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Implicazioni cliniche della patologia corticale A CURA DI Massimiliano Calabrese Dipartimento di Neuroscienze Azienda Ospedaliera di Padova “Il volume del carico lesionale in corteccia si è distinto come forte fattore predittivo del futuro accumulo di disabilità fisica e cognitiva” Il paradosso clinico-neuroradiologico Negli ultimi anni la Risonanza Magnetica (RM) ha sicuramente costituito un valido strumento per meglio comprendere la fisiopatologia e l’evoluzione della Sclerosi Multipla (SM). Tuttavia, nonostante l’introduzione di numerose tecniche non convenzionali come la Spettroscopia, il Magnetization Transfer e la Diffusion Tensor Imaging, spesso rimane ampia la discordanza tra la disabilità clinica e le anomalie strutturali e quantitative visibili alla RM 1 , così che una previsione dell'accumulo di disabilità a lungo termine risulta oggi molto difficile. Molte ipotesi sono state fatte per spiegare questo “paradosso clinico-neuroradiologico”. 2 In prima battuta si è ipotizzato che non solo il numero o il volume delle lesioni a carico della sostanza bianca (SB), ma piuttosto la loro sede (per es. spinale) o tipologia (buchi neri), giocassero un ruolo di primo piano nel determinare la conseguente disabilità. Successivamente si è cominciato a porre l’accento sui meccanismi di riparazione e di compenso, suggerendo come fenomeni di plasticità corticale giochino un ruolo chiave nel recupero funzionale. Infine, sono state evidenziate le intrinseche limitazioni del mezzo stesso: nonostante l’indubbio miglioramento tecnologico, infatti, la RM non sembra oggi in grado di cogliere in pieno tutti i danni, morfologici e funzionali, indotti dalla malattia. 2-4 In questo senso la patologia corticale, sia focale (lesioni corticali, CL), sia diffusa (atrofia corticale), per molti anni sottovalutata perché di difficile visualizzazione con le convenzionali tecniche di RM, risulta un esempio quanto mai calzante. Oggi, l’introduzione di nuove sequenze specifiche per la corteccia cerebrale e lo sviluppo di nuovi software per il post-processing delle immagini hanno reso questo capitolo della SM di grande

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Implicazioni cliniche della patologia corticale

A CURA DI Massimiliano CalabreseDipartimento di NeuroscienzeAzienda Ospedaliera di Padova

“Il volume del carico lesionale in corteccia si è distinto come forte fattore predittivo del futuro accumulo di disabilità fisica e cognitiva”

Il paradosso clinico-neuroradiologicoNegli ultimi anni la Risonanza Magnetica (RM) ha sicuramente costituito un valido strumento per meglio comprendere la fisiopatologia e l’evoluzione della Sclerosi Multipla (SM). Tuttavia, nonostante l’introduzione di numerose tecniche non convenzionali come la Spettroscopia, il Magnetization Transfer e la Diffusion Tensor Imaging, spesso rimane ampia la discordanza tra la disabilità clinica e le anomalie strutturali e quantitative visibili alla RM1, così che una previsione dell'accumulo di disabilità a lungo termine risulta oggi molto difficile.Molte ipotesi sono state fatte per spiegare questo “paradosso clinico-neuroradiologico”.2 In prima battuta si è ipotizzato che non solo il numero o il volume delle lesioni a carico della sostanza bianca (SB), ma piuttosto la loro sede (per es. spinale) o tipologia (buchi neri), giocassero un ruolo di primo piano nel determinare la conseguente disabilità. Successivamente si è cominciato a porre l’accento sui meccanismi di riparazione e di compenso, suggerendo come fenomeni di plasticità corticale giochino un ruolo chiave nel recupero funzionale. Infine, sono state evidenziate le intrinseche limitazioni del mezzo stesso: nonostante l’indubbio miglioramento tecnologico, infatti, la RM non sembra oggi in grado di cogliere in pieno tutti i danni, morfologici e funzionali, indotti dalla malattia.2-4 In questo senso la patologia corticale, sia focale (lesioni corticali, CL), sia diffusa (atrofia corticale), per molti anni sottovalutata perché di difficile visualizzazione con le convenzionali tecniche di RM, risulta un esempio quanto mai calzante. Oggi, l’introduzione di nuove sequenze specifiche per la corteccia cerebrale e lo sviluppo di nuovi software per il post-processing delle immagini hanno reso questo capitolo della SM di grande attualità, in quanto in grado di gettare un ponte tra il quadro neuroradiologico e la disabilità clinica dei nostri pazienti.

Lesioni corticali nella SM e possibili implicazioni diagnostiche Nonostante già nel 1962 Brownell e Hughes5, in una serie di 22 casi, trovarono che il 26% delle lesioni emisferiche erano localizzate fuori della SB e, è stato soprattutto negli ultimi dieci anni che un susseguirsi imponente di osservazioni neuropatologiche ha confermato come la SM si caratterizzi per un massiccio danno a livello della sostanza grigia (SG) corticale e profonda.6-8 Ultima in ordine di tempo, ma non meno importante, è stata l’osservazione neuropatologica pubblicata pochi mesi orsono dal gruppo della Mayo Clinic di Rochester9. Per la prima volta si è riusciti a superare la principale limitazione legata agli studi post-mortem, generalmente basati su pazienti in fase molto avanzata di malattia, analizzando sezioni di cervello di pazienti affetti da SM recidivante remittente (SMRR) in fase relativamente precoce e, quindi, caratterizzata ancora da una marcata componente infiammatoria. Il risultato più rilevante di questo studio è stato non solo quello di

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confermare l’esistenza delle lesioni corticali (CL) anche nelle fasi precoci di malattia, ma soprattutto di confermarne la natura squisitamente infiammatoria con cospicui infiltrati linfocitari e microgliali.9

L’introduzione della sequenza Double Inversion Recovery (DIR, figura 1),10 che permette di sopprimere contemporaneamente il segnale proveniente dalla SB e dal liquor, ha migliorato notevolmente la nostra sensibilità nell’identificare le CL in vivo.11,12 Tale tecnica ha permesso di dimostrare come esse siano pressoché ubiquitarie nel SNC dei pazienti con SM, con una maggiore frequenza nei lobi frontali e temporali e nel giro cingolato13, ma con una considerevole frequenza anche nella SG profonda13, nell’ippocampo14, a livello spinale15 e, come recentemente dimostrato, anche nel cervelletto17. Inoltre le CL sembrano caratterizzare tutte le forme di SM13, incluse le forme primarie progressive (SMPP)13,17, sono identificabili fin dalle prime fasi della malattia, nel 36% dei pazienti affetti da sindrome clinicamente isolata (CIS)12 e, talvolta, possono perfino precedere la comparsa delle lesioni della SB.18,19

Figura 1 a-c. Immagini DIR di 3 pazienti affetti da SMRR. Sono ben visibili alcune grosse lesioni corticali (frecce gialle) una delle quali (freccia verde) localizzata in pieno ippocampo.

Naturale evoluzione di tali osservazioni è lo studio condotto dal nostro gruppo dell’Università di Padova in collaborazione con il dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale San Raffaele, sul possibile ruolo delle CL in chiave diagnostica. Si tratta di uno studio longitudinale, prospettico, della durata di 4 anni, basato su una popolazione di soggetti al primo episodio clinico suggestivo di patologia demielinizzante del SNC. I risultati hanno dimostrato che la presenza di una CL all’esordio clinico migliora in modo significativo l’accuratezza dei criteri diagnostici di RMN (basati esclusivamente sulla presenza di lesioni a carico della SB).20 In particolare la presenza di almeno 1 CL risulta essere un criterio altamente specifico, ancorché poco sensibile, della successiva conversione a SM clinicamente definita (SMCD).21 Chiaramente esistono ancora molte limitazioni legate principalmente alla modesta sensibilità delle sequenze utilizzate e alla elevata variabilità, tra operatori diversi e centri diversi, nell’identificazione delle lesioni.

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Tuttavia, il loro indubbio potenziale in fase diagnostica è stato riconosciuto anche nell’ultima revisione dei criteri diagnostici22 dove si è appunto auspicato a una standardizzazione delle sequenze DIR e dei parametri morfologici delle CL, al fine di renderne l’identificazione più riproducibile anche tra operatori diversi e in centri diversi.

Lesioni corticali: implicazioni prognosticheL'applicazione su larga scala delle nuove tecniche di RM allo studio della patologia corticale ha permesso, inoltre di valutare anche a lungo termine la distribuzione di tali lesioni nei diversi fenotipi di malattia e, quindi, il loro impatto sulla disabilità fisica e cognitiva. È stato evidenziato come la frequenza delle CL vada aumentando progressivamente con la durata di malattia e risulti massima nel gruppo di SM secondarie progressive (SMSP)12. Inoltre, le CL appaiono decisamente più frequenti nella popolazione maschile e associate in modo molto stretto alla presenza di bande oligoclonali nel liquor12. Tale dato è oggi ancor più interessante alla luce dell'osservazione neuropatologica di numerosi follicoli ectopici di linfociti B siti nelle meningi dei pazienti con SMSP proprio in prossimità delle CL.22 I dati più interessanti vengono, tuttavia, dagli studi di correlazione tra le CL e l'accumulo di disabilità fisica e cognitiva, in cui il danno focale a carico della SG, sia corticale, sia profondo, ha dimostrato di contribuire in modo significativo. A questo proposito lo studio condotto dal nostro gruppo in collaborazione con il dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale San Raffaele ha confermato il ruolo delle CL nel determinare la disabilità clinica nei pazienti con SMRR e SMSP, identificando il loro volume totale come il miglior fattore predittivo di un successivo peggioramento clinico.23 Non solo il volume delle CL al basale risulta correlare bene sia con l'EDSS basale, sia con l'incremento dell'EDSS nei 3 anni successivi, ma i pazienti che peggiorano clinicamente presentano contemporaneamente un maggiore carico lesionale in corteccia rispetto a coloro che rimangono stabili. Anche quando sono state valutate le performance cognitive in 70 pazienti con SMRR, la relazione con il carico lesionale a livello della SG corticale e profonda è apparsa subito chiara. In particolare, numero e volume delle CL sono significativamente maggiori nei pazienti con iniziale deterioramento cognitivo rispetto a quelli cognitivamente normali e correlano bene con la gravità del deficit cognitivo24. L’analisi multivariata evidenzia come l’età, il CL volume e il volume corticale normalizzato siano i migliori fattori predittivi del quadro cognitivo nei pazienti con SMRR24. In questo senso, la vecchia ipotesi di un’origine sottocorticale del deterioramento cognitivo deve essere necessariamente rivista alla luce di queste ultime osservazioni che suggeriscono come il deficit cognitivo nella SM abbia un’eziologia multifattoriale, dove al danno a carico delle fibre sottocorticali si associa quello a carico dei corpi neuronali.A confermare l’importante ruolo prognostico giocato dalla patologia corticale, vi è poi una serie di analisi condotte su sottogruppi specifici di pazienti SM. Chiunque si occupi di questa malattia, sa che un numero rilevante ancorché minoritario (10-20%) dei pazienti affetti da SM tende a non accumulare disabilità se non in modo molto lento25. Tali pazienti, affetti dalla cosiddetta forma “benigna”, mantengono un EDSS ≤3,0 per oltre 15 anni dall'esordio della malattia e non sviluppano un significativo deficit cognitivo 25. Uno studio longitudinale, condotto su 48 pazienti affetti da SM in forma ”benigna”, confermata da almeno di 15 di storia clinica, ha dimostrato come il carico lesionale corticale e l'accumulo di nuove CL nel tempo siano significativamente inferiori in questo gruppo di pazienti rispetto alle comuni forme SMRR25. Al contrario uno studio della durata di 3 anni, condotto

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in pazienti con SM ed epilessia, ha dimostrato come questa popolazione sia quella con la prognosi peggiore, sia in termini di disabilità fisica, sia cognitiva, ma sia anche quella con un carico lesionale, un grado di atrofia a livello corticale e una velocità un accumulo di nuove CL maggiori, se paragonati ai soggetti senza crisi comiziali. Questi pazienti sembrano, quindi, costituire un sottogruppo particolare di soggetti caratterizzati da un imponente coinvolgimento corticale, con conseguente rapido deterioramento delle performance fisiche e cognitive, in cui l'epilessia altro è che la conseguenza dell'esteso danno corticale26.

Implicazioni cliniche dello studio dell’atrofia corticaleLa SG corticale e profonda dei pazienti affetti da SM non presenta solo lesioni focali. Recenti studi istopatologici hanno dimostrato che, accanto alle CL, la corteccia cerebrale appare colpita da una diffusa demielinizzazione subpiale e da un conseguente processo neurodegenerativo, entrambi pressoché invisibili alle comuni tecniche di RMN. Gli studi fino a oggi eseguiti sul volume corticale nella SM ne hanno mostrato una progressiva riduzione, che inizierebbe molto precocemente sia nelle forme SMRR, sia nelle forme SMPP, contribuendo significativamente alla disabilità clinica.27,28 Inoltre, i soggetti che nei 3 anni successivi al primo episodio clinico vedono confermata la diagnosi di SM, presentano anche una significativa progressione dell’atrofia corticale se confrontati con i soggetti con CIS.29 Sailer e coll.30, utilizzando una tecnica innovativa di ricostruzione tridimensionale delle immagini della corteccia cerebrale al fine di poter misurare lo spessore corticale, hanno mostrato, sebbene in un piccolo gruppo di pazienti, che nelle regioni frontali e temporali lo spessore della corteccia cerebrale risulta inferiore a quella di un gruppo di controllo di volontari sani. Più recentemente, utilizzando la stessa tecnologia, il nostro gruppo ha analizzato 115 pazienti, molti dei quali all’esordio clinico della patologia, evidenziando la reale estensione del fenomeno neurodegenerativo che coinvolge la maggior parte delle aree corticali ed è evidente già nelle fasi precoci della malattia (Figura 2).31

Figura 2. Ricostruzioni della corteccia cerebrale di un soggetto sano (A) e di uno affetto da SM (B). In verde vengono segnalate le zone che risultano atrofiche rispetto alla popolazione di controllo appaiata per età.

Esattamente come per le CL, la naturale conseguenza di queste prime osservazioni circa la reale estensione del fenomeno neurodegenerativo è di verificare se i pazienti che presentano una significativa atrofia corticale all’esordio clinico abbiano poi un maggior rischio di vedere confermata la diagnosi di SM nei 4 anni successivi. Uno studio longitudinale, prospettico, della durata di 4 anni, condotto su 105 pazienti al loro primo episodio clinico, ha rilevato che i pazienti CIS non si differenziano in termini di atrofia

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corticale rispetto ai controlli sani32. Tuttavia, se stratificati sulla base dell’evoluzione clinica, i pazienti che sviluppavano una SM durante lo studio presentavano già al loro esordio una significativa atrofia corticale. Questo dato è molto importante in quanto spiega le difficoltà nell’osservare l’atrofia corticale nei pazienti CIS: la presenza all’interno del gruppo CIS di pazienti non affetti da SM costituisce un significativo fattore confondente, in grado di mascherare le (ancora lievi) differenze in termini di volume corticale che caratterizzano i pazienti effettivamente affetti da SM all’esordio clinico. Tale studio suggerisce, inoltre, come alcune aree corticali siano più colpite di altre, in particolare il talamo, il putamen, il giro precentrale e il giro frontale superiore, che si rivelano i migliori fattori predittivi della conversione a SMCD nei successivi 4 anni.32

ConclusioniNonostante le importanti limitazioni metodologiche, numerosi studi sia istologici (ex vivo), sia neuroradiologici (in vivo), sembrano confermare in modo convincente la relazione tra patologia corticale e progressione della disabilità nella SM. Il volume del carico lesionale in corteccia si è distinto come forte fattore predittivo del futuro accumulo di disabilità fisica e cognitiva, andando a costituire un ulteriore elemento di eterogeneità con importanti ripercussioni sulla scelta terapeutica più opportuna.10,12,20,23-26

Con l’arrivo di un considerevole numero di nuove terapie, tra cui molte da somministrare per via orale, si pone in modo sempre più pressante per il clinico la scelta della migliore strategia terapeutica in termini di efficacia e di qualità di vita per il paziente. È chiaro che, proprio per la stretta relazione esistente tra patologia corticale e progressione della disabilità fisica e cognitiva, l’efficacia nel limitare l’accumulo del danno a carico della SG sarà un banco di prova importante con cui tutte le nuove terapie dovranno confrontarsi. Purtroppo, a oggi, abbiamo a disposizione solo pochi dati circa l’efficacia delle terapie attualmente disponibili nel ridurre l’accumulo di CL e nel rallentare la progressione dell’atrofia corticale. Solo recentemente, infatti, sono stati pubblicati i primi dati sull’efficacia di interferone beta 1a e glatiramer acetato a livello corticale.33 Tali molecole sembrano manifestare una significativa azione antinfiammatoria anche a livello corticale, riducendo l’accumulo di nuove CL e la progressione dell’atrofia rispetto a un gruppo di pazienti non trattati.33 Ancora più incoraggianti sono i dati relativi a natalizumab.34 In un recente studio longitudinale prospettico, della durata di 2 anni, questo anticorpo monoclonale si è dimostrato in grado di ridurre l’accumulo di nuove CL di circa l’85% rispetto a un gruppo trattato con interferone beta 1a o glatiramer acetato e di quasi il 95% rispetto a un gruppo non trattato. Nello stesso studio natalizumab ha ridotto di circa il 50% la progressione dell’atrofia corticale rispetto al gruppo trattato e di circa il 65% rispetto al gruppo non trattato.Questi dati, che andranno confermati su un più ampio numero di pazienti, costituiscono una prima sostanziale conferma circa la natura infiammatoria delle CL10 e, più in generale, del processo patologico a carico della SG, suggerendo che una terapia antinfiammatoria precoce possa risultare efficace nel ridurre l’accumulo di danni a carico della SG con un impatto diretto sulla prognosi dei nostri pazienti.

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