) hanno prodotto veri e propri genocidi, tanto da meritare la citazione nell'invocazione cristiana "Libera nos Domine a peste, a fame et bello" 1
1 http://www.treccani.it/enciclopedia/peste_(Universo_del_Corpo)/ di Antonio Sebastiani, Giorgio Quaranta
INDICE 1. INTRODUZIONE Pag. 1
2. LA MALATTIA, LA CURA E LA PREVENZIONE Pag. 11
3. LA PESTE DA ATENE AI GIORNI NOSTRI Pag. 25
4. CONCLUSIONI Pag. 57
5. BIBLIOGRAFIA Pag. 61
1 INTRODUZIONE
Perché la peste? Perché la peste è il simbolo del male e una fonte inesauribile di ispirazione
per l’arte e la letteratura? Perché la peste fra tutte le malattie ha avuto una forza così
straordinaria da determinare cambiamenti radicali, momenti di rottura e di rinascita?
Per secoli e ancor oggi il termine “peste”2 viene associato ad ogni calamità vera o presunta.
Non è solo una malattia del singolo individuo, ma coinvolge l’intera comunità. La peste n'est
pas la peste, elle est bien plus qu'une maladie.3 Se l'uomo non ha inventato il tifo o il colera,
ha però inventato la peste, vale a dire, l'idea di una piaga collettiva, che solo un’unica azione
collettiva può combattere. Quello che oggi chiamiamo epidemia e che per secoli l'Occidente
ha chiamato Peste colpisce una comunità in quanto tale, a differenza della malattia che
colpisce l'individuo, a prescindere dalla appartenenza ad una comunità.4 Per i greci il termine
che definiva la pestilenza era loimos,5 il flagello, la piaga. «… non solo gli uomini, ma gli
animali e la terra stessa, come fonte fertile di nutrimento, sono colpiti dal flagello. Ne deriva
che, così intesa, la pestilenza presenta caratteristiche al di fuori della natura.»6
Attraverso i contributi delle diverse discipline, che hanno rappresentato nella forma più varia
il significato allegorico e morale della peste si può comprendere perché la peste sia un male
antico dal significato moderno. La scienza medica, gli argomenti letterari e le rappresentazioni
artistiche ci possono aiutare a spiegare l’impatto degli eventi epidemici, il fascino della
metafora e la dimensione culturale nel presente. «In tutte le società le malattie gravi spingono
gli uomini e le donne a confrontarsi con la dimensione morale della vita … è dovere e
privilegio dell’antropologia medica ridestare l’attenzione verso l’esperienza dell’uomo, verso
2 Pestis in latino e Loimos in greco designavano in antichità un generico flagello di carattere epidemico; anche successivamente il termine pestis non perse questa valenza generica. In francese designava un’infinità di morbi contagiosi; oggi il termine peste viene usato solamente in presenza della malattia specifica e del bacillo che la identifica (J. Ruffié, J. C. Sournia, Le epidemie nella storia, Roma 1986, p.85). 3 Florence Dupont, Pestes d'hier, pestes d'aujourd'hui, in «Histoire, économie et société», Vol. 3, N. 3-4, 1984, pp. 511-524 4 Si «l'homme n'a pas inventé la typhoide, la peste ou la choléra», en revanche il a inventé la Peste, c'est-à-dire la notion d'un fléau collectif que seule une action collective peut combattre. Ce que nous appelons aujourd'hui épidémie et que pendant des siècles l'Occident a appelé Peste frappe une communauté en tant que telle à la différence de la maladie qui n'atteint que l'individu, indépendamment de son appartenance à une communauté. Florence Dupont, op. cit. 5 I greci associavano alla parola loimos, oltre al significato di peste, anche quello di carestia, dato che il contagio colpiva più duramente coloro che si trovavano sprovvisti di difese fisiologiche a causa di lunghi digiuni. I latini, invece, discesero la parola pestis da peius, ovvero peggiore, per indicare appunto la peggior malattia. 6 Raffaele Ghirardi, La febbre cattiva. Storia di un'epidemia e del suo passaggio per Mantova, s.l., Bruno Mondadori, 2013, p.2.
la sofferenza, il significato e l’interpretazione, verso il ruolo della narrazione e della storicità,
come pure verso il ruolo delle formazioni e delle istituzioni sociali»7. La medicina “ufficiale”
è stata per secoli sconfitta, smarrita su false piste e pregiudizi, dalla dottrina aerista di
Ippocrate alle cause astrali di Avicenna. Giovanni Boccaccio nel Decameron (I giornata,
Introduzione) così descrive l’impotenza dei medici di allora: «…a cura delle quali infermità né
consiglio medico, né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o
che la natura del malora nol patisse, o che la ignoranza de’ medicanti (de’ quali…
grandissimo) non conoscesse da che si muovesse e, per conseguente, debito argomento non vi
prendesse». Ben prima della nascita della microbiologia gli interventi di sanità pubblica
promossi pragmaticamente dalle autorità attraverso gli uffici di sanità, i lazzaretti,
l’isolamento e la quarantena hanno avuto una certa efficacia. Le epidemie di peste così come i
provvedimenti delle autorità (isolamenti, cordoni sanitari e bandi) hanno avuto grandi
conseguenze sul commercio e l’economia con enormi danni per alcuni e vantaggi per altri. Le
carestie, gli sconvolgimenti sociali e le reazioni umane che accompagnavano la peste hanno
provocato altre morti tanto da far dire che “ne uccise più la paura che il contagio”. Le grandi
pandemie hanno stravolto la demografia di interi continenti, molte città hanno perso oltre la
metà degli abitanti in ricorrenti epidemie. Le malattie epidemiche hanno avuto nella storia
un’importanza fondamentale secondo Jared Diamond. «I peggiori killer dell'umanità nella
nostra storia recente (vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera) sono
sette malattie evolutesi a partire da infezioni degli animali, anche se i microbi che le causano
sono al giorno d'oggi esclusivamente caratteristici della specie umana. Poiché queste sono
state le principali cause di morte per lungo tempo, sono anche state fattori decisivi nel corso
della storia. Nelle guerre fino alla seconda mondiale, le epidemie facevano molte più vittime
delle armi, e le cronache che esaltano la strategia dei grandi generali dimenticano una verità
ben poco lusinghiera: gli eserciti vincitori non erano sempre quelli meglio armati e con i
migliori strateghi, ma spesso quelli che diffondevano le peggiori malattie con cui infettare il
nemico. L'esempio più tristemente famoso viene dalla conquista dell'America seguita al
viaggio di Colombo del 1492. Gli indiani che caddero sotto le armi dei feroci conquistadores
furono molto meno di quelli che rimasero vittime degli altrettanto feroci bacilli spagnoli.»8
7 J. Byron Good. Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente. Torino. Einaudi. 2006. p. 39 (edizione originale: Medicine, Rationality and Experience: An Anthropological Perspective, Cambridge University Press, Cambridge 1994). 8 Jared Diamond, Armi, Acciaio e Malattie, Einaudi, Torino, 2006, p. 150.
La peste tra mitologia, arte e letteratura
Dai dardi di Apollo ai flagelli biblici la peste ha avuto innumerevoli citazioni nei testi antichi
e nella mitologia. Nella tradizione ebraico-cristiana la peste è la «giusta ira di Dio a nostra
correzione mandata» (Boccaccio); è la pena per la degradazione e la corruzione di cui gli
uomini si erano macchiati. Durante la peste nera la “compagnia dei disciplinati di Cristo”
conobbe un nuovo vigore, prese il nome di movimento dei “flagellanti” e si diffuse con
straordinaria rapidità ed intensità, in Italia, Francia, Svizzera, Germania, Ungheria, Boemia e
Olanda, come pratica religiosa e mortificatrice, ma anche come mezzo attraverso cui ottenere
da Dio la cessazione di catastrofi, guerre o epidemie. La peste come evento causato dalla
volontà divina è però un concetto ancora più antico. «La peste compare nel proemio de
l’Iliade. Ancora non ha un nome proprio, ma quello generico di “morbo maligno”, e non è
ancora considerata come una malattia causata da batteri in seguito a scarsa igiene e infezioni,
ma è opera di un dio adirato con gli uomini. La peste è quindi in origine la collera di Dio, la
punizione di Febo Apollo nei confronti di Agamennone; non ha un’eziologia di natura
organica, né sintomi precisi se non la morte, che colpisce dapprima gli animali e poi giunge
tra gli uomini, essa esiste in quanto emanazione del divino, metafora della punizione.»9
«Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re,
mala peste fe' nascer nel campo, la gente moriva,
perché Crise l'Atride trattò malamente.»10
Anche Ovidio, quando narra della crudele pestilenza che si abbatté su Egina per volere di
Giunone ricorre all’interpretazione religiosa del morbo e pur nella presenza degli elementi
tradizionali i sintomi sono irriconoscibili e si sono trasformati in veri e propri luoghi comuni.
«Una terribile pestilenza, dovuta all’ira di Giunone, spietata contro questa terra [...], si abbatté
sulla popolazione. Finché parve un male naturale, finché era oscuro cosa nuocesse, quale fosse
la causa dell’immane sciagura, si combatté con le armi della medicina. Ma il flagello era tale
che ogni soccorso era vano, e arrendersi bisognava. Da principio calò sulla terra una caligine
spessa, opprimente; una cappa di nubi formò una morsa d’afa spossante, e per tutto il tempo
che la luna impiegò a colmare quattro volte il disco pieno, soffiò un caldo Austro dalle folate
mortali. Risulta che l’infezione si propagò anche alle fonti e ai laghi, e che molte migliaia di
serpenti, errando per campi desolati, contaminarono i fiumi con i loro veleni.»11 Nell’Edipo
9 https://manfredprinceotranto.files.wordpress.com/2014/05/emiliano-gennaro-ii.pdf, Roma, Università La Sapienza 24/01/2015. Seminario Prof. G. Massara, Intervento E. Gennaro. 10 Omero, Iliade, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1990. 11 Ovidio, Metamorfosi VII, 523-535; trad. in prosa P. Bernardini Marzolla.
Re Sofocle parla di una pestilenza che tormenta la città di Tebe e l’oracolo di Apollo, dice che
causa di questa peste è Edipo che ha assassinato il re Laio. «E il dio del fuoco, il dio della
febbre, la pestilenza nemica, si avventa sulla città e la devasta; e le case dei Cadmei si
svuotano, e le nere vie dell’Ade si riempiono di gemiti e di lamenti»12
Charles François Jalabert, La peste di Tebe, XIX secolo, Marsiglia, Musée des Beaux – Arts
Se non è Dio che manda la peste, la responsabilità è di qualcun altro.
In varie epoche l’isterismo collettivo della “folla manzoniana” ha avuto bisogno di far
ricadere la responsabilità di ogni tragedia su qualcuno, meglio se “diverso”, una psicosi
collettiva culminata nell'individuazione di “capri espiatori”: gli ebrei, le streghe e gli untori.
La peste diviene un motivo ricorrente nella letteratura occidentale; un topos letterario dove
compare come relazione scientifica o come sfida alla ragione e ai timori della morte o come
segno della fragilità dell’uomo e metafora del male. La vastissima letteratura sulla peste va da
Tucidide a Virgilio, da Ovidio al Leopardi; con Boccaccio una cornice che lega la trama, per
Petrarca la causa della perdita dell’amata, per Manzoni e Camus l’argomento fondamentale e
morale del romanzo. La peste è un argomento ricorrente nel cinema, talvolta tema
escatologico come nel film “Il settimo sigillo”, di Ingmar Bergman (1956).
12 Sofocle, Edipo Re, vv. 22-30, trad. Valgimigli.
Ingmar Bergman, Una scena del film Il Settimo Sigillo, Il cavaliere gioca a scacchi con la morte.
Le opere di tema apocalittico o post apocalittico in cui si narra il contagio che annienta la
civiltà umana hanno origine dalla letteratura sulla peste. Jack London scrive nel 1912 La peste
scarlatta (The Scarlet Plague), un romanzo di fantascienza apocalittica, testo visionario in cui
l'autore anticipa temi destinati ad avere larga diffusione nei decenni successivi. Oltre alla
filmografia e alla narrativa, oggi sono ampiamente rappresentative del genere le serie
televisive, i fumetti, l’animazione e i video giochi. Anche i pittori, come gli scrittori e i
cronisti, hanno raccontato il flagello in ogni suo aspetto e con modalità diverse. Nelle varie
epoche la rappresentazione della peste ha assunto significati allegorici diversi, frutto di
complesse elaborazioni intellettuali. Sono spesso rappresentati gli effetti che la peste produce
sulla società e le persone. I Santi protettori San Rocco, San Sebastiano e San Cristoforo sono
raffigurati in numerosissimi dipinti e le loro immagini presentano dopo la Peste Nera e nei
secoli successivi inconfondibili richiami alla peste e ai suoi simboli.13 La leggenda non
comprovata di San Rocco e dei suoi miracoli di guarigioni risale alla Peste Nera. La storia di
San Sebastiano è molto più antica, trafitto da frecce ricorda il patimento dei bubboni e i dardi
di Apollo. San Cristoforo, ancora più antico, essendo stato decapitato è ritenuto protettore di
tutti gli eventi acuti e quindi la peste che provoca una morte quasi improvvisa.
13 San Rocco presenta quasi sempre un bubbone inguinale, San Sebastiano è trafitto da frecce a ricordare i dardi di Apollo, nelle immagini più antiche di Ravenna e Roma non compaiono i segni del martirio.
Parmigianino, San Rocco e un donatore, Basilica di San Petronio,
Bologna, 1527
S. Sebastiano, Processione dei martiri, VI sec., Chiesa di S. Apollinare Nuovo, Ravenna
San Cristoforo Cinocefalo, icona bizantina nel Museo
Bizantino e Cristiano di Atene.
Dal 1300 si diffondo poi in tutta Europa i temi iconografici medievali del Trionfo della Morte,
della Danza Macabra e dell’Incontro tra i Tre Vivi e tra i Tre Morti ispirati a quel senso di
caducità umana al termine di secoli di guerre, carestie e pestilenze.
Il Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis a Palermo, 1445
La Signora del mondo, Oratorio dei Disciplini a Clusone, 1485
Incontro dei tre vivi e dei tre morti, Buonamico di Martino
detto Buffalmacco, affreschi del Camposanto di Pisa ora al Museo
delle Sinopie di Pisa,1330
Le conseguenze della peste sono talvolta antitetiche con risultati opposti di sovvertimento
della morale. Invece del pentimento i ricchi «pensavano di dover godere rapidamente di ciò
che avevano e di servirsene a lor piacere, considerando le loro vite e le loro ricchezze
ugualmente effimere» (Tucidide, V sec. a.C.). Anche i poveri avendo improvvisamente a
disposizione i beni dei morti si davano ad eccessi nel mangiare e nel bere, comportamenti
sessuali ritenuti fino allora immorali e il lusso nell'abbigliamento. «Vestendo le fanti e le vili
femmine tutte le belle e care robe delle orrevoli donne morte» (Matteo Villani, 1300). Per
Boccaccio la peste è infine l'occasione per poter di nuovo iniziare da capo e bene; il ritirarsi
della brigata in campagna è l'occasione di una rinascita, è un modo per avviare la catarsi,
liberandosi piano piano della solitudine e della paura.
La peste può essere dunque anche all’origine della rinascita.
La peste come male sociale
A peste, fame et bello, libera nos, Domine, o Signore. “Liberaci dalla peste, dalla fame e dalla
guerra”: era questa la principale invocazione che nel medioevo il popolo elevava a Dio. La
peste, metafora del male, con la guerra e la fame è uno dei fattori di annientamento dell’ordine
precostituito e quindi preludio al cambiamento della società. Così nel ‘300 così nel ‘500:
«d’improvviso, tra il 1494 e il 1538, sull’Italia si abbatterono i Cavalieri dell’Apocalisse. Il
paese divenne campo di battaglia di un conflitto internazionale che coinvolse spagnoli,
francesi e germanici. Con la guerra vennero le carestie, le epidemie, le distruzioni di capitale e
le interruzioni dei traffici».14 La metafora della peste giunge quindi fino ai nostri giorni. Se in
antichità i termini usati per indicare una pestilenza coincidevano spesso con calamità,
epidemia o contagio, in epoca moderna per qualificare un evento con ripercussioni negative su
tutta la popolazione si usa altrettanto spesso il termine peste con associata un’altra parola che
contestualizza il fenomeno che si vuole identificare. Nell’ottocento la tubercolosi è il mal du
siècle, ma viene chiamata anche la peste bianca. La pandemia influenzale del 1918 chiamata
“spagnola” è la peste del XX secolo. Il bioterrorismo ha preso spunto da fatti del passato, ma
anche dalla metafora della peste come male incontrollabile. L’AIDS è la peste del 2000. In
questi giorni la nuova peste è l’infezione da virus Ebola, ma la manifestazione clinica è
associata alle condizioni socio-economiche dei paesi colpiti. In contesti completamente
diversi da quello sanitario si utilizza da sempre in termini metaforici la parola peste. Torquato
Tasso ne Il Nifo ovvero del Piacere accosta il flagello della peste a quello dell’idolatria:
«benché il mondo avesse ricevuta la fede di Cristo, nondimeno la pestilenza de l'idolatria non
era men sospetta ch'or sia quella de l'eresia luterana». A Basilea Calvino incontrò il vecchio
14 C.M.Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 293.
Erasmo che esclamò: «Vedo una gran peste nascer nella Chiesa contro la Chiesa»15. Per
Giacomo Leopardi, che protesta contro lo stato della società presente, «l'egoismo è sempre
stata la peste della società e quando è stato maggiore, tanto peggiore è stata la condizione
della società»16. Con il termine Peste Brune (Peste Bruna) si indicava il nazismo, per
analogia al colore delle camicie del primo gruppo paramilitare (Sturmabteilung) del Partito
Nazionalsocialista. Questo soprannome paragonava il nazismo, e il fascismo in genere, a una
malattia politica, contagiosa ed infettiva molto pericolosa.17 Nel secolo scorso la peste come
male apocalittico è stato evocato più volte, ma il nazismo, come Apocalisse, più di ogni altro
male è stato associato alla peste. Non solo Daniel Guérin con la “La peste bruna”18, ma anche
Karl Kraus parla di nazismo come peste dei cervelli, una peste che «distrugge i concetti
fondamentali» del pensiero «come se già fossero in azione le bombe batteriologiche della
moderna guerra aerea» e che spalanca le porte alla barbarie. La pestilenza del linguaggio
viene denunciata da Victor Klemperer nello studio del linguaggio totalitario rileva che «il
nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le
locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa
accettate meccanicamente e inconsciamente»19. Il termine peste era usato anche da Hitler
quando dichiarava che avrebbe sconfitto la peste giudaico-bolscevica. La paura della bomba
atomica nel dopoguerra ha fatto parlare di peste nucleare. Il terrorismo internazionale,
secondo il presidente russo Putin, è la peste del XXI secolo.20 Per denunciare i rischi del calo
demografico e la carenza di manodopera nel Vecchio continente Pierre Chaunu e Georges
Suffert nel 1976 hanno scritto La peste bianca. “Come evitare il suicidio dell'Occidente?”21 in
riferimento all’involuzione rapida etnico-demografica della società europea. Il tema dello
sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane, ha fatto parlare di peste
grigia, alludendo al “colore dei capelli”. L’aumento della vita media e quindi l’aumento delle
persone anziane secondo il settimanale The Economist, 1999 porterebbe a effetti paragonabili
all’epidemia di peste dell’Europa del XIV secolo. Perfino nella crisi economica del 2008 si è
parlato di “contagio economico”, cioè di un flagello che si diffonde come una malattia
15 Cantù, Cesare. Gli Eretici d'Italia: Discorsi Storici. 1899. Reprint. London: Forgotten Books, 2013 DISC. XLIII p.82. 16 Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, in Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Le Monnier, Firenze 1921. 17 Daniel Guérin, La peste bruna, Verona, Bertani, 1975. 18 C.f.r. nota n.6 19 V.Klemperer, LTI, la lingua del Terzo Reich: taccuino di un filologo, s.l., Giuntina, 1998, p. 32. 20 http://italian.ruvr.ru/2014_09_04/Il-terrorismo-internazionale-la-peste-del-XXI-secolo-2392/, 24/12/2014.
epidemica. La storia del disastro ambientale in Campania22 e in generale il degrado ambientale
è stato definito la pestilenza chimica. Uno dei flagelli più classici dell’umanità come le
cavallette non potevano non essere accostato alla peste e infatti in Australia con il significato
di peste dell’agricoltura, le locali cavallette sono chiamate Australian plague locust. Così
come sempre è attuale la questione morale e si parla quindi di rivolta morale contro la peste
delle tangenti. Nella sua denuncia ai “peccati collettivi razionalizzati” il Cardinale Martini
ritorna a un sentire antico della peste come male dell’anima.23 Su un fronte forse opposto nel
1880 Johan Most parlò di peste religiosa24 per denunciare che fra tutte le malattie mentali, la
religione è certamente la più orribile. «In principio, c’è il Dio della Bibbia che invia la peste
bubbonica ai Filistei (cfr. Primo libro di Samuele)… Discende anche da tale mitica iattura e
prevale in un ‘inconscio collettivo’ da sempre schiavo della superstizione la fede dogmatica o
credulità ideologica, ossia quella metafisica “peste religiosa” stigmatizzata dal socialista
anarchico americano Johann Most [...]»25. Per amore di completezza non può mancare un
riferimento alla polemica politica recente, che ha visto Grillo, il leader del Movimento 5
Stelle, definire gli avversari come peste rossa.26 La peste è quindi da sempre e ancor oggi il
simbolo di una piaga collettiva e il termine viene utilizzato da opposte fazioni per raffigurare
la perniciosità degli ideali del nemico. Nel prossimo capitolo attraverso lo studio della
malattia e dei suoi rimedi fin dall’antichità si cercherà di comprendere l’importanza che può
aver avuto e ha questa malattia per l’umanità. Poi verrà esaminato l’impatto storico della peste
nei secoli per giungere alle conclusioni anche con l’aiuto della letteratura. La peste quindi
come metafora del male aiuta a comprendere la capacità di reazione collettiva alle calamità e
alle crisi, che possono determinare cambiamenti e forse il progresso dell’umanità.
Attraverso l’esame di alcuni aspetti scientifici, storici, artistici, economici, religiosi e culturali
relativi alla peste nel mondo Occidentale27, fin dalle sue origini, il presente lavoro di tesi ha
come scopo valutare l’impatto sulla società umana di una malattia dalle caratteristiche uniche.
21 Chaunu Pierre, Suffert Georges, La Peste blanche. Comment éviter le suicide de l'Occident. Paris, Gallimard, 1976. 22 Sodano Tommaso, Trocchia Nello, La peste. La mia battaglia contro i rifiuti della politica italiana, s.l., Rizzoli, 2010. 23 http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/martini_ritrovaresestessi3.htm, 26/12/2014. 24 Johann Most, Sebastian Fauro, La peste religiosa. Dio non esiste: dodici prove dell'inesistenza di Dio, s.l., La Fiaccola, 1987. 25 http://www.retididedalus.it/Archivi/2013/febbraio/FILOSOFIE_PRESENTE/1_pensiero.htm Il Pensiero sul Male, Le scritture di mille e una peste di Stefano Lanuzza, 26/12/2014. 26 http://www.beppegrillo.it/2014/05/la_peste_rossa.html, 26/12/2014. 27 La peste è nota da almeno 3000 anni. In Cina sono registrate epidemie fin dal 224 a.C. La letteratura indiana è ricca di riferimenti fin dall’antichità.
Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della Morte,1562, Museo del Prado, Madrid
2 LA MALATTIA, LA CURA E LA PREVENZIONE
Lucrezio nel I secolo a.C. nel poema De rerum natura descrive la semeiotica della malattia
con sintomi non del tutto specifici, ma la drammaticità della sofferenza descritta, pur come
esperienza soggettiva e carente di conoscenze scientifiche, è così toccante e coinvolgente da
darci un immagine indimenticabile del malato di peste. Nel VI libro Lucrezio dà spiegazioni
naturali di fenomeni fisici e fra l’altro descrive, con occhio che potremmo definire scientifico
per l’epoca, la peste ad Atene. I versi qui riprodotti sono tratti dalla descrizione dei malati:
«Da principio avevano il capo in fiamme per la febbre e gli occhi accesi di una luce rossastra.
La gola inoltre, nera all'interno, sudava sangue, e occluso dalle ulcere il passaggio della voce
si serrava, e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue, infiacchita dal male,
pesante nei movimenti, ruvida al tatto. Poi, quando la forza della malattia aveva invaso il petto
passando dalla gola ed era affluita fin nel cuore oppresso dei malati, allora davvero
vacillavano tutte le barriere della vita. Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo
ributtante, simile al fetore emanato dai cadaveri abbandonati e in putrefazione. Poi le forze
dell'animo intero e tutto il corpo languivano, già sul limitare stesso della morte.»
Un'altra descrizione “storica” dei malati di peste viene dal Boccaccio (Decameron, Giornata
Prima, Introduzione): «[...] nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine
parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, [...] le quali i volgari nominavan
gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto
gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da
questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o
livide [...] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di
futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.»
Una delle ragioni principali che hanno giocato in passato a sfavore dell’individuazione
nosologica della peste è il suo manifestarsi sindromico complesso. Fino all’Ottocento per
quasi tutte le malattie la limitatezza delle conoscenze eziologiche e fisiopatologiche hanno
impedito l’identificazione di sindromi, cioè di pattern sintomatologici, che non sono un
semplice aggregarsi casuale di sintomi, ma che talvolta esprimono un qualcosa di unitario che
li lega tra loro a definire un’entità autonoma e distinta. Prima della fine del XVII secolo non
era stato compreso che le malattie fossero entità specifiche. Si credeva che una malattia
potesse trasformarsi in un’altra, che una febbre esantematica tifoide, potesse diventare una
febbre pestilenziale. Per oltre 2000 anni il superamento della medicina magica non andò oltre
all’opinione di Ipocrate con le aggiunte di Galeno e Avicenna. Ippocrate di Coo (Cos o Kos)
(Kos, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. terminus post quem) è considerato il padre della
medicina occidentale. La teoria umorale, concepita da Ippocrate, rappresenta il più antico
tentativo, sempre nel mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica
dell'insorgenza delle malattie, superando la concezione superstiziosa, magica o religiosa. La
teoria umorale unificava la concezione fisica dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua,
terra, fuoco), con una nuova visione medica basata su fenomeni osservabili in natura. Gli
elementi del corpo umano corrispondevano, in base ad alcune qualità comuni, degli umori:
all’aria, che è calda e umida ed è dappertutto, corrispondeva il sangue; al fuoco, caldo e secco,
corrispondeva la bile gialla; alla terra, fredda e secca, corrispondeva la bile nera; all’acqua,
fredda e umida, corrispondeva il flegma. Ippocrate stabilì che c’era una relazione tra l’eccesso
di uno dei quattro umori e la predisposizione a un tipo di costituzione fisica e a un certo
temperamento. Nell’opera De aere, aquis et locis contenuta nel Corpus Hippocraticum viene
data una spiegazione “razionale” alle forme epidemiche come la peste, «… allorché molti
uomini son colti da una sola malattia nello stesso tempo, occorre imputarne la causa a ciò che
v’è di più comune e di cui tutti in primo luogo ci serviamo: e questo è ciò che respiriamo».28
Era quindi l’aria che in certe condizioni quali il clima umido, corrompeva e avvelenava chi la
respirava; è questa la Dottrina Aerista giunta fino al 1700. Galeno di Pergamo (Pergamo, 129
– Roma, 199 circa), riferimento fondamentale fino in epoca moderna, sviluppò le teorie
ippocratiche indicando come causa predisponente di malattia lo squilibrio fra gli umori e
individuò come contaminanti dell’aria: l’acqua stagnante, i liquami e i cadaveri insepolti.29 Il
medico persiano Abd Allāh ibn Sīnā più noto in Occidente come Avicenna (Balkh, 980 –
Hamadan, giugno 1037), aggiunse altre cause di inquinamento dell’aria. La congiunzione
astrale dei cinque astri maggiori provocherebbe i terremoti, che liberano dalle viscere della
terra vapori infernali e in mare morie e putrefazione di grandi quantità di pesce e conseguente
inquinamento dell’aria. Nel Medioevo gli studi di medicina potevano quindi basarsi sul fattore
ambientale e sulle caratteristiche dell’individuo, a cui si aggiungevano vaghe conoscenze
empiriche relative al contagio da persona a persona attraverso l’alito, il contatto fisico e il
vestiario o qualunque oggetto venuto a contatto con l’appestato.
28 Ippocrate, Opere. Sez.Terza: La Natura dell’Uomo. Vegetti M. (a cura di), Torino, UTET, 1976: 445. 29 Pazzini A, “In pestilenti vero aeris statu inspiratio plurimum est causa. Fit enim aliquando ob eos qui sunt in corpore humano ad putrescendum paratos …”, Storia dell’Arte Sanitaria dalle origini a oggi. Roma, Min Med 1973;I:363
La Dottrina degli Umori
Cognizioni eziologiche lontane dal vero con l’assenza di strumenti terapeutici biologicamente
attivi non potevano che generare rimedi inutili e spesso dannosi. Taluni medicamenti
divennero famosi, è il caso dell’aceto dei quattro ladri30 durante l’epidemia di peste del 1722 a
Marsiglia.31 La composizione è variata nel tempo e nelle diverse città, ma alla base vi era
sempre aceto forte, assenzio ed erbe aromatiche. Ben più antica è la tradizione del
medicamento universale chiamato Triaca.32 Marsilio Ficino nel 1481 ne decantava le virtù e la
30 http://www.secretofthieves.com/four-thieves-vinegar.cfm “Four Thieves Vinegar: Evolution of a Medieval Medicine”, 26/12/2014. 31 “La tradizione diffusa vuole che un gruppo di ladri, durante una delle numerose epidemie di peste in Europa, si aggirassero a depredare morti ed ammalati. Quando vennero arrestati, in cambio della grazia essi offrirono di rivelare la loro ricetta segreta, che permetteva loro di commettere ruberie senza essere contagiati dal male. Un'altra versione narra che i ladri fossero già stati arrestati prima dello scoppio delle peste e, condannati a seppellire i corpi delle vittime, inventassero quest'aceto per sopravvivere al contagio. Le leggende collocano tali avvenimenti nelle città di Tolosa o Marsiglia, in un periodo compreso fra il XIV ed il XVIII secolo. Pare che i ladri di Tolosa siano stati ugualmente impiccati, mentre sorte migliore toccò a quelli di Marsiglia. In ogni caso, nel 1748 l'aceto dei quattro ladri venne inserito nella Farmacopea del Corpo Medico francese, e venduto in farmacia come antisettico, per poi esserne eliminato nel 1884 con l'affermarsi della medicina moderna.” http://it.wikipedia.org/wiki/Aceto_dei_quattro_ladri, 26/12/2014. 32 “Il termine Triaca (o Teriaca) era già in uso in Egitto nel IV-III sec. a.C. per un antidoto contro i morsi degli animali velenosi e come tale fu “ufficializzato” da Nicandro di Colofone che ne titolò un suo trattato. La Triaca famosa per molti secoli è però quella di Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, che la compose aggiungendo al Mitridato, il polifarmaco usato come antidoto dal Re del Ponto, la carne di vipera. La fama di essa crebbe a dismisura e, pur tra qualche autorevole parere dissenziente, tutti i maggiori Medici ne decantarono i benefici: da Galeno ad Avicenna, da Maimonide alla Scuola Salernitana. Questo perché dall’originaria funzione di contravveleno, le indicazioni erano via via aumentate fino a comprendere l’epilessia, la peste, le pleuriti, l’ictus apoplettico, etc. etc. Di pari passo il numero dei componenti era salito dagli originari cinquantasette fino a cento e più, né erano sempre ed ovunque gli stessi, in base alle difficoltà del loro reperimento ed all’inventiva di Medici e Spetiali. L’alto costo e l’elevata richiesta indusse diverse Repubbliche (Venezia, Bologna, Genova, Pisa, Napoli) a farne un proprio monopolio; perché poi ne potessero usare anche i meno abbienti si fece la Triaca di soli quattro ingredienti. Ciarlatani ed imbonitori da un lato ed il progredire delle conoscenze dall’altro
proponeva come profilattico nel suo “Consilio contro la pestilentia”.33 Consiglia di portare
«…in sul cuore questo sacchetto…»34. Le misure di protezione individuale adottate dai medici
avevano una maggiore concretezza empirica anche se ci fa sorridere l’immagine simbolo del
medico della peste. A parte le sostanze aromatiche contenute nel becco, una qualche premura
ad evitare il contatto diretto era senz’altro efficace.
L'abito del medico della peste in un disegno del 1656
Nel Medioevo la situazione della medicina era la stessa descritta secoli prima da Tucidide. «I
medici non riuscivano a fronteggiare questo morbo ignoto ma, anzi, morivano più degli altri,
in quanto più degli altri si avvicinavano ai malati, né alcuna tecnica umana veniva loro in
soccorso. […] E oltre alla peste, nessun’altra malattia delle solite infieriva in quel tempo: e
anche se sorgeva, andava a risolversi in questa. E gli uni morivano per mancanza di cure, gli
appannarono prima e cancellarono poi il prestigio e la credibilità di un farmaco ricco di due millenni di storia. L’aggettivo Teriacale, ad indicare crediamo soltanto un effetto “ricostituente”, è resistito fino al secolo scorso. Potenza di una tradizione!” S. Signorelli, S. Tolomelli, E. Rota. Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111 http://www.lospallanzani.it/wp-content/uploads/rivista/2_2004/Signorelli%20et%20al.pdf S. Signorelli, S. Tolomelli, E. Rota. Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111 33 Ficino M.: Sulla Vita. A cura di Tarabochia Canavero A. Milano, Rusconi Ed. 1995:121,229,270. 34 Ficino M, Contro la Pestilentia (in Collectanea). Firenze, Giunti, 1577:1-76.
altri anche se erano molto ben curati. Non esisteva, per così dire, nessuna medicina che si
potesse applicare in generale: quello che a uno era di giovamento, per un altro era dannoso.»35
Come è accaduto in passato e talvolta accade oggi, la medicina accademica era la parte più
conservatrice della società. La figura del medico rimase quindi per secoli di secondo piano
rispetto alla gestione politica e amministrativa. Le autorità cittadine e di governo, non
vincolate all’assoluta fedeltà agli indiscutibili insegnamenti dei maestri antichi, per caso o per
necessità, provarono qualsiasi mezzo pur di raggiungere lo scopo di sconfiggere il flagello
della comunità, la selezione competitiva fra le città e i paesi fece il resto. La peste nera ebbe
quindi un ruolo importante nella nascita della sanità pubblica. E’ così che si va oltre la
semplice fuga dai centri urbani, considerato il miglior rimedio contro la peste. «L’alternativa è
di fronteggiare l’epidemia con norme di prevenzione atte a limitare il contagio ed a
circoscriverlo il più possibile. Si tratta in genere di provvedimenti che condizionano
pesantemente la vita delle comunità urbane, ma che raggiungono con ogni probabilità il loro
scopo. Nell’adozione di questi interventi, il sistema sanitario italiano nel Medioevo fu
all’avanguardia e, in effetti, la peste scompare dall’Italia alcuni decenni prima che negli altri
paesi europei. In caso di contagio, gli scambi di informazioni degli Ufficiali di Sanità dei
diversi Stati della penisola divennero frequenti e circostanziati. Si diffusero così i concetti di
“quarantena” e “cordone sanitario” o la pratica di “bandire” le località contagiate e di chiudere
le frontiere degli Stati o le porte delle città, impedendo la libera circolazione di uomini e
merci, se non per situazioni particolari e certificate da permessi degli Ufficiali di Sanità.»36
Già durante l’epidemia del 1300 vengono istituiti gli “Uffici di Sanità” o “Magisteri”, prima a
Milano, quindi a Venezia e Firenze e poi in ogni comune italiano (in Europa solo dopo il
1500). Viene regolamentato l’accesso alle città, l’approvvigionamento di cibo, di acqua e di
altre merci. La “quarantena” è codificata per la prima volta a Reggio Emilia nel 1374. Sono
previste norme per l’evacuazione ed il seppellimento dei cadaveri. Sono proibite le
manifestazioni pubbliche e le processioni religiose, poiché «dopo la processione s'accresce la
peste».37 Sono chiusi i locali pubblici e gli esercizi sospetti. Di fondamentale importanza
storica e sanitaria è la nascita dei lazzaretti. L’innovazione della fondazione di un ospedale
35 Tucidide, La guerra del Peloponneso II, Giuseppe Rosati (a cura di), Scrittori di Grecia. Il periodo attico, Sansoni Editore, Firenze, 1972, pp.47-53 36 http://www.archiviostoricorovato.it/serie02_provvisioni/pestem/apparati/Studio_Storico_reg18.pdf, 26/12/2014. 37 La peste di Milano del 1630. Libri cinque cavati dagli annali della città e scritti per ordine dei LX decurioni dal Canonico della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo milanese volgarizzati per la prima volta
speciale permanente da parte del Senato della Repubblica di Venezia avvenuta il 28 agosto del
1423 sotto il dogato di Francesco Foscari appena tre mesi dopo i primi casi di peste in laguna
è stata preceduta dall’antica pratica dei lebbrosari. «Nei confronti dei lebbrosi si era definita
fin dal 1300 la volontà di ricorrere al ricovero coatto o alla cacciata. Il 23 aprile il Maggior
Consiglio aveva infatti deciso di liberare Venezia dalla scomoda presenza di quanti, con il
corpo devastato delle infermità, stazionavano nelle chiese, sui ponti, sulle pubbliche vie,
“corrompendo” l’aria e provocando la nausea a chi li vedeva (viscere hominum commoventur).
Si stabilisce dunque di far accogliere lebbrosi e infermi dagli ospedali o altrimenti di cacciarli
dal centro abitato. Le isole marginali, circondate dagli ampi specchi lagunari, e funzionali alla
contemplazione dei numerosi e antichi insediamenti monastici, si rivelano ideali per ospitare
le attività protette dal segreto di stato come la lavorazione del vetro, ma soprattutto si
dimostrano adatte all’emarginazione dei corpi martoriati dalla malattia in uno spazio liminare
che nell’Occidente cristiano caratterizza la realtà del lebbrosario e a Venezia viene individuato
nell’isola di San Lazzaro, divenuto il lembo di terra per la città dei morti viventi.
Il Lazzaretto Vecchio di Venezia
Il lebbroso, infatti, in questa sorta di limbo lagunare vive il tempo della malattia cronica, lenta,
invalidante e orripilante, nella simulazione del tempo e della città dei sani.»38 L’originalità
veneziana della fondazione di un ospedale di isolamento per la peste sta soprattutto nella
volontà del governo cittadino di affrontare in modo organico l’epidemia, statalizzando una
struttura e una tradizione religiosa, compreso il personale assunto e stipendiato dallo stato.
dall'originale latino da Francesco Cusani con introduzione e note. Milano, Tipografia Libreria Perotta e C., 1841, cap.XVII, p.51. 38 http://lazzarettovr.jimdo.com/storia-del-lazzaretto-deutsch-und-englisch-version/ 27.12.2014
«La trasformazione del nome non fu casuale, ma assecondò il processo di laicizzazione
dell’antico complesso monastico le cui originarie funzioni vennero cancellate nel 1436
assieme alla primitiva denominazione per ordine del papa, che formalizzò l’oramai avvenuta
trasformazione del monastero di Santa Maria di Nazareth nel Lazzaretto dei veneziani.»39 Al
Lazzaretto di Venezia seguirono Milano nel 1488 e quelli istituiti dalle maggiori città italiane.
Sotto la pressione dell’emergenza e della paura della peste fu assunta una decisione
impegnativa e delicata, che è stata di esempio per gli altri governi delle città di Italia e fonte di
ispirazione anche per quello che diverrà il primo grande ospedale pubblico moderno per acuti,
la Ca’ Granda di Milano, fondato da Francesco Sforza nel 1456.40
L’"Ospedale Maggiore" di Milano, tradizionalmente noto come "Ca’ Granda"
Gli ospedali cominciarono infatti a cambiare e ad assumere l’aspetto moderno di luogo di cura
e non solamente di isolamento in attesa della morte. Dopo la peste, gli ospedali tentarono di
curare gli ammalati, anche se, ancora, coloro che venivano dimessi lo erano più per le loro
difese immunitarie che per le cure ricevute. La professione medica, che aveva visto diminuire
il proprio prestigio, fu stimolata a innovarsi. Venne dato maggior rilievo alla medicina pratica
orientata clinicamente, un cambiamento che rifletteva l’importanza del chirurgo e il declino
del medico teorico. I testi di anatomia divennero più accurati, perché la pratica dell’autopsia
diventava più comune e nelle scuole di medicina ci fu uno spostamento verso le scienze
applicate. Questi cambiamenti contribuirono a creare i presupposti verso una medicina più
scientifica dal momento che sempre più il medico, invece di limitarsi a trarre conclusioni dalla
semplice lettura dei testi antiche, formulava nuove teorie, le sottoponeva alla prova
dell’osservazione, analizzando i risultati per vedere se confermavano la teoria stessa.
39 http://lazzarettovr.jimdo.com/storia-del-lazzaretto-deutsch-und-englisch-version/ 27.12.2014 40 Giorgio Cosmacini, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, s.l., Laterza, 1999.
Indipendentemente e molto prima che i progressi della medicina abbiano dato risultati
tangibili, le comunità cittadine con la loro organizzazione sociale ottennero buoni risultati in
termini di qualità e durata di vita. Sembra che in alcuni momenti, per alcune città si possa
parlare addirittura di casi clamorosi se pur poco conosciuti. «Milano vanta una vocazione,
radicata nei secoli, alla partecipazione collettiva, alla vita di vicinato, al soccorrere il
prossimo. A testimoniarlo, a partire dal XV secolo, sono i dati statistici che si evincono dai
Registri dei Morti, ossia la registrazione anagrafica del decesso di tutti i suoi abitanti
(residenti, domiciliati temporanei, di qualsiasi nazione, età, religione e condizione sociale):
oggi, è convinzione comune che la durata media di vita, in epoche antiche, si attestasse
intorno ai 25-30 anni; a Milano, sappiamo invece che, nella seconda metà del Quattrocento,
più del 30% della popolazione era ultrasettantenne; non solo, si vantavano anche decine di
centenari e di ultracentenari, come ad esempio Maddalena Portaluppi, deceduta nel 1474, alla
veneranda età di 110 anni, manifestando qualche lieve problema respiratorio. Questi dati, che
non sono frutto di fantasie letterarie, ma provengono da una fonte ufficiale di proto-statistica
clinica, implicano la presenza di un fenomeno sociale di lunga durata e di forte tenuta:
affinché un così elevato numero di anziani potesse sopravvivere, considerati i disagi
materiali ascrivibili all’epoca e la pressoché totale assenza di strumenti tecnologici a
disposizione, non solo doveva essere elevato il livello di assistenza sanitaria e medica
accessibile a una larga fascia della popolazione, ma ci doveva essere anche una rete di
vicinato, un senso della collettività e della comunità estremamente efficace e per noi, oggi,
straordinario.»41 Non sempre e non per tutti è andata così. Se i paesi e le nazioni hanno
imparato dal Medioevo a sopravvivere e a svilupparsi nonostante terribili calamità, la gran
parte del popolo ha migliorato in modo sostanziale le proprie condizioni di sopravvivenza
solo molti secoli dopo. Ancora oggi le condizioni dei poveri sono spesso disperate in molti
paesi non sviluppati. Ma fino al IXX secolo erano condizioni comuni anche in Europa. La
Commissione Salute (Board of Health), che contribuì all’emanazione del Public Health Act
(1848), la legge inglese di istituzione del servizio nazionale di sanità pubblica, rivelò che a
Liverpool l’aspettativa di vita media per classe alla nascita variava dai 15 anni per i
disoccupati e i poveri a 35 anni per i cosiddetti benestanti.42 Per cui le condizioni non erano
41 AA.VV., Le periferie dell'umano, Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2014. Stralcio dell’intervento della prof.ssa F. Vaglienti, Docente di Storia Medievale per Beni Culturali - Università degli Studi di Milano, durante il Ca’ Granda Seminar del 21 ottobre 2014, dal titolo: “Il caso della Ca’ Granda di Milano. Storia e attualità”. 42 «In Liverpool average life expectancy by class ranged from 15 years for the unemployed or poor to 35 years for the well to do.» G. Mooney, S. Szreter, Urbanization, mortality, and the standard of living debate: new estimates of life at birth in nineteenth century British cities, Econ. Hist. Rev. 1998; 51:84-112
molto dissimili dal Medioevo e forse peggiori a quelle dell’età Antica. Secondo gli archivi
ufficiali della famiglia reale britannica, l'aspettativa di vita media nel 1276 era di 35,28 anni
per la parte più agiata della società. Tra il 1301 e il 1325, durante la Grande carestia, la
speranza di vita si era ridotta a 29,84 anni, mentre tra il 1348 e il 1378, durante la Morte Nera
scese a 17,33. Solo nel XX secolo si sono avuti risultati stabili e generalizzati e solo in parte
dovuti ai progressi della medicina. La popolazione del mondo ha superato nell’anno 2011 i 7
miliardi di individui e siamo ancora in una fase di espansione demografica seppure attenuata
dal calo di natalità effetto della transizione demografica presente pressoché in tutte le
popolazioni. Secondo il CIA World Factbook (stime 2014) la speranza di vita alla nascita ha
raggiunto la media mondiale di 68,35 anni, anche la distanza fra il paese peggiore e quello
migliore si è ridotta, se a Monaco ci si aspetta di vivere fino a 90 anni, nel Ciad si sfiorano i
50 anni. Per la sopravvivenza e la qualità della vita dalla seconda metà del XX secolo la
medicina scientifica ha portato enormi benefici a un numero sempre maggiore di persone in
tutto il mondo. Vaccini e antibiotici hanno cambiato la storia delle malattie, ma fino
all’Ottocento ben poco si sapeva e si poteva fare per curare l’individuo malato. Sembra
incredibile che tre secoli prima, nel 1546 a Venezia sia stato pubblicato il De contagione et
contagiosis morbis et curatione eorum di Girolamo Fracastoro, forse l’intuizione più geniale
di tutta la storia della medicina. Soltanto il XVII secolo fu testimone, non consapevole, della
scoperta di microrganismi: nel 1673 un mercante di stoffe che viveva in Olanda, Van
Leeuwenhoek, descrisse, di fronte alla British Royal Society, le sue osservazioni ottenute con
l'aiuto di un microscopio elementare, confezionato da sé, rivelarono “animaletti” sui liquidi
più diversi. Per più di un secolo, offuscate dalle dottrine a sfondo mistico di Paracelso,
rimasero nell’ombra le teorie scientifiche di Fracastoro, vero fondatore della moderna
patologia, che ipotizzò l’esistenza di organismi viventi invisibili, detti seminaria, e intuì
inoltre che questi erano agenti di malattia: corpuscoli che si trasmettevano o per contatto
diretto o attraverso materiali o attraverso l’aria. «Tutta la patologia delle malattie infettive è
giudicata per la prima volta con grande acutezza di giudizio, frutto di un'osservazione
accuratissima: le ipotesi del Fracastoro sulle cause e le vie delle infezioni sono state quasi
integralmente convalidate dalle moderne ricerche scientifiche.»43 Solo nell’Ottocento la
moderna scienza batteriologica grazie alle scoperte di Bassi, Pasteur e Kock renderà possibile
scoprire l’agente responsabile della peste. Nel 1894 il medico svizzero Alexandre John-Émile
Yersin, durante l'epidemia di Hong Kong, isolò il bacillo della peste e lo nominò Pasteurella
43 http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamo-fracastoro_(Enciclopedia-Italiana)/, 27.12.2014
pestis, in onore di Louis Pasteur, suo maestro. Lo stesso anno anche il medico giapponese
Shibasaburō Kitasato, discepolo di Robert Koch, ottenne indipendentemente gli stessi
risultati. Ma in Occidente si ricorda solo Yersin e in suo onore il bacillo della peste verrà
chiamato anziché Pasteurella, Yersinia pestis. Questo coccobacillo Gram-negativo ha una
caratteristica rara e cioè la capacità di moltiplicarsi a temperature vicine a quella corporea (36-
37°C), ma anche a 25-28°C; questa proprietà può forse avere importanza per alcune modalità
diffusive del germe. La Y. pestis appartiene al genere Yersinia composto da numerose
specie.44 A sua volta, la Y. pestis viene abitualmente distinta in tre varianti (ceppi) sulla base
di caratteristiche biologiche45, che hanno un interesse filogenetico e sono indubbiamente
suggestive dal punto di vista storiografico:
– Y. pestis Antiqua, ritenuta l’agente eziologico delle antiche epidemie di peste (“Peste
di Giustiniano” del VI secolo);
– Y. pestis Medievalis, sospettata quale agente eziologico della “Peste Nera” del 1348;
– Y. pestis Orientalis, agente eziologico dell'attuale pandemia di peste (la cosiddetta
“terza pandemia”).
Il dibattito sull’eziologia delle grandi pestilenze storiche è stato arricchito recentemente da
importanti studi di paleogenetica.46 Gli agenti causali delle tre grandi pandemie sono stati
confermati dallo studio dei resti scheletrici provenienti da scavi archeologici, mediante
l’analisi del DNA. Nel 2013 analizzando il DNA antico in due laboratori indipendenti47, è
stato confermato in modo inequivocabile la presenza del DNA della Y. pestis nei resti di
scheletri umani provenienti dal cimitero altomedievale del VI secolo di Aschheim-
Bajuwarenring (Germany). I risultati confermano che la Y. pestis è stata responsabile della
peste di Giustiniano e dovrebbero porre fine alla controversia riguardante l'eziologia di questa
pandemia. I genotipi isolati suggeriscono che la prima pandemia ha avuto origine in Asia,
come per le altre due pandemie. Uno studio genetico pubblicato nel 2014 suggerisce che la
Peste di Giustiniano (e altre epidemie dall'antichità) è dovuta a ceppi ormai estinti di Y. pestis,
44 Al genere Yersinia appartengono 12 specie a se stanti: Y. aldovae, Y. aleksiciae, Y. bercovieri, Y. enterocolitica, Y. frederiksenii, Y. intermedia, Y. kristensenii, Y. mollaretii, Y. pestis, Y. pseudotuberculosis, Y. rohdei, Y. ruckeri. Le tre patogene umane sono: Yersinia pestis, Y. pseudotuberculosis, Y. enterocolitica. 45 Capacità di fermentare il glicerolo e di ridurre il nitrato. 46 La paleogenetica è lo studio del passato attraverso l'esame del materiale genetico preservato proveniente dai resti di antichi organismi. Il termine "paleogenetica" fu introdotto nel 1963 da Emile Zuckerkandl e dal chimico fisico Linus Carl Pauling, in riferimento all'esame delle possibili applicazioni nella ricostruzione di sequenze di polipeptidi del passato. Nel 1984 da Allan Wilson e altri fu isolato, da un campione museale del quagga estinto, la prima sequenza di un DNA antico.
geneticamente distinti dal ceppo che causò la scoppiò nel XIV secolo, ma che forse
sopravvivono ancora oggi in popolazioni di roditori.48
Global phylogeny for Y. pestis49
Alcuni titoli giornalistici propongo la tesi che le epidemie del passato siano da attribuire ai
ceppi estinti di Y. Pestis, ma ancora presenti nelle 200 specie di roditori in tutto il mondo,
pronti a scatenare la prossima pandemia. A sostegno della diversità degli episodi storici
rispetto ad oggi viene segnalato che durante l’epidemia del ‘300 non sono state segnalate
morie di topi; inoltre sorprende l’alto tasso di morbosità, cioè la capacità diffusiva
caratteristica delle grandi epidemie, nonché la rapidissima evoluzione verso l’exitus e l’alto
tasso mortalità. La ricerca genetica, come descritto sopra nell’articolo di Wagner, ha per ora
confermato che il ceppo della Peste di Giustiniano non è quello delle pandemie successive, ma
il ceppo della Peste Nera ha caratteristiche sovrapponibili a quello di oggi.50
47 Harbeck, Michaela; Seifert, Lisa; Hänsch, Stephanie; Wagner, David M.;et al. «Yersinia pestis DNA from Skeletal Remains from the 6th Century AD Reveals Insights into Justinianic Plague ». in PLoS Pathogens 9 (5). 2013. 48 David M Wagner, Michaela Harbeck, Alison Devault et al. Yersinia pestis and the Plague of Justinian 541–543 AD: a genomic analysis. in «Lancet Infect Dis», 2014; 14: 319–26. Published Online January 28, 2014 http://dx.doi.org/10.1016/S1473-3099(13)70323-2 49 Harbeck, Michaela op. cit. nota 14. 50 Kirsten I. Bos et al., A draft genome of Yersinia pestis from victims of the Black Death, in «Nature», 478, 27 October 2011, pp. 506–510.
Kirsten I. Bos et al., Phylogenetic placement and historical context for the East Smithfield strain51 L’esordio acuto, la rapida ingravescenza e l’altissima mortalità sono le caratteristiche cliniche
comuni alle tante pestilenze storiche. Dopo un’incubazione di 2-12 giorni esordisce in modo
brusco e in forme cliniche molto diverse: dalla pestis minor che si risolve con una breve
episodio febbrile alle manifestazioni che un tempo erano, in altissima percentuale, mortali. Le
classiche forme gravi sono le seguenti:
– La peste bubbonica è la forma più frequente di peste umana; compare un “bubbone”
(tumefazione dura, liscia, di piccole dimensioni ed estremamente dolorosa) che si
accompagna a febbre elevata (40-42°C), a malessere generale, mal di testa e talvolta
vomito. I bubboni si formano prevalentemente a livello delle stazioni linfonodali
inguinale, ascellare, sottoclavicolare. Si verificano anche emorragie sottocutanee
causate dall’ostruzione dei capillari; appaiono quindi macchie sottocutanee scure, che
diedero nome alla peste “morte nera”.52
51 Phylogenetic tree using 1,694 variable positions. Divergence time intervals are shown in calendar years, with neighbour-joining bootstrap support (blue italic) and Bayesian posterior probability (blue). Grey box indicates known human pathogenic strains. 52 c.f.r. nota n. 56
La Scandalosa, bassorilievo in cera policroma, ignoto del XVII secolo. Napoli, Congrega di
Santa Maria.
An inguinal bubo on the upper thigh of person infected with bubonic plague. Swollen lymph glands (buboes) often occur in the neck, armpit and groin (inguinal)
regions of plague victims.53
– La peste setticemica primaria si manifesta come ogni setticemia causata da batteri
Gram negativi con febbre a 40-42° C, lesioni del sistema nervoso, violenti disturbi
gastrointestinali ed estrema gravità prognostica.
– La peste polmonare presenta grave insufficienza respiratoria e rapide ripercussioni
generali; senza trattamento ha una mortalità del 100%; si trasmette da uomo a uomo
tramite il respiro (goccioline di escreato).
Due sono le vie di trasmissione del contagio: attraverso la pelle e attraverso i polmoni.
L'infezione contratta per via cutanea, nel modo "classico", ossia attraverso il morso della
pulce, porta normalmente alla peste bubbonica. La peste polmonare si contrae per “via aerea”.
Già nel 1365 nella Chirurgia Magna, Guy de Chauliac, medico personale di tre papi e del re
di Francia, distingueva in modo puramente empirico, senza sapere nulla sulle cause, la peste
polmonare dalla peste bubbonica: «La malattia durò [ad Avignone, n.d.r.] sette mesi. Due
erano le forme. La prima durò due mesi e fu caratterizzata da febbre persistente ed emottisi e
la morte sopraggiungeva entro tre giorni. La seconda durò a lungo, anche questa con febbre
persistente e fu caratterizzata dalla formazione sulla pelle di pustole e bubboni, in particolar
modo nelle regioni ascellari ed inguinali. Se ne moriva dopo cinque giorni».
Il serbatoio della peste sono numerose specie di animali selvatici, soprattutto roditori, che
sono particolarmente resistenti. I focolai di peste selvatica sono definiti “focolai primari” e si
trovano in tutti i continenti. La peste è dunque una zoonosi. Le epidemie di peste umana sono
solitamente precedute da un’epizoozia e si manifestano nelle aree densamente popolate in cui
le condizioni socio-economico-sanitarie sono disastrose. La pulce del ratto orientale,
Xenopsylla cheopis, è uno dei vettori principali della trasmissione del bacillo pestoso tra i ratti
e sono vettori efficienti anche nella trasmissione dell’infezione all’uomo.
Il ciclo della peste54
Oggi i trattamenti antibiotici55 e i presidi sanitari moderni hanno ridotto la mortalità anche nei
casi più gravi. La presenza endemica è circoscritta ad area geografiche remote o comunità in
condizioni igieniche e nutrizionali estreme. Gli interventi di prevenzione più efficaci sono
rivolti alla lotta ai roditori e agli ectoparassiti ematofagi. Il vaccino per la breve immunità
conferita, da 6 a 12 mesi, è consigliato in particolari categorie a rischio, fra cui il personale
sanitario nelle zone endemiche ed è stato indicato anche in caso di attacchi di bioterrorismo.
53 http://en.wikipedia.org/wiki/Bubonic_plague, 29/1/2015. 54 Dirección General de Epidemiología. Ministerio de Salud. Perù. http://www.dge.gob.pe/peste/peste_epi.php 55 “Per ridurre le probabilità di morte è essenziale trattare con antibiotici entro le prime 24 ore dalla comparsa dei sintomi, con streptomicina, gentamicina, tetracicline o cloramfenicolo. Il trattamento con antibiotici è raccomandato, secondo i CDC americani, per sette giorni anche nelle persone che entrano potenzialmente a contatto con il malato, per prevenire l’insorgenza della malattia. I CDC americani hanno pubblicato, nel 1996, una serie di Raccomandazioni sulla prevenzione della peste, sul bollettino settimanale Morbidity and Mortality Weekly Report, con indicazioni messe a punto dal Comitato per le pratiche immunitarie.” http://www.epicentro.iss.it/problemi/peste/peste.asp, 27.12.2014. Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute.
3 LA PESTE DA ATENE AI GIORNI NOSTRI
La storia della peste ha origini antiche, anche se gran parte delle epidemie, che hanno preso il
nome di pestilenza, hanno probabilmente un’eziologia diversa dalla malattia che la nosologia
moderna definisce peste. Numerose sono le citazioni bibliche di significato simbolico più che
strettamente clinico. La quinta piaga d'Egitto detta “peste di pestilenza”, che sterminò il
bestiame egiziano era quindi una epizoozia. Di seguito vengono ripresi alcuni altri riferimenti
biblici fra i più citati:
«Il Signore ti attaccherà la peste.» (Deuteronomio 28, 21).
«…e diedero la loro vita in preda alla peste…» (Salmi 78, 50).
«…lo punirò con peste e sangue…» (Ezechiele 38, 22).
«Gad entrò da Davide e lo informò dicendogli: “Vuoi che vengano per te sette anni di fame…
o tre giorni di peste nel tuo paese? Davide scelse la peste… Il Signore mandò la peste in
Israele. Da quella mattina fino al tempo fissato. Morirono tra il popolo… settantamila
uomini…» (2 Samuele 24, 13-15).
«Poi il Signore fece pesare la sua mano sugli abitanti di Asdod e il suo territorio… Egli colpì
gli abitanti di quella città dal più piccolo al più grande; scoppiarono bubboni anche ad essi.
Gli uomini che non erano morti furono colpiti dai bubboni e il gemito della città salì al cielo.»
(I Samuele 5,6-12).
La peste di Azoth di Nicolas Poussin 1631, Louvre.
In questo caso sembra verosimile che non si tratti di una malattia generica, ma precisamente
della peste; il riferimento ai bubboni e ai topi è in anticipo rispetto a secoli di ignoranza:
«Dovete inviare un dono espiatorio, allora guarirete: cinque bubboni d’oro e cinque topi
d’oro… Farete figurine dei vostri bubboni e figurine dei vostri topi che mandano in rovina il
vostro paese…» (I Samuele 6,4-5).
La prima descrizione storica di un’epidemia “pestosa”, tra il 430 e il 425 a.C., risale alla Peste
Attica o di Atene. Dall’Etiopia passò all’Egitto, poi colpì l’Impero Persiano e quindi la
Grecia con l’inizio delle Guerre del Peloponneso. Lo storico Tucidide si ammalò, vide altri
ammalarsi, descrisse con precisione i sintomi e si rese conto del contagio, che veniva negato
dalle concezioni ippocratiche. Egli scrive: «Subito all’inizio dell’estate i Peloponnesi e gli
alleati […] Non erano passati ancora molti giorni da quando costoro erano giunti in Attica,
che la pestilenza cominciò a sorgere in Atene; […] i medici, i quali non conoscendo la natura
del male, […] loro stessi morivano più degli altri, in quanto più degli altri si accostavano al
malato […] per curarsi a vicenda si contagiavano e morivano l’uno dopo l’altro, come le
pecore […]»56. Della “Sindrome di Tucidide” di cui morì Pericle si sono proposte altre cause
fra le diverse malattie epidemiche, ma non vi sono evidenze certe di conferma o smentita.57
Galeno e Ippocrate in un dipinto del XII secolo (Cattedrale di Anagni).
56 Tucidide, La Guerra del Peloponneso. Ferrari F (trad. di). Milano, BUR,1985;338-45. 57 Langmuir AD, Worthen TD, Solomon J, Ray CG, Petersen E, The Thucydides Sindrome. A New Hypothesis for the Cause of the Plague of Athens. New Engl J Med 1985;313:1027-30.
Un’epidemia di immani proporzioni che durò dal 164 al 180 d.C. è stata la cosiddetta Peste
Antonina o di Galeno, che forse non fu peste, ma vaiolo58 oppure morbillo.59 Per la
sintomatologia descritta e per le modalità di diffusione è molto dubbia la causa epidemica, ma
per l’interpretazione storica dell’impatto dell’evento e l’importanza culturale ha forti elementi
in comune con la storia della peste che si intende narrare. «Cito, longe, tarde era l'aforisma
antipestoso risalente a Claudio Galeno, il medico greco-romano che l'aveva personalmente
messo in pratica fuggendo da Roma in occasione della “grande peste” — mègas loimòs — del
167-170 d.C.: “Fuggi presto, va' lontano, torna più tardi che puoi”. A Galeno seguirono i
medici medievali di Provenza, che di fronte alla “peste nera” — atra mors — del 1347-48
avevano ribadito l'adagio: “Queste tre piccole parole scacciano la peste: vite, loin et
longtemps”. Il che voleva dire60: “Partir veloci, andar lungi e [star via] per lungo tempo”.»61
La Peste Antonina determinò un indebolimento della struttura imperiale? Indubbiamente in
questo periodo ha avuto termine il lungo ciclo di crescita iniziato due-tre secoli avanti Cristo,
ma le cause stratificatesi in un così lungo periodo non possono che essere molteplici e
l’epidemia sembra più una conseguenza che una causa primaria.62 Nel periodo di espansione
la popolazione romana aumentò insieme alla produzione di beni. Forse il cambiamento
climatico, lo sfruttamento delle risorse, il rendimento decrescente del lavoro, la rilassatezza di
costumi si accompagnò ad un aumento eccessivo della popolazione con peggioramento delle
condizioni di vita. Lo scoppio della pestilenza e la mortalità molto elevata pare che abbiano
riportato un qualche equilibrio fra popolazione e risorse. «La pensava così Tertulliano, che,
nel suo trattato De anima, del 211, scriveva che onerosi sumus mundo: “siamo di peso al
mondo”, a stento ci bastano le materie prime, e quanto più stringenti sono le necessità, tanto
più si alzano i nostri lamenti, dal momento che la natura è incapace di sostenerci. Le
pestilenze, le carestie, le guerre e la scomparsa di intere città, rappresentano un rimedio, uno
sfoltimento del genere umano divenuto eccessivo, tonsura insolescentis generis humani. …
Come sembra sia accaduto successivamente con la Peste Nera del 1348-50, riportò equilibrio
in una struttura economica nella quale il numero era aumentato ben più delle risorse e delle
58 Gilliam, JF "The Plague sotto Marco Aurelio." The American Journal of Philology 82,3 (luglio 1961), pp. 225-251. 59 McNeill non opta per l’una o l’altra ipotesi. - William H. McNeill, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità all’età contemporanea, Einaudi, Torino, 1981. 60 John Nohl, La mort noire, Payot, Paris 1986, p. 96. 61 Giorgio Cosmacini Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza. s.l., Ed. Laterza, 2008, pp. 25-26. 62 Paolo Malanima, The Economic Consequences of the Black Death, in «L’impatto della “peste antonina”», Bari, edipuglia s.r.l., 2012, pp. 311-312.
conoscenze tecniche che consentivano di sfruttare a proprio vantaggio quelle risorse.
Entrambe ebbero come conseguenza per le nuove generazioni un miglioramento delle
condizioni di vita. Dopo la Peste Antonina sembra che anche le stature siano aumentate, in
conseguenza al miglioramento dell’alimentazione. Una differenza, però, è importante rilevare,
come ha fatto più volte Elio Lo Cascio, fra le conseguenze della Peste Antonina e della Peste
Nera. La Peste Antonina determinò un indebolimento della struttura imperiale. Dal momento
che nell’Europa del Trecento una struttura di queste dimensioni non esisteva, ma esistevano,
invece, stati di dimensioni piccole e piccolissime, questo effetto non si ebbe. Se è vero, infatti,
che i redditi medi aumentarono dopo la Peste Antonina perché ognuno disponeva di risorse
più abbondanti, non così fu per le entrate complessive dello Stato romano come struttura di
coordinamento politico, amministrativo, militare. Lo spopolamento – ha scritto Lo Cascio –
ebbe com’è ovvio effetti decisivi sulla produzione globale e dunque sulla possibilità di
mantenere una struttura statuale che, per quanto rudimentale, richiedeva dei costi comunque
notevoli di gestione.»63 La Peste Antonina ha coinciso con una fase storica di cambiamenti,
ma non sembra aver avuto un effetto catastrofico sulla società d’allora.64
Le tre pandemie
Le pandemie65 storiche sicuramente di origine pestosa, da Giustiniano ad oggi, sono costituite
da una serie di epidemie raggruppate in tre grandi periodi, ciascuno preceduto da un’epidemia
e seguito da una fase in cui la malattia sembrava scomparsa.66
La Prima Pandemia ca. 541 – ca. 750 nel Mediterraneo
e in Europa
Le grandi epidemie iniziali:
La Peste di Giustiniano, 541-544
La Seconda Pandemia 1347 – ca. 1771 in Europa Le grandi epidemie iniziali:
La Morte Nera, 1347-1352
La Terza Pandemia ca. 1894 - ? Le grandi epidemie iniziali:
India, Cina, 1894-1922
63 Paolo Malanima, “Un crac nell’impero. La Peste Antonina e la fine del mondo antico”, 02/01/2015, http://www.multiversoweb.it/rivista/n-08-09-crac/un-crac-nell%E2%80%99impero-la-peste-antonina-e-la-fine-del-mondo-antico-2614/ 64 Christer Bruun, La mancanza di prove di un effetto catastrofico della “Peste Antonina” (dal 166 d.c. in poi), in «L’impatto della “peste antonina”», Bari, edipuglia s.r.l., 2012, pp. 123-159. 65 Pandemia è una epidemia la cui diffusione interessa più aree geografiche del mondo, con un alto numero di casi gravi ed una mortalità elevata. 66 Paul Slack, La peste, s.l., Il Mulino, 2014, p.23.
La Peste di Giustiniano e la prima pandemia
La prima e la seconda pandemia sembrano fare da cornice al Medioevo. L’andamento
demografico ed economico sono profondamente collegati e la sintesi può essere contenuta
nell’osservazione che “il Medioevo inizia e finisce con un calo della popolazione”. «L’Alto
Medioevo è caratterizzato da un costante calo della popolazione europea, che nel secolo VIII,
secondo calcoli che sono, per carenza delle fonti, largamente ipotetici, doveva essere di 15-
20.000.000 di abitanti, a confronto degli oltre trenta milioni del tardo Impero romano, prima
che una decina di pestilenze colpissero a ondate le regioni che si affacciavano sul
Mediterraneo dalla metà del secolo VI alla metà dell’VIII.»67 Il declino demografico iniziato
in epoca tardo-antica raggiunge il livello più basso in Italia nel VI secolo d.C., quando la
penisola fu interessata da serie di epidemie pestilenziali in contemporanea ad invasioni e
guerre, cui seguirono il collasso dell’amministrazione centrale e il disfacimento economico
della società romana. A Roma si stima che il crollo demografico abbia portato la popolazione
da 100.000 abitanti di inizio VI secolo a non più di 30.000 alla fine della Guerra Gotica. Così
descrive Procopio l’assedio di Roma: «Ormai al principio del solstizio d'estate, piombarono
sulla città la carestia e la peste. I soldati avevano ancora il pane, ma nient’altro del necessario,
67 Giuseppe Sergi, L'idea di Medioevo: fra storia e senso comune, s.l., Donzelli, 2005, p.63.
mentre gli altri Romani non avevano più neppure il pane ed erano appunto oppressi dalla fame
e dalla peste nel medesimo tempo.»68 Procopio di Cesarea è stato un cronista anche della peste
di Costantinopoli e con stime forse gonfiate dallo stato generale di allarme o dalla scarsezza di
dati oggettivi o ancora dal suo interesse polemico nei confronti della famiglia imperiale
riferisce che l'epidemia uccideva 10.000 persone al giorno. Storici moderni parlano comunque
di circa 5.000 morti al giorno, arrivando a dimezzare la popolazione cittadina, mentre nel
Mediterraneo orientale la riduzione di popolazione superò il 25%. I cadaveri dovevano spesso
essere lasciati all'aperto. Giustiniano dovette promulgare nuove leggi per snellire le procedure
legate alle pratiche ereditarie. Le difficoltà di ricostruzione degli andamenti demografici
dell’Italia medievale, ancora basati sui lavori riassuntivi di Beloch (1908) e Russell (1958),
oggi si arricchiscono del contributo dell’archeologia, seppure limitato da una serie di ostacoli
metodologici. I dati bioarcheologici, che Fabio Giovannini definisce ‘segnalatori archeologici’
per le ricostruzioni demografiche, sono soprattutto relativi al rapporto tra età e picchi della
carie dentaria, gli stress nutrizionali infantili e la sex ratio dei gruppi, come anche la
disponibilità alimentare e la morbilità generale. La crisi demografica fu particolarmente
incisiva nelle città. «Le città si ripresero lentamente solo grazie alla ruralizzazione di molte
aree urbane abbandonate, ma la gran parte della popolazione si organizzò in villaggi isolati e
posti spesso in aree marginali, dediti a produzioni agricole semplici…»69. La fine dell’Impero
coincise con la scomparsa o riduzione delle città romane. Nulla fu più come prima; i Cavalieri
dell’Apocalisse: morte, guerra, carestia e peste cavalcarono insieme e determinarono il
definitivo crollo della civiltà urbana. Con l’unica città sopravvissuta in occidente,
Costantinopoli, avvenne il definitivo passaggio dall'antichità al medioevo. «Divisa in due
sfere culturali e politiche, quella longobarda nel nord e quella bizantina sulla costa, la
popolazione italiana rimase demograficamente stabile per alcuni secoli fino alla ripresa che si
ebbe solo con il rilancio della cultura urbana e lo sviluppo di nuove tecniche con ricadute
produttive e commerciali a partire dai secoli XII-XIII, quando le popolazioni italiane
acquisirono importanti ritmi di crescita fino ad un popolamento che – nonostante il crollo
della metà del XIV secolo (a seguito della Peste Nera e delle cicliche epidemie successive) –
riportò l’Italia rinascimentale, nel complesso, sui livelli della piena età romana imperiale».70
68 Procopio di Cesarea, a cura di Filippo Maria Pontani, La Guerra Gotica, Newton Compton Italiana, Roma, 1974, Libro Secondo, 3, p.122-123. 69 Fabio Giovannini, Archeologia e demografia dell’Italia medievale, in SIDeS, «Popolazione e Storia», 2/2002, pp. 63-81. 70 Fabio Giovannini, op. cit., p. 63.
Paolucci, Signorini • L'ora di storia • edizione
rossa © 2010 Zanichelli editore S.p.A. Bologna.
http://online.scuola.zanichelli.it/paolucci/volume
2/archivio/paolucci_civilta-medioevo.pdf
Storia economica dell'Europa. Renata Allio
Livi Bacci ha elaborato una sintesi estrema dell’andamento
della popolazione nell’arco degli ultimi mille anni,
indicando le principali cause che hanno contribuito a
modificarne l’andamento.
http://www.farcampus.unito.it/storia_economia/corso.aspx
?mod=1&uni=2&arg=1&pag=5
Non abbiamo dati certi sulla distribuzione geografica della Peste di Giustiniano. Come era
stato per la Peste di Atene si parla di un inizio in Etiopia, poi il passaggio in Egitto e con le
navi cariche di grano approda alla capitale e da qui a tutto l’Impero e oltre. In merito alle
regioni e alle popolazioni colpite un indizio particolare proviene da Paolo Diacono che nella
Historia Langobardorum avanza l’ipotesi che la pestilenza colpisce solo le popolazioni di
stirpe romana, mentre Goti e Longobardi ne sarebbero immuni. Questa informazione è stata
ripresa tredici secoli dopo a seguito di studi genetici relativi alla distribuzione nelle
popolazioni nordiche della variante allelica delta 32 di CCR5. La CCR5 è una proteina
presente sulla membrana dei leucociti e coinvolta nel sistema immunitario come recettore per
le chemochine, con il ruolo di attivare i linfociti T. L’allele CCR5-Delta3271 è associato a una
maggiore resistenza ad alcune malattie infettive virali, in particolare al vaiolo e all’HIV,72 ma
non è stato confermato un ruolo protettivo e quindi una selezione naturale delle popolazioni
71 Novembre J1, Galvani AP, Slatkin M, The geographic spread of the CCR5 Delta32 HIV-resistance allele. PLoS Biol. 2005 Nov;3(11):e339. Epub 2005 Oct 18. 72 Faure E1, Royer-Carenzi M, Is the European spatial distribution of the HIV-1-resistant CCR5-Delta32 allele formed by a breakdown of the pathocenosis due to the historical Roman expansion?, Infect Genet Evol. 2008 Dec;8(6):864-74. doi: 10.1016/j.meegid.2008.08.007. Epub 2008 Aug 27.
colpite da pestilenza. Si osserva inoltre che la peste del ‘30073 e del ‘600 hanno colpito
pesantemente i paesi del Nord Europa.
Peste di Giustiniano. Le mura di Teodosio divennero un punto strategico per il lancio dei cadaveri.
La Peste Nera e la seconda pandemia
Per totum orbem maxima pestis mortalitatis fuit.74
73 Il nome Peste Nera per indicare l’epidemia del ‘300 nasce proprio al nord. «Nel medioevo non si usava questa denominazione, e si parlava della "grande morìa" o della "grande pestilenza". Furono cronisti danesi e svedesi a impiegare per primi il termine "morte nera" (mors atra, che in realtà deve essere intesa come "morte atroce") riferendolo alla peste del 1347-53, per sottolineare il terrore e le devastazioni di questa epidemia. "Nero" è quindi impiegato in senso metaforico, anche se il termine odierno per indicare la peste in norvegese è "den svarte dauden". Nel 1832 questa definizione venne ripresa dal medico tedesco J.F.K. Hecker. Il suo articolo sull'epidemia di peste del 1347-1353, intitolato "La morte nera", ebbe grande risonanza, anche perché venne pubblicato durante un'epidemia di colera. L'articolo fu tradotto in inglese nel 1833 e pubblicato numerose volte. Da allora i termini "Black Death" o "Schwarzer Tod" (Morte nera) vennero impiegati, soprattutto nelle aree anglofone e germanofone, per indicare l'epidemia di peste del XIV secolo.» http://kiarasite.altervista.org/la_peste_nera.html, 2/2/2015.
La Peste Nera ha rappresentato per l’Europa un periodo fondamentale della sua storia. Forse
non fu il più grande dei disastri naturali della storia dell’umanità, ma un insieme di fattori la
rende unica. Per l’Occidente “il flagello arrivò dall’Oriente”. Si racconta che i Tartari alla
conquista di Caffa nel 1346 abbiano inventato la guerra biologica scagliando dentro alle mura
i cadaveri degli appestati. Il probabile focolaio d’origine della epidemia fu lo Yunnan nella
Cina meridionale. Ibn Battuta75 dice di averla già incontrata nel 1332 alle pendici meridionali
dell'Himalaya. La rapida diffusione del contagio è dovuta se non favorita dall’esistenza in
quell’epoca del più grande impero continentale nella storia dell’umanità, che ha unito per due
secoli il Mare della Cina al Mare Mediterraneo.76 «…furono proprio l’espansione mongola e il
lungimirante interesse dei Khan per le varie religioni, le scienze, le tecnologie e le arti a
condurre tra il XIII e il XIV secolo alla pax mongolica, un periodo di vivace scambio di idee,
conoscenze, specialisti e oggetti tra le diverse aree culturali del continente euroasiatico,
Occidente e Italia compresi.»77 L’Impero mongolo disponeva di un efficiente e veloce servizio
di corrieri a cavallo, che può aver diffuso il contagio rapidamente fra i roditori delle steppe per
arrivare poi a contagiare l’uomo in vaste aree dell’Asia e giungere in Crimea dove veneziani e
genovesi avevano le loro basi navali. La globalizzazione dell’epoca moderna non ha forse
ancora uguagliato “per via terra” la corrente di traffici che per un secolo ha collegato le
estreme propaggini dell’Occidente e dell’Oriente in un solo sistema di scambi di vastissimo
raggio. Sete, spezie, perle e gioielli dell’Asia si scambiavano con tessuti di lana, tele, cristalli,
pelli, ambra e argento europei, in un intersecarsi di affari che coinvolgeva la Francia, le
Fiandre, la Germania, l’Italia, le regioni della Russia, il Medio Oriente, la Persia, l’Asia
centrale, l’India, l’Indonesia e la Cina. La via per la Cina secondo Francesco Balducci
Pegolotti prevedeva un itinerario di circa 7.550 km percorso in 261 giorni, alla media di 28,9
km/giorno da Tana (Tanais nel Mar d’Azov) a Gamalecco (la Cambulac di Marco Polo,
Pechino).78
74 Chronicon Estense cum additamentis usque ad annum 1478, edd. G. Bertoni - E. P. Vicini, «Rerum Italicarum Scriptores» Chronicon Estense, p. 159, forse ripetendo Patrizio Ravennate Cronica. 75 Ibn Battuta, Tangeri, 24 febbraio 1304 – Fez, 1368-69, è stato un esploratore e viaggiatore marocchino. Nato a Tangeri in Marocco da una famiglia di etnia berbera, per quasi trent'anni si avventurò tra Africa, India, Sud-est asiatico e Cina, è considerato uno dei più grandi viaggiatori ed esploratori della storia. 76 Non è mai più accaduto nella storia dell’umanità che come si diceva allora "una vergine con un piatto d'oro poteva girare indisturbata da un angolo all'altro dell'impero". 77 Emanuela Parisi, Il cammino del contagio in un mondo ‘globalizzato’, http://www.treccani.it/scuola/tesine/virus_e_batteri/parisi.html, 03/01/2015. 78 Piero Zattoni, La via per la Cina secondo Francesco Balducci Pegolotti in «La Porta d’Oriente, » n.12/2011, pag. 91-99.
L’espansione mongola e l’unità euroasiatica.79
A tutto questo la Peste Nera non ha posto fine. I traffici continuarono finché rimase l’unità
politica dei territori della via della seta. Le conseguenze del flagello furono più significative
per l’evoluzione dell’Europa. I Cavalieri dell’Apocalisse tornarono ad accanirsi favorendo se
non determinando la fine al mondo medievale e ponendo le basi per il rinascimento.80 Ma «“il
crepuscolo del medioevo” o “l'alba del rinascimento” non è però la sua caratteristica
essenziale. Il fatto essenziale è che l'Europa sormonta la crisi. Non vi sarà un'età barbarica
dopo il 1350 come ve n'era stata mille anni prima.»81, anche se in questo secolo alle guerre,
alle carestie e alla peste si affiancarono altre sventure. Dopo tre secoli d’espansione e di
progresso furono innumerevoli i sintomi dell’imminente crisi. In occasione della crisi
economica del 2008 sono stati frequenti i confronti, ma non tutti gli eventi che occorsero nel
XIV secolo hanno avuto effetti universali e forse fra di loro molti fatti sono solo contestuali e
non avuto alcun effetto sinergico. L’Europa indubbiamente fu però teatro di notevoli
cambiamenti. Innanzitutto fu il primo secolo dopo l’età tardo antica dove venne a meno o fu
fortemente indebolita l’autorità indiscussa dei poteri universali dell’Impero e del Papato.
79 http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Mongoli/Mongoli.html, 2/2/2015. 80 Per Jacques Le Goff il Rinascimento è un momento di fioritura culturale del “lungo Medioevo”, nota come la peste nera continuò a imperversare in Europa fino al Settecento e che il feudalesimo si protrasse fino alla rivoluzione industriale. Fino all’ultimo quest’epoca conserva i suoi caratteri di fondo e innanzitutto, la visione cristiana della vita. Jacques Le Goff, Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches? Paris, Seuil, 2014, (Bisogna davvero tagliare la storia a fette?). 81 Roberto S. Lopez, La nascita dell'Europa. Secoli V-XIV, Einaudi, 1966.
Il Papa di Roma dal 1309 al 1377 lasciò perfino la sede di Pietro per la cattività avignonese.
La crisi dell'autorità papale si manifestò anche con lo scisma d’Occidente fra papi e antipapi.
Federico II, puer Apuliae, ultimo Imperatore con una visione universale muore nel 1250. Nel
1356 il Reichstag presieduto dall'Imperatore Carlo IV emette la Bolla d’oro. Con tale edito si
stabiliva la natura elettiva della carica imperiale, ponendo fine al controllo diretto del papato
sull'Impero, che però diveniva una monarchia germanica. Le monarchie si affermarono
definitivamente in Francia, Inghilterra, Castiglia e Aragona. L’impatto sulla cristianità della
fine della teoria dei “due soli” favorì la nascita delle nazioni, ma il venir meno della
“provvidenzialità dell’Impero”, unico in grado di porsi come arbitro e restauratore di pace,
ordine e giustizia tra gli uomini ebbe effetti destabilizzanti. Le guerre e le invasioni furono
frequenti e lunghe, tanto da far parlare di “stato di guerra”. La cosiddetta guerra del Vespro
scoppiata nell’aprile 1282 durò novanta anni. Dagli Aragonesi furono impiegate truppe
mercenarie: gli Almugàveri. Francesco Petrarca nella canzone Italia mia esprime lo scempio,
che dell’Italia facevano le milizie mercenarie.82 Addirittura la Guerra dei Cent’anni tra il
Regno d'Inghilterra e il Regno di Francia durò, seppure non continuativamente, 116 anni, dal
1337 al 1453. La guerra da sola forse non avrebbe comportato cambiamenti generalizzati e
permanenti. Ma un fatto nuovo in ambito militare si verificò in questo periodo. Ebbe inizio un
seppur limitato uso delle armi da fuoco, ma soprattutto si verificò il declino della cavalleria
feudale a seguito dell’impiego di quadrati di fanteria armati di picca.83 I cavalieri non
dominarono più i campi di battaglia, persone del popolo anche di scarsa pratica militare
potevano tener testa agli eserciti aristocratici. Forse queste nuove tecniche militari favorirono
il manifestarsi di rivolte popolari, l’emulazione come sempre fece il resto. Già nel primo
trentennio del Trecento vi furono rivolte nelle Fiandre; le campagne francesi vennero battute,
tra il 1356 e il 1358, dalla jacquerie, dove i contadini inferociti misero al rogo parecchi
castelli ed aggravarono la situazione già difficile durante la Guerra dei Cent'anni.
Successivamente tra il 1351 e il 1378 a Perugia, a Siena e a Firenze si ebbero le rivolte
dei Ciompi (lavoratori tessili); nel Canavese si ebbe il fenomeno del tuchinaggio e in
Inghilterra la rivolta dei contadini. Inoltre l’espansione commerciale si stava arrestando. A
tutto questo si accompagna un’eccezionale crisi economico-finaziaria. Dal fallimento delle
82 Francesco Petrarca, Italia mia, «bavarico inganno ch’alzando il dito con la morte scherza». 83 Le Battaglie più significative che segnarono il ritorno della fanteria furono: La battaglia degli speroni d'oro o battaglia di Courtrai, svoltasi l'11 luglio 1302 dove le milizie delle città fiamminghe insorte contro il re di Francia Filippo IV il Bello fecero strage di cavalieri. La battaglia di Bannockburn (23 giugno, 1314 – 24 giugno, 1314) con schiltron scozzesi che ebbero la meglio contro la cavalleria inglese. Divennero famosi anche i quadrati di picchieri degli svizzeri e dei lanzichenecchi.
grandi e piccole banche fiorentine nel 134584 alla crisi monetaria85 del “bimetallismo”86: oro e
argento. Giovanni Villani riferisce che «tutte le monete d’argento si fondieno e portavansi
oltremare» dove il rapporto con l'oro era rimasto più stabile e quindi si potevano realizzare
buoni guadagni sul cambio tra i due metalli. Inoltre ovunque le tasse pesavano e sembra che i
prelievi forzosi fatti da clero e aristocrazia sui contadini raggiunsero i limiti massimi.87 La
crisi finanziaria, divenne economica e le carestie divennero frequenti e diffuse. Nel frattempo
i raccolti calavano a causa di cambiamenti climatici. Una piccola glaciazione, accompagnata
da pioggia eccessiva fece marcire i raccolti (in Europa settentrionale) e nell’Europa
meridionale si manifestò una siccità eccessiva. I terreni davano segni di esaurimento e nuovi
terreni non erano più così disponibili, se non i terreni marginali. «Le crisi di sussistenza
avevano in realtà interessato l’Europa anche nel passato, in quanto elemento strutturale delle
società preindustriali. Esse però, assunsero dimensioni di carattere generale e di particolare
gravità negli anni 1313-1317.»88 Una coincidenza che rafforzò le “successivamente”
riesumate tesi di Avicenna furono i terremoti con migliaia di morti, che colpirono l’Europa nel
1348, avvertiti da Ravenna a Praga89 e del 1349 con danni alla basilica di San Pietro. «Simili
calamità contribuirono notevolmente a inasprire quei disordini sociali, che fanno del XIV un
secolo tanto diverso dal XIII. Ma la causa principale della nuova situazione va ricercata nella
stessa organizzazione economica, la quale era giunta a un tal punto di disfunzione, da
provocare uno scontento evidente sia tra le popolazioni urbane sia tra quelle rurali.»90 La
destabilizzazione politica, le guerre, le rivolte popolari, la crisi economica, le carestie possono
essere state solo di accompagnamento a quanto doveva comunque accadere per il
sovrappopolamento e lo squilibrio fra popolazione e risorse. La spietata legge di Malthus
prevede che la popolazione cresca in proporzione geometrica e le risorse (soprattutto
84 Nel 1345 i banchi dei Peruzzi e dei Bardi falliscono. Il fallimento delle banche più grandi si trascina gli Antellesi, gli Acciaioli e altre 350 famiglie fiorentine. Crolla anche il mercato immobiliare. Giovanni Villani riferisce che è peggio di una guerra perduta: mai a Firenze c'è stata «maggiore ruina e sconfitta … non rimane quasi sostanza di pecunia ne’ nostri cittadini». 85 «… la moneta francese fu soggetta a tutta una serie di frenetiche e drastiche svalutazioni e rivalutazioni. La ragione principale fu la Guerra dei Cent’anni.» Carlo M. Cipolla, op. cit., p.228. 86 «Se poi i metalli sono più di uno (come nei Paesi e nei momento storici in cui venne adottato il bimetallismo, vale a dire, la circolazione di monete differenti, come ad es. oro e argento), i cambiamenti nella disponibilità relativa di un metallo rispetto all’altro possono influire sul rispettivo valore di mercato, e scardinare il sistema monetario.» Fabio Nuti Giovanetti, Corso di Economia Politica, Seconda Edizione, Torino, G. Giappichelli, 2013, p. 577. 87 La poll-tax in Inghilterra per finanziare la guerra dei Cent’anni triplicò nel solo anno 1381. 88 Giovani Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2012, p.317 89 Giovani Vitolo, op.cit. 90 Henri Pirenne, Storia economica e sociale del medioevo, Garzanti, 1967.
alimentari) crescano in proporzione aritmetica; la tonsura di Tertulliano incombeva.
L’occasione fu data dalla peste.
La crisi del ‘30091
Le navi genovesi provenienti da Caffa diffusero la peste nell'autunno del 1347 a
Costantinopoli, a ottobre giunse a Messina a novembre era già a Marsiglia. In gennaio
risultavano colpiti i tre maggiori porti italiani (Pisa, Genova e Venezia). Anche per gli autori
di cultura islamica contemporanei il 1348 fu l’Anno della Distruzione. Per tutto il 1348
continuò ad avanzare rapidamente, ma si arrestò di fronte all'inverno 1348-49. La peste venne,
infatti, segnalata a Parigi nell'estate 1348, scomparve durante l'inverno e ricomparve nel
marzo 1349. Anche nel nord Europa comparve prima nei porti e poi nel retroterra
continentale. Danzica fu colpita nel 1350 e la peste si arrestò nel successivo inverno di fronte
all'Oder; nel 1351 vennero colpite le regioni baltiche interne. Nel 1352 comparve anche in
Russia.
91 http://cmapspublic.ihmc.us/rid=1L3B94ZGP-1R2BS1H-2ZSD/crisi%20del%201300.cmap, 01/01/2015.
Luoghi di provenienza e vie di diffusione della Seconda Pandemia: la Peste Nera.92
Per quanto rapida, la diffusione della malattia non avvenne di colpo o per lo meno la
percezione di essa. Nessuno allora né conosceva né poteva immaginare l’estrema facilità del
contagio, ed in particolare la pericolosità estrema di quel flagello. Le cronache tutte, italiane
ed europee, concordano sul fatto che quel tipo di malattia era fino ad allora totalmente ignoto.
Come descrive Giovanni Villani «i poveri e impotenti» erano già stati falcidiati in gran
numero nella primavera del 1347 dalla grande carestia. All’inizio non era nulla di eccezionale.
Le Goff dà un’interpretazione diversa dell’iniziale indifferenza al flagello: Il clima religioso in
cui la gente era incline ad affrontare l’epidemia con sorprendente apatia e rassegnazione, la
considerava un castigo di Dio. «Alla fine del secolo XIII il Purgatorio è ovunque».93 «Nulla
avrebbe potuto provvedere un terreno migliore per il proliferare del contagio».94 Di tutt’altro
avviso sembra essere Lopez. «Non c'è traccia, nel crepuscolo del Medioevo, di quella tetra
rassegnazione, di quel disfacimento del carattere che avevano contrassegnato l'alto Medioevo.
Se si incontrano ancora profeti di calamità e flagellanti, la maggior parte di coloro che
deplorano i vizi del secolo non rinnegano la società terrena ma cercano la strada della virtù
92 S. Signorelli, S. Tolomelli, La Peste: dai Dardi di Apollo al Bioterrorismo, in Storia della Medicina, Lo Spallanzani 21-2007, p.40 93 J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, trad. di E. De Angeli, Einaudi, Torino, 1982, p. 327 94 Philip Ziegler, The Black Death, EPUB, 1998.
nella devozione privata, nel misticismo, o semplicemente in una vita onesta. Se le ribellioni
dei poveri falliscono, se gli organi democratici cittadini soccombono, se le istituzioni
rappresentative dei regni hanno raramente un 'influenza decisiva, queste resistenze contro gli
abusi di potere segnano confini che il tramonto dell'antichità e l'alba del medioevo non
avevano conosciuto. … La crisi che accompagnò il tramonto temperò i caratteri invece di
abbatterli».95 Le conseguenze della multifattoriale crisi del ‘300 sono numerose quanto le
cause. Il dibattito storico sulla crisi del Trecento ha visto contrapporsi nell’Ottocento alla
legge di Malthus la visione evoluzionistica teorica di Marx, per il quale la fine del Medioevo
non è altro che l’inizio della crisi, lenta, plurisecolare del modo di produzione feudale, al
quale sarebbe subentrato il sistema di produzione capitalistico. Alcuni medievalisti come
Paolo Cammarosano sottolineano però la strumentale comparazione con l’età moderna. Gli
storici “depressionisti” come Wilhem Abel ritengono che il calo demografico era già iniziato
prima della peste. Le tesi degli “ottimisti” affermano che il calo demografico determinò un
miglioramento del tenore di vita dei sopravvissuti. Michael Postan parla addirittura di una “età
dell’oro dei contadini”. Le conseguenze sono state probabilmente estremamente diverse a
seconda delle aree geografiche,96 popolazioni, città, famiglie e individui. «La peste nera fu una
tipica epidemia “proletaria”; vogliamo dire con ciò che essa colpì molto di più l'elemento
meno abbiente, e quindi più denutrito, dei ricchi. I ricchi infatti cercavano di sfuggire al
flagello rifugiandosi nelle isolate abitazioni di campagna dove attendevano, restando senza
alcun contatto con l'esterno, che il morbo terminasse. È proprio questa, come tutti ricorderete,
l'ambientazione che dà il Boccaccio al suo Decamerone.»97 «Il tema pittorico della danza
macabra (ossia del trionfo della morte) era senz’altro un tentativo di affrontare la paura
psichica e spirituale di fronte a una di tipo nuovo che colpiva a tradimento, grande livellatrice
che metteva sullo stesso piano tutti i ceti, dai poveri ai ricchi, dai laici agli ecclesiastici,
compreso il papa.»98 Queste immagini, più frequenti nel Nord Europa, possono quindi avere
un significato più che altro ironico nei confronti delle gerarchie sociali dell'epoca oppure
appartenere al moralismo ed alla sfera religioso-sacrale cristiana con la funzione di memento
mori "ricordati che devi morire".
95 Roberto S. Lopez, op.cit. 96 L’impostazione più convincente è quella dei “regionalisti”, fra i quali Stephan Epstein, Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XIV, Torino, Einaudi, 1996. 97 Antonio Ivan Pini, La società italiana prima e dopo lo «peste nera», 1981 ("Incontri pistoiesi di storia, arte, cultura", n. 8). 98 Storia medievale, Manuale Donzelli, 1998, p.582.
Frammento della Danza macabra di Bernt Notke conservata presso la Chiesa di San Nicolò a Tallinn.
Si stima che la popolazione dell’Europa prima della peste fosse di circa 80 milioni di persone,
mentre dopo la peste scese a 55 milioni circa. La peste si diffonde più facilmente lungo le
linee commerciali e dove è maggiore la concentrazione di persone. L’Italia aveva allora il più
alto tasso di urbanizzazione con oltre 150 centri con 5000 e più abitanti. Le città più grandi
d’Europa, a parte Parigi, erano tutte italiane (Venezia, Milano, Genova, Firenze, Bologna,
Napoli). Gran parte delle città persero dalla metà a due terzi degli abitanti. Alcune città, per
cause ancora da definire, furono poco colpite come Milano e Forlì. Firenze subì un calo
progressivo e continuo da 100.000 abitanti a 37.000 a inizio del Quattrocento, ma nonostante
questo successivamente Firenze conquistò Pisa, Pistoia, Arezzo e un larga parte di Toscana.
Venezia ritornò agli abitanti pre-peste agli inizi del Cinquecento più rapidamente di altre città.
In Europa la peste arrivò più tardi e durò più a lungo. In Olanda però le città continuarono a
crescere. Complesso è il dibattito europeo sui villaggi abbandonati in questo periodo. La
storiografia francese ha evidenziato un naturale fenomeno di selezione degli abitati, per lo più
indipendente dalla congiuntura (Duby, Higounet, Toubert). La storiografia inglese e tedesca
riporta i segni di una cospicua crisi agraria, originatasi all’inizio del Trecento e aggravatasi
dopo la grande depressione demografica successiva alla peste (Abel e Postan). La Francia subì
un impatto più grave dalle epidemie successive; nel 1380 ad Avignone e in Normandia la
popolazione fu però dimezzata. In Gran Bretagna da 5 milioni si giunge a circa 2 milioni nel
Quattrocento. Le distruzioni del Trecento quindi non furono così generalizzate da cancellare
la civiltà urbana del Duecento, ma scompaginando l’ordine costituito consentirono un
rinnovamento, che in chiave moderna potremmo definire “distruzione creativa”.99 Cambiò la
concezione stessa della vita e la cultura. L’esperienza della peste aveva evidenziato in modo
drammatico l’incertezza del domani e fu una spinta al rinnovamento culturale che caratterizzò
il periodo successivo dell’Umanesimo e del Rinascimento. Lo sviluppo dell’ingegno, il
sorgere della borghesia, il moltiplicarsi delle università, lo studio della filosofia e del diritto,
la più vasta conoscenza del mondo determinarono un allargamento delle mentalità. L’uomo
colto si scrollò di dosso gli impedimenti etici, mise in dubbio le verità imposte dalla religione,
non considerò peccato godere delle bellezze della natura e dell’arte e la nuova libertà risvegliò
la sua potenza creativa. La grande peste del 1348 determinò cambiamenti radicali nello
sviluppo delle città, dell’economia, della produzione, della scienza e della società e,
soprattutto, mutò il modo di pensare degli uomini del tempo. Dopo il 1348 non fu più
possibile mantenere i modelli culturali del XIII secolo. Le gravissime perdite in vite umane
causarono una ristrutturazione della società che, a lungo termine, avrebbe avuto effetti
positivi. David Herlihy100 definisce la peste "l'ora degli uomini nuovi": il crollo demografico
rese possibile ad una percentuale significativa della popolazione la disponibilità di terreni
agricoli e di posti di lavoro remunerativi. I terreni meno redditizi vennero abbandonati, il che,
in alcune zone, comportò l'abbandono di interi villaggi. Le corporazioni ammisero nuovi
membri, cui prima si negava l'iscrizione. I fitti agricoli crollarono, mentre le retribuzioni nelle
città aumentarono sensibilmente. Per questo un gran numero di persone godette, dopo la peste,
di un benessere che in precedenza era irraggiungibile. L'aumento del costo della manodopera
favorì un'accentuata meccanizzazione del lavoro. Così il tardo Medioevo divenne un'epoca di
notevoli innovazioni tecniche. Herlihy cita l'esempio della stampa. Fino a quando i compensi
degli amanuensi erano rimasti bassi, la copia a mano era una soluzione soddisfacente per la
riproduzione delle opere. L'aumento del costo del lavoro diede il via a una serie di esperimenti
che sfociò nell'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Sempre Herlihy
ritiene che l'evoluzione della tecnica delle armi da fuoco sia da ricondurre alla carenza di
soldati. Per Egon Friedell,101 la peste nera causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e
99 Il riferimento alla Teoria schumpeteriana del ciclo economico in questo contesto non si ritiene possa andare oltre al concetto di spinta all’innovazione. 100 David Herlihy, Der Schwarze Tod und die Verwandlung Europas, Berlino, 1997, ISBN 3-8031-3596-6. 101 Egon Friedell, Kulturgeschichte der Neuzeit. Die Krisis der Europäischen Seele von der Schwarzen Pest bis zum Ersten Weltkrieg, Monaco di Baviera, 1996 ISBN 3-406-40988-1 (prima edizione 1927–31).
di universo, scuotendo le certezze della fede che avevano dominato fino ad allora, e vede un
rapporto causale diretto tra la catastrofe della peste nera e il Rinascimento. I cambiamenti
prodotti dalla crisi sembrano quindi all’origine della catarsi economico-sociale della comunità
fondante il Rinascimento, ma è un fatto che al fallimento dei banchi dei Bardi e Peruzzi è
seguita l’ascesa straordinaria del Banco dei Medici. «Alla fine del Quattrocento, a ragion
veduta e con piena cognizione di causa, Francesco Guicciardini poteva ancora scrivere»102:
«…non aveva giammai sentito Italia tanta prosperità, né provato stato tanto desiderabile
quanto era quello nel quale sicuramente si riposava l'anno della salute cristiana mille
quattrocento novanta, e gli anni che a quello e prima e poi furono congiunti. Perché, ridotta
tutta in somma pace e tranquillità, coltivata non meno ne' luoghi piú montuosi e piú sterili che
nelle pianure e regioni sue più fertili, né sottoposta a altro imperio che de' suoi medesimi, non
solo era abbondantissima d'abitatori, di mercatanzie e di ricchezze; ma illustrata sommamente
dalla magnificenza di molti príncipi, dallo splendore di molte nobilissime e bellissime città,
dalla sedia e maestà della religione, fioriva d'uomini prestantissimi nella amministrazione
delle cose pubbliche, e di ingegni molto nobili in tutte le dottrine e in qualunque arte preclara
e industriosa; né priva secondo l'uso di quella età di gloria militare e ornatissima di tante doti,
meritamente appresso a tutte le nazioni nome e fama chiarissima riteneva.»103 Poi la peste
divenne un male che spaventava costantemente le popolazioni, ricompariva in un posto o in
un altro e talvolta in modo diverso. Le guerre e le carestie di questi secoli si accompagnarono
alla peste e alle conseguenze dei provvedimenti presi in occasione delle epidemie per evitare il
diffondersi del contagio. Dalla peste nera in poi i governi cittadini approntarono una serie di
provvedimenti, che potevano anche essere estremi, dato la percezione di un pericolo immenso.
Innanzitutto quello che sembra aver funzionato fra le città, soprattutto in Italia, è la fitta e
abbastanza rapida rete di informazioni, basata su lettere e viaggiatori, ma anche su relazioni
diplomatiche. La messa al bando, la sospensione di fiere e mercati, la disinfezione delle
lettere, le punizioni estreme, le fedi di sanità dei viaggiatori, le patenti sanitarie delle navi, i
cordoni sanitari, i lazzaretti, la contumacia, la quarantena, il sequestro domiciliare e
l’onnipotenza dei Magistrati/Ufficiali di Sanità hanno avuto un impiego sempre più diffuso.
Nell’epidemia del 1360 morirono quasi esclusivamente minori e venne denominata la “peste
dei bambini”. Ci furono successive ondate nel 1404, dal 1527 al 1529 favorita dalla guerra,
colpì duramente soprattutto Lazio e Lombardia. La “peste di San Carlo Borromeo” nel 1575
102 Carlo M. Cipolla, op. cit., p.289.
colpì con due versioni diverse del morbo, da Sud, penetrando da Sciacca, una malattia
importata da corsari italiani che avevano saccheggiato la zona di Orano, da Nord, diffusa da
mendicanti e girovaghi fiamminghi giunti a Trento, l'epidemia settentrionale fu più acuta e
particolarmente dannosa per le città del Veneto, della Lombardia e dell'Emilia, meno
duramente fu colpita la Toscana; Napoli riuscì ad evitare questa pestilenza isolandosi dal
mondo. Nel 1589 abbiamo la peste d'Ivrea, che si limitò ad alcune zone del Piemonte orientale
e delle Alpi che erano state risparmiate dalla peste del 1577. Gli anni 1628 e 1629 vedono una
terribile carestia imperversare per il nord Italia. Le città vengono prese d'assalto da vagabondi
e mendicanti, in cerca di condizioni di vita migliori rispetto alle campagne, scoppiano tumulti
ed agitazioni. Per ultimo arriva la peste, portata dalla discesa dei Lanzichenecchi in Italia.
L'esercito si era ammassato a Chiavenna e nelle sue valli; da qui, cominciò il contagio in
direzione di Milano. Ancora una volta la fine di un periodo storico è stato identificato con un
epidemia di peste. Guido Alfani104 ha avanzato un’interpretazione complessiva del
Cinquecento italiano. Il «lungo Cinquecento», compreso tra il 1494 - la discesa di Carlo VII -
e il 1629 - la terribile peste manzoniana - viene considerato l'inesorabile preludio al declino
dell'Italia. Alfani riprende la tesi di Cipolla che dice: «…d’improvviso, tra il 1494 e il 1538 si
abbatterono sull’Italia i cavalieri dell’Apocalisse. Il Paese divenne campo di battaglia di un
conflitto internazionale che coinvolse Spagnoli, Francesi e Germanici. Con la guerra vennero
le carestie, le epidemie, le distruzioni del capitale e le interruzioni dei traffici.»105
103 La storia d'Italia di Francesco Guicciardini sugli originali manoscritti, Alessandro Gherardi (a cura di), 4 voll., Firenze, Sansoni Editore, 1919, Lib.1, cap.1. 104 Alfani Guido, Il Grand Tour dei cavalieri dell'Apocalisse. L'Italia del «lungo Cinquecento» (1494-1629), s.l., Marsilio, 2010. 105 Carlo M. Cipolla, op. cit., pp.308.309.
Albrecht Dürer, 1496-1498, xilografia, I quattro cavalieri dell'Apocalisse,106 Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe
Reshef107 (a destra) raffigurato sulla stele di
Qadesh.
Ancora una volta «…a seconda dei periodi vi furono regioni devastate, altre risparmiate. […]
Troviamo dunque un’innegabile ricchezza in questa Italia dell’ultimo scorcio del
Cinquecento, del primo Seicento. Nessuna sorpresa, dunque: il secolo dei genovesi, che è
anche quello del primo Barocco, è il periodo del massimo irradiamento della civiltà
italiana.»108 Per Alfani «Il Cinquecento è il secolo del cambiamento. È il periodo in cui i
vecchi equilibri, in certi casi già vacillanti da tempo, vengono messi in discussione o, più
precisamente, vengono messi violentemente in discussione: la modernità nasce dal sangue.
L’enorme allargamento dello spazio d’azione verso il nuovo Occidente americano, preceduto
di poco dall’espansione commerciale dei portoghesi verso oriente, segna per l’Europa la
definitiva rottura del guscio entro cui si era trovata rinchiusa e protetta perlomeno dai tempi
dell’impero romano, e il costituirsi di un’economia mondo senza precedenti. L’apertura degli
spazi economici si accompagna a un’apertura culturale, in quanto gli europei non si erano mai
106 I Cavalieri dell'Apocalisse sono quattro figure simboliche introdotte nell'Apocalisse di Giovanni. Essi appaiono dopo l'apertura di quattro dei sette sigilli da parte dell'Agnello, ossia Gesù Cristo. I sigilli stanno ad indicare i sette misteri del giudizio di Dio sulla storia umana che vengono aperti, cioè svelati, da Cristo stesso. L'Apocalisse di Giovanni è l'ultimo libro del Nuovo Testamento composta verso la fine dell'impero di Domiziano, nella prima metà degli anni 90 del I secolo. È evidente la replicazioni di tradizioni più antiche come il dio siriano Reshef. 107 Reshef è una divinità cananea-fenicia della guerra e della pestilenza. Nell'Antico Testamento il nome viene inteso sia come nome proprio di un demone malefico abitante l'atmosfera, sia come appellativo comune indicante fiamma, fuoco, pestilenza, piaga. 108 Fernand Braudel, Il secondo Rinascimento - due secoli e tre Italie, s.l., Einaudi, 1986, pp. 46, 83.
trovati in tale prossimità con il diverso. […] Le acquisizioni territoriali avvantaggiarono in
modo diseguale le nazioni europee.»109 «Negli State papers che si pubblicano … in
Inghilterra, al tomo VII pagina 226 è una lettera del 12 settembre 1529 degli ambasciadori di
Enrico VIII, che da Bologna scrivono: “Mai nella cristianità s'è visto desolazione pari a quella
di queste contrade. Le buone città distrutte e spopolate; in molti luoghi non si trova carne di
veruna sorte. Tra Vercelli e Pavia, per cinquanta miglia del paese più ubertoso del mondo in
vigne e grano, tutto è deserto; nè uomo o donna vedemmo che lavorasse ai campi, nè anima
viva fuorchè tre povere donne che racimolavano l'uva rimasta: giacchè non si seminò nè
mietè, e le viti inselvatichirono, e i grappoli infradiciano senza che alcuno li colga. Vigevano,
buona terra con rôcca, non è più che rottami e deserto. Pavia mette pietà: nelle strade i
bambini piagnucolando chiedono pane, e muojono di fame. Ci fu detto, e il papa ce lo
confermò, che la popolazione di quelli e d'altri molti paesi d'Italia fu consunta dalla guerra,
dalla fame, dalla peste, e molti anni ci vorrà prima che l'Italia ritorni in buona condizione.
Quest'è opera de' Francesi non men che degli Imperiali”».110
Jacopo Tintoretto, 1518 – 1594, San Rocco risana gli appestati, Scuola Grande di San Rocco, Venezia
L'epidemia di peste del 1630 colpì le maggiori città d'Italia e d'Europa. Venne soprannominata
calamitas calamitatum per la sua particolare virulenza.
109 Alfani Guido, op. cit., pp.18-19. 110 Cesare Cantù, Gli Eretici d'Italia. Discorsi Storici, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1865, p.366.
Mortalità in alcune città italiane durante l’epidemia di peste degli anni 1630-1631111
La fame e la guerra accompagnarono anche la peste di Milano del 1630. Alla calata dei
lanzichenecchi in Lombardia è imputata l’origine del contagio. I movimenti di truppe e
saccheggi avvenuti nell'ambito della guerra per la successione di Mantova, che vedeva la
Spagna opposta alla Francia aggravarono o provocarono la carestia. Gli storici concordano
sulla grave crisi economica negli anni immediatamente precedenti alla peste quando si rileva
un calo delle nascite che solitamente si accompagnava ad una diffusa malnutrizione. A
ritardare anche i pochi provvedimenti da prendere furono medici privi di conoscenze adeguate
e autorità incapaci di fronteggiare la calamità, che negarono finché poterono l’evidenza
dell’epidemia, fatto magistralmente descritto nei Promessi Sposi: «In principio dunque, non
peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri
pestilenziali: l'idea s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste
sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro
nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s'è attaccata un'altra idea,
l'idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l'idea espressa dalla parola che
non si può più mandare indietro.»112
111 Carlo M. Cipolla, op. cit., Tab.34, p.192. 112 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Mondadori. Milano, 1985, Capitolo XXXI, p.569.
Luigi Scaramuccia, Federico Borromeo visita il Lazzaretto durante la peste del 1630, Olio su tela, 1670. Milano,
Biblioteca Ambrosiana.
La peste di Milano è infatti legata anche all'assurda, o almeno ritenuta tale, credenza che
alcuni uomini spargessero appositamente unguenti venefici per propagare la peste, personaggi
immaginari noti col nome famigerato di untori. Sembra però che «le unzioni effettivamente ci
furono, ebbero carattere di continuità e, nel colmo della peste, furono assai frequenti,
soprattutto da parte degli stessi monatti che, interessati a perpetuare con la peste il proprio
guadagno, potevano veramente diffondere l’infezione spargendo intorno il marciume degli
appestati.»113 In tempi più antichi altri erano stati i capri espiatori come le streghe e gli ebrei.
A Tolone, tra il 13 e il 14 aprile 1348, una quarantina di ebrei vengono ritenuti responsabili
della pandemia e trucidati senza esitazione. Le persecuzioni contro gli ebrei era una reazione
isterica alla peste, che dava vigore a un odio irrazionale, basato su motivi religiosi, economici
e sociali. L’antigiudaismo cristiano ha origini antiche, gli attacchi e la propaganda dei primi
secoli hanno culmine con la legislazione di Giustiniano nel 550, che definisce l’ebraismo
un’eresia da estirpare. In tutto l’Impero e nella cristianità si ripetono persecuzioni di vario
genere. In Germania si ha notizia di massacri solo dopo l’anno 1000 con la I° Crociata. Le
confessioni ottenute grazie alla tortura, servirono da modello, e da questo momento, quasi per
113 http://www.treccani.it/enciclopedia/untore/ 06/01/2014.
contagio, si diffuse la persecuzione contro i presunti avvelenatori ebrei. Papa Clemente VI
emanò da Avignone una bolla che condannava prontamente, con molta chiarezza, la tesi del
complotto. Troppi ebrei e troppi cristiani erano stati messi a morte senza colpa: la peste,
dichiarava il papa, non è il frutto di azioni umane ma di congiunture astrali o della vendetta
divina. La bolla però, non ebbe alcun effetto, tant’è che da lì a qualche mese, Clemente VI ne
divulgò un’altra, ancora più aspra, volta unicamente a proclamare l’innocenza degli ebrei
ingiustamente messi a morte da empi e temerari cristiani. Il Papa ricordava che gli ebrei
morivano di peste al pari dei cristiani e che l’epidemia si era propagata anche in regioni prive
di ebrei. La ventata di pogrom risparmiò quasi del tutto l'Italia. Va tuttavia registrato il
pogrom di Trento del 1475, quando gli Ebrei di quella città furono accusati dal francescano
Bernardino da Feltre di aver commesso omicidio rituale su un bambino cristiano, trovato
morto lungo l'Adige (e che venne poi beatificato da Sisto V).
Domenico Fiasella, La peste di Genova, 1658, Pinacoteca della Fondazione Franzoni, Genova
“La Grande Peste” di Londra del 1665 fu forse l’ultimo grande flagello epidemico ad avere
tutte le caratteristiche delle pesti “storiche”. 100.000 furono i morti, pari a un quinto degli
abitanti di Londra; da mille morti a settimana arrivarono nel settembre del 1665, a settemila
vittime a settimana. Dal 2 al 5 settembre 1666 divampò il “Grande incendio di Londra” che
distrusse l’80% della City con i vicoli sporchi e affollati infestati da topi, da pulci e in
condizioni igieniche disastrose. L’incendio provocò una distruzione che apparve immensa, più
di 13.000 case ed oltre 90 chiese, ma non vi furono molte vittime e debellò completamente la
grande peste. Dei suoi effetti beneficiarono le generazioni successive. A pochi giorni
dall'incendio vennero presentati al re tre piani per la ricostruzione di Londra, da parte degli
architetti Christopher Wren, John Evelyn e Robert Hooke. Nacque così la il nuovo tessuto
urbano a scacchiera di Londra. Lo scrittore John Dryden, nel suo poema del 1667 Annus
Mirabilis, forse anche per sfatare le dicerie delle cause dell’incendio, afferma che il fuoco è il
segno di un favore divino e non già di una maledizione, in quanto Londra risorgerà dalle
ceneri in fretta e più bella e sicura. Gran parte delle strutture pubbliche, la regolarità e la
bellezza delle strade di gran parte della città di Londra, sono dovute a questo evento. La
ricostruzione durò circa un trentennio. Furono emanati atti legislativi (1666-1670) che
stabilirono diritti e oneri dei proprietari delle case distrutte relativi ai limiti di fabbricabilità sia
volumetrici che altimetrici rispetto alle strade e agli spazi liberi antistanti. Il finanziamento per
la ricostruzione fu garantito con provvedimenti fiscali. Certamente non ne beneficiarono
nell’immediato gli abitanti dell’East End che rimasero in condizioni miserevoli, in quartieri
densamente popolati con un’urbanistica disordinata, ma le basi per i grandi interventi di
risanamento e per i progetti degli utopisti dell’Ottocento erano state poste. In quel periodo non
sono mancati veri propri atti di eroismo collettivo. Eyam è un villaggio dell'Inghilterra centro-
settentrionale nella contea del Derbyshire. Il 7 settembre 1665, il villaggio fu colpito da
un'epidemia di peste bubbonica. L'epidemia fu causata da una partita di abiti infestata, portata
da Londra (colpita dalla pestilenza) ad Eyam da un sarto locale, che fu anche la prima vittima
della pestilenza. Per evitare il propagarsi dell'epidemia anche nelle località limitrofe, gli
abitanti di Eyam, su consiglio del parroco, si misero spontaneamente in quarantena. Durante la
quarantena, gli abitanti pagavano il cibo, lasciato ai margini del villaggio, attraverso delle
ciotole disinfettate con l'aceto, dove depositavano le monete. L'emergenza cessò nel novembre
del 1666: dei 350 abitanti di Eyam, ne morirono 260, ma la Contea si salvò dalla peste.
Eyam: le Riley Graves, testimonianza della pestilenza che colpì il villaggio tra il 1665 e il 1666
«C'erano state molte profezie di un disastro che avrebbe colpito Londra nel 1666, poiché nei
numeri arabi comprendeva il Numero della Bestia e in numeri romani era una lista in ordine
declinante (MDCLXVI). Walter Gostelo scrisse nel 1658: "Se il fuoco non fa ceneri della
città, e delle tue ossa anche, ritienimi un bugiardo per sempre! ... il decreto è emesso, pentiti, o
brucia, come Sodoma e Gomorra!" Sembrò a molti, che uscivano da una guerra civile e dalla
peste, il terzo cavaliere dell'apocalisse.»114 Per un’ultima volta i cavalieri dell’Apocalisse
sembrano cavalcare insieme distruggendo e facendo rinascere la società. Solo due secoli dopo
nel 1854 la “grande epidemia di colera” sviluppatasi dal quartiere di Soho fu l’occasione per il
medico John Snow di mettere in rapporto con metodi statistici le condizioni ambientali e la
salute pubblica.
114 http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_incendio_di_Londra. 18/01/2015.
Antoine Jean Gros, (1771-1835), Napoleone visita gli appestati di Jaffa (1804)
La Peste di Hong Kong e la terza pandemia
Hypothetical scenario for the geographic spread of Yersinia pestis115
La terza pandemia potrebbe aver viaggiato indietro116 dall’Europa all’Estremo Oriente, ma è
certo che ricomparve in Cina nel 1855. Il contagio si diffuse da Canton ad Hong Kong e da
qui raggiunse l’India britannica nel 1896. È quindi da Hong Kong che la peste nel ‘800 si è
diffusa in tutti i continenti abitati provocando più di 12 milioni di morti in India e Cina.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, la pandemia è stata considerata attiva fino al
1959, quando il numero di vittime in tutto il mondo è sceso a 200 all'anno. Nonostante il
considerevole numero di morti e la diffusione planetaria, le epidemie di peste del XIX e XX
secolo non hanno avuto le caratteristiche del flagello che sconvolge la società umana, come
accadeva in passato. Un certo impatto politico è stato descritto nell’India coloniale. Per oltre
30 anni in India si sono sviluppati numerosi focolai epidemici ed una stato endemico
prolungato. Le misure del governo coloniale per controllare la malattia, inclusa la quarantena,
i campi di isolamento, le restrizioni commerciali e di viaggio e l'esclusione di pratiche
mediche tradizionali dell'India erano culturalmente invadenti e, in generale, percepite come
repressive e tiranniche. Il malcontento fu strumentalizzato dai movimenti indipendentisti e vi
furono attentati e condanne da parte dei tribunali britannici ad organi di stampa accusati di
sedizione. Quando la peste nel 1899 si diffuse nelle aree rurali fu evidente che l’uso della
forza per far rispettare i regolamenti sanitari era inutile. Le autorità britanniche inoltre
115 David M Wagner, op. cit., p.323. 116 David M Wagner, op. cit., p.323.
autorizzarono l'inserimento di praticanti di sistemi indigeni di medicina in programmi di
prevenzione della peste. La diffusione al resto del mondo interessò aree dell’Africa e
dell’America, ma non vi furono situazioni di generalizzata distruzione. Oggi la peste conta
pochi casi sporadici, non più di 11 l’anno si sono verificati negli Stati Uniti dal 1976. In tutto
il mondo sono segnalati ogni anno da 1.000 a 3.000 casi. I paesi dove sono stati denunciati
casi di peste e dove sono presenti focolai naturali di peste in animali selvatici dal 1960 in poi
sono limitati ad alcune aree scarsamente abitate.
Paesi con casi di peste umana e distribuzione dei focolai naturali di peste nel 1996117
117 Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) Prevention of Plague. «Morbidity and Mortality Weekly Report». Vol. 45, No. RR-14, 1996, FIGURE 1, p.2. (The MMWRseries of publications is published by the Epidemiology Program Office, Centers for Disease Control and Prevention (CDC), Public Health Service, U.S. Department of Health and Human Services, Atlanta.).
Le malattie infettive che preoccupano l’umanità oggi sono ben altre. L’influenza epidemica
colpisce dalle 3 alle 5 milioni di persone tutti gli anni con 250.000-500.000 morti. Ogni anno
si registrano nel mondo 500 milioni di casi di malaria con circa 1,3 milioni di decessi. Due
miliardi di persone, cioè un terzo della popolazione mondiale, sono stati esposti al
Mycobacterium tuberculosis. Annualmente 8 milioni di persone si ammalano di tubercolosi, e
2 milioni muoiono a causa della malattia in tutto il mondo.118
Un caso di peste in Oregon nel giugno 2012119
La resistenza immunitaria della popolazione è stata più volte chiamata in causa per dare una
spiegazione alla diversa gravità delle epidemie pestose nei secoli e nelle diverse regioni. Forse
il primo a sostenere una diversa resistenza alla peste nelle popolazioni fu il già citato Paolo
Diacono a favore delle popolazioni germaniche durante la Peste di Giustiniano. L’allele
CCR5-Delta32 più frequente nelle popolazioni del nord d’Europa si è però dimostrato
associato a una maggiore resistenza verso i virus, ma non vi è nessuna evidenza di maggiore
resistenza nei confronti dei batteri.120 La Peste Nera sembrerebbe avere selezionato la
popolazione europea e Rom dandogli una maggiore resistenza.121 La diffusione non è mai
118 Dati citati da vari Enti da fonte OMS. 119 https://www.pinterest.com/prwhovian/pandemicsepidemics/, 8/2/2015. 120 Novembre J1, op. cit. 121 Kirsten I. Bos et al., op. cit.
stata però omogenea. La Peste Nera mieté vittime fino alla Scandinavia, con rare e
inspiegabili eccezioni in Boemia, Moravia e Slesia, che furono risparmiate. Milano si salvò
sembra grazie alla tempestiva decisione dei consiglieri cittadini di impedire qualsiasi contatto
con l’esterno, ma non sfuggì alla recrudescenza del 1361, che portò via un altro caro di
Petrarca, il figlio Giovanni. Durante l’epidemia del ‘600 la Romagna ne è, nel suo complesso,
devastata, la città di Forlì, pur situata al centro della regione, ne esce pressoché indenne, tanto
che gli abitanti attribuiscono il fatto a miracolosa protezione della Madonna del Fuoco,
patrona cittadina; anche Reggio “miracolosamente” fu risparmiata dalla peste. Nel Regno di
Napoli la diffusione registrò importanti eccezioni.122 Per Jared Diamond il ruolo centrale delle
epidemie nella storia è dovuto come abbiamo visto alle maggiori e minori resistenze
immunitarie dei diversi popoli invasori. Ricerche avanzate di paleogenetica sulla variabilità
umana fra passato e presente sono in corso e possono dare ulteriori risultati, ma è un fatto che
oggi l’intera umanità riesce nel suo complesso a non soccombere alle epidemie pestose come
avveniva in passato. Eppure la peste mantiene un fascino particolare. La diversità della peste
sta forse dal punto di vista biologico nella grande frequenza delle morti improvvise, o
sopravvenenti qualche ora dopo i primi segni, che è uno dei sintomi più caratteristici e gravi
della peste. Le morti subitanee erano numerosissime all’inizio dell’epidemia; quasi nessuno
sopravviveva al quarto giorno. Alla peste rimane comunque sempre collegato
nell’immaginario collettivo una morte ributtante, che non conosce pietà né pudore. Distrugge
il corpo anche se oggi non è più in grado di mettere in discussione l’ordine sociale, né
uccidere l’anima e la ragione di un’intera comunità. Il termine ha perso il significato iniziale
di flagello che stermina i popoli e le sue conseguenze non determinano più sconvolgimenti
totali. La civiltà europea già alla fine del Medioevo si diversifica e raggiunge un’eccezionale
resistenza, non si può più verificare l’annientamento della civiltà che si era avuto con la fine
dell’Impero romano universale. Come sottolineato da Roberto Lopez non c’è più stata un'età
barbarica dopo che è stata superata la prima.123 Non esistevano più poteri universali e non
esisteva più la città eterna. Il Sacco di Roma del 410 condotto dai Visigoti aveva avuto
un'immediata risonanza in tutto l'Impero, avvertito come evento epocale; esso venne visto da
sant'Agostino (nel De civitate Dei) come segno della prossima fine del mondo o della
punizione che Dio infliggeva alla capitale del paganesimo. «Roma è desolata, e Roma è in
preda al saccheggio; è contristata, è schiacciata, è data alle fiamme, innumerevoli le stragi
122 Ida Maria Fusco. La peste del 1656-58 nel Regno di Napoli: diffusione e mortalità, Istituto di studi sulle società del Mediterraneo, Napoli SIDeS, «Popolazione e Storia», 1/2009, pp. 115-117.
mortali che avvengono per fame, peste, spada».124 Già nella crisi del 1300 abbiamo visto che
nonostante innumerevoli e diffuse calamità, associate puntualmente a un’enorme epidemia
pestosa, la società occidentale reagisce e pone le basi per il Rinascimento. «A quanto ne
sappiamo, i salari dei lavoratori d’ogni genere tesero ad aumentare sensibilmente dopo la
Peste nera del Trecento, determinando reazioni diversificate nelle varie città d’Italia e
d’Europa, ora impegnate a contenere le nuove tendenze tramite la regolamentazione del
mercato del lavoro, ora invece più preoccupate di mantenere l’ordine pubblico e di evitare
ogni ulteriore emorragia di lavoratori qualificati, mirando piuttosto ad attrarne di nuovi dai
centri vicini (Cohn 2007).»125 La peste rimane fino al ‘600 un’enorme calamità, rappresenta il
male, ma lo sviluppo progressivo dell’Occidente non si arresta, almeno per ora, nonostante
l’imperversare di continue guerre, ricorrenti carestie e innumerevoli epidemie. Le invasioni
degli Ungari, Saraceni e Normanni vengono respinte o riassorbite; l’espansione mongola
facilita lo sviluppo economico dell’Europa piuttosto che minacciarne la fine. I Turchi vengono
fermati alle porte di Vienna. Le Crociate e la III° Lega Santa, che dopo la battaglia di Lepanto
portò alla firma del trattato di pace tra Venezia e l'Impero ottomano nel 1573, possono
considerarsi una delle tante premesse all’affermazione dell’Europa nei secoli seguenti. Anche
le successive epidemie, quasi sempre contemporanee a guerre e a carestie, ebbero effetti
redistributivi. «Ci furono infatti, come sempre avviene in occasione di catastrofi e di eventi
traumatici, vincitori e vinti, sia a livello macro (tra i diversi stati, ma anche tra città e
campagne, tra aree di montagna o di pianura, tra territori con differenti destinazioni colturali)
sia a livello micro (singole comunità ma anche differenti strati sociali, penalizzati o
avvantaggiati dalle calamità cinquecentesche)».126 Si può ritenere che le diverse conseguenze
per l’umanità del flagello della guerra, della carestia e della peste dall’Epoca Tardoantica a
quella moderna, non siano le migliori condizioni individuali delle persone, ma se mai è stata
la civiltà occidentale a rilevarsi più resistente con le sue istituzioni e il suo ordine sociale. Non
è un caso che tutta la letteratura e cinematografia catastrofistica ha come elemento comune
innanzitutto il crollo dell’intera società. Per poter oggi rinnovare l’orrore dell’Apocalisse si
evoca la distruzione totale post-nucleare o un evento cosmico o un virus incontrollabile.
123 Roberto S. Lopez, op. cit. 124 Agostino d'Ippona, Discorso 296, 6. 125 Alfani Guido, op. cit., p.172. 126 Lorenzo Del Panta, Prefazione dell’op. cit. di G. Alfani, p.12.
4 CONCLUSIONI
Dalla storia della peste risulta difficile a non pensare a un’idea di progresso. L’umanità ha
relegato l’epidemia a fenomeni marginali. Oggi i flagelli naturali non solo hanno un perché,
ma trovano soluzioni. Questo studio sull’impatto che ha avuto la peste nella storia, dalla
biologia alla politica, può suggerire che in passato gran parte delle devastazioni compiute
dall’epidemie abbiano avuto come causa principale o favorente l’incapacità culturale e
politica ad affrontare il problema. L’antica concezione, che voleva la peste un’espressione
della volontà divina e la successiva individuazione come causa nel castigo di Dio non hanno
prodotto buoni risultati, favorendo anzi atteggiamenti di rassegnazione e provvedimenti come
le processioni che alimentavano più che ridurre il contagio. Gli atteggiamenti apocalittici e
catastrofistici, anche oggi così di moda, in passato non hanno risolto un gran che. D’altra parte
come ebbe a dire Albert Einstein «è meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che
pessimisti ed avere ragione.» Lo sviluppo culturale complessivo, più che per merito
dell’immunità acquisite e delle scoperte scientifiche, ha determinato la fine del grande flagello
della peste già dal 1600. Anche nel XX secolo si è avuto una grande ultima pandemia, è stata
la cosiddetta “Spagnola”. L’influenza del 1918 ha provocato in tutto il mondo 21 milioni di
vittime, molte di più della Grande Guerra ed è stata probabilmente l’unica vera pandemia
mondiale della storia dell’umanità avendo colpito tutti i continenti.127 Nonostante le
devastazioni della guerra e le numerose concomitanti situazioni di carestia non ha però
prodotto significativi sovvertimenti sociali praticamente in nessuna parte del mondo.
Evidentemente la società ha imparato a difendersi dalle calamità naturali, che mantengono
tutta la loro drammaticità per il destino della singola creatura umana, ma trovano
un’organizzazione che ha sviluppato nei secoli potenti anticorpi. La peste, come evento
critico, ha insegnato molto all’umanità. Ha insegnato soprattutto a reagire nei modi più
efficaci quando fu acquisito il concetto che una piaga collettiva può essere combattuta solo da
un’azione collettiva. Ecco che oggi è conosciuta in ogni parte del mondo l’importanza delle
condizioni igieniche personali per se e per gli altri. Anche nei paesi in condizioni sanitarie,
alimentari e generali estreme, spesso in presenza di guerre, i primi segni di un epidemia
127 Secondo Edwin Oakes Jordan (Epidemic Influenza 1927. Chicago: American Medical Association) morirono 1.075.685 persone in America settentrionale e centrale, 327.250 in America latina, 2.163.303 persone in Europa, 15.757.363 in Asia, 965.245 in Australia ed Oceania, 1.353.428 in Africa per un totale di 21 milioni
vengono riconosciuti e la trasmissione dell’informazione attraverso internet avviene alla
velocità della luce. Le informazioni giungono ad Enti ed Organismi sovranazionali che
agiscono anche in via precauzionale conoscendone le cause e i rimedi. Tutto questo fino alla
peste del ‘300 non c’era e per questo l’epidemia si manifestò in tutta la sua forza distruttrice.
L’importanza della Peste Nera nella storia come metafora del male è forse dovuta proprio alla
capacità di riassumere in se tutte le calamità di un momento di crisi dalle molteplici cause.
Una crisi globale e destruente, che è stata all’origine della morte di molti e l’occasione di un
rinnovamento collettivo. L’importanza della peste come crisi della società pone in
collegamento l’idea di flagello e quindi metafora del male e l’occasione di rinascita
postapocalittica. «[La peste] si manifesta come un evento straordinario, caratterizzato da una
visibilità esterna, che irrompe [improvvisamente] nella vita di una comunità disgregandone gli
equilibri e facendone saltare i meccanismi di funzionamento. È un momento di perturbazione,
uno scarto che altera i processi esistenti all’interno e all’esterno del sistema sociale colpito,
una transizione in cui regole e norme del funzionamento ordinario appaiono inutili a risolvere
quanto di problematico è emerso. Caratterizzata da ripercussioni tali da arrivare a pregiudicare
l’esistenza duratura ed autonoma di un’organizzazione sociale, costringe ad agire sotto un
vincolo temporale stringente, richiede scelte e decisioni. […] Si può dire che la crisi innesca
mutamenti sociali che avvengono in maniera repentina o graduale, seguono un percorso
lineare, discontinuo o ciclico, assumono una direzione precisa o proseguono in maniera
casuale, riguardano l’intera società o singoli sistemi, possono avere origini endogene o
esogene, obbediscono a dinamiche che lasciano un certo margine all’iniziativa personale o
collettiva oppure avvengono in maniera spontanea, non prevedibile.»128 La società del ‘300 ha
reagito a tutte le calamità sia naturali sia a quelle provocate dall’uomo. La reazione alle
guerre, alle carestie, alle epidemie, agli sconvolgimenti sociali e ai fallimenti finanziari
potrebbe suggerirci una qualche riflessione anche oggi.129 Forse potremo renderci conto che
642.274 persone decedute a causa dell’Influenza tra il 1918 ed il 1921. In Europa il primato spettava alla Russia con 450.000 morti. L’Italia veniva subito dopo, seconda in graduatoria, con 375.000 morti. 128 Colloca, Carlo. La polisemia del concetto di crisi: società, culture, scenari urbani. Società Mutamento Politica, [S.l.], p. 19-40, feb. 2011. ISSN 2038-3150. Disponibile all'indirizzo: http://www.fupress.net/ndex.php/ smp/article/view/9268, 3/2/2015. 129 Una riflessione importante sulla crisi la fece già Albert Einstein quasi un secolo fa: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’ inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di
qualunque fenomeno storico, oltre ad avere diverse interpretazioni, ha altrettante diverse
conseguenze che spesso appaiono antitetiche e aporetiche. «Nei Promessi Sposi la peste
invoca la grazia, e la provvidenza conferisce una ragione al mistero della peste e della grazia.
C’è dunque prima di tutto il male, poi l’esorcismo del male e infine la paradossale positività
del male, che ci rende più umano e sopportabile il volto irridente dell’ingiustizia e del dolore
sociale e naturale.»130 Come insegna Camus nel suo romanzo, la peste alla fine sarà vinta, ma
sul male che essa rappresenta non ci possono essere vittorie definitive. L'uomo si deve
rivoltare per combattere il male nel mondo: l'ingiustizia, l'intolleranza, l'oppressione, la morte
dell'uomo provocata dall'uomo. Sembra quindi che si debba concludere con Givone che «la
peste è fra noi perché è già da sempre in noi»131 e sempre lo sarà, se è vero quello che dice
Camus che «il bacillo della peste non muore né scompare mai»132. Ogni epoca ha avuto i suoi
cavalieri dell’Apocalisse. Oggi alla crisi economica, al terrorismo e ai tanti mali dell’umanità
si aggiunge una peste che ancora una volta può essere riassunta nell’incapacità di reagire.
Ancora una volta ci si può affidare alla morale di Camus. Nel romanzo La Peste Tarrou,
l'uomo che, dopo un passato ricco di esperienze, si ribella alla società costituita e, volontario
dei servizi sanitari per combattere l'epidemia, ne muore quando questa è stata pressoché
debellata, interroga il Dott. Rieux, il medico che, al di fuori di ogni opzione politica o
religiosa, trova nell'esercizio della sua professione la giustificazione del suo esistere.
«“Che ne pensa lei, dottore, della predica di Paneloux?”
La domanda era posta con naturalezza, e Rieux rispose allo stesso modo.
“Ho vissuto troppo negli ospedali per amar l’idea di un castigo collettivo. Ma, lei sa, i cristiani
talvolta parlano come lui, senza mai realmente pensarlo. Sono migliori di quanto non
sembrano”.
“Lei pensa tuttavia, come Paneloux, che la peste porta un suo beneficio, che apre gli occhi,
che costringe a pensare!”
Il dottore scosse la testa con impazienza.
ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.” 130 http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/Manzoni.aspx, 8/2/2015. 131 Sergio Givone, Metafisica della Peste. Colpa e Destino, s.l., Einaudi, 2012. 132 Albert Camus, La peste, Milano, Bompiani, 2006, p.235.
“Come tutte le malattie di questo mondo. Ma quello che è vero dei mali di questo mondo è
vero anche della peste. Può servire a maturar qualcuno. Ciononostante, quando si vedono la
miseria e il dolore che porta, bisogna essere pazzi, ciechi o vili per rassegnarsi alla peste”.»133
I 4 Cavalieri dell’Apocalisse134, rivisitazione di Maria Paola Forlani, 2014,
di una illustrazione di Pat Marvenko Smith, 1992
133 Albert Camus, op. cit., pp.96-97. 134 Da un’idea della Dott.essa Oretta Gelli a cui va la mia gratitudine per un’amicizia che dura da 40 anni.
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