TESI DOTTORATO Il coinvolgimento polmonare nelle...

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IL COINVOLGIMENTO POLMONARE NELLE CONNETTIVITI Dott.ssa Giulia Seminara 1

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IL COINVOLGIMENTO POLMONARE NELLE

CONNETTIVITI

Dott.ssa Giulia Seminara

1

INDICE

INTRODUZIONE pag. 3

LE INTERSTIZIOPATIE POLMONARI

Definizione e classificazione pag. 6

Patogenesi pag. 27

Diagnosi pag. 29

LE CONNETTIVITI pag. 38

LA SCLERODERMIA

Definizione ed epidemiologia pag. 42

Patogenesi pag. 43

Clinica pag. 47

Terapia pag. 54

Coinvolgimento polmonare pag. 58

Ipertensione polmonare pag. 78

2

L’ARTRITE REUMATOIDE

Generalità pag. 99

Coinvolgimento polmonare pag. 104

Coinvolgimento pleurico pag.117

Terapia pag. 120

IL LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES) pag. 123

LA SINDROME DI SJOGREN pag.129

STUDIO CLINICO pag. 133

CONCLUSIONI pag. 151

BIBLIOGRAFIA pag. 152

3

INTRODUZIONE

Le connettiviti sono malattie reumatiche autoimmuni sistemiche,

caratterizzate da un frequente coinvolgimento dell’apparato muscolo-

scheletrico, a patogenesi autoimmune e con un esteso coinvolgimento

tissutale. Le principali connettiviti sono:

• il lupus eritematoso sistemico (LES);

• la sclerosi sistemica progressiva o sclerodermia (SSc);

• la polimiosite-dermatomiosite (PDM);

• la sindrome di Sjögren primitiva (SSp);

• l’artrite reumatoide (AR);

• la connettivite indifferenziata;

• le connettiviti da sovrapposizione, di cui la più frequente è la

connettivite mista (CM) o sindrome di Sharp.

Tali patologie sono caratterizzate dal coinvolgimento sistemico, con

interessamento di più apparati, e tra questi dell’apparato respiratorio.

Le connettiviti che con maggiore frequenza si associano a

manifestazioni polmonari sono la sclerodermia e l’artrite reumatoide.

4

In particolare, nella sclerodermia è frequente il riscontro di un

processo di infiammazione e/o fibrosi del parenchima polmonare del

tutto simile a quello che si riscontra nelle forme di interstiziopatie

polmonari idiopatiche, e che può accompagnarsi o meno a uno stato di

ipertensione polmonare; nell’artrite reumatoide è frequente la

presenza di interstiziopatia polmonare ma anche la comparsa di un

coinvolgimento pleurico.

Le lesioni a carico dell’interstizio, e soprattutto della membrana

alveolo-capillare, sono rappresentate dalla sostituzione del normale

tessuto polmonare con tessuto fibrotico, quindi dal progressivo

ispessimento della membrana alveolo-capillare, che rendendo difficili

gli scambi gassosi porta più o meno rapidamente all’insufficienza

respiratoria.

L’interstiziopatia polmonare (IP) può manifestarsi sia come

complicanza, che come prima manifestazione di una connettivite,

mimando in questo caso una fibrosi polmonare idiopatica. E’

necessario quindi, nell’approccio al paziente con IP, partire da una

buona anamnesi che possa permettere l’esclusione di altre cause note

di fibrosi polmonare; proseguire con un attento esame obiettivo, volto

alla ricerca di segni caratteristici delle connettiviti, quali dolori

5

articolari, mialgie, sinoviti, fenomeno di Raynaud o sclerodattilia;

cercare eventuale conferma della diagnosi negli esami di laboratorio e

nella positività agli autoanticorpi. Sarà inoltre indispensabile valutare

l’entità del coinvolgimento polmonare con i test di funzionalità

respiratoria, quali la spirometria, la diffusione alveolo-capillare

(DLCO) e test da sforzo, come il test del cammino che, essendo esami

non invasivi, possono essere ripetuti più volte nel tempo, consentendo

anche il controllo a distanza di questi pazienti.

Nei pazienti in cui, sulla base degli esiti degli esami precedenti, si è

rafforzato il sospetto di fibrosi polmonare è di fondamentale

importanza l’esecuzione della tomografia computerizzata ad alta

risoluzione (HRCT) alla ricerca di pattern parenchimali caratteristici,

utili nella diagnosi e nella ulteriore definizione della malattia.

E’ comunque importante nell’iter diagnostico, sia delle IP come delle

connettiviti, tenere conto della loro possibile associazione che può

influenzare sensibilmente l’iter diagnostico, la terapia e la prognosi di

questi pazienti. A tal fine è spesso necessario utilizzare un approccio

multidisciplinare che, oltre allo pneumologo, deve avvalersi di altre

competenze sia di tipo medico che chirurgico.

6

LE INTERSTIZIOPATIE POLMONARI

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

Le interstiziopatie polmonari sono un gruppo eterogeneo di patologie

caratterizzate dall’infiammazione e/o dalla fibrosi dell’interstizio

polmonare. Originariamente furono classificate sulla base dei loro

pattern istologici in gruppi clinicamente rilevanti per sottolineare

come ciascuna potesse insorgere in una grande varietà di contesti

clinici. Nel 2002, l’American Thoracic Society (ATS) e L’European

Respiratory Society (ERS) hanno revisionato la classificazione

originaria e hanno introdotto il termine di malattia diffusa del

parenchima polmonare (DPLD) in sostituzione del termine

interstiziopatia polmonare (IP) per sottolineare come il parenchima sia

il primo sito danneggiato e per distinguere le DPLD dalle condizioni

polmonari con prevalente interessamento delle vie aeree e dei vasi

sanguigni. Le linee guida suddividono questi disordini in 4 gruppi:

• DPLD rare;

• DPLD granulomatose ( sarcoidosi);

7

• DPLD da cause conosciute ( da farmaci, da connettivopatie, da

esposizione ambientale e lavorativa)

• DPLD idiopatiche.

Tra le DPLD rare rientrano la proteinosi alveolare, causata

dall’accumulo endoalveolare di materiale lipidico e proteico

probabilmente conseguente ad un’iperproduzione di surfattante

alveolare da parte delle cellule alveolari di II tipo (granulari) ed alla

successiva compromissione funzionale dei macrofagi alveolari, che

fagocitano grandi quantità di tale sostanza; l’istiocitosi a cellule di

Langerhans (granuloma eosinofilo),caratterizzata da accumuli

localizzati di istiociti (cellule anomale di Langerhans) con aspetto

anomalo in varie sedi corporee.

Tra le DPLD granulomatose la forma più rappresentativa è la

sarcoidosi o reticoloendoteliosi benigna, o malattia di Besnier-Boeck-

Schaumann. E’ una malattia granulomatosa cronica, ad evoluzione

sistemica, la cui eziologia è tuttora sconosciuta. Tale disordine può

colpire qualsiasi organo, anche se le più comuni sedi di localizzazione

sono i linfonodi (in particolare quelli intratoracici), i polmoni, il fegato

e la milza, la cute e l’occhio (2).

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Nelle DPLD da cause conosciute rientrano le pneumopatie

professionali, le connettivopatie e le DPLD da farmaci.

Le pneumopatie professionali si sviluppano in soggetti esposti

nell’ambiente di lavoro a particelle inorganiche, gas, radiazioni,

metalli. Un caso particolare di pneumopatia professionale da

inalazione cronica di gas è quello dei riempitori di silos, esposti

cronicamente al biossido di azoto che si forma durante la

fermentazione dei foraggi ivi contenuti.

La più frequente pneumopatia professionale è quella causata da

polveri inorganiche soprattutto da composti silicei (biossido di silicio

ed altri silicati, composti dall’associazione del silicio con minerali

diversi), e sono anche denominate pneumoconiosi. In base al

potenziale fibrogenico degli agenti inalati, le pneumoconiosi vengono

anche suddivise in non collagenosiche (siderosi, antracosi),

clinicamente meno gravi, e collagenosiche (silicosi, asbestosi, talcosi,

berilliosi, alluminosi), che sono responsabili delle forme

prognosticamente più sfavorevoli.

L’irradiazione del polmone è una ben nota causa di pneumopatia

diffusa interstiziale e si verifica più comunemente dopo cicli di

radioterapia su neoplasie toraciche (carcinoma mammario, linfoma,

9

ecc.). La probabilità di sviluppare una pneumopatia interstiziale è in

questi casi correlata al volume polmonare irradiato ed alla frequenza

di somministrazione. Generalmente le lesioni fibrotiche insorgono

dopo 4-6 mesi dall’irradiazione. È doveroso sottolineare che esiste un

preciso sinergismo tra farmaci citostatici, ossigenoterapia e

radioterapia nel determinare l’insorgenza di fibrosi polmonare.

Numerosi metalli sono in grado di produrre lesioni polmonari gravi ed

irreversibili. Ciò si verifica generalmente in lavoratori esposti

cronicamente all’inalazione dei vapori di questi metalli allo stato di

fusione. Tra i più frequentemente implicati in patologie respiratorie si

ricordano l’alluminio, l’antimonio, il cadmio ed il berillio.

Le lesioni prodotte a carico dell’interstizio polmonare da parte del

berillio sono di tipo granulomatoso, con aspetto similsarcoidotico,

probabilmente come conseguenza di un coinvolgimento della

immunità cellulo-mediata nei pazienti esposti.

Numerosi farmaci sono in grado di determinare un processo di fibrosi

interstiziale polmonare, generalmente quando assunti in dosi

cumulative alte, anche se sono state descritte reazioni idiosincrasiche,

non dipendenti dalla dose impiegata. È generalmente accettato che le

reazioni polmonari da farmaci siano la conseguenza di fenomeni di

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ipersensibilità, che culminano in reazioni immunologiche di III tipo a

livello alveolare ed interstiziale. Tuttavia, almeno in alcuni casi è

possibile che il danno polmonare indotto dal farmaco sia il risultato di

una azione citotossica diretta sull’epitelio alveolare, eventualmente

associata a stimolo alla produzione di collagene. Forme croniche di

ipersensibilità polmonare da farmaci sono talora osservate dopo l’uso

di dosi elevate di chemioterapici antiblastici, farmaci utilizzati nella

terapia farmacologica antitumorale. Tra essi i più frequentemente

responsabili di una tale complicanza sono la bleomicina, il

metotrexate, la mitomicina C, la ciclofosfamide ed il clorambucil. Più

recentemente sono state descritte reazioni analoghe in pazienti che

assumevano penicillamina o sali d’oro. Da non sottovalutare per

l’aumento dei casi di fibrosi polmonare ad esso correlato, è

l’amiodarone. Nelle forme croniche l’esordio è insidioso e la

sintomatologia costituita da dispnea da sforzo e tosse stizzosa; le

prove di funzionalità respiratoria documentano una riduzione globale

dei volumi polmonari ed una ridotta diffusibilità di CO. Queste forme

non sempre sono reversibili e l’unica terapia consiste nell’interruzione

del farmaco responsabile e nella somministrazione di steroidi (2).

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Le DPLD da causa sconosciuta sono un gruppo di patologie

caratterizzate dalla formazione di tessuto fibrotico nell’interstizio

polmonare in assenza di cause conosciute (3).

La ATS-ERS ha stabilito una nuova classificazione delle DPLD

idiopatiche, pubblicata nel 2002, che definisce i pattern morfologici su

cui la diagnosi clinica, radiologica e patologica deve essere fondata.

La fibrosi polmonare include sette entità differenti: la fibrosi

polmonare idiopatica che è caratterizzata dal pattern morfologico della

polmonite interstiziale usuale (UIP); la polmonite interstiziale non

specifica (NSIP); la polmonite criptogenetica organizzata (COP); la

bronchiolite associata a interstiziopatia (RB-ILD); la polmonite

interstiziale desquamativa (DIP); la polmonite interstiziale linfoide

(LIP) e la polmonite interstiziale acuta (AIP). La classificazione è

basata su criteri istologici, ma ciascun pattern istologico è associato ad

un caratteristico pattern alla TC.

Con il termine “fibrosi polmonare idiopatica” si intende la sindrome

clinica associata al pattern morfologico di polmonite interstiziale

usuale(UIP). La UIP ha una sopravvivenza media da 2 a 4 anni, con

una prognosi molto più severa rispetto alle altre forme idiopatiche. Il

paziente tipico con IPF presenta una dispnea ingravescente con tosse

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non produttiva. Non sembra esserci una predilezione di sesso

nonostante ci siano un po’ più casi di malattia tra gli uomini. Il fumo

di sigaretta sembrerebbe essere un fattore di rischio per lo sviluppo

della fibrosi polmonare idiopatica, ma non influenza il corso della

stessa. Di solito i pazienti non rispondono agli steroidi, motivo per cui

ne è sconsigliata la somministrazione, visti i numerosi effetti

collaterali.

Dal punto di vista istologico è caratteristica la presenza di foci

fibroblastici disseminati (figura 1). Il coinvolgimento polmonare è

eterogeneo e vi è alternanza di aree di polmone normale e di aree con

infiammazione dell’interstizio e honeycombing. Eseguendo multiple

biopsie polmonari dallo stesso paziente, si potrebbero ottenere pattern

istologici discordanti tra loro. Il ritrovamento di un pattern UIP è

invece associato ad una prognosi peggiore indipendentemente dalla

coesistenza di altri pattern istologici. Campioni bioptici dovrebbero

sempre esser effettuati da più di un lobo polmonare in tutti i pazienti

con interstiziopatia polmonare e la TC ad alta risoluzione (HRCT)

dovrebbe essere usata come guida per l’indicazione della

localizzazione anatomica del sito della biopsia.

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Figura 1. Distribuzione (a), immagine CT (b), e pattern CT (c) della UIP. Ladistribuzione è subpleurica con un gradiente apicobasale (area rossa in a).L’immagine CT mostra honeycombing (aree verdi in c), opacità reticolari (areeblu in c), bronchiectasie di trazione(area rossa in c), e opacità focali a vetrosmerigliato (area grigia in c).

La radiografia è normale nella maggior parte dei pazienti nelle prime

fasi della patologia. Negli stadi avanzati, la radiografia del torace

mostra un riduzione dei volumi polmonari e opacità reticolari sub

pleuriche che aumentano dagli apici alle basi dei polmoni. Il gradiente

apico-basale è visibile in miglior modo alla HRCT. Il gradiente apico-

basale insieme alle opacità reticolari sub pleuriche e

all’honeycombing macrocistico combinato con bronchiectasie da

trazione, rappresenta un trio di segni altamente suggestivo per UIP.

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La UIP dovrebbe essere considerata in pazienti che presentano volumi

polmonari ridotti, opacità reticolari sub-pleuriche, honeycombing

macrocistico e bronchiectasie da trazione la cui estensione aumenta

dagli apici alle basi dei polmoni. Nel paziente tipico con UIP, la

malattia è molto più estesa nelle sezioni basali. Opacità a vetro

smerigliato sono presenti nella maggior parte dei pazienti con UIP ma

sono solitamente limitate per estensione. Le lesioni riscontrabili alla

TC sono eterogenee, con aree di fibrosi alternate ad aree di polmone

normale. In pazienti che presentano la caratteristica distribuzione e il

tipico pattern alla TC ad alta risoluzione (HRCT), la diagnosi può

essere posta senza bisogno di ricorrere alla biopsia polmonare. La

ATS-ERS ha definito otto criteri maggiori e minori per la diagnosi di

fibrosi polmonare idiopatica in assenza della biopsia chirurgica, che

sono riportati nella tabella seguente.

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ATS-ERS Criteria for Diagnosis of IPF in the Absence of Surgical Lung

Biopsy

Major criteria

• Exclusion of other known causes of interstitial lung disease (eg, toxic

effects of certain drugs, environmental exposures, and connective

tissue diseases)

• Abnormal results of pulmonary function studies, including evidence of

restriction (reduced vital capacity, often with an increased FEV1/FVC

ratio) and impaired gas exchange (increased Pao2 _ Pao2, decreased

Pao2 with rest or exercise, or decreased Dlco)

• Bibasilar reticular abnormalities with minimal ground-glass opacities at

high-resolution CT

• Transbronchial lung biopsy or bronchoalveolar lavage shows no

features to support an alternative diagnosis

Minor criteria

• Age _ 50 y

• Insidious onset of otherwise unexplained dyspnea on exertion

• Duration of illness _ 3 mo

• Bibasilar inspiratory crackles (dry or “Velcro” type)

La biopsia andrebbe eseguita per conferma istologica in tutti i pazienti

con lesioni atipiche, come opacità a vetro smerigliato estese, noduli,

zone di consolidazione o una distribuzione prevalentemente

peribroncovascolare.

La NSIP è meno comune della UIP ma è uno dei più comuni riscontri

istologici in pazienti con interstiziopatia polmonare. I sintomi sono

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molto simili a quelli dei pazienti con fibrosi idiopatica ma solitamente

più lievi. I pazienti lamentano una graduale e ingravescente dispnea da

molti mesi e perdita di peso. Non vi è predilezione di genere e il fumo

di sigaretta non è un ovvio fattore di rischio nello sviluppo della NSIP.

La terapia è basata sull’uso combinato di corticosteroidi e farmaci

citotossici come la ciclofosfamide e la ciclosporina, buona parte dei

pazienti si stabilizza o và incontro a notevole miglioramento. Il quadro

morfologico della NSIP, pur essendo in molti casi di natura idiopatica,

rappresenta il quadro morfologico più frequente nelle malattie del

connettivo, nelle polmoniti da ipersensibilità o nell’esposizione a

farmaci.

Il pattern istologico della NSIP è caratterizzato da un coinvolgimento

polmonare temporalmente e spazialmente omogeneo. Questa

omogeneità è una caratteristica chiave per differenziare il pattern di

NSIP da quello di UIP. Sulla base delle proporzioni di infiammazione

e fibrosi, la NSIP è divisa nel sottotipo cellulare e fibrosante. Nella

NSIP cellulare l’ispessimento dei setti alveolari è principalmente

causato da cellule infiammatorie; nella NSIP fibrosante è più facile

l’evoluzione verso la fibrosi. La NSIP cellulare è meno comune della

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fibrosante ma mostra una migliore risposta ai corticosteroidi e

presenta una migliore prognosi.

Nei pazienti agli stadi iniziali della NSIP, la radiografia del torace è

normale. Negli stadi avanzati invece, le anomalie più salienti alla

radiografia sono rappresentati dagli infiltrati bilaterali polmonari. I

lobi polmonari inferiori sono i più coinvolti, mentre il tipico gradiente

apico-basale presente nella UIP è assente. La TC ad alta risoluzione

rivela una distribuzione di anomalie sub pleuriche simmetrica, e la

manifestazione più comune consiste in opacità a vetro smerigliato

combinato con opacità irregolari lineari o reticolari e micro noduli

sparsi. (figura 2)

Figura 2. (a)distribuzione sub pleurica senza evidente gradiente (area rossa). LaTC (b) dimostra opacità a vetro smerigliato(area grigia in (c)), opacità irregolari e

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lineari (aree blu in (c)), micro noduli (aree rosse in (c)) e microcisti adhoneycombing (aree verdi in (c)).

Nella malattia avanzata, possono esserci bronchiectasie da trazione ed

aree di consolidamento; comunque, le opacità a vetro smerigliato

rimangono la caratteristica tipica del tipico paziente con NSIP e sono

correlate al riscontro istologico di infiammazione interstiziale

omogenea. Altri segni nella NSIP avanzata includono cisti

subpleuriche, ma confrontate con quelle della UIP, queste cisti sono

più piccole e limitate in estensione. Le alterazioni cistiche presenti

nella NSIP sono definite “microcystic honeycombing” in

contrapposizione con le lesioni a nido d’ape macrocistiche

riscontrabili nella UIP. Nonostante le caratteristiche visibili alla TC

della NSIP cellulare e fibrotica siano sovrapponibili, è stato

dimostrato che honeycombing è riscontrabile quasi esclusivamente

nella NSIP fibrosante. Altri riscontri alla TC sono stati correlati con

massima probabilità alla NSIP sono l’estensione delle bronchiectasie

da trazione e le opacità reticolari intralobulari.

(figura 3)

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Figura 3. Confronto di immagini CT ad alta risoluzione tra UIP e NSIP. (a)UIP ècaratterizzato da lesioni eterogenee del polmone, che consistono inhoneycombing subpleurici, opacità reticolari e bronchi ectasie da trazione.(b)NSIP è caratterizzata da un coinvolgimento polmonare omogeneo conprevalenza di opacità a vetro smerigliato combinato con opacità lineari subpleuriche e micro noduli. Le microcisti nella NSIP sono molto più piccole rispetto all’honeycombing dellaUIP.

Nonostante le differenze nella distribuzione delle lesioni e del pattern

visibile alla TC, la diagnosi differenziale tra UIP e NSIP rimane

difficile e la biopsia chirurgica polmonare è richiesta in tutti i pazienti

che non presentano le caratteristiche tipiche della UIP a livello clinico

o alla TC.

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La polmonite criptogenetica organizzata (COP) rientra tra le IP con

proprie caratteristiche cliniche e radiologiche.

Le donne e gli uomini sono colpiti allo stesso modo e presentano

dispnea, tosse e febbre. I pazienti riferiscono spesso un’infezione a

carico delle vie respiratorie che abbia preceduto i sintomi. Non c’è

associazione con il fumo di sigaretta, infatti la maggior parte dei

pazienti sono non fumatori o ex fumatori. La maggior parte dei

pazienti guarisce completamente dopo la somministrazione dei

corticosteroidi, ma frequentemente si ha una ricaduta dopo circa tre

mesi dall’interruzione o riduzione della terapia con corticosteroidi.

Come le altre polmoniti interstiziali, il pattern della polmonite

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organizzata può esser presente in una larga varietà di entità, come

nelle connettivopatie, nelle malattie infettive polmonari e nelle

malattie polmonari indotte da farmaci. La diagnosi finale di COP

dovrebbe essere data solo dopo esclusione di altre possibili cause di

polmonite organizzata.

La caratteristica distintiva di polmonite organizzata sul piano

istologico è data dalla presenza di tessuto di granulazione negli alveoli

che deriverebbe dall’organizzazione di essudato infiammatorio intra-

alveolare. Tipicamente vi è un’irregolare coinvolgimento polmonare

con conservazione dell’architettura polmonare.

La radiografia del torace dei pazienti con COP di solito mostra

unilateralmente o bilateralmente consolidazioni irregolari che

somigliano a infiltrati polmonari.

Le consolidazioni presenti nella COP non rappresentano una

polmonite attiva ma derivano da una proliferazione di fibroblasti intra-

alveolare, che potrebbe essere associata all’infezione respiratoria

precedente. Alcuni pazienti presentano opacità nodulari alla

radiografia del torace.

I volumi polmonari sono preservati nella maggior parte dei pazienti.

Frequentemente le lesioni riscontrate alla TC sono molto più estese di

22

quanto ci si aspetterebbe dalla radiografia del torace. Le lesioni

polmonari mostrano una distribuzione periferica o peribronchiale, e i

lobi inferiori polmonari sono più frequentemente coinvolti.

Tipicamente le opacità polmonari variano dal vetro smerigliato alla

consolidazione e tali opacità tendono a migrare cambiando

localizzazione e dimensioni anche senza trattamento. Hanno

dimensioni variabili, oscillanti da pochi centimetri ad un intero lobo.

Oltre alle lesioni tipiche della COP riscontrabili alla TC, possono

esser presenti altri tipi di lesioni aspecifiche come le opacità lineari e

irregolari, lesioni focali solitarie che somigliano al carcinoma

polmonare, o noduli multipli. La diagnosi dovrebbe comunque essere

confermata dalla biopsia chirurgica polmonare.

La RB-ILD è un’interstiziopatia correlata al fumo di sigaretta. A causa

della sovrapposizione di reperti clinici, radiologici e istologici tra la

RB-ILD e la DIP, queste entità sono considerate un continuum

patomorfologico, rappresentando differenti gradi di severità dello

stesso processo.

Pazienti con RB-ILD riferiscono di aver fumato circa 30 pacchetti di

sigarette all’anno. Gli uomini sono colpiti quasi 2 volte in più delle

23

donne e presentano una dispnea leggera e tosse. La cessazione del

fumo è la componente più importante della terapia.

Da un punto di vista istopatologico, le caratteristiche della RB-ILD

sono date dall’accumulo di macrofagi pigmentati all’interno dei

bronchioli e degli alveoli adiacenti, e dall’infiammazione e fibrosi

peribronchiolare.

La radiografia del torace è spesso normale. Qualche volta è possibile

riscontare l’ispessimento delle pareti bronchiali o le opacità reticolari.

La caratteristica distintiva riscontrabile alla HRCT è la presenza di

noduli centro lobulari combinati con opacità a vetro smerigliato ed

ispessimento delle pareti bronchiali. E’ stato dimostrato che le opacità

a vetro smerigliato correlano con l’accumulo dei macrofagi all’interno

dei dotti alveolari e degli spazi alveolari. La coesistenza di un

enfisema centro lobulare moderato è di comune riscontro ed è presente

nella maggioranza dei pazienti con una storia di fumo.

La DIP è fortemente associata al fumo di sigaretta, ed è considerata

come la fine di uno spettro della RB-ILD. La DIP può però esser

presente anche nei non fumatori, ed è stata correlata ad una grande

varietà di condizioni, inclusa l’esposizione a polveri organiche.

24

Nella maggior parte dei casi i sintomi esordiscono tra i 30 e i 40 anni.

Gli uomini sono colpiti quasi il doppio delle volte rispetto alle donne.

Con la cessazione del fumo e la terapia con corticosteroidi, la prognosi

è buona. Ciò nonostante la malattia può avere un andamento

progressivo fino alla morte, soprattutto nei pazienti che continuano a

fumare.

La caratteristica principale dei pazienti con la DIP è l’accumulo di

macrofagi pigmentati e di poche cellule epiteliali alveolari desquamate

negli alveoli. Al contrario della distribuzione bronchiolo centrica nella

RB-ILD, il coinvolgimento polmonare nella DIP è più diffuso ed

uniforme. Di solito c’è una fibrosi più lieve nell’interstizio.

La radiografia del torace dei pazienti con DIP non è specifica e può

rivelare la presenza di opacità sfumate. Alla HRCT la DIP è

caratterizzata da opacità a vetro smerigliato diffuse, che correlano

istologicamente con l’accumulo intra-alveolare omogeneo di

macrofagi e con l’ispessimento dei setti alveolari. Un’altra

caratteristica visibile alla TC è rappresentata dalle opacità lineari e

irregolari limitate spazialmente e dalle piccole cisti, indicative di

trasformazione in fibrosi. Nonostante le differenze esistenti alla TC tra

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la RB-ILD e la DIP, può esserci una sovrapposizione delle lesioni

riscontrate in modo da risultare tra loro indistinguibili.

La LIP è una patologia rara, spesso associata alla sindrome di Sjogren,

all’infezione da HIV e da varie altre sindromi da immunodeficienza.

I pazienti presentano una dispnea progressiva e tosse per un periodo

superiore ai tre anni. Occasionalmente il paziente può riportare

sintomi sistemici, come la febbre, perdita di peso. Da un punto di vista

istologico, la LIP è caratterizzata da un infiltrato diffuso

dell’interstizio costituito da linfociti, cellule ematiche ed istiociti.

Spesso sono presenti follicoli linfoidi distribuiti nelle regioni

peribronchiali. La lesione predominante è a carico dell’interstizio,

mentre le vie aeree mostrano alterazioni secondarie dovute alla

compressione esercitata dall’infiltrato infiammatorio.

La radiografia del torace dei pazienti con LIP non presenta lesioni

caratteristiche, come opacità reticolari o reticolo-nodulari bilaterali.

La HRCT è invece l’esame diagnostico di elezione che mostra

anomalie bilaterali diffuse o con predominanza nel lobo polmonare

inferiore. La lesione caratteristica è data dalle opacità a vetro

smerigliato, che è correlata all’evidenza istologica dell’infiammazione

diffusa. Altra lesione di frequente riscontro è data dalle cisti

26

perivascolari dotate di pareti sottili. A differenza della UIP in cui le

cisti sono sub pleuriche, le cisti della LIP sono di solito all’interno del

parenchima polmonare in tutte le zone medie del polmone e sono

probabilmente il risultato dell’intrappolamento dell’aria dovuta

all’infiltrato peribronchiolare. La combinazioni di tali cisti con le

opacità a vetro smerigliato è altamente suggestivo di LIP.

La polmonite interstiziale acuta (AIP), colpisce prevalentemente

individui di 50 anni circa, senza predilezione di genere. La maggior

parte dei pazienti riferisce una precedente infezione virale e lamenta

dispnea severa. Nonostante la terapia con corticosteroidi sembri avere

effetto nelle prime fasi della malattia, la prognosi rimane cattiva con

mortalità del 50%.

Il quadro istologico della AIP è caratterizzato dalla presenza di danno

alveolare diffuso che può esser classificato in fase essudativa precoce,

con edema interstiziale ed intra-alveolare, e in fase di organizzazione

cronica, con formazione di tessuto di granulazione che porterà a

ispessimento delle pareti alveolari.

Le caratteristiche dell’HRCT della AIP sono molto simili a quelle

presenti nell’ARDS, anche se i pazienti con AIP hanno una

distribuzione simmetrica e bilaterale con predominanza dei lobi

27

polmonari inferiori. Nelle fasi iniziali di AIP le lesioni dominanti sono

rappresentate dalle opacità a vetro smerigliato che riflettono la

presenza di edema alveolare settale e di membrane ialine. Possono

esser presenti anche aree di consolidamento poco estese. Nella fase

iniziale, le aree di consolidamento derivano dall’edema intra-

alveolare; nella fase tardiva derivano invece dalla fibrosi intra-

alveolare. Nelle ultime fasi della AIP, la distorsione architetturale, le

bronchiectsiae da trazione e le lesioni honeycombing sono le

caratteristiche più importanti riscontrabili alla CT (5).

PATOGENESI FIBROSI POLMONARE

Il meccanismo patogenetico della fibrosi polmonare non è ancora

compreso del tutto ed esistono oggi due ipotesi principali: l’ipotesi

non infiammatoria e l’ipotesi infiammatoria.

Secondo l’ipotesi non infiammatoria, la fibrosi sarebbe determinata

dal danno a carico dell’epitelio polmonare con successiva attivazione

dei fibroblasti in assenza di infiammazione cronica.

In accordo all’ipotesi infiammatoria invece, la fibrosi polmonare

sarebbe dovuta all’amplificazione e cronicizzazione di un processo

28

infiammatorio a livello polmonare con conseguente evoluzione verso

la riparazione o la fibrosi in accordo al tipo di risposta immunitaria

elaborata. Una risposta del tipo Th1 con rilascio di IFN-γ e PGE-2

inibisce i fibroblasti, una risposta del tipo Th 2 con rilascio di IL-4 e

TGF-β stimola i fibroblasti alla produzione di matrice extracellulare

alterata qualitativamente e quantitativamente (6).

Sulla base delle nuove conoscenze, supportate da studi ad alta

evidenza scientifica, è possibile considerare la fibrosi polmonare

idiopatica come un disordine neo-proliferativo del polmone. Esistono

numerose analogie tra la fibrosi idiopatica e le neoplasie, quali:

alterazioni genetiche; risposte a segnali di crescita; resistenza

all’apoptosi ed il comportamento e l’origine dei miofibroblasti. Sono

state dimostrate alterazioni a carico del gene p53, un oncosoppressore

coinvolto nell’apoptosi e nella riparazione del DNA, sia nel cancro

che nei pazienti con la fibrosi idiopatica, anche se ancora non è chiaro

se tale mutazione sia la causa o la conseguenza della fibrosi

polmonare. E’stato inoltre provato che nei fibroblasti polmonari dei

pazienti con fibrosi idiopatica vi è una ridotta espressione di CX43,

una proteina che costituisce le gap junctions, tramite le quali è

possibile la comunicazione intercellulare (7). Ciò si traduce in una

29

riduzione delle gap junctions intercellulari, con maggiore possibilità di

proliferazione incontrollata (8). I miofibroblasti presentano un

comportamento anomalo, poiché, terminata la loro funzione di

riparazione del parenchima leso, non vanno incontro ad apoptosi, ma

rimangono a livello polmonare contribuendo all’eccessiva

deposizione di matrice extracellulare che caratterizza la patologia (9).

DIAGNOSI FIBROSI POLMONARE ASSOCIATA A

CONNETTIVITE

Prendere in cura i pazienti con interstiziopatia polmonare rappresenta

una vera e propria sfida in quanto l’etiologia è spesso sconosciuta, la

terapia può non essere specifica, e la malattia spesso progredisce,

motivi per i quali spesso i pazienti perdono la speranza di guarire e

abbandonano le cure (7).

Bisogna tener conto del contesto clinico del paziente, in particolare

dell’età e del sesso, ricordando che alcune patologie a carattere

sistemico si manifestano con maggiore frequenza in un sesso rispetto

che all’altro, come nel caso delle connettiviti (40).

30

La valutazione diagnostica di questi pazienti inizia dall’anamnesi, da

cui è possibile ricavare utili informazioni sulla eventuale familiarità

per alcune fibrosi polmonari, (come nel caso delle fibrosi polmonari

31

familiari e della malattia di Gaucher), sull’esposizione o assunzione di

sostanze conosciute che possono causare un’interstiziopatia

polmonare (IP).

Si prosegue con un attento esame obiettivo del torace, ricordando che

nelle fasi iniziali delle IP questo può risultare normale, mentre nelle

forme avanzate sono riscontrabili rantoli crepitanti di tipo “velcro”.

La sintomatologia d’esordio è aspecifica, con comparsa di tosse secca,

dispnea da sforzo e sintomi generali, quali astenia, perdita di peso e

malessere. Con il progredire della IP si manifesta la dispnea anche a

riposo, la tosse secca persiste e può comparire insufficienza

respiratoria. Nei due terzi dei pazienti sarà possibile riscontrare le

caratteristiche dita a bacchetta di tamburo.

Il primo indizio di IP è di solito un RX del torace che, soprattutto

negli stadi iniziali, può essere negativo, motivo per cui è necessario

valutare anche i test di funzione polmonare che possono mostrare una

riduzione della DLCO, dei volumi polmonari o una desaturazione

dell’ossigeno provocata dall’esercizio (registrata al test del cammino).

I reperti dell’HRCT che sono utili nella diagnosi di IP includono i

pattern di anomalie parenchimali (consolidazione, pattern reticolare,

GGO, ispessimento dei setti interlobari), la distribuzione anatomica

32

(superiore vs inferiore, centrale vs periferico) e lesioni associate

(bronchiectasie da trazione, intrappolamento d’aria, effusioni

pleuriche).

Durante l’iter diagnostico è quindi importante andare a considerare le

cause di IP conosciute sulla base dell’esame clinico, dei risultati dei

test di funzione respiratoria, dei pattern riscontarti alla HRTC e degli

esami ematochimici (37).

In letteratura medica è ampiamente descritta l’associazione tra le

connettiviti e le IP. Da qui deriva l’importanza di un corretto

approccio diagnostico del paziente con IP, in quanto quest’ultima

potrebbe complicare o essere la prima manifestazione di una

connettivite.

Gli indizi che possono orientare verso una diagnosi di connettivite

sono dati:

• dal quadro clinico, in quanto tali patologie si accompagnano ad

un corteo sintomatologico caratteristico e fin dall’esame

obiettivo è possibile rilevare la presenza di segni distintivi,

quali ad esempio il fenomeno di Raynaud;

33

• Dall’età e dal sesso, in quanto vi è una predilezione di tali

malattie per il sesso femminile e per la fascia d’età tra i 15 e i

50 anni;

34

• Dai dati di laboratorio, alla ricerca della positività agli

autoanticorpi solitamente presente in queste patologie;

35

• Dal tipo di interstiziopatia polmonare che si associa alla

connettivite e che viene indagato dalla HRCT.

• Dagli esami di funzionalità polmonare; quali la spirometria, la

diffusione alveolo capillare (DLCO) e il test del cammino

(6MWT), utili per valutare l’entità e l’evoluzione del

coinvolgimento polmonare;

36

• Dal reperto bioptico, effettuato in tutti i casi in cui, l’esecuzione

dei precedenti esami non abbia portato ad una diagnosi

conclusiva.

La diagnosi di associazione tra IP e connettivite può avere ricadute

sulla prognosi di questi pazienti e ovviamente influenza

l’atteggiamento terapeutico del medico (38).

Per quanto riguarda la prognosi, nello studio di Park et al, è stato

dimostrato che i pazienti con polmonite interstiziale usuale associata a

connettivite (CVD-UIP) presentano una prognosi migliore dei pazienti

affetti da fibrosi idiopatica con pattern UIP (IP-UIP), mentre non vi è

differenza sostanziale di prognosi tra i pazienti con polmonite

interstiziale non specifica associata a connettivite (CVD-NSIP) e

pazienti con fibrosi polmonare idiopatica con pattern NSIP (IP-NSIP)

(45). (figura 4)

37

Figura 4: Studio di Park et al., in cui si riporta la percentuale di sopravvivenza in

funzione dei mesi di follow up.

Dallo stesso studio emerge che, a differenza di quanto avviene nella

fibrosi polmonare idiopatica, nelle fibrosi polmonari associate a

connettivite non esiste una sostanziale differenza di prognosi tra il

pattern UIP e il pattern NSIP.

La migliore prognosi dei pazienti con interstiziopatia associata a

connettivite (CVD-IP) a confronto con i pazienti con fibrosi

polmonare idiopatica è dovuta non tanto al fatto che nelle connettiviti

il pattern predominante di interstiziopatia sia la NSIP, ma al fatto che

la CVD-UIP ha una prognosi migliore rispetto a IP-UIP.

38

LE CONNETTIVITI

Le connettiviti sono malattie reumatiche sistemiche caratterizzate da

un frequente coinvolgimento dell’apparato muscolo-scheletrico, a

patogenesi autoimmune e con un esteso coinvolgimento tissutale.

Le principali connettiviti sono il lupus eritematoso sistemico (LES), la

sclerosi sistemica progressiva o sclerodermia (SSc), la polimiosite-

dermatomiosite (PDM), la sindrome di Sjögren primitiva (SSp),

l’artrite reumatoide (AR), la connettivite indifferenziata e le

connettiviti da sovrapposizione, di cui la più frequente è la

connettivite mista (CM) o sindrome di Sharp.

Il termine connettiviti indica malattie caratterizzate da un processo

infiammatorio cronico a carico del tessuto connettivo, ma in realtà

alcune di esse colpiscono tessuti diversi dal tessuto connettivo: ad

esempio, la SSp colpisce elettivamente il tessuto epiteliale e la PDM

quello muscolare. Negli ultimi anni la diagnosi precoce di queste

forme ha consentito di migliorarne, almeno in parte, l’evoluzione.

Tuttavia, la prognosi per questi pazienti rimane molto severa sia in

termini di sopravvivenza, per il coinvolgimento di organi vitali (reni,

cuore e sistema nervoso centrale), che in termini di incapacità

39

lavorativa per la compromissione dell’apparato muscolo-scheletrico,

con conseguente riduzione della qualità di vita ed aumento dei costi

sociali.

L'eziologia delle connettiviti non è ancora completamente nota ma è

ampiamente condivisa l’ipotesi dell’origine multifattoriale cui

contribuiscono diversi fattori concomitanti, predisponenti e scatenanti.

Tra i fattori predisponenti mostrano grande importanza l’assetto

genetico, oggi sempre meglio delineato, e quello ormonale. Le

connettiviti colpiscono con maggior frequenza determinati gruppi

etnici e spesso si manifestano in membri della stessa famiglia. Per

molte di esse è stata descritta l’associazione con specifici geni

coinvolti nella regolazione della risposta immunitaria. Tra questi i più

studiati sono i geni che codificano per molecole HLA di classe I o II e

gli alleli che si osservano più comunemente nei pazienti affetti da

malattie autoimmuni sono l'HLA-B8, DR2 e DR3. Tali osservazioni

suggeriscono che la predisposizione alle malattie autoimmuni sia

poligenica e per certi aspetti simile tra le diverse malattie,

giustificando l’esistenza da una parte di forme cliniche indifferenziate

capaci di evolvere in malattie diverse e dall’altra di forme

caratterizzate dall’associazione di due o più malattie autoimmuni in

40

uno stesso individuo o in membri diversi di una stessa famiglia. E’

quindi ipotizzabile che, sulla base di una predisposizione genetica

almeno in parte simile, stimoli ambientali diversi (farmaci, virus, etc.)

possano determinare l'espressione di malattie autoimmuni diverse

nello stesso individuo o in membri diversi della stessa famiglia. I

rilievi epidemiologici e demografici che dimostrano la netta

prevalenza delle connettiviti sistemiche nel sesso femminile, in

particolar modo nell’età fertile suggeriscono un possibile ruolo

eziopatogenetico degli ormoni sessuali. Sembra, infatti, che gli

estrogeni abbiano un’azione immunostimolante mentre gli androgeni

siano immunosoppressori. Questo spiega perché la gravidanza tende a

peggiorare l’andamento di molte malattie autoimmuni.

Nella patogenesi delle connettiviti giocano un ruolo importante i

meccanismi immuno-mediati, tra cui la produzione di autoanticorpi

non organo e non speciespecifici, l’attivazione policlonale di linfociti

B, la differenziazione e la proliferazione di cellule mononucleate

autoreattive e la formazione di elevati livelli di immunocomplessi

circolanti.

Esistono criteri classificativi per ciascuna connettivite comprendenti

una serie di sintomi, segni, alterazioni bioumorali ed autoanticorpali

41

caratteristici della malattia; un paziente per essere classificato come

affetto da quella malattia deve presentare un numero minimo di tali

criteri in un unico momento oppure nel corso del follow-up.

Le connettiviti di cui ci occuperemo nel dettaglio sono la sclerodermia

e l’artrite reumatoide, che sono caratterizzate da un più frequente

coinvolgimento polmonare.

42

SCLERODERMIA

DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA

La sclerodermia (SSc) è una malattia multisistemica cronica, ad

eziologia sconosciuta, caratterizzata da ispessimento della cute per

accumulo di tessuto connettivo e da alterazioni funzionali e strutturali

di organi viscerali, quali i polmoni, il cuore ed il rene.

Il termine deriva dal greco “skleros” (duro) e “derma” (pelle);

Ippocrate descrisse per primo questa condizione come “pelle

indurita”.

E’ diffusa in tutto il mondo e può colpire tutte le razze. Raramente la

malattia si manifesta nell’infanzia e nei maschi giovani.

L’incidenza tende ad aumentare con l’età, con un picco massimo tra la

terza e la quinta decade di vita. Le donne sono colpite circa tre volte

più degli uomini e questa differenza si accentua nell’età fertile.

Rispetto ai caucasici, la patologia insorge circa due volte più

frequentemente negli afroamericani, in cui ha un esordio più precoce e

più spesso si presenta con interessamento cutaneo diffuso e fibrosi

polmonare. Una prevalenza eccezionalmente alta è stata riscontrata

negli indiani Choctaw in Oklahoma, con valori di 469 casi ogni

43

100.000 soggetti, la più alta prevalenza mai registrata fino ad oggi in

qualsiasi gruppo etnico.

I fattori genetici svolgono un ruolo importante nella suscettibilità e

nella espressione della sclerodermia anche se gli studi non hanno

dimostrato una forte associazione tra gli antigeni di istocompatibilità

(HLA) e la suscettibilità alla SSc. Secondo alcuni ricercatori l’aplotipo

HLA-DQA2 predispone maggiormente alla malattia ed esisterebbe

una relazione tra alcuni aplotipi HLA e la positività per particolari

autoanticorpi nei pazienti con SSc (8).

PATOGENESI

Le caratteristiche tipiche della SS sono l’eccessiva produzione e

l’accumulo di collagene e di altre proteine della matrice extracellulare

(quali la fibronectina, la tenascina, la fibrillino-1 ed i

glicosaminoglicani) a livello della cute e di altri organi.

Nella patogenesi sono coinvolti meccanismi immunologici,

attivazione delle cellule endoteliali e/o danno vascolare e attivazione

dei fibroblasti. Le alterazioni vascolari sono un evento precoce nella

44

SSc che precede la fibrosi. Esse interessano le arterie di piccolo

calibro, le arteriole ed i capillari della cute, del tratto gastroenterico,

dei reni,del cuore e dei polmoni. Il fenomeno di Raynaud, il sintomo

d’esordio della SSc nella maggioranza dei pazienti, è l’espressione

clinica dell’alterata regolazione del flusso sanguigno dovuta al danno

vascolare. Il danno alle cellule endoteliali e alla lamina basale avviene

precocemente ed è seguito dalla proliferazione dell’intima e delle

cellule muscolari lisce, con deposito di matrice e fibrosi perivascolare;

tale processo porta al restringimento del lume vascolare e possibile

obliterazione dello stesso. Con il progredire del danno vascolare, la

diminuzione del letto microvascolare della cute e degli organi colpiti

causa uno stato di ischemia cronica. Il danno vascolare può essere

osservato nel letto ungueale con la videocapillaroscopia, che dimostra

una progressiva scomparsa del microcircolo, accompagnata dalla

comparsa di evidenti dilatazioni e tortuosità dei capillari superstiti. A

livello cutaneo i capillari residui possono proliferare e dilatarsi

formando teleangectasie evidenti.

Il danno alla cellula endoteliale determina una condizione che

favorisce la vasocostrizione e l’ischemia tissutale. L’endotelio

danneggiato, infatti produce ridotte quantità di prostaciclina, un

45

importante vasodilatatore e inibitore dell’aggregazione piastrinica. In

seguito all’interazione con l’endotelio danneggiato, le piastrine si

attivano e rilasciano PDGF, che ha proprietà chemiotattiche e

mitogeniche per le cellule muscolari lisce e per i fibroblasti, così come

il TGF-β che stimola la sintesi di collagene da parte dei fibroblasti.

Queste ed altre citochine inducono la fibrosi progressiva dell’intima,

dell’avventizia e del tessuto perivascolare. Nei pazienti con SSc

l’endotelina-1, che ha un’azione vasocostrittrice, è aumentata. E’ stato

proposto che l’endotelio vascolare sia bersaglio dell’immunità

cellulomediata, come dimostrato dal fatto che la laminina e il

collagene tipo IV, componenti della membrana basale endoteliale,

inducono l’attivazione in vitro dei linfociti dei pazienti con SS.

Negli stadi precoci un infiltrato cellulare mononucleato, costituito

prevalentemente da cellule T helper attivate (tipo Th2), circonda i

piccoli vasi sanguigni nel derma. Successivamente, infiltrati di cellule

mononucleate si ritrovano nelle aree di cute macroscopicamente

indenni adiacenti alle sedi di fibrosi. I macrofagi sono presenti in

quantità aumentata negli infiltrati delle lesioni sclerodermiche e, una

volta attivati, secernono diversi importanti fattori tra cui IL-1, capace

di stimolare la proliferazione dei fibroblasti e la sintesi del collagene;

46

IL-6 che favorirebbe il rilascio di inibitore tissutale delle metallo

proteinasi limitando così la digestione del collagene; fibronectina, una

proteina della matrice ad alto peso molecolare che funge da agente

chemiotattico e da mitogeno per i fibroblasti; TGF-β e PDGF.

E’ stato dimostrato che il TGF-β induce l’espressione dei recettori per

il PDGF sui fibroblasti sclerodermici (ma non sui fibroblasti di

individui normali) e che, insieme al PDGF stimola la proliferazione

dei fibroblasti.

I fibroblasti dei pazienti con SSc sembrano essere in uno stato di

attivazione permanente e questo è in parte dovuto alla stimolazione

autocrina e paracrina svolta dal TGF-β e dal fattore di crescita del

connettivo (CTGF). Si pensa che queste cellule attivate rappresentino

una sottopopolazione espansa di fibroblasti che esprimono in maniera

costitutiva un maggior numero di geni per la matrice del collagene. In

alcuni studi su pazienti con SSc è stata riscontata una

sottopopolazione di fibroblasti capaci di produrre quantità di collagene

due o tre volte superiori rispetto ad altre cellule provenienti dallo

stesso tessuto. Un piccolo numero di fibroblasti esprime invece livelli

aumentati di mRNA per il collagene IV e VII (componente

predominante delle fibrille di ancoraggio che stabilizza l’adesione

47

della membrana basale al derma sottostante). I macrofagi e i

fibroblasti secernono PDGF e TGF-β, le cellule T attivate producono

TGF-β.

Il TGF-β stimola la produzione di CTGF da parte dei fibroblasti;

questo fattore di crescita a sua volta, stimola la proliferazione dei

fibroblasti e la sintesi di proteine della matrice extracellulare,

compreso il collagene.

In conclusione, il TGF-β sembra rivestire un ruolo essenziale nel

mediare la fibrosi nella SSc, stimolando la proliferazione dei

fibroblasti e la sintesi di proteine della matrice extracellulare

CLINICA

Le due principali varianti della sclerodermia (SSc) sono la SSc

localizzata e la SSc sistemica.

La SSc localizzata si distingue a sua volta nelle forme morphea e

lineare. La morphea si manifesta con indurimenti localizzati della

cute, osservabili con maggiore frequenza al tronco, ma che possono

interessare qualunque segmento corporeo.

48

La sclerodermia lineare, forma più frequente nei bambini, colpisce

aree di cute estese con possibile interessamento della muscolatura

sottostante.

La diagnosi viene fatta sulla base del caratteristico aspetto della cute e

si può ricorrere alla biopsia cutanea per la certezza diagnostica. Nella

sclerodermia localizzata non vi è solitamente coinvolgimento degli

organi interni e gli esami del sangue sono normali.

La sclerosi sistemica viene distinta nelle seguenti forme:

• SSc limitata (70% dei pazienti), che è la forma caratterizzata da

sclerosi cutanea distale ( al di sotto delle ginocchia, al di sotto

dei gomiti, e non colpisce il torace), una lunga storia di

fenomeno di Raynaud antecedente la diagnosi e dalla presenza

di anticorpi circolanti anti-centromero (positivi nel 70% dei

pazienti). La tipica forma di manifestazione consiste nella

sindrome CREST di cui si tratterà di seguito. L’ipertensione

polmonare spesso complica il decorso della malattia.

• SSc diffusa (30% dei pazienti), che è caratterizzata dal

coinvolgimento prossimale della pelle, con possibile estensione

al torace. Il coinvolgimento cutaneo avviene

contemporaneamente alla comparsa del fenomeno di Raynaud.

49

Gli autoanticorpi anti-topoisomerasi sono presenti nel 30% dei

pazienti, mentre gli autoanticorpi anti-centromero sono

solitamente assenti.

• SSc sine scleroderma, una grave forma di sclerodermia in cui

vengono colpiti gli organi interni senza che ci sia un

coinvolgimento cutaneo;

• SSc overlap in cui sono presenti le caratteristiche cliniche di più

connettiviti (6).

Nella sclerodermia c'è positività per specifici autoanticorpi quali

anticorpi anti nucleo (ANA), tra cui è caratteristico l'anti-

topoisomerasi 1, detto anche anti-Scl70 (positivo nel 40% dei pazienti

con sclerosi sistemica diffusa); anticorpi anti-centromero presenti nel

60-80% dei pazienti con sclerosi cutanea limitata e sindrome CREST.

Il termine CREST è in realtà un acronimo in cui si indica con la lettera

C la calcinosi, ovvero la presenza di depositi di calcio nei tessuti; con

la lettera R il fenomeno di Raynaud; con la lettera E la dismotilità

esofagea; con la lettera S la sclerodattilia, ovvero l’ispessimento e

l’indurimento della cute delle dita; con la lettera T le teleangectasie,

che consistono in dilatazione di piccoli gruppi di vasi sulla cute.

50

Il fenomeno di Raynaud, consiste in una vasocostrizione episodica

delle piccole arterie e arteriole dermiche delle dita delle mani o dei

piedi e, talvolta della punta del naso e dei padiglioni auricolari. Questi

episodi sono evocati dall’esposizione al freddo, dalle vibrazioni e da

stress emotivi. I pazienti riferiscono pallore e/o cianosi locale seguiti

da arrossamento nella fase di rivascolarizzazione. Il pallore e la

cianosi si associano a raffreddamento e intorpidimento delle dita delle

mani o dei piedi, mentre l’arrossamento è accompagnato da dolore e

parestesie. Il fenomeno di Raynaud può precedere di parecchi mesi o

anni le manifestazioni cutanee. Queste ultime consistono in un’iniziale

tumefazione delle dita, delle mani e più raramente di avambracci,

piedi, volto, mentre le estremità inferiori sono relativamente

risparmiate. La cute diventa gradualmente più rigida, ispessita

prevalentemente alle estremità distale, e infine, strettamente aderente

al sottostante tessuto sottocutaneo. La rigidità impedirà

progressivamente l’estensione delle dite e si svilupperanno contratture

in flessione. Possono poi insorgere ulcerazioni sulla superficie volare

della punta delle dita e in corrispondenza di prominenze ossee come

gomiti, malleoli e superfici estensorie delle articolazioni interfalangee

prossimali delle mani. Tali ulcere possono secondariamente infettarsi.

51

Possono essere presenti iperpigmentazione della cute delle estremità e

del volto, con aree di ipopigmentazione simili alla vitiligine in

corrispondenza di sopracciglia, cuoio capelluto e tronco. Il

mantenimento del pigmento intorno ai follicoli piliferi conferisce alla

cute un tipico aspetto a “sale e pepe”. La cute perde la componente

pilifera, il sebo e le ghiandole sudoripare, diventando secca e ruvida.

L’interessamento del volto determina assottigliamento delle labbra,

appianamento delle rughe cutanee con perdita della mimica facciale e

microstomia che rende difficile l’alimentazione.

Le manifestazioni gastroenteriche sono più frequentemente a carico

dell’esofago (discinesie esofagee), del tenue (riduzione della motilità),

del crasso (con stipsi). Possono inoltre svilupparsi teleangectasie nella

parete gastrica e intestinale ed essere causa di sanguinamento

gastrointestinale.

L’interessamento cardiaco si manifesta con la miosite, la fibrosi

cardiaca, le coronaropatie, l’insufficienza cardiaca, anomalie della

conduzione e pericardite. Sono possibili effetti cardiaci indiretti,

ovvero secondari all’interessamento di altri organi, come avviene

nell’ipertensione polmonare e nella crisi renale. I sintomi e i segni

dell’interessamento cardiaco nei pazienti con SSc sono vari. In

52

pazienti con segni di insufficienza cardiaca di sinistra, congestione

polmonare ed alta pressione di riempimento del ventricolo sinistro, i

più comuni sintomi sono dispnea da sforzo, dispnea notturna e/o

ortopnea. Pazienti con ipertensione polmonare e insufficienza cardiaca

presentano un progressivo accorciamento del respiro, epatomegalia ed

ascite. Nei casi di insufficienza del cuore destro, in assenza di

coinvolgimento del cuore sinistro, i pazienti generalmente non

lamentano ortopnea o dispnea notturna. In pazienti con severa

ipertensione polmonare, sincope e morte cardiaca improvvisa possono

essere il risultato di aritmie o insufficienza cardiaca acuta di destra.

Altri segni di interessamento cardiaco sono simili ai segni d’ischemia

del miocardio, con dolore toracico e dispnea. La presenza di

interessamento cardiaco in SSc è spesso sottostimata a causa della

natura occulta dei segni e dei sintomi e a causa dei metodi diagnostici

utilizzati. Studi recenti suggeriscono che l’evidenza clinica

dell’interessamento cardiaco dovrebbe esser riscontrata nel 20-25%

dei pazienti con SSc. Studi autoptici hanno dimostrato che la fibrosi

miocardica e la pericardite sono le alterazioni più frequenti, ma come

tutti gli studi autoptici, questi risultati rappresentano pazienti in stadi

della malattia più avanzati. Sono stati utilizzate altre indagini

53

diagnostiche per lo studio cardiaco in pazienti viventi, come la

scintigrafia con tallio, la tomografia computerizzata ad emissione di

fotoni (SPECT)e l’ecocardiografia. La scintigrafia con tallio ha

dimostrato anomalie della funzionalità del ventricolo sinistro

secondarie a fibrosi miocardica.

La maggior parte dei pazienti con SS diffusa ha manifestazioni

cardiache.

L’insufficienza renale è una delle principali cause di morte in corso di

sclerodermia, e colpisce con maggiore frequenza i pazienti con

sclerodermia cutanea diffusa. Vi è un significativo rischio di danno

renale nei pazienti che nei primi 2 o 3 anni di malattia presentano un

ispessimento cutaneo progressivo e rapido. Il danno renale si

manifesta con ipertensione maligna, conseguenza dell’iperplasia

dell’intima delle arterie interlobulari e arcuate e che può progredire

rapidamente verso l’insufficienza renale. Questi pazienti presentano

encefalopatia ipertensiva con grave cefalea, retinopatia, sincope e

insufficienza ventricolare sinistra. Ematuria e proteinuria sono seguite

da oliguria e insufficienza renale. La crisi ipertensiva è determinata

dall’attivazione del sistema renina-angiotensina(8).

54

TERAPIA

La SSc non può essere guarita, ma il trattamento della patologia

d’organo contribuisce a ridurre i sintomi e a migliorare la funzionalità.

A causa della variabilità del decorso e della gravità della sclerodermia

nelle varie espressioni cliniche, l’efficacia della terapia farmacologica

è di difficile valutazione (42). Sono stati usati vari farmaci con

proprietà antifibrotiche e/o immunosoppressivi senza benefici

consistenti, quali la D-penicillammina, la colchicina, l’IFN-γ. Uno

studio randomizzato che comparava alte dosi di D-penicillammina

(1000 mg al giorno) con basse dosi (125 mg a giorni alterni) dello

stesso farmaco in pazienti con SSc diffusa non ha dimostrato

significative differenze tra i due gruppi per quanto riguarda

l’insorgenza di danno renale, l’ispessimento cutaneo e la mortalità.

Questo studio non ha paragonato i pazienti trattati con basse dosi di D-

penicillammina con quelli trattati con placebo. E’ possibile che tale

farmaco, a basse dosi, possa avere effetti benefici nella SSc, ma il suo

valore terapeutico rimane in discussione.

Numerosi agenti immunosoppressivi sono stati utilizzati nella SSc

sulla base delle anomalie immunologiche e cellulari dimostrate nella

malattia. Il risultato della terapia immunosoppressiva è stato

55

deludente, e ad oggi nessun farmaco si è dimostrato chiaramente

efficace nella soppressione o regressione della malattia.

I glucocorticoidi non sono efficaci per le manifestazioni cutanee, ma

brevi cicli del farmaco a bassa dose possono essere utilizzati nei

pazienti con alveolite precoce in fase attiva.

Il trattamento del fenomeno di Raynaud si basa sull’uso di farmaci che

bloccano la vasocostrizione simpatica, quali la reserpina, l’α-metil-

DOPA; i calcio-antagonisti, come la nifedipina e il diltiazem; gli

inibitori della fosfodiesterasi, come il sidenafil; le prostaglandine,

come l’iloprost per le forme gravi con ulcere digitali (8).

Gli studi di questi anni sulla patogenesi della SSc hanno contribuito

all’individuazione di nuovi target terapeutici.

E’ stato infatti dimostrato un aumento dei livelli di endotelina-1

(fattore proteico prodotto dalle cellule endoteliali) nei pazienti con

SSc sistemica implicata nella genesi dell’ipertensione polmonare e del

fenomeno di Raynaud. Ciò ha portato all’utilizzo di molecole capaci

di bloccare l’azione dell’endotelina-1, come il bosentan (46).

Il precoce riconoscimento di una alveolite nei pazienti con SSc diffusa

può permettere di istaurare un trattamento in grado di rallentare lo

56

sviluppo di una fibrosi polmonare. Numerosi studi hanno riportato

l’effetto positivo della ciclofosfamide (8).

Lo studio di White et al è stato condotto su due gruppi di pazienti con

la sclerodermia e l’alveolite. I pazienti del primo gruppo, a cui era

stata somministrata la ciclofosfamide, dopo 16 mesi mostravano un

miglioramento della FVC, della DLCO e della sopravvivenza (89%). I

pazienti del secondo gruppo, cui non era stata somministrata la

ciclofosfamide, mostravano una riduzione dell’FVC, della DLCO e

della sopravvivenza (71%). Nella figura 5 viene mostrato come la

sopravvivenza sia migliore nei pazienti con alveolite in cura con la

ciclofosfamide (linea tratteggiata) rispetto ai pazienti con alveolite non

trattati (linea continua). I numeri sopra le linee indicano il numero di

pazienti a rischio in quel determinato momento (39).

57

Figura 5 : Studio di White et al, in cui si riporta la percentuale di sopravvivenzain funzione del tempo espresso in mesi.

58

COINVOLGIMENTO POLMONARE

Il coinvolgimento polmonare nella SSc è molto comune, sia

clinicamente che all’autopsia ed ha una cattiva prognosi, infatti le

complicanze polmonari sono oggi la prima causa di morte nella SSc

(9).

L’interstiziopatia polmonare è la più frequente manifestazione a carico

dell’apparato respiratorio, e colpisce il 75% dei pazienti, seguita

dall’ipertensione polmonare (PH), che interessa invece fino al 50% dei

pazienti. Il coinvolgimento sistemico di solito si manifesta entro 5

anni dalla diagnosi, ma è possibile un ritardo di manifestazione che

giustificherebbe un serrato controllo di questi pazienti (11).

La patogenesi del coinvolgimento polmonare nella sclerodermia, è

poco compresa. E’ stata dimostrata, nelle fasi iniziali della malattia, la

presenza di fibroblasti attivati adiacenti ai vasi sanguigni, che

esprimono alti livelli di acido ribonucleico messaggero (mRNA) per il

collagene di tipo I e III, suggerendo la possibilità di un evento

vascolare che medi sia l’attivazione dei fibroblasti che la fibrosi

tissutale. Nel sangue dei pazienti con sclerodermia e nei pazienti con

fibrosi polmonare idiopatica è stato ritrovato un aumento dei livelli di

endotelina-1, un peptide mitogenico ad azione vasocostrittiva che si

59

crede abbia un importante ruolo nella produzione di collagene e nella

fibrosi. Tale aumento potrebbe essere mediato almeno in parte, da

citochine (tumor necrosis factor TNF-α, transforming growth factor

TGF-β, IL-8) rilasciate dalle cellule alveolari infiammatorie. Inoltre,

l’intensa espressione di PDGF da parte del rivestimento endoteliale

dei piccoli capillari nella sclerodermia, suggerisce che l’endotelina

agisca in sinergia con altre citochine e fattori di crescita per portare

all’attivazione dei fibroblasti. Esistono diverse evidenze in accordo

alle quali l’alveolite (accumulo di cellule infiammatorie ed

immunitarie nelle strutture alveolari) precede il danno polmonare e

potrebbe essere il primo passo del processo che porta alla fibrosi.

L’alveolite nella sclerodermia è caratterizzata da un accumulo di

macrofagi alveolari attivati, linfociti, neutrofili ed eosinofili. Il

lavaggio bronco alveolare (BAL) di questi pazienti rivela una

linfocitosi che si presenta con maggiore frequenza prima o subito

dopo la comparsa dei sintomi polmonari. Il processo infiammatorio

può danneggiare la matrice extracellulare del polmone e dare inizio ai

processi riparativi. Le cellule infiammatorie, specialmente i neutrofili

e gli eosinofili, sono capaci di indurre un danno a carico delle strutture

polmonari normali tramite il rilascio di specie ossidanti reattive e di

60

enzimi proteolitici e possono anche attivare il sistema della

coagulazione (sono presenti livelli aumentati di plasminogeno attivato

nel BAL) rilasciando vari mediatori responsabili del reclutamento e

dell’accumulo dei fibroblasti.

61

INTERSTIZIOPATIA POLMONARE

L’interstiziopatia polmonare può rappresentare sia una complicanza,

sia la prima manifestazione della sclerodermia, mimando la fibrosi

polmonare idiopatica.

Le prime modificazioni includono edema interstiziale ed

infiammazione delle pareti alveolari con raccolta di cellule

mononucleate e di neutrofili, che portano ad una combinazione di

reazione infiammatoria e concomitante proliferazione dei fibroblasti.

Si possono osservare inoltre numerose piccole cisti che derivano dal

progressivo assottigliamento e dalla progressiva rottura delle pareti

alveolari associata con l’estesa fibrosi interstiziale e peribronchiale.

L’inizio del coinvolgimento polmonare è progressivo ed i sintomi

polmonari raramente precedono la sclerodermia. Le manifestazioni

più comuni della fibrosi polmonare sono rappresentate da dispnea da

sforzo e tosse non produttiva. La dispnea potrebbe esser presente in

pazienti senza evidenza radiologica di fibrosi polmonare, suggerendo

la presenza di una malattia vascolare polmonare. All’esame obiettivo

del torace il segno rappresentativo è rappresentato dalla presenza di

rumori umidi di tipo “a velcro” alle basi polmonari (11).

62

La severità della prognosi impone, al momento della diagnosi di

sclerodermia, l’esecuzione di test di funzionalità polmonare, quali la

spirometria, la DLCO, il test del cammino (6).

Gli esami di funzionalità respiratoria hanno una grande importanza

per la diagnosi e per la determinazione dell’impatto clinico della

patologia. Il coinvolgimento polmonare è definito da una riduzione

dell’FVC sotto l’80% del teorico e da una riduzione della DLCO sotto

il 75% del teorico.

La spirometria, nelle fasi iniziali della malattia, registra volumi

polmonari dinamici nella norma, mentre nelle fasi avanzate mostra un

deficit ventilatorio restrittivo. Una modesta componente ostruttiva è

riscontrabile in una minoranza di pazienti. Si registra inoltre una

riduzione della capacità di diffusione alveolo capillare rispetto ai

valori attesi.

La presenza di una riduzione precoce del FVC è per molti autori il più

importante fattore di rischio per la progressione dell’interstiziopatia

(12).

Nello studio di Sotiris et al, è stato dimostrato che i valori di FVC

misurati entro 3 anni dalla diagnosi di sclerodermia, possono essere

predittivi della alterazione della funzionalità polmonare. Pazienti con

63

una FVC normale a tre anni dalla diagnosi di sclerodermia (FVC>80%

del predetto), presentano una maggiore possibilità di conservare la

propria funzionalità polmonare rispetto ai pazienti con un FVC ridotto

misurato nello stesso momento (FVC<80% del predetto). In

contrapposizione, i valori di FVC ottenuti tardivamente durante il

decorso della malattia non hanno un valore predittivo.

Nella figura 6 viene illustrato come, i pazienti con FVC<80% del

teorico a tre anni dalla diagnosi, abbiano una probabilità inferiore di

mantenere i valori di DLCO nella norma, essendo i valori di DLCO i

migliori indicatori del deterioramento polmonare. Con la linea

continua sono indicati i pazienti con FVC>80%, con la linea

tratteggiata i pazienti con FVC<80%.

E’ quindi possibile concludere che la FVC misurata entro tre anni

dalla comparsa della sclerodermia è un indice predittivo indipendente

del deterioramento della funzionalità polmonare nei pazienti con Sc.

64

Figura 6: Studio di Sotiris et al, in cui si riporta la probabilità che la DLCOrimanga normale in funzione del tempo (espresso in anni) trascorso dalladiagnosi.

Il test del cammino (6MWT) è un semplice test da sforzo che consente

di misurare la distanza che un paziente può coprire camminando

velocemente per sei minuti lungo un corridoio e contemporaneamente,

attraverso l’ausilio del pulsossimetro, si può rilevare la saturazione

dell’emoglobina(SpO2). In questo modo è possibile valutare in modo

indiretto la risposta dei vari organi ed apparati che sono coinvolti

nell’esercizio fisico, includendo i polmoni, il cuore, la circolazione

periferica, il sangue, le unità neuromuscolari e il metabolismo dei

muscoli. Il test può essere interrotto per insorgenza di dolori

muscolari, o in presenza di significativa desaturazione

dell’emoglobina, o per eccessivo senso di affaticamento nel paziente.

65

Sono stati effettuati numerosi studi sul test del cammino in pazienti

con interstiziopatia polmonare da SSc, tra cui lo studio di Hallstrand

T.S. et al (20) in cui si dimostra una correlazione tra i valori della

DLCO e la saturazione dell’emoglobina alla fine dell’esercizio fisico,

e tra la DLCO e la velocità di cammino rilevata al 6MWT, come

mostrato nella figura 7.

Figura 7: Studio di Hallstrand et al, in cui si riporta la percentuale di DLCOpredetta in funzione della percentuale di saturazione a fine esercizio (a sinistra) ein funzione della velocità del passo (a destra).

Inoltre nello studio di Miyamoto, Nagaya, Satoh, et al è stato

dimostrato che i pazienti con SSc e ipertensione polmonare che

percorrono una distanza inferiore a 332 metri al test del cammino,

hanno una probabilità di sopravvivenza inferiore rispetto ai pazienti

66

che hanno percorso una distanza maggiore, come indicato nel grafico

seguente. La distanza percorsa al test del cammino è quindi, un

indicatore prognostico nei pazienti con SSc e ipertensione polmonare

(24).

Altro esame fondamentale per la definizione dell’interessamento

polmonare in corso di Sclerodermia è la tomografia computerizzata ad

alta risoluzione, esame molto specifico e sensibile nell’individuare le

lesioni polmonari e la loro estensione. Ha inoltre un ruolo

significativo nella caratterizzazione dell’entità del coinvolgimento

polmonare in corso di SSc (11).

Numerosi studi condotti su pazienti con SSc hanno consentito la

tipizzazione delle lesioni più frequentemente riscontrate alla HRCT,

67

costituite dalle opacità a vetro smerigliato (GGO), dall’ispessimento

reticolare dell’interstizio, dalle bronchiectasie da trazione e dalle

microcisti a favo d’ape (HCs) come riportato nella tabella seguente.

Per opacità a vetro smerigliato si intende la presenza di zone ad

aumentata attenuazione del polmone senza distorsione architetturale,

mentre le bronchiectasie sono dilatazioni dei bronchi indotte dalla

trazione esercitata dalle aree di indurimento parenchimale. Le

microcisti a favo d’ape sono delle lesioni cistiche piene di aria e

68

Table 3—Frequency of HRCT Scan Findings*

HRCT Findings Frequency %

Any GGOs 90.1

pGGOs† 49.4

Fibrosis† 92.9

HCs† 37.2

Nodules 0.6

Bronchiectasis 2.5

Mediastinal lymph node enlargement 1.8

Pleural thickening 3.7

Pulmonary artery enlargement 1.8

Emphysema 1.2

*Total No. of participants randomized, 162.

†Number of participants who had a consensus reading performed

caratterizzate da pareti ispessite con dimensioni comprese tra i 3

millimetri e i 3 centimetri di diametro.

Le anomalie prevalgono a livello delle regioni basali e delle regioni

sub pleuriche dei polmoni e sono presenti contemporaneamente

opacità reticolari e vetro smerigliato con honeycombing. Le opacità a

vetro smerigliato sono di solito le anomalie predominanti.

Il tipo di lesioni descritte e la loro disposizione sono compatibili con il

pattern di fibrosi polmonare NSIP, anche se, la presenza di cisti a favo

d’ape sembrerebbe essere compatibile con un quadro di UIP, cosicché

è possibile concludere, in accordo allo studio di Goldin, Lynch et al,

che i pazienti con fibrosi polmonare associata a SSc abbiano un

pattern misto di UIP-NSIP.

Nella sezione ottenuta a livello della cupola epatica della scansione

della figura 8a, si osservano aree irregolari di vetro smerigliato e

bronchiectasie da trazione; nella figura 8b, si nota l’ispessimento

uniforme e diffuso dell’interstizio, mucina intralveolare e infiltrato

cellulare infiammatorio.

69

Figura 8.

L’estensione della fibrosi polmonare accertata dalla HRCT, potrebbe

avere un ruolo predittivo sul decorso della fibrosi polmonare e sulla

risposta alla terapia, anche se attualmente l’uso della HRCT è

esclusivamente volta alla valutazione dell’estensione e della gravità

dell’interessamento polmonare (13).

Il lavaggio bronco alveolare (BAL) è una tecnica che consente il

recupero di cellule e soluti presenti sulla superficie epiteliale del tratto

respiratorio distale tramite l’uso del broncoscopio. Diversi studi hanno

evidenziato come pazienti con positività per gli anticorpi anti Scl-70

70

abbiano una maggiore probabilità di mostrare alterazioni nella conta

cellulare del BAL (25).

Oggi si ritiene che il BAL possa avere una grande utilità per lo studio

della patogenesi della sclerodermia, ma la sua utilità clinica rimane in

dubbio, cosicché non viene raccomandata per una valutazione di

routine o per la gestione del paziente (10).

Di particolare interesse è lo studio di Witt et al, in cui è stato provato

che, i pazienti con SSc ed un referto di granulocitosi al lavaggio

bronco alveolare, mostrano una riduzione della capacità di diffusione

alveolo capillare significativa rispetto ai pazienti con una conta

cellulare normale al BAL. Dal momento che la riduzione della DLCO

è un indice sensibile del deterioramento della funzionalità polmonare,

è possibile concludere che la granulocitosi riscontrata al BAL è

indicativa di un deterioramento della funzionalità polmonare (25).

(figura 9)

71

Figura 9: Valori di DLCO in pazienti con BAL normale, con linfocitosi ogranulocitosi al BAL.

Da recenti studi è emerso che in alcuni pazienti con interstiziopatia

polmonare associata a sclerodermia, vi è una deficienza relativa di un

fattore antifibrotico, il fattore di crescita epatocitario (HGF),

soprattutto negli afro-americani in cui la patologia sembra avere un

andamento più grave. L’HGF inibisce la fibrosi bloccando gli effetti

del fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF) il quale è

espresso in maggiori quantità nei fibroblasti dei pazienti con

sclerodermia (10).

Nel liquido del lavaggio bronco alveolare dei pazienti con SSc e

fibrosi polmonare, è frequente ritrovare alti livelli di citochine quali

IL-4, IL-2 prodotte dai linfociti, CCL-2, CCL-4; TNF-α, IL-8, IL-6

72

prodotte dai monociti-macrofagi. E’ stato suggerito che queste

citochine siano coinvolte nella patogenesi della fibrosi polmonare

associata a SSc, aprendo così la possibilità di individuare nuovi target

terapeutici. Nello studio di Schimdt et al, è stato osservato che nel

liquido ottenuto dal BAL, l’aumento di CCL-2 è correlato ai parametri

di funzionalità polmonari visibili alla HRCT. Sembra infatti che la

CCL-2 abbia un effetto favorente la fibrosi polmonare nei pazienti con

SSc, in quanto è capace di indurre il rilascio di IL-4 da parte dei

linfociti T, citochina coinvolta nella genesi della fibrosi polmonare

idiopatica. Inoltre, il coinvolgimento della CCL-2 nella fibrosi è

rafforzata dagli studi condotti sulle cavie in cui era stata indotta la

fibrosi polmonare mediante somministrazione di bleomicina e nei

quali l’assunzione di anticorpi monoclonali anti CCL-2 sembra ridurre

o bloccare l’evoluzione della patologia.

Negli studi futuri bisognerà quindi tenere in considerazione il ruolo

svolto dalla CCL-2 nella genesi della fibrosi polmonare in pazienti

con SSc, in quanto sono possibili nuovi target terapeutici (26).

Nei casi in cui il sospetto diagnostico non trovi conferma dagli esami

di funzionalità respiratoria, dalla HRCT, dal BAL, è indicata

l’esecuzione della biopsia polmonare.

73

Gli studi condotti sulle biopsie polmonari hanno dimostrato che la

maggior parte dei pazienti con fibrosi polmonare associata a

sclerodermia presenta un quadro tipico di NSIP e meno

frequentemente di UIP o di alti tipi di interstiziopatia.

Gli studiosi Bouros et al hanno valutato da un punto di vista

anatomopatologico le biopsie polmonari provenienti da 80 pazienti

con fibrosi polmonare associata a sclerodermia (16). La NSIP

classificata a sua volta come NSIP cellulare e NSIP fibrotica, è molto

più frequente della UIP o di altri pattern.

ULC (ultrasound lung comets)

Recentemente è stata messa a punto una nuova metodica diagnostica,

l’ecografia transtoracica, che consente di localizzare geograficamente

e quantificare la severità della fibrosi polmonare attraverso

l’identificazione delle cosidette comete ultrasoniche polmonari (ULC,

dall’acronimo inglese ultrasound lung comets).

Le ULC sono un segno ecografico di ispessimento dei setti

interlobulari subpleurici, dovuto ad acqua (come nell’edema

polmonare) o a tessuto connettivo (come nella fibrosi polmonare).

74

Agli ultrasuoni, il polmone normale è “nero”, quello moderatamente

patologico (con ispessimento dei setti interlobulari) è “bianco-nero”

(dove le strisce bianche sono appunto le comete).

Una cometa polmonare, per poter essere considerata come tale, deve

avere le seguenti caratteristiche: essere una stria verticale iperecogena,

con una stretta origine dalla linea pleurica, che si muove con gli atti

respiratori.

Le ULC sono definite come artefatti verticali da riverbero che

originano dall’interfaccia parete toracica-polmone e derivanti

dall’ispessimento dei setti interlobulari subpleurici, come confermato

anche dalle immagini TC. L’aumento di spessore di queste strutture

determinerebbe una differenza di impedenza acustica, tale da riflettere

il fascio ultrasonoro e generare un primo eco immediatamente sotto la

pleura. La formazione completa delle comete, coinvolge il fenomeno

fisico della riverberazione. Quando il fascio ultrasonoro viene riflesso

da un’interfaccia e ritorna al trasduttore, può succedere che il

trasduttore stesso possa funzionare come seconda superficie

riflettente: in questo caso gli ultrasuoni di ritorno vengono

nuovamente riflessi, ripercorrono il loro primo cammino, colpendo

ancora l’interfaccia e quindi ritornano al trasduttore. Pertanto la stessa

75

scarica di ultrasuoni produce un altro segnale, situato ad una distanza

dal trasduttore che è due volte quella percorsa dagli echi originali. Gli

echi che producono il secondo segnale, o riverberi, possono essere più

deboli degli echi originali. Il confronto con le immagini HRTC

consente di visualizzare direttamente le strutture che danno origine

alle ULC (Fig 10-11).

Figura 10: Immagine HRTC ed ecografica a confronto in un polmone normale.

76

Figura 11: Immagine HRTC ed ecografica a confronto in un polmone con

fibrosi.

Il lato sottopleurico di un setto ispessito, è troppo sottile per essere

visualizzato tramite la riflessione del fascio ultrasonoro, ma è

sufficientemente spesso per disturbare il fascio stesso, creando una

differenza di impedenza acustica rispetto all’aria circostante,

altrimenti assente in presenza di setti normali. L’iniziale riflessione

del fascio ultrasonoro crea quindi il fenomeno di riverberazione;

l’intervallo di tempo fra ogni riverbero viene interpretato come una

distanza, in modo che si generino una serie di pseudo-interfacce molto

ravvicinate fra loro, che nell’insieme determinano la tipica immagine

a coda di cometa.

Per spiegare la presenza di comete anche in relazione ad aree a vetro

smerigliato presenti alla HRTC, una possibile ipotesi che viene

formulata è che il gradiente di impedenza acustica sia creato dal

mescolarsi ravvicinato di aree sub millimetriche piene di aria e acqua.

La diagnosi differenziale fra comete cardiogene, da imbibimento dei

setti interlobulari per edema interstiziale e comete pneumogene, da

77

fibrosi dell’interstizio, può essere effettuata valutandone il diverso

comportamento dopo la somministrazione di un diuretico dell’ansa.

Le ULC di origine cardiaca presentano una diminuzione numerica

dopo somministrazione di diuretico.

Quindi un nuovo e possibile campo di applicazione delle comete

toraciche, in ambito reumatologico, potrebbe essere la valutazione

della fibrosi polmonare. La semplicità della tecnica, veloce (eseguibile

circa in 3 minuti), poco costosa, di facile apprendimento (curva di

apprendimento di meno di 10 esami), ripetibile (tecnica priva di

radiazioni ionizzanti, senza rischi per il paziente e per l’operatore e

senza impatto ambientale), riproducibile (variabilità intra vs

interosservatore: 3,1% vs 4,4%), indipendente dalla finestra acustica

cardiaca e dal decubito paziente, ne potranno fare una metodica utile

in futuro nello studio del polmone sclerodermico.

Il lavoro di Doveri et al., anche se preliminare, suggerisce una

possibile correlazione tra numero delle comete ed entità della fibrosi

polmonare rilevata alla HRCT. Altri dati sono necessari per

confrontare ulteriormente l’accuratezza diagnostica delle due

metodiche. L’impiego delle ULC sembrerebbe essere un ausilio utile

principalmente nel follow-up e potrebbe affiancare la valutazione

78

HRTC, nel monitoraggio dell’impegno polmonare dei pazienti con

SSc, per evitare di sottoporli ad HRTC seriate (ricordando anche che

un esame HRTC del torace corrisponde, come dose radiologica, a 200-

300 radiografie del torace) (14).

IPERTENSIONE POLMONARE

DEFINIZIONE

L’ipertensione polmonare arteriosa viene definita come aumento del

valore della pressione polmonare superiore a 25 mmHg a riposo,

superiore a 30 mmHg sotto sforzo. (8) L’ipertensione arteriosa

polmonare può essere causata da un aumento della pressione di

riempimento del cuore sinistro in presenza di una normale resistenza

vascolare polmonare, da una malattia del parenchima polmonare che

determina un aumento della resistenza vascolare polmonare, o da una

combinazione di questi fattori iniziali; in ogni caso, che sia dovuta a

una malattia cardiaca, polmonare o vascolare, l’ipertensione

polmonare è di solito caratteristica di una malattia in stadio avanzato.

Da un punto di vista fisiopatologico l’aumento della resistenza

vascolare polmonare può essere attribuito all’eccessiva produzione di

79

fattori di crescita vascolari, a ostruzione meccanica delle arterie

polmonari, a ipossia o ad altri stimoli.

Nel tempo si osservano cambiamenti nella circolazione polmonare che

determinano un rimodellamento vascolare che può sostenere o

favorire l’ipertensione polmonare anche quando il fattore scatenante

viene rimosso.

Occasionalmente può accadere che un paziente presenti un marcato

aumento della pressione arteriosa polmonare associato a una malattia

polmonare ostruttiva o interstiziale, a ipertensione essenziale, a

ischemia miocardica o a una valvulopatia.

La capacità del ventricolo destro di adattarsi alla aumentata resistenza

vascolare è influenzata da vari fattori, come l’età e la rapidità di

sviluppo della ipertensione arteriosa polmonare (15).

La classificazione dell’ipertensione polmonare è stata recentemente

ridefinita dalla conferenza di Venezia della WHO ed è riportata nella

tabella seguente (16).

80

81

1. Pulmonary arterial hypertension (PAH)1.1. Idiopathic (IPAH)1.2. Familial (FPAH)1.3. Associated with (APAH):1.3.1. Connective tissue disorder1.3.2. Congenital systemic-to-pulmonary shunts1.3.3. Portal hypertension1.3.4. HIV infection1.3.5. Drugs and toxins1.3.6. Other (thyroid disorders, glycogen storage disease,Gaucher’s disease, hereditary hemorrhagic telangiectasia,hemoglobinopathies, chronic myeloproliferative disorders,splenectomy)1.4. Associated with significant venous or capillary involvement1.4.1. Pulmonary veno-occlusive disease (PVOD)1.4.2. Pulmonary capillary hemangiomatosis (PCH)1.5. Persistent pulmonary hypertension of the newborn

2. Pulmonary hypertension with left heart disease2.1. Left-sided atrial or ventricular heart disease2.2. Left-sided valvular heart disease

3. Pulmonary hypertension associated with lung diseasesand/or hypoxemia3.1. Chronic obstructive pulmonary disease3.2. Interstitial lung disease3.3. Sleep disordered breathing3.4. Alveolar hypoventilation disorders3.5. Chronic exposure to high altitude3.6. Developmental abnormalities

4. Pulmonary hypertension due to chronic thromboticand/or embolic disease (CTEPH)4.1. Thromboembolic obstruction of proximal pulmonary arteries4.2. Thromboembolic obstruction of distal pulmonary arteries4.3. Nonthrombotic pulmonary embolism (tumor, parasites,foreignmaterial)

5. MiscellaneousSarcoidosis, histiocytosis X, lymphangiomatosis, compressionof pulmonaryvessels (adenopathy, tumor, fibrosing mediastinitis)

Nel primo gruppo (ipertensione polmonare arteriosa) rientrano i

seguenti:

• l’ipertensione polmonare arteriosa idiopatica: è una patologia

rara con un rapporto maschi:femmine di 1.7:1 ed età media di

insorgenza 37 anni. La prevalenza è stimata intorno a 15 casi

per milione.

• l’ipertensione arteriosa polmonare familiare: è responsabile del

12% dei casi di ipertensione polmonare idiopatica ed è

caratterizzata da trasmissione autosomica dominante, da

variabilità del periodo di esordio e da penetranza incompleta. Le

caratteristiche cliniche e anatomopatologiche della forma

sporadiche e di quella familiare sono identiche. Mutazioni

germinative eterozigoti che coinvolgono il gene che codifica per

il recettore proteico morfogenetico osseo di tipo II (BMPR II),

un membro della super famiglia dei fattori beta di crescita

trasformante, sono state riconosciute come base eziologica della

ipertensione polmonare familiare. La classe funzionale rimane

un importante fattore predittivo di sopravvivenza; i pazienti che

appartengono alla classe funzionale IV della New York Heart

82

Association (NYHA) presentano una sopravvivenza media

inferiore a sei mesi (8).

• l’ipertensione polmonare associata a connettiviti,

all’ipertensione portale o ad infezione da HIV .

Nel secondo gruppo rientra l’ipertensione polmonare associata a

patologie del cuore sinistro e a compressione estrinseca delle vene

polmonari.

Nel primo gruppo (ipertensione polmonare associata a malattie

dell’apparato respiratorio e/o ipossemia) rientrano la bronco

pneumopatia cronica ostruttiva (COPD), le interstiziopatie polmonari

e le sindromi delle apnee ostruttive del sonno (OSAS).

Sia nella COPD che nell’interstiziopatia ci sono delle modificazioni

nei vasi arteriosi distali polmonari correlate all’ipossia. L’ipossia,

infatti, induce una muscolarizzazione dei vasi distali e una ipertrofia

delle arterie più prossimali, che è aggravata dalla perdita del

parenchima polmonare.

Anche se relativamente lieve, l’entità dell’ipertensione arteriosa (PH)

è predittiva per la prognosi dei pazienti con COPD.

83

L’unico trattamento efficace nei pazienti con COPD e PH è l’aumento

della somministrazione dell’ossigeno, che in numerosi studi ha

mostrato una riduzione della mortalità.

La maggior parte delle interstiziopatie polmonari aggravate dalla PH

nascondono una connettivite. I pazienti senza rilievo diagnostico di

connettivite rientrano nel gruppo della fibrosi idiopatica polmonare

(17).

Le interstiziopatie più comunemente associate all’ipertensione

polmonare includono: le connettiviti correlate alle interstiziopatie, la

sarcoidosi, la fibrosi polmonare idiopatica e l’istiocitosi polmonare a

cellule di Langerhans.

Nella tabella seguente vengono elencate le varie interstiziopatie

correlate alla prevalenza della PH e al tipo di meccanismo

patogenetico responsabile.

84

Da un punto di vista patogenetico, l’ipertensione polmonare è

provocata generalmente da un rimodellamento vascolare e da una

vasocostrizione cronica ipossica polmonare. Questo rimodellamento

vascolare coinvolge le pareti arteriose polmonari e include

l’ispessimento dell’intima e ipertrofia della tonaca media. Altri

possibili meccanismi sono rappresentati dall’ostruzione vascolare o

dalla distruzione progressiva del parenchima polmonare dovuta alla

fibrosi, infiammazione vascolare e fibrosi perivascolare.

85

Le cellule dell’endotelio polmonare producono numerosi mediatori

vasoattivi (NO, prostaciclina ed endotelina) che modulano il tono

vasale polmonare, la proliferazione delle cellule muscolari vascolari e

il rimodellamento vascolare. Ad esempio l’endotelina-1 è un

vasocostrittore che agisce anche inducendo la formazione di matrice

extracellulare (azione pro-fibrotica). L’ipossia provoca un aumento

dei livelli di endotelina-1 nel plasma; infatti è stato ritrovato un

aumento dei livelli di endotelina-1 nel sangue di pazienti con

interstiziopatia polmonare, in particolare in quelli con ipertensione

polmonare.

Differenti meccanismi possono contribuire allo sviluppo della PH nei

pazienti con ILD; ad esempio(30) Fartoukh et al hanno descritto una

vasculopatia polmonare proliferativa che coinvolge la tonaca

muscolare delle arterie nella istiocitosi X (18).

DIAGNOSI

La storia naturale è incerta in quanto l’ipertensione polmonare può

essere inizialmente asintomatica. Poiché il sintomo predominante è la

dispnea, la malattia è diagnosticata in una fase avanzata. Altri sintomi

frequenti sono astenia, angina pectoris, che può riflettere una ischemia

86

del ventricolo destro, sincope, presincope e edemi periferici. L’esame

obiettivo evidenzia un aumento della pressione venosa giugulare, un

polso carotideo di ampiezza ridotta, un aumento della componente

polmonare del secondo tono e un quarto tono udibile in mesocardio.

Negli stadi più avanzati tendono a manifestarsi cianosi periferica e/o

edemi declivi.

La radiografia del torace evidenzia un aumento di calibro delle arterie

polmonari centrali. L’elettrocardiogramma mostra una deviazione a

destra dell’asse cardiaco e ipertrofia ventricolare destra.

L’ecocardiografia rileva un ingrandimento del ventricolo e dell’atrio

destro, una riduzione delle dimensioni del ventricolo destro e un jet di

rigurgito tricuspidale che può essere utilizzato per stimare la pressione

sistolica del ventricolo destro. Le prove di funzionalità polmonare

sono utili per documentare una patologia ostruttiva o restrittiva delle

vie aeree. L’ipossemia e un’anomala capacità di diffusione del CO

sono riscontri comuni nell’ipertensione polmonare.

La possibilità di stimare in modo non invasivo la pressione polmonare

(PAP) è dovuta all’applicazione di Hatle e Angelsen nei primi anni

’80. Il razionale della stima Doppler della PAP è dovuto ai seguenti

fattori:

87

1. la variazione in frequenza del segnale Doppler retro diffuso dai

globuli rossi in movimento permette l’acquisizione della

velocità istantanea massima attraverso gli orifizi valvolari da

cui è possibile derivare il gradiente di pressione tra camere

cardiache o sezioni del circolo (equazione di Bernoulli)

2. le velocità massime istantanee del jet di rigurgito tricuspidale e

del jet di rigurgito tele diastolico polmonare riflettono con

accuratezza i gradienti pressori massimi esistenti tra VD ed

atrio destro e tra VD ed arteria polmonare

3. è possibile ricavare il valore delle PAP sistolica (PAPS) e

diastolica (PAPD) sommando i rispettivi gradienti pressori alla

pressione atriale destra, il cui valore può essere ottenuto con

approccio subcostale valutando la reattività respiratoria della

vena cava inferiore, nella porzione del vaso più vicina

all’imbocco dell’atrio destro (Fig. 7). Questa stima implica la

misurazione del diametro cavale durante una normale

respirazione e durante un’ispirazione forzata, determinandone

poi la variazione percentuale.

La velocità sistolica di rigurgito tricuspidale permette la stima del

gradiente pressorio sistolico tra VD ed atrio destro. La misura della

88

pressione sistolica del VD si ottiene sommando il valore della

pressione atriale destra al gradiente derivato dalla velocità di rigurgito

tricuspidale (Fig. 12).

Figura 12: Stima della pressione arteriosa polmonare sistolica mediante il grado dell’insufficienza tricuspidale con Doppler ad onda continua. Nel pannello superiore determinazione del grado di insufficienza valvolare tricuspidale e del gradiente pressorio retrogrado mediante Doppler ad onda continua sovrapposto

89

al segnale color del rigurgito valvolare in sezione apicale 4 camere. Nel pannello inferiore determinazione del diametro della vena cava inferiore nella porzione adiacente all’atrio destro in sezione subcostale. Il diametro della vena cava inferiore deve essere misurato durante una normale respirazione e durante un’ispirazione forzata: la differenza percentuale dei due diametri permette di stimare il livello della pressione atriale destra.

In assenza di patologie ostruttive coinvolgenti l’efflusso del VD, la

valvola polmonare o la regione sopravalvolare, la PAPS è assimilabile

a quella in VD e può dunque essere misurata con le tecniche atte alla

stima della pressione sistolica del VD. Il gradiente pressorio correla

molto bene con i gradienti pressori misurati in modo invasivo.

Sommando al gradiente sistolico atrioventricolare così ottenuto i

valori di pressione atriale destra, si ottiene la PAPs.

Il Gold standard per la misurazione della PAPs resta comunque il

cateterismo cardiaco. Questo esame, sebbene invasivo, è essenziale

per una accurata misurazione della PAPs, della gittata cardiaca e della

pressione di riempimento del ventricolo sinistro. A causa della

difficoltà di valutare con precisione la pressione di incuneamento

capillare polmonare in pazienti con vascolopatia polmonare, è

preferibile un cateterismo del cuore sinistro per identificare un

aumento della pressione tele diastolica ventricolare sinistra come

causa della PH. E’ raccomandato che ,durante l’esame, i pazienti con

PH siano sottoposti a un test farmacologico con un vaso dilatatore

90

polmonare a breve durata d’azione per determinare il livello della

reattività vaso dilatatrice polmonare. L’NO per inalazione o

l’adenosina endovena sono tra i farmaci somministrati (8).

Recenti studi hanno dimostrato che la mortalità nella PH correla con

valori emodinamici ottenuti in maniera invasiva, tra cui la pressione

polmonare arteriosa, l’output cardiaco e la pressione dell’atrio destro.

E’ stato dimostrato che la distanza percorsa durante il 6MWT ha una

forte associazione con la mortalità a breve termine in pazienti con

insufficienza severa del cuore sinistro. La distanza percorsa in 6

minuti risulta essere il predittore migliore della mortalità. E’

interessante notare che una riduzione della riserva cardiaca durante

l’esercizio, indicata da una distanza percorsa breve in 6 minuti, può

essere associata a una cattiva prognosi nei pazienti con ipertensione

polmonare (24).

TERAPIA

Il trattamento della PH è basato sul contesto clinico, sulla severità

della PH e sui risultati del test di vaso reattività eseguito durante il

cateterismo cardiaco.

91

La valutazione della saturazione di ossigeno a riposo è molto utile,

poiché un apporto supplementare di ossigeno aiuta ad alleviare la

dispnea e l’ischemia del ventricolo destro nei pazienti in cui la

saturazione arteriosa di ossigeno è ridotta.

La terapia medica si basa sulla somministrazione di analoghi delle

prostaglandine, antagonisti dei recettori dell’endotelina, inibitori della

5-fosfodiesterasi.

Nella tabella seguente vengono riportate specifiche terapie per la PH

metodi di somministrazione.

Prostacyclin/prostacyclin analogues

Epoprostenol iv

Trepostinil iv, sc or inhaled

Iloprost iv or inhaled

Beraprost oral

Endothelin receptor antagonists

Dual ETA and ETB blockade

Bosentan oral

92

Selective ETA blockade

Sitaxsentan oral

Ambrisentan oral

Nitric oxide/nitric oxide donors

Nitric Oxide inhaled

L-Arginine oral

Phosphodiesterase-5 inhibitors

Sildenafi l oral

Tadalafi l oral

Tra gli analoghi delle prostaglandine l’epoprostenolo è il farmaco

meglio caratterizzato nell’ipertensione arteriosa polmonare per i

pazienti in classe funzionale NYHA III o IV che non rispondono ad

altre terapie. Il farmaco può essere somministrato solo per via

endovenosa e richiede il posizionamento di un catetere venoso

centrale permanente. I principali effetti collaterali sono rappresentati

da vampate di rossore al volto, dolore mandibolare e diarrea, di solito

ben tollerati dai pazienti. Il problema principale di questa terapia è

93

dato dalle infezioni connesse al catetere venoso che richiedono un

monitoraggio attento.

Un antagonista non selettivo del recettore dell’endotelina, il bosentan,

è stato immesso nel commercio recentemente per il trattamento orale

dei pazienti con PHA. Si raccomanda il controllo mensile della

funzionalità epatica.

Il sildenafil, è un inibitore orale della 5-fosfodiesterasi, un enzima

responsabile dell’idrolisi, a livello delle cellule muscolari lisce dei

vasi polmonari, del GMP ciclico, il mediatore attraverso il quale

l’ossido nitrico abbassa la pressione arteriosa polmonare e inibisce la

proliferazione vascolare polmonare.

Il trapianto polmonare è considerato un possibile trattamento per i

pazienti che durante la terapia con epoprostenolo continuano a

manifestare uno scompenso cardiaco destro. Buoni risultati si

ottengono mediante trapianto cuore-polmoni e con quello polmonare

mono o bilaterale. Nei pazienti sottoposti a trapianto polmonare non si

sono mai verificati casi di ipertensione polmonare recidivante (8).

IPERTENSIONE POLMONARE NELLA SCLERODERMIA

94

L’ipertensione polmonare colpisce il 5-33% dei pazienti con

sclerodermia e in particolare, il 9% dei pazienti con sindrome CREST,

ed i pazienti con la forma limitata cutanea, anche se si può riscontrare

in pazienti con la forma diffusa in associazione alla fibrosi polmonare.

La PH è una complicanza tardiva della sclerodermia, comparendo da 7

a 9 anni dopo la diagnosi. E’ stato suggerito di eseguire uno studio

emodinamico invasivo nei pazienti in cui si ha una PAPs maggiore di

35mmHg, con DLCO inferiore al 50% del valore predetto, infatti

l’ecocardiografia con Doppler ha un valore predittivo positivo buono,

ma non si può usare per escludere l’ipertensione polmonare in pazienti

con un’alta probabilità pre-diagnostica, soprattutto nei pazienti con

sclerodermia. L’ecocardiografia dovrebbe inoltre essere eseguita

annualmente in questi pazienti.

Il decorso naturale della PH porta al deterioramento progressivo con

insufficienza del cuore destro e morte da ipossia o da aritmia

ventricolare. Non è stata registrata una significativa differenza nella

sopravvivenza tra i pazienti con SSc e ipertensione polmonare

associata o meno a fibrosi polmonare (9).

Nello studio di Steen e A. Medsger, è stato dimostrato che una

riduzione della DLCO ha un elevato potere prognostico per lo

95

sviluppo di ipertensione polmonare isolata, come riportato nella figura

13.

Figura 13: valori della DLCO in pazienti con sclerodermia con o senza (controlli)una successiva diagnosi di ipertensione polmonare.

Lo studio è stato eseguito su due gruppi di pazienti con sclerodermia:

nel primo gruppo rientravano i pazienti con sclerodermia e

ipertensione polmonare, nel secondo i pazienti con sclerodermia che

non avevano sviluppato ipertensione polmonare (gruppo di controllo).

Entrambi i gruppi avevano eseguito i test di funzionalità respiratoria

durante ciascuno dei quattro seguenti periodi: 6 mesi prima della

diagnosi di ipertensione polmonare; da 6 mesi a 5 anni prima della

96

diagnosi di ipertensione polmonare; 5-10anni prima della diagnosi di

PH; 10-15 anni prima della diagnosi di PH. Dalla figura si nota che

entrambi i gruppi 10-15 anni prima della diagnosi di PH mostrano un

valore medio di DLCO dell’80% del valore predetto, ma il valore

medio della DLCO del gruppo con ipertensione polmonare si riduce

durante ciascuno dei successivi periodi di tempo, raggiungendo un

valore medio del 35% del predetto al momento della diagnosi di

ipertensione polmonare.

A confronto, il valore medio della DLCO nel gruppo di controllo resta

vicino all’80% del predetto. Questa differenza è altamente

significativa e suggerisce che nei pazienti che sviluppano

un’ipertensione polmonare isolata, vi è una progressiva riduzione

della DLCO nei 15 anni precedenti la diagnosi di ipertensione

polmonare.

97

Figura 14: Percentuale di sopravvivenza in funzione degli anni dalla diagnosi diPHT o MT.

La figura 14 mostra la probabilità di sopravvivenza per il gruppo con

SSc e ipertensione polmonare dal momento della diagnosi di PHT, e

per il gruppo di controllo dal momento corrispondente. Il gruppo di

pazienti che sviluppa ipertensione polmonare ha il 50% di possibilità

di sopravvivere dopo due anni dalla diagnosi e il 10% di possibilità

dopo 5 anni dalla diagnosi. I controlli hanno un tasso di sopravvivenza

a 2 e 5 anni dell’ 88% e dell’80% dal momento corrispondente (44).

Nessuno di questi pazienti con SSc veniva trattato con epoprostenolo.

La sindrome CREST veniva originariamente descritta come una forma

benigna di sclerodermia.

98

Il lavoro di Salerni et al. che descriveva dieci pazienti con CREST che

sviluppavano ipertensione polmonare severa indipendente dalla fibrosi

polmonare, fece realizzare come la CREST fosse una variante della

sclerodermia a coinvolgimento sistemico potenzialmente fatale. Gli

studi sui pazienti con PH isolata mostrano che questa complicanza è

causata da una vasculopatia non infiammatoria non correlata alla

fibrosi polmonare.

Solo cinque dei pazienti dello studio di Salerni et al. avevano eseguito

i test di funzionalità polmonare, ma tutti e cinque mostravano una

riduzione della DLCO.

Consequenzialmente è stato dimostrato che quasi tutti i pazienti con

PH mostrano una riduzione della DLCO (27).

99

ARTRITE REUMATOIDE

GENERALITA’

E’ una malattia sistemica cronica ad eziologia sconosciuta. E’

caratterizzata da diverse manifestazioni sistemiche, ma il quadro

tipico della AR è rappresentato da una sinovite infiammatoria

persistente che interessa le articolazioni periferiche. L’elemento

distintivo è costituito dall’infiammazione sinoviale che determina

danno alla cartilagine, erosioni ossee e, in seguito, deformità

articolari. La prevalenza dell’AR è di circa 0,8% nella popolazione

generale (la prevalenza può variare tra lo 0,3 e il 2,1); le donne sono

colpite circa tre volte in più dei maschi.

L’eziologia è sconosciuta, anche se sono stati chiamati in causa

numerosi agenti infettivi tra cui il virus di Epstein-Barr, il

citomegalovirus, i parvovirus e il virus della rosolia. Da un punto di

vista isto-patologico, nella sinovite reumatoide la lesione più precoce

è rappresentata da un danno micro vascolare e da un aumento

numerico delle cellule sinoviali che rivestono la cavità articolare.

Successivamente l’aumento delle cellule sinoviali si associa a

infiltrazione perivascolare di leucociti mononucleati. Prima dello

100

sviluppo dei sintomi clinici, l’infiltrato perivascolare è composto in

modo predominante da cellule mononucleate, mentre nell’artrite

sintomatica si riscontrano linfociti T. Con l’evolvere della malattia, la

sinovia diventa edematosa e protrude nella cavità articolare sotto

forma di proiezioni villose.

Nei due terzi dei pazienti l’esordio è insidioso, con senso di

affaticamento, anoressia, debolezza generalizzata e vaghi sintomi

muscolo-scheletrici. I sintomi prodromici possono durare settimane o

mesi o non essere diagnosticati. Numerose articolazioni, specialmente

quelle delle mani, dei polsi, dei piedi, delle ginocchia, sono colpite

simmetricamente. La manifestazione più comune dell’artrite

stabilizzata è costituita dal dolore aggravato dal movimento, a livello

delle articolazioni interessate.

La rigidità mattutina di durata superiore ad un’ora è una caratteristica

costante. La maggior parte dei pazienti mostra anche sintomi sistemici

come debolezza generalizzata, facile affaticabilità, perdita di peso e

febbre.

L’infiammazione sinoviale determina rigonfiamento, dolorabilità e

limitazione dei movimenti. Il dolore deriva essenzialmente dalla

capsula articolare riccamente innervata;il rigonfiamento articolare

101

deriva dall’accumulo di liquido sinoviale e dall’ispessimento della

capsula articolare; la limitazione del movimento è dovuta al dolore.

Con il persistere dell’infiammazione a carico della sinovia, si

manifestano deformità articolari caratteristiche a carico della mano

(deviazione radiale del polso con deviazione ulnare delle dita; iper-

estensione delle articolazioni interfalangee prossimali con flessione

compensatoria delle interfalangee distali detta deformità a collo di

cigno; deformazione in flessione delle articolazioni interfalangee

prossimali accompagnata da estensione delle interfalangee distali detta

deformità a boutonière), del piede, della colonna vertebrale

(soprattutto del tratto cervicale).

La AR è una malattia sistemica con varie manifestazioni extrarticolari,

frequenti ma non sempre clinicamente rilevanti. Tali manifestazioni

sono le seguenti:

• Noduli reumatoidi, che si localizzano a livello delle strutture

periarticolari, più comunemente a livello dell’ulna prossimale,

del tendine di Achille, dell’occipite.

• Vasculite reumatoide, che può interessare qualsiasi organo, ed è

più comune nei pazienti con AR grave. Può causare

polineuropatia, ulcere cutanee e infarto viscerale.

102

• Interessamento neurologico, che può derivare da sublussazioni

atlanto-assiali; neuropatie a carico del nervo mediano o

dell’ulnare o del tibiale anteriore, che possono essere causate da

lesioni al nervo secondarie a deformità articolare.

• Interessamento oculare (meno dell’1% dei casi), con episclerite.

• Interessamento polmonare, di cui si parlerà dettagliatamente in

seguito.

Non esistono test specifici per la diagnosi; tuttavia il fattore

reumatoide (autoanticorpo che reagisce con le IgG) è presente in più

dei due terzi dei pazienti adulti affetti da AR. La presenza di fattore

reumatoide non è specifica, essendo questo stato associato ad altre

condizioni patologiche, quali il LES, la sarcoidosi, la fibrosi

polmonare idiopatica, la mononucleosi e la TBC. Esso può avere un

significato prognostico, poiché pazienti con alto titolo presentano una

malattia più grave e progressiva con frequenti manifestazioni extra

articolari. Nei pazienti con AR è possibile ritrovare autoanticorpi

diretti contro la citrullina, e la VES è elevata così come la PCR. Da un

punto di vista radiologico, l’RX delle articolazioni interessate nella

fase iniziale non è utile in quanto non consente di visualizzare la

sinovia, ma con il progredire della malattia si rendono evidenti alcune

103

anomalie. L’utilità dell’RX consiste nel valutare l’entità della

distruzione della cartilagine e delle erosioni ossee, soprattutto nel

monitoraggio. Il decorso della malattia è variabile e imprevedibile, e si

ritiene che un decorso più aggressivo della malattia sia correlabile alla

presenza di una o più delle seguenti condizioni: la presenza di più di

20 articolazioni con segni di flogosi, il marcato aumento della VES, la

presenza all’RX di lesioni ossee, i noduli reumatoidi, l’età avanzata

all’esordio.

La mancanza di specificità dei sintomi provoca un ritardo diagnostico.

L’indicazione diagnostica è data dal quadro di poliartrite

infiammatoria bilaterale e simmetrica delle piccole e grandi

articolazioni degli arti superiori e inferiori, mentre sono solitamente

risparmiate le strutture scheletriche assiali, a eccezione della colonna

cervicale. La diagnosi è avvalorata da alcune caratteristiche indicative

quali la rigidità mattutina, i noduli sottocutanei. La presenza di fattore

reumatoide e di un liquido sinoviale infiammatorio con aumento della

quota di leucociti polimorfo nucleati, nonché la dimostrazione

radiologica di una demineralizzazione dell’osso iuxta-articolare e di

erosioni a carico delle articolazioni affette, rafforzano l’orientamento

diagnostico. Nel 1987 l’American College of Rheumatology ha

104

modificato i criteri precedentemente utilizzati per la classificazione

della AR. Tali criteri hanno dimostrato una sensibilità del 94% e una

specificità dell’89% se usati per classificare pazienti con AR in

confronto con soggetti di controllo affetti da malattie reumatiche

diverse dall’AR (8).

COINVOLGIMENTO POLMONARE

Le principali manifestazioni a carico dell’apparato respiratorio sono

rappresentate da: interstiziopatia, noduli reumatoidi, coinvolgimento

pleurico.

105

INTERSTIZIOPATIA

In accordo alla descrizione di Ellmann e Ball, l’interstiziopatia sembra

essere la manifestazione polmonare predominante dell’artrite

reumatoide (AR).

Le manifestazioni cliniche sono aspecifiche, con dispnea da sforzo

progressiva e tosse non produttiva come sintomi più comuni.

La dispnea può apparire tardivamente nel corso della malattia, dal

momento che la poliartrite spesso riduce severamente l’attività fisica

di questi pazienti. All’esame obiettivo è possibile auscultare fini

crepitii bibasali nella maggior parte dei pazienti e il clubbing è meno

comune rispetto ai pazienti con fibrosi polmonare idiopatica (11).

L’esecuzione dei test di funzionalità respiratoria è ritenuta utile per

l’identificazione precoce del coinvolgimento polmonare in corso di

artrite reumatoide. Numerosi studi hanno infatti riportato che pazienti

con AR hanno una aumentata incidenza di reperti anomali nelle prove

di funzionalità respiratoria. In particolare, lo studio di Lone et al, ha

permesso l’identificazione e la classificazione delle principali

alterazioni registrate dai test di funzionalità respiratoria nei pazienti

106

con interessamento polmonare in corso di AR seguiti per un periodo

di 5 anni. Le alterazioni riscontrate sono le seguenti (tabella):

• Un difetto ventilatorio ostruttivo (2,4% dei casi) in cui si ha una

riduzione del rapporto FEV1/FVC inferiore al 70%. La severità

del deficit ostruttivo è determinato dalla riduzione del FEV1.

• Un difetto ventilatorio restrittivo (25,6% dei casi) in cui si ha

una riduzione inferiore al 79% del predetto della capacità

polmonare totale.

• Una riduzione della DLCO (21% dei casi).

• Un difetto delle piccole vie aeree (14,6% dei casi) in cui si

verifica una riduzione del FEF25-75% senza riduzione del

FEV1/FVC.

107

Negli stadi iniziali della fibrosi polmonare la radiografia del torace

può essere normale, ma con l’aggravarsi della patologia si riscontrano

alterazioni a carico del parenchima che inducono a richiedere un

HRCT (36). La TC ad alta risoluzione (HRCT) è inoltre, molto più

sensibile del RX del torace nella dimostrazione della presenza di

108

interstiziopatia e questo permetterebbe di effettuare una diagnosi

precoce.

Lo studio di Cortet et al, ha classificato le lesioni riscontrate alla

HRCT dei pazienti con artrite reumatoide in tre categorie:

• lesioni suggestive di patologia a carico delle vie aeree, quali gli

ispessimenti delle pareti bronchiali; le bronchiectasie,

includendo le bronchiectasie centrali (caratterizzate dalla

mancanza del progressivo ispessimento dei bronchi lobari e

segmentali alle successive scansioni) e periferiche (riconosciute

per il reperto di anomala visualizzazione delle vie aeree

subsegmentali nelle sedi più periferiche); noduli centro lobulari

ed aree di ramificazione ad alta attenuazione, suggestive di

interessamento bronchiolare; zone di intrappolamento di aria,

come accertato dalle scansioni ottenute al termine

dell’espirazione, e registrato come aree di anomala

attenuazione;

• lesioni suggestive di interessamento polmonare, come le aree di

attenuazione con diametro compreso nell’intervallo di valori tra

3 e 30 mm, riferibile a noduli reumatoidi; aree rotonde di

attenuazione di diametro inferiore a tre millimetri

109

immediatamente adiacente alla parete toracica, che sono

registrati come micro noduli subpleurici;

• Altre lesioni, quali enfisema, caratterizzato da aree di ridotta

attenuazione, distruzione del pattern vascolare, e assenza di un

vera e propria parete; bolle, definite come regioni di enfisema

con una parete propria spessa da 1 a 2 millimetri; aree di

attenuazione lineare, che includono linee settali (identificate

come opacità lineari); aree di aumentata attenuazione, incluse

aree a vetro smerigliato.

I polmoni sono quindi stati divisi in 3 zone: superiore (al di sopra

della carena), media (tra la carena e il livello delle vene polmonari

inferiore), e inferiore ( al di sotto del livello delle vene polmonari

inferiori) e sono state contate le varie anomalie presenti alla HRCT.

Da questo studio è emerso che le anomalie maggiormente

rappresentate sono date da micro noduli subpleurici (28% dei pazienti)

con una predominante o esclusiva distribuzione nelle zone superiori

del polmone; opacità demarcate e rotonde con distribuzione periferica

nei lobi superiori e medi (nel 6% dei pazienti), aree di

intrappolamento di aria, bronchiectasie e numerose altre anomalie

riportate nella tabella sottostante.

110

Nella figura 15 (HRTC) è possibile notare l’interessamento polmonare

e la presenza di bronchiectasie bilaterali, centrali e periferiche (30).

111

Figura 15.

In un altro studio di Cortet condotto su un gruppo di pazienti con AR,

è stata dimostrata una significativa riduzione dei seguenti volumi

polmonari: FEV1/FVC, FEF25%, FEF50%, FEF25-75% e della

DLCO e il 13% dei pazienti mostrava un interessamento delle piccole

vie aeree definito dalla riduzione del FEF25-75%. I pazienti con

bronchiectasie osservate alla HRCT mostravano bassi valori di FEV1,

FVC, FEF25-75, e di DLCO, compatibili con il quadro di

interessamento delle piccole vie aeree. Tale studio suggerisce quindi

112

l’esistenza di una significativa associazione tra i risultati ottenuti ai

test di funzionalità respiratoria lesioni riscontrate alla HRTC.

Nello studio di Nobuyukl et al, sono state evidenziate le modificazioni

maggiormente riscontrate alla HRTC di pazienti con AR:

• opacità a vetro smerigliato (GGO) presente nel 90% dei

pazienti;

• reticolazione presente nel 98% dei casi;

• honeycombing nel 60% dei casi;

• bronchiectasie da trazione nel 75% dei casi;

• distorsione dell’architettura del parenchima nel 62% dei casi;

• noduli osservati nel 49% dei pazienti.

113

Sono stati inoltre identificati i pattern di interstiziopatia più frequenti:

• Polmonite interstiziale usuale (UIP) in cui le reticolazioni e le

GGO sono stati i reperti più frequenti;

• NSIP, in cui reticolazioni e GGO sono stati osservati

bilateralmente con maggiore frequenza nei lobi inferiori dei

polmoni. L’honeycombing è stato riscontrato nel 53% dei

pazienti bilateralmente ed è predominante nelle zone inferiori

del polmone;

114

• Polmonite organizzata, in cui predominano consolidazione degli

spazi aerei, GGO, reticolazioni e micro noduli centrolobulari.

Le aree di consolidazione e le GGO sono bilaterali e localizzate

nelle aree sub pleuriche senza mostrare una predominanza

zonale. L’ispessimento bronco vascolare è osservato

frequentemente.

Il pattern NSIP è il prevalente, anche se in uno studio la UIP

sembrerebbe essere il pattern più frequente. La prognosi dell’

interstiziopatia associata ad AR è di solito buona poiché il

deterioramento della funzionalità polmonare è lento anche se uno

studio ha riportato una sopravvivenza media del 39% a 3,5 anni in un

gruppo di pazienti con AR ospedalizzati per fibrosi polmonare,

sopravvivenza molto simile a quella osservata nei pazienti con fibrosi

idiopatica polmonare.

Il trattamento dell’interstiziopatia associata alla AR non è ben

definito. Teoricamente dovrebbe essere eseguito in base al pattern del

coinvolgimento patologico del polmone, ma la biopsia polmonare è

raramente effettuata in questi pazienti e la terapia resta essenzialmente

empirica, ovvero adattata alla clinica, ai reperti radiografici e ai test

funzionali.

115

I corticosteroidi rappresentano la prima linea terapeutica, alla quale

risponde il 40% dei pazienti.

La ciclofosfamide, l’azatioprina, il metotrexate, la ciclosporina, sono

utilizzati da soli o in associazione con i corticosteroidi come terapia di

mantenimento o per le forme resistenti ai corticosteroidi.

Numerosi farmaci usati nel trattamento della AR sono stati associati

con una malattia polmonare farmaco-indotta. Gli effetti collaterali a

carico dell’apparato respiratorio propri di numerosi farmaci, come il

metotrexate, i sali d’oro, la D-penicillammina e i farmaci anti-

infiammatori non steroidei, sono conosciuti ormai da tempo. La

rilevanza clinica dei casi di interstiziopatia polmonare farmaco-

indotta, ha portato alla creazione di un database informatico sul web,

che fornisce informazioni aggiornate sui farmaci capaci di provocare,

come effetto avverso, la comparsa di interstiziopatia o lesioni a carico

dell’apparato respiratorio (31).

NODULI REUMATOIDI

116

I noduli reumatoidi sono l’unica lesione specifica osservabile nei

polmoni dei pazienti con AR, e sono riscontrabili nello 0,2% dei

pazienti con AR.

La frequenza dei noduli polmonari è maggiore nei maschi e nei

pazienti con noduli subcutanei o con altre manifestazioni extra

articolari; in rari casi possono precedere la comparsa della malattia

articolare.

La misura dei noduli alla RX varia da pochi millimetri a 7 centimetri;

sono spesso periferici con predominanza delle zone polmonari mediali

e superiori.

Possono essere osservati all’RX e alla HRCT (figura 16) con

localizzazione frequente nelle regioni sub pleuriche o lungo i setti

interlobari, ma sono state descritte anche le localizzazioni

endobronchiali (11).

I noduli sono istologicamente simili a quelli osservati nel tessuto

sottocutaneo, ad eccezione della presenza di una polvere pigmentata e

di cellule giganti e granulomi ben formati nella regione periferica del

nodulo.

I noduli sono di solito asintomatici e non evolvono nel tempo ma

possono complicarsi con cavitazioni, infezioni ed emottisi. La rottura

117

di un nodulo necrotico reumatoide nella pleura può indurre uno

pneumotorace o un pio pneumotorace se infettato. Lo stesso

meccanismo probabilmente spiega la frequenza dell’empiema pleurico

nella AR. Il trattamento di queste manifestazioni si basa sull’utilizzo

di un tubo di drenaggio toracico e di antibiotici se è presente

un’infezione.

Il riscontro di uno o più noduli polmonari nel paziente con AR pone il

problema della loro natura. E’ necessaria una attenta diagnosi per

poter distinguere un’infezione da una lesione tumorale (9).

Il sospetto diagnostico può rafforzarsi in seguito all’esecuzione di una

tomografia ad emissione di positroni, una tecnica non invasiva che

sfrutta il 18-fluorodeossiglucosio (FDG-PET) e consente l’analisi

qualitativa e semi-quantitativa dell’attività metabolica tissutale, che è

aumentata nel carcinoma bronchiale. La sensibilità diagnostica di

FDG-PET nei noduli maligni varia tra 96,8 e 100% e la specificità

varia tra 77,8 e 88%; il valore predittivo positivo è 94% e il valore

predittivo negativo è 100%. I principali falsi positivi sono lesioni

infiammatorie o infezioni; i principali falsi negativi sono noduli di

dimensioni inferiori a 1 cm e carcinomi ben differenziati. Un FDG-

118

PET positivo richiede sempre una scissione chirurgica del nodulo per

ottenerne conferma istologica.

Dal momento che non esistono dati clinici o di laboratorio che aiutino

nella diagnosi differenziale, e le tecniche di immagine non sono

abbastanza specifiche, è raccomandata una conferma istologica

tramite broncoscopia, aspirazione trans-toracica con ago sottile o

tramite biopsia chirurgica per ottenere la certezza diagnostica.

Una sindrome caratterizzata dalla presenza di noduli polmonari

bilaterali in pazienti con AR esposti alla silice è stata descritta con il

termine di Sindrome di Caplan, osservata anche in pazienti con AR

esposti alle polveri (34).

119

Figura 16: Nell’immagine HRCT (figura 16) è possibile notare la presenza di unnodulo reumatoide subpleurico localizzato nel polmone destro.

COINVOLGIMENTO PLEURICO

Durante il decorso dell’artrite reumatoide può presentarsi un

interessamento della pleura, con versamento pleurico, pleurite o

noduli sub pleurici di cui abbiamo già parlato.

I versamenti pleurici solitamente si risolvono spontaneamente, ma

sono possibili anche versamenti cronici. L’esame del liquido pleurico

è necessario per accertarne la natura e determinarne la causa, in

particolare bisogna escludere la possibilità che si tratti di un

120

carcinoma o di un’infezione nei pazienti in trattamento con

immunosoppressori.

L’analisi del liquido pleurico aspirato rileva solitamente una

predominanza neutrofila o linfocitica con bassi valori del pH, alta

attività della adenosina deaminasi e aumento del fattore reumatoide,

caratteristiche che sono state associate ai versamenti reumatoidi.

Tali versamenti non richiedono uno specifico trattamento, anche se

quando sono abbondanti provocano dispnea e in questi casi sono

trattati con un tubo di drenaggio toracico e con sclerosi della pleura

nei casi refrattari.

Si possono inoltre riscontrare noduli pleurici, con una reazione

istiocitica che circonda aree centrali di necrosi fibrinoide simili a

quelle viste nei noduli reumatoidi, che colpiscono preferenzialmente

la pleura viscerale, cosicché sono raramente prelevati dalla biopsia

pleurica (9).

BRONCHIECTASIE

Le bronchiectasie sono reperti abbastanza comuni nella AR, ed è stato

dimostrato alla HRCT che sono presenti nel 20-35% dei casi, associati

in un terzo dei casi a modificazioni dell’interstizio. I dati riscontrati

all’autopsia sono però più bassi, e le bronchiectasie clinicamente

121

manifeste sono poco frequenti, interessando l’1-5% dei pazienti. Nel

90% dei pazienti le bronchiectasie precedono di 25-30 anni lo

sviluppo della AR e sono riscontrate più frequentemente nelle donne

rispetto agli uomini. La coesistenza di AR e bronchiectasie è associata

ad una alterazione dei test di funzionalità respiratoria e ad una cattiva

prognosi a 5 anni. In uno studio caso-controllo, i pazienti con AR e

bronchiectasie morivano con una frequenza maggiore rispetto alla

popolazione generale e ai pazienti con bronchiectasie senza AR.

Le bronchiectasie favoriscono le infezioni polmonari che

rappresentano la maggiore causa di morte nella AR. La ragione

dell’aumentata prevalenza di bronchiectasie nella AR è poco

compresa. L’aumentata suscettibilità dei pazienti con AR alle

infezioni delle vie aeree è forse dovuta a un deficit dell’immunità

umorale (9).

OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE

Studi controllati della funzionalità polmonare nei pazienti con AR

dimostrano una elevata prevalenza dell’ostruzione cronica delle vie

aeree (16-38% dei pazienti con AR) e un incremento della reattività

122

bronchiale alla metacolina. I pazienti possono trarre beneficio da

trattamento con corticosteroidi e bronco-dilatatori per via inalatoria.

Alcuni studi dimostrano pattern di coinvolgimento delle vie aeree

differenti, quali la bronchiolite follicolare, la bronchiolite costrittiva e

la panbronchiolite diffusa.

Malgrado l’alta prevalenza di anomalie della funzione polmonare,

risulta raro trovare severe ostruzioni delle vie aeree nei pazienti non-

fumatori con AR (9).

TERAPIA

Gli obiettivi della terapia sono i seguenti:

• Attenuare il dolore

• Ridurre l’infiammazione

• Proteggere le strutture articolari

• Controllare l’eventuale coinvolgimento sistemico.

E’ quindi necessario un approccio interdisciplinare. La terapia medica

comprende diversi approcci:

• FANS e antidolorifici per controllare i sintomi legati al

processo infiammatorio locale. Questi farmaci consentono una

riduzione della sintomatologia ma esercitano un effetto modesto

123

sul controllo della progressione della malattia. E’ stato

dimostrato che gli inibitori della ciclossigenasi (COX), che

inibiscono selettivamente la COX2 e non la COX1, hanno pari

efficacia dei FANS ma causano ulcere gastro-duodenali con

minore frequenza, così vengono preferiti nella terapia.

• Glucocorticoidi per os a basso dosaggio.

• DMARD (farmaci antireumatici che modificano la malattia) che

riducono gli elevati livelli di proteine della fase acuta,

riducendo l’entità della infiammazione. In questo gruppo

rientrano il metotrexato, i Sali d’oro, la D-penicillammina, gli

anti-malarici e la sulfasalazina. Tutti questi farmaci possiedono

una scarsissima azione anti-infiammatoria o un’azione

analgesica aspecifica, pertanto nel corso della loro

somministrazione si deve proseguire il trattamento con altri

anti-infiammatori (8). In particolare il methotrexate (MTX) è il

DMARD dotato della più lunga sopravvivenza in terapia.

Nonostante ciò, il trattamento è interrotto più frequentemente

per tossicità, con un rischio di eventi avversi di circa il 30%

come è stato documentato in trials clinici a breve termine e in

alcuni studi osservazionali (35).

124

• Agenti neutralizzanti le citochine, cioè i farmaci biotecnologici,

come l’Infliximab (anticorpo monoclonale chimerico contro il

TNF),l’Etanercept (recettore di tipo II del TNF legato a una

IgG1), l’Adalimumab (anticorpo totalmente umano contro il

TNF), l'Abatacept ( proteina di fusione costituita dal dominio

extracellulare dell’antigene 4 associato al linfocita T citotossico

umano (CTLA-4) legato alla porzione Fc modificata della

immunoglobulina G1 umana), il Golimumab (Anticorpo

monoclonale umano IgG1κ prodotto da una linea cellulare di

ibridomi murini con tecnologia DNA ricombinante), il

Tocilizumab (anticorpo monoclonale umanizzato IgG1 diretto

contro il recettore dell’interleuchina-6 umana).

• Immunosoppressori eccito tossici, come l’azatioprina, la

leflunomide, la ciclosporina e la ciclofosfamide.

125

LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES)

E’ una malattia autoimmune che colpisce preferenzialmente le donne

e può interessare qualsiasi organo (9). L'esordio avviene più

comunemente in età fertile (da 15 a 45 anni) e più frequentemente

nella popolazione femminile. E’ causata da una risposta immunitaria

sproporzionata in presenza di fattori ambientali e suscettibilità

genetica. Le alterazioni immunologiche comprendono una iperattività

dei linfociti B e T, una inadeguata regolazione dell’attivazione

linfocitaria e una continua produzione di anticorpi. Conseguentemente

si ha la produzione di autoanticorpi e formazione di immunocomplessi

diretti verso tessuti bersaglio.

Le manifestazioni cliniche sono rappresentate dalle seguenti:

• Muscolo scheletriche: tumefazione dei tessuti molli e

dolorabilità delle articolazioni (mani, polsi, ginocchia).

• Cutanee: rash sistemico e lupus eritematoso discoide sono le più

frequenti. Le lesioni discoidi sono circolari, poco rialzate,

iperpigmentate, eritematose perifericamente e atrofiche al

centro, in cui tutti gli annessi cutanei sono distrutti. La più

comune manifestazione cutanea è il rash fotosensitivo dopo

126

esposizione ai raggi ultravioletti al livello del volto (rash a

farfalla), orecchie, mento, torace e superfici estensorie degli

arti.

• Renali: la nefrite è la più grave manifestazione del LES ed

insieme alle infezioni è la principale causa di morte nella prima

decade della malattia.

• A carico del SNC e SNP, la più frequente manifestazione è data

dai disturbi cognitivi, da cefalea e convulsioni.

• Cardiovascolari: per l’aumentata prevalenza di TIA, IMA e

trombosi. E’ inoltre frequente la pericardite.

• Ematologiche: leucopenia consistente solitamente in

linfopenia, anemia e la trombocitopenia.

• Gastrointestinali: con addome acuto causato dalla peritonite

autoimmune; vasculiti che interessano il tratto gastrointestinale.

• Polmonari: la più frequente è rappresentata dalla pleurite.

Per la diagnosi è importante la ricerca degli ANA, test positivo in più

del 95% dei pazienti, ma è possibile il dosaggio di numerosi altri

anticorpi, tra cui gli anticorpi antifosfolipidi.

La terapia varia in rapporto al tipo di manifestazione della malattia e si

basa sulla somministrazione di FANS, glucocorticoidi topici o per os,

127

antimalarici di sintesi come la idrossiclorochina e immunosoppressori

come ad esempio il metotrexate, l'azatioprina, la leflunomide, la

ciclosporina, la ciclofosfamide , il micfenolato mofetile e

l'immunoglobuline endovena.

Le manifestazioni polmonari nel LES sono le seguenti:

• Coinvolgimento pleurico: è la più comune localizzazione

toracica, interessa circa la metà dei pazienti e talvolta

rappresenta la manifestazione d'esordio della malattia. Può

essere asintomatico ma frequentemente si manifesta con dolore

pleurico nel 45%-60% dei pazienti, senza segni radiografici

indicativi di versamento pleurico. La pleurite è associata a

dolore toracico, dispnea, tosse e febbre. Può essere senza

versamento oppure comportare la formazione di un essudato; il

versamento pleurico può essere uni o bilaterale e di dimensioni

ridotte. La toracentesi in questi pazienti è necessaria in quanto

tale versamento può avere differenti cause, quali infezioni,

insufficienza renale, insufficienza cardiaca, embolia polmonare.

L’esame del liquido pleurico mostra solitamente una conta

leucocitica con predominanza di neutrofili o di cellule

mononucleate. La biopsia pleurica, indicata per escludere altre

128

cause di versamento come da TBC o cancro, mostra un

infiltrato linfocitico con fibrosi e ispessimento pleurico. La

risoluzione può essere spontanea o indotta dalla terapia con

basse dosi di corticosteroidi.

• Coinvolgimento del parenchima: la polmonite lupica acuta. E'

piuttosto rara, con una frequenza variabile dall’ 1 al 10% dei

pazienti e spesso rivela un LES sconosciuto. Si manifesta

simulando una polmonite acuta infettiva con tosse, dispnea e

febbre. La TAC del torace mostra infiltrati alveolari uni o

bilaterali. Il decorso della polmonite lupica è verso

l’insufficienza respiratoria acuta, motivo per cui di fronte al

sospetto diagnostico bisogna richiedere un BAL alla ricerca di

agenti infettivi. Il trattamento è basato su corticosteroidi

endovena.

• Emorragia alveolare diffusa è una rara ma severa

manifestazione del LES con mortalità del 50%-90%. La

manifestazione può essere asintomatica o fulminante. I pazienti

colpiti sono giovani, con età media di 27 anni, e si manifesta

con dispnea, tosse, febbre e anemia. I sintomi sono di solito

improvvisi e possono essere presenti per meno di tre giorni nei

129

due terzi dei pazienti. L’emottisi è presente in meno della metà

dei pazienti. La diagnosi può essere ottenuta facilmente con il

BAL, mentre la biopsia non è utile. Il trattamento non è ben

definito, anche se una combinazione di corticosteroidi,

ciclofosfamide e plasmaferesi dà risultati promettenti.

• Interstiziopatia. Molto rara, è presente in meno del 3% dei

pazienti. I test di funzione respiratoria sono anomali nel 50%

dei pazienti e sono riscontrabili numerose anomalie alla HRCT.

In alcuni pazienti la fibrosi polmonare può essere una

conseguenza della polmonite lupica. I reperti istologici

descrivono anomalie aspecifiche con infiltrati interstiziali

linfocitici, fibrosi interstiziale e lesioni honeycombing. E’ stata

descritta la polmonite interstiziale linfocita (LIP) in pochissimi

pazienti associata alla S Sjogren.

• L’interessamento delle vie aeree superiori non è comune, ma è

stata riportata un’incidenza dallo 0,3 al 13% di coinvolgimento

laringeo.

• L’ipertensione polmonare complica il decorso del LES nel 5-

14% dei pazienti. In uno studio l’ipertensione polmonare è stata

associata a un aumento della mortalità superiore al 50%.

130

• Shrinking Lung Syndrome è presente nei pazienti con LES che

manifestano dispnea progressiva, il ritrovamento radiografico

caratteristico ridotti volumi polmonari, sollevazione degli

emidiaframmi, atelectasie bibasali con un deficit ventilatorio

restrittivo e una DLCO conservata (8).

131

SINDROME DI SJOGREN

E’ una malattia autoimmune sistemica a decorso lentamente

progressivo, caratterizzata da infiltrazione linfocitaria delle ghiandole

esocrine ed in particolare delle ghiandole lacrimali e salivari,

determinando così xerostomia e secchezza oculare. Un terzo dei

pazienti presenta manifestazioni extraghiandolari. Questa patologia

può presentarsi sia isolatamente, con o senza coinvolgimento

sistemico (Sjogren primitiva), sia in associazione ad altre malattie

reumatiche autoimmuni (Sjogren secondaria).

Colpisce prevalentemente le donne a qualsiasi età. La sintomatologia è

legata alla riduzione della funzione secretiva delle ghiandole salivari e

lacrimali e conseguentemente i pazienti avvertono difficoltà a

deglutire i cibi secchi e a parlare speditamente, oltre alla sensazione di

secchezza agli occhi, arrossamento della congiuntiva e prurito (8).

La classica triade sintomatologica è data da xerostomia, xeroftalmia e

artrite.

Le manifestazioni extraghiandolari, conseguenti all'estensione del

processo linfoproliferativo ai vari parenchimi, sono comuni nei

pazienti con Sjogren primario, rappresentando circa il 25% dei casi;

132

possono determinare un impegno renale ( prevalente tubulare, tipo

acidosi renale tubulare o diabete insipido nefrogenico), muscolare

( miosite), neurologico ( centrale o periferico) , tiroideo ( gozzo non

tossico o tiroidite autoimmune) , ematologico (linfoma non-Hodgkin o

maltoma) e interessamento dell’apparato respiratorio.

La prevalenza dell’interessamento polmonare varia in base alla

modalità diagnostica utilizzata: l’HRCT dimostra anomalie nel 34-

65% dei pazienti valutati, mentre i test di funzionalità respiratoria

rivelano anomalie nel 75% dei pazienti.

Se però consideriamo il significato clinico della malattia polmonare,

questa colpisce meno del 10% dei pazienti con Sjogren (SS).

Le manifestazioni a carico dell’apparato respiratorio sono legate alle

anomalie della clearance muco-ciliare responsabili delle infezioni

respiratorie ricorrenti. L’interessamento delle vie aeree inferiori

produce una tosse secca osservata in più del 50% dei pazienti.

L’interstiziopatia polmonare colpisce l’8-38% dei pazienti con Ss

primaria.

Sono stati osservati diversi pattern isto-patologici quali NSIP, UIP,

LIP e bronchiolite follicolare, ma la NSIP rimane il pattern prevalente.

133

Il BAL ha dimostrato l’alta prevalenza di alveoliti linfocitiche e

neutrofile subcliniche che colpiscono il 50% dei pazienti (9).

La diagnosi di sindrome di Sjogren viene sospettata dal quadro clinico

di presentazione, e si baserà sull’esecuzione di test specifici volti a

valutare le alterazioni immunologiche che caratterizzano la malattia e

ad evidenziare l'impegno delle ghiandole salivari e lacrimali. In

pratica, in aderenza anche ai più recenti criteri internazionali, si ritiene

necessaria ( e spesso sufficiente) ai fini diagnostici la presenza di

anticorpi specifici anti SSA e anti SSB, talora integrata dalla biopsia

delle ghiandole salivari minori e della parotide.

La riduzione della secrezione lacrimale viene comunemente indagata

mediante il test di Shirmer, che consiste nell'apposizione di una

strisciolina di carta bibula nel fornice palpebrale inferiore e nella

successiva misurazione dei millimetri di carta imbibiti dalle lacrime.

Un altro test è il cosiddetto tempo di rottura del film lacrimale , che si

esegue colorando il film corneale con fluoresceina e osservando la

rottura con la lampada a fessura. La cheratocongiuntivite secca può

essere dimostrata con il test al verde di lissamina, al rosa del Bengala

o alla fluoresceina. In questo caso i coloranti persistono nelle zone di

congiuntiva sclerale o corneale disepitelizzate. Anche la scialografia o

134

la scintigrafia con Tecnezio 99 pertecnetato permettono una

valutazione del coinvolgimento delle ghiandole salivari. Infine la

biopsia delle ghiandole salivari minori , eseguita nel labbro inferiore, è

ritenuta da molti il metodo più specifico per la valutazione

dell'impegno salivare nella sindrome di Sjogren.

Poiché spesso la Sjogren si manifesta in associazione ad altre malattie

reumatiche autoimmuni, nel contesto di queste è necessario porre il

sospetto di una sindrome di Sjogren secondaria.

La terapia è preventiva e sintomatica, basata sull’igiene orale e

frequente assunzione di liquidi per scongiurare le carie dentali, visite

oculistiche periodiche e uso di lacrime artificiali per il trattamento

della secchezza oculare. Di una certa utilità si è rivelato l'uso di

farmaci capaci di stimolare la secrezione salivare, come la pilocarpina.

Nel caso di interessamento sistemico sarà utile ricorrere ai FANS e ai

corticosteroidi per il trattamento delle artralgie e dell'astenia;

all'idrossiclorochina per favorire la riduzione della sintesi di

autoanticorpi, ed infine agli immunosoppressori, quali la ciclosporina,

la ciclofosfamide o il metrotrexate per le manifestazioni

extraghiandolari severe, in particolare la vasculite e la

glomerulonefrite.

135

STUDIO CLINICO

Sulla base di quanto fino ad ora affermato è possibile concludere

come l’associazione tra interstiziopatia polmonare (IP) e connettiviti

abbia delle rilevanti ricadute di carattere clinico e organizzativo. La

diagnosi di queste patologie richiede un approccio diagnostico e

terapeutico di tipo multidisciplinare che vede coinvolti specialisti di

diverse branche dell’area medica.

Diventa quindi importante verificare se quanto riportato dalla

letteratura internazionale trova riscontro nella nostra realtà locale e

con quali connotazioni specifiche l’associazione tra IP e connettiviti si

presenta.

A tal fine ho analizzato alcune cartelle cliniche della S.S.D

Reumatologia dell'Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo di cui è

responsabile la Dott.ssa Romeo Nicoletta .

Lo studio è stato finalizzato ad individuare e descrivere i casi di

pazienti affetti da connettivite con coinvolgimento polmonare

mettendo in evidenza in modo particolare le caratteristiche funzionali

di questi pazienti, il tipo di pattern radiologico attraverso cui la loro

136

patologia si presentava, ed infine la presenza o meno di ipertensione

polmonare.

137

Tra le 800 cartelle esaminate nel 2013 , ho riscontrato un

coinvolgimento polmonare in 254 pazienti. Tra questi solo 30 erano

affetti da IP idiopatiche o da cause diverse rispetto alle connettiviti,

mentre in 516 casi non vi era associazione tra IP e connettiviti

diverse. Nei restanti casi si trattava di altre patologie di interesse

reumatologico ivi comprese alcune vasculiti che non sono comunque

state prese in considerazione ai fini di questo studio (tab. 1).

138

139

Tabella 1

Il coinvolgimento polmonare appare poi più evidente nella

Sclerodermia e nell’Artrite Reumatoide. (tab. 3).

140

Connettivite senza

coinvolgimento polmonare 516Connettivite con

coinvolgimento polmonare 254

Fibrosi Idiopatica 30TOTALE CARTELLE 800

Tabella 3

SCLERODERMIA 68

LES 45

AR 61CONNETTIVITE

INDIFFERENZIATA 39

POLIMIOSITE 18

SINDROME SJOGREN 23

TOTALE 254

Il campione di 254 pazienti descritto, è costituito da 205 femmine e 49

maschi, a conferma di come le connettiviti siano patologie che

interessano prevalentemente il sesso femminile.

La maggior parte dei pazienti giungeva al nostro ambulatorio con una

diagnosi di connettivite, per cui venivano eseguiti gli esami di

funzionalità respiratoria e una HRCT per valutare l’eventuale danno

polmonare e la sua entità.

In alcuni casi invece, la diagnosi di connettivite veniva posta in

seguito al riscontro di una interstiziopatia che si accompagnava a

segni e sintomi caratteristici delle connettiviti, quali il fenomeno di

Raynaud o le artralgie che portavano alla richiesta di una visita

specialistica reumatologica e all’esecuzione di esami di laboratorio

volti ad identificare un’eventuale positività agli auto-anticorpi.

141

Indipendentemente dal fatto che la diagnosi di interstiziopatia fosse

posta precedentemente alla visita pneumologica o reumatologica

oppure in seguito ad esse, i pazienti eseguivano esami di funzionalità

respiratoria quali la spirometria, la capacità di diffusione alveolo-

capillare (DLCO) ed il test del cammino (6MWT).

Dai referti ottenuti alla spirometria (tab. 4), emerge la prevalenza di

volumi polmonari nella norma (198 pazienti) con un ridotto numero di

casi di deficit ventilatorio restrittivo (in 32 pazienti) e ostruttivo (in 24

pazienti).

Nei pazienti con SSc e AR, le due connettiviti più rappresentate, in cui

vi è, infatti, una prevalenza di registrazione di volumi polmonari

normali, ed in particolare 48 casi su 61 presentano volumi polmonari

nella norma nella AR, 39 casi su 68 presentano volumi polmonari

nella norma nella SSc (tab. 5 e 6).

Tabella 4

Deficit ventilatorio ostruttivo 24Deficit ventilatorio restrittivo 32Normale 198

142

mentre nel rimanente 9% dei pazienti il test non è stato eseguibile per

la presenza del fenomeno di Raynaud. In quest’ultimo caso infatti, il

test del cammino non può essere eseguito con l’utilizzo del

pulsossimetro, in quanto la vasocostrizione presente a livello del

circolo periferico delle dita causa una riduzione del flusso sanguigno

rivelabile dalla sonda che elaborerebbe quindi dati falsati. Sarebbe

quindi preferibile disporre di sonde differenti adeguate all’esecuzione

del test del cammino in pazienti con Raynaud.

147

In questi pazienti è importante misurare la pressione polmonare

perché, in accordo agli studi presenti in letteratura, la riduzione

della DLCO potrebbe essere un indice predittivo di ipertensione

polmonare.

In conclusione, il riscontro di una spirometria normale con valori

ridotti di DLCO potrebbe essere attribuibile a un danno della

membrana alveolo-capillare e/o all’ipertensione polmonare.

Grafico 11

150

Il pattern radiologico descritto nelle due patologie, coincide con il

pattern NSIP, che è il più frequentemente associato alle connettiviti, in

accordo agli studi presenti in letteratura.

Tabella 8

AR SclerodermiaGGO 47,4% 50%

Reticolazione 73,7% 80%Bronchiectasie 26,3% 45%Honeycombing 15,8% 5%

Noduli 31,6% ---

152

CONCLUSIONI

L’associazione tra interstiziopatie e connettivipatie è più frequente di

quanto si possa pensare. Talvolta la diagnosi può essere semplice, in

molti casi rappresenta una vera e propria sfida.

I sintomi respiratori o la presentazione dei sintomi sistemici

conseguenti alla connettivite possono infatti essere sfumati e non

evidenti ad un esame superficiale.

E’ estremamente importante dinanzi ad una qualunque diagnosi di

connettivite, valutare la possibilità di un eventuale coinvolgimento

polmonare, attraverso esami radiologici mirati e prove di funzionalità

respiratoria. Un approccio di questo genere ovviamente richiede la

sensibilizzazione di più competenze mediche e una stretta

collaborazione plurispecialistica.

153

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