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Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea Triennale in Matematica Tesi di Laurea Triennale Superfici di Riemann, teorema di Riemann-Roch e applicazioni Candidato: Relatore: Denis Nardin Prof. Angelo Vistoli Anno Accademico 2009/2010

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Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e NaturaliCorso di Laurea Triennale in Matematica

Tesi di Laurea Triennale

Superfici di Riemann,teorema di Riemann-Roch

e applicazioni

Candidato: Relatore:

Denis Nardin Prof. Angelo Vistoli

Anno Accademico 2009/2010

Indice

1 Divisori ed equivalenza lineare 41.1 Il concetto di divisore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2 La ramificazione di una mappa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2 Il teorema di Riemann-Roch 122.1 Spazi L(D) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2 Disuguaglianza di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142.3 Dualita di Serre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.4 Teorema di Riemann-Roch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

3 Mappe olomorfe negli spazi proiettivi 233.1 Sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233.2 Mappe negli spazi proiettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243.3 Mappa canonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

4 Curve algebriche e analitiche 304.1 Curve analitiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 304.2 Curve algebriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354.3 Formule genere-grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

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Introduzione

Una superficie di Riemann e una varieta complessa connessa di dimensione 1. Enoto che le superfici di Riemann compatte hanno un legame molto profondo conle curve algebriche, cioe con i chiusi di Zariski in Pn irriducibili e di dimensione1. In questa tesi analizzero questo legame, soprattutto attraverso lo studio dellemappe olomorfe

ϕ : X → Pn

Lo strumento principale per compiere questa analisi e il concetto di divisore.Un divisore su una superficie di Riemann compatta X non e altro che unasomma formale finita di punti di X a coefficienti in Z. I divisori vengono usatiin questo genere di problemi perche e possibile rappresentare l’intersezione diuna curva con un iperpiano attraverso un divisore sulla curva, che rappresentain un certo senso le intersezioni contate con molteplicita.

Questa tesi e divisa in quattro capitoli, di cui adesso presentero brevementeil riassunto.

Nel primo capitolo comincio a studiare alcuni esempi importanti di diviso-ri. In particolare definisco i divisori principali, che permettono di presentarela relazione di equivalenza lineare tra divisori. Introdurro anche i concettidi ramificazione di una mappa olomorfa e di grado. Questi, oltre a essere im-portanti di per se, mi permetteranno di enunciare e dimostrare la formula diRiemann-Hurwitz.

Il secondo capitolo e essenzialmente una dimostrazione del teorema di Riemann-Roch. Quella che presento e la dimostrazione classica di Weil, utilizzando gliadele che, anche se poco geometrica, ha il pregio di far ottenere alcuni risultatialgebrici collaterali. In particolare dimostro che il campo delle funzioni mero-morfe ha grado di trascendenza 1 su C. In questo capitolo mi sono ispiratosoprattutto alle dimostrazioni in [Mir95] e a [Ful95]

Nel terzo capitolo introduco il legame che c’e tra i divisori e le mappe inPn. Introduco infatti il concetto di sistema lineare di divisori, cioe di unafamiglia di divisori linearmente equivalenti che porta in modo naturale unastruttura di spazio proiettivo. Dimostrero che per ogni mappa ϕ : X → Pnesiste un sistema lineare |ϕ| e un isomorfismo ϕ∗ : Pn∗ → |ϕ| che essenzialmenteassocia ogni iperpiano di Pn alla sua intersezione con ϕ(X) (che e proprio unafamiglia di punti contati con molteplicita). Il risultato centrale a cui arrivo nelcapitolo e che la corrispondenza che associa ad ogni mappa ϕ il suo sistema

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lineare e biunivoca, a patto di considerare solo sistemi lineari che siano prividi punti fissi. Il capitolo si conclude con la costruzione della mappa canonica euna classificazione quasi completa delle superfici di Riemann di genere minoreo uguale a 2. Questa esposizione segue molto quella di [Mir95], con qualchegeneralizzazione in alcuni risultati collaterali.

Il quarto capitolo invece studia i rapporti tra le superfici di Riemann com-patte e le curve algebriche. Il risultato principale di questa sezione e che lemappe da una superficie di Riemann compatta a P2 che siano essenzialmenteiniettive1 corrispondono alle curve algebriche. Questo ci permettera anche dideterminare ulteriori classificazioni delle superfici di Riemann. Ad esempio, sivedra che le superfici di Riemann di genere 3 si dividono in due famiglie distinte:le quartiche piane e le curve iperellittiche di genere 3.

1cioe iniettive al di fuori di un numero finito di punti

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Capitolo 1

Divisori ed equivalenzalineare

1.1 Il concetto di divisore

Ricordiamo che una superficie di Riemann e una varieta complessa connessadi dimensione 1. Daremo per note tutte le proprieta classiche delle funzioniolomorfe di una variabile complessa, ed in particolare

Teorema 1.1.1 (Residui). Sia ω una 1-forma meromorfa non nulla. Allora∑p∈X

Resp(ω) = 0

Dimostrazione. Si veda ad esempio [Mir95] teorema 3.17, o [Car95] sezione III.2.

Teorema 1.1.2. Sia X una superficie di Riemann compatta. Allora esiste unafunzione meromorfa non costante f ∈M(X).

Dimostrazione. Si veda ad esempio [FKr80], sezione II.5.

Indicheremo conM(X) il campo delle funzioni meromorfe su X, e con Ω(X)l’insieme delle 1-forme meromorfe su X. Osserviamo che Ω(X) e in modo natu-rale uno spazio vettoriale su M(X), con l’operazione di moltiplicazione puntoper punto.

Lemma 1.1.3. Ω(X) e uno spazio vettoriale su M(X) di dimensione 1.

Dimostrazione. Intanto sappiamo che la dimensione e almeno 1. Infatti, se f ∈M(X) non e costante, df e una 1-forma meromorfa non nulla. Per concluderedobbiamo dimostrare che date due 1-forme meromorfe ω1, ω2 non nulle esisteuna funzione f ∈ M(X) tale che ω1 = fω2. Per ogni punto p ∈ X scegliamouna coordinata locale z centrata in p. Allora possiamo scrivere ω1 = f1dz e

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ω2 = f2dz. Definiamo f = f1/f2. Si tratta di vedere che queste definizionilocali si incollano ad una funzione meromorfa f ∈ M(X). Infatti sia z = φ(w)un’altra coordinata locale. Allora

ω1 = f1(φ(w))φ′(w)dw

ω2 = f2(φ(w))φ′(w)dw .

E poichef1 φφ′

f2 φφ′= f φ

le varie definizioni locali si incollano ad una funzione meromorfa globale.

Consideriamo ora un’altra situazione. Sia f ∈ M(X) una funzione mero-morfa su di una superficie di Riemann X. Sia p ∈ X e z coordinata locale in p.Allora in un intorno di p possiamo scrivere

f(z) = znh(z)

per una qualche h olomorfa con h(0) 6= 0 e n ∈ Z. Facendo un cambio dicoordinate z = φ(w) si vede immediatamente che il valore di n non dipendeneanche qui dalla scelta di coordinate. Il valore di n e detto ordine di f in pe viene indicato con ordp(f). I punti in cui ordp(f) 6= 0 sono esattamente glizeri e i poli di f , percio sono un insieme discreto e quindi finito perche X ecompatta.

Si puo ripetere pari pari la costruzione per una 1-forma meromorfa ω edefinire l’ordine di ω in p come l’unico n ∈ Z tale che si scriva

ω = znh(z)dz

Con h olomorfa in 0, h(0) 6= 0. Questo e indicato analogamente con ordp(ω).Lo strumento principale che useremo in questa tesi sono i divisori. Se X e

una superficie di Riemann compatta un divisore su X e una funzione D : X → Za supporto finito. In altri termini l’insieme

p ∈ X | D(p) 6= 0

sara un insieme finito. Indicheremo e penseremo sempre i divisori come sommeformali di punti, in questo modo

D =∑p∈X

D(p) · p

Esempi di divisori sono quindi p+ q, p− q, p+ 2q − r,. . . Il valore D(p) di D inun punto p ∈ X e detto molteplicita o ordine di D in p.

I divisori hanno una naturale struttura di gruppo abeliano data dalla sommapunto per punto, cioe

(D + E)(p) = D(p) + E(p)

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Il gruppo di tutti i divisori su X verra indicato con Div(X). Poiche il supportodi ogni divisore e finito, possiamo definire un naturale omomorfismo di gruppi

deg : Div(X)→ Z

detto grado del divisore, come

degD =∑p∈X

D(p)

cioe il grado di D e la somma di tutte le molteplicita di D nei punti di X.Sui divisori e possibile anche definire un ordinamento parziale in questo modo

D ≥ E ⇔ D(p) ≥ E(p) ∀p ∈ X

Un divisore E ≥ 0 e detto effettivo. Dati due divisori D,E possiamo definiresup(D,E) e inf(D,E) nel modo ovvio. Osserviamo che

D = sup(D, 0)− sup(−D, 0)

cosicche ogni divisore puo essere scritto in modo naturale come differenza di duedivisori effettivi.

Vediamo ora un esempio importante di divisore. Sia f ∈M(X) una funzionemeromorfa non nulla. Allora possiamo definire il divisore associato ad f come

(f) =∑p∈X

ordp(f) · p

Si vede immediatamente che valgono le formule

(fg) = (f) + (g)

(1) = 0

percio la mappa che manda f in (f) e un omomorfismo di gruppi dal grup-po moltiplicativo M(X)∗ al gruppo additivo Div(X). La sua immagine e unsottogruppo, detto gruppo dei divisori principali e indicato con PDiv(X).

Sia f ∈ M(X)∗. Vogliamo dimostrare che deg(f) = 0, cioe che f ha “tantipoli quanti zeri se contati con molteplicita”. Consideriamo l’1-forma meromorfaω = df/f . Sia ora p ∈ X e k = ordp(f). Prendiamo una coordinata locale zcentrata in p in modo che

f(z) = zkh(z)

con h(0) 6= 0 Allora in un intorno di p vale

ω = df/f =zkh′(z) + kzk−1h(z)

zkh(z)dz =

(k

1

z+h′(z)

h(z)

)dz

Poiche h′/h e olomorfa in un intorno di 0, ne segue che Resp(ω) = k = ordp(f).Ma dal teorema dei residui

deg f =∑p∈X

ordp(f) =∑p∈X

Resp(ω) = 0

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Due divisori D,E si dicono linearmente equivalenti e lo indichiamo conD ∼ E se D − E e un divisore principale, cioe se e solo se esiste f ∈ M(X)∗

tale cheD − E = (f)

Si vede immediatamente che l’equivalenza lineare e una relazione di equivalen-za, anzi e proprio l’equivalenza indotta dal sottogruppo PDiv(X) dei divisoriprincipali. Poiche il grado di un divisore principale e zero, e chiaro che divisorilinearmente equivalenti hanno lo stesso grado.

Analogamente ai divisori principali, e possibile definire anche i divisori del-le 1-forme. Piu concretamente, se ω e una 1-forma meromorfa, il divisoreassociato ad ω e

(ω) =∑p∈X

ordp(ω) · p

Come prima vale l’immediata formula

(fω) = (f) + (ω)

I divisori delle 1-forme sono detti divisori canonici, e l’insieme dei divisoricanonici e detto classe canonica. In questa tesi la indicheremo solitamentecon KDiv(X), o piu spesso semplicemente K.

Osserviamo che, poiche due qualsiasi 1-forme meromorfe ω1, ω2 sono propor-zionali tramite una funzione meromorfa, abbiamo che i divisori canonici sono adue a due linearmente equivalenti e, anzi, formano un’intera classe di equivalenzalineare.

1.2 La ramificazione di una mappa

Consideriamo ora una mappa olomorfa F : X → Y tra due superfici di Riemanncompatte. Un’importante osservazione, che segue dal teorema della mappa aper-ta, e che se F non e costante, allora e surgettiva. Sia p ∈ X e studiamone ilcomportamento locale in p. Prendiamo una coordinata locale z centrata in p euna coordinata locale w centrata in F (p). Allora possiamo scrivere

w(F (z(q))) = z(q)kh(z)

dove h e una funzione olomorfa in un intorno di zero tale che h(0) 6= 0 e k ≥1. Ma allora, almeno in un intorno di zero, possiamo scrivere h = rk, perun’opportuna funzione olomorfa r. Osserviamo inoltre che la funzione zr(z)e una funzione olomorfa con differenziale diverso da 0 nell’origine. Percio, ameno di restringersi ulteriormente ad un intorno di 0 possiamo prendere un’altracoordinata z′ = zr(z) e scrivere

w(F (z′(q))) = z′(q)k

Inoltre il valore di k e indipendente dalla scelta delle coordinate, come si puofacilmente verificare. Inoltre se in un punto k > 1, in tutti i punti vicini k = 1,perche k > 1 se e solo se dF si annulla in p. In sostanza abbiamo appenadimostrato

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Lemma 1.2.1. Siano X,Y superfici di Riemann e sia F : X → Y una mappaolomorfa. Allora per ogni punto p ∈ X e per ogni coordinata locale w intorno aF (p) e possibile scegliere una coordinata locale z intorno a p tale che

w(F (q)) = z(q)n+1

nell’intorno di p dove questa formula e definita. Inoltre il valore di n nondipende dalla scelta della carta ed e detto indice di ramificazione di F in p,indicato con RF (p).

Inoltre RF (p) = 0 per tutti i p ∈ X eccettuato al piu un numero finito.

Se F : X → Y e una mappa olomorfa, indichiamo con RF il suo divisoredi ramificazione, definito da

RF =∑p∈X

RF (p) · p

Definiamo il pullback di un divisore D ∈ Div(Y ) come

(F ∗D)(p) = (RF (p) + 1)D(F (p))

come il valore del divisore in F (p) contato con molteplicita.Vediamo cosa succede se componiamo due mappe

Lemma 1.2.2. Siano F : X → Y e G : Y → Z mappe olomorfe tra superficidi Riemann. Allora per ogni p ∈ X

RGF = F ∗RG +RF .

Dimostrazione. Dalla definizione e chiaro che possiamo prendere coordinatelocali z, w, t in un intorno di p, F (p), G(F (p)) rispettivamente tali che

w(F (q)) = z(q)RF (p)+1

t(G(r)) = w(r)RG(F (p))+1

con q in un intorno di p e r in un intorno di F (p). Ma allora, componendoqueste due mappe

t(G(F (q))) = z(q)(RG(F (p))+1)(RF (p)+1)

cioe RGF (p) + 1 = (RG(F (p)) + 1)(RF (p) + 1). Ma questa, guardando ledefinizioni, e proprio la tesi.

Vorremmo dare fondamento all’idea intuitiva che l’indice di ramificazione“conta” in un certo senso la molteplicita del punto. Vorremmo cioe arrivarea un enunciato del tipo “la cardinalita della controimmagine di un qualunquepunto q ∈ Y e indipendente da q purche i punti vengano contati con l’opportunamoleplicita”. Per fare questo definiamo il grado di F come

degF =∑

F (p)=q

RF (p) + 1

Dimostriamo ora

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Lemma 1.2.3. Il grado di F non dipende dalla scelta di q.

Dimostrazione. Dimostriamo che se RF (p) > 1, esiste un intorno U di p taleche

• F (U) e un intorno di F (p)

• per ogni p′ ∈ U , diverso da p vale RF (p′) = 0

• per ogni q ∈ F (U), q 6= F (p) la controimmagine di q e costituita daRF (p) + 1 punti distinti

questo chiaramente dimostra che degF e localmente costante, da cui la tesi.Per trovare un tale U , e sufficiente scegliere una coordinata locale z centrata inp di modo che

F (z) = zk

con k = RF (p)+1, e poi scegliere come U = |z| < ε con un ε sufficientementepiccolo di modo che il dischetto stia nel dominio di z. Con questa scelta e unsemplice esercizio vedere che le condizioni sono verificate.

Vediamo un attimo alcune proprieta del grado

Lemma 1.2.4. Sia F : X → Y e G : Y → Z mappe olomorfe e D divisore suY . Allora valgono

deg(GF ) = degGdegF

degF ∗D = degF degD

Dimostrazione. Si tratta di verifiche immediate dalle definizioni.

Dimostriamo un caso particolare della formula di Riemann-Hurwitz

Proposizione 1.2.5 (Formula di Riemann-Hurwitz 1). Sia F : X → P1 unafunzione meromorfa non costante. Allora vale l’uguaglianza

2g(X)− 2 = degRF − 2 degF

dove g(X) e il genere topologico di X.

Traccia di dimostrazione. Vediamo F come mappa olomorfa a valori in P1. Sia-no z1, . . . , zn i valori di ramificazione di F e triangoliamo P1 per mezzo diuna triangolazione che abbia gli zi tra i vertici. Supponiamo che questa ab-bia f 2-facce, l 1-facce e v 0-facce. Allora f − l + v = 2. Ora, F ristretta aX\F−1(z1, . . . , zn) e un rivestimento, percio possiamo sollevare i lati e le fac-ce in esattamente degF modi. Inoltre i sollevamenti, uniti alle controimmaginidei vertici, danno una triangolazione di X con f degF 2-facce e l degF 1-facce.Per quanto riguarda le 0-facce, per ogni vertice z ∈ P1 vale

degF =∑

F (p)=z

RF (p) + 1

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e percio il numero di contoimmagini distinte di ogni vertice e

degF −∑

F (p)=z

RF (p)

Di conseguenza ci sono in tutto

v degF −∑p∈X

RF (p)

vertici. Ricordando che la caratteristica di Eulero di X e uguale a 2 − 2g(X),ma anche dalla somma con segni alterni delle cardinalita delle facce di ognitriangolazione, otteniamo la tesi.

Osserviamo che per i divisori canonici potrebbe essere interessante studiarela discrepanza che c’e tra il divisore del pullback e il pullback del divisore.

Lemma 1.2.6. Sia F : X → Y mappa olomorfa tra superfici di Riemann e ω1-forma meromorfa su Y . Allora

(F ∗ω) = F ∗(ω) +RF

Dimostrazione. Fissiamo p ∈ X e verifichiamo che l’uguaglianza valga in p.Scegliamo delle coordinate locali opportune tali che F (z) = zn. In queste coor-dinate sia ω = wkf(w)dw con f(0) 6= 0. Allora F ∗ω = nf(zn)znk+n−1dz percui

(F ∗ω)(p) = nk + n− 1

Ma F ∗ (ω)(p) = (ω)(F (p))(RF (p) + 1) = kn e sostituendo tutto otteniamo chela tesi diventa un’ovvia identita.

Grazie alle informazioni che abbiamo ottenuto possiamo finalmente calcolarei gradi dei divisori canonici.

Proposizione 1.2.7. Se ω e una 1-forma meromorfa deg(ω) = 2g − 2, dove ge il genere topologico della superficie.

Dimostrazione. Poiche i divisori canonici formano una classe di equivalenza li-neare in particolare hanno tutti lo stesso grado, quindi e sufficiente calcolareil grado di un ben specifico divisore. Prendiamo ora una funzione meromorfaf vista come mappa da X a P1 funzione meromorfa e consideriamo l’1-formadf = f∗(dz). Allora

(df) = (dz) deg f +Rf

Quindi prendendo i gradi

deg(df)) = −2 deg f + degRf

Ma dalla formula di Riemann-Hurwitz nel caso particolare che abbiamo dimo-strato, il membro di sinistra e proprio 2g − 2.

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Teorema 1.2.8 (Formula di Riemann-Hurwitz). Sia F : X → Y una mappaolomorfa non costante tra superfici di Riemann. Allora

2g(X)− 2 = (2g(Y )− 2) degF + degRF

Dimostrazione. E sufficiente prendere i gradi nel lemma 1.2.6.

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Capitolo 2

Il teorema diRiemann-Roch

In questo capitolo introdurremo alcuni spazi di funzioni associati ad un divisoreD. Le dimensioni di questi spazi sono collegate da alcune relazioni, di cui sicu-ramente la piu importante e il teorema di Riemann-Roch, la cui dimostrazionee lo scopo principale del presente capitolo. Questo teorema pero e all’apparenzamolto poco significativo (ma solo all’apparenza!), e la sua dimostrazione e moltodifficile e indiretta. Tuttavia non tutta la fatica e sprecata, perche otterremocome corollari alcuni risultati di interesse intrinseco, tra cui una descrizionealgebrica del campo M(X) delle funzioni meromorfe su X.

2.1 Spazi L(D)

Sia D un divisore su di una superficie di Riemann compatta X. Definiamo lospazio L(D) come

L(D) = f ∈M(X)\0 | (f) +D ≥ 0 ∪ 0

Le funzioni che stanno in L(D) sono funzioni tali che il loro polo in p ∈ X nonsupera −D(p). Quindi ad esempio le funzioni di L(0) sono le funzioni olomorfesu X e percio

L(0) = O(X) = CDalle proprieta elementari dei divisori, segue che L(D) e in realta uno spaziovettoriale. Inoltre se D ≤ E e evidente che L(D) ⊆ L(E). Il nostro scoposara studiare la dimensione di questi spazi vettoriali. Per comodita di notazioneindichiamo con `(D) la dimensione di L(D). Cominciamo dimostrando chequesti spazi hanno dimensione finita.

Lemma 2.1.1. Sia D un divisore su X e p ∈ X un punto. Allora `(D − p) efinita se e solo se lo e `(D) e vale

`(D − p) ≤ `(D) ≤ `(D − p) + 1

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Dimostrazione. Poiche L(D−p) ⊆ L(D), una freccia e la relativa disuguaglianzasono ovvie. Scegliamo una coordinata locale z in p. Prendiamo ora la mappav che va da L(D) a C che manda f ∈ L(D) nel valore della funzione zD(p)fvalutata in p. Questa e ben definita, perche la funzione e olomorfa in p perdefinizione di L(D). Inoltre il suo nucleo e costituito proprio dalle funzioni inL(D − p). Ma allora se `(D − p) <∞, anche `(D) lo e e vale

`(D) = `(D − p) + dim Im v ≤ `(D − p) + 1

Osserviamo che una facile induzione permette di concludere che se E e undivisore effettivo vale la stima

`(E) ≤ 1 + degE

Poiche ogni divisore e maggiorato da un divisore effettivo (e sufficiente D ≤sup(D, 0)), possiamo concludere che `(D) < ∞ per ogni divisore D e anzi chevale la stima

`(D) ≤ 1 + deg sup(D, 0)

Vediamo ora in che rapporto stanno le dimensioni di due differenti spaziL(D) e L(E)

Lemma 2.1.2. Siano D,E due divisori tali che D ≥ E. Allora

`(D)− `(E) ≤ degD − degE

Dimostrazione. La tesi segue dal lemma 2.1.1 con una facile induzione

Analogamente agli L(D), e possibile introdurre un concetto simile per le1-forme. Questo ci porta alla costruzione degli spazi Ω(D), definiti nel modoseguente

Ω(D) = ω ∈ Ω(X) | (ω) ≥ D ∪ 0

Questa definizione e posta in modo tale che se f ∈ L(D) e ω ∈ Ω(D) per lostesso divisore D, allora la 1-forma fω e olomorfa.

Lemma 2.1.3. Se f ∈M(X), la mappa µf : L(D)→ L(D − (f)) data da

µf (g) = fg

e un isomorfismo di spazi vettoriali. In particolare il numero `(D) dipende solodalla classe di equivalenza lineare di D.

Se ω ∈ Ω(X) la mappa µω : L(D)→ Ω((ω)−D) data da

µω(g) = gω

e un isomorfismo di spazi vettoriali. In particolare dim Ω(D) = `(K −D) se Ke un qualunque divisore canonico.

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2.2 Disuguaglianza di Riemann

In tutta la discussione successiva supporremo che f : X → P1 sia una funzionemeromorfa non nulla e che E = (f)∞ sia il suo divisore dei poli.

Lemma 2.2.1. Sia D un divisore su X. Allora esiste un polinomio p ∈ C[z]tale che D ≤ (p(f))∞ + mE per qualche m ∈ Z. In particolare se h e unafuzione meromorfa esiste p ∈ C[z] tale che p(f)h non abbia poli al di fuori deipoli di f .

Dimostrazione. E sufficiente prendere

p(z) =∏

D(p)<0f(p)6=∞

(z − f(p))−D(p)

come si verifica immediatamente. La seconda parte del lemma segue dalla primaponendo D = (h)∞.

Abbiamo visto che esiste una semplice stima dall’alto per `(D). Vogliamo oratrovarne una dal basso. Questo e un compito molto difficile perche gia il fatto cheesista una funzione meromorfa non costante e altamente non banale. Tuttaviauna volta fatto questo si possono ottenere risultati interessanti studiando leproprieta algebriche di M(X).

Proposizione 2.2.2. Supponiamo che [M(X) : C(f)] ≥ k. Allora esiste unm0 ∈ N tale che per ogni m ≥ m0

`(mE) ≥ (m−m0 + 1)k

Inoltre dev’essere k ≤ deg f .

Dimostrazione. Prendiamo h1, . . . , hk ∈ M(X) linearmente indipendenti suC(f). Per il lemma precedente possiamo sceglierle tali che hi non abbia po-li al di fuori dei poli di f . Percio esistera un m0 tale che hi ∈ L(m0E) per ognii = 1, . . . , k. Fissiamo ora m > m0. Di conseguenza vale

f jhi ∈ L(mE)

per ogni j = 0, . . . ,m−m0. Inoltre queste sono tutte linearmente indipendentisu C, altrimenti ci sarebbe una relazione di dipendenza lineare su C(f) delle hi.Quindi la dimensione di L(D) e almeno il loro numero, che e proprio (m−m0 +1)k.

Supponiamo ora k ≥ deg f + 1. Allora

`(mE) ≥ (m−m0 + 1)(1 + deg f)

ma`(mE) ≤ 1 + deg(mE) = 1 +m deg f

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Per cui, mettendo assieme le due disuguaglianze

1 ≥ m+ (1−m0)(1 + deg f)

che e assurdo per grandi m.

Osservazione 2.2.3. La proposizione precedente ci dice che M(X) e un’esten-sione finita di C(f) di grado al piu deg f . Quindi in particolare abbiamo che ilgrado di trascendenza di M(X) su C e esattamente 1. Vedremo in seguito che[M(X) : C(f)] e proprio deg f .

Chiamiamo ora genere aritmetico di X e lo indichiamo con ga, il massimonumero tale che la disuguaglianza

`(mE) ≤ m deg f + 1− ga

valga per ogni m. Dimostreremo in seguito che ga e uguale al genere topologicog della superficie.

La proposizione precedente puo essere facilmente generalizzata a ogni divi-sore, ottenendo cosı una stima per `(D) che ha il pregio di diventare un’ugua-glianza per degD sufficientemente alto.

Teorema 2.2.4 (Disuguaglianza di Riemann). Sia X una superficie di Rie-mann. Allora

1. per ogni divisore D su X vale

`(D) ≥ degD + 1− ga

2. esiste un intero N tale che per ogni divisore D tale che degD ≥ N vale

`(D) = degD + 1− ga

Dimostrazione. Nelle notazioni della proposizione precedente, dimostriamo ilprimo punto per un divisore D tale che D ≤ mE per qualche m ≥ m0. Infattiper il lemma 2.1.2

`(D) ≥ `(mE) + degD − degmE ≥ degD + 1− ga

Supponiamo ora che D sia un divisore generico. Allora per il lemma 2.2.1 esisteuna funzione meromorfa h tale che D − (h) ≤ mE per qualche m ≥ m0. Diconseguenza, per quanto gia dimostrato

`(D) = `(D − (h)) ≥ deg(D − (h)) + 1− ga = degD + 1− ga

Ora, per la minimalita di ga, esiste un m1 ≥ m0 tale che

`(m1E) = m1 deg f + 1− ga

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Sia N = m1 deg f + ga. Allora se D e un divisore di grado degD ≥ N , abbiamo

`(D −m1E) ≥ deg(D −m1E) + 1− ga ≥ 1

quindi esiste h ∈ M(X) tale che (h) + D ≥ m1E. Quindi a meno di sostituireD con D + (h) (che non cambia `(D) e degD) possiamo supporre D ≥ E. Maallora

`(D) ≤ `(m1E) + degD − degE =

= m1 deg f + 1− ga + degD − degE = degD + 1− gache insieme alla disuguaglianza precedente ci da la tesi.

2.3 Dualita di Serre

La disuguaglianza di Riemann e molto importante e basta gia da solo a ottenereparecchi risultati significativi, tuttavia l’informazione da essa portata puo esseremolto raffinata. Il nostro scopo ora sara di scoprire chi e il “termine mancante”nella disuguaglianza di Riemann, cioe trovare una caratterizzazione di

`(D)− 1− degD + ga

e anche di trovare un legame tra ga e la topologia della superficie. Per farequesto sara necessario definire una generalizzazione delle funzioni meromorfe.

Sia X una superficie di Riemann compatta. Un adele e una collezionef = fpp∈X di germi di funzioni meromorfe, uno per ogni punto di X, tali chesolo un numero finito abbia effettivamente un polo in p. Cioe ordp fp ≥ 0 pertutti i p ∈ X tranne che per un numero finito. Per comodita indicheremo spessoordp(fp) con ordp(f) e fp(p) con f(p). Gli adele formano in modo naturale unaC-algebra con le operazioni

(f + g)p = fp + gp

(fpgp) = fpgp

(λf)p = λfp

L’algebra di tutte le adele verra indicata con A(X). C’e un’immersione naturaledella C-algebra M(X) in A(X), che consiste nel mandare una funzione mero-morfa f nella collezione di tutti i germi di f in p. Quest’immersione da a A(X)una naturale struttura di M(X)-algebra.

In analogia con quanto gia fatto per le funzioni meromorfe e gli spazi L(D),definiamo per ogni divisore D lo spazio A(D) come

A(D) = f ∈ A(X)\0 | ordp(f) +D(p) ≥ 0∀p ∈ X ∪ 0

cioe gli adele con i poli limitati da D. Come per gli spazi L(D) esiste unisomorfismo naturale tra A(D) e A(D + (g)), dove g ∈ M(X), che manda

16

un’adele f in gf . Inoltre e chiaro che se f e una funzione meromorfa f ∈ A(D)se e solo se f ∈ L(D).

Osserviamo che, nonostante per un adele non sia ben definito il divisoreassociato, e comunque possibile definirne il divisore dei poli come

(f)∞ =∑

f(p)=∞

(− ordp(f)) · p

Infatti un adele puo avere un numero arbitrario di zeri, ma solo un numero finitodi poli. Immediatamente si vede che f ∈ A((f)∞), per cui

A(X) =⋃D

A(D)

Sia ora ω ∈ Ω(X) una 1-forma meromorfa. Possiamo definire una mappaC-lineare ϕω : A(X)→ C come

ϕω(f) =∑p∈X

Res(fpω)

Infatti esiste solo un numero finito di p tali che fpω abbia un polo in p: ipoli di f e quelli di ω. In tutti gli altri punti la 1-forma e olomorfa per cui ilresiduo e nullo. Si vede immediatamente che questa mappa e C-lineare. Unadomanda naturale da porsi e quali elementi di A(X)∗ siano di questa forma. Percominciare guardiamone il nucleo. Il teorema dei residui, intanto, ci garantisceche se f ∈ M(X), ϕω(f) e nullo. Inoltre supponiamo ω ∈ Ω(D). Allora sef ∈ A(D), fpω e un germe di 1-forma olomorfa. Infatti

ordp(fω) = ordp(f) + ordp(ω) ≥ −D(p) +D(p) = 0

Quindi ϕω(f) = 0. Riassumendo abbiamo fatto vedere che se ω ∈ Ω(D), allorakerϕω ⊇ A(D) +M(X).

In virtu di quanto visto nel precedente paragrafo, possiamo definire il se-guente spazio vettoriale su C

H1(D) = A(X)/(A(D) +M(X))

Abbiamo quindi una mappa ϕ : Ω(D) → H1(D)∗, che manda ω in ϕω. Eimmediato vedere che e lineare. Ma e possibile che ϕω si annulli su H1(D)anche se ω 6∈ Ω(D)?1 Il seguente lemma risponde negativamente.

Lemma 2.3.1. Sia ω 1-forma meromorfa su X. Allora ω ∈ Ω(D) se e solose ϕω ∈ H1(D)∗. In particolare ω = 0 se e solo se ϕω = 0, per cui la mappaϕ : Ω(D)→ H1(D)∗ che manda ω in ϕω e iniettiva.

1Identificheremo consistentemente lo spazio duale H1(D)∗ con lo spazio dei funzionaliC-lineari su A(X) che si annullano su A(D) + M(X).

17

Dimostrazione. Supponiamo che ω ∈ Ω(D), allora ϕω ∈ Ω′(D) se e solo seϕω(A(D)) = 0. Ma se f ∈ A(D), allora la collezione di germi di 1-formefpωp∈X e composta solo da germi di funzioni olomorfe, perche

ordp(fpω) = ordp(fp) + ordp(ω) ≥ −D(p) +D(p) = 0

Quindi in particolare Resp(fpω) = 0 per ogni p ∈ X, per cui ϕω(f) = 0.Supponiamo invece ω 6∈ Ω(D). Allora esiste q ∈ X tale che ordq(ω) <

D(q)−1. Fissiamo z coordinata locale in q e consideriamo ora l’adele f tale che

fp =

z− ordq(ω) se p = q

0 altrimenti

Allora f ∈ A(D), perche ordq fq = − ordq ω > 1−D(q).

Studiamo ora un po’ meglio lo spazio H1(D). Indicheremo per motivi storicila sua dimensione con i(D) e la chiameremo l’indice del divisore D. Un divisoretale che i(D) > 0 e detto un divisore speciale.

Fissiamo D divisore e p ∈ X un punto. Fissiamo inoltre z coordinata localein p. Allora possiamo definire due mappe. Una e la mappa v : L(D + p) → Cusata nel lemma 2.1.1 e definita da

v(f) = h(p)

se localmente f = z−D(p)−1h. L’altra e r : C→ H1(D) definita da

r(λ) = λ[g]

Inoltre indicheremo con p : H1(D) → H1(D + p) la proiezione al quozienteindotta dall’inclusione A(D) ⊆ A(D + q).

Lemma 2.3.2. La successione

0→ L(D)→ L(D + p)v−→ C r−→ H1(D)

p−→ H1(D + p)→ 0

dove la prima freccia e l’inclusione di L(D) in L(D+p), e esatta. In particolarei(D) <∞ se e solo se i(D + p) <∞ e inoltre

i(D)− 1 ≤ i(D + p) ≤ i(D)

e i(D)− 1 = i(D + p) se e solo se `(D) = `(D + p).

Dimostrazione. Gli unici punti in cui non e evidente che la successione sia esattasono L(D + p), C e H1(D). Inoltre la dimostrazione del lemma 2.1.1 ci diceesattamente che la successione e esatta in L(D + p).

• Im v ⊃ ker r. Sia infatti λ ∈ ker r. Allora λg ∈ A(D) +M(X). Ma questovuol dire che esiste una f ∈ M(X) tale che f − λg ∈ A(D). Quindi percominciare f ∈ L(D + p), perche per ogni q ∈ X, q 6= p

ordq(f) = ordq(f − λgq) ≥ −D(q)

18

Inoltre in p ordp(f) = ordp(gp) = −D(p)−1, perche altrimenti la loro dif-ferenza avrebbe un polo di ordine maggiore di D(p). Ma allora e evidenteche v(f) = λ.

• Im v ⊂ ker r. Se λ = v(f), allora λg−f ∈ A(D), cioe λg ∈ A(D)+M(X),percio r(λ) = [λg] = 0.

• Im r ⊃ ker p. Infatti se [f ] sta nel nucleo della proiezione, vuol dire chef ∈ A(D + p) +M(X). A meno di cambiare il rappresentante possiamosupporre che f ∈ A(D + p). Ora in coordinate locali possiamo scrivere

fp = λz−D(p)−1 + termini di ordine superiore

per cui f − λg ∈ A(D). Ma allora [f ] = [λg] = r(λ).

• Im r ⊂ ker p. Infatti g ∈ A(D + p), per cui pr(1) = 0, cioe pr = 0.

Lemma 2.3.3. Sia D divisore su X tale che `(D) = degD + 1 − ga. AlloraH1(D) = 0.

Dimostrazione. Se `(D) = degD+1−ga, allora per ogni punto q ≥ D sappiamodalla dimostrazione della disuguaglianza di Riemann che `(D + q) = deg(D +q) + 1− ga. In particolare `(D+ q) = `(D) + 1 per cui, per il lemma precedentei(D+ q) = i(D). Iterando il procedimento si vede che per ogni divisore E ≥ D,i(E) = i(D), percio la naturale proiezione al quoziente H1(D) → H1(E) → 0e iniettiva, cioe A(E) +M(X) = A(D) +M(X). Sia ora f ∈ A(X). Allora,prendendo E = max((f)∞, D), abbiamo che f ∈ A(E) ma A(E) ⊆ A(D) +M(X). Percio f ∈ A(D) +M(X), cioe A(X) = A(D) +M(X), ovverosiaH1(D) = 0.

Quindi in particolare i(D) <∞ per ogni divisore D.La prossima proposizione ci mostra come le costruzioni alquanto elaborate

che abbiamo fatto siano pero utili, in quanto ci permettono di trovare il terminemancante della disuguaglianza di Riemann.

Proposizione 2.3.4. Sia D divisore su una superficie di Riemann X. Alloravale l’uguaglianza

`(D)− i(D) = degD + 1− gaDimostrazione. Sappiamo gia che l’uguaglianza vale per degD sufficientementegrande. Dimostriamo ora che se la tesi vale per D, allora vale anche per D− p,dove p e un qualunque punto di X. Infatti per il lemma 2.3.2

`(D − p)− i(D − p) = `(D)− i(D)− 1 = degD − ga = deg(D − p) + 1− ga

Quindi, sia D divisore qualsiasi e p punto di X. Per induzione sappiamo chela tesi vale per D se e solo se vale D + np. Ma basta scegliere n tale chedegD > N − n, dove N e come nell’enunciato della disuguaglianza di Riemannperche la tesi sia vera per D + np.

19

Definiamo Ω′ come l’unione di tutti gli H1(D)∗, o meglio come l’insieme ditutti quei funzionali su A(X) che si annullano suM(X) e su A(D) per qualchedivisore D. Allora abbiamo visto che ϕ(Ω(X)) ⊆ Ω′. Vorremmo dimostrareche ϕ e un isomorfismo. A priori Ω′ e dotato unicamente di una struttura diC-spazio vettoriale, mentre Ω(X) ha una struttura piu ricca: e unM(X)-spaziovettoriale di dimensione 1 . E possibile pero dotare Ω′ di una struttura diM(X)-spazio vettoriale in modo che ϕ sia lineare, avvantaggiadoci cosı attraverso lamaggiore struttura. Infatti e sufficiente notare che

ϕgω(f) = ϕω(gf)

Quindi se η ∈ Ω′ e g ∈M(X) possiamo porre

gη(f) = η(gf) ∀f ∈ A(X)

E un facile esercizio dimostare che se η ∈ H1(D)∗, gη ∈ H1(D + (g))∗ e chequest’operazione da effettivamete a Ω′ una struttura diM(X)-spazio vettoriale.

Proposizione 2.3.5. Ω′ ha dimensione 1 su M(X).

Dimostrazione. Sappiamo che Ω′ non e zero, perche ad esempio ci sta l’immagi-ne di ϕ. Per completare la dimostrazione, dobbiamo mostrare che due elementiη, ξ di Ω′ non sono linearmente indipendenti suM(X). Supponiamo per assurdoche lo siano. Prendiamo E un divisore tale che η, ξ ∈ H1(D)∗. Prendiamo D undivisore arbitrario, e fissiamo h1, . . . , hn base di L(D) (e quindi n = `(D)). Allo-ra h1η, . . . , hnη, h1ξ, hnξ sono linearmente indipendenti su C (una loro eventualerelazione di dipendenza lineare darebbe una relazione di dipendenza lineare suM(X) tra η e ξ). Ma tutte queste funzioni stanno in H1(E −D)∗, per cui

i(E −D) ≥ 2`(D) ≥ 2(degD + 1− ga)

Ma dalla proposizione precendente

i(E −D) = `(E −D)− 1 + ga − deg(E −D)

Per cui2 degD + 1− ga ≤ `(E −D)− 1 + ga − degE + degD

CioedegD ≤ 2ga − 2− degE + `(E −D)

Ma questo e assurdo perche per degD molto grande `(E −D) = 0 e il resto delmembro di destra e costante.

Teorema 2.3.6 (Dualita di Serre). Sia X una superficie di Riemann compattae sia D un divisore. Allora la mappa ϕ : Ω(D)→ H1(D)∗ che manda ω in ϕωe un isomorfismo di spazi vettoriali.

Dimostrazione. Intanto osserviamo che la mappa ϕ : Ω(X) → Ω′ e M(X)-lineare. Inoltre abbiamo visto che e iniettiva., per cui dev’essere un isomorfismo.Allora se prendo η ∈ H1(D)∗, esiste un ω ∈ Ω(X) tale che η = ϕω. Ma alloraper il lemma 2.3.1 risulta ω ∈ Ω(D), per cui la tesi e dimostrata.

20

2.4 Teorema di Riemann-Roch

Dalla dualita di Serre possiamo dedurre che i(D) = dimH1(D) = dimH1(D)∗ =dim Ω(D) = `(K −D), per cui possiamo riscrivere la proposizione 2.3.4

`(D)− `(K −D) = degD + 1− ga

Ora valutando questa uguaglianza in D = 0 otteniamo

`(0)− `(K) = 0 + 1− ga

Cioe, ricordando che `(0) = 1, `(K) = ga. Infine valutandola in D = K ericordando che degK = 2g − 2 otteniamo

`(K)− `(0) = 2g − 2 + 1− ga

cioe ga = g, come avevamo promesso. Percio abbiamo finalmente dimostrato il

Teorema 2.4.1 (Riemann-Roch). Sia X una superficie di Riemann compatta,D un divisore e K un qualsiasi divisore canonico. Allora vale

`(D)− `(K −D) = degD + 1− g

dove g e il genere topologico della superficie.

Dalla dimostrazione sono chiari i seguenti corollari:

Corollario 2.4.2. Sia K un qualsiasi divisore canonico. Allora `(K) = g. Inparticolare la dimensione su C di Ω(0), lo spazio di tutte le 1-forme olomorfe,e g.

Corollario 2.4.3. Sia D divisore tale che degD ≥ 2g − 1. Allora `(D) =deg(D) + 1 − g. Inoltre l’uguaglianza vale anche se degD = 2g − 2 e D non eun divisore canonico.

Il seguente teorema, che ci servira per concludere il nostro studio della strut-tura algebrica di M(X), ci dice che il comportamento singolare di ogni adelepuo essere “approssimato” da una funzione meromorfa in un numero finito dipunti.

Teorema 2.4.4. Sia f un adele e p1, . . . , pn ∈ X punti distinti. Allora esisteuna funzione meromorfa f tale che fpi − fpi sia olomorfa per ogni i = 1, . . . , n.

In particolare, fissati degli interi mk per k = 1, . . . , n possiamo trovare unafunzione meromorfa f tale che ordpk f = mk.

Dimostrazione. Prendiamo q ∈ X distinto dai pi. Allora per n sufficientementegrande H1(nq) = 0. Allora f ∈ A(nq) +M(X). Questo vuol dire che esisteuna funzione meromorfa f tale che f − f ∈ A(nq). Ma allora questa funzione fverifica esattamente la tesi perche

ordpi(f − f) ≥ 0

per ogni i = 1, . . . , n.

21

Vediamo ora finalmente un risultato che chiude la nostra indagine delleproprieta algebriche di M(X).

Corollario 2.4.5. Sia X una superficie di Riemann compatta e sia f unafunzione meromorfa mai nulla. Allora [M(X) : C(f)] = deg f .

Dimostrazione. Supponiamo che (f)∞ = n1 ·p1 + · · ·+nk ·pk, con ns > 0. Per ilteorema precedente per ogni i = 1, . . . , k e j = 1, . . . , ni possiamo costruire unafunzione meromorfa gij tali che abbia un polo di ordine j in pi e sia olomorfain tutti gli altri ps. Il nostro claim e che queste siano linearmente indipendentisu C(f). Se lo fossero sarebbe

[M(X) : C(f)] ≥k∑i=1

ni = deg(f)∞ = deg(f)

Ma poiche gia sappiamo che [M(X) : C(f)] ≤ deg f avremmo la tesi.Supponiamo ora per assurdo che ci sia una relazione di dipendenza lineare∑

i,j

ci,j(f)gi,j = 0

A meno di fare denominatore comune possiamo supporre ci,j ∈ C[z]. Scegliamoci0,j0 di grado massimo tra tutti i ci,j e di j massimo tra quelli di grado massimo.A meno di riordinare i pi possiamo supporre i0 = 1. Allora dividendo l’equazioneprecedente per c1,j0 abbiamo ∑

i,j

ci,j(f)

c1,j0(f)gi,j = 0

Studiamo ora il comportamento locale dell’espressione al primo membro nelpunto p1. Osserviamo che le funzioni sono sempre olomorfe in p1 perche l’ordinedi polo di c1,j0 e maggiore o uguale dell’ordine di polo di ci,j per costruzione.Quindi i termini gi,j con i 6= 1 sono olomorfi in p1. Inoltre se deg c1,j0 > deg c1,j ,

allora la funzionec1,j(f)c1,j0 (f)

ha uno zero di ordine almeno n1, mentre g1,j ha un

polo di ordine strettamente minore di n1, per cui la funzione

c1,j(f)

c1,j0(f)g1,j

non ha poli in p1. Inoltre il termine g1,j0 ha un polo di ordine esattamente j0in p1 e abbiamo visto che tutti gli altri termini con j > j0 sono olomorfi. Percui il termine g1,j0 ha un polo di ordine strettamente maggiore che tutti gli altritermini, ma questo e assurdo perche dovrebbe venire cancellato.

22

Capitolo 3

Mappe olomorfe negli spaziproiettivi

Vogliamo considerare alcune proprieta piu “geometriche” delle superfici di Rie-mann. Siamo interessati a studiare le mappe1

ϕ : X → Pn .

Vedremo che le proprieta di queste mappe si possono analizzare tramite deglioggetti che e possibile costruire suX tramite le sole funzioni meromorfe, i sistemilineari di divisori.

3.1 Sistemi lineari

Sia D un divisore. Consideriamo

|D| = E ≥ 0 | E ∼ D

cioe l’insieme di tutti i divisori effettivi linearmente equivalenti a D. Questoviene detto sistema lineare completo associato a D. L’importanza dei sistemilineari viene dal fatto che su di essi e possibile mettere una struttura di spazioproiettivo. Infatti si consideri la mappa

S : PL(D)→ |D|

data da S[f ] = D + (f). Questa e ben definita perche (λf) = (f). Inoltre esurgettiva, perche se E ∼ D, allora E −D = (f) e inoltre e ovvio che f ∈ L(D)perche E ≥ 0. Infine e iniettiva perche se S[f ] = S[g], ne segue immediatamenteche (f) = (g), cioe (f/g) = 0. Ma una funzione ha divisore zero se e solo se ecostante, percio f = λg, cioe [f ] = [g].

1In questa tesi indicheremo sempre con Pn lo spazio proiettivo complesso n-dimensionale.

23

Osserviamo che questa struttura di spazio proiettivo non dipende dal partico-lare divisore D scelto. Cioe, se E ∼ D sono due divisori linearmente equivalenti,l’isomorfismo naturale tra L(D) e L(E) e compatibile con la struttura di spazioproiettivo.

Un sottospazio proiettivo D di un sistema lineare completo |D| e detto si-stema lineare. Vedremo presto che i sistemi lineari “rappresentano” l’insiemedelle intersezioni con degli iperpiani se la superficie di Riemann viene immersain qualche modo in uno spazio proiettivo.

Supponiamo di avere un qualunque sistema lineare D di dimensione r. Puoessere comodo talvolta essere in grado di lavorare in coordinate. Prendiamo oraun qualunque divisore D ∈ D e sia V il sottospazio vettoriale di L(D) tale chenell’identificazione precedente PV = D . Fissiamo f0, . . . , fr base di V . Allorapossiamo porre coordinate [λ0, . . . , λr] su D tali che

[λ0, . . . , λn] = D + (λ0f0 + · · ·+ λrfr)

Se D e un sistema lineare e E un divisore effettivo, indichiamo con DE =D ∈ D | D ≥ E.

Lemma 3.1.1. DE e un sottospazio proiettivo di D , e percio e ancora unsistema lineare.

Dimostrazione. Fissiamo D ∈ D e sia V sottospazio di L(D) tale che PV = D .Poiche E e un divisore effettivo, L(D − E) ⊆ L(D). Allora se prendiamo W =L(D−E)∩V , vogliamo dimostrare che DE = PW . Infatti, posto D′ = D+ (f)un qualunque elemento di D , D′ ∈ DE se e solo se (f)+D ≥ E, che e equivalentea f ∈ L(D − E). Ma questo e proprio quello che volevamo dimostrare.

H

p1

p2

p3

ϕ∗(H) = p1 + p2 + p3

ϕ(X)

Figura 3.1: Costruzione del divisore dell’iperpiano H

3.2 Mappe negli spazi proiettive

Sia ϕ : X → Pn una mappa olomorfa con immagine non contenuta in nessuniperpiano (possiamo sempre chiederlo, a meno di far scendere n), e sia H uniperpiano di Pn. Vorremmo associare un divisore ϕ∗(H) ad H, che rappresenti ipunti d’intersezione contati con molteplicita. La tecnica per farlo e la seguente.

24

Fissiamo un punto p ∈ X, e sia L un altro iperpiano non passante per ϕ(p).Allora consideriamo la funzione

f(q) =H(ϕ(q))

L(ϕ(q))

Questa e olomorfa in un intorno di p e ha uno zero in p se e solo se H passa perϕ(p). Definiamo l’ordine di ϕ∗(H) in p come l’ordine di zero di f

ϕ∗(H)(p) =

(H

L ϕ)

(p)

Si vede immediatamente che questa definizione e ben posta e non dipende dal-l’iperpiano L. Inoltre e evidente che i p in cui ϕ∗(H)(p) 6= 0 sono un discreto,e percio ϕ∗(H) e proprio un divisore ben definito. Consideriamo la famiglia

|ϕ| = ϕ∗(H) | H ∈ Pn∗

costituita da tutti i divisori di iperpiani.

Proposizione 3.2.1. |ϕ| e un sistema lineare di dimensione n e ϕ∗ : Pn∗ → |ϕ|e un isomorfismo di spazi proiettivi.

Dimostrazione. Fissiamo un qualunque iperpiano H0 e poniamo D = ϕ∗(H0).Allora dalla definizione segue immediatamente per ogni altro divisore H l’ugua-glianza

ϕ∗(H) = D +

(H

H0 ϕ)

Ma notiamo che la famiglia di funzioni

V =

H(ϕ)

H0(ϕ)| H iperpiano

∪ 0

e un sottospazio vettoriale di L(D) di dimensione n + 1. Allora l’isomorfismocanonico tra |D| e PL(D) ristretto a PV e proprio ϕ∗, e questa e esattamentela tesi.

Una domanda naturale da porsi e se tutti i sistemi lineari nascano in questamaniera. Questo non e vero, infatti |ϕ| ha un’importante caratteristica, e privodi punti fissi. Questo non e altro che un modo complicato per dire che datoun qualunque punto c’e un iperpiano che non ci passa. Un sistema lineare Dsi dice privo di punti fissi se per ogni p ∈ X esiste D ∈ D tale che D(p) = 0.Questo si vede immediatamente, infatti e sufficiente prendere H iperpiano chenon passi per ϕ(p), la costruzione stessa ci da ϕ∗(H)(p) = 0.

Lemma 3.2.2. D e privo di punti fissi se e solo se Dp 6= D per ogni p, ovverosiase dim Dp = dim D − 1 per ogni p ∈ X.

25

Dimostrazione. La tesi e ovvia dal fatto che se E e un divisore effettivo e p ∈ X

E(p) > 0⇔ E ≥ p

Per fortuna questa condizione, oltre a essere necessaria e anche sufficiente,vale cioe

Teorema 3.2.3. La mappa che manda una mappa olomorfa ϕ : X → Pn in |ϕ|realizza una corrispondenza biunivoca tra le mappe olomorfe con immagine nondegenere a meno di cambi di coordinate in arrivo e i sistemi lineari di divisorisu X di dimensione n privi di punti fissi.

Dimostrazione. La mappa ϕ→ |ϕ| e chiaramente indipendente dalle coordina-te in arrivo, percio per costruire l’inversa possiamo tranquillamente usare unamappa a valori in un qualunque spazio proiettivo di dimensione n. Prendiamoora un qualunque sistema lineare privo di punti fissi D . Ricordando che D eproprio uno spazio proiettivo di dimensione n possiamo costruire una

ϕD : X → D∗

che manda ϕD(p) = Dp. Nella formula precedente con D∗ si intende lo spazioproiettivo duale (identificato con l’insieme di tutti gli iperpiani). Questa e bendefinita, perche per ipotesi Dp e un iperpiano di D per ogni p. Fissiamo p ∈ Xe vediamo che e olomorfa in p. Prendiamo D ∈ D tale che D(p) = 0. Sianof0, . . . , fn ∈ L(D) base di V dove PV = D . Allora possiamo mettere su Dcoordinate omogenee [λ0, . . . , λn] tali che per ogni E ∈ D possiamo scrivere

E = D + (λ0f0 + · · ·+ λnfn)

Poiche D(q) = 0 in un intorno di p, abbiamo che E(q) > 0 se e solo se]

(λ0f0 + · · ·+ λnfn)(q) > 0

e, poiche le fi sono olomorfe in p, E(q) > 0 se e solo se

λ0f0(q) + · · ·+ λnfn(q) = 0

Quindi, nelle coordinate duali delle λi, la mappa ϕD si puo scrivere in un intornodi p come

ϕD(q) = [f0(q), . . . , fn(q)]

ed e percio olomorfa in p.Si tratta ora di far vedere che le costruzioni ϕ → |ϕ| e D → ϕD sono l’una

l’inversa dell’altra. Per maggior chiarezza lo divideremo in due lemmi

Lemma 3.2.4. |ϕD | = D .

26

Fissiamo un iperpiano di D∗ che e, com’e noto, della forma

SE = H ∈ D∗ | H 3 E

per qualche E ∈ D . Fissiamo inoltre p ∈ X e calcoliamo ϕ∗D(SE)(p). La nostratesi e che ϕ∗D(SE)(p) = E(p).

Prendiamo D ∈ D tale che D(p) = 0. Fissiamo ora f0, . . . , fn che inducanoun sistema di coordinate in D come in 3.1 tale che

[λ0, . . . , λn] = D + (λ0f0 + · · ·+ λnfn)

Inoltre poiche D e effettivo possiamo supporre che f0 = 1. Siano [µ0, . . . , µn] lecoordinate di E in questa base. Allora, nelle coordinate duali

SE = [a0, . . . , an] ∈ D∗ | a0µ0 + · · ·+ anµn = 0

E analogamenteSD = [a0, . . . , an] ∈ D∗ | a0 = 0

Percio

ϕ∗D(SE)(p) =

(SE(ϕ)

SD(ϕ)

)(p) =

=

(λ0 + λ1f1 + · · ·+ λnfn

1

)(p) = E(p)−D(p) = E(p)

che, finalmente!, e la nostra tesi.

Lemma 3.2.5. Presa ψ : X → Pn esiste una scelta di coordinate di |ψ|∗ percui ϕ|ψ| = ψ.

Sia H0 = x0 = 0 l’iperpiano all’infinito di Pn. Poniamo h1, . . . , hn funzionimeromorfe su Pn definite da

hj(x) =xjx0

Poste quindi fj = hj ψ, abbiamo che su U0 = ψ−1(Pn\H0) le fj sono olomorfee vale

ψ(p) = [1, f1(p), . . . , fn(p)]

Allora se H1 = a0x0 + · · ·+ anxn = 0 e un altro iperpiano di Pn

ψ∗(H1)− ψ∗(H0) =

(a0x0 + · · ·+ anxn

x0 ψ)

=

= (a0 + a1h1 + · · ·+ anhn ψ) = (a0 + a1f1 + . . . anfn)

Quindi le funzioni 1, f1, . . . , fn sono elementi di L(ψ∗H0) che inducono propriole coordinate volute su |ψ|.

Lemma 3.2.6. Un punto p ∈ X e critico per ϕD se e solo se D2p = Dp.

27

Dimostrazione. Prendiamo D ∈ D tale che D(p) = 0 e scegliamo f0, . . . , fn cheinducono coordinate su D date da

[λ0, . . . , λn] = D + (λ0f0 + · · ·+ λnfn)

Osserviamo che poiche D ≥ 0 possiamo prendere f0 = 1 e f1(p) = · · · = fn(p) =0. Allora le funzioni 1, f1, . . . , fn sono olomorfe in un intorno di p ed esiste unacarta affine in cui

ϕD(q) = (f1(q), . . . , fn(q))

Allora p e singolare se e solo se df1(p) = · · · = dfn(p) = 0. Ma questo equivalea (f1)(p), . . . , (fn)(p) ≥ 2.

D’altro canto sappiamo che Dp e dato in quelle coordinate da λ0 = 0. Maallora se E ∈ Dp

E(p) = D(p) + (λ1f1 + · · ·+ λnfn)(p) ≥ inf((f1), . . . , (fn))(p) ≥ 2

e questa e proprio la tesi.

Un sistema lineare e molto ampio se la mappa ϕD e un immersione. Conimmersione indichiamo una mappa ψ : X → Y tra due varieta complessecompatte che sia iniettiva e tale che il differenziale sia iniettivo in ogni punto.Osserviamo che la compattezza delle varieta ci garantisce automaticamente chesia un omeomorfismo sull’immagine.

Teorema 3.2.7. D e molto ampio se e solo se dim Dp+q = dim D − 2 per ognip, q ∈ X.

Dimostrazione. Poiche X e compatta sappiamo che ϕD e un embedding se esolo se e un’immersione iniettiva. Ma dal lemma 3.2.6, sappiamo che ϕ eun’immersione se e solo D2p e diverso da Dp per ogni p ∈ X, cioe se e solose dim D2p = dim D − 2.

Consideriamo l’iniettivita. Siano p, q ∈ X punti distinti. Dato che ϕD(p) =Dp per definizione, e evidente che ϕD(p) = ϕD(q) se e solo se Dp = Dq. Maallora Dp+q = Dp, e percio

dim Dp+q = dim Dp = dim D − 1

Quindi la tesi e dimostrata.

D’ora in poi tutte le mappe ϕ : X → Pn saranno supposte olomorfe conimmagine non contenuta in nessun iperpiano.

3.3 Mappa canonica

Cominciamo ora a studiare il piu importante sistema lineare di una superficiedi Riemann: il sistema canonico K. Questo e costituito da tutti i divisori delle1-forme olomorfe e dal teorema di Riemann-Roch sappiamo che ha dimensione

28

`(K) − 1 = g − 1. La prima domanda da chiedersi e quali siano i suoi puntifissi. Dal criterio precedente possiamo dire che p e un punto fisso se e solo sedimKp = dimK, cioe se e solo se

`(K − p) = `(K) = g

Ma da Riemann-Roch `(K − p) = `(p) + 1 − g + deg(K − p) = `(p) + g − 2.Ora, poiche `(0) = 1, sappiamo che `(p) e 1 o 2. In quali casi e 2? Se `(p) = 2vuol dire che c’e una funzione meromorfa f : X → P1 non costante che ha soloun polo semplice in p. Ma allora f e una mappa olomorfa di grado 1 tra X eP1, per cui e un biolomorfismo. Quindi K ha punti fissi solo nel caso in cui lasuperficie sia la sfera di Riemann. Inoltre osserviamo anche che se g = 0 questodeve necessariamente succedere, perche

`(K − p) ≥ 0⇒ `(p)− 2 ≥ 0⇒ `(p) ≥ 2

Percio in una superficie di Riemann di genere g > 0 possiamo considerarela mappa canonica ϕK : X → Pg−1, che e la mappa associata al sistemacanonico.

Cerchiamo ora di capire quand’e che la mappa canonica e un’immersione.Grazie alla teoria sviluppata nella sezione precedente sappiamo che la condizionee `(K − p − q) = g − 2. Operando con Riemann-Roch come prima otteniamoche la condizione e `(p+ q) = 1. Percio il sistema canonico non e molto ampiose e solo se esiste una funzione meromorfa f : X → P1 di grado 2. Le superficiper cui cio accade sono dette curve iperellittiche e su di esse vi e una teoriaricca e approfondita. In particolare si puo vedere, usando un minimo di teoriadei rivestimenti, che sono classificate dalle g-uple di punti di P1 a meno dibiolomorfismo. Usando la disuguaglianza `(K − p − q) ≥ 0 possiamo verificareche le superfici di genere 1 sono tutte iperellittiche. Per quanto riguarda lesuperfici di genere 2, sono tutte iperellittiche anche quelle. Infatti se prendiamoK divisore del sistema canonico, questo ha grado 2g − 2 = 2, per cui e dellaforma K = p+ q. Inoltre e noto che `(K) = g = 2, per cui anche in questo casoX e una curva iperellittica.

Riassumendo i risultati che abbiamo ottenuto finora, possiamo enunciare

Proposizione 3.3.1. Sia X una superficie di Riemann e g il suo genere.

• Se g = 0, allora X e biolomorfa alla sfera di Riemann

• Se g > 0, il sistema canonico e privo di punti fissi e ha senso considerarela mappa canonica ϕK

• Se g = 1 o 2, allora X e iperellittica

• Se g ≥ 3 e X non e iperellittica, allora il sistema canonico e molto ampioe ϕK e un embedding.

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Capitolo 4

Curve algebriche eanalitiche

In questo capitolo vogliamo approfondire lo studio del legame tra superfici diRiemann compatte e curve algebriche. Per curva algebrica intenderemo unchiuso di Zariski irriducibile in Pn. Se n = 2 diremo che la curva e piana. Efacilmente noto dal teorema della funzione implicita che se una curva algebricae liscia e una sottovarieta olomorfa di Pn e percio porta in modo naturale unastruttura di superficie di Riemann. Il nostro scopo sara approfondire questolegame nel caso delle curve piane.

4.1 Curve analitiche

Vogliamo trovare un modo di considerare delle “singolarita” in una superficiedi Riemann. A questo scopo definiamo una curva analitica come una mappaolomorfa ϕ : X → Pn da una superficie di Riemann compatta allo spazio pro-iettivo che sia genericamente iniettiva, tale cioe che ci sia al piu un numerofinito di punti di Pn con piu di una controimmagine.

Tutte le sottovarieta complesse lisce di dimensione 1 di Pn sono curve analiti-che, con come mappa naturale l’immersione, ma vediamo ora un esempio di unacurva analitica con qualche singolarita. Consideriamo la mappa ϕ : P1 → P2

definita daϕ(z) = [1, z2, z3]

con l’ovvia estensione ϕ(∞) = [0, 0, 1]. Questa e una curva analitica (e addi-rittura biunivoca!) ma non e una sottovarieta liscia di P2: infatti la mappa ϕe singolare in 0, come si puo immediatamente verificare. Osserviamo pero chel’immagine di ϕ e la cubica cuspidata y2 = x3, e quindi una curva algebrica,anche se singolare. Questo non e un caso, come vedremo in seguito.

Da adesso in poi supponiamo che la curva analitica ϕ sia non degenere,tale cioe che ϕ(X) non sia contenuta in nessun iperpiano. Possiamo sempre

30

ricondurci a questo caso, a patto di diminuire la dimensione dello spazio diarrivo. Chiamiamo grado di una curva analitica, il grado di un suo qualsiasidivisore ϕ∗(H) di iperpiani.

Questo ci suggerisce che essere tangente a una curva analitica sia una con-dizione molto speciale per un iperpiano. Questa cosa viene formalizzata nel

seguente risultato. Sia Xϕ−→ Pn una curva analitica. Diciamo che un punto

p ∈ X e regolare per ϕ se dϕp 6= 0 e inoltre ϕ−1ϕ(p) = p. Diciamo che unpunto di Pn e un valore singolare se e punto di ϕ(X) che non sia immaginedi un punto regolare.

Diciamo che un iperpiano H e tangente a una curva algebrica Xϕ−→ Pn

in un punto p ∈ X se ϕ∗(H)(p) ≥ 2, e trasversale se ϕ∗(H)(p) = 1. Inoltrediciamo che e trasversale alla curva se non e tangente in nessun punto (epercio e trasversale in tutti i punti di intersezione). Questa terminologia ha unsignificato geometrico che viene indicato dal seguente lemma.

Lemma 4.1.1. Sia ϕ : X → Pn una curva analitica, p ∈ X un punto in cui ϕe regolare e H un iperpiano. Allora H e tangente a ϕ in p se e solo se contienela retta tangente a ϕ(X) in p (cioe l’immagine di dϕp).

Dimostrazione. Prendiamo coordinate locali affini (z1, . . . , zn) in cui H sia de-terminato dall’equazione

a1z1 + . . . anzn = 0

e in cui la mappa ϕ si scriva

ϕ(q) = (f1(q), . . . , fn(q))

per f1, . . . , fn olomorfe in un intorno di p. Senza perdita di generalita suppo-niamo che il punto p abbia coordinate (0, . . . , 0). Allora l’iperpiano z1 = 1non passa per p. Per definizione il valore di ϕ∗(H)(p) e dato dall’ordine di zerodella funzione

a1f1 + · · ·+ anfnf1 − 1

in p. Questo e maggiore o uguale a 2 se e solo se la derivata prima di questafunzione si annulla in p, cioe se e solo se

(a1f′1(p) + · · ·+ anf

′n(p))(f1(p)− 1) + (a1f1(p) + · · ·+ anfn(p))f ′1(p)

(f1(p)− 1)2=

= −(a1f′1(p) + anf

′n(p)) = 0

ma questa e esattamente la condizione per cui la retta tangente in p (che e lospan del vettore (f ′1(p), . . . , f ′n(p))) giaccia nell’iperpiano H.

Lemma 4.1.2. Sia Xϕ−→ Pn una curva analitica e p0 ∈ Pn che non sia im-

magine di un punto singolare. Allora gli iperpiani traversali sono densi negliiperpiani passanti per p0.

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In termini piu intuitivi il teorema puo essere enunciato come “Per ogni puntonon singolare p0 l’iperpiano generico per p0 e trasversale a X”.

Dimostrazione. Consideriamo dapprima il caso p0 6∈ ϕ(X). Prendiamo un iper-piano H passante per p0 e troviamone uno trasversale vicino a lui. Sia H1 unqualsiasi altro iperpiano per p0 e consideriamo il sistema lineare

D = (λH + µH1) | [λ, µ] ∈ P1

dei divisori di tutti gli iperpiani del fascio per H e H1. Questo e evidentementeprivo di punti base, per cui induce una mappa ϕD : X → P1. Ora e chiaroche questa mappa induce una corrispondenza biunivoca tra i punti di P1 e idivisori di D che manda z in ϕ∗D(z). Inoltre e chiaro che gli iperpiani trasversalicorrispondono esattamente ai punti non di ramificazione di ϕD , percio e possibiletrovarne vicini a piacere a H.

Se p0 = ϕ(q0) e un valore regolare, allora tutta la costruzione precedente siapplica a patto di considerare il sistema lineare D − q0 = D − q0 | D ∈ D(dato che per costruzione q0 e un punto fisso di D). Questo e privo di punti fissiesattamente per il lemma 3.2.6

La costruzione nella dimostrazione precedente puo essere intesa in sensomolto piu geometrico. Infatti, andando a vedere le definizioni delle costruzioni,vediamo che la mappa ϕD non fa altro che associare ad ogni punto p ∈ ϕ(X)l’iperpiano del fascio che passa per p0 e p. Ma questo e lo stesso che associarglila retta per p e p0, per cui ϕD puo essere reinterpretata come la proiezione dicentro p0.

p0

p

ϕD(p)P1

ϕ(X)

Pn

Figura 4.1: La mappa ϕD e ottenuta proiettando da p0 su un qualunqueiperpiano P1 ⊆ Pn.

Il nostro scopo attuale e dimostrare che l’immagine di ogni curva analiticapiana e una curva algebrica. Per fare questo abbiamo bisogno di una stima sullefamiglie di polinomi che si annullano su ϕ(X).

Per comodita di notazione chiameremo C(n, r) l’insieme dei polinomi F ∈C[x0, . . . , xn] omogenei di grado r. Indichiamo inoltre con Ir(X) come lo spaziovettoriale dei polinomi in C(n, r) che si annullano su ϕ(X).

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Lemma 4.1.3. Per ogni r > 0 vale la seguente stima

dim Ir(X) ≥(n+ k

k

)− rd− 1 + g

Dimostrazione. Fissiamo H0 un qualunque iperpiano, e consideriamo per ognir > 0 la mappa Rr : C(n, r)→ L(rH0) definita da

Rr(F ) =F

Hr0

∣∣∣∣X

Osserviamo che il nucleo di Rr e costituito esattamente da Ir(X). Per stimarnela dimensione, osserviamo che vale l’uguaglianza

dim kerRr + dim ImRr = dimC(n, r) =

(r + n

n

)Ma ImRr ⊆ L(rH0) e quindi

dim ImRr ≤ `(rH0) = rd+ 1− g + `(K − rH0)

Supponendo ora che r sia sufficientemente grande (basta r > 2(g−1)) possiamosupporre deg(K − rH0) < 0 e quindi concludere che

dim kerRr ≥(n+ k

k

)− rd− 1 + g

che e proprio la nostra tesi.

Siamo quindi pronti per dimostrare il nostro teorema

Teorema 4.1.4. Sia ϕ : X → P2 una curva analitica piana. Allora ϕ(X) e unacurva algebrica di grado d. Inoltre se p e un punto regolare di ϕ, allora ϕ(X) eliscia in ϕ(p).

Dimostrazione. Dal lemma 4.1.3 sappiamo che se r e sufficientemente grandedim kerRr > 0.

Consideriamo F di grado minimo tra quelli che si annullano su X e siak = degF . La prima osservazione e che k ≥ d. Infatti, preso p0 6∈ X, possiamotrovare un iperpiano passante per p0 che interseca ϕ(X) in d punti distinti.Questo perche l’insieme degli iperpiani passanti per i punti su cui ϕ non einiettiva e un chiuso nel fascio passante per p0, e percio ci sara un iperpianotrasversale nel complementare. Poiche in realta ne abbiamo una famiglia densa,possiamo sceglierlo anche che non divide F . Ma allora abbiamo un iperpianoche non divide F che lo interseca in d punti distinti, percio degF ≥ d.

Facciamo vedere che ogni polinomio G che si annulla su ϕ(X) e multiplo di F .Infatti se fosse coprimo con F un risultato di algebra commutativa1 ci garantisce

1E immediato dall’osservazione che il risultante di F e G sta nell’ideale (F,G) INSERIRERIFERIMENTO

33

che il loro comune luogo di zeri e un insieme finito di punti, cosa evidentementeimpossibile. Sia quindi F0 il loro fattore comune di grado massimo. PoichedegF0 > 1, abbiamo che il luogo di zeri di F/F0 non puo essere tutta X, equindi dev’essere un numero finito di punti. Ma allora F0 deve annullarsi sututto X, per cui F0 = F per la minimalita di degF .

Poiche ogni polinomio omogeneo di grado h che si annulla su X e multiplodi F abbiamo un isomorfismo tra kerRh e C(n, h− k), per cui

dim kerRh =

(h− k + 2

2

)Ma dal lemma 4.1.3 abbiamo, per h sufficientemente grande, la disuguaglianza(

h− k + 2

2

)≥(h+ 2

2

)− hd− 1 + g

Che, semplificandola, diventa

2(d− k)h ≥ 1 + g − (k − 1)(k − 2)

Ora e evidente che tale disuguaglianza puo valere per h arbitrariamente grandise e solo se d ≥ k. Ma d’altro canto abbiamo visto che deve anche essere d ≤ k,e percio d = k.

Dimostriamo ora che F = 0 coincide con ϕ(X). Abbiamo visto che lo con-tiente. Supponiamo per assurdo p0 ∈ F = 0\X. Allora, per il ragionamentoprecedente possiamo trovare un iperpiano passante per p0, che non divide F eche interseca X in d punti distinti. Ma questo e assurdo, perche intersecherebbeF = 0 in almeno d+ 1 punti distinti, mentre F ha grado d.

Per dimostrare che ϕ(X) e irriducibile di dimensione 1 osserviamo che ognipolinomio che non si annulla su ϕ(X) si annulla solo su un numero finito di punti(per cui gli unici chiusi di Zariski propri contenuti in ϕ(X) sono gli insiemi finitidi punti, da cui facilmente la tesi).

Infine, sia p valore regolare per ϕ. Allora prendiamo H iperpiano trasversalea X che passa per p. Senza perdita di generalita (sono una famiglia densa)posso prenderlo in modo che non passi per nessuno dei punti su cui ϕ non einiettiva. Di conseguenza questo interseca ϕ(X) in d punti distinti, e percio nonpuo essere tangente. Poiche ha un iperpiano non tangente in p, ϕ(X) e liscia inp.

Applicando il teorema a un’immersione si ha immediatamente il seguentecorollario:

Corollario 4.1.5. Sia X una sottovarieta liscia di dimensione 1 di P2. AlloraX e una curva algebrica liscia.

Da cui le seguenti conclusioni

Corollario 4.1.6. Ogni superficie di Riemann di genere 1 e biolomorfa a unacubica liscia di P2

34

Dimostrazione. Sia p0 ∈ X e consideriamo il divisore 3p0. Per il teorema diRiemann-Roch, per ogni p, q ∈ X

`(3 · p0) = 3 + 1− 1 + `(K − 3 · p0) = 3

`(3 · p0 − p− q) = 1 + 1− 1 + `(K − 3 · p0 + p+ q) = 1

per questioni di grado. Ma allora |3 · p0| e un sistema lineare completo moltoampio di dimensione 2, percio X si immerge in P2 e per il teorema precedentee una cubica liscia.

Corollario 4.1.7. Ogni superficie di Riemann di genere 3 non iperellittica ebiolomorfa a una curva algebrica liscia di P2 di grado 4.

Dimostrazione. Il sistema canonico di una superficie di genere 3 non iperellitticae, come abbiamo visto, un sistema lineare completo molto ampio di dimensione2. Quindi X per il teorema precedente si immerge come una curva algebricaliscia di grado 2g − 2 = 4.

4.2 Curve algebriche

In questa sezione cercheremo di mostrare il risultato complementare al prece-dente, mostrando che ogni curva algebrica discende da una curva analitica.

Sia C ⊆ Pn una curva algebrica. Allora una normalizzazione di C e una

curva analitica Xϕ−→ Pn tale che ϕ(X) = C.

Proposizione 4.2.1. Sia Xϕ−→ C una normalizzazione di C. Allora per ogni

superficie di Riemann compatta Y e per ogni mappa olomorfa ψ : Y → Pntale che ψ(Y ) ⊆ C esiste un unica ψ : Y → X olomorfa tale che il seguentediagramma commuti

X C ⊆ Pn

Y

ϕ

ψψ

Dimostrazione. Sia ∆ ⊂ X un insieme finito tale che ϕ sia un biolomorfismo conl’immagine se ristretta al complementare U di ∆, e sia V ⊆ Y il complementaredi ψ−1ϕ(∆). Allora su V la funzione ψ e univocamente determinata e vale

ψ|V = (ϕ|U )−1 ψ|V

si tratta di vedere se sia possibile estenderla. Prendiamo q ∈ ∆, e prendiamo undisco chiuso D che contiene q che sia sufficientemente piccolo in modo che D∩Usia tutto il disco meno il punto q e che non contenga punti di ramificazione di ψ(che sono in numero finito perche la mappa e propria, in quanto composizione dimappe proprie). Allora ψ ristretta alla controimmagine di U e un rivestimento

35

di grado finito, e percio ψ−1D e un numero finito di dischi bucati. Ciascunodi questi dischi deve avere nella propria chiusura in Y un punto che non sta inV (perche questi dischi sono chiusi in U) e percio la funzione ψ in un intornodi questi punti e limitata, e percio si puo estendere. Ora se indichiamo con Vil dominio dell’estensione, questo e compatto. Infatti e l’unione di un numerofinito di dischi chiusi (che sono compatti) e della controimmagine di X meno laparte interna dei dischi (che e compatta perche controimmagine secondo ψ chee propria di un chiuso in X che e compatta). Ma V e Y meno un numero finitodi punti, e percio puo essere compatto se e solo se e tutto Y . Quindi abbiamol’estensione voluta, che e unica perche e determinata univocamente su V che edenso in Y .

Dal fatto che soddisfi una proprieta universale, e immediato che la norma-lizzazione, se esiste, e unica. Fortunatamente la sua costruzione e abbastanzasemplice anche se un po’ laboriosa, come si vede dal prossimo teorema.

Teorema 4.2.2. Per ogni curva algebrica piana C ⊆ P2 esiste una normaliz-

zazione Xϕ−→ C.

Dimostrazione. Prendiamo p0 punto di P2 non contenuto in C. Allora, fissatauna qualunque retta in P2, la proiezione da L ci da’ una mappa π : C → P1.Siano p1, . . . , pk i punti singolari di C e poniamo

Z = C\k⋃i=1

π−1πpi

cioe togliamo a C tutti i punti singolari e tutti i punti che vengono mandatinello stesso punto di uno singolare da π. Allora Z e una varieta complessa didimensione 1 e π|Z e una mappa olomorfa e propria. Inoltre π(Z) e costituitada tutto P1 meno un numero finito di punti (le immagini dei pi). Siano questipunti q1, . . . , qn.

Attorno a ciascuno di questi possiamo prendere un disco Di che non contenganessun punto di ramificazione (poiche la mappa e propria sono in numero finito).Inoltre supponiamo che Di non contenga nessun altro qj . Indichiamo con D∗i ,

il disco Di meno il punto qi. Allora la restrizione a π−1D∗iπ−→ D∗i e, com’e

noto, un rivestimento olomorfo di D∗i . Inoltre, poiche la mappa e propria, e unrivestimento a grado finito. Quindi π−1D∗i e costituito dall’unione disgiunta diun numero finito di dischi bucati

D′i,1 D′i,2 D′i,niDi

π qi

Figura 4.2: La mappa π e un rivestimento in un intorno di qi

36

π−1D∗i = D′i,1 t · · · tD′i,mi

in modo che la restrizione di π a ciascuno di essi sia una mappa del tipo π(z) =zs. Allora e possibile incollare a ciascun D′i,j un dischetto chiuso in modo che lospazio topologico cosı ottenuto sia ancora una superficie di Riemann (in sostanzastiamo “tappando i buchi” dei D′i,j). L’unico punto delicato della costruzionee la proprieta di Hausdorff, ma questa viene garantita dal fatto che l’insieme0 < |z| ≤ 1/3 e chiuso in ogni D′i,j . Inoltre Z e compatta, perche e l’unione deidischetti chiusi che stiamo incollando (che sono un numero finito di compatti)e del complementare di tutti i D′i,j (che e chiuso in Pn e percio compatto).

ri

D′i,t

Figura 4.3: La mappa ϕ ha immagine limitata nell’intorno di ogni punto dovenon e definita

Vediamo ora di costruire la mappa ϕ : X → C. E chiaro che su Z dev’esserel’inclusione naturale in Pn, tutto sta nel vedere se si possa estendere. E chiaroche l’immagine dell’estensione dovrebbe stare in C. Inoltre dev’essere tutta C,perche dev’essere un compatto (infatti X e compatta) che contiene Z. Percioandiamo a vedere cosa succede nell’intorno dei punti di C che non stanno in Z.Siano questi r1, . . . , rN . Per ogni i prendiamo un intorno Ui di ri tale che abbiale seguenti proprieta:

• sia contenuto in un intorno biolomorfo alla palla unitaria in CN

• la sua immagine tramite π sia interamente contenuta nel dischetto Dj ,dove π(ri) = qj .

questo e chiaramente sempre possibile (e sufficiente intersecare un intorno bio-lomorfo alla palla unitaria con π−1(Dj)). Per la costruzione che abbiamo fattodi X, questo aperto conterra un dischetto bucato in D′i,t “intorno” al puntomancante. Ma allora l’immagine tramite ϕ di un intorno del punto mancantee limitata (sta in una cosa che e biolomorfa alla palla unitaria di Cn) e perciosi estende. Quindi ϕ si puo estendere a un aperto di X in modo che la suaimmagine sia C. Con un discorso locale simile al precedente inoltre, possiamodire che se K ⊆ C e compatto, lo e anche ϕ−1K. Percio ϕ e propria. Ma questoimplica che ϕ−1(C) sia compatta e percio sia tutto X.

Dimostriamo ora che X e connessa, concludendo cosı che si tratta di unasuperficie di Riemann compatta. Infatti, se non lo fosse, ciascuna delle sue com-ponenti connesse verrebbe mandata in una curva algebrica per il teorema 4.1.4,

37

per cui C sarebbe unione di un numero finito di chiusi propri, contraddicendocosı l’ipotesi di irriducibilita.

Il teorema e stato enunciato e dimostrato solo nel caso delle curve piane, an-che se quasi tutta la dimostrazione funzionerebbe ugualmente nel caso generale.In realta l’unico problema e la dimostrazione della connessione di X, che habisogno del fatto che l’immagine di una curva analitica e una curva algebrica.Questo e vero in generale, ma la dimostrazione che abbiamo dato non si adattafacilmente.

4.3 Formule genere-grado

Prendiamo ora una curva algebrica liscia C, vogliamo collegare in qualche modoil suo sistema canonico al sistema degli iperpiani. Questo ci portera, tra le altrecose, a una formula che determina il genere di una curva algebrica liscia. Suppo-niamo che l’equazione sia F (x0, x1, x2) = 0. Allora supponiamo senza perditadi generalita che l’iperpiano H = x0 = 0 sia trasversale. Mettiamoci quindinella carta affine U = x0 6= 0 e stabiliamo coordinate (x, y) = (x1/x0, x2/x0).Poniamo f(x, y) = F (x, y, 1). La 1-forma

fxdx+ fydy

e identicamente nulla su C ∩ U , per cui risulta ben definita

ω =dx

fy= −dy

fx

su C ∩ U , data dall’incollamento delle due. Osserviamo che non ha ne zeri nepoli. Vorremmo estenderla a una 1-forma meromorfa globale su C. Sia

H ∩ C = p1, . . . , pd

dove d e il grado di C, di modo che i∗(H) = p1 + · · · + pn, dove i : C → P2 el’inclusione. Allora nell’intorno di p1, possiamo mettere una coordinata locale ttale che

(x, y) =1

t(h(t), k(t))

con h, k olomorfe non nulle. Questo perche la molteplicita d’intersezione di Hcon C e 1 in ogni punto. Quindi, sostituendo nella definizione di ω, in un intornodi p1 vale

ω =d(h(t)/t)

fy(h(t)/t, k(t)/t)= td−3

th′(t)− h(t)

Fy(h(t), k(t), t)dt

Quindi, in p1 ω ha esattamente uno zero di ordine d−3. Quindi, poiche lo stessodiscorso vale per ogni pi,

(ω) = (d− 3)i∗(H) = i∗(Hd−3)

38

Di conseguenza, prendendo i gradi

2g − 2 = (d− 3)d⇒ g =(d− 1)(d− 2)

2

Forti di questa conoscenza, vediamo ora che le curve piane lisce non sonoiperellittiche

Proposizione 4.3.1. Sia C una curva piana liscia di grado d ≥ 4. Allora Cnon e iperellittica

Dimostrazione. Per ogni p, q ∈ C vogliamo far vedere che `(p + q) = 1. PerRiemann-Roch, e equivalente far vedere che

`(K − p− q) = deg(K − p− q) + 1− g + `(p+ q) = g − 2 .

In altri termini dobbiamo far vedere che esistono elementi di Kp che non stannoin Kq. Prendiamo G un’ipersuperficie di grado d − 3 in P2 che passi per p manon per q. Questo e possibile perche d ≥ 4. Allora il divisore

i∗(G) =

(G

Hd−3

)+ (d− 3)i∗(H)

e un divisore canonico che soddisfa alle nostre richieste.

Osserviamo che se C non fosse stata una curva liscia, la 1-forma ω sarebbecomunque stata ben definita sulla normalizzazione, ma avrebbe potuto averealcuni poli. Questi poli hanno l’effetto di far scendere il grado di (ω) e percio ilgenere della curva Possiamo percio enunciare la seguente disuguaglianza

Proposizione 4.3.2. Sia C ⊆ P2 una curva algebrica di grado d. Allora, se ge il genere della sua normalizzazione

g ≤ (d− 1)(d− 2)

2

Inoltre vale l’uguaglianza se e solo se C e una curva liscia.

Cerchiamo di migliorare la stima precedente, introducendo il numero di puntisingolari della curva.

Sia Xϕ−→ C una curva analitica piana. Un nodo e un punto p ∈ C tale che

abbia esattamente due controimmagini p1, p2 ∈ X e che le immagini di dϕp1 edϕp2 siano distinte (cioe che la curva abbia due tangenti distinte in ciascuno deidue punti che formano il punto doppio). Studiamo ora il comportamento localedella 1-forma ω in prossimita di un nodo.

Poiche ϕ ha il differenziale non nullo in p1 e in p2, esistono intorni U1 e U2

di p1 e p2 tali che ϕ(U1) e ϕ(U2) siano localmente luoghi di zeri di funzionianalitiche con differenziale mai nullo. Quindi esiste un intorno V di p e duefunzioni analitiche g1, g2 : V → C con differenziale mai nullo tali che f = g1g2.Inoltre possiamo dire che g1, g2 hanno due tangenti differenti in p. Con un rapido

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conto, da questo deriva che fy ϕ ha solo zeri semplici in p1, p2, e lo stesso valeper fx ϕ. Andando a vedere la definizione della 1-forma ω, questo implica cheogni polo fa scendere il grado di (ω) di due, cioe il genere di 1. Quindi abbiamodimostrato il seguente risultato:

Proposizione 4.3.3. Se gli unici punti singolari di una curva piana C di gradod sono N nodi, il suo genere e

g =(d− 1)(d− 2)

2−N

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Bibliografia

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