TESI ETERODOSSE PER UNA CRITICA DELLA DOMANDA E DELL'OFFERTA

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Zambon- Verlag 1994 Frankfurt Am Main Rodolfo Ricci Torricelli Tesi eterodosse per una critica della domanda e dell'offerta (un contributo alla comprensione della vittoria berlusconiana) Economia e politica come estetica ? Un paradosso e una provocazione che aprirebbero scenari interpretativi inconsueti. Per esempio, che la strutture (o sovrastruttura) portante del sistema-mondo in cui viviamo sia tutt'altro che fondata sulla sua presunta "oggettività/razionalità": il fenomeno Berlusconi, riuscito epigone di una serie di tentativi meno fortunati, lascerebbe infatti credere che viviamo in un mondo dalle caratteristiche essenzialmente estetiche e che forse questo è oggi l'unico tipo di mondo possibile. Allo stesso tempo però, ciò potrebbe significare che la dialettica tra le differenti estetiche non è affatto conclusa: una volta fato ptoprio il gioco (o il marchingegno), la ruota della storia può ricominciare a girare. Preis DM 10,- / Prezzo Lit. 10.000 ISBN 3-88975-048-6

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Rodolfo Ricci Torricelli

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Zambon- Verlag 1994Frankfurt Am Main

Rodolfo Ricci Torricelli

Tesi eterodosseper una criticadella domandae dell'offerta

(un contributo alla comprensionedella vittoria berlusconiana)

Economia e politica come estetica ?Un paradosso e una provocazioneche aprirebbero scenari interpretativi inconsueti.Per esempio, che la strutture (o sovrastruttura)portante del sistema-mondo in cui viviamosia tutt'altro che fondata sulla sua presunta"oggettività/razionalità": il fenomenoBerlusconi, riuscito epigone di una seriedi tentativi meno fortunati, lascerebbeinfatti credere che viviamo in un mondodalle caratteristiche essenzialmenteestetiche e che forse questo è oggil'unico tipo di mondo possibile.Allo stesso tempo però, ciò potrebbesignificare che la dialettica trale differenti estetiche non èaffatto conclusa:una volta fato ptoprio il gioco(o il marchingegno),la ruota della storia puòricominciare a girare.

Preis DM 10,- / Prezzo Lit. 10.000ISBN 3-88975-048-6

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Rodolfo Ricci Torricelli

Tesi eterodosse per una criticadella domanda e dell'offerta

Copyright byRodolfo Riccic Niedernhausen/Ts. (BRD)

Aprile 1994

Rodolfo Ricci & Zambon Verlag 1994Alle Rechte vorbehalten

Printed in Germany - 1994

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(un contributo alla comprensionedella vittoria berlusconiana)

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Indice

Introduzione pag. 5

Rapsodia delle produzioni pag. 13

Felicità del consumatore pag. 14

Utopia: luogo che (non ?) c'è pag. 16

Guerra, Democrazia e Mercato pag. 18

Un' ipotesi di lavoro: formazione per la produzione, formazione per il consumo pag. 22

Rigidità e flessibilità in progress pag. 30

Organizzazione e comunicazione pag. 35

Il consumo come processo creativo pag. 41

Dialettica e capitale pag. 46

Sulla natura dell'essere e dell'avere pag. 52

"Essere-per-la-morte" e consumo ? pag. 55

Dubbi I e II pag. 56

Ancora sulla rappresentanza del consumo pag. 61

Dubbi III e IV pag. 66

Letzte Stufe pag. 69

Europa e nazionalità pag. 71

16 Settembre 1992 pag. 75

22 Settembre 1992 pag. 76

6 Ottobre 1992 pag. 77

Ancora intorno alla scienza pag. 79

Una modalità di critica estetica pag. 83

Epilogo: 27-28 marzo 1994 pag. 85

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Introduzione

Le impressioni che seguono, più pomposamente tesi,cercano di riassumere i postumi teorici di impegnativediscussioni accese d’improvviso tra le pause del lavoro concontraenti più o meno graditi, in un momentoparticolarmente prolifico per le riflessioni politiche: il 1992.

Sono state scritte di getto, se si vuole con una certa caricaeuforica fornita dal Chianti e dalle estenuanti nebbie notturnedell’inverno tedesco sulle colline del Taunus.

A Francoforte, sulla Zeil, o camminando a testa bassa nelWestend, è stato possibile evidenziare taluni collegamentitra concetti come democrazia e consenso, consumo, umanecongenialità e predisposizioni individuali, scienza ed arte,politica e dovere / politica e piacere, che nella notte midavano lo spunto per esercitare con un certo compiacimento,modalità diverse di espressione.

Indispensabile la collaborazione, estemporanea, macontinuativa di alcuni commensali, che non citerò, ma a cuidevo la produzione delle tesi.Il crollo del famoso muro, poi, ha fatto il resto, considerandoche l’evento, anche su quelli che come me non ne eranostati mai degli estimatori ma neanche dei detrattori (permotivi puramente generazionali), un certo effetto l’hacomunque prodotto.

Se si guarda alla situazione attuale con l’occhiale dellapsicologia sociale (e non necessariamente della GrandePolitica), è senza dubbio avvincente notare come la fine diuna breve delimitazione territoriale come quella innalzataa Berlino nel vicino 1961, abbia potuto sortire tanto prodigiosedinamiche.

Anch’io, dunque, e G. Bartolotta, abbiamo risentito dellacosa e, di concerto, ma con un confidente pudore, abbiamoin successive sere, prodotto queste tesi in cui si afferma chel’attuale configurazione (strutturale) del sistema-mondodel capitale non rimanda ad altro che ad una produzioneestetica, come estetico appare essere il carattere precipuodell’umano.

L’ancoraggio alla storia non deve far lievitareeccessivamente il peso ermeneutico delle pagine cheseguono, le quali, ad una successiva lettura, ci paiono piùadatte ai lustri che ai secoli.

E si sa che la storia, di questi tempi, corre molto veloce;così, a scanso di equivoci e cercando di precorrere eventualiimitatori o peggio usurpatori del copyright (già individuabiliin tutta la schiera di profeti del libero mercato naturale chepercorre in lungo e largo le grandi pianure d’Europa e delnord-Italia) ci siamo accinti alla pubblicazione, non senzariserve di varia natura, visto che, com'è noto, il momentoattuale non predispone a scelte serene.

Che l’economia sia una scienza esatta, infatti, nessuno osaaffermarlo con indubbia certezza; tuttavia non mancano idivulgatori di idee affini che, se a livello teorico lasciano iltempo che trovano, sul piano della vita quotidiana invece,nella quale ognuno di noi è inevitabilmente coinvolto,producono effetti micidiali.Quelli per cui alla fine, lo sviluppo di ogni paese è nelle manidel FMI e della Banca Mondiale, mentre il risanamentopolitico-istituzionale italiano può trovare un legittimo attorenel Cavalier Berlusconi.

Registriamo però posizioni per niente entusiasmanti ancheda aree ideologiche o culturali del tutto differenti: l’idea peresempio, che grandi investimenti strutturali (secondol'insegnamento di Keynes), possano essere risolutori diproblemi economico-sociali come la disoccupazione, insituazioni di alta concorrenzialità internazionale, nella loropresunta capacità di rilanciare lo sviluppo -ma quale e per

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cosa ?-, è un’opinione ancora in voga.Allora il modello socialdemocratico può ridiventare unesempio da seguire, mentre invece, per altri ancora, unantagonismo etico verso il capitale è l’unica opportunitàche ci rimane.

In tutte queste diverse opzioni, si manifesta a nostro mododi vedere, il dato per cui comunque, a questo tipo di mondo-e degli individui che lo abitano- si riconosce ancora unarazionalità indiscutibile, seppure negativa. Una sorta dirazionalità del post-hoc che però diventa cornice invalicabilee definitiva.

E’ questo, purtroppo, il fondamento su cui riteniamoreggersi la essenzialità e se si vuole, la imprescendibilitàmanifesta del sistema-mondo del capitale.Il consenso intorno a questo abito logico/razionale delsistema, che pervade la coscienza delle leaderschippolitiche, a prescindere dal fatto se siano da considerarsisostenitrici o antagoniste del modello, è in fin dei conti ilcaposaldo decisivo che permette al sistema-mondo delcapitale di riprodursi e vincere.

L’altro crampo intellettuale, quello per cui quindi la criticaviene costruita sulla presunta immoralità del sistema (maimmoralità rispetto a cosa ?), e per la quale l’unica viad’uscita è di tipo normativo/prescrittivo, cioè etico, continuaa non fare i conti con la capacità ammirevole del sistema difare comunque proseliti.Cioè -dal nostro punto di vista- di creare continuamentenuove imponenti schiere di desiderosi e volenterosiconsumatori.

Questo è quanto si evince in modo macroscopico da ciò cheè avvenuto con la cosiddetta rivoluzione di velluto all’est;ma anche l'esito dell'ultimo voto italiano è a tal propositoistruttivo.

L’ipotesi che ci permettiamo di proporre -tra diverseinevitabili contraddizioni derivate dalla scarsezza dei nostri

mezzi temporali e intellettuali, dalla nostra incertezza, maforse anche (a parziale sollievo) dalla carenza di strumentiteorici a disposizione- individua, come detto, nella qualitàestetica la caratteristica fondamentale del sistema mondodel capitale, qualità che d’altra parte il sistema condividecon le strutture psicoculturali profonde dei soggetti che vipartecipano.

Se questa impostazione, o visione, contribuisca a chiarirequalche aspetto di ciò che sta accadendo e di ciò che potràaccadere, e del perchè alcuni fatti comunque accadanomentre altri no, (per esempio che la sinistra in Italia nonriesca a vincere le elezioni dopo 50 anni di opposizione) èuna domanda di fronte alla quale restiamo giustamenteperplessi.

Di una cosa, tuttavia, siamo relativamente certi: l’approccioproposto ci pare fornire una parziale risposta del perchèquesto tipo di mondo è ancora in piedi.E, a posteriori, ci sembra poter alludere alla sorprendentevittoria del Cavaliere nelle elezioni italiane del 27 e 28marzo 1994, evento a cui dedichiamo alcune considerazionia mo' di epilogo, che ci sembra chiudano il cerchio apertodalle tre tesi iniziali.

I più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che per diretta oindiretta intercessione hanno contribuito alla stesura diqueste tesi e ai quali risparmiamo l’onere, o la gloria,dell’inchiostro.Nessuno di loro porta, evidentemente,alcuna responsabilitàdelle cose che vi verranno lette.

Rodolfo R.Torricelli

Niedernhausen, dicembre'93/marzo'94

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Tesi eterodosse per una criticadella domanda e dell’offerta

Per un sincretismo teorico nel tempo eclettico del capitale.

I

Rapsodia delle produzioni

Che cos’è il consumo se non consumo di produzione estetica ?

Di contro a Benjamin, l’epoca della riproducibilitá infinita dell’opera d’arte sitrasforma in epoca della producibilità infinita delle tipologie di merci.

E cioè, dalla riproducibilità infinita di una singola opera alla produzione infinitadi innumerevoli opere.

Quindi, dalla produzione di massa, alla produzione psicologicamente orientatadi infiniti modelli estetici di merci a seconda delle prospettive estetiche/storichedei singoli attori sociali. (Marketing)

Non più solo musica e pittura e scultura e architettura e poesia e gioco, ma mercicome conglomerato abissale delle arti possibili. La scienzae la filosofia come arti di assemblaggio estetico di materiali e processi.

Il libero gioco “è” l’arte.Il capitale “è” oggi la condizione della produzione e della fruizione estetica.

La visione etica (il socialismo etico) è sconfitta perchè blocca opportunità diproduzioni estetiche “storicamente” libere.La sussunzione di società ad “estetiche etiche” non può, inevitabilmente, nonraggiungere dei colli di bottiglia, dei blocchi, delle crisi collassiali.

Le dimensioni puramente estetiche non corrono questo rischio.Esse riproducono all’infinito le opportunità estetiche (commediali, drammatiche

e tragiche) e con ciò riproducono se stesse.

Esse sono la condizione estetica.Per ciò stesso diventano, all’uomo, la condizione prioritaria di sopravvivenza.Condizione formale e di contenuto insieme.Poichè l’uomo è l’essere estetico.E il Capitale appare oggi come LA condizione estetica.

II

Felicità del consumatore

Il progetto dell’essere gettato è essenzialmente un progetto estetico. L’esseregettato è l’essere gettato nelle infinite opportunità estetiche.

Il consumo, l’idiozia estetica del consumo, è la realizzazione storicamentedeterminata dell’essere gettato estetico, è il progetto storicamente determinatodell’essere gettato.

Qual è l’idiozia estetica del consumo? Qual è l’idiozia del capitale ? E’ l’idiozia diuna opportunità storica collettivamente riconosciuta e legittimata della dimensioneestetica.

La merce, le infinite merci sono la realizzazione storica dell’essere estetico privatodi una autonoma produttività individuale e che proprio per ciò, per tale privazione,deve produrre collettivamente, consumando.

Consumando le produzioni sociali infinitamente ricche, l’essere individuale, ilsoggetto estetico, -privato della propria capacità a rigore infinita di produzioneestetica- (una volta si diceva alienato), sposta il proprio desiderio, la propriacapacità produttiva, nella capacità produttiva del consumo.

Ma tale attività è solo vagamente estraniante poichè il consumo nell’immensavarietà di merci disponibili, viene percepito, ed è, esso stesso, una attivitàcostruttiva, creativa; è una variante estetica, in quanto presuppone la possibilitàdella scelta.

La soddisfazione dell’essere estetico consumante merci non è minore, a rigore,

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di quella dell’artista pittore che consuma terre colorate disponendole sulla tela.

L’infinità della disponibilità di merci si trasforma ed appare (e storicamente è)come una disponibilità naturale.

E’ dalla infinita disponibilità naturale di materiale grezzo -o come tale vissuto-che nasce l’arte classica. E’ dalla stessa scoperta (una scoperta) che nasce la possibilitàproduttiva estetica del consumo inteso proprio come arte.

Le merci diventano i materiali. Le arti possono diventare infinite.Gli stili, molteplicità infinite.La scienza è la possibilità assemblante -o disgregante- delle molteplici opportunitàdi produzione e di consumo.

La scienza è dunque il processo. La procedura. Il processo moltiplicante.Come nella parabola del pane e dei pesci.E come tale il processo è autosufficiente ed autoreferenziale, sciolto da ogni telos.Nessuno, nella parabola divina ci ha mai detto o si è interessato al numero di coloroche furono o non furono sfamati dalla moltiplicazione dei beni.Ciò costituiva un fatto secondario.Quello che interessava era essenzialmente il miracolo, il miracolo estetico.

La scienza è dunque questo: il miracolo estetico.La tecnologia è la capacità di riproduzione del miracolo estetico.Poco importa che esso assuma caratteri positivi o negativi, che sortisca effettimirabili o catastrofici. Rispetto a cosa, infatti, è possibile giudicare i risultati dellascienza come mirabili o catastrofici?Ciò che importa è solo il miracolo della scienza, il miracolo estetico.

III

Utopia: luogo che (non) c'è

Ma è quindi possibile scalfire un modello di tal fatta ?Serve a qualcosa ? E’ forse necessario ? Perchè ?Non è forse, anche tale necessità, sostanzialmente un bisogno estetico ?

Solo per una ragione potrebbe essere necessario. Solo cioè se il modello risultasse

improduttivo rispetto alle possibilità estetiche storicamente determinate.

Solo se i consumatori potessero osservare esteticamente la propria capacità-possibilità di produzione e di consumo di proprie produzioni estetiche.Solo, cioè, se si dessero opportunità di produzione e consumo tali da assumeregradi di attrattività e fascinazione superiori a quelle “collettivamente” imposte e“collettivamente” legittimate. Solo, cioè, se si costituisse un consenso alternativo,intorno a tale opportunità: per esempio intorno a produzioni e processi sempremeno imposte collettivamente e sempre più auto- ed eterodirette.

Con ciò potendo le produzioni individuali superare in quantità quelle permesseda molteplici produzioni collettive, si disporrebbe complessivamente di unainfinità superiore di possibilità di fruizione, di consumo, di arte.

Aumenterebbero cioè le variabili a disposizione per l’opera.Diminuirebbe la “semplificazione” collettiva. E il processo potrebbe arricchirsi.Arricchirsi in senso estetico.Un mutamento di tal genere comporterebbe un cambiamento della qualità delprocesso e dell’opera, ed allo stesso tempo, per affermarsi necessiterebbe di unmutamento del rapporto di qualità/quantità.

E al processo di assemblaggio estetico così nuovamente organizzato potrebbeancora partecipare la natura, o meglio le infinite opportunità estetiche delleproduzioni naturali, la cui ricchezza non è inferiore a quella degli artefatti umani.

Il mutamento risiede quindi in un atto di coscienza ?

Sì, ma di una coscienza estetica.

“Immaginando gli occhi come telecamere aperte nel buio di sottili luminescenze,così sottili e sofisticate rispetto a quelle che la scienza attuale semplifica -collettivamente- diminuendo con ciò il grado di opportunità estetiche.”Forse la cultura underground-psichedelica voleva dire qualcosa di analogo.

Ma ci sono in ambito estetico possibilità di misurazioni, valutazioni, gradi ?

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GUERRA E DEMOCRAZIA

Perchè è ancora sopportabile la guerra ?Solo per la sua estetica. Per il senso estetico della battaglia, dell’ esplosione, dellasconfitta, del dominio.Non esiste guerra (per l’Occidente), esiste solo la sua estetica. La guerra, come ognicosa e come ogni fatto, è una merce che si consuma. L’ultima delle grandi guerre,la guerra del Golfo, è stata veramente “la madre di tutte le battaglie” estetiche.Accanto ad ogni ideologia che la sostiene e la produce, la guerra è la più grande delleoperazioni estetiche.Ed ogni sistema ideologico è un sistema in quanto è il culmine di un certo tipodi ricerca estetica.Ogni modello teorico, al pari del modello di un abito o di una automobile, è unmodello in quanto rimanda alla sua estetica.Ogni modello scientifico è tale.Ogni formalizzazione è un modello.

La democrazia stessa, il modello democratico è un certo modo di organizzazioneestetica. Di organizzare l’estetica.La crisi della democrazia è la crisi del modello estetico democratico in quantomodello estetico collettivo delle maggioranze "falsificate".

Falsificate perchè non si da maggioranza se non di soggetti astratti.Perchè può darsi maggioranza solo per semplificazione degli insiemi e solo comeminimo comun denominatore delle estetiche delle classi, dei gruppi e degliindividui concepiti secondo la loro appartenenza a categorie definite secondo illoro status reddituale o di posizione gerarchica.In un certo senso, i concetti di maggioranza e minoranza sono, nel campo diapplicazione delle scienze umane, categorie “tautologiche”; misurano solo ciò cheprecedentemente hanno ridotto a sè stesse. Non hanno possibilità di spiegare senon quantità che vengono ridotte ad uno stato di omogeneità teorico che in realtànon hanno, o hanno solo in particolari momenti storici (es. le classi sociali).

Potrebbe quindi dirsi che la democrazia è in crisi perchè viene percepita comesuperflua. Superflua nel senso che in un mondo che pretende di valutaremaggioranze e minoranze secondo categorie predeterminate, la democrazia insenso classico non esiste più; non permette automaticamente la crescita; essadiventa, più che altro un sistema statistico, qualcosa di simile ai modelli dirilevamento dell'audience televisiva.E i sistemi di valutazione statistica funzionano, come detto, a condizione che gliinsiemi e i sottoinsiemi da calcolare siano omogenei, cioè in massimaapprossimazione astratti.Non sarebbe infatti possibile parlare di maggioranze o minoranze tra insiemi

appartenenti a classi (generi) diversi.

Ora, il genere accomunante gli infiniti approcci ed atteggiamenti estetici è stato finoad oggi essenzialmente il denaro-status-potere su cui i soggetti storici hannofinora costruito e rispetto al quale hanno atteggiato il loro specifico essere-per-la-morte.

Ma nel momento in cui si desse un cambiamento in questi approcci tale per cuiil trinomio denaro-status-potere non fosse più sufficiente a definirli, sarebbeindispensabile individuare un nuovo genere a cui riferire gli atteggiamenti esteticidegli attori sociali. Ci sarebbe cioè bisogno di un nuovo tipo di democrazia, diuna semplificazione attuata secondo standards differenti.Mi pare che quel momento sia già arrivato.

Paradossalmente dunque la democrazia attuale è in crisi perchè riduce le opportunitàestetiche tendenzialmente infinite, nel suo costituirsi sulla base di un principioad alto contenuto di astrazione, definito secondo un approccio sostanzialmentecontabile.

Il totalitarismo è, in questa luce, la tentazione di poter superare tale crisi attraversol’imposizione di singole estetiche che proprio in quanto unitarie edonnicomprensive, pretendono di rappresentare l’estetica del singolare, o megliole infinite estetiche singolari nella loro molteplicità, collocandole in posti precisie con funzioni specifiche nel suo sistema organizzato secondo principi gerarchici,oltre ed al di là dei sistemi di maggioranza/minoranza e dei criteri di oggettività,anche se pur sempre dentro un sistema di consenso.

Il totalitarismo non può che basarsi, per tale operazione di consenso/potenza,su paradigmi etici, cioè su quei particolari modelli estetici che sono le esperienzeetiche.L’oggettività del sistema, cioè la sua capacità di acquisire consenso, è in questo caso,la presunta oggettività dell’edificio etico su cui poggia.Questi edifici etici giocano, solitamente, su supposti a-priori genetico-culturalicostitutivi della razza “uomo”, che pare debbano persistere ed attraversare lastoria, riproponendosi con forza nelle epoche di maggiore crisi.

Il mercato è invece la libertà di far vincere di volta in volta le macro-estetiche possibiliin un mondo in cui non può darsi estetica che non sia collettivamente consumata,quindi ridotta all’interno del suo (del mercato) meccanismo di riproduzione.Però le puntuazioni estetiche singole, nella loro superiore infinità non possonovenir soppresse, anche se possono essere adeguatamente gestite (fino ad un certolimite) se introdotte nel circuito del consumo collettivo autogratificante come

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apparente produzione soggettivamente definita e soggettivamente scelta.Questo è ciò che oggi accade.

Decentrare quindi la produzione di estetiche, moltiplicarle indefinitamente,sottrarle al cappio del mercato collettivamente legittimato e riconosciuto, cioè delcapitale -che le destruttura nel momento stesso in cui le omogeneizza e monetizzaparametrandole nella sua logica e introducendole nel circuito della sua riproduzione-e cioè del consumo collettivo, potrebbe voler dire permettere un aumento deiproduttori diretti (non mediati dal consumo capitalistico) di estetiche.Ma questa utopica opportunità dovrebbe voler dire che le puntuazioni di potenzeestetiche -i progetti gettati- si realizzino già, in primis, nell’atto della produzionee non più solo in quello del consumo collettivo, anche se pur del consumo delleproprie eventuali produzioni “coscienti”.

Non sarebbe infatti sufficiente un consumo qualitativamente più elevato, nè unosviluppo delle produzioni autonome non mediate dal capitale, o meglio, taliopportunità potrebbero darsi sola a determinate condizioni:l’opera, il manufatto, la procedura, (intese come opere coscienti, cioè opere“d’arte”), sono tali al di là della loro monetizzazione, del loro riconoscimentostoricamente determinato.A rigore, l’artista, l’artigiano, l’esteta, può essere sazio del proprio produrre, ancheove il produrre sia una operazione non mediata dal capitale.Il consumo, il rapporto con i consumatori della nostra opera, è solo il compimentonaturale ed inevitabile del nostro produrre -che è sempre un produrre socialmentee culturalmente mediato- e non per forza necessità di operazioni di potenza.

Un’infinità di opere ci sono sconosciute e purtroppo molte di esse resteranno tali.Significa, questo, che non siano mai state prodotte ? La nostra ignoranza non puòessere scambiata con la realtà. E la realtà è che qualcuno le ha prodotte eproducendole, le ha “fruite”.Il senso, la finalità delle opere è solo l’arricchimento individuale e collettivo delleopportunità di fruizione. E’ solo per ciò che necessitiamo di formazione/informazione al massimo grado; cioè di possibilità di fruizione.

In una dimensione di tal genere, il prodotto ha un mercato “naturale” in quantolegato alla naturalità del produrre che implica per forza una naturalità di fruizione.Crisi di sovrapproduzione, in questa “città del sole”, non potrebbero darsi !

“Qualcuno, nel corso del tempo passerà per questa strada, qualcuno, o qualcosa,riconoscerà l’opera, poichè io l’ho fatta. L’estetica universale che è in me l’haprodotta.”Come appunto in “Utopia di un uomo che è stanco” di Borges.

UN'IPOTESI DI LAVORO:FORMAZIONE PER LA PRODUZIONE,FORMAZIONE “PER IL CONSUMO”

E’ noto come il grado di scolarizzazione e formazione dei lavoratori sia determinanteper il livello di tecnologie produttive utilizzabile in una economia econseguentemente per il valore della produzione stessa, cioè per la ricchezza e lapotenza di un Paese.

Ma esso è tantopiù importante e determinante se si guarda al grado di scolarizzazionee formazione nella prospettiva del consumo. Da questo lato prospettico infatti, il livello “culturale” delle masse, (non solo deilavoratori) determina in buona misura -almeno tendenzialmente- le modalità ela qualità della produzione.

Non è infatti facilmente immaginabile il consumo di beni high-tec, ad esempioPersonal Computers, in paesi del terzo e quarto mondo, perlomeno nella misurain cui ciò è possibile nei paesi dell’occidente industrializzato.

Da questo punto di vista quindi, la formazione e la cultura agiscono come unadelle condizioni fondamentali per la capacità del capitale di riprodursi permettendola formazione di mercati localizzabili non tanto, o non solo, territorialmente,quanto piuttosto “culturalmente”.

Se Leonardo Da Vinci fosse vissuto in un’epoca in cui la comprensione delle suescoperte fosse stata possibile in un più largo raggio di spiritualità umane, forseparte di esse (quelle non troppo condizionate da un rapporto sfavorevole colgrado tecnologico storicamente acquisito) non sarebbe rimasta al mero rango didisegno o progetto.Lo stesso può dirsi, oggi, per tutto ciò che sappia di “utopia”.

Purtroppo, per Leonardo, gli investimenti dell’epoca si rivolgevano verso settorie campi riconosciuti, se non universalmente, in grande misura, come luoghi incui lo “spirito” si esprimeva e trovava riconoscimento. (Usiamo “spirito”,laddove oggi useremmo “immaginario”, più o meno collettivo o comunqueprevalente).In altri termini, il grado medio della cultura di quella società determinava ladirezione e l’intensità degli investimenti; -magari verso la costruzione delle grandicattedrali gotiche-.

Ciò avviene sempre. Un imprenditore del terzo mondo, allorchè volesse investire

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in beni rivolti al consumo interno, non potrebbe far altro che tener conto del gradomedio di cultura produttiva e di consumo del suo popolo.Nello stesso modo, un’azienda che finalizzasse la propria produzione al mercatodi un paese altamente industrializzato dovrebbe realizzare tali beni concaratteristiche adeguate di processo e di standard qualitativi.

Lungi da noi l’idea di attribuire un giudizio di valore al termine “qualità”, si vuolequi solo sottolineare l’interdipendenza di cultura ed economia sia dal punto divista della produzione che del consumo.D’altra parte gli studi di sociologia economica e le applicazioni specifiche delMarketing non fanno altro che stabilire correlazioni tra questi aspetti, e non daoggi.Ma restando all’attualità, le associazioni più o meno formalizzate dei consumatorisorte negli ultimi decenni in quasi tutti i paesi economicamente avanzati,mostrano come le capacità soggettive e collettive di giudizio, di gradimento orifiuto di un prodotto, siano da collegare direttamente al livello culturale dellapopolazione.

La logica della cosiddetta “Qualità totale” è anche in certa misura una logica derivatada tali sviluppi.Naturalmente essa è una logica aziendale che tende ad ipotizzare una qualità delprodotto definita secondo standards puramente “tecnici”, -non necessariamentecontestuali al momento di uso e fruizione del prodotto,- spesso motivataesclusivamente dalle innovazioni della concorrenza.

Ma indubbiamente essa da una risposta alla specifica domanda di beni semprepiù sofisticati (siano essi beni di consumo o beni durevoli o beni di investimento);una domanda tendenzialmente di maggioranza.Una domanda che è intrisa ed estremamente condizionata da una cultura“scientifica”, laddove scienza e tecnologia appaiono essere fondamento di unacultura storica prevalente che vede questi campi del sapere umano assolutamenteindipendenti ed autonome -”autoreferenziali” direbbe Barcellona-.

La logica della qualità totale è in questo senso una risposta “parziale” -orientatasecondo la scienza del marketing- verso una maggioranza che vienecontemporaneamente costruita ed esaudita nei suoi bisogni.La novità è costituita dunque dal fatto che l’impresa si pone nella prospettiva dirispondere ad un bisogno specifico della domanda, cercando finchè ci riesce, disoddisfarlo attraverso la ricerca e l’innovazione e quando non ci riesce, dimanipolare il bisogno fino a farlo corrispondere con l’offerta.Le politiche strategiche del settore automobilistico sono al riguardo esemplificative.Non c’è dubbio che la domanda sia sempre più di aria pulita e di strade non tropposature di traffico. Ma l’impresa, per ragioni molteplici non è in grado di dare ancora

una risposta a tali bisogni. Necessiterebbe infatti una ristrutturazione imponenteda tutti i punti di vista. Risultato: automobili sempre più silenziose, designsempre più attraente, comodità contro lo stress della guida, ecc., sapientementepromosse da campagne pubblicitarie monumentali e seducenti.Cosa resti di tali comforts negli ingorghi metropolitani è un altro affare; ma ilrisultato di trovare un equilibrio tra le culture della domanda e dell’offerta vieneraggiunto incorporando nel prodotto qualità che a rigore appartengonoall’ambiente.

Ma se ciò comunque avviene, dovremmo chiederci come ciò sia possibile. E se ecome siano ipotizzabili percorsi differenti ed alternativi.

Sappiamo che la riproduzione del capitale trova una nuova chance di affermazioneallorchè comprende di essere strettamente dipendente dall’evoluzione culturaledi milioni di individui.

Ciò avviene in modo preponderante alla fine degli anni ’50 per quanto riguardagli USA e degli anni ’60 per l’ Europa,in concomitanza con la crisi del sistemaproduttivo di tipo tayloristico-fordista e delle produzioni di massa standardizzateche richiedevano lavoro a bassa specializzazione e la disponibilità dei lavoratoriad eseguire puntualmente ed esclusivamente le operazioni prestabilite dalledirezioni aziendali.Da ricordare che tale modello va in crisi per due contemporanee ragioni, l’unainterna alla produzione (sviluppo della critica e della lotta operaia ad un modellodi produzione rigido che vede il lavoratore come semplice complemento dellamacchina) e l’altra esterna (saturazione dei mercati di produzioni di massa esviluppo di una domanda composita e mutevole il cui soddisfacimento necessitadi capacità di innovazione continua incompatibile con il modello fordista).

A tali sollecitazioni l’impresa reagisce con la sperimentazione di modelliorganizzativi nuovi, flessibili, che utilizzino le competenze operaie da un lato, eche possano rispondere velocemente alle nuove richieste del mercato dall’altro.

Una volta acquisita questa prospettiva, il processo di riproduzione supera i limitistorici della saturazione dei mercati intesi in senso puramente fisico-materiale.Allorchè i mercati si trasformano e si costituiscono nell’esigenza di soddisfarebisogni sempre più spesso “immateriali” di uomini, donne, vecchi e bambini cheesprimono molteplicità di richieste individuali e collettive complesse, le opportunitàdi espansione di essi diventano pressochè illimitate e in linea teorica può essereipotizzato uno sviluppo continuo in territori ristretti -l’occidente- ignorando ciòche avviene alla periferia dell’impero.

L’espandersi di una domanda multiforme e disomogenea necessita in qualche

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modo di una risposta diversificata. Il sistema è chiamato ad assumere caratteri dielasticità nuova. Ove questo non avvenisse il rischio di disequilibrio comporterebbeproblemi di difficile soluzione e si dovrebbe optare per un peggioramento dellecondizioni materiali di vita, ricollocando la qualità/quantità della domanda sulivelli precedenti e “solvibili”.

Per inciso, il crollo dei regimi dei paesi del “socialismo reale” potrebbe esserericondotto sotto una ipotesi di lettura di questo genere, e cioè:

1° fase), grande sviluppo della domanda immateriale nei decenni ’70 e ’80 qualeconseguenza dell’affermazione di uno stato sociale che garantiva prestazioniminime ma essenziali, (occupazione, case, scolarizzazione, sanità, servizi base,ecc.) a fronte di un sistema di produzioni rigido e inelastico a tali sollecitazioni.

2° fase), crollo dei regimi e distruzione dello stato sociale.

3° fase), attestarsi della domanda su livelli qualitativi inferiori rispetto a quelli chehanno determinato il crollo, a seguito di ristrutturazioni, disoccupazione, ecc. Raggiungimento di un “equilibrio involutivo”. Migrazioni, marginalità di larghefasce sociali, restrizione della base produttiva.

Ciò premesso, torniamo al tema iniziale e quindi ad una ipotesi di prassi dasviluppare nel campo formativo: per quale tipo di politiche di formazione sidovrebbe dunque optare ?

Per rispondere a tale domanda appare prioritaria la risposta ad una domandaulteriore: devono essere ipotizzate politiche formative di mero supporto alleesigenze riproduttive di breve termine del capitale, oppure devono essere percorseipotesi formative di lungo termine -senza per ciò ricadere in letture ideologichee necessariamente antagonistiche- ?

Nel primo caso, la risposta sarebbe semplice: lasciamo, come tra l’altro a gran vocerichiesto, che le politiche formative le faccia e le stabilisca l’impresa.

Nel secondo caso, la risposta non può non risultare di una certa complessità: seè vero quanto è stato detto precedentemente, e cioè che la cultura e la formazionein senso lato e non puramente tecnico giocano un ruolo fondamentale nel tipoe nell’intensità dello sviluppo, si dovrebbe essere sempre più presenti su questopalcoscenico.Come ?Rivendicando un ruolo non in subordine, ma elaborando strategie di orientamentocomplessive che mirino a conquistare una egemonia nel medio periodo, perchèil medio-lungo termine, contrariamente al famoso detto di Keynes, è sempre di

più il parametro che permette di configurare modelli economici e sociali vitali,anche e soprattutto nel senso ecologico del termine.

Una formazione che si occupasse di agire solo per le specifiche e momentaneeesigenze dell’impresa, comporterebbe una formazione sempre più per pochi(restrizione della base produttiva sempre più specializzata, esclusione di larghefette di società, quindi spreco delle risorse umane disponibili) e a senso unico, cioèesclusivamente per il momento produttivo.

A medio termine questa scelta non può non incontrare difficoltà e principalmenteper due motivi: primo, “qualità totale” dei processi produttivi e del prodottosarebbe sempre più di appannaggio di ridotte fasce sociali in grado di “consumare”produzioni ad alto contenuto “culturale”; secondo, tale qualità, lungi dall’essere“totale”, sarebbe in realtà molto parziale, in quanto delimitata da contestimacroculturali definiti essenzialmente ed esclusivamente dal paradigma tecnico-scientifico, un paradigma che rischia una crescente autoreferenzialità.

Come corollario di tali sviluppi, non sono da escludere disequilibrii e crolli per unsistema che pretende di costituirsi stabilmente all’interno di contesti instabili dalpunto di vista sociale, ecologico e psicologico (dello stesso lavoratore garantito).D’altra parte, segnali al riguardo non mancano.

Una formazione alternativa non può non essere una formazione integrale, delsapere (tecnico), del saper fare (pratico) e del saper pensare (dentro e fuori dellaproduzione) in modo creativo, critico ed innovativo.

Un sapere ed un saper pensare cioè, con caratteri non secondari di utopia edeclettismo.

Se il fine è una formazione per la qualità tendenzialmente totale -e non altro-, nondovrebbero esserci problemi insormontabili per un management intelligente diun’impresa illuminata.

D’altra parte l’impresa stessa ha già cominciato a ragionare in termini di integralitàallorchè laureati in lettere o filosofia vengono preferiti nei ruoli di dirigenza agliingegneri (figura dirigenziale tipica del Taylorismo), o quando la voglia dicodeterminazione viene fondata sul bisogno di utilizzare il sapere operaio,rivalutato al rango di sapere di pari dignità e in ogni caso ritenuto sempre piùindispensabile. (Toyotismo)

Si è visto come il grado di scolarizzazione e formazione influenzi non solo lacapacità produttiva, ma anche la capacità e la qualità del consumo. Cioè, ogniproduttore è essenzialmente un consumatore, di tempo di lavoro e di tempo e

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opportunità di consumo.

Anche coloro che non intervengono direttamente nel processo produttivo inqualità di produttori, possono determinare potentemente la produzione nellaloro funzione di consumatori.Una capacità di consumo sempre più cosciente è uno stimolo al miglioramentodella qualità dei processi di produzione e dei prodotti.Una formazione per il produrre dovrebbe allora essere abbinata ad una formazioneal “consumo” o meglio alla “fruizione” dei beni. Nello stesso interesse dell’impresa.D’altra parte in una società il cui momento produttivo appare sempre piùdecentrato e non precisamente collocabile fisicamente, è anche chiaro che laproduttività del sistema dipende in larga misura dal contesto fisico-economico-culturale che circonda l’azienda come sistema fisico.Cioè, la produttività è sempre più una produttività del contesto, cioè unaproduttività del “consumo”.

In tal senso l’utenza delle politiche formative non può non essere una utenzaallargata, universale. E i contenuti formativi non possono essere improntati acontenuti esclusivamente tecnico/operativi.I sistemi-paese non sono fatti solo di impresa. E questo, meglio di tutti lo sannogli imprenditori. Le risorse umane non direttamente produttive di intere nazioni,costituiscono i macrocontesti che decidono della capacità dei sistemi di stare “sulmercato”.

La promozione delle risorse umane nascoste o ritenute secondarie -quale puòessere, ad esempio, quella costituita dai cittadini migranti- è un’attività che nonpuò essere più inquadrata in azioni di tipo assistenziale rientranti nelle politichedi sostegno a categorie marginali tipiche del vecchio stato sociale.Le potenzialità che tali settori possono esprimere sono ancora tutte da scoprire.Per restare all’esempio, i cittadini migranti ricoprono nei fatti un ruoloimportantissimo nell’ambito di tutte quelle attività economiche e culturali che simuovono a cavallo tra i paesi di origine e quelli di accoglimento. In questo sensocostituiscono un anello fondamentale per lo sviluppo dei processi diinternazionalizzazione e di integrazione.Solo in Germania circa il 50% degli stranieri attivi sono occupati in settori e inaziende che sono strettamente collegati con i loro paesi di origine.Il macrocontesto EUROPA si è costituito grazie a dinamiche sociali ed economichedi cui le migrazioni sono parte di rilievo.

Una categoria marginale, esclusa di fatto, da sempre, dai circuiti culturali e formativiriservati ai cittadini di serie A nasconde delle potenzialità ignote ai più.Far emergere tali potenzialità e risorse dimenticate costituisce uno dei compitiprioritari. Oltre a quello, strategico, di arricchire i percorsi formativi di contenuti

non immediatamente riconducibili ai saperi e alle competenze richieste dall’impresa,contenuti che forniscano ai lavoratori gli strumenti di analisi per interpretare ilproprio ruolo dentro e fuori l’ambiente di lavoro nella loro duplice veste diproduttori e di consumatori. Una formazione per la produzione dovrebbe cioèessere integrata da percorsi di “formazione per il consumo”.

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RIGIDITA‘ E FLESSIBILITA‘ in progress

Nel grande bailamme delle esigenze che si moltiplicano la risposta di unorganismo elastico è vincente.Un modello elastico di capitale capace di rispondere ad ogni sollecitazione estimolo, potrebbe corrispondere all’antitesi stessa del capitale, almeno come noicomunemente lo intendiamo e cioè il capitale come sistema che produce solo i beniche realizzano un profitto in termini monetari.

Se c’è una tendenza, una possibilità di questa formazione storica a dare rispostaal soddisfacimento dei bisogni sociali, necessiterebbe solo ripristinare la classicaequazione di ascendenza positivistica:

SVILUPPO CAPITALISTIC0 =f dell’organismo sociale.

Ciò vuol dire che se in futuro può esserci persistenza del modello capitalistico, essopuò darsi solo come capacità di soddisfare il sociale, anche al di là dei limiti impostidalle leggi del profitto.Ove però sociale potrebbe significare nient’altro che DOMANDA.

Ciò di cui in un tale approccio si può discutere è quindi solo la qualità delladomanda.Ma la qualità della domanda è un dato storico. E non si da alcuna qualità “morale”o ideologica della domanda.

La politica in tale contesto sarebbe solo una levatrice della domanda che trovadifficoltà ad esprimersi. La politica diventa cioè il mediatore della domandainespressa o che incontra difficoltà ad esprimersi. La politica è la ricerca dei linguaggiche diano voce alla domanda.(Alla domanda non costretta o “erogata” dal capitale storicamente dominante,in quanto quest’ultima, è, in quel momento storico, la specifica politica dominante,la puntuazione di potenza dominante).

Tutto questo vuol dire quindi, che non esiste a priori una possibilità rivoluzionaria“in assoluto”.Esiste solo la possibilità di abbattimento di modelli irrigiditesi. Rigidi poichè nonrispondono alla domanda.

Una prassi conservatrice in politica, vuol dire una costrizione della domanda versoproduzioni superate dalla coscienza collettiva, o meglio dalla coscienza socialed’avanguardia.E a comporre tale coscienza non sono solo le “masse sociali” antagoniste perchè

marginalizzate (spesso, al contrario, pezzi consistenti di tali masse sono dispostead aggregarsi all’offerta vigente e in quel momento vincente), ma anche, e in largamisura, le parti a maggiore “densità culturale” di una società, inclusi pezziilluminati del capitale stesso.

Una politica conservatrice significa dal punto di vista “tecnico-strategico”,intorbidire le acque, rendere illeggibili i bisogni che pur a fatica si manifestano,disseminare di ostacoli la strada verso l’obiettivo del bisogno sociale; da un puntodi vista psicologico-sociale, significa cercare di far corrispondere la domandaall’offerta e non viceversa; significa “annebbiare” la visuale (la domanda), spostarlaverso obiettivi feticcio, moltiplicare gli obiettivi possibili, ritardarne la coscienza.Ecco, precisamente sviluppare ed applicare tecniche per ritardare l’autocoscienzadella domanda.

Una prassi reazionaria significa obbligare esplicitamente la domanda su produzionivecchie. Sostenere tale possibilità attraverso le propagande estetiche formalizzaterigidamente su contenuti normativi che si vestono di moralità, che si traduconoin etiche.

Da questo punto di vista la propaganda del modello socialista era di tipo estetico-morale; tuttavia sembra sussistere una differenza consistente e probabilmentecostante tra modelli di matrice re-azionaria e ri-voluzionaria di propaganda, cometra l’altro l’etimologia dei termini indica, in quanto, nel modello rivoluzionariola domanda e l’offerta si costruiscono sulla base di estetiche morali e nonpuramente normative (o di mercato, il che è lo stesso) come invece, comunqueavviene nei modelli reazionari.In tali modelli, l’ancoraggio oggettivo al mercato (un mercato nella quasi generalitàdei casi in disequilibrio) implica infatti che il richiamo etico sia di tipo puramentestrumentale, senza apprezzabili contenuti immanenti, i quali, se ci fossero,rischierebbero di mettere in crisi l’ancoraggio al mercato dato o la sua libertàd’azione, che è, in ultima analisi il vero obiettivo di tali propagande applicate.

La Politica è dunque, oggi, sempre più la capacità di saper scegliere e realizzaremodelli elastici oppure rigidi, modelli a capacità di risposta maggiore o minorerispetto alle esigenze della domanda.Da questo punto di vista, gli schieramenti fanno oggi appello non più solo a classidistinte e assolutamente separate depositarie di interessi “puri”, ma a formazionisociali caratterizzate da bisogni e interpretazioni di tipo estetico-spirituali.

Questa è la TRASVERSALITA’, momento di passaggio e di ancor non chiaradefinizione degli schieramenti di interessi.Composizioni sempre meno di classe e sempre più, per forza di cose, di idealitàvissute, complesse e tendenzialmente svincolate dai paradigmi dati.

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C’è una grande chance in tutto ciò. Quella dell’uguaglianza puramente materiale(bisogni primari) come qualcosa che può darsi in larga misura per acquisita allorchèi giochi tendono a spostarsi verso qualcosa d’altro che non è ancora automaticamenteassimilabile ad interessi determinati di classi o aggregazioni distinte.

Da un altro lato ci si rende conto che i nuovi interessi determinati sono interessiche hanno sempre più un carattere collettivo e generale.Se i giochi vanno infatti in altre direzioni da quelle storicamente acquisite -interessiindividuali/di classe- significa che in proporzione scende la domanda di uguaglianza(di tipo materiale/individuale e definita solo dalle quantità di opportuntà diconsumo) poichè c’è una carenza maggiore sul mercato.

Questa carenza potrebbe definirsi come carenza di creatività in senso lato. Unacarenza di produzioni libere ed autonome e delle corrispondenti fruizioni (Vedila carenza di produzione e fruizione del tempo e dell’ambiente).

Libere cioè dalle costrizioni dell’organizzazione.Dell’organizzazione capitalistica, la cui struttura immanente e forma specifica emetodologia di attuazione è la finalizzazione di ogni atto al profitto inteso intermini esclusivamente monetari.

L’attuale crisi potrebbe essere letta come acquisizione, ancora limitata ad ambitiindividuali separati (disaggragazione della domanda), della consapevolezza chele potenzialità soggettive storicamente determinate non sono verificate, o lo sonosolo in modo insufficiente rispetto al possibile, all’interno del quadro organizzativocomplessivo.

Corollario di tale lettura è che una domanda disaggregata, al contrario di quellaesistente nell’epoca della produzione di massa, trova difficoltà enormemente piùgrandi ad esprimersi.

Come dire: “si può dare di più”, ma in questo contesto non è concesso e per dipiù è difficilmente dicibile...In ciò consiste la grande impasse progettuale oltre che, evidentemente di prassi,delle forze progressiste in tutti i paesi industrializzati.

Ma dove andrebbe a finire il capitale, se una tale tendenza dovesse comunqueaffermarsi ?Non dovrebbe forse il capitale trasformarsi da capitale industriale-finanziario incapitale prevalentemente umano ? Capitale di saperi e culture ? Capitale come purospirito ?

Ciò che sta avvenendo pare alludere a questa ipotesi. L’importanza sempremaggiore che acquisisce il sapere (il cosiddetto Know-how) dentro il processo diproduzione e riproduzione capitalistica in rapporto agli altri fattori produttivi,pare confermare questa tendenza.Nel settore dell’informatica, ad esempio, l’acquisizione o la vendita di aziende cheproducono software corrisponde all’acquisto o alla vendita degli uomini che vilavorano. Il capitale, in questo caso, è letteralmnete incorporato dentro i cervellidi questi uomini.Il rapporto CAPITALE UMANO/capitale tecnico-finanziario tende a cresceresempre di più.La cosiddetta composizione organica del capitale , laddove si tratti dei settoriproduttivi più innovativi, torna ad assomigliare, nelle proporzioni, a quellaprecedente gli esiti della rivoluzione industriale.Il “peso dell’uomo” torna ad essere la variabile fondamentale, come nella bottegadell’artigiano.

Solo che il capitale come capitale umano trova una collocazione per il momentosolo come “risorse umane”, cioè solo come un pezzo del capitale complessivo,la cui natura, però resta sempre più indeterminata sotto il profilo “tecnico”, esempre più determinata come puro dominio.

Infatti, la persistenza della proprietà privata dei mezzi di produzione in unmondo in cui il fattore “capitale” dello sviluppo ridiventa l’uomo come portatoredel sapere (in esso letteralmente in-corporato) prefigura società con caratteristicheforti di schiavismo.

Appare quindi evidente che il potere si va strutturando non più tanto sul controllodei mezzi fisici di produzione (macchine), ma sul controllo dell'uomo, del capitaleumano, cioè della cultura.

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ORGANIZZAZIONE E COMUNICAZIONE

ovveromodernità ed obsolescenza del capitale

La necessità del sistema di “razionalizzazione” attuale è una necessità dipotenziamento delle opportunità soggettive che però restino al contemposussunte all’interno di un quadro organizzativo funzionalmente rigido epredeterminato.L’organizzazione è, oggi, l’attuazione del concetto per cui il massimo grado dipotenzialità storicamente determinate possa trovare sbocco positivo all’internodelle regole del gioco capitalistico.L’organizzazione “di sistema” reclamata dal capitalismo italiano alla fine deglianni ’80, inizio ’90, è l’esigenza di superare le strettoie di un sistema politico -cioèin un certo senso di quadro organizzativo/normativo- inadeguato rispetto algrado di potenzialità espresso dal capitale stesso.

La voglia di “co-determinazione” è il riconoscimento del fatto che nella società“reale” esistono dei beni che l’attuale sistema normativo non riesce a valorizzareadeguatamente.Ma è anche la voglia di sussumere tale ricchezza alla logica classica e ulteriormentepianificata del capitale.Il plusvalore relativo si relativizza ulteriormente, al punto che per riprodursi, habisogno di utilizzare tutte le opportunità offertegli dai contesti, oltre l’operaiosalariato inteso come mera forza lavoro, oltre la fabbrica, oltre lo stesso sistemaeconomico, penetrando entro le strutture più recondite dell’esistente, quelle cheun tempo erano solo sovrastruttura.

Tuttavia nelle società capitalisticamente più avanzate mi pare cresca la consapevolezza(collettivamente ancora inconscia poichè propria dei soggetti/pezzidell’organizzazione capitalistica -quella che è tale proprio in forza dalla sua capacitàdi atomizzare il corpo sociale) che il grado di organizzazione dei sistemi nazionali,pur elevato a potenza, sia comunque insufficiente a permettere una esplicitazionecorretta delle potenzialità dei soggetti, poichè la sostituzione dei modelliorganizzativi gerarchici con quelli partecipativi (tra l’altro lungi dall’essere attuata)corre il rischio di esaurire completamente le energie psico-fisiche delle cosiddetterisorse umane già dentro lo spazio-dimensione lavorativa.Come sia possibile ricostituire tale patrimonio, fatto di interazioni complesse deivari sensi/campi dell’umano è qualcosa di non ancora indagato.Si rischia in questo senso di ripetere dinamiche già sperimentate con la natura: losperpero del capitale naturale per i bisogni di riproduzione del Capitale.

Non necessariamente, infatti, a maggiore razionalizzazione organizzativa devecorrispondere quale effetto automatico un maggiore livello di realizzazione dellepotenzialità storiche.Spesso, la storia ci ha dimostrato il contrario.

I sistemi più organizzati sono anche quelli che massimizzano la formalizzazionedelle possibilità di interazione a), tra le parti del sistema stesso e b), tra il sistemanel suo complesso e il contesto in cui il sistema si trova.A prescindere dalla tipologia delle procedure adottate per tale formalizzazione(che possono prevedere scenari più o meno aperti), ciò che viene escluso a prioricome possibilità è l’interazione autonoma tra le singole parti del sistema e il suocontesto.Anche se venisse formalizzato il maggior numero di possibilità di interazione“interna” (come in sistemi altamente complessi) resterebbe tuttavia preclusa lapossibilità di sviluppo del rapporto delle singole parti col contesto. Ciò èevidentemente la condizione imprescindibile per la sopravvivenza stessa deisistemi già strutturati.Se infatti le singole parti potessero interagire liberamente coi contesti, ciòsignificherebbe (non necessariamente, ma solo nella prospettiva dei sistemi dati,cioè in una prospettiva di paura delle alternative possibili) la nascita di altri sistemi.

Si tratta quindi, forse, in buona parte, di rendere manifesta questa costrizionedell’attuale sistema-mondo nelle sue variabili particolari che in ogni paeseprendono forma.Questa costrizione che impedisce tuttora in gradi differenti, ma comunque in ogniluogo, uno sviluppo delle potenzialità esprimibili che sono, oggi, essenzialmentele produzioni immateriali liberamente assemblate.Si tratta di far emergere, rendere visibile a tutti l’oppressione esercitata verso e sulleproduzioni spirituali, di cui, pure il capitale, secondo la sua logica, più o menoparsimoniosamente si nutre, evitando di riconoscerle come propria linfa e basedi riproduzione.

La POLITICA del terzo millennio sarà la politica per l’acquisizione del consensocollettivo verso lo sviluppo di tali produzioni (le produzioni immateriali-spirituali) sia a livello collettivo che individuale.Un consenso che si attua in forza della potenza stessa di tali “immaterialità”, aldi fuori e al di là della mediazione capitalistica, che pure ha contribuito a faremergere (in certi territori del pianeta) grazie al suo contributo alla soddisfazionedei bisogni primari.

In una modalità civile che si attui secondo questa logica non si dovrà attenderel’esaurimento storico degli investimenti/ammortamenti) delle grandi societàpetrolifere prima di produrre l’auto elettrica.

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Nè dovrà per forza essere prodotta se la dimensione della “sosta”! risulterà piùproduttiva di quella del movimento.

“Quei viaggi spaziali......” (ancora in "Utopia di un uomo che è stanco", di Borges).

Se questa esigenza estetica ha già il consenso della domanda, per quale motivo sidovrebbe attendere il consenso o imprimatur del capitale? Il mercato, o è infattiil libero mercato dei soggetti individuali e collettivi, o è solo il mercato dei capitalidel capitale.

In un futuro non troppo utopico, la POLITICA dovrebbe assumersi il compitodi garantire la dialettica della domanda e dell’offerta in tempo tendenzialmentereale.

Parentesi wittgensteiniana

Al tal fine potrebbe darsi l’opportunità di far viaggiare questa dialettica su unsupporto comunicativo universale.La scienza informatica potrebbe servire all’uopo. La auspicabile semplificazionedelle sue procedure -tale da permetterne un utilizzo di massa- potrebbe costituireil passo decisivo verso una “liberazione” della dialettica della domanda e dell’offerta.Almeno una liberazione parziale, restando inevitabile la rigidità logico-matematicadelle sue procedure di funzionamento, (nonchè, sempre presenti, gli interessilegati a questo tipo di produzioni).

L’organizzazione, a ben guardare, non è altro che un supporto che deve esserericonoscibile e condiviso, attraverso cui passano le informazioni: codici.La finalità ultima dell’organizzazione è, a ben guardare, la comunicazione.

I sistemi più organizzati sono quelli che permettono un maggior grado dicomunicazione interna.Si da comunicazione tra due soggetti, ma si da comunicazione più ricca tramolteplicità di soggetti.Il sistema più organizzato sarà quello che permetterà il più alto grado dicomunicazione tra una più grande molteplicità di soggetti.

Ma il sistema più organizzato, cioè più ricco, per essere tale, dovrà dunque essereanche il sistema più democratico.

E il sistema più democratico sarà quello in cui il peso della rigidità del supporto

utilizzato sarà minore, cioè quello in cui le barriere d’accesso alla comunicazionesaranno minime.Ma sarà anche quello che permetterà la comunicazione diretta e non per forzamediata tra i singoli pezzi del sistema e l’esterno.

Supporti “religiosi”, “etici”, “ideologici”, “economici” attraverso cui è passata lacomunicazione nei due ultimi millenni, appaiono essere diventati troppo pesanti(unerträglich), insopportabili.Un supporto logico-matematico è senza dubbio qualcosa di più leggero emaneggevole, quantomeno perchè la sua “semplicità” fa sì che i rumori di fondo(i disturbi, le sovrapposizioni della comunicazione, cioè le mediazioni introdottenel processo comunicativo) siano ridotti al minimo.

L’estetica delle procedure logiche, da questo punto di vista, è qualcosa disicuramente più affascinante delle procedure ideo-logiche.La fascinazione della scienza e della tecnologia deriva anche, in grande misuraproprio da ciò: la loro “pesantezza” è così nascosta nell’hardware, con il qualeraramente si viene a contatto, che quasi ce se ne dimentica.E comunque la mediazione fisico-chimica dei componenti appare esserecontraddisitinta da caratteristiche ineccepibili di “neutralità”.Il supporto, il codice, deve infatti intervenire il meno possibile dentro il processocomunicativo per poter permettere a chi lo utilizza di parlare meglio e di più.

Il problema che si pone, però, consiste nel fatto che le procedure di derivazionelogico/matematica, (il razionalismo), sono compatibili solo con linguaggistrutturati analogamente.In altri termini, la rigidità di un siffatto medium/codice, consiste nel fatto cheimpone per forza una comunicazione che sia ad esso parametrabile, rapportabile.

Ciò che è fuori da tali parametri, da tali procedure, ciò che non segue il metodo,risulta non comunicabile, in deifinitiva privo di rilievo, privo di importanzasociale.Cosa potrà infatti comunicarci, attraverso un mezzo di questo genere, un indianodell’Amazzonia ?E in un utilizzo generalizzato, universale, di un tal codice, può ancora essereprevista l’esistenza stessa degli indigeni di questa regione ?

Il problema fondamentale con cui si deve confrontare la possibilità di unlinguaggio universale, è costituito dal fatto che più esso risulta traducibile, più,per forza di cose è costretto a semplificare.L’alternativa consisterebbe in una complessità talmente alta da risultare ingestibilein rapporto alle finalità specifiche della comunicazione.

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Ipotizzare dunque un supporto caratterizzato dal minor grado di rigiditàideologica, e dunque anche di volontà di riduzione, sarà probabilmente il compitodei secoli a venire.Un medium che possa permettere al mito di comunicare con la scienza, alla poesiadi comunicare con la fisica e la filosofia, alla teologia con la musica o la politica.Ma forse tale modello, lungi dall’avere caratteristiche delimitabili e “forti” dioggetto fisico, non consiste in altro che in una disposizione, forse in nient’altroche nel riconoscimento della pluralità costitutiva della comunicazione, nel far sìche si diano cioè le condizioni perchè tali linguaggi possano coesistere ed interagirevicendevolmente, senza pretese di riduzione dell’uno all’altro.Parrebbe di poter dire a questo punto, che la fascinazione ed adottabilitàfunzionale di un modello comunicativo alternativo sia insito nella sua “esteticità”.Non può essere solo un caso che modelli comunicativi che utilizzano codiciestremamente aperti e allo stesso tempo a supporti “leggeri” (ad es. musica,cinema), siano in grado di superare barriere ed ostacoli che si sono stratificati nelcorso del tempo tra ambiti culturali e comunicativi ristretti.Sotto tale profilo si può azzardare l’ipotesi che l’esteticità di un modellocorrisponda e sia “funzione” (in senso matematico) della sua funzionalità, eviceversa, il che equivale a dire che la comunicazione, la sua funzionalità, implicanol’estetica, e che non si da organizzazione senza di essa.

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Una tipologia comunicativa su cui all’uopo occorrerebbe riflettere è quella costituita daiprocessi di seduzione. Se(d)-ducere, condurre via, (fuori dalle proprie rigidità), implica unabiunivocità di tale processo, e allo stesso tempo un accordo sulla pluralità dei linguaggi (cheè necessario, indispensabile utilizzare). Tale dinamica non può infatti darsi “a senso unico”,nè può avvenire su un unico livello di comunicazione.Il sedurre implica una concordanza, una simpatia, cioè implica la necessità di una comunicazioneparitaria, cioè la disponibilità, l’apertura, il riconoscimento dell’altro come attività e non comemero oggetto.Poichè, altrimenti, si tratterebbe solo di un Verkehr nell’ambito del bordello, vale a dire delmercato, si tratterebbe, in definitiva, non di seduzione, ma di alienazione.

(Ma il linguaggio delle infinite merci non seduce forse l'uomo ?Ed allora qual'è la differenza tra seduzione e alienazione ?)

IL CONSUMO COME PROCESSO CREATIVO

Ciò che nella fase attuale va bene osservato è il carattere sempre più “produttivo”del consumo.Che il consumo cresca non significa necessariamente che si vada verso un completaalienazione degli individui e delle masse.Come detto, il consumo appartiene alla sfera della creatività; esso è sempre piùqualcosa di “attivo” e non di meramente subìto.E’ grazie a ciò che questa civiltà è ancora sopportabile!Come detto in altro contesto, la seduzione del mondo delle merci implica laconcordanza dei consumatori, cioè implica una “sostanza”, un linguaggiocomune del seduttore (il mondo delle merci) e del sedotto, (l’uomo consumatore).Attraverso il consumo di merci si possono costruire dei COLLAGESindividualmente caratterizzati, i quali non sono altro che produzioni di esteticheindividuali: Arti del consumo.Si veda, ad esempio, come si arreda una casa, come si cominci sempre più a definirein ambiti ristretti stili eterodossi -pur all’interno di mode codificate- nel vestire;nel mangiare; nella collezione di oggetti.

Ora, si tratterebbe di far venire alla luce come la massa di merci a disposizione peruna operazione produttiva del consumo sia marginale rispetto all’importanzadell’operazione stessa, -la capacità produttiva/ creativa- la quale a rigore puòservirsi di materiali o cose che possono essere rinvenute anche all’esterno delsistema di materialità di merci dato (come indicava l'esperienza dell'arte povera).

Ciò appare evidente quando si osservi la capacità creativa in contesti poveri di mercio di opportunità di consumo.Ad esempio in campo musicale:tutta la musica popolare di questo secolo, che poi influenzerà enormemente quella“colta”, scaturisce da tali contesti.

E’ vero che nelle società contemporanee sempre meno si canta e sempre più siconsuma musica.Tuttavia l’ascoltare è anche un produrre interiore; e ogni volta che un libro vieneletto, è come, in un certo senso, se quel libro venisse di nuovo riscritto.Resta però evidente che la percezione dello scrivere è ancora un altro fatto, un’ altracosa.

E a prescindere dalla necessità di maggiore accortezza nel percepire armonie ancoranon codificate (per esempio quelle che appartengono all’”OM” tecnologico delquale tutti, pur ignorandolo siamo produttori), si tratta dunque di far autoprodurrecoscientemente ai soggetti più suoni, più immagini, si tratta di recuperare e

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potenziare qualcosa che sembra essersi di nuovo smarrito nella notte dei tempi:una attività della percezione, cioè una percezione attiva, che sia abbinata, ad unaattività della produzione.In altri termini, una coscienza:“Sileno viene cantando il meglio.”Il meglio è il soggetto come produttività infinita di merci spirituali -anche quellemateriali allorchè autonomamente prodotte lo sono, in quanto il soggetto è unprogetto di produzione (pro-ducere) massima di spirito “per la morte”.

Si tratta di ri-acquisire la coscienza di potere/sapere cantare. E il canto, il suonopossono scaturire da una infinità di strumentazioni, non solo dalle strumentazionitecnologicamente avanzate, (la cui fascinazione è tuttavia immensa).

Si tratta dunque di un recupero del soggetto ? Della soggettività ? Dell’ io ?Direi di no. Parrebbe al contrario, doversi trattare di una sorta di abbandonocosciente del soggetto individuale alle infinite possibilità dell’oggetto universale,(storico ?) di cui egli pure è parte, oppure, viceversa, di abbandonare l’oggetto(l'ente tutto, non solo quello mercificato) alle infinite possibilità del soggetto, ilche può consistere nella medesima dinamica.Si tratta, in fin dei conti, di ricostituire relazioni dirette, non mediate, tra l’essere-mondo e una parte di esso, l’ente individuale, i quali d’altra parte, possono darsientrambi solo a condizione che una relazione esista.Soggettività ed oggettività, si danno solo in termini di convenzionalità e non inassoluto. Nella quotidianità esse individuano solo prospettive che di volta in voltapossono occorrerci.E’ noto come nell’ambito della stessa scienza si concordi oramai sulla strumentalitàdi tali concetti, il cui campo di azione, di produttività dal punto di vista dellaconoscenza, pare ridursi sempre di più.Appare infatti sempre più difficoltoso distinguere nell’attività di ricerca tra una fasesoggettiva ed una oggettiva, tra ipotesi, analisi sperimentale, sintesi teorica, tramodalità intuitivo-sintetiche ed analitiche, ecc. ecc., come fasi o procedimentitemporalmente o spazialmente definiti.Appare sempre più difficoltoso cioè dire quali siano i modelli secondo i quali sidà o non si da scienza.E in ogni caso sembra doversi rivedere il concetto di scienza come esauriente tuttele vere possibilità di conoscenza.

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Riguardo agli esiti di una certa filosofia, quella del cosiddetto pensiero debole, ilperdersi dell’oggetto, il suo venir meno, non era altro che l’imporsi di unasoggettività collettiva (di una potenza collettiva autoleggittimata) nella quale

“l’altro” continuava a non trovare spazi, luoghi di espressione. Gli esiti delpensiero debole sono quelli di trasferire all’esterno del soggetto classico il caratteredella soggettualità; pur se una soggettualità dai caratteri paradossali di astrattezzapropri di un soggetto astratto. (Ma come potrebbe questo essere, apparireconcreto se nessun altra entità è più in grado di leggerlo, di definirlo, oppure solodi descriverlo ?).Più che un soggetto o un oggetto, sembrerebbe invece esistere solo una certo tipodi organizzazione, cioè un sistema di relazioni, un campo in divenire. Pensare unostop a questo divenire delle organizzazioni è pensare l’inverosimile.Pensare a una strutturazione ex novo dei sistemi di relazioni è pensare per forzadi cose l’impossibile.

Tutto ciò non può che avere caratteristiche di processo che pur nella continuità ècomunque aperto alle rotture e alle svolte, poichè ogni rottura ed ogni svoltaattinge comunque alla tradizione, alle tradizioni della continuità.Ciò appare sostenibile nei, -per-, i diversi campi che costituiscono l’agire umano.

Ciò ha validità anche per le categorie utilizzate fino ad oggi per definire lastrutturazione dei sistemi economici e sociali.In un mondo infatti, in cui la produzione si allarga indefinitamente fuori dellafabbrica e dove la produttività è sempre più funzione dei contesti, gli stessi concettidi produzione e di consumo dovrebbero essere quantomeno aggiornati.

In un certo senso si potrebbe dire che in questo scenario, la produzione diventagià “consumo” ed il consumo diventa sempre più “produttivo”, costitutivo dell’atto delprodurre.

Ciò che continua a caratterizzare queste due fasi del processo economico è lasupposizione che il tempo individuale riservato alla produzione sia un tempoorganizzato strutturalmente e contrattualmente, mentre quello del consumo siaun “tempo libero”.Mi pare fuori discussione che tale distinzione, in ambito strettamente economico,non sussista. O se sussiste, si da solo all’interno di una specifica e determinataideo-logia.

E’ vero che dal punto di vista giuridico il contratto di lavoro non prevededirettamente le modalità di fruizione del “tempo libero”, (anche se evidentementele determina in modo indiretto), ma tale formalizzazione giuridica non può esserepresa a specchio di ciò che avviene nella pratica quotidiana della attività economica.Il fatto che si richieda, da più parti, il coinvolgimento diretto, cosciente, dellavoratore sul luogo di lavoro (codeterminazione, qualità totale, lean-production,ecc.), vuol dire che si vuole utilizzare il “tempo libero” del lavoratore dentro ilprocesso produttivo.

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Ma se questa richiesta si afferma, vuol forse dire che resta meno tempo/energiaa disposizione per il consumo ?A mio parere, no.Vuol dire invece che il tempo riservato alla produzione sarà sempre più, anchetempo di consumo; consumo di energia spirituale finalizzata al miglioramentodella produzione, il che dovrà anche significare vedere e vivere il tempo di lavorocome tempo di riproduzione della forza lavoro.Per quanto paradossale possa apparire, tali tendenze affermano, dentro lacrescente complessità del processo produttivo, la possibilità utopica di un lavorosempre più creativo e sempre meno costretto dalle rigidità organizzative.Significano allo stesso tempo che la delimitazione di fasi di produzione e diconsumo, tempo di lavoro e tempo libero, diventa sempre più fittizia ed aleatoria.

Significa anche, ed è ciò che ci interessa principalmente, che le strutture di poterestratificatesi dentro e sulla fase storica della produzione di massa sono sempre piùdelegittimate nella loro funzione e capacità organizzativa e di comando della/sullasocietà.Allo stesso tempo, il paradigma utilizzato per la costruzione, il fondamento ditali strutture, il razionalismo scientifico-tecnologico è destituito della sua capacitàdi costituire l’unico metodo utilizzabile nella realizzazione dell’architetturasociale.

Si impone cioè una razionalità più ampia, allargata ai contesti per lungo tempoinvisibili e si impone un metodo di calcolo di tale razionalità secondo parametriadeguati a tali nuovi contesti.

Qualcosa che assomigli all'invenzione dello zero.

DIALETTICA E CAPITALE

La dialettica, quel tormentoso movimento della storia, persevera nel tempo delcapitale.L’infinita intelligenza del capitale sembra averla sussunta in sè, nel meccanismoindelebile del mercato: domanda contro offerta e viceversa.Sembrerebbe, da ciò, che il capitale, il movimento perpetuo del capitale, coincidacon la storia stessa.Il superamento della contraddizione tra domanda ed offerta pare darsiindefinitamente all’interno del capitale stesso.Sembra, anzi, che il capitale si perpetui attraverso il movimento della contraddizione.Pare, che esso viva di dialettica.

La soggettualità, sia pure collettiva delle classi, sembra essere assorbita nelmeccanismo della domanda e dell’offerta.Le classi postmoderne paiono corrispondere all’offerta e alla domanda.

C’e un movimento apparentemente contraddittorio delle due variabili: L’una vivedell’altra.E pare darsi sintesi solo dall’interno, senza gradi di superamento, senza livelliulteriori di sintesi.

L’orientamento al mercato dell’impresa di fine secolo, è orientamento alladomanda.E la domanda è costretta ad orientarsi all’offerta.

Quando subentra la crisi, vuol dire che l’equilibrio di risposta non è piùsoddisfacente: può darsi, allora, a), o una mancata risposta dell’offerta che dá comeesito dinamiche di mutamento che per brevità possiamo chiamare rivoluzionari,oppure b), una mancata risposta della domanda i cui esiti corrispondono alle crisidi sovrapproduzione le quali storicamente assumono configurazioni politichereazionarie.

In entrambi i casi, la crisi si abbatte sulla sfera politica, accollandole il suo pesanteonere.Quello di dover trovare delle soluzioni che ristabiliscano equilibri sostenibili,mutando le regole di gestione della dinamica economica, ma mantenendosostanzialmente invariato il meccanismo portante della dialettica della domandae dell’offerta.

E la POLITICA può permettere un controllo e a volte anche un ribaltamento degliesiti “naturali” dei disequilibri che si vengono a creare, giocando su un meccanismo

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diverso da quello della dialettica imposta dalle merci fisiche, e introducendo unadialettica a livello di beni spirituali (o culturali).Tali beni in altri contesti sono stati e vengono tuttora definiti come valori.E’ questo il campo specifico che fonda la possibilità della politica.

Ma poichè su questo piano (sul piano dei valori) la domanda è estremamentediversificata e individuale, spesso (nella maggioranza dei casi per questo tipo dicongiuntura) finisce col prevalere l’offerta, la quale stratificatasi nel corso deltempo, gode di più ampia compattezza ed omogeneità per la sua capacità direndere evidente il suo legame, la sua corrispondenza, il suo essere conseguenzadella struttura “naturale” del processo economico.

La possibilità reale, concreta, di mutamento risiede dunque nella capacità dellapolitica di offrire valori innovativi che però riescano a manifestare la loroconcordanza, il loro essere dedotti dai “macrovalori” o meglio forse “metavalori”che permeano la coscienza collettiva.In altre parole di situarsi oltre la tradizione parlando però lo stesso linguaggio dellatradizione.

Ad esempio, supponendo che il macrovalore sia costituito dalla tradizione dellarazionalità, si può ipotizzare un’azione politica che utilizzi tale linguaggio perpoter aquisire l’egemonia dei contenuti che intende trasmettere. Ciò avviene, adesempio, per quanto riguarda il dibattito intorno al problema ecologico rispettoal quale, posizioni differenti quando non opposte, hanno utilizzato entrambi illinguaggio scientifico per spiegare e convincere sulla necessità di una certa scelta;il dibattito in tal caso è spesso avvenuto più intorno all’impostazione dei calcolie sui risultati ottenuti dai calcoli stessi piuttosto che sulla messa in discussionedel metavalore (il razionalismo scientifico-tecnologico che, per stare a Severino,non può non portare agli esiti che abbiamo tutti sotto gli occhi), il che è del tuttoconcepibile in quanto tale approccio è di pertinenza dei filosofi, il cui linguaggiopuò non essere con-divisibile con il livello culturale di chi a tali dibattiti assiste.Ciò che in questo caso resta quindi legittimato è il metavalore, mentre vengonomessi in discussione i suoi esiti come esiti non assolutamente necessari.

Spesso, dunque, un’offerta compatta (rispetto al macrovalore) di beni ad altocontenuto immateriale, viene vissuta come vincente dalla domanda, la quale nonè in grado di contrapporre una omogeneità altrettanto compatta, cioè unmacrovalore alternativo.Omogeneità, in questo senso, corrisponde ad “oggettività sociale”, cioè consenso,significa in fin dei conti Egemonia.Ed è proprio per ciò che in Gramsci la categoria di Egemonia assume importanzarilevante.

Nelle società del 21.simo secolo, la possibilità di ricomposizione delle domandeindividuali sarà la condizione per un esito vincente della domanda.

Infatti, in un tempo in cui la domanda degli individui non riesce a ricomporsi,non può che essere vincente un’offerta che, pur rappresentata da singoli capitalisti,viene unificata dalle esigenze formali (culturali) del macrovalore profitto legittimatoa sua volta dal razionalismo scientifico.Sono tali esigenze ad aver, allo stato attuale, conseguito infatti l’egemonia.

La “rivoluzione di Tangentopoli” in Italia è potuta avvenire e, si spera potràconsolidarsi, proprio grazie al linguaggio utilizzato, quello tecnico-giuridico, ilquale, lungi dal poter essere messo in discussione (trattandosi di un macrovalore)in quanto base stessa dell’ordinamento democratico con la sua suddivisione deipoteri, era immediatamente condivisibile da tutti.Da sottolineare come la critica dell’uomo comune abbia sostenuto per decennile imputazioni a carico di nomi e cognomi del sistema politico ed economicoitaliano, pur rimanendo inespressa una domanda di “moralizzazione” concoloriture ideologiche nell’ambiente estremamente sfavorevole della guerra fredda.Si potrebbe affermare, certamente a posteriori, ma con buone probabilità dicogliere nel vero, che tale “rivoluzione” non sarebbe potuta avvenire che nel modoin cui è realmente avvenuta.

Al contrario, una critica vincente di un certo modello di capitalistismo come causaprincipale dei risultati di corruzione, malgoverno e criminalità, appare molto piùdifficile da portare avanti, in quanto, nel caso, si tratterebbe di toccare uno deimacrovalori per eccellenza che permea di sè l’intera collettività e non si vede qualetipo di giudici sia disposto a farlo, nè in base a quale diritto potrebbe farlo, tantopiùdopo il crollo di quello che doveva essere il macrovalore alternativo.

Nel caso della critica dei macro-metavalori infatti, si rendono necessarie condizioniallo stato attuale non ancora perfettamente visibili o quantomeno non ancoraevidenti e che nel tempo storico si danno solo nei cosiddetti passaggi epocali.

Una Politica per il futuro dovrebbe attivarsi per questo scopo.In tal senso parrebbe di poter dire che essa non possa non essere una politica per/della domanda.Le politiche progressiste per la razionalizzazione/pianificazione hanno pertroppo tempo ritenuto di poter essere vincenti sul terreno della modificazione/pianificazione dell’offerta.(Vedi proprio i regimi del socialismo reale o, all’interno dei paesi occidentali, ipartiti della sinistra storica).

Ma invece, democrazia e consenso si danno ed hanno ragione di essere, solo

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nell’ambito della domanda, cioè nel riconoscimento della ineludibile necessità dirappresentanza della domanda, la quale è innanzitutto domanda individuale difruizione di beni in senso lato.

L’attuale orientamento al mercato dell’impresa non è altro che la consapevolezzache in regime di democrazia e consenso, l’unico campo in cui si deve agire è ladomanda.Soddisfacendola ove possibile, e poi, oltre, falsificandola con le sofisticate strategiedi marketing specifico del prodotto e di marketing “totale” di sistema, cioè dimarketing del macro-metavalore.Una cosiddetta sinistra dovrebbe avere la consapevolezza chiara che il terreno dellabattaglia si sposta, cioè, dalla pianificazione della produzione all’orientamento delconsumo.Dall’offerta, alla domanda. Se si vuole, dall’etica all’estetica.

Dalle classi e dalla stratificazione di classe, si passa dunque alla domanda eall’offerta e alla stratificazione delle stesse, ove l’oggetto di tali strutture, nonchèil loro parametro di lettura e di misurazione rientra sempre di più nel dominiodell’ immateriale, dello spirituale, della cultura.

Trasversalità quindi, poichè lo spirituale può attraversare (ed attraversa)simultaneamente ogni classe, ogni domanda e ogni offerta, le quali ultimepossono essere viste come strutture di una -ipotetica ?- dialettica dello spirito.

Di questo direi c’è bisogno di coscienza: del fatto che la persistenza delle classi èin un certo senso una mistificazione dell’offerta: essa vuole convincerci che c’è unalogica, seppure conflittuale, nel suo operare.In realtà gli individui tutti, appaiono essere, oggi, solo la domanda tutta intera,polverizzata, annientata.

Il capitale, cioè, al culmine del suo sviluppo, vuole essere il tutto, onnicomprensivo,sotto forma di offerta totalizzante e massima storicamente possibile.L’incorporazione del sapere operaio dentro i nuovi modelli organizzativi servonoquesta logica.Ma tale offerta, -tale modalità del sistema- continua a volersi dare all’interno dellestrutture formali della democrazia.Anzi, questa specifica forma può darsi, nel suo massimo grado, solo in talecontesto.La domanda, pur solo come opportunita “di sostegno”, continua ad esistere,deve continuare ad esistere (pur nella necessaria limitazione consistente nelcondividere i paradigmi che fondano l’offerta: il valore oggettivo delle merci).

Agire sulla domanda quindi, dovrebbe forse dire agire all’interno del sistema di

formalità riconosciuto per mettere alla prova l’offerta con una sorta di operazionedi “contro” Marketing che si esplichi anch’essa sulla domanda.

Il campo di battaglia ancora una volta è la domanda. Cioè il consenso intorno ametavalori alternativi.Il mezzo non può che essere il medesimo: le armi da utilizzare sono armiessenzialmente culturali.Agendo sulla domanda, si può modificare l’offerta.Per fare un esempio a livello di macrocontesti economico-culturali, gli USA checchèse ne voglia, continuano a modificare e a controllare i rapporti a livello mondiale,in forza del loro enorme mercato interno, cioè in forza della loro enorme capacitàdi consumo.

Ma il problema -altrettanto enorme- in cui su questa strada ci si imbatte è che ilfondamento della domanda (la sua attivazione) è un fondamento estetico.L’ offerta, solo l’offerta, si costituisce e si fonda su basi etiche, compresa quella dellarazionalità scientifica e tecnologica la quale, nata come estetica, si è trasformata nellaideologia più pervasiva che la storia abbia conosciuto, qualità questa che le è propriain quanto soddisfacente valori interni solo a se stessa.

Se quanto detto è vero, si potrebbe allora parlare a buon titolo di un “capitalismoreale” che non sarebbe altro che un socialismo reale ulteriormente pianificato.Una sorta di etica complessa, di pianificazione gestita da un cervello ideologico chesa contemplare una superiore quantità di incognite e di procedure pianificanti.

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SULLA NATURA DELL’ ESSERE E DELL’ AVERE

1)- Non si dá essere che non sia composto di averi.1.1)- Non si dá avere che sia scisso dall’essere.1.1.1)- Noi siamo in quanto abbiamo, e possediamo in quanto siamo.

2)- Noi siamo, cioè, in quanto con-sum-iamo.2.1)- E consumiamo in quanto siamo.

3)- Noi siamo esseri fruitori.

4)- La fruizione è una funzione estetica.

5)- Dentro la storia queste sono equazioni fondamentali.

L’orientamento individuale al consumo è la disposizione dei sensi a funzionare.Funzionare come sensi. Sensori dell’oggetto. Compreso il senso interno. Il qualenon fa altro che consumare e digerire autoproduzioni più o meno libere o conscie.

Come affermava Mao, a tale dialettica non c’è limite; solo la storia cambia, se vuole,gli orientamenti determinati, verso la fruizione. Verso il consumo.

Il dramma attuale e dei prossimi secoli, non è tanto il consumo in sè, quindi, maè invece che i particolari orientamenti al consumo di interi popoli e nazionivengono annientati a favore di un unico, universale orientamento, quellodell’occidente capitalistico.

Si va verso una omogeneizzazione complessiva dei soggetti fruitori.Ma non c’è abbastanza merce per soddisfare un appetitto indirizzato versoun’unica pietanza.E se tale quantità fosse disponibile, appare ormai chiaro che ciò corrisponderebbead annientare quello che rimane della vita naturale su questo pianeta.

Più che di uno sviluppo economico, è dunque tempo di uno sviluppo spirituale,immateriale, o meglio -per evitare equivoci-, a basso contenuto di merci materialio di energia chimico-fisica.E tempo cioè di uno sviluppo culturale.

Dovrebbe cioè ricominciare a crescere la capacità di fruizione spirituale dei popoli.E con ciò la relativa domanda.All’interno di pericolose contraddizioni, ciò sta già avvenendo: la rinascitadell’ISLAM, non significa altro che una modalità di tale processo, assieme a quella

del risorgere dei nazionalismi e dei particolarismi regionali.

In altre parole, il modello estetico di fruizione capitalistica, risulta essere troppocostoso, nonchè insoddisfacente sia per i risultati raggiungibili limitati ad areeterritoriali e a stratificazioni ben individuabili, ma anche rispetto alla tendenzialestandardizzazione delle procedure di fruizione che ne limitano un naturalearricchimento.

Non si tratta dunque di una critica del consumo in quanto tale, ma di una criticadelle modalità di consumo/fruizione capitalistico in quanto limitato e limitanterispetto alle potenzialità storiche e culturali determinate.

Si tratta quindi di pensare modalità e procedure di consumo qualitativamentesuperiori perchè aperte alle molteplici variabili culturali attivabili o ri-attivabili.

Modalità e procedure più ricche, quindi, sul piano spirituale/culturale, ma più“povere” da un punto di vista energetico.

Gli investimenti del futuro, dovrebbero quindi assumere l’aspetto di investimentiessenzialmente culturali, tali da soddisfare bisogni di una domanda attualmentescarsamente coperta, e allo stesso tempo tali da permetterne uno sviluppo ed unaautocoscienza (a livello delle potenzialità) verso la richiesta di produzioni autonome,nonchè verso la produzione collettiva di beni a qualità tendenzialmente totale.(Qualità totale dei prodotti significa tra l’altro, che molti di essi saranno destinatia scomparire).

Una “totalità della qualità” che va definita sulla base e in relazione a macrocontestiin cui variabili fisico-ambientali, ecologiche, culturali ed economiche abbiano paridignità.In ogni caso, il parametro discriminante ed unificante di tali variabili non potràessere un parametro di esclusiva pertinenza di uno solo di tali campi di variabili.C’è da inventare in un certo senso, una nuova moneta o unità di calcolo dautilizzare per una analisi costi-benefici di tal genere.

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ESSERE-PER-LA-MORTE E CONSUMO ?

Non dunque la fine del consumo, poichè il consumo non è che la particolare formadell’essere-per-la-morte che si dà nell’epoca del capitalismo orientato al mercato.

Parafrasando Heidegger, si potrebbe dire che il progetto-gettato si attua, in questotempo, mediante il consumo.Con Heidegger, giocando, ma forse non troppo, potrebbe dirsi:Con-sum: Sono, attraverso; attraverso le merci, sono.Attuo il mio essere-per-la-morte, con-sum, per mezzo dell’acquisto e delconsumo (estetico, non utilitaristico in senso stretto) di merci.CON-SUM, mediante il linguaggio delle merci, sono. Sono, dentro il linguaggiodelle merci.

In questo senso, tutte le merci superflue (ma quali, a rigore, non lo sono) sonoil medium attraverso cui la nostra esistenza assume un senso in questa parte distoria.

Se ciò ha qualche chances di verità, un superamento di questa storia, può darsi solocon la sostituzione-integrazione del medium.Una sostituzione del linguaggio attuale delle merci con un altro linguaggio: unCon-sum differente. Un diverso consumo, verso un “con”, un medium, che siasempre più vicino, adiacente, all’essere stesso.Al culmine del ragionamento, nel suo punto asintotale, ciò dovrebbe significareche proprio in quanto essere, sono.Consumando l’essere stesso, sono.

O una tautologia, o una professione del dovere, dell’etica, o, peggio, unaacquisizione dell’essere, come merce ?

...sono, in quanto consumo l’essere.........

...... Spezzò il pane e lo diede ai suoi discepoli......”

DUBBI

I

Si dirà che il consumo si attua, nel quotidiano, attraverso un medium “oggettivo”che è il denaro.Costituisce, questo fatto un problema teorico insormontabile ?

In riferimento a quanto detto potrebbe sembrare che il denaro costituisca unmeccanismo di irruzione della confusione nei meccanismi di un puro mercatoestetico, attraverso cui proprio la dimensione estetica viene negata con l’insinuazionedi una oggettività del valore, cioè di una scala dei valori delle merci (delleproduzioni estetiche) di cui esso -il denaro- è parametro dalle cogenti caratteristichedi naturalità, neutralità e assolutezza.

Ma come può tale visione essere fondata, se nello stesso tempo viene contemplatonell’armamentario del diritto privato, l’istituto del fallimento, o l’abbuono deidebiti o la possibilità di accesso al credito a fondo perduto ?

La convenzionalità del denaro (cioè del valore delle merci) appare evidente, dalmomento che si è già visto come i valori, tutti, non siano affatto oggettivi.D’altra parte è noto come il denaro sia solo una merce particolare, specifica, macome le altre fruibile, quindi, anche da un punto di vista estetico, spirituale.

In realtà entrambe queste funzioni appartengono al denaro.Esso è la forma della presunta oggettività del mercato, pur essendo allo stessotempo la merce per eccellenza, quella il cui contenuto estetico-spirituale (lacosiddetta astrattezza) è massimamente evidente.

L’accumulazione capitalistica è infatti essenzialmente accumulazione del denaro.

E il denaro si accumula contandolo.I grandi capitalisti protestanti cui allude Max Weber, sono quelli che operanoaccumulando denaro al di fuori di qualsiasi immediata logica utilitaristica.Solo, ci dice Weber, per manifestare al mondo che essi rispondono potenzialmentealle condizioni previste per la salvazione: l’attività ad ogni costo, al di là delle suefinalità.Ma l’accumulazione di capitale è possibile solo contemporaneamente allo sviluppodella contabilità.Una operazione astratta (matematica) che può ben applicarsi solo ad entitàastratte.L’ “oggettività” delle operazioni contabili effettuate attraverso la merce denarodiventa lo specchio dell’oggettività del mondo del capitale, del valore che si conta

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da se stesso, senza alcuna mediazione del reale.L’autoreferenzialità del sistema è insita nel meccanismo del contabilizzare,condizione necessaria alla costruzione del sistema stesso.Il sistema, non è altro, in realtà, che una immane operazione contabile.Se quindi un atteggiamento mistico-spirituale, come quello calvinistico, può averdato vita al capitalismo, ci troviamo di fronte a un processo per cui una necessitàdi possesso/consumo estetico del denaro si è mascherato -ha trovatomascheramento- nell’ambiente etico per eccellenza della riforma protestante conl’abito lucente e inattaccabile del razionalismo matematico-scientifico.

Attraverso un mascheramento etico, cioè, e attraverso l’etica del mascheramentomatematico-scientifico, è in realtà avvenuto il più grande fenomeno esteticodell’età moderna: l’accumulazione di capitale, attraverso l’utilizzo/investimentodi esso in operazioni dalle alte caratteristiche di gratuità, giustificate solo dalleragioni contabili.

L’operazione ha di per sè contenuti alti di creatività.Non per niente lo spirito dei grandi capitani d’industria o dei grandi banchieri nonsi discosta di molto da quello degli artisti moderni.Le fusioni delle grandi holding societarie avvenute nel corso del secolo rispondonoa ben guardare a criteri di ingegneria ed architettura finanziaria che possono bendirsi contigue a quelle operate da altri artisti e in altri campi, con differenti materiali,magari dotati di maggiore solidità agli occhi del senso comune.Lo Yuppismo degli anni ’80 è in buona misura derivato dalla fascinazione diquesto tipo di arte. Non è un caso che esso abbia aquisito contenuti di vera e propriamoda molto più caratterizzata culturalmente che tecnicamente.In questo senso, il sistema ha operato una fusione di prospettive cheprecedentemente venivano viste e vissute come antagoniste: l’etica della razionalitàtecnico-scientifica ed organizzativa, accanto all’estetica.

Cos’ è dunque il sistema-mondo del capitale ?

Esso non pare essere altro che una gigantesca operazione estetica, ad oggi lamaggiore storicamente possibile.Non è che una grande opera d’arte storica che nel corso del tempo afferma, tra lepieghe e le crepe delle sue giustificazioni e dei suoi fondamenti, la sua assoluta efondamentale gratuità.

Una gigantesca costruzione che nel corso del tempo permette tuttavia all’essere-per-la-morte di con-sumarsi, di sostanziarsi.

II

Che il capitale si manifesti oggi sempre più “come puro spirito” (P.Barcellona),significa che oggi più che mai si sveli la assoluta IMMORALITA’ (NON-MORALITA’, NON ETICITA’) del capitale e si affermi sempre più la suaspiritualità, il suo carattere essenzialmente estetico.

Oggi, però, ciò che il capitale assume come abito e giustificazione e fondamentodel suo essere è appunto la scientificità autoriflessiva, autogiustificante, è lariflessività del meccanismo estetico stesso, che storicamente assume la forma diSCIENZA E TECNOLOGIA.Attraverso le rigidità “fisiche” delle applicazioni tecnologiche, e attraverso quelle“matematiche” delle operazioni logico-contabili (v.informatica), il capitale vuoleconvincerci della sua oggettiva necessità.

Laddove un tempo esso si era servito dell’etica, il capitale si serve oggi della scienzae delle sue applicazioni come copertura e fondamento.Come Borges dice della metafisica -e quindi di ogni etica- che essa non è altro cheun ramo della letteratura fantastica, potrebbe oggi in questa prospettiva, dirsi lostesso per il razionalismo scientifico.Come l’etica religiosa ha un tempo prodotto le grandi conquiste dell’architetturadelle cattedrali gotiche, così negli ultimi tre secoli la scienza ha prodotto le “grandiconquiste del progresso”.

In tale prospettiva ci troveremmo dunque di fronte a una corrente profonda dellastoria che cerca di nascondere ad ogni costo la sua essenza estetica attraversoulteriori coperture estetiche (che si traformano in etiche) storicamentedeterminantesi e determinate: prima, religione ed etica, poi etica e scienza, poiscienza e tecnologia, poi, autoriflessività sistemica, che debbono (hanno ilcompito) di manifestare la sua necessità.

Ma perchè il capitale non vuole svelare la sua essenza ? E come ciò può avvenire?La risposta potrebbe rinvenirsi in qualcosa di molto antico, forse tra gli esiti e imeandri di quella ipotesi di scissione tra tragedia e poetica, cara ad Umberto Eco,o forse in quella del passaggio ,inquietante per Giorgio Colli, dalla sapienza allafilosofia in età presocratica.

Parrebbe di trovarsi di fronte ad un motore della storia che per permanere habisogno di nascondersi, che solo celandosi può essere.La verità della storia, o la VERITA’ in senso lato, paiono essere qualcosa che sisitua in una penombra indefinita e allo stesso tempo in superficie.

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La VERITA’ pare cioè essere nella falsificazione dell’evidenza e allo stesso temponella superficie apparente delle cose, cioè nell’apparenza stessa.

La verità in altri termini pare essere gratuità.La verità pare cioè costituire quella funzione di creatività, gratuita, che oggi vienestoricizzata nel capitale.

E il potere della funzione di creatività è oggi storicizzato nel profitto monetizzato.Ma tale forma storica di autoriproduzione del potere di creatività dell’essere, paredebba essere superato perchè sembra non assicurare più l’autoriproduzione delpotere di creatività stesso. O meglio, le potenzialità di produzione e riproduzionedello spirito paiono essere sprecate e non utilizzate al meglio. E’ solo per ciò cheil capitale viene vissuto sempre più nel contesto planetario come dominio e potere.

Nel qual caso, possiamo formulare ancora 5 probabili opportunità:

l)- O il capitale soddisfa questa nuova domanda.2)- O il capitale modifica questa domanda secondo la sua offerta.3)- O il capitale annienta la domanda (e con ciò se stesso, la sua funzione).4)- O la domanda modifica il capitale secondo i suoi bisogni.5)- O la domanda distrugge il capitale (e con ciò se stessa).Solo le ipotesi l) e 4) permettono di immaginare un riequilibrio positivo.

Ammesso che ogni possibilità debba confrontarsi nel tempo storico dei meccanismiformali della democrazia, del consenso e del mercato inteso come ambito d’azionedelle domanda e dell’ offerta di produzione e consumo di estetiche, direi anzi chele uniche opportunità che possono darsi sono quelle in cui vengono escluse apriori soluzioni definitive ed assolute.Oggi la forma che prevale, il tipo di equilibrio dominante è ancora quello dellaipotesi n°2, ma questo equilibrio pare aver raggiunto i suoi limiti intrinseci.

Ogni altra possibilità resta comunque una possibilità estetica. E la capacità direalizzarsi, nel tempo storico, delle diverse opportunità non risiede nel loro valoreoggettivo (che non c’è), ma nella loro capacità di seduzione del corpo sociale.

ANCORA SULLA RAPPRESENTANZA DEL COSUMO

Spostare l’analisi politica dall’offerta (produzione) alla domanda (consumo), èanche necessario perchè in tendenza saranno sempre meno i produttori (vedi iprocessi di "razionalizzazione", automazione, ecc.) e sempre più i consumatori-o potenziali tali-.

A meno che non si pensi di immaginare organizzazioni sindacali che protegganogli interessi delle macchine automatiche produttrici (che, pare, non siano ancoraportatori di specifici interessi) e di quei relativamente pochi operai addetti alcontrollo e alla manutenzione, o partiti in concorrenza per la rappresentazione diuna ipotetica classe sociale costituita dagli apparati produttivi, sindacati e partitiprogressisti dovrebbero rappresentare sempre più la domanda, cioè il consumo.

L’esito delle politiche sindacali e partitiche ci dimostra che in realtà anche negliultimi decenni, tali apparati hanno voluto rappresentare essenzialmente le classiproduttrici, cioè i sistemi produttivi, (cioè le macchine e il metavalore in esseincorporato) includendo nei sistemi produttivi gli uomini concreti come pezzidei sistemi stessi.L’esempio della vertenza di Cengio, in Piemonte, mostra come un pezzodirigente del sindacato e dei partiti della sinistra abbia voluto rappresentare unsistema produttivo contro un altro sistema di produzione/consumo alternativoattivato da un’esigenza vitale di fruizione quotidiana.In altre parole un sistema essenzialmente di produzione (con le sue macchine econ i suoi uomini), contro un sistema precipuamente di consumo, di fruizione.

Ma rappresentare i consumatori è oggi operazione senza dubbio difficoltosa.Parrebbe di dover rappresentare i consumatori di “latte magro”, “latte grasso”,“parzialmente scremato”, “a lunga conservazione”, “pastorizzato e non”, ecc.(Nel qual caso la rappresentanza del consumo sarebbe di esclusiva pertinenza delsistema di imprese).Sembra tuttavia esistere qualche problema in un mondo in cui finora soltanto ilmarketing si è districato segmentando per l’appunto la domanda, concentrandolao diluendola, costringendola, creandola o annientandola secondo le esigenzecongiunturali o strategiche dell’impresa.Ma è possibile rappresentare una domanda con criteri più generali ?

In verità neanche la rappresentanza del lavoratore produttore è stata mai -almenouna volta superato il corporativismo- solo la rappresentanza dell’operaio chelavorava nella singola azienda o nel singolo settore.Posto che non ci si sia sempre trovati di fronte solo a immense holdingmultisettoriali, la rappresentanza obiettivo è stata quella dell’operaio salariato.

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Continuare oggi a voler rappresentare solo quella figura, come anche quella deltecnico, o comunque figure sociali caratterizzate prioritariamente in base a criterireddituali o di funzione specifica ricoperta nel processo produttivo, pone dei graviproblemi rispetto alla rappresentanza del terzo di società fuori dalla benevolenzadel sistema, terzo che è sulla strada per diventare metà e in prospettiva (chissa ?)due terzi.Tali frazioni di popolazione attiva o non attiva, non sono però esenti, pur nelledimensioni e nei modi più diversi, da una qualità unificante, quella dell’esseresempre dei consumatori, pure in varia misura e con differenti livelli di potere (eallo stesso tempo, come già detto, di essere tendenzialmente sempre piùproduttivi in relazione alla nuova funzione del consumo).

Già oggi, la consistenza di un sindacato come la CGIL, nella quale oltre la metàdegli iscritti è costituita da persone fuori del circuito tradizionalmente produttivo(pensionati), mostra come l’esigenza di rappresentare il consumo sia ormai unanecessità storica ineludibile.

Se poi si tiene presente cosa possa significare in sede di contrattazioni del futuroporre sul piatto non solo le rivendicazioni concernenti il salario o le condizionie i tempi di lavoro in fabbrica, ma anche fuori della fabbrica cioè nei luoghi delconsumo, che poi sono i luoghi della vera produttività nelle società post-moderne, credo appaia chiara l'importanza di un tale approccio.In ultima analisi rappresentare il consumo diventa oggi il modo più coerente perrappresentare la fetta tendenzialmente a produttività crescente delle nostre società,(quello che in altri tempi veniva definito come il soggetto storico emergente) inquanto la produttività dei sistemi economici si gioca proporzionalmente semprepiù fuori della fabbrica, cioè là dove la funzione di produzione e la funzione diconsumo smarriscono i presunti confini e lineamenti di purezza che una teoriaeconomica categorizzante costruita sulla falsariga di un positivismo ormaisuperato, -che corrispondeva alla produzione di massa- ha voluto imporre.

Cos’altro significa l’ormai abusato termine di “interdipendenza”, se non proprioquesto: i territori, le aree fisiche ma anche sociali, le figure sociali tenute separate,autonome, appunto indipendenti tra loro da una certa impostazione teorica e daun certo esercizio del dominio, scoprono di essere interdipendenti, cioè dipossedere tutte caratteri complementari per l’altro da cui sono divisi, nel sensoche possono darsi proprio (nella loro costitutiva differenza, limitatezza), nelbisogno dell’altro, il che implica il riconoscimento della sua importanza,imprescindibilità.

Ciò significa che l’altro non solo non può essere abolito, eliminato, in quanto ciòminerebbe la stessa possibilità di esistenza come tipo di soggettualità data, ma

anzi deve essere ri-cercato.

Ma questo vuole dunque dire che le entità separate “sono”, costitutivamente,anche l’altro.

Quali criteri dunque, per la rappresentanza del consumo ?

Come si rappresentava (e si rappresenta) la parte “produttiva” della società sullabase del grado di sapere e di saper fare (perlomeno formalmente, dato che nonsempre a tale grado corrisponde un reddito proporzionale) del singolo addettoal processo produttivo, si può immaginare una rappresentanza del consumo inrelazione al grado di cultura specifica di cui il singolo consumatore è portatorequalità/quantità quest’ultima, che può essere aggregata per approssimazioni dicontesto e storiche successive.

Lo scenario politico potrebbe presentarsi costituito da schieramenti alternativi diconsumo.Dal punto di vista della prassi politica si tratterebbe quindi di riqualificare ladomanda, come per lungo tempo si è chiesta una riqualificazione dell’offerta.L’obiettivo del benessere sociale sarebbe in questa prospettiva l’acquisizione dilivelli di qualità di consumo superiori in alternativa a quella di redditi superiori.

Tra l’altro oggi, la riqualificazione dell’offerta a livello mondiale trova la suacondizione necessaria proprio in una riqualificazione della domanda.Significa che il modello può venir modificato attraverso un processo di formazione/autocoscienza politica della domanda.E l’autocoscienza della domanda significa sostanzialmente cultura.

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DUBBI

III

Il mondo acefalo, senza centro e senza periferia prefigurato da Pascal, dove il centroè dappertutto e le periferia in ogni luogo, il mondo in cui le coordinate culturaliscompaiono, dove il principio di realtà svanisce, dove il pensiero forte perl’appunto si dilegua, dove la storia sembra finire, il mondo autoreferenziale in cuitutto è dentro e che non consente la propria disamina da un luogo esterno a sestesso -perchè niente gli è esterno-, quel mondo del Pensiero debole in cui tuttoaccade e anche il contrario di tutto, quel mondo che cresce su se stesso e trovagiovamento dalle sue stesse crisi, quel mondo sistematizzante la propria complessitàall’infinito, quel mondo che si chiama CAPITALE, di cui la stessa natura sembradover venire a far parte attraverso le infinite manipolazioni fisicochimiche egenetiche, quel mondo in cui l’essere stesso si accinge a divenire un merocommensale, quel mondo dunque che si sostituisce al posto che da sempre è statoesclusività dell’essere, quel mondo, questo mondo, è il mondo che ha introiettatola dialettica come sua procedura immanente, come metodo fondamentale diautoriproduzione.

Una dialettica zoppa, però, falsata, costretta dalla costrizione della domanda.Dentro se stesso, questo mondo rimuove e sopprime una parte di sè, quella cheallo stesso tempo costituisce il suo principio e da cui attinge la sua energia cinetica.

Questo mondo, questo capitale, non è ancora puro spirito, come direbbeBarcellona.Perchè non permette il libero giuoco dei due gradi della sua stessa dialettica.In questo senso è un mondo che soffre di una patologia profonda. Una patologiache insieme può chiamarsi isteria, rimozione, schizofrenia, paura.In questo senso è un capitale ancora troppo storico, troppo politico, troppoumano, pur nella sua ambizione di superamento della fragilità umana attraversola scienza e la tecnologia, nella sua ambizione di costituirsi al di fuori del tutto,inglobando il tutto.Perchè il capitale media la domanda ?Perchè continua a costringerla e a limitarla ?Non ne risulterebbe forse un vantaggio se la domanda potesse esprimersi senzacontinue mediazioni e soppressioni ?

E’ forse questo capitale ancora troppo stupido ?Non sarebbe forse vantaggioso per il capitale un mondo di liberi produttori, diliberi creatori e fruitori dell’ “essere-per-lamorte” ?

E’ vero che in un mondo di tal fatta non sarebbero più necessari nè ospedali, nè

cimiteri.Si potrebbe scomparire dall’essere senza alcun bisogno di preavviso, di cure, dimanutenzioni o menzioni particolari.

Ne risulterebbe una superfluità del capitale ?

(Ma questo mondo pare necessitare ancora, indefinitamente, di purificazioni,di mediazioni, di cure, pare necessitare di morire, dolorosamente).

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DUBBI

IV

Ma c’è possibilità di soddisfazione estetica nel mutamento di un mondo ?Può oggi il mutamento costituire un modello estetico ?Possono, gli “esseri-per-la-morte” essere attratti da questa opportunità ?O la funzione estetica si manifesta solo nel presente, nel fugace virtuale dell’attimodel consumo ? E’ il consumo qualcosa che rimanda a una dimensione infinita,perenne, o invece parziale, storica ?

Forse l’essere-per-la-morte non fa più distinzioni. Caduta la possibilità di una vitaeterna, l’eternità vivente dell’essere-per-la-morte aspira solo a consumare ilpossibile/disponibile per-la-morte stessa. Oltre quella si ritorna al niente, da dovesi è venuti, là dove non c’è consumo perchà non c’è alcun “per” per cui progettarsi.

Solo dunque per un sogno estetico, dunque per un’utopia, ancor più gratuita dellagratuità del capitale potrebbe darsi la condizione del mutamento.Solo per un’utopia che fondi il presente come luogo dell’essere autocosciente.Solo nella sua accecante nudità che si specchia nel sè, può, questo essere, esserel’essere che muta il mondo.Dunque anche il mutamento, anche la rivoluzione, come qualcosa che rimandasostanzialmente all’estetica, che si muove in questo campo....

Con una stoica perdita dei sensi, allora ? con una potente etica della razionalità deldover essere ?

No. Al contrario, parrebbe di poter dire che il cambiamento possa darsi soloattraverso il potenziamento asintotale dei sensi, per mezzo di una sorta diautocoscienza non standardizzata, qualcosa che ha a che fare solo tatticamente colrazionale; solo con una voglia di fruizione complessiva, con una tensione alconsumo totale, può, l’essere-per-la-morte che è l’uomo, abbandonarsi al viziodi mutare.

La gratuità del mondo, la sua incredibile complessa razionalità, contro una gratuitàancora maggiore, una razionalità profonda -o del profondo-, una complessitàdelle possibilità tale da non lasciare occhi che possano discernere con le categoriecontabili.

La rivoluzione come inedita liberazione di energie, di volontà di fruizione, di con-sunzione, di esplosione dell’essere.La rivoluzione, poi, infatti, si rimangia i suoi figli. Come dire che li consuma.

LETZTE STUFE

Unificazione dei diversi mercati, culturale, religioso, artistico, scientifico, economico,in un unico grande mercato universale: Il mercato degli oggetti e dei fatti estetici.

La dimensione del consumo diventa la categoria unificante di ogni mercato epermette la permeabilità degli ambiti storicamente ritenuti e tenuti separati.

In questo senso, ciò che contraddistingue e caratterizza la dimensione dell’uomocontemporaneo è, più che la mercificazione del suo lavoro, della sua capacitàproduttiva, il fatto che l’uomo moderno viene consumato.

L’unificazione dei “mercati paralleli”, impone infatti un unico approccio all’ente,a tutto ciò che è: questo approccio consiste nel fatto che l’ente può essereconsumato ed esiste solo in quanto tale.

L’esistenza dell’essere, -della cultura, dello spirito- può ancora darsi solo nellostesso ambito dimensionale.

E’ più che evidente che la forma storicamente necessaria per venire consumato èl’essere merce, ma l’essere merce è appunto solo una forma storicamentedeterminata della possibilità di consumo.

Ma cos’ è allora, il consumo ? Il consumo pare costituire la condizione stessadell’essere.

Il consumo è l’atto che trasforma le molteplici forme dell’essere. L’essere esistecioè solo in quanto, allo stesso tempo, consuma e viene consumato.

In questa prospettiva l’essere in senso umanistico, l’ essere dell’umanesimo, cessasemplicemente di essere e appare in tutta la sua evidenza per ciò che è sempre stato:un’invenzione, un’astrazione ipostatizzata a tal punto da assumere -come nel piùclassico dei casi- una presunta realtà autonoma.Quella realtà giustificata allo stesso tempo dalla presunta soggettività o oggettività(a seconda della filosofia che si applichi) dell’ente.

Su tale base si sono potuti costruire tutti gli edifici morali; l’etica stessa lo pretendecome proprio strumento e fondamento, insostituibile appiglio.

Più modestamente gli esseri consumanti appaiono essere degli IN/OGGETTIin balia dei contesti al punto che i loro contorni possono sfumare fino a

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scomparire.(Sarebbe stato altrimenti possibile l’olocausto ?)

Angelo Rossi, poeta dell’Etruria, amava raccontare che un bicchiere di Campariti trasforma in un altro; P.K. Feyerabend, dalle sue cattedre posticce sostiene lastessa evidenza, sostituendo al bicchiere la parola, o quel ramo che pende in modoinconsueto lungo il sentiero.Qualcuno, in una casa di Berna, alle prese con un orologio, riporta il tempo allesue dimensioni relative e lo Zar Nicola dichiara guerra al Giappone perchè il suoservo, quella mattina, gli ha infilato maldestramente uno stivale.

Da improvvisi lampi o lunghissimi pomeriggi possono prender forma scopertemirabili o catastrofi.

Dunque la caratteristica precipua dei progetti gettati è quella di essere pro-gettati(gettati da qualcosa per qualcosa) e pro-gettanti, cioè consumati e consumatori.Interviene un evento, un catalizzatore, e si attivano.

I soggetti, i progetti gettati, sono solo dei campi. Null’altro.

EUROPA E NAZIONALITA’

La fine dell' utopia cosmopolita dell’internazionalismo, come l'affievolirsi diquella, non minore, dell’Europa unita, segnano l'inizio della fine di quellaparticolare configurazione storica dominata dal concetto di civilizzazione.Civilizzazione come processo caratterizzato e determinato dalla standardizzazionedei linguaggi organizzativi .Questa configurazione era quella dell’organizzazione totale sotto il paradigmadella scienza e della tecnica mediata (o scaturita) dal capitale sia nella forma dicapitale privato multinazionale che in quella di capitale monopolistico di stato.Tale paradigma ebbe applicazioni e atteggiamenti differenti nelle situazioni date:si chiamò Taylorismo e Fordismo in America, in Europa riuscì a diventarenazismo (la forma ancora insuperata di semplificazione organizzativa) e inUnione Sovietica, passando per lo Stachanovismo si impose come Piano eBurocrazia.

In realtà tutte queste forme dell’organizzazione che si adegueranno dopo lagrande crisi e la seconda guerra, alle necessità imposte dalla democrazia delconsenso e del capitale sempre più inter-nazionalizzato, non fanno altro chesondare per strade diverse e a livelli diversi, le possibilità che si aprono all’ingegneriadella civiltà. Sono i tentativi, le prove storiche della civilizzazione.

Il principio organizzativo ha fondato tutte queste esperienze.E l’organizzazione è sempre, in varia misura, semplificazione; dei pezzi (soggetti)e delle procedure. Come d’altra parte ogni ambito del pensiero, in quanto pensareè sempre organizzare l’intuizione, cioè semplificarla, renderla comunicabile. Leprocedure fornite dalle scienze naturali, applicate alle scienze umane e sociali -e divolta in volta aggiornate ai contesti storico culturali delle aree fisiche, dei territoriin cui vengono utilizzate- costituiscono il fondamento stesso della civilizzazione.

La struttura democratica del consenso ha però reso evidente in particolare dopola seconda guerra mondiale almeno nei paesi del nord, che non possono essereoltrepassati dei limiti di semplificazione dei bisogni della domanda oltre i qualidiventerebbe di nuovo necessario lo sconfinamento nel totalitarismo; ma allostesso tempo non possono essere superati i limiti opposti, e cioè quelli di unaadesione troppo orientata al singolare che nelle sue varianti di Tacher- e Reaganismoha prodotto danni enormi al tessuto sociale dei paesi che l'hanno adottato.

Tra questi limiti si è data una strutturazione mediana del consenso, quella italiana,perseguita come sommatoria di consensi parziali di gruppi e “sottoclassi” spessodepositari di interessi ed aspettative contrapposte pur all'interno delle stesse,supposte, classi di appartenenza.

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La sommatoria infinita dei consensi però, a prescindere dal fenomeno marginaledel rozzo voto di scambio, legittimava una certa "ecumenicità" della rappresentanzapolitica non a caso stabilmente insediata per 50 anni sotto l'effige della fede.

Come è possibile, si può pensare, che proprio ciò sia avvenuto ?

In realtà, seppure i raggruppamenti sociali possono apparire -ad una occhiata cheli legge attraverso gli strumenti analitici -reddito, professione, ecc.-che sono servitia costruirli e delimitarli, (quindi tautologicamente)- spesso in conflitto, se noncontrapposti, essi sono unificati dal fatto di essere composti essenzialmente daindividui che sono prima di tutto dei consumatori.

Sotto tale profilo l’interclassismo, non solo è stato possibile, ma addiritturaappare essere l’unica forma organizzativa che risponde alla “qualità” nascosta delcorpo sociale, e quindi esso può aver aspirato legittimamente ad esprimere l’INTERCLASSE dirigente; interclasse che, come dimostrano gli eventi diTangentopoli, non poteva non condividere la stessa qualità nascosta del corposociale!

Questa interclasse dirigente va in crisi non perchè una altra classe si affermi, maperchè i contenuti e la domanda che essa ha rappresentato non sono più quelleche oggi afferma il corpo sociale.

E in questo senso, contrariamente a quanto possa sembrare, si tratta di unmutamento dalle caratteristiche più epocali che strettamente politiche.Solo le forze che comprenderanno questo fatto potranno ambire a governare neidecenni futuri.E la domanda che si afferma non è meno ecumenica della precedente: il bene"pulizia morale", è infatti un bene che in linea di massima attraversa le stratificazionidi classe. E non è una nuova classe a richiederlo. A chiederlo è una modificazionedella coscienza della domanda, se così può essere definita.In un certo senso, nelle nostre società non c'è più bisogno di attendere nuovisoggetti messianici portatori del mutamento. Le classi stesse, nella pioggia diinformazioni da cui sono perennemente inondate, paiono sviluppare modalitàdi mutamento congenito e continuo: quelle per cui si rendono necessari i continuirilevamenti di audience o di gradimento.E' in questa prospettiva che le ideologie sono veramente tramontate.Esistono tuttavia delle minoranze che sembrano invece muoversi ancora suterreni che appaiono essere dei residui dei “mercati paralleli” culturali, ideologici,ecc. che nel corso storico ebbero sicuramente dignità pari, se non maggiore, diquella del mercato dei beni economici.Ma esse sono destinate a medio termine, a un decadimento che non può essererimesso in discussione dal riemergere di nuovi-vecchi miti delle culture particolari,

siano esse regionali o etnico-razziali.Ciò che ci dicono queste escrescenze violente e repentine (che in un futuroprossimo potranno senza dubbio proliferare) tra le righe delle loro secessioni(Jugoslavia) o delle loro riunificazioni (Germania), è che il principio di civilizzazioneha raggiunto di nuovo un suo limite. Il limite della cultura.

Nel dibattito intorno all'integrazione degli immigrati nei paesi di accoglimento,si pone sempre più l'accento sulla necessità di mantenere una identità linguistico-culturale come presupposto per una integrazione che non sia sempliceassorbimento e annientamento dei patrimoni individuali e collettivi, cosa questache in ogni modo potrebbe essere definita fuorchè come integrazione.Rimanda a qualcosa di analogo ciò che accade nel rapporto tra le diverse culturenazionali e regionali e la macrocultura della civilizzazione alla fine di questo secolo.Qualcosa che ci fa dire che un certo quadro è ormai definitivamente tramontato.Primo, perchè esso può vegetare solo a condizione di allargare indefinitamentele possibilità di consumo, cioè in un contesto di continuo sviluppo economico-cosa oggigiorno come minimo in forse-.(E come potrebbe altrimenti essere accettabile la civilizzazione ?)Secondo, perchè pare che la qualità dell’ offerta non regga più ad una domandasempre più diversificata e difficilmente ricomponibile, se non a prezzo di superarei limiti della democrazia -anche quella parziale- economica.

Il riemergere dei nazionalismi in Europa, con ciò che ne viene in termini di rischidi varia natura, potrebbe quindi essere interpretata in questa chiave: l’universalismo,il cosmopolitismo, la civilizzazione, non pagano più perchè semplificano troppo,nella loro ansia -comprensibile- di organizzare ciò di cui, tra l’altro, sembrerebbeesserci grande bisogno: il governo continentale, sovracontinentale, mondiale,dell’economia, cioè di tutto.

Ma non mi sentirei di dire che, nel quadro attuale, i rischi di tale evoluzione sianoper forza maggiori di quelli offerti da un cosmopolitismo del capitale universale.Anche se, purtroppo, niente, proprio niente, garantisce che gli attuali sviluppisiano legati a qualche tipo di coscienza storica che non si traduca in quella di nuovevolontà di potenza nazionali o regionali che salgono alla ribalta.

Ma in ogni caso è fuor di dubbio che una grande epoca si è conclusa.D’ora in poi, pare doversi dire che gli esperimenti politico-organizzativi nonpotranno più essere esclusivamente gestionali, ma “creativi”, di ri-progettazioneteorica e strutturale.Non si tratta più cioè, di gestire il capitale, ma, se si vuole, di ri-crearlo, in quantola perdita di valore della civilizzazione è anche perdita di valore del capitale.E a questo fine, quel concetto di “risorse umane” potrebbe acquisire una valenzateorica portante, allorchè depurato degli interessi parziali attribuitegli dalla cultura

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"d'impresa", cioè del capitale.

Ma quali territori di eventi dovranno essere attraversati ?Vengono in mente le parole di Nietzsche:“........ io vi racconto la storia dei prossimi secoli: quelli del Nichilismo”.

16 Settembre l992

Gorbaciov parla a Berlino di una sinistra che si fondi sull’etica.Fine del determinismo (auspica).L’utopia torna al grembo del razionale.Dell’umanesimo razionale. Il positivismo è scalzato.Pare dunque che la battaglia debba spostarsi al livello delle due utopie la cui“Ursprung” è situata all’inizio della civilizzazione occidentale.Cioè appunto, forse all’inizio dell’idea stessa di utopia. Ma l’utopia è semprebifronte.L’altra utopia continua ad essere quella estetica.

Etica, tragedia, Apollo, ...Estetica, poetica, Dioniso, ...Aristotele, Platone, Nietzsche...

Mi sfugge quale posto trovi il consenso, o il suffragio universale in questa storia...

Come può un’etica divenire qualcosa di coscientemente interiorizzato e non diprescritto ?Come può, l’estetica, trasformarsi in qualcosa che non fa male al mondo...Come può la libertà di ciascuno essere la condizione della libertà di tutti eviceversa...

Si prenda, ad esempio, il problema ecologico.La fatica, l’automazione, le “libere leggi del mercato”. Si prenda ad esempiol’amore...La sinistra, cioè l’utopia del “Vorwarts”, l’utopia del paradiso, è incatenata a questodilemma.

La soluzione si situa forse solo in un virtuale Zarathustra, in un nuovo animale:quello per cui l’”io volli” nietzschano consiste nella mediazione infinita -oaccettazione infinita- come volontà.Volontà di potenza ?

Volontà dell’io volli e rassegnazione del “tutto è giusto” per sopravvivere dentrola storia.Eticità ed estetica compenetrate nella storia. Possibilmente uomini di buonavolontà.Cioà la dignità del costruire comunque sulla sabbia, di mediare...Ovvero la forma archetipica e tragica e grande della Politica.

22 settembre 1992

Ciò che si muove nel campo dell’etica è, nel migliore dei casi, saggezza.E ci sarebbe da ricordare come la saggezza sia qualcosa di acquisibile lungo untempo lungo, di privazioni e sperpero e viceversa.

Se è solo privazione rientra nell’ambito della psicoanalisi e come tale è solo falsitàpretina, qualcosa cioè di inevitabilmente malato, patologico.Se è solo sperpero (di energia di qualsivoglia genere) è qualcosa di umido chericorda dissolutezza e incapacità di sentirsi come un tutto; e ancora, quindi,qualcosa che ha bisogno di analisi.

Nel tempo storico, le due opportunità sono mediate e richiamate alla luce di voltain volta, come necessità immanente del momento, assolutizzate dal capitale nelsuo oscillare tra crisi e sviluppo.

Non si da mediazione in equilibrio che in subitanei istanti che durano solo qualchelustro, e solo in qualche luogo o regione del pianeta.Narciso e Boccadoro possono corrispondere alle fasi del ciclo.

E la fortuna che tiene ancora in vita il mondo degli uomini è che le fasi in certamisura, non inglobano ancora simultaneamente il globo. E i singoli attorioscillano tra i due punti ognuno secondo il proprio karma storicamentedeterminato.

Una società in grado di attuare tale sincronia, sarebbe infatti l’ultima.Dopo, il pianeta sarebbe abitato da altri esseri. Come nella poesia di Caproni:“Saremo nuovi non saremo noi saremo altri...”

(Siamo lontani da questo ?)

Gadamer a 92 anni, da Heidelberg ci parla di saggezza. Neanche lui è troppo

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convinto che basti.Ma certo, per ragioni ben evidenti, non può dirci che non ci crede e che dobbiamorassegnarci alla contraddizione.

Che questo mondo esploda, è infatti una possibilità vitale. L’unica che ci resti.

6 ottobre 1992

Vittorio Hosle e la sua dittatura ecologica dell’etico stato sembrano ignorare chel’umanità è una natura incessantemente, storicamente evolutiva (o involutiva),comunque cangiante.

La cosiddetta sovrastruttura culturale (prendiamo, ad esempio l’idea di unosviluppo illimitato, oppure la voglia storica di consumo) non avvengonoall’esterno della cosiddetta natura, la quale, se è tale, contempla anche la culturacome sua variabile.

La contempla, per inciso, nell’ organizzazione gerarchica degli insetti, e nellemigrazioni internazionali degli uccelli.Può contemplarla, credo, anche nella mutante cultura umana.Anche nello stadio in cui quest’ultima pretende di costituirsi al di fuori e in modoassolutamente indipendente dalla natura.

La natura umana (la cultura) non è in verità che una possibilita’ estetica (un modo)della natura universale.Anche la dittatura ecologica come tale non è che un modello estetico che può essereprevisto tra le tante possibilità.Resta da vedere se la sua presunta eticità sia compatibile col carattere estetico dellaspecie uomo, cioè della natura, e ciò dal punto di vista strutturale, non da quelloteorico, il quale, come ogni altra opportunità convenzionale, non può nonammetterla.

Resta cioè da vedere se esista una compatibilità “storica” di tale scelta, visto chele opportunità estetiche si realizzano, nella specie uomo, all’interno della storia,la quale ultima è il modo specifico in cui l’uomo realizza la propria “naturalità”,cioè la propria esteticità.

ANCORA INTORNO ALLA SCIENZA

Per Emanuele Severino la civiltà occidentale nei suoi esiti attuali non è altro cheil risultato dell’approccio evolutivo e trasformante dell’uomo, l’approccio modulatosull’ idea della realtà del divenire.La razionalità scientifica non è che il portato, l’esito finale di questa visione chepervade di sè la metafisica occidentale, contro l’idea dell’ “essere che non può nonessere” parmenideo.Questa impostazione critica della cultura occidentale come essa si è dispiegata nelcorso della storia implica una considerazione di fondo che è costituita dunque dallavisione opposta: quella per cui può esistere e può darsi un essere solo in quantoassolutezza e stabilità.

Dal nostro punto di vista (in divenire, o stabile ?) queste prospettive appartengonoentrambe all’estetica, sono due modi di concepire l’esistenza, vale a dire dueestetiche differenti, per semplificare ancora, potremmo dire che si tratta di due stili,due schemi rappresentativi, due stili e due metodi di rappresentare l’esistente,come dà ad intendere Hermann Hess.

Entrambi quindi rimandano ad un’ estetica parziale che si è formalizzatastoricamente.L’estetica assoluta, in quanto tale non esiste, poichè l’estetica è qualcosa che siforma ed attiene, ed implica, e si relaziona alla storia influendo su di essa.Ma l’estetica è dentro la storia, come la storia è solo un succedersi di estetiche. Ciòche pare contraddistinguere gli ultimi due secoli di storia è che il rincorrersi diestetiche diventa repentino rispetto a quanto precedentemente era avvenutosecondo tempi e scarti molto più prolungati.Singole estetiche si erano imposte nei diversi campi del sapere, dall’interpretazionedel “reale” o del “sociale" all’ interpretazione dell’ essere, ed erano potute duratesecoli.Ciò accadde anche per le arti.

Negli ultimi due secoli, questo movimento di estetiche, di interpretazioni, diventamolto più rapido e non più sincronico nello spazio e nel tempo.Diverse e spesso contemporanee estetiche entrano in vigore e durano per qualchedecennio, permeano di se la società, vengono poi sopraffatte.Si assiste in questo campo a qualcosa di simile a quanto accade nella moda: unsuccedersi di estetiche, di stili e di atteggiamenti che riprendono e rivisitanovariabili tratte da altri periodi, le mescolano, le mettono a confronto, le integrano,le associano; c’è un sincretismo formidabile di stili, un ritornare al Passato, unrendere attuale e moderno ciò che era tradizione.Un eclettismo totale.

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La confusione, che è evidente in campo filosofico e nel campo delle scienze umane,deriva essenzialmente da questo: i punti di riferimento di singole estetiche concui interpretare l’esistente vengono meno e ci si trova di fronte a una molteplicitàdi estetiche o ad estetiche che comunque implicano la molteplicità, (tra questeestetiche c’è da annoverare la scienza e le sue diverse interpretazioni), le quali nonpossono ambire a costituire un unico punto di riferimento per il ragionamentoe per l’analisi.Questo stato di cose permane anche in politica: non solo quindi nella teoria dellescienze umane, ma anche nella prassi.Nella prassi, cioè nel succedersi quotidiano della vita, si assiste a nient’altro che adun implicarsi reciproco e successivo di estetiche.Il tornare alla ribalta di approcci mistico-teologici con cui interpretare la realtà è unodei tanti possibili stili, modi, mode per concepire l’attività conoscitiva dotatandoladi senso.E abbiamo visto quale rapporto abbia tale situazione con l’attività del consumo.Da questo punto di vista, ciò che Severino chiama dominio dell’apparatoscientifico-tecnologico come esito della metafisica occidentale, a mio parere èsoltanto il mondo con cui la storia attuale influisce sulle molteplici estetichedisponibili.

Vale a dire, la storia, le modalità dello sviluppo storico collettivo nelle societàmoderne, influiscono oggi proprio attraverso la scienza, sulle singole estetiche.Tanto è vero che sistemi differenti e situazioni differenti implicano comunque ein ogni caso, secondo una certa prassi consolidata e ritenuta assolutamenteindispensabile, l’utilizzo della scienza per il raggiungimento dei propri fini.(Vedi come si tenda a pubblicizzare il messaggio evangelico).Ma è vero anche che dentro la stessa scienza esistono molteplicità di stiliinterpretativi, molteplicità di estetiche anche dentro la scienza, anche dentro ciòche pretende di essere fuori dai campi, in quanto fonda, essa stessa i campi dianalisi.L’apparato concettuale e tecnico della scienza e della tecnologia non è così uniformecome lo si vorrebbe rappresentare; dentro tale apparato giocano e continuano adarsi contraddizioni tra differenti prospettive estetiche.La scienza, in questo senso, sembra non rappresentare altro che ciò che nel medioevo ha rappresentato la teologia: l’involucro complessivo, il metavalore, cheraccorda ogni possibile atteggiamento che pretenda di essere in qualsiasi modo“sensato”..

All’interno dell’apparato teologico e della situazione di dominio imposta esostenuta da questa estetica (quella della scolastica, ad esempio) si sono comunquedate delle contraddizioni, antagonismi e lotte intestine dai caratteri non raramentedirompenti.I vari concili che si sono succeduti, le varie encicliche, le infinite eresie, ecc. ne sono

valida dimostrazione.Cio’ avvviene anche oggi.Dentro la teologia attuale che è la scienza, e fuori di essa.

In questa prospettiva, quello che Severino definisce come il dominio della scienzae della tecnica, io direi, diversamente, che si tratta del dominio dell’ idea di scienzae tecnica come capacità di interpretazione oggettiva dell’essente, che pretende diessere definitiva, perlomeno dal punto di vista del metodo, non per forza deirisultati, i quali restano pur modificabili proprio in forza della modificabilità delleteorie scientifiche.Quello che definisce come assoluta e dominante questa logica è in sostanza,l’interpretazione del metodo scientifico come metodologia che pretende di essereesaustiva, cioè di esaurire tutte le possibili vie della conoscenza umana.

E’ l’idea cioè, che il metodo logico-matematico, il metodo analitico, siano glistrumenti fondamentali per interpretare il mondo e dotarlo del caratteredell’oggettività.Più che di dominio della scienza e della tecnologia si dovrà dunque parlare deldominio di una epistemologia, di una certa filosofia della scienza.E’ evidente che il problema è proprio qui: questa visione si pone al di fuori delcampo estetico e cerca di fondarne un altro autonomo, che non è neanche uncampo etico -ed è qui la forza della scienza e della tecnologia come epistemologia-, ma un campo ulteriore che è quello dell’ oggettività come cosa che pertiene nèall’ estetica, nè all’etica, ma che diventa addirittura comprensivo di esse, che leingloba e che quindi pretende di leggere l’etica e l’estetica alla luce dei suoistrumenti, dei suoi metodi, innanzitutto riducendo tali campi a campi diosservazione composti di variabili già filtrate -”purificate”- dal metodo.

Riuscire a ridefinire scienza e tecnologia invece come qualcosa di assolutamentepertinente al campo estetico, come d’altra parte qualsiasi altra manifestazionedell’agire umano su questo pianeta, costituirebbe una delle grandi rivoluzionidemocratiche e “positive” del millennio che sta per iniziare.

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UN MODALITA’ DI CRITICA ESTETICA DELLA SOCIETÀ

A rigore non dovrebbe essere necessario formulare interpretazioni analitiche suaspetti o campi delle società.A rigore, potrebbe darsi la possibilità di criticare/interpretare la società com’è, conun metodo puramente estetico.E’ il metodo del cosiddetto “luogo comune”, o se vogliamo è il metodo dellacritica degli anziani, dei vecchi, quando, parlando del mondo attuale, (che non èpiù il loro), si chiedono: ma dove sta la bellezza di questo mondo ?Dove sta la bellezza che può essere vissuta con gli occhi, con il gusto, con il tatto,con l’udito ?

Dove stanno quelle pietanze, quegli odori, quei rumori lievi del tempo che fu ?C’è in ciò la nostalgia della giovinezza dei vecchi, c’è il sentimento di un tempodefinitivamente trascorso.Ma c’è anche dell’altro.Oggi, la fantasmagoria dei tempi attuali impone un senso sesto con cui interpretare(giustificare) il presente: la luccicanza delle città e delle fabbriche, la seduzione delleinfinite merci, ecc.: la civiltà della scienza e della tecnologia si afferma dentro il sestosenso della funzionalità, del concetto, dell’analisi. Un sesto senso che ormaisopravanza i restanti, dei quali solo poche tracce rimangono.

Ma se si va alla periferia della scienza, della città, della civiltà, nelle favelas del terzomondo, cosa dedurrà il sesto senso analitico e giustificante la funzionalità deltempo che corre ?

Cosa potrà affermare degli aromi acidi emananti dalle grandi torri di compensazionedelle grandi multinazionali della chimica ? Quale concetto potrà giustificare ilseccarsi delle piante secolari ? Quale analisi progressiva saprà legittimare questotipo di progresso ?Quali antidoti e quali analisi alternative che utilizzino la stessa lingua potrannometterlo in discussione ? Verrà in nostro soccorso l’analisi contestuale o quellacosti/benefici ? Utilizzeremo le analisi statistiche o quelle preorientate dallacertezza che il nostro sviluppo è ancora imperfetto e che quindi bisogna fare altrescoperte che lo perfezionino ?Un uomo vecchio potrebbe semplicemente dire che tutto questo non va beneperchè puzza, perchè non accontenta l’occhio o il palato, perchè urta l’orecchio.In ciò direbbe cose naiv, luoghi comuni, ma in definitiva direbbe le cose finali einiziali che orientano qualsiasi analisi e qualsiasi ricerca.Agirebbe in modo estetico, utilizzando gli stessi strumenti che determinanol’analisi successiva dello scienziato, del ricercatore.Una critica è possibile senza analisi concettuali o categoriali. Una critica anzi è

sempre profondamente ed essenzialmente estetica. Una interpretazione, anche.Un’analisi non può che essere solo la ricerca della conferma a tale intuizione estetica.E l’intuizione è, solitamente, un’evidenza. Solo questa opportunità fonda lapossibilità di una società democratica.L’altra è un’opportunità tecnocratica ed ideologica.

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pubblicità della Coca-Cola è in grado di superare le barriere culturali dipopoli diversi.

In altri termini, riesce a ridefinire una sorta di interclassismo nuovo chesostituisce alla ecumenicità del medium costituito dal cattolicesimo, ilmedium ecumenico della seduzione pubblicitaria. La pervasività delmetodo è superiore alla precedente in forza soprattutto della elasticità/flessibilità che gli è connaturata. La ideologia è ferma; la pubblicità èinvece in grado di evolversi in tempo reale parallelamente allemodificazioni culturali del corpo sociale.In ciò consiste la modernità dell’approccio berlusconiano. Ed è questoil compimento di un’ ipotesi per la quale Bettino Craxi si era battuto pertre lustri, senza riuscirvi, stretto com’era in un abito modificabile solofino ad un certo punto: l’abito socialista.

Corollario di quanto sopra è il superamento della composizione dellaleaderschip sulla base della capacità di convincimento dell’elettorato permezzo di argomenti razionali. Quando Berlusconi parla, non deveconvincere proprio nessuno; ciò che dice è il portato della ricerca dimercato politico, e quindi egli non è altro che un attore che enuncia gliargomenti a cui il corpo elettorale ha già risposto positivamente. Eglisi limita a vendere un prodotto (Forza Italia) che è già stato sperimentatonelle diverse simulazioni a campione e che ha già acquisito un gradimentopercentualmente noto.

La lotta politica quindi da questo punto di vista può ben riassumersi sulpiccolo schermo del quale egli controlla pezzi rilevanti.In questo senso avevano ragione i macchiettisti di “Tunnel” a dire cheil risultato delle elezioni del 27/28 marzo altro non era che la sconfittadel buon senso e la vittoria delle mortadelle e dei prosciutti.Cioè la battaglia politica si definisce sempre più come vendibilità delprodotto, come capacità di piazzare il prodotto politico.In altre parole, Berlusconi sancisce l'irruzione definitiva della logica dimercato in campo politico, fatto questo che doveva per forza di coseaccadere visto che già da tempo la cultura e l'informazione si eranostrutturate come mercato.

La commerciabilità di un prodotto, com’è noto è affidata alla capacitàdi far valere le sue caratteristiche nei tempi brevi.I tempi lunghi non servono al venditore. I magazzini devono svuotarsi

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Epilogo (marzo 1994)

La vittoria di Berlusconi è la vittoria della politica come estetica e comemarketing. Teoria e prassi diventano rispettivamente immagine televisivae metodo scientifico di rilevamento dei dati.

Politica come estetica significa politica che trova il proprio fondamentonon più nella intrinseca razionalità del progetto, (razionalità dellapolitica), cioè nella capacità del progetto politico di parlare all’animalesociale razionale, quanto invece nella capacità di seduzione del corposociale.Da questo punto di vista Berlusconi avrebbe potuto ottenere un grandesuccesso elettorale (come d'altra parte ha ottenuto) anche prescindendodagli argomenti/slogan utilizzati in campagna elettorale.

Politica come marketing significa invece (ma è complementare), che glistrumenti analitici e operativi del marketing vengono messi al serviziodel messaggio politico nel senso che il progetto politico viene informatodai parametri costitutivi di questa scienza sociale.Vale a dire che il messaggio/programma viene edificato tenendo contodei risultati ottenuti dal rilevamento. I messaggi saranno alloraestremamente semplificati, poichè debbono essere universalmentepercepibili e condivisibili; così anche i programmi.Non c’è più quindi una valenza “razionale/oggettiva” del messaggio.Gli argomenti potrebbero essere i più disparati, purchè la percepibilitàe condivisibilità siano massime.

Il segmento di mercato a cui rivolgersi è talmente ampio in politica, cheil messaggio deve far valere tutte le opportunità possibili unificandoli inmacroslogan capaci di cogliere nei meccanismi più reconditi e privatidell’animale sociale.(Da tener presente che infatti Berlusconi tenta la carta di mettere insiemeil diavolo e l’acqua santa, per così dire, cioè il massimo delle aspirazioniassistenziali del meridione col massimo delle aspirazioni liberistiche delsettentrione, o, in altra prospettiva, il massimo di volontà accentratrice,col massimo di volontà federalista/secessionista: Alleanza nazionale eLega).

Puntando su questo obiettivo il cavaliere struttura un messaggioconcertato che supera le divisioni nello stesso modo in cui una

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nel tempo più breve possibile e in prospettiva i magazzini devonoscomparire. Lean production politica significa il massimo di ancoraggioal presente, alla domanda di mercato, nessuna chance per progetti diampio respiro e a tempi lunghi di realizzabilità che sarebbero tropporischiosi e di difficile percezione.

I grandi disegni sono banditi. Si venda prima possibile. L’importante èrealizzare. Cosa fare: il mercato chiede lavoro ? noi vendiamo unmilione di nuovi posti di lavoro in due anni !Più o meno come: le rughe sulla pelle significano invecchiamento ? noivi vendiamo un cosmetico che in due settimane vi ridona la giovinezza!Come si comportava la sinistra nel frattempo ? I progressisti si eranodati un programma serio, irto di chiarezza e razionalità; un programmache prometteva sacrifici in vista di un successivo superamento delledifficoltà presenti. Il risultato, la godibilità di tale azione era riservata alfuturo. Un programma dunque di buon senso, dignitoso e da digerirerazionalmente. Un programma che probabilmente avrebbe avutobisogno di un altro mercato o di un altro posizionamento; sarebbeprobabilmente andato bene per un paese diverso, ma non eraevidentemente adatto per l’Italia del 1994.

Si parla oggi, a sinistra di una carenza di leaderschip, della necessità diun avvicendamento alla guida della sinistra che tuttavia ha ottenuto unrisultato consistente.

Ma il problema è forse soltanto che un prodotto “buono” come quelloespresso dalla sinistra in questa occasione è gradito ancora solo ad unaminoranza. Un pò come succede per i prodotti alimentari biologici.Allargare la fetta di mercato è operazione dai tempi medio-lunghi edha a che fare con una capacità non solo di penetrazione, ma anche esoprattutto di "ri-creazione" del mercato, cioè come in altri termini siesprimeva Gramsci, sulla possibilità di riacquisizione di una egemoniaculturale.Come ciò sia possibile è il problema della sinistra, (non soltanto in Italia)la quale ha a suo svantaggio l’handicap di credere oggi nella razionalità-astratta- del consenso, cioè in altri termini, in un mercato perfettamenteconcorrenziale dei progetti politici razionali.

La grande crescita dei movimenti e dei partiti della sinistra nell’arco del

secolo si è fondata invece in gran parte sulla capacità di vendere unfuturo radioso. La capacità seduttiva delle masse portata all’eccessonell’epoca delle televisioni e delle immagini è riassumibile proprio nellacapacità di vendere una realtà virtuale come oggettiva.E sembra che ormai molti convengano sul fatto che l’unica realtà checi resta -nel progressivo disfacimento del tessuto di rapporti socialiquotidiani- è proprio quella virtuale dello schermo televisivo.

Vendere il Paradiso, paradossalmente, è di nuovo di moda. Berlusconisi è sostituito ai maestri, superandoli.Berlusconi è in qualche modo un genere spurio di moderno marxista.E il suo schema di partito-movimento strutturato territorialmente incorrispondenza delle filiali della sua holding, la Fininvest, non è poitroppo lontano dal quello di partito-guida, elite, avanguardia...: di checosa è problema che ci riguarderà.

I tempi lunghi della sinistra.

La progettualità espressa dalla sinistra ha bisogno, per affermarsi, ditempi lunghi. E’ chiaro per esempio, che non sarebbe concepibilepensare la ristrutturazione ecologica dell’economia in tempi medio-brevi. Ampie progettualità necessitano di tempo e necessitano anchedella disponibilità del corpo sociale di porsi in un atteggiamentoprospettico, rivolto verso il futuro, verso le generazioni future.

Ma cosa accade nei tempi lunghi della sinistra ? Accade che le variabiliche incidono sulla cultura della società variano, e variano ancor piùvelocemente nell’epoca dei mass-media, i quali costituiscono un contestovirtuale e fluente che è sempre più dotato di oggettività. Il progetto diper sè, da solo, non è in grado di realizzare una egemonia culturale nellasocietà, poichè esso non è che un pezzo dell’infinità delle informazionie delle possibilità, e come succede per i prodotti (anche spesso per imigliori) rischia di perdersi nell’infinita molteplicità delle merci.La variabilità culturale diventa dunque controllabile e gestibile solo neitempi brevi, e i tempi brevi della politica sono misurabili con glistrumenti statistici di cui il marketing costituisce una sintesi formidabile.

I progetti di riforma delle società sono cioè strutturalmente svantaggiatirispetto ad una politica che ammette come propria unica finalità la

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gestione dell’esistente attraverso la verifica continua del consenso permezzo dei rilevamenti doxa, ecc.Per un tal genere di approccio, quindi, si tratta soltanto di governare ilcorporativismo sociale mantenendo tendenzialmente intatta lapercentuale di consenso necessaria al mantenimento del potere.La politica berlusconiana dovrà essere probabilmente questo, cioè lapolitica dello staff di esperti di marketing sociale e politico che loaffiancheranno: una politica che si ridurrà sostanzialmente a statistica.

Quali gli effetti presumibili di questa politica ? Tra i tanti possibili, unoenorme per portata e per conseguenze: l’atomizzarsi indefinito deltessuto sociale, che potrebbe portare alla definitiva perdita di identitàdelle aggregazioni e dei gruppi e all' assottigliarsi del dialogo/conflittotra le diverse formazioni sociali. La tecnica del rilevamento infatti, è diper sè puntata sul soggetto, a prescindere dalla sua appartenenza diclasse. Le aggregazioni dei dati permettono una ricomposizione deibisogni e della domanda sociale che va decisamente al di là dellastrutturazione delle classi secondo parametri di reddito o di status.

In questo contesto Berlusconi si presenta (già ora) come il grandeprincipe che supera la destrutturazione del tessuto sociale e gestiscel’ingestibile moltiplicazione dei bisogni e degli interessi.

I risultati della sua azione non avranno -se non marginalmente-alcuncarattere di eticità o razionalità da rinvenirsi in qualche principio guidainformatore (che come il nome del suo movimento-partito indica, è deltutto assente), ma semplicemente saranno legittimati dal mantenimentodella percentuale di consenso -verificata in tempo reale e magari resapubblica sulle sue televisioni- necessaria al mantenimento del potere.In questa ottica egli potrà ben essere additato come colui che sacontinuamente rispondere ai bisogni -anche i più diversificati- cheemergono dal sociale.A rigore, potrebbe ridiventare statalista, ove i rilevamenti lo richiedessero,e d’altra parte non perderebbe una goccia di potere, anzi !Forza Italia è l’incitamento a questa trasversalità totale, così accentuatache non ha referenti di sorta, se non sè stessa.L’autoreferenzialità dello slogan è già il programma. Una ecumenicitàlaica sarà il suo stile.L’accusa di inevitabile incoerenza in cui dovrebbe incorrere il Cavaliererispetto alle promesse fatte in campagna elettorale (meno tasse e più

posti di lavoro), lascia in questo quadro, il tempo che trova, poichèl’importante sarà poter dimostrare che a tempi diversi devonocorrispondere misure diverse nell'interesse del bene comune. Ciò cheera vero e necessario ieri può non esserlo oggi e può ritornare ad esserlodomani.Purchè la percentuale di consenso necessaria al mantenimento delpotere (audience) resti intatta. Ed i mezzi per farlo non mancano dicerto al cavaliere. Attestarsi su questa posizione di critica sarà quindipoco produttivo per i progressisti, poichè di rimando essa può esserefatta oggetto di accuse di astrattezza e di scarsa considerazione per ilconcreto dispiegarsi delle situazioni economico-sociali. (non consisteinfatti in ciò il realismo politico ?)

L’evento elettorale di marzo può dunque a buon titolo essere assimilatoa quanto avvenuto in campo economico con l’introduzione dei processidi automazione flessibile gestiti dai calcolatori e automodificantesi inrelazione alle richieste che emergono dal mercato.

Il passaggio da produzione di massa a produzione automatizzata eflessibile può costituire un buon paragone per capire cosa è successo colvoto italiano: basta sostituire politica alla parola produzione.

La produzione di massa, orientata da bisogni di massa visibilmentemateriali (p.es. la mobilità è stato il bisogno elementare imperante delmiracolo economico ben rappresentata in Italia dalla famosa Fiat-600),si trasforma in produzione orientata a bisogni sempre più parcellizzatie a forte contenuto “spirituale” (il bisogno di mobilità diventa il bisognodi una mobilità particolare, più o meno confortevole e tagliata sull’esigenzaindividuale: gamma imponente di fiat-uno -oltre 45 modelli-, ed anchestation-wagon, tetto apribile, sedili ribaltabili, colori e tessuti, ecc.).

In politica questo potrebbe voler dire: non più grandi progetti rigidi, mainfinità di progetti e misure sempre più particolari a seconda dellapercentuale di atomizzazione raggiunta dal mercato della politica. Dalpartito di massa, per la verità scomparso ormai da qualche tempo, sipassa al partito flessibile non solo come struttura, ma anche comecontenuti e progettualità. Un processo di liberazione delle energiesociali e politiche che era iniziato a sinistra, viene portato a compimentocon grande spregiudicatezza dalla destra giungendo a toccare ilfondamento stesso della politica: cioè il confronto/dialogo tra posizioni

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diverse e definite.

La visione classica della sinistra appare del tutto tagliata fuori, superatadalla sua stessa rigidità.Chissà che una funzione progressiva non possa invece tornare adaquisire un -per la verità improbabile- approccio anarchico !“Liberismo” significa infatti essenzialmente questo, nell’immaginariocollettivo: libertà dalle rigidità, burocratiche, etiche, ideologiche, di ognisorta. (Ma non ancora del capitale il quale invece continua a rappresentarel'ossatura naturale della società).

In questa chiave, Berlusconi interpreta un bisogno tipico della modernitàed ha in un certo senso ragione il grande trasformista Pannella a dire chela sinistra è conservatrice.In linea teorica infatti, il poter rispondere alla varietà dei bisogni tipicadella società post-moderna è indice di grande innovazione ed è ancheindice di rispondenza reale ai bisogni senza le mediazioni ideologiche efinalistiche caratteristiche del passato. In un certo senso significa anchemaggiore democrazia, laddove il nuovo potere fornisce risposte allavarietà della domanda realizzando un prodotto politico continuamenteadattabile ed apparentemente non subalterno a logiche precostituite.

La modernità dell’approccio berlusconiano viene fuori anche da altrecose: per esempio dal fatto che la rappresentanza politica appare inForza Italia portata da personaggi che non sono più i politici classici, mainvece da uomini e donne pescati nel sociale. L’animale politico vienesostituito dall’animale produttivo (per eccellenza l’imprenditore, illibero professionista) prestato alla politica.Questa vicinanza dell’uomo produttivo alla società mette in penombrail paleopolitico di professione vissuto come facente parte di una verae propria casta lontana dalle situazioni reali e tendenzialmente disponibilealla corruzione.Il linguaggio usato da questo nuovo animale è per lo più un linguaggiosemplice, alla portata di tutti (e questa non è innovazione da poco), conscarsa propensione all’approfondimento razionale e riflessivo, e conspiccata tendenza all’utilizzo di luoghi comuni immediatamentepercepibili.Naturalmente la scienza della comunicazione sostiene e orientametodicamente questo approccio, ma ciò che dall’esterno viene percepitoè l’assoluta familiarità dei discorsi, anche negli accessi irosi di uno Sgarbi

o di altri consimili i cui esercizi preferiti consistono proprio nell’umiliazionedell’animale politico.

Naturalmente gli anni ’80 hanno fornito tutte le basi e il training a chetale approccio diventasse accettabile, dispiegando una vera e propriaegemonia culturale, o sub-culturale, mediata dall’immagine televisiva ilcui contenuto di edonismo misto ad una parodia della cultura diimpresa non ha pari, almeno in Europa, per pervasività e forzaannientatrice dei punti di riferimento critici.

La "metodologia berlusconiana" non è però di per sè conservatrice oreazionaria. Tale diventa dal momento in cui l’utilizzo dei media haorientato e continua ad orientare la domanda su categorie regressive:l’approccio pubblicitario autoreferenziale che viene cucito sulladimensione politica fa corrispondere tendenzialmente la cultura politicaall'essenza stessa della cultura mediata dalla pubblicità: una cultura di cuiforma e immagine sono il nocciolo.Il contenuto politico diventa qualcosa che assomiglia alla stessa pasta diquello rinvenibile nell’immagine sofisticata e seducente dei prodotti; ènoto che alla pubblicità non interessa la qualità del prodotto, masoltanto la forma, l’involucro. La politica berlusconiana è una politicaestetica perchè non ha contenuto se non quello che essa sa darsi comeimmagine. E’ in ciò la sua forza dirompente in quanto potrà assumeredi volta in volta i contenuti più desiderati e richiesti, proprio perchèl'importanza dei contenuti in questa chiave diventa marginale, posticcia,rispetto alla forma.

Forza Italia non sottolinea infatti nessun attributo che permetta diindividuarne una collocazione precisa. Si presenta come patrimonio ditutti. E’ un invito a procedere con determinatezza. In quale direzionenon viene esplicitato. Sarebbe infatti riduttivo, posizionerebbe il prodottoin una nicchia, non gli permetterebbe di spaziare.

Berlusconi è l’interprete più vero della oggettiva trasversalità deisoggetti nelle società postmoderne.In questa sua grande capacità egli si caratterizza come l’uomo dellaprovvidenza. Potrebbe ottenere grandi risultati se avesse una identità,ma siccome il tempo delle identità è concluso, egli interpreterà il ruoloche chiunque altro al suo posto potrebbe giocare: farsi i propri affari,promettendo agli altri di creare le condizioni per fare altrettanto.

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NoteMa dal metodo berlusconiano si può imparare molto; anche a ricordare,visto che il fondamento del marketing risiede nelle scienze sociali, di cuicom’è noto, Marx è stato uno dei padri.

Ed anche nell’organizzazione e nella prassi del suo movimento si puòtrovare materia di riflessione: non ha forse questo partito di funzionariFininvest, qualche remota somiglianza con quelle avanguardierivoluzionarie che nei paesi islamici della nascente Unione Sovieticainiziavano e concludevano i loro comizi con la frase: Hallah è grande ?!

Nel loro piccolo questi venditori tirati a lucido con la divisa bluconciliano mafiosi e piccoli imprenditori del nord, operai sottopagatie grandi finanzieri, dipendenti ministeriali e giovani desiderosi diaffermarsi o semplici tifosi del Milan. La loro ideologia non c'è. Moltitra quelli che li sostengono non li stimano. Ma essi rappresentano lalogica estetica, gratuita, del capitale, così drasticamente vuota che risultariempibile con ogni immaginabile contenuto soggettivo.Il mondo strabiliante delle merci in questo modo diventa istituzione.

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