Tesi Fabrizio Filippi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN STATISTICA (CLASSE DELLE LAUREE IN SCIENZE STATISTICHE, N. 37) TESI DI LAUREA IN ANALISI DELLE SERIE STORICHE MISURE DEL BENESSERE: LA DINAMICA DEL PIL E DEL REDDITO NAZIONALE NETTO DISPONIBILE PER L'ITALIA Relatore: Candidato Ch..ma Prof.sa Francesca Di Iorio Fabrizio Filippi Matr. 557/107 Anno Accademico 2010/2011 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI

FEDERICO II

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN STATISTICA

(CLASSE DELLE LAUREE IN SCIENZE STATISTICHE, N. 37)

TESI DI LAUREA

IN ANALISI DELLE SERIE STORICHE

MISURE DEL BENESSERE: LA DINAMICA DEL PIL E DEL REDDITO

NAZIONALE NETTO DISPONIBILE PER L'ITALIA

Relatore: Candidato

Ch..ma Prof.sa Francesca Di Iorio Fabrizio Filippi

Matr. 557/107

Anno Accademico 2010/2011

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INDICE

Introduzione................................................................................................................3

Capitolo 1 – La misurazione del Benessere

L'origine del problema della misura del benessere...........................................5

Il benessere delle persone ed il benessere economico...................................9

Il benessere delle persone................................................................9

Il benessere economico.......................................................................10

Il prodotto interno lordo..................................................................................12

Definizione..........................................................................................12

La produzione….................................................................................12

I consumi intermedi.............................................................................14

Metodo di calcolo del PIL...................................................................16

Difetti principali del PIL come misura di benessere e di sviluppo......16

Alcune alternative al PIL vantaggi e svantaggi delle varie proposte..............20

Correzione del PIL per il degrado ambientale.....................................20

Correzione del PIL in chiave di benessere economico........................21

Il Rapporto Fitoussi.............................................................................25

Cosa si può fare nell'ambito del sistema di misurazione in uso?........26

Capitolo 2 – Analisi delle serie storiche...................................................................29

Dati a disposizione e metodologia utilizzata...................................................29

Analisi delle serie storiche dei dati a disposizione..........................................30

Identificazione di un modello ARIMA alle serie storiche.......................,.......34

Identificazione di un modello ARIMA per una previsione del PIL per

gli anni 2011 e 2012............................................................................35

Identificazione di un modello ARIMA per una previsione del RNND

come percentuale del PIL per gli anni 2010 e 2011............................38

Conclusioni................................................................................................................41

Ringraziamenti..........................................................................................................42

Bibliografia e siti internet consultati.......................................................................43

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L'economista moderno è abituato a misurare il livello di vita

dall'ammontare del consumo annuo, dando sempre per

scontato che un uomo che consuma di più stia meglio di uno

che consuma di meno. Un economista buddista considererebbe

questo atteggiamento del tutto irrazionale; poiché il consumo

è semplicemente uno strumento per il benessere dell'uomo, il

fine dovrebbe essere quello di ottenere il massimo di benessere

con il minimo di consumo.

(E. F. Schumacher, 1975, p.43)

Introduzione

Questa tesi, divisa in due capitoli, analizza la questione del benessere sociale,

dal punto di vista della sua misurazione e dell'utilizzo di queste misurazioni, e

successivamente analizza alcune di queste misure in serie storiche.

Il primo dei due capitoli introduce l'argomento in tutte le prospettive di

maggior rilevanza: in particolare il primo paragrafo introduce la problematica dal

punto di vista storico e sintetizza brevemente i vari approcci adottati in diversi

periodi con particolare interesse per le innovazioni e per le teorie riconducibili

all'ultimo secolo, epoca in cui la scienza economica e, se vogliamo, la nascita

dell'economia del benessere hanno fornito strumenti la cui validità va ben oltre i

precedenti tentativi.

Il secondo paragrafo definisce il concetto di benessere nelle due accezioni più

comunemente utilizzate (benessere delle persone ed economico) e fa luce sul suo

significato che, come vedremo, è spesso confuso ed utilizzato, nelle varie discipline,

riferendosi a concetti con sfumature più o meno diverse tra loro;

Procedendo nella lettura dei primi paragrafi, scopriremo che la misura

storicamente adottata per la il benessere è stata, e per alcuni punti di vista è ancora, il

Prodotto Interno Lordo che nel terzo paragrafo è analizzato dal punto di vista

puramente teorico per poi passare ad un analisi dei sui limiti come indicatore non

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solo di benessere, ma anche di sviluppo.

Il quarto paragrafo del primo capitolo offre una sintetica carrellata dei più

riconosciuti indicatori di benessere alternativi al PIL con correzioni sia in chiave di

degrado ambientale, che proprio di benessere economico.

Il paragrafo immediatamente successivo, dedicato al Rapporto Fitoussi,

assume assoluta rilevanza, in quanto ci offre una serie di raccomandazioni e di

suggerimenti che ci permettono di pervenire a misure alternative al PIL che possono

essere utilizzate per un analisi delle serie storiche.

Il secondo ed ultimo capitolo, dopo una breve introduzione sulla metodologia

utilizzata e sui dati a disposizione procede con l'analisi delle serie storiche di queste

misure.

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Capitolo 1 - La misurazione del benessere

L'origine del problema della misura del benessere

In questo primo paragrafo introdurremo da un punto di vista storico la

problematica oggetto della tesi utilizzando come riferimento la ricostruzione di

Alessandro Roncaglia pubblicata nel suo "Storia del Pensiero Economico" (2011).

Il concetto di sviluppo, storicamente, non ha mai avuto, e non ha tutt'oggi, un

significato univoco. Basti pensare che la nascita dell'Economia Politica –

riconosciuta come disciplina distinta a partire dal XVII secolo - non avviene in un

momento specifico, ma è un processo complicato che si svolge lungo un arco di

tempo assai ampio. Agli albori di questa "nuova" scienza, in particolare nel lungo

periodo storico che possiamo individuare tra l'antichità classica fino al medioevo, i

problemi economici venivano affrontati in un modo sostanzialmente diverso da oggi.

È opportuno considerare che, rispetto ad oggi, il basso livello tecnologico

determinava un dominio dei fenomeni naturali (calamità naturali, epidemie) che

affiancato alle guerre, all'enorme peso della religione e all'autorità assoluta dei

monarchi, generavano una realtà in cui la regolarità della vita risultava un

aspirazione difficilmente realizzabile. In uno scenario del genere sia i filosofi

dell'antichità classica che i teologi medioevali più che tentare di descrivere e di

interpretare il funzionamento del sistema economico, si proponevano, più

semplicemente, il compito di fornire indicazioni sul comportamento moralmente più

giusto da tenere nel campo dei rapporti economici, che spesso si riduceva alla fedeltà

a comportamenti-tipo sanciti dalla tradizione. Ciò non toglie che anche nell'antichità

classica si parlasse di sviluppo, anche se solo inteso come una sorta di progresso

spirituale, senza un vero e proprio riferimento al miglioramento delle condizioni

materiali della società.

È con l'avvento del Mercantilismo, nel XVII secolo, che matura la

convinzione che la crescita (intesa come progresso materiale) determini lo sviluppo

dell'uomo come fine per l'affermazione della potenza militare di uno Stato e della sua

egemonia territoriale. È a William Petty (1623-1687), medico inglese e fondatore

dell'Aritmetica Politica, in particolare, che è ascrivibile la paternità dell'Economia

Politica nonchè un fondamentale passo in avanti verso la concezione degli indicatori

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di tipo economico; Egli, per primo, suggerì di ragionare sui dati, di incrociarli e

costruirli sfruttandone anche le minime informazioni. È in questo periodo che la

scienza comincia a sostituire la religione e la superstizione affermandosi come mezzo

per favorire lo sviluppo e, contemporaneamente, grazie al grande impulso offerto

dall'Illuminismo, si rafforza l'antropocentrismo e con esso viene ad affermarsi l'idea

di uno stretto legame tra sviluppo economico e progresso. Un ulteriore passo in

avanti è offerto dallo studioso scozzese Adam Smith (1723-1790) con il suo saggio

datato 1776 dal titolo An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations

(Un indagine sulla Natura e le Cause della Ricchezza delle Nazioni), conosciuto più

semplicemente come La Ricchezza delle Nazioni. Nel suo trattato Smith afferma che

gli obiettivi dell'economia politica sono assicurare a tutta la popolazione un reddito

di sussistenza e garantire allo Stato entrate tali che esso possa provvedere alla

produzione di servizi pubblici anche se, nella sua analisi, non avevano ancora la

portata concepita successivamente dai costruttori dello Stato Sociale. È con Smith,

inoltre, che per la prima volta viene identificato quello che oggi è comunemente

chiamato reddito pro-capite.

Dal XVIII secolo in poi molti sono stati i pensatori e gli economisti che a

vario titolo hanno partecipato e contribuito allo sviluppo e alla crescita della moderna

teoria economica (David Ricardo, Karl Marx, Alfred Marshall e John Maynard

Keynes fra i tanti meritano almeno una citazione in merito) tuttavia, per avere un

indicatore universalmente accettato quale misuratore dello sviluppo economico, si

deve attendere il periodo immediatamente successivo a la grande crisi conosciuta

come Wall Street crash che porta la data del 29 Ottobre 1929. In quegli anni, almeno

nel mondo occidentale, si giunse molto vicini al tracollo del Capitalismo. A questo

avvenimento seguì un terribile (e lungo) periodo in cui tutti gli indici economici

crollarono a picco e in cui la disoccupazione raggiunse livelli mai visti prima. In più

non vi erano ammortizzatori sociali che attutissero il colpo, specie per i lavoratori

dipendenti. La grande crisi rappresentava la fine della fiducia nella capacità del

sistema capitalistico di tornare rapidamente all'equilibrio di piena occupazione.

Come conseguenza di questa tragedia mondiale, il quattro volte presidente degli Stati

Uniti d'America Franklin Delano Roosvelt (1882-1945) si rivolse al Dipartimento per

il Commercio chiedendo che gli fosse preparato un mezzo di misurazione

standardizzato, che consentisse di avere sempre sottomano uno strumento affidabile

per verificare le condizioni economiche generali di un Paese. Nasce così il Gross

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Domestic Product (GDP), che in italiano corrisponde al Prodotto Interno Lordo, alla

cui determinazione contribuisce in modo significativo l'economista ebreo di origine

bielorussa Simon Kuznets (1901-1985).

Nella storia degli ultimi anni non sono mancati gli studi e le critiche verso il

concetto di sviluppo che vede nella crescita del PIL il primo obiettivo di politica

economica da perseguire. Lo stesso Kuznets alla fine degli anni '40, in polemica col

Dipartimento per il Commercio, rifiutava l'uso strumentale del PIL quale misuratore

di benessere. Bob Kennedy (1925-1968), fratello di John Fitzgerald Kennedy,

durante un suo celebre discorso (tenuto il 18 Marzo 1968, tre soli mesi prima di

morire assassinato) criticò duramente il PIL come indicatore di benessere in un'epoca

in cui il concetto non era ancora così noto e dominante.

Le ricerche sulla possibilità di correggere il PIL in chiave di benessere hanno

avuto inizio negli anni ’70 con il contributo di Nordhaus e Tobin (1972 e 1973),

mentre il primo importante studio applicato alla realtà italiana è quello di Giannone

(1975). Le correzioni proposte in tali ricerche riguardano essenzialmente il

benessere, mentre trascurano quasi del tutto la sostenibilità ambientale. Nel 2008 in

Francia, sotto esplicita richiesta del presidente Nicolas Sarkozy, è stata istituita una

commissione – alla quale hanno preso parte, oltre a numerosi studiosi di fama

mondiale, l'economista francese Jean-Paul Fitoussi e i premi nobel per l'economia

Amartya Sen e Joseph Stiglitz – con l'intento di fare luce sui limiti del PIL. Il lavoro

di questi studiosi ha reso possibile la pubblicazione di un testo "Report by the

Commission on the Measurement of the Economic Performance and Social Progress

(2009)" – conosciuto più comunemente come Rapporto Fitoussi – nel quale prevale

invece l’opinione che, se siamo alla ricerca di un indicatore che a partire dal PIL

rifletta le variazioni nella qualità della vita, la sua correzione debba passare anche per

il concetto di sostenibilità e ciò non solo in merito alla crescente consapevolezza

circa i problemi ambientali, ma anche in virtù dell’impossibilità di precisare in modo

oggettivo e univoco il concetto di benessere, in quanto qualsiasi correzione in questo

senso non può che basarsi su giudizi di valore.

Negli anni più recenti alcuni autori affermano che l'espressione "crescita

sostenibile" (o anche “sviluppo sostenibile”) sia una contraddizione, perché, mentre il

concetto di crescita implica inevitabilmente e necessariamente espansione della

materia e dell'energia necessaria per trasformare la materia, la materia stessa e

l'energia disponibili sul nostro pianeta sono limitate e non si possono espandere.

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Secondo i teorici del movimento Decrescita Felice (Pallante, Latouche) è impossibile

pensare a uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione di

merci che sia anche in sintonia con la preservazione dell'ambiente. In particolare, essi

ammoniscono i comportamenti delle società occidentali che, seguendo l'ottica dello

sviluppo sostenibile, si trovano ora di fronte al paradossale problema di dover

consumare più del necessario pur di non scalfire la crescita dell'economia di mercato,

con conseguenti numerosi problemi ambientali: sovrasfruttamento delle risorse

naturali, aumento dei rifiuti, mercificazione dei beni. Il tutto, a loro modo di vedere,

non è quindi compatibile con la sostenibilità ambientale: ritengono anzi che lo

sviluppo sostenibile sia una teoria superata, in ogni caso non più applicabile alle

moderne economie mondiali. Di qui la teoria della decrescita che non vuol dire

crescita negativa ma in linea generale è una messa in discussione del volume

esagerato di spostamenti di uomini e merci sul pianeta, con il relativo impatto

negativo sull ambiente, la pubblicità ossessiva, e infine l'obsolescenza accelerata dei‟

prodotti, concepiti col sistema usa e getta. Per questi autori autoproduzione,

limitazione degli sprechi, rallentamento della crescita produttiva sono fondamentali

per la costruzione di una società votata alla decrescita in cui si dia spazio alla qualità

dell'ambiente e alla salvaguardia del patrimonio naturale e culturale.

Ad oggi (2011) dunque, sviluppo e crescita non sono più considerati come

concetti perfettamente sovrapponibili. Nel concetto di sviluppo (o benessere) rientra

anche quello di crescita, ma non solo. Lo sviluppo si connota di altri elementi di

natura qualitativa, quali quelli culturali, sanitari, ambientali, assistenziali, di

rappresentanza politica o ancora di tempo libero, che tuttavia, secondo il pensiero

tutt'ora dominanente, restano legati alla crescita. Quest'ultima, ancora oggi, viene

misurata in termini di reddito pro-capite. Ne consegue che sviluppo e crescita

finiscono per essere confusi o quanto meno inscindibilmente collegati come due

facce della stessa medaglia. Se il PIL non aumenta, media, politici ed economisti ne

fanno un tema di dibattito pubblico e si ingegnano per capire come farlo crescere.

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Il benessere delle persone (Well-being) e il benessere economico

(Welfare)

Come scritto da A. Nappo nel suo "Nuovi metodi della misurazione della

crescita sostenibile" il concetto di benessere, inteso come benessere delle persone

(Well-being), si riferisce alla valutazione della situazione di vita di un individuo (o di

un gruppo di individui) nel modo più ampio possibile. Il concetto di benessere

economico (Welfare) invece si riferisce alla dimensione economica del benessere. Il

termine viene usato per indicare il contributo dell'economia di un paese al

raggiungimento di un livello di benessere da parte di tutti i cittadini.

Il benessere delle persone (Well-being)

Nel primo dei due casi appena citati (Well-being), il termine si riferisce alla

valutazione della vita di una persona in senso molto ampio. Le definizioni precise, in

letteratura, sono molto poche ma in compenso esistono, e vengono utilizzati, una

vasta gamma di termini ad esso correlati.

Quando ci riferiamo al benessere, spesso non sentiamo il bisogno di definire

chiaramente ciò che stiamo cercando di catturare (Gasper 2004). Il concetto di

benessere viene considerato noto e intuitivamente chiaro al lettore.

Attualmente viene utilizzata una vasta gamma di termini correlati per la

valutazione della situazione di una persona: la qualità della vita, il tenore di vita, la

soddisfazione di vita, lo sviluppo umano, la felicità, il benessere soggettivo e il

benessere umano sono solo alcuni esempi tra i più comuni.

Gli economisti per lo più utilizzano termini come "tenore di vita", "utilità" e

"benessere". I sociologi prediligono invece parlare di "qualità della vita" e di

"sviluppo umano", mentre gli psicologi parlano soprattutto della "soddisfazione della

vita" e di "felicità". Anche se questi termini hanno significati e sfumature distinte, di

solito sono concettualmente sovrapposti. Nella maggior parte degli studi si tende ad

utilizzare un termine in particolare, anche se buona parte degli studiosi affermano

esplicitamente che questi termini sono spesso utilizzati in modo intercambiabile. Ad

esempio Easterlin (2001) equipara i termini felicità, benessere soggettivo,

soddisfazione, utilità, benessere e benessere economico, mentre McGillivray (2005)

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equipara il benessere umano, alla qualità della vita umana, allo sviluppo umano e ai

bisogni fondamentali dell'uomo.

Gasper (2004) in una recensione su un vasto corupus della letteratura

contemporanea sul benessere, ha riscontrato che per lo più ci si riferisce al benessere

in termini di consigli su come "stare bene". Una seconda parte, decisamente più

esigua, può essere collegata alla filosofia, mentre un terzo e vasto complesso di studi,

può essere attribuito alle scienze sociali, in particolare alla psicologia, e in misura

minore, all'economia. Quanto appena detto ci spinge ad affermare che il benessere è

un conceto vago e assai difficile da definire univocamente. Anche se il termine

"benessere" è ampiamente utlizzato, vi è scarsa coerenza nelle varie definizioni che

dipendono molto dal contesto di studio in questione. Ne consegue che attualmente, è

ampiamente accettata l'idea che non esista una definizione uniforme di benessere.

Il benessere economico (Welfare)

La valutazione del benessere economico richiede, in primo luogo, la

distinzione tra costi e benefici di un processo economico. Questa distinzione è

essenziale se si vuole parlare di benessere economico ma è anche "difficile

soggettiva e arbitraria" (Costanza 2002).

I servizi derivanti dal consumo sono considerati il principale vantaggio

derivante dall'attività economica. Nel valutare questi benefici è però importante fare

una separazione tra beni e servizi intermedi e finali, in quanto solo i finali sono da

considerare utili al benessere economico. Beni e servizi intermedi sono quei beni e

servizi che vengono utilizzati come input per la produzione di altri.

In secondo luogo, devono essere identificate le spese per il consumo

difensivo (di cui riparlermo in seguito). Terzo, bisogna decidere se il consumo finale

vada o meno aggiunto al benessere economico. È possibile e auspicabile distinguere

tra consumo buono e cattivo?

In quarto luogo, occorre ben definire i confini del consumo. Bisognerebbe

guardare oltre i tradizionali confini di mercato e includere alcuni beni e servizi (ad

esempio il settore domestico) che non hanno mercato, ma che comunque

contribuiscono al miglioramento del benessere.

Infine, Lawn e Sanders (1999) sostengono che dovrebbero anche essere presi

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in considerazione i disservizi che gli esseri umani devono sopportare in seguito alle

attività produttive (ad esempio la disutilità del lavoro, il pendolarismo e

l inquinamento acustico).‟

I costi connessi con le attività economiche sono per lo più legati all'ambiente

naturale. In primo luogo, le risorse naturali vengono utilizzate come fattori di

produzione nel processo economico, ed i costi connessi con l'esaurimento degli stock

di capitale naturale devono essere presi in considerazione in sede di valutazione del

benessere economico. In secondo luogo, il processo economico crea anche i rifiuti;

quelli solidi devono essere correttamente smaltiti (spese associate a tale disposizione

dovrebbero essere considerate come spese difensive), mentre altri tipi di rifiuti hanno

un impatto negativo sulla qualità dell'ambiente naturale (ad esempio l'inquinamento

delle acque e l'inquinamento atmosferico). Il processo economico così impatta sulla

capacità della natura di fornire fonti, assorbire e garantire servizi. Molti dei benefici

che il nostro ecosistema offre al genere umano (servizi ecosistemici) che a causa del

processo economico vengono persi dovrebbero essere considerati come i costi

opportunità delle attività economiche.

Dopo aver analizzato i concetti di sviluppo sostenibile, e ancora di più quello

di benessere (sia delle persone che in senso economico) nel seguito analizzeremo

criticamente l'uso del PIL come misura di queste nozioni.

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Il prodotto interno lordo

Definizione

Il prodotto interno lordo (PIL) ai prezzi di mercato è l'aggregato princpe del

conto della moderna contabilità nazionale: esso rappresenta il prodotto finale del

Paese, che è l'espressione più fedele della creazione di nuove risorse reali da parte del

sistema economico nazionale. Il PIL è definito ai prezzi di mercato in quanto è

misurato in tutti i suoi aspetti ai prezzi correnti sul mercato. In un economia chiusa

coinciderebbe perfettamente con il reddito distribuito ai fattori della produzione

nazionale; in un economia aperta, e quindi nel caso concreto (ad esempio dell'Italia)

coincide sempre con la somma dei redditi distribuiti dalle unità produttive, ma senza

riguardo alla residenza dei titolari dei fattori della produzione, che sono in parte non

residenti (ad esempio lavoratori stranieri temporaneamnete occupati nelle imprese

italiane e capitale straniero investito o comunque prestato in Italia). Corrisponde

infine alla spesa finale (consumi finali e investimenti) se si ha l'avvertenza di

sottrarre le importazioni dalle esportazioni di beni e servizi.

La produzione

Essendo il PIL la misura della produzione finale di un paese, è essenziale

definire l'ampiezza dell'area della produzione, stabilire insomma cosa è produttivo e

cosa non lo è. La produzione è un flusso di beni e servizi che deriva da ogni attività

nella quale, sotto il controllo e la responsabilità di un unità istituzionale, ci sia un

impiego di fattori produttivi (lavoro, capitale, impresa) che riceva un compenso

monetario e sia indirizzato ad un obiettivo preciso: creare utilità scarse capaci di

soddisfare i bisogni umani o, alternativamente, valori economici (beni o servizi) atti

ad essere scambiati. Sotto questo profilo è produttiva non solo l'attività delle imprese,

ma anche quella delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni sociali. Si

riconosce una nozione più ampia e generale di produzione utile all'uomo nella quale

rientra la creazione di ogni sorta di beni o servizi ad esclusione di quelli di tipo

strettamente personale ed esistenziali (come ad esempio mangiare e dormire) che non

possono assolutamente essere affidati a terzi. Nella vita dei singoli e delle famiglie

vengono svolte attività che a differenza di quelle più personali ed intime possono

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Page 13: Tesi Fabrizio Filippi

essere affidate ad altri, come il lavare i piatti o la biancheria, cucinare, allevare i

bambini ed assistere gli anziani: attività tutte che rientrano nel concetto di

produzione. È su quest'ultimo terreno che la nozione di produzione accettata dal

sistema di contabilità nazionale si discosta leggermente dalla definizione generale, in

quanto lascia fuori la produzione di servizi domestici fatta nell'ambito della famiglia

per autoconsumo, eccetto quelli prodotti da personale retribuito. Se produrre vuol

dire creare nuove utilità non rientrano nel valore della produzione i cosiddetti

guadagni e perdite in conto capitale (rivalutazione di merci giacenti in magazzino o

dei titoli in portafoglio a seguito dell'aumento dei prezzi o dei corsi di borsa), i quali

si verificano al di fuori di ongi attività produttiva come semplice conseguenza del

movimento dei prezzi.

Il concetto prevalente di produzione non è alterato da considerazioni

moralistiche, tanto che, in linea di principio, le attività illegali che producono beni e

servizi economici rientrano nei confini dell'area produttiva se danno luogo a

pagamenti volontari, com'è il caso del mercato nero, del contrabbando, della

produzione e commercializzazione di droghe, del gioco d'azzardo, del reciclaggio di

denaro sporco, dello sfruttamento della prostituzione: attività tutte in cui il crimine si

rivolge al mercato creando utilità per clienti disposti a pagarle in piena libertà,

accettando le probabili conseguenze della violazione della legge. Non rientrano nella

sfera dell'attività economica gli illeciti che comportano pagamenti fatti sotto

costrizione, come furti, rapine, truffe, sequestri di persona, delitti in se stessi

improduttivi che si risolvono in un trasferimento involontario di ricchezza. L'attività

economica criminale non va confusa con l'economia sommersa, che è costituita

dall'attività di imprenditori e lavoratori che evadono obblighi di natura

amministrativa: non pagano le imposte o i contributi previdenziali, non hanno la

licenza di commerciare o non rispettano divieti riguardanti l'ambiente, la salute

pubblica e altri ancora. Sia gli operatori che agiscono in violazione della legge che

quelli regolari partecipano per il sistema alla creazione del PIL. Le attività illegali

non vengono ancora rilevate né in Italia né in altri paesi europei, mentre esistono

stime per l'economia sommersa.

La produzione di beni e servizi destinabili alla vendita rappresenta la quota di

gran lunga più grande della produzione totale dei Paesi avanzati ad economia di

mercato. Essa è riconoscibile per il fatto che è messa sul mercato a prezzi

economicamente significativi, tali cioè da influenzare le decisioni di produrre,

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vendere e acquistare di tutte le parti in causa.

La seconda categoria di produzione è quella destinata al proprio uso finale del

produttore. All'uso di consumo finale è rivolta la produzione di prodotti agricoli

autoconsumati dagli agricoltori, di servizi di abitazione goduti dai proprietari che

occupano la propria casa e di servizi domestici prodotti utilizzando personale

retribuito. All'autoinvestimento possono essere destinati macchine, fabbricati e

software prodotti in proprio da società e abitaioni costruite o ampliate da famiglie.

Per convenzione da questa categoria e dalla sfera produttiva coperta dalla contabilità

nazionale sono esclusi i servizi prestati gratuitamente dai membri della famiglia

nell'ambito domestico e i beni e servizi prodotti nell'ambito del fai-da-te, che

soddisfano in primo luogo esigenze di divertimento di chi le fa.

La terza categoria è l'altra produzione di beni e servizi non destinabili alla

vendita: altra perchè anche la produzione per uso proprio non è messa sul mercato.

Vi rientra la produzione di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche e

delle istituzioni sociali, offerta gratuitamente o, al massimo, a prezzi simbolici che in

pratica non sono economicamente significativi.

I consumi intermedi

Per ottenere il valore aggiunto, fondamentale nella costruzione del PIL ,

bisogna sottrarre i consumi intermedi dalla produzione totale. Ma cosa permette di

classificare come intermedi alcuni beni e servizi in contrapposizione a quelli finali?

Essendo il PIL in primo luogo il prodotto finale del Paese la sua misura dipende

fortemente dalla frontiera che si stabilisce tra il finale e l'intermedio. La contabilità

nazionale definisce intermedi i beni e servizi consumati o trasformati dai produttori

nel corso del processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi e finali quei beni e

servizi sottratti ad altri processi di trasformazione. Alcune spese che avrebbero tutti i

crismi per essere considerate come consumi intermedi sono invece trattate come

finali concorrendo, in tal modo, alla composizione del PIL : ad esempio, le spese di

trasporto sostenute dai lavoratori per recarsi da casa al posto di lavoro, oppure molte

spese pubbliche che formano i consumi collettivi. Alcune spese pubbliche, come

quelle dei ministeri dell'industria e del turismo, avvantaggiono esclusivamente le

imprese e dovrebbero essere considerate a stretto rigore intermedie. Altre, come

quelle per la difesa e per l'ordine pubblico, avvantaggiano sia l'impresa che le

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famiglie: dovrebbero essere trattate come intermedie almeno per la parte afferente

alle imprese, ma le altre dovrebbero essere finali anche se le famiglie stesse le

accettano solo come un male necessario? L'intera produzione di beni e servizi da

parte delle amministrazioni pubbliche è classificata come finale ed è compresa nei

consumi finali del Paese, concorrendo così alla formazione del PIL .

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Metodo di calcolo del PIL

Il PIL può essere determinato in tre modi:

Metodo reale o del valore aggiunto: Somma dei valori aggiunti dei settori o delle

branche, più le imposte sui prodotti meno i contributi;

Metodo del bilancio tra risorse e impieghi finali: Somma degli impieghi finali di

beni e servizi (consumi finali e investimenti) fatti dai residenti, più le esportazioni

meno le importazioni;

Metodo personale: Somma dei redditi registrati tra le uscite del conto della

generazione del reddito (distribuzione del valore aggiunto) del totale dell'economia,

più le imposte sulla produzione e sulle importazioni meno i contributi.

In tutti e tre i casi appena citati si giunge al valore del PIL ai prezzi di

mercato. Il metodo del valore aggiunto è quello più impiegato in Italia e in tutti i

Paesi che elaborano tavole input-output annuali. Il secondo metodo si basa

sull'equazione del conto delle risorse e degli impieghi finali - prende perciò il nome

di metodo del bilancio – ed è da considerarsi tuttavia soltanto un metodo di controllo.

Il metodo personale mira a calcolare il prodotto per somma dei redditi dei fattori nei

quali è scomposto. Questo metodo è adottato da alcuni Paesi che dispongono di

buone statistiche fiscali ed è raramente applicato in Italia, anche perchè comporta

alcune complicazioni e non poche incertezze.

Difetti principali del PIL come misura di benessere materiale e di sviluppo

Come anticipato fu lo stesso Kuznets, ideatore del PIL, il primo studioso ad assumere

un posizione critica riguardo all'utilizzo di questo indicatore come misura di sviluppo

economico. In questo paragrafo sono esposte brevemente le considerazioni che

England (1997) produce nel suo lavoro in cui affronta le problematiche principali che

emergono quando il PIL viene usato come indicatore di benessere.

Quantità si qualità no. Il problema essenziale del PIL è che esso misura,

semplicemente, la produzione destinata al mercato. Il PIL o il PIL pro-capite e il loro

tasso di variazione annua rappresentano la crescita economica che è un concetto

puramente quantitativo. Questo approccio sembra ignorare che il concetto di

"sviluppo", profondamente collegato al benessere, ha chari connotati di tipo

qualitatitvo, ed indica un processo di trasformazione a vari livelli del sistema

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economico e della società che il PIL non è in grado di registrare. In quest'ottica, il

contributo al benessere fornito da un certo bene o servizio è misurato dal suo prezzo

di mercato, senza nessuna considerazione per la sua qualità. Ne conseguono assurdità

del tipo che una certa somma spesa per alimenti di prima necessità contribuisce al

benessere esattamente quanto la stessa somma spesa per acquistare sigarette o armi.

Da ciò deriva che nel calcolo del PIL malattia, criminalità e inquinamento, sono

implicitamente considerati come fonti di benessere.

Malattia. Chi si ammala o subisce danni fisici a causa di un incidente, è

costretto a sottoporsi a cure mediche che paga di tasca propria o che vanno a gravare

sulla spesa pubblica le quali contribuiscono alla crescita del PIL.

Inquinamento. Anche le esternalità negative legate alla produzione (come

l'inquinamento e i danni alla salute pubblica che ne derivano) nel PIL non sono

tenute in considerazione. Se inoltre consideriamo che i danni arrecati all’ambiente e

alla salute richiederebbero interventi difensivi (di carattere preventivo o riparatorio) a

spese della collettività, si capisce che l’industria che inquina, indirettamente,

contribuisce al PIL più di quella che non inquina.

Criminalità. I proventi delle attività criminose in se stesse improduttive come

i furti, le rapine, i sequestri di persona, vengono intenzionalmente esclusie dal PIL;

tuttavia, questo indicatore, se come spesso avviene mal interpretato, dà comunque

l’illusione che l’aumento della criminalità produca effetti positivi sul benessere

comune. Infatti, per difendersi dai criminali, i cittadini sono costretti ad acquistare

sistemi di allarme, ricorrere ai servizi di vigilanti privati o contrarre polizze di

assicurazione. Allo stesso modo lo Stato se decide di rafforzare i corpi di polizia o le

strutture giudiziarie, determinando così un aumento del PIL, può farlo a scapito non

solo delle famiglie direttamente minacciate dalla criminalità, ma anche dell’intera

collettività, qualora questi interventi difensivi vengano finanziati tagliando altre voci

di spesa pubblica come la sanità, la previdenza o l’istruzione.

Spese difensive. Dagli esempi appena fatti emerge il problema delle

cosiddette spese difensive, cioè di quelle spese che non riflettono incrementi di

benessere, ma servono a prevenire o riparare danni causati dalla produzione o a fare

fronte a spiacevoli necessità. Per convenzione simili spese vengono contabilizzate

come intermedie se sostenute dalle imprese e come finali se sostenute dalle famiglie

o dalla Pubblica Amministrazione. Tuttavia, come sostengono in molti, esse sono per

natura intermedie a prescindere da chi le sostenga e pertanto andrebbero sempre

17

Page 18: Tesi Fabrizio Filippi

escluse dal computo del PIL.

Guerra distruzione e ricostruzione. Le attività militari, dalla produzione di

armi al loro impiego in guerra, fanno aumentare il PIL di alcuni paesi ma a spese di

morti, distruzioni e devastazioni senza fine. Inoltre, alla fine di una guerra, anche la

ricostruzione seguita alle distruzioni si riflette nell'aumento del PIL del paese da

ricostruire e dei paesi che partecipano alla ricostruzione.

Lavoro e tempo libero. Che il tempo libero abbia un valore rilevante nella vita

e per il benessere degli individui è fuori discussione; questo valore nel PIL non è

però registrato. Se le persone decidono volontariamente di lavorare meno per

beneficiare di maggior tempo libero assisteremo necessariamente ad una riduzione

della produzione. Ciò però non vuol dire che la società stia peggio, anzi, dal

momento che tale scelta è volontaria, vuol dire che è essa è stata presa con lo scopo

di ottenere un maggiore benessere. In questa situazione, però, il PIL , a differenza del

benessere generale, diminuisce.

Distribuzione del reddito. Porre a confronto il PIL di due paesi, nonostante sia

una prassi ampiamente consolidata, è un operazione che trascura del tutto gli aspetti

della disuguaglianza economica e della povertà, che invece, in termini di benessere

collettivo, sono di fondamentale importanza. Da questo punto di vista un analisi della

distribuzione del reddito affiancata al valore del PIL pro-capite può fornire

informazioni quanto meno più vicine alla realtà.

Autoconsumi ed economia non di mercato. Il cambiamento dello stile di vita

indotto dal modello di crescita dominante tende a far si che quote sempre maggiori di

servizi si trasferisca dall'ambito familiare al mercato. Servizi pubblici e poche altre

eccezioni a parte (vedi paragrafo "produzione") il PIL non tiene conto di tutti quei

servizi che una persona presta a se stessa o alla propria famiglia gratuitamente.

Quindi se una casalinga decide di non fare più i lavori di casa ed assume una

collaboratrice domestica, la quantità di servizi prodotti rimane costante (con una

probabile perdita di qualità), tuttavia in tal caso PIL aumenta. Anche le attività di

volontariato, essendo svolte gratuitamente, non rientrano nel PIL pur trattandosi nella

maggior parte dei casi di servizi socialmente utili.

Beni durevoli di consumo. Un automobile, un computer o un cellulare se

acquistati da una famiglia vengono considerati, a giusta ragione, consumi finali,

mentre qualora sono acquistati da un impresa vengono contabilizzati come

investimenti. Se un impresa, dunque, sostituisce un macchinario con uno nuovo

18

Page 19: Tesi Fabrizio Filippi

questa spesa viene registrata come ammortamento mentre una sostituzione analoga

da parte di una famiglia si traduce in un aumento del PIL. La necessità di eliminare

questa contraddizione è stata sottolineata da diversi autori. L’attuale modello

consumistico che induce la gente a sostituire sempre più di frequente beni ancora in

buono stato e funzionanti con altri nuovi e che spinge le imprese a progettare oggetti

con una vita attesa volutamente ridotta rispetto a quella possibile, poggia fortemente

su questa incongruenza. Ciò ha riflessi negativi anche a livello ambientale, in quanto

comporta una perdita di capitale naturale che, non servendo a creare nuovo

benessere, contrasta chiaramente con il principio della sostenibilità.

19

Page 20: Tesi Fabrizio Filippi

Alcune alternative al PIL; vantaggi e svantaggi delle varie

proposte

Quanto esposto fin qui ha chiarito definitivamente il fatto che il PIL sia stato

concepito per essere un indicatore di performance dell'economia e non per valutare il

benessere comune. Nonostante ciò il suo uso (improprio) come misura del benessere

continua ad essere un abitudine tra chi si occupa di questioni socio-economiche. Ciò

è in netto contrasto con la crescente attenzione, che si registra soprattutto nei paesi

sviluppati, su tematiche quali la qualità della vita e la sostenibilità ambientale.

Dopo aver discusso nel paragrafo precedente i principali aspetti che determinano

l'inadeguatezza del PIL (pro capite) come misura di benessere o di produzione

sostenibile, in questo paragrafo analizzeremo le proposte che hanno suscitato

maggiore interesse, tra quelle avanzate in letteratura, per la costruzione di indici di

benessere economico alternativi al PIL.

Correzione del PIL per il degrado ambientale

Un possibile aggiustamento del PIL che tiene in conto il degrado ambientale è

quello proposto da Pearce (1989) . Egli definisce il reddito sostenibile come il PIL

dal quale vanno sottratte una serie di voci: il deprezzamento del capitale prodotto

dall'attività umana, deprezzamento del capitale naturale, spese sostenute per

prevenire o riparare danni all'ambiente e alla salute, e in fine valore

dell'inquinamento residuo.

Proposte diverse, ma assolutamente simili nella sostanza sono state avanzate

da altri autori, tra cui Daly (1989) e Hueting (1991). Gli svantaggi che intercorrono a

tale riguardo si riferiscono soprattutto a due fattori: all'assenza di informazioni

riguardo l'entità dei danni ambientali e alla mancanza di un metro di valutazione

univoco e condiviso degli stessi. Negli ultimi decenni sono stati fatti diversi studi per

valutare (anche se solo parzialmente) l'impatto ambientale della produzione. Una

sintetica rassegna di alcune delle stime ottenute ci induce a pensare che l'entità del

degrado ambientale non è trascurabile ed incide fortemente sulla produzione

complessiva.

Daly e Cobb per gli Stati Uniti d'America (1989), riferendosi ai dati

20

Page 21: Tesi Fabrizio Filippi

disponibili dell'anno 1984, hanno calcolato che:

- il costo dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua e acustico è ammontato al 2.57% del

PIL;

- la perdita di terreni agricoli e di zone umide è stata pari al 3,17% del PIL;

- la perdita di risorse non rinnovabili è stato in misura del 4,4% del PIL .

Dello stesso anno (1989) ad opera di Repetto (ed altri studiosi) è stato

compiuto uno studio, riferito all' Indonesia per il periodo di tempo tra il 1971 e il

1984, nel quale è stato calcolato che:

- secondo i conti ufficiali il tasso medio annuo di crescita nel periodo analizzato è

stato del 7,1%;

- il tasso medio annuo di diminuzione del capitale ambientale, limitatamente al suolo

coltivabile, foreste e petrolio, è stato del 4%.

In base a questo parziale aggiustamento il tasso medio di crescita scende pertanto al

3,1% ed inoltre l'investimento netto per alcuni di questi anni risulta negativo. Ciò

significa che l'economia è cresciuta a prezzo di una perdita della sua capacità

produttiva.

Uno studio similare ad opera di Van Tongeren (1993) riferito all'anno 1985

per il Messico stima che:

- la perdita di riserve petrolifere e forestali è stata pari al 5,8% del PIN;

- Il costo di una parte dell'inquinamento e di altri danni ambientali è stato uguale al

7,6% del PIN .

Se si sottraggono queste due cifre dall'11,2% che rappresenta la quota del PIN dovuta

all'investimento netto, si ha che l'investimento netto così corretto risulta negativo e

pari a -2,2% in rapporto al PIN.

Appare evidente da questi risultati che il reddito ottenuto dalla vendita (o dallo

sfruttamento) di risorse non rinnovabili si traduce in una perdita di capitale e quindi

di capacità produttiva per il futuro.

Le stime riportate sopra sono sicuramente da prendere con cautela ma

forniscono comunque delle indicazioni molto importanti sull'entità minima del

degrado ambientale. Se fosse possibile considerare tutti i fattori che vi concorrono, la

perdita di capitale ambientale risulterebbe molto più elevata.

21

Page 22: Tesi Fabrizio Filippi

Correzione del PIL in chiave di benessere economico

La prima seria ed elaborata proposta di un indice di benessere economico

alternativo al PIL o al PNL si deve a Nordhaus e Tobin (1972 e 1973) . Tali autori

partono dalla considerazione che il PNL è una misura della produzione, mentre il

benessere economico dipende dal consumo, pertanto occorre innanzitutto separare il

consumo dall'investimento e dalle spese intermedie. In tal modo viene esclusa a

priori la spesa pubblica, parte della quale è già classificata come investimento,

mentre la rimanente va considerata di carattere intermedio e\o difensivo. Gli stessi

autori ritengono giustamente che alcune componenti del consumo non siano da

considerare come contributi al benessere. In particolare possiamo citare le spese per

la sanità e per l'istruzione (che è più opportuno considerare come investimenti in

capitale umano) o le spese di trasporto sostenute dai pendolari per recarsi al lavoro

(che vanno riclassificate come consumi intermedi). Un analoga sottrazione va anche

fatta per i costi indotti dall'urbanizzazione. Essi sostengono infatti che molte delle

esternalità negative prodotte dalla crescita economica sono più evidenti nella vita

urbana. Inoltre gli autori riclassificano la spesa per i beni di consumo durevoli come

investimento, compensando però la conseguente detrazione dai consumi con

l'aggiunta del valore stimato dei servizi resi annualmente dallo stock esistente di tali

beni. Per altro i criteri seguiti per stimare tali valori sono inevitabilmente affetti da

arbitrarietà e per questo sono soggetti anche a grosse critiche.

Dunque in sostanza gli autori propongono di modificare il consumo

nazionale, da un lato riclassificando alcune voci di spesa e dall'altro imputando il

valore di determinati fattori di benessere ignorati dalla contabilità nazionale. Il

consumo così ridefinito è stato battezzato Measure of Economic Welfare (MEW).

Se si confrontano gli andamenti temporali del PNL pro capite e del MEW pro

capite negli Stati Uniti d'America dal 1929 ai primi anni '80, risulta che il MEW è

cresciuto per tutto il periodo esaminato, non risentendo né della grande depressione

né della ripresa successiva, in gran parte dovuta alla corsa agli armamenti. Nel

dopoguerra (dal 1947 al 1965) il PNL è cresciuto ad un tasso medio annuo del 2,2%

contro lo 0,4% del MEW. La correzione per il tempo libero porterebbe il MEW a

crescere più rapidamente del PNL, ma gli svantaggi della crescita (urbanizzazione

ecc.) tendono a prevalere. In sostanza, la crescita del benessere economico

risulterebbe 5 o 6 volte inferiore a quella segnalata dal PNL.

22

Page 23: Tesi Fabrizio Filippi

A questo punto potrebbe emergere un fattore non indifferente: tra PNL e MEW, e

quindi in altre parole tra crescita e benessere sembra esserci, dopotutto, quantomeno

una correlazione positiva, in quanto ad un aumento del primo, si accompagna se pur

in maniera ridotta un aumento del secondo. Per di più la constatazione che per

ottenere un piccolo miglioramento del benessere economico reale è necessario un

incremento notevole del PNL potrebbe essere usata a sostegno della tesi che è

necessario uno sforzo sempre maggiore per aumentare il PNL.

In realtà lo stesso MEW non è immune da difetti, la cui correzione metterebbe

seriamente in discussione la sua correlazione positiva con il PNL. Il difetto principale

del MEW è quello di non tenere conto del degrado ambientale, gli autori infatti, pur

riconoscendo l'importanza di tale esternalità non operano alcuna correzione al

riguardo, adducendo come ragione la mancanza di informazioni statistiche adeguate.

In secondo luogo esso sembra non tener conto della disuguaglianza economica:

basandoci sulla ragionevole ipotesi che il consumo abbia utilità marginale

decrescente, il benessere comune ricavato da uno stesso ammontare di reddito sarà

minore in caso di elevata disuguaglianza. In terzo luogo, nel MEW, la quota

rappresentata dal valore del tempo libero sembra sovrastimata, facendo si che il

tempo libero assuma un importanza prevalente rispetto a tutte le componenti del

benessere economico. Ciò aiuta a capire come mai il MEW non risenta della grande

depressione in cui la disoccupazione assunse proporzioni enormi. Gli autori valutano

non solo il tempo libero degli occupati, ma anche quello dei disoccupati, del quale si

possono distinguere due componenti: il tempo che potenzialmente potrebbe essere

dedicato al lavoro a cui non viene attribuito alcun valore, e il tempo presumibilmente

dedicato allo svago, supposto pari a quello degli occupati e valutato applicandovi un

determinato saggio di salario. Basti aggiungere che a volte il valore attribuito al

tempo libero supera lo stesso PNL.

L' Index of Sustainalbe Economic Welfare (Indice di Benessere Economico

Sostenibile) ISEW è un altro indice di benessere proposto da Daly e Cobb (1989).

Esso è ottenuto seguendo un approccio simile a quello utilizzato per il MEW, ma con

la dichiarata intenzione di superare i difetti di tale misura. L'analogia di fondo

consiste nel punto di partenza che è ancora il consumo privato, mentre quello

pubblico è ritenuto prevalentemente di carattere intermedio e/o difensivo. Al di là di

ciò, l'ISEW si differenzia dal MEW per alcuni aspetti:

- Nell' ISEW si tiene ampiamente conto del degrado ambientale, sottraendo dal

23

Page 24: Tesi Fabrizio Filippi

consumo la perdita di risorse non rinnovabili, i danni prodotti dall'inquinamento di

aria acqua e di quello acustico e i danni ambientali di lungo periodo (derivanti da

cambiamenti climatici, buco dell'ozono, scorie radioattive, ecc.);

- Non viene invece incluso il valore del tempo libero, poiché gli autori considerano

che esso non sia stimabile in maniera soddisfacente, e che questa esclusione non

comporti serie distorsioni nella valutazione dello sviluppo nel periodo esaminato

(che va dagli anni '50 all'inizio degli anni '80). Come per il MEW viene inclusa una

stima del lavoro domestico;

- Si cerca di tenere conto della disuguaglianza economica, ponderando il consumo

così ridefinito con un indice della sua concentrazione.

Nel 1995, Cobb e altri (1994) hanno elaborato ulteriormente il quadro

dell'ISEW al fine di arrivare a una nuova misura di benessere economico: il Genuine

Progress Indicator GPI (Indicatore di progresso autentico) spesso tradotto anche

come indice di progresso effettivo o indicatore del reale progresso. Tale misura

aggiunge diverse altre categorie all'ISEW : il valore del volontariato, i costi legati

alla criminalità , quelli legati alla disgregazione familiare, alla perdita di tempo

libero, il costo della disoccupazione e il costo legato all'impoverimento dello strato

d'ozono. Alcune di queste voci vengono inserite anche in studi recenti in cui si

calcola l' ISEW. Questo è di fatto possibile poiché il GPI spesso è visto solo come

una rivisitazione in quanto l'indice apporta solo lievi modifiche alla metodologia dell'

ISEW originaria. Più che altro l'idea di Cobb e degli altri autori era quella di disporre

di un acronimo più breve e di immediata comprensione che consentisse di

identificare in esso un indicatore migliore di progresso di una nazione rispetto al PIL.

24

Page 25: Tesi Fabrizio Filippi

Il Rapporto Fitoussi

Il Rapporto della Commissione per la misurazione della performance

economica e del progresso sociale, altrimenti conosciuto come Rapporto Fitoussi, è

nato nel Febbraio 2008 su richiesta del presidente della Repubblica Francese

Nicholas Sarkozy il quale, insoddisfatto dello stato attuale delle informazioni e delle

statistiche disponibili riguardo l'economia e la società in generale, ha chiesto a due

premi nobel J. Stiglitz, A. Sen e a J.P. Fitoussi di creare una commissione, in seguito

chiamata “Commissione per la misura della Performance economica e il Progresso

Sociale” con l'obiettivo di far fronte all'esigenza di identificare i limiti del PIL come

indicatore di performance economiche e di progresso sociale.

Il Rapporto è indirizzato principalmente ai leader politici e raccomanda loro

uno spostamento dell'attenzione da un sistema di misurazione centrato sulla

produzione ad uno centrato sul benessere delle generazioni presenti e future.

La stesura del Rapporto ha visto la commissione dividersi i tre sottogruppi

che hanno profuso i loro sforzi in tre direzioni diverse. Un primo gruppo, si è

dedicato alle questioni inerenti al PIL e alla misurazione della performance

economica, un secondo gruppo si è concentrato sulla tematica della qualità della vita

e un terzo sottogruppo ha lavorato alla questione della sostenibilità ambientale.

In merito alla prima parte del Rapporto, in essa vengono ricordati i casi, già

evidenziati nell'ambito di questa tesi nei paragrafi precedenti, in cui il PIL cresce e il

benessere sociale, per quanto ampiamente inteso, di certo non aumenta. Inoltre, viene

sottolineato che se si fosse prestata attenzione a altri indicatori, in particolare a quelli

di sostenibilità finanziaria, la crisi economica in corso avrebbe potuto essere, quanto

meno, meglio governata.

Nel Rapporto vengono presentate dodici raccomandazioni che dovrebbero

condurre non tanto alla definizione di un indicatore sintetico alternativo al PIL

quanto alla messa a punto di statistiche in grado di cogliere il benessere sociale nelle

sue varie dimensioni. Queste raccomandazioni riguardano il benessere materiale e

quello non materiale. Rispetto al primo si sottolinea la necessità di porre attenzione

al reddito e al consumo, piuttosto che alla produzione, di considerare anche indici di

ricchezza e di prendere a riferimento il nucleo familiare. Si ricorda l’influenza sul

benessere della qualità dei beni e si pone particolare enfasi sulle disuguaglianze e

25

Page 26: Tesi Fabrizio Filippi

sulla necessità di non limitarsi a considerare le grandezze medie, alle quali sono

comunque da preferire quelle mediane. Si ricorda che il benessere dipende anche da

attività che non danno luogo a scambi di mercato, come le prestazioni dirette tra

soggetti e si raccomanda di misurare i servizi offerti dallo Stato in base non ai loro

costi, come avviene per il PIL, ma al loro impatto sul benessere dei singoli. Riguardo

alla dimensione non materiale del benessere si ricorda l’importanza del tempo libero

e la necessità di misurare le relazioni sociali, il livello di rappresentanza politica e la

sicurezza o vulnerabilità dei singoli. Si afferma anche che vanno considerare misure

oggettive e soggettive e che sono necessari indici di sostenibilità del benessere nel

tempo, ambito nel quale dominano i noti problemi connessi all’ambiente.

Il Rapporto chiarisce anche che superare il PIL non significa, per forza di

cose, costruire un indicatore sintetico alternativo. Contrariamente a quanto è apparso

su diversi organi di stampa, nel Rapporto non vi è alcuna precisa proposta al

riguardo. Le raccomandazioni, di cui si è detto, chiariscono che la misurazione del

benessere non è un problema esclusivamente tecnico, per la semplice ragione che la

concezione stessa del benessere chiama in causa le preferenze e i valori di fondo di

una società e degli individui che la compongono.

Che cosa si può fare nell'ambito del sistema di misurazione in uso?

I vari indicatori proposti come alternativa al PIL, al di là di eventuali giudizi

in merito alla loro affidabilità, presentano un grosso limite: per esse ad oggi non è

possibile uno studio delle serie storiche che prescinda da uno sforzo sia in termini

economici che di tempo per la raccolta delle informazioni necessarie.

Prevalentemente per questo motivo la scelta è ricaduta su altri indicatori, che oltre ad

avere il desiderabile pregio di comparire nelle statistiche ufficiali di contabilità

nazionale, rientrano anche nell'insieme di suggerimenti e raccomandazioni presenti

nel Rapporto.

Il Rapporto raccomanda che un primo passo da compiere per mitigrare alcune

delle critiche espresse nei confronti del PIL è quello di dare maggiore importanza a

diversi aggregati di contabilità nazionale, per esempio tenendo conto della

svalutazione in modo da operare con indicatori netti, invece che lordi, della

performance economica. Gli indicatori lordi non tengono conto della svalutazione dei

beni capitali. Se una grande quantità di ricchezza prodotta deve essere messa da parte

26

Page 27: Tesi Fabrizio Filippi

per rinnovare le macchine o altri beni capitali, la capacità di consumo della società (e

di conseguenza il reddito reale dei cittadini) si riduce. La ragione per la quale gli

economisti hanno fatto più affidamente sul PIL che sul Prodotto Interno Netto (PIN),

in parte, è perché è difficile stimare la svalutazione. Quando la struttura produttiva

rimane invariata, il PIL e il PIN variano in parallelo. Negli ultimi anni la struttura

produttiva è cambiata: le attività basate sulla tecnologia informatica e delle

comunicazioni hanno acquisito importanza come beni capitali la cui aspettativa di

vita è più breve rispetto alle acciaierie che caratterizzavano l'economia di qualche

decennio fa. Su tali basi è probabile che la discrepanza tra PIL e PIN sia in aumento.

Purtroppo, però, gli indicatori standard della svalutazione non hanno tenuto conto del

degrado qualitativo sofferto dall'ambiente naturale nonostante i vari tentativi di

ampliarne la valutazione. Per il depauperamento delle risorse il caso è leggermente

diverso, in quanto, almeno in questo caso, esiste un prezzo di mercato che comunque

non riflette i danni ambientali attribuibili all'utilizzo di tali risorse.

Visto quanto appena detto è facile intuire che, in un mondo globalizzato,

possono esserci grosse differenze tra il reddito dei cittadini e il livello della

produzione, e che, il primo dei due, è chiaramente più rilevante ai fini della

misurazione del benessere delle persone; inoltre una parte del reddito generato dai

residenti di un paese viene trasferita all'estero, e altri, al contrariro, ricevono un

27

Page 28: Tesi Fabrizio Filippi

reddito proveniente dall'estero. Tali flussi sono colti dal Reddito Nazionale Netto

Disponibile (RNND), un indicatore standard della contabilità nazionale che è pari

alla somma dei consumi finali nazionali e del risparmio nazionale netto. La figura

1,1, presentata nel rapporto, mostra il calo del reddito in relazione al PIL in Irlanda,

che riflette la percentuale crescente di profitti rimpatriati da investitori esteri. Benché

siano inclusi nel PIL, i profitti non accrescono il potere di acquisto dei cittadini del

paese. Per un paese povero in via di sviluppo, un aumento del PIL può non avere

molta rilevanza se intendiamo capire se i suoi cittadini vivano meglio.

Per una valutazione del benessere dei cittadini di un paese la misurazione del

reddito nazionale è sicuramente un indicatore molto più adeguato. In aggiunta a ciò, i

prezzi delle importazioni seguono un'evoluzione molto diversa da quella dei prezzi

delle esportazioni, e bisogna tenere conto di tali variazioni in termini di prezzi

relativi nella valutazione degli standard di vita.

La figura 1.2. mostra la divergenza tra reddito reale e produzione in Norvegia,

un paese dell'OCSE ricco di petrolio, il cui reddito è aumentato più rapidamente del

PIL nei periodi caratterizzati da un aumento del prezzo del petrolio. In molti paesi in

via di sviluppo, nei quali i prezzi delle esportazioni hanno avuto la tendenza a

diminuire rispetto a quelli delle importazioni, è successo invece l'opposto.

Nel capitolo seguente procederemo allo studio delle serie storiche del PIL e

del RNND nel caso del nostro paese.

28

Page 29: Tesi Fabrizio Filippi

Capitolo 2 – Analisi delle serie storiche

Dati a disposizione e metodologia utilizzata

I dati necessari allo studio delle serie storiche del PIL e del RNND sono

disponibili dal sito internet de l'ISTAT all'indirizzo www.istat.it. In particolare la

serie storica del PIL consiste nei valori annuali per l'intervallo temporale che va dal

1970 al 2010 (milioni di euro dal 1999 ; milioni di eurolire per gli anni precedenti)

per un totale di 41 osservazioni e la serie storica del RNND è invece disponibile,

sempre a valori annuali, per l'intervallo di tempo che va dal 1980 al 2009 (milioni di

euro dal 1999 ; milioni di eurolire per gli anni precedenti) per un totale di 30

osservazioni. Entrambe le serie sono valutate ai prezzi di mercato. Per la costruzione

dei grafici e per la stima dei modelli ARIMA è stato utilizzato Gretl (Gnu

Regression, Econometrics and Time-series Library) un software statistico gratuito.

L’analisi del PIL e del RNND viene condotta utilizzando i loro tassi di

variazione annua.

29

Page 30: Tesi Fabrizio Filippi

Analisi delle serie storiche dei dati a disposizione

In Figura 2.1 viene riportato il valore annuale, espresso in milioni di euro dal

1999, milioni di eurolire pre gli anni precedenti, del Prodotto Interno Lordo, per il

periodo 1970-2010.

La serie in figura 2.1, ad eccezione di un solo valore, precisamente quello del

2009, è monotona crescente, e, in particolare, nel tratto iniziale (1970-1985) mostra

un andamento quasi esponenziale, che negli anni successivi (1985-1990), dopo un

breve tratto approssimativamente rettilineo assume un comportamento più vicino

quello logaritmico. Troviamo un massimo assoluto nell'anno 2008 e un massimo

relativo nel 2010.

30

Figura 2.1. Prodotto interno lordo, dati annuali 1970-2010, valori in milioni di euro dal 1999, milioni di eurolire pre gli anni precedenti. Fonte: Istat

Page 31: Tesi Fabrizio Filippi

La figura 2.2 mostra la variazione annua del PIL italiano. Possiamo

apprezzare quanto questa serie storica sia più significativa al fine di un analisi di ciò

che è accaduto nell'economia del nostro paese. La serie, a differenza della

precedente, presenta un andamento monotono decrescente a partire dagli anni ‘80.

Come si può dedurre dalla serie storica del PIL in figura 2.1. in corrispondenza del

periodo iniziale di crescita esponenziale, la serie affianca a valori positivi un trend

crescente nella parte iniziale (1970-1980) , che diventa invece decrescente dal 1980

in poi, continuando a mostrare valori via via inferiori ma positivi fino al 2009, anno

in cui la variazione del PIL è negativa. In questa serie possiamo osservare dei picchi

in corrispondenza di eventi storici ben precisi, come il picco negativo dovuto alla

crisi petrolifera del '79, un secondo picco negativo del '92 in seguito ai

provvedimenti adottati con il trattato Maastricht ed un ulteriore picco negativo sia in

termini di monotonia che di valore assoluto nel 2009 a testimonianza della profonda

crisi economica attuale.

31

Figura 2.2: Variazione annua del Prodotto interno lordo 1970-2010Fonte: Elaborazione dati Istat

Page 32: Tesi Fabrizio Filippi

La figura 2.3. affianca alla serie storica dei logaritmi del PIL la serie storica

dei logaritmi del RNND. Le due serie mostrano valori via via più distanti ma hanno

un andamento pressapoco identico. In particolare, nonostante la progressiva

riduzione di scala imposta del logaritmo osserviamo un divario via via crescente tra

le due curve che sarà spiegato in maniera più dettagliata nel grafico successivo.

32

Figura 2.3: Serie storica dei logaritmi del Prodotto interno lordo 1970-2010 (in rosso) e del Reddito nazionale netto disponibile 1980-2009 (in blu) .Fonte: Elaborazione dati Istat

Page 33: Tesi Fabrizio Filippi

La figura 2.4 mostra, così come visto nel capitolo precedente per altre nazioni, la

serie storica del RNND come percentuale del PIL in Italia. La serie mostra valori che

oscillano tra un massimo 86,6% del 1980 ad un minimo del 81,3% del 2006 e, come

facilmente prevedibile dall'osservazione del grafico 2.3, presenta un trend

decisamente decrescente. In particolare nel periodo 1994-1997 a dispetto del trend

decrescente la serie guadagna quasi un 1,5% passando dall' 83,5% all' 84,9%,

mostrando una netta risalita, preceduta e seguita però, da diverse discese, in

particolare nel periodo 1980-1982 nel quale si passa dall' 86,6% all' 84,6%, e quella

del tratto 1989-1994 nel quale si passa dall' 85,1% all' 83,5%.

33

Figura 2.4: Reddito nazionale netto disponibile come percentuale del Prodotto interno lordo, Italia (1980,2009)Fonte: Elaborazione dati Istat

Page 34: Tesi Fabrizio Filippi

Identificazione di un modello ARIMA alle serie storiche

In questo paragrafo sono presentati i modelli ARIMA applicati alle serie

storiche del PIL e del RNND come percentuale del PIL. La metodologia utilizzata è

quella presentata da Box e Jenkins (1976).

34

Page 35: Tesi Fabrizio Filippi

Identificazione di un modello ARIMA per una previsione del PIL per gli anni 2011

e 2012

A partire dalla serie storica originaria è utile, ai fini dello studio, effettuare

una riduzione di scala applicando alla serie la funzione logaritmo:

Allo scopo di identificare un modello è stato effettuato un test di Dickey-

Fuller aumentato per verificare la presenza di radici unitarie. Questo tipo di test pone

a verifica le due ipotesi alternative:

H0: Ф1 = 1

H1 : Ф1 < 1

Test Dickey-Fuller aumentato per log(PIL)incluso un ritardo di (1-L)log(PIL)Ampiezza campionaria 39Ipotesi nulla di radice unitaria: a = 1Con costante e trend Modello: (1-L)y = b0 + b1*t + (a-1)*y(-1) + ... + eCoefficiente di autocorrelazione del prim'ordine per e: -0,282Valore stimato di (a - 1): -0,0200716Statistica test: tau_ct(1) = -1,53168p-value asintotico 0,819

Il test di Dickey e Fuller suggerisce la presenza di una radice unitaria,

pertanto si ritiene opportuno operare le differenze prime. Il modello identificato dalla

procedura di Box e Jenkins risulta essere un ARIMA(1,1,0) le cui stime sono

riportate nella tabella 1 seguente:

Tabella 1: Modello 1: ARIMA, usando le osservazioni 1971-2010 (T = 40)

Stimato usando il filtro di Kalman (MV esatta)Variabile dipendente: (1-L) log(PIL)Errori standard basati sull'Hessiana

Coefficiente Errore Std. Z P-valueConst 0,0850 0,0331 2,5640 0,0103 ***Phi 1 0,8560 0,0753 11,3600 6,49E-030 ***

Media var.dipendente 0,0900 SQM var. dipendente 0,0682Media innovazioni -0,0001 SQM innovazioni 0,0341Log-verosimiglianza 77,7613 Criterio di Akaike -149,5225Criterio di Schwarz -144,4559 Hannan-Quinn -147,6906

Dalla tabella 1 si evince che entrambi i parametri risultano statisticamente

significativi.

35

Page 36: Tesi Fabrizio Filippi

Passiamo all'analisi del correlogramma dei residui

Figura 3.1. Funzione di autocorrelazione (in alto) e di autocorrelazione parziale (in basso) dei residui del processo ARIMA(1,1,0) applicato alla serie Log(PIL).

Il correlogramma mostra al passo k=3 un autocorrelazione che potrebbe

essere significativa, ma successive analisi e i criteri di informazione fanno preferire

comunque questo modello.

36

Page 37: Tesi Fabrizio Filippi

Il grafico che segue mostra la previsione effettuata per gli anni 2011 e 2012

del PIL.

I valori stimati sono rispettivamente 14,280827 per il 2011 con un intervallo

di confidenza del 95% pari a 14,214059 – 14,347594 e per il 2012 14,316884 con un

intervallo di confidenza, sempre al 95% pari a 14,176122 – 14,457646. Il grafico che

segue mostra i valori reali in rosso i valori stimati in blu e gli intervalli di confidenza

della previsione in verde. Per avere il valore reale della previsione basta elevare e per

i valori appena stimati: i valori reali risultano dunque essere per il 2011 1592518 mln

di euro e per il 2012 1650987 mln di euro.

37

Figura 3.2: Rosso: Serie storica del logaritmo del prodotto interno lordo Blu: Valori stimati dal modello ARIMA (1,1,0) e previsioni Verde: Intervalli di confidenza al 95% per le previsioni

Fonte: Elaborazione dati Istat

Page 38: Tesi Fabrizio Filippi

Identificazione di un modello ARIMA per una previsione del RNND come

percentuale del PIL per gli anni 2010 e 2011.

Sulla base delle considerazioni fatte in precedenza in merito all'analisi

dell'andamento delle serie storiche del PIL e del RNND, l'analisi del RNND come

percentuale del PIL (Figura 2.4) potrà essere svolta in maniera più agevole;

A differenza di quanto visto per la serie storica del PIL, in questo caso i dati

presentano una variazione che oscilla tra l' 86% e l' 81%, il che rende possibile un

analisi che prescinda da una riduzione di scala.

Inoltre, come già anticipato in precedenza, le serie storiche del PIL e del

RNND sembrano avere un andamento molto simile.

Sulla base di queste considerazioni procediamo, come operato in precedenza,

con il test di Dickey e Fuller allo scopo di verificare la presenza di radici unitarie.

Test Dickey-Fuller aumentato per PERCincluso un ritardo di (1-L)PERCAmpiezza campionaria 28Ipotesi nulla di radice unitaria: a = 1Test con costante Modello: (1-L)y = b0 + (a-1)*y(-1) + ... + eCoefficiente di autocorrelazione del prim'ordine per e: 0,206Valore stimato di (a - 1): 0,0582168Statistica test: tau_c(1) = 0,456771p-value asintotico 0,9853Con costante e trend Modello: (1-L)y = b0 + b1*t + (a-1)*y(-1) + ... + eCoefficiente di autocorrelazione del prim'ordine per e: 0,127Valore stimato di (a - 1): -0,164612Statistica test: tau_ct(1) = -1,09558p-value asintotico 0,9284

L'analisi dei p-value relativi al test conferma la presenza di radici unitarie.

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Page 39: Tesi Fabrizio Filippi

Anche per questa serie la procedura Box e Jenkins identifica un modello

ARIMA(1,1,0), le cui stime sono riportate nella tabella che segue:

Tabella 2Modello 2: ARIMA, usando le osservazioni 1981-2009 (T = 29)

Stimato usando il filtro di Kalman (MV esatta)Variabile dipendente: (1-L) (RNND\PIL)*100

Errori standard basati sull'HessianaCoefficiente Errore Std. Z P-value

-0,2786 0,1961 -1,420 0,1555Phi 1 0,5830 0,1936 3,011 0,0026 ***

Media var.dipendente -0,1829 SQM var. dipendente 0,5020Media innovazioni 0,0269 SQM innovazioni 0,4312Log-verosimiglianza -16,9625 Criterio di Akaike 39,9250Criterio di Schwarz 44,0269 Hannan-Quinn 41,2097

Il modello non rileva un valore significativo per la costante.

Il grafico che segue mostra la previsione effettuata per gli anni 2010 e 2011

del RNND come percentuale del PIL.

39

0,78

0,79

0,8

0,81

0,82

0,83

0,84

0,85

0,86

1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010

PERCprevisione

intervallo al 95 per cento

Figura 3.5: Rosso: Serie storica del RNND come percentuale del PIL Blu: Valori stimati dal modello ARIMA (1,1,0) e previsioni Verde: Intervalli di confidenza al 95% per le previsioni

Fonte: Elaborazione dati Istat

Page 40: Tesi Fabrizio Filippi

Il modello stima una progressiva e continua riduzione del RNND come

percentuale del PIL dal 81,27% del 2009 (ultimo dato reale) al 80,68% del 2010 con

un intervallo di confidenza al 95% che va dal 79,81% al 81,56% fino al 80,28% del

2011 con un intervallo di confidenza al 95% che va dal 78,59% al 81,97% .

40

Page 41: Tesi Fabrizio Filippi

ConclusioniNell'ambito di questo lavoro di tesi è stato discusso l'uso del PIL come

indicatore di benessere economico, e grazie agli importanti suggerimenti provenienti

da più autori, è stata studiata l'analisi delle serie storiche di una misura, che offre un

punto di vista diverso sulla reale situazione del benessere .

Il dato di maggiore interesse rilevato nell'ambito dell'analisi delle serie

storiche è sicuramente quello sul RNND come percentuale del PIL. Il suo valore,

oltre ad evidenziare una preoccupante riduzione cominciata nel 2005, mostra, per

quanto riguarda le previsioni, un andamento al ribasso, che, purtroppo, non ci lascia

ben sperare per i prossimi anni.

Gli autori del Rapporto Fitoussi ci mostrano che la scelta di misure alternative

al PIL per la misurazione del benessere è una procedura di elevata complessità e

scelgono di offrire “raccomandazioni” con l’esplicita dichiarazione che l'obiettivo

principale del Rapporto sia quello di accrescere la disponibilità di dati e di statistiche

di qualità su dimensioni rilevanti del benessere sociale allo scopo di permettere ai

politici di prendere scelte più meditate (ovviamente se lo vorranno), ai media di

informare meglio i propri lettori (anche questi se lo vorranno) e a noi stessi di far

pesare l'informazione maggiormente nella scelta politica (anche noi, se lo vorremo).

Lo stesso superamento del PIL non genererà automaticamente politiche

migliori ma potrà offrirci, in questo periodo di crisi di sistema prima che

economica, un primo, piccolo, passo in avanti.

41

Page 42: Tesi Fabrizio Filippi

Ringraziamenti

Un primo, doveroso, ringraziamento alla Prof. Francesca Di Iorio per aver

appoggiato la scelta delle tematiche affrontate nell'ambito di questo lavoro di tesi e

per avermi pazientemente indirizzato nelle ricerche.

Un grazie di cuore alle persone che ho conosciuto durante questo percorso di

studi, in particolare a Nicola, Francesco e Francesco.

Un grazie infinito a tutte le persone a me care che in sede di discussione mi

hanno onorato della loro presenza, in particolare a tutti quelli che, con il loro affetto e

con la loro presenza quotidiana, rendono migliore la mia vita.

Un ultimo, sincero, Grazie (con la “G” maiuscola) alla mia famiglia alla quale

dedico questo primo piccolo traguardo raggiunto.

42

Page 43: Tesi Fabrizio Filippi

Bibliografia e siti internet consultati

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