Tesi di Laurea Triennale in Economia e Management Indirizzo “Gestione Aziendale” ·...

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1 Facoltà di Economia Tesi di Laurea Triennale in Economia e Management Indirizzo “Gestione Aziendale” Regionalizzazione ed aziendalizzazione del SSN, focus su: Regione Calabria Relatore Prof.ssa Manila Marcuccio Laureanda Rosaria Barbieri Anno Accademico 2010/2011

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Facoltà di Economia

Tesi di Laurea Triennale in Economia e Management

Indirizzo “Gestione Aziendale”

Regionalizzazione ed aziendalizzazione del SSN,

focus su: Regione Calabria

Relatore

Prof.ssa Manila Marcuccio

Laureanda

Rosaria Barbieri

Anno Accademico 2010/2011

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Indice

Introduzione

1. Regionalizzazione ed aziendalizzazione

1.1 I pilastri dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale

1.2 Dalla centralità del Comune a quella della Regione nella gestione della Sanità

1.3 Il principio di aziendalizzazione nel SSN

1.4 Il Piano Sanitario Nazionale ed i Piani Sanitari Regionali

1.5 Da Unità Sanitaria Locale ad Azienda USL

2. Il caso della Regione Calabria

2.1 L’istituzione del Servizio Sanitario Regionale

2.2 Il primo Piano Sanitario Regionale

2.3 Il riordino del SSR

3. Scenari attuali e prospettive future della sanità calabrese

3.1 Il Piano Sanitario Regionale 2004-2006

3.2 Le cinque Aziende Sanitarie Provinciali ed il processo di razionalizzazione

3.3 Il Piano di Rientro ed il commissariamento

3.4 Conclusione

Bibliografia

Fonti normative

Sitografia

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Introduzione

Il settore sanitario in Italia assorbe oltre il 7% del PIL nazionale ed in media

rappresenta circa l’80% dei bilanci regionali. Questi due semplici dati,

inseriti in un contesto di innegabile invecchiamento progressivo della

popolazione, sono sufficienti da soli a dare un’idea della crescente

importanza socioeconomica del settore sanitario, che in Italia è stato

oggetto di numerose riforme e trasformazioni e che tutt’oggi si trova spesso

al centro della pubblica attenzione per i vari problemi che lo riguardano.

Queste ed altre considerazioni hanno condotto alla scelta di analizzare un

settore così complesso ed affascinante, qual è quello sanitario, focalizzando

in particolare l’attenzione sul quadro normativo vigente e sui processi di

regionalizzazione ed aziendalizzazione che hanno attraversato il Servizio

Sanitario Nazionale a partire dagli anni Novanta. In seguito si è scelto di

approfondire il caso della Regione Calabria per i numerosi ed interessanti

spunti di analisi e riflessione che offre.

Il primo capitolo, in particolare, si apre con una veloce disamina dei pilastri

dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale, quali emergono dal D.Lgs.

229/1999. Seguono l’analisi del passaggio storico dalla centralità del

Comune a quella della Regione nella gestione della Sanità, con le relative

cause e conseguenze e l’esame di uno degli aspetti più importanti,

interessanti ed innovativi del processo di riforma della sanità degli anni

Novanta: il principio di aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale,

che ha comportato la difficile transizione, da un punto di vista gestionale ed

operativo, dall’Unità Sanitaria Locale all’Azienda USL e la crescente

importanza delle leve di programmazione e pianificazione sanitaria, che si

esplicitano fondamentalmente nel Piano Sanitario Nazionale e nei Piani

Sanitari Regionali.

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Secondo e terzo capitolo trattano nello specifico il caso della Regione

Calabria, dall’istituzione del Servizio Sanitario Regionale, avvenuta con la

L.R. n. 18/1980, agli scenari attuali ed alle prospettive future della sanità

calabrese, passando per il primo Piano Sanitario Regionale, relativo al

triennio 1995-1997, e per il riordino del SSR, in ottemperanza alle nuove

linee guida dettate dalle riforme “Bis” e “Ter” ed alla successiva legge di

riforma costituzionale del 2001.

Della situazione attuale vengono in particolar modo sviscerati il vigente

Piano Sanitario Regionale 2004-2006 e l’improcrastinabile processo di

razionalizzazione della spesa sanitaria, che ha condotto alla riduzione del

numero delle Aziende USL, attraverso la costituzione delle attuali cinque

Aziende Sanitarie Provinciali.

Grande attenzione è riservata, infine, al Piano di Rientro, cui la Regione è

sottoposta dal 2009 ed al commissariamento sopraggiunto dal Luglio 2010.

La trattazione si conclude con uno sguardo d’insieme che, seppur

sottolineando le molteplici problematiche che condizionano ed affliggono

da tempo la sanità calabrese, intravede uno spiraglio di luce nella ancora

viva possibilità di un rinnovamento culturale, strutturale ed organizzativo

condiviso, che permetta alla Regione tutta ed al settore sanitario in

particolare di uscire dalla situazione di impasse in cui si trova oggi.

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1. Regionalizzazione ed aziendalizzazione

1.1 I pilastri dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale

“La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed

interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della

libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale,

quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi

sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed

istituzioni di rilievo nazionale, nell'ambito dei conferimenti previsti dal

decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nonché delle funzioni conservate

allo Stato dal medesimo decreto”. 1

Il complesso processo di riforme che ha interessato il settore sanitario

successivamente alla legge 23 Dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio

Sanitario Nazionale, ha investito molti ed importanti profili organizzativi e

gestionali, ma non ha intaccato i principi fondamentali del sistema, quali: la

centralità della persona, l’universalità del servizio, l’equità nell’accesso

all’assistenza, la responsabilità pubblica in materia di tutela della salute ed

il conseguente finanziamento pubblico del settore sanitario.

Ciò che caratterizza il programma riformatore della sanità è la presenza

della definizione “forte” di alcuni principi fondamentali2, che fungono da

regole e vincoli di carattere generale rispetto ad un vero e proprio processo

1 D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 in materia di "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario

nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419"

2 Come riconosciuto anche nel Comunicato “Linee di guida n. 2/96: profilo aziendale dei soggetti gestori dei servizi sanitari”, G.U. n. 126 del 31-05-1996

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attuativo, connotato da elevata flessibilità, al quale è affidato il compito di

individuare le specificazioni di dettaglio delle regole stesse.

La pluralità dei livelli di intervento normativo, il carattere flessibile e

sperimentale delle soluzioni possibili e l’autonomia dei soggetti coinvolti

rendono complesso il processo attuativo del riordino in materia sanitaria e

mostrano come evidente il bisogno di governare il processo stesso al fine di

assicurare la coerenza dei passi attuativi rispetto ai principi ed ai vincoli

generali. I soggetti cui è affidata tale funzione di governo e di monitoraggio

del processo attuativo sono l’amministrazione centrale e le Regioni.

Aspetti salienti della cosiddetta “Riforma Sanitaria Ter”3, contenuta nella

Legge 30 Novembre 1998, n. 419 e nel D.Lgs. 19 Giugno 1999, n. 229, che

costituisce l’attuale quadro normativo di riferimento, sono la

regionalizzazione e l’aziendalizzazione del sistema sanitario, cui si

affiancano e mescolano numerosi altri elementi, di seguito brevemente

illustrati, che contribuiscono a delineare l’articolato, ma imprescindibile

sistema di tutela della salute che è il Servizio Sanitario Nazionale.

Centrale è l’importanza attribuita alle Regioni in termini di

programmazione, organizzazione, finanziamento e controllo per soddisfare

le specifiche esigenze della popolazione locale, sempre nel rispetto dei

livelli essenziali ed uniformi di assistenza, che sono definiti a livello statale

e vanno assicurati su tutto il territorio nazionale.

La regionalizzazione va letta nella logica di non cedere alla tentazione di

riprodurre e rimoltiplicare i centri di autonomia4, ma di potenziare al

3 Così chiamata in quanto successiva rispetto al riordino della sanità attuato con la Legge 23 Ottobre 1992, n. 421 ed il D.Lgs. 30 Dicembre 1992 n. 502, successivamente modificato ed integrato dal D.Lgs. 7 Dicembre 1993, n. 517, noti come “Riforma Bis”

4 Come spiega chiaramente il “Libro Bianco sui principi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale”, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – LUISS “Guido Carli”, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachel”, 2008

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massimo e nella massima chiarezza le attribuzioni di ciascun livello di

governo e di ciascun attore nel sistema.

Attori chiave sono le aziende/Unità Sanitarie Locali, che attraverso il

processo di aziendalizzazione vengono dotate di personalità giuridica

pubblica ed autonomia imprenditoriale e la loro organizzazione ed il loro

funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato.

Nell’ambito del processo di razionalizzazione del Servizio Sanitario

Nazionale, confluito nel D.Lgs. 229/1999, viene assegnata alle Regioni la

responsabilità totale della programmazione e del governo della sanità, ma si

promuove anche il recupero del ruolo dei Comuni, i quali avevano assistito

ad un netto ridimensionamento del proprio ruolo rispetto alla gestione delle

attività del SSN ad opera del D.Lgs. 502/1992, che ne confinava

l’intervento alla sola definizione delle linee di indirizzo per l’impostazione

programmatica delle attività, senza alcun potere e responsabilità

nell’amministrazione. Ora alle autonomie locali vengono, invece, attribuiti

significativi spazi di intervento non finalizzati alla gestione diretta del

servizio, ma funzionali alla formulazione di strategie assistenziali adeguate

ai bisogni della popolazione.

Ulteriori ambiti di affermazione del nuovo ruolo dei Comuni, oltre a quello

della programmazione sanitaria e sociosanitaria, sono: la partecipazione ai

procedimenti di valutazione delle aziende USL ed ospedaliere, l’erogazione

di livelli aggiuntivi di assistenza e l’integrazione sociosanitaria.

Il tentativo di recuperare spazi di intervento a favore dei Comuni non mette

in discussione la regionalizzazione del sistema abbinata

all’aziendalizzazione delle strutture, ma si mostra animato dall’esigenza di

garantire ai cittadini poteri di indirizzo e di controllo sulla gestione di un

servizio cruciale, che non poteva non operare in costante e stretto raccordo

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con quegli enti in cui si esprimeva la rappresentanza territoriale primaria dei

cittadini5.

Importante è, inoltre, sottolineare come il D.Lgs. 229/1999 preveda

l’intervento diretto del Governo, attraverso la nomina di commissari ad

acta, in luogo delle Regioni inadempienti in alcuni casi specifici, come la

mancata adozione del Piano Sanitario Regionale trascorso un anno

dall’entrata in vigore del Piano Sanitario Nazionale.

Il decreto richiamato sancisce anche la crescente autonomia decisionale

degli utenti dei servizi sanitari e prevede forme di partecipazione dei

cittadini e degli utilizzatori dei servizi alla verifica dell’attività svolta ed

alla formulazione di proposte rispetto all’accessibilità dei servizi offerti,

nonché l’adozione e l’utilizzazione sistematica della “Carta dei servizi” per

la comunicazione con i cittadini, inclusa la diffusione degli esiti dei

programmi di valutazione.

Altro elemento cardine dell’attuale sistema è l’articolazione delle

aziende/USL in distretti, che assicurano i servizi di assistenza primaria

relativi alle attività sanitarie e sociosanitarie, garantiscono la continuità

assistenziale sul territorio e la cui attività è complementare rispetto a quella

del Dipartimento di prevenzione, struttura operativa dell’azienda/USL, che

si occupa di prevenzione delle malattie e tutela della salute collettiva.

La “Riforma Ter” introduce, poi, il sistema dell’accreditamento

istituzionale, ovvero un iter procedurale finalizzato ad una sorta di

attestazione di qualità da parte delle Regioni al quale devono adempiere le

strutture pubbliche o private che vogliano erogare servizi e prestazioni

assistenziali per conto del SSN e prevede l’individuazione di tariffe per le

5 Come fa notare in “Comuni e servizio sanitario dopo la riforma del Titolo V della Costituzione”, G. Carpani, in “Il governo della salute: Regionalismi e diritti di cittadinanza”, a cura di L. Chieffi e M. Ricca, Quaderni Formez n° 41

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prestazioni erogate dalle strutture accreditate, le quali vengono così

remunerate secondo un ammontare predefinito ed indicato negli accordi

contrattuali.

Altri elementi innovativi introdotti dalla “Riforma Bindi” sono: le

sperimentazioni gestionali, che consistono in programmi, proposti dalle

Regioni interessate, di nuovi modelli di gestione che prevedono forme di

collaborazione tra strutture del SSN e soggetti privati, per ragioni di

convenienza economica e miglioramento della qualità assistenziale, in

coerenza con le previsioni del Piano Sanitario Regionale; l’istituzione di

fondi integrativi del SSN finalizzati a potenziare l’erogazione di trattamenti

e prestazioni eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza.

Il D.Lgs. 229/1999, tutt’oggi in vigore, ha, infine, riformato la disciplina

della dirigenza medica e delle professioni sanitarie ed introdotto la

formazione continua.

La dirigenza sanitaria è stata collocata in un unico ruolo distinto per profili

professionali ed in un unico livello articolato in relazione alle diverse

responsabilità professionali e gestionali. Il dirigente è sottoposto a verifica

triennale, alla dirigenza sanitaria si accede mediante concorso pubblico ed il

rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari è di tipo esclusivo, ma compatibile

con l’esercizio della libera professione intramuraria.

La formazione continua comprende l’aggiornamento professionale, al fine

di adeguare costantemente le proprie conoscenze professionali, e la

formazione permanente, finalizzata a migliorare le competenze e le abilità

cliniche, tecniche e manageriali ed i comportamenti degli operatori sanitari

al progresso scientifico e tecnologico con l'obiettivo di garantire efficacia,

appropriatezza, sicurezza ed efficienza dell’assistenza prestata dal Servizio

Sanitario Nazionale.

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L’articolazione organizzativa del SSN, impostata verticalmente su tre livelli

- statale, regionale, locale - nel corso degli anni e con le successive riforme

sanitarie ha perso quella natura centralista con cui era stata disegnata dal

legislatore del 1978 in favore di un processo di regionalizzazione nel quale

le Regioni diventano centri di imputazione di responsabilità gestionali di

natura programmatoria, organizzativa e finanziaria.6

La “Riforma Bindi” (D.Lgs. 229/1999) nel distribuire le funzioni

organizzative ai diversi livelli di governo ha fatto riferimento al principio di

sussidiarietà verticale, in base al quale il SSN, per poter meglio operare al

fine della tutela del diritto alla salute, deve essere strutturato come servizio

il più possibile vicino ai suoi fruitori.

In tale direzione va anche la riforma del titolo V della Parte II della

Costituzione ed in particolare la L.cost. 18 Ottobre 2001, n.3 che pone

sempre più la Regione come fulcro organizzativo essenziale del Servizio

Sanitario Nazionale e responsabile del governo della sanità.

6 “Legislazione sanitaria e sociale” IX edizione, Revisione del testo a cura delle dott.sse B. Consales, I. Sangiuliano e R. Sangiuliano, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 2003

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1.2 Dalla centralità del Comune a quella della Regione nella

gestione della Sanità

Prima dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, le prestazioni di

rilievo sanitario venivano erogate essenzialmente a livello comunale ed

anche la legge 23 Dicembre 1978, n. 833, istitutiva del SSN, affidava le

competenze di gestione del servizio interamente al Comune, al quale erano

attribuite tutte le funzioni amministrative in materia sanitaria ed ospedaliera

non espressamente riservate allo Stato ed alle Regioni. La dimensione

comunale veniva, dunque, riaffermata quale livello privilegiato di

intervento nella gestione e nel controllo della sanità.

Il processo di unificazione dei trattamenti sanitari e dei sistemi di

erogazione delle prestazioni trovava il suo punto di riferimento a livello

territoriale nell’Unità Sanitaria Locale che, dal punto di vista giuridico -

amministrativo, poteva essere definita come una vera e propria struttura

operativa del Comune7.

L’esigenza di assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi su tutto il

territorio nazionale e livelli delle prestazioni sanitarie accettabili ed

appropriati per tutti i cittadini veniva soddisfatta sostanzialmente attraverso

la valorizzazione di due livelli territoriali: lo Stato, al quale spettava

un’articolata serie di competenze ed in primis l’approvazione di un Piano

Sanitario Nazionale, ed il Comune, al quale veniva assegnato un ruolo

centrale nella creazione della rete territoriale di Unità Sanitarie Locali.

7 “Libro Bianco sui principi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale”, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – LUISS “Guido Carli”, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachel”, 2008

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Con l’approvazione della cd. “Riforma Bis” della sanità si è avuto il primo

tentativo di porre concretamente al centro dello scenario sanitario locale la

Regione, quale titolare della funzione legislativa ed amministrativa in

materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, responsabile della

programmazione sanitaria regionale ed interfaccia dei livelli erogativi delle

prestazioni anche per quanto attiene alla determinazione dei criteri di

finanziamento.

La Regione si affermava, così, come il livello territoriale di riferimento

nell’organizzazione e nella concreta gestione del servizio sanitario, vero

titolare del servizio pubblico di assistenza sanitaria. Nello specifico,

rientravano nelle competenze regionali: le linee generali di organizzazione

dei servizi e delle attività destinate alla tutela della salute, i criteri di

finanziamento delle USL e delle Aziende Ospedaliere, le attività di

indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle USL e delle

AO, anche in relazione al controllo di gestione ed alla valutazione della

qualità delle prestazioni sanitarie.

L’USL, da struttura operativa dei Comuni priva di personalità giuridica, si

trasformava in una sorta di ente strumentale della Regione, ma soprattutto

in azienda dotata di personalità giuridica pubblica e di autonomia

organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.

La gestione dei servizi sanitari viene affidata a nuovi soggetti istituzionali,

nella duplice veste di Aziende USL ed Aziende Ospedaliere, che hanno

personalità giuridica pubblica, godono di ampia autonomia e subentrano

con ruoli diversificati nei compiti di gestione prima attribuiti al Comune e

da questi esercitati in modo integrato attraverso l’USL.

Ulteriore passo avanti nel cammino di regionalizzazione del sistema

sanitario si è avuto con la “Riforma Ter”, orientata alla ricerca di nuovi

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equilibri tra le Regioni e gli enti locali nell’ambito della razionalizzazione

del Servizio Sanitario Nazionale.

Le Regioni hanno assunto un ruolo sempre più diretto e responsabile in

materia sanitaria: oltre a svolgere un’attività di carattere programmatorio e

normativo, esse vengono ora coinvolte direttamente nella gestione e nel

finanziamento dei servizi sanitari.

A seguito del processo di regionalizzazione del SSN è possibile identificare

prevalentemente nelle Regioni i rappresentanti della popolazione e sono

proprio le Regioni, in qualità di capogruppo, ovvero soggetto che governa il

sistema sanitario regionale, a dover: ridisegnare l’apparato amministrativo

regionale e gli strumenti di governo del SSR; stabilire la struttura del

gruppo in termini di combinazioni economiche con autonomia giuridica ed

economica, ovvero stabilire le aziende del gruppo; definire il sistema delle

deleghe per il governo economico delle aziende nominando gli organi

direzionali di massimo livello e costituendo di organi collegiali

rappresentativi dei differenti interessi; delineare le politiche complessive

del sistema; progettare le norme generali per l’organizzazione ed il

funzionamento delle aziende del gruppo (Carbone, Ferré, Liotta, 2010).

La Regione, in altri termini, disciplina l’articolazione del territorio

regionale in Aziende Unità Sanitarie Locali, detta i principi ed i criteri per

l’adozione dell’atto aziendale, definisce i criteri per l’articolazione delle

Aziende USL in distretti, provvede al finanziamento delle stesse e regola le

modalità di vigilanza, controllo e valutazione dei risultati conseguiti.

Dopo una fase di “regionalizzazione a Costituzione invariata” (1992-2001),

le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione con la L.cost. 3/2001

hanno introdotto importanti novità nell’assetto istituzionale - organizzativo

delle Regioni, alle quali è stata trasferita la potestà legislativa in materia

sanitaria, pur rimanendo di competenza del Governo centrale la definizione

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dei Livelli Essenziali di Assistenza, che rappresentano le prestazioni ed i

servizi essenziali per la tutela, la cura ed il recupero della salute, che vanno

assicurati indistintamente ed in maniera uniforme su tutto il territorio

nazionale.

Se, a dirla con Griglio (2005), il nucleo storico della regionalizzazione ha

coinciso, a partire dalle riforme degli anni Novanta, con la differenziazione

nei modelli organizzativi, a seguito della riforma costituzionale tale ambito

di autonomia, da una parte, sembra avere trovato nuovi e più radicali

sviluppi e, dall’altra, sembra avere coinvolto nella tendenza al

decentramento spazi ulteriori di disciplina.

La regionalizzazione del settore sanitario, a partire dalla differenziazione

dei modelli organizzativi, ha progressivamente investito tutti e tre i pilastri

del servizio pubblico sanitario, quali la titolarità del servizio in capo

all’amministrazione pubblica, le finalità perseguite e la sua organizzazione.

Ciò che viene messo in discussione non è la natura giuridica del servizio,

che rimane pubblica, ma la sua articolazione territoriale nella nuova

configurazione policentrica della Repubblica.

Tra le innovazioni introdotte dalla riforma del Titolo V della Costituzione

in ordine allo svolgimento delle funzioni amministrative, specifico rilievo

assume la formalizzazione del principio di leale collaborazione tra gli attori

del sistema, che nel settore sanitario trova quotidiana applicazione

essenzialmente attraverso la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza

Unificata.

Alle Regioni, che costituiscono il livello decentrato nell’ambito del sistema

sanitario nazionale, spetta l’attuazione concreta del governo e la gestione

della spesa sanitaria per il raggiungimento degli obiettivi di salute fissati a

livello centrale.

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Allo Stato, infatti, attraverso la programmazione sanitaria nazionale,

vengono mantenute: le competenze relative alla definizione degli obiettivi

fondamentali di prevenzione, cura, riabilitazione e delle linee generali di

indirizzo del Servizio Sanitario Nazionale; l’indicazione dei Livelli

Essenziali di Assistenza da assicurare in condizioni di uniformità su tutto il

territorio nazionale; la formulazione di progetti-obiettivo; la definizione

delle esigenze prioritarie in materia di ricerca biomedica e sanitaria

applicata; l’individuazione degli indirizzi relativi alla formazione di base

del personale; l’amministrazione delle risorse finanziarie necessarie per

l’erogazione dei LEA in condizioni di efficienza e di appropriatezza.

Le Regioni, invece, hanno competenza esclusiva nell’organizzare e

regolamentare i servizi e le attività destinate alla tutela della salute ed alla

soddisfazione dei bisogni sanitari dei cittadini del proprio territorio

(Cicchetti, 2010), a tal fine fissano autonomamente i criteri di

finanziamento delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere,

sulla base delle risorse assegnate dallo Stato, a cui si aggiungono

eventualmente quelle ulteriori stabilite dalla Regione stessa, e definiscono

criteri e modalità con cui le Aziende Sanitarie ed i Comuni garantiscono

l’integrazione delle prestazioni socio-sanitarie di rispettiva competenza.

In concreto, come afferma Massicci (2008), “i sistemi sanitari regionali si

configurano come attività di carattere industriale, cui concorrono numerosi

soggetti portatori di interessi che possono essere tra loro in conflitto, ciò

richiede che gli stessi sistemi sanitari regionali siano gestiti secondo criteri

di qualità, efficacia, appropriatezza ed efficienza”.

Va, inoltre, rilevato che i vari sistemi sanitari regionali della penisola si

differenziano tra loro in modo significativo, sia con riferimento alla qualità

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delle prestazioni erogate, sia con riferimento alla capacità delle Regioni di

sostenere la spesa sanitaria con le risorse programmate8.

La regionalizzazione crea due ordini di problemi: da un lato garantire a tutti

i cittadini le prestazioni riconducibili ai Livelli Essenziali di Assistenza

individuati; dall’altro, vista anche la piena potestà finanziaria delle Regioni,

la necessità di sostenerle nell’organizzazione della salute e nella

responsabilità diretta sui risultati della gestione delle Aziende. Il livello

centrale rimane garante del cittadino e delle scelte di unitarietà del sistema,

ma la Regione deve essere in grado di impostare il proprio sistema

regionale secondo un impianto coerente e di fornire indirizzi conseguenti

alle Aziende Sanitarie. Si sviluppano così modelli organizzativi regionali

sostanzialmente diversi di programmazione della salute.

A fronte del “federalismo fiscale e sanitario”, infatti, le Regioni hanno

proceduto in modo autonomo introducendo nuovi soggetti istituzionali,

prevedendo meccanismi che leghino tra loro le diverse aziende ed

accentrando a livello regionale alcune decisioni strategiche e funzioni

amministrative, con la finalità principale di ricercare soluzioni che

permettano la riconnessione e messa in rete delle aziende autonome, ma che

condividono risorse, ambiti d’azione ed in parte finalità ed obiettivi, per

ricercare sinergie ed eliminare duplicazioni.

8 Il Rapporto Osservasalute 2010 sullo stato di salute e qualità dell’assistenza nelle Regioni italiane, redatto dall’Osservatorio Nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, ha realizzato una serie di analisi dedicate ai 10 anni di federalismo sanitario nel Paese riscontrando che nonostante gli apprezzabili guadagni nella salute e nell’aspettativa di vita della popolazione, legati al miglioramento delle condizioni di vita e di assistenza conseguenti allo sviluppo socio-economico, i principali indicatori di mortalità e morbosità dimostrano come il nostro Paese sua ancora attraversato da profonde differenze geografiche e socio-demografiche, sia nello stato di salute che nell’organizzazione e gestione delle attività socio-sanitarie, a sfavore delle aree e delle posizioni sociali più svantaggiate.

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Il processo di regionalizzazione, insieme al nuovo ruolo dei Comuni ed alle

norme sul federalismo fiscale, danno una forte accelerazione al processo di

autonomia regionale e di responsabilizzazione nel governo della sanità.

La presenza dei poteri di indirizzo e controllo della Regione è espressione

delle sue prerogative costituzionali, che le consentono di dettare le

coordinate per la costituzione di un vero e proprio sistema sanitario

regionale, all’interno del quale le Aziende Sanitarie si collocano, con

l’effetto di risultare immerse in un sistema di meccanismi e strumenti che,

individuando obiettivi ed indirizzi, regolando i flussi finanziari e svolgendo

la valutazione dei risultati, rappresentano l’asse portante di un sistema di

integrazione verticale che lega e coordina le scelte gestionali di ogni singola

azienda con un disegno di governo complessivo della sanità regionale.

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1.3 Il principio di aziendalizzazione nel SSN

Il processo di aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale e delle sue

forme di gestione trova origine fondamentalmente in tre ordini di motivi

(Menichetti, 2001): nel sostanziale fallimento delle Unità Sanitarie Locali a

gestione collegiale, che non raggiunsero i risultati sperati in termini di

obiettivi di salute, né di sostenibilità economico-finanziaria; nel contesto di

crisi fiscale dello Stato, che legandosi alla riflessione sul new welfare ha

evidenziato il nesso inscindibile tra idee di salute, organizzazione del SSN e

diritto alla salute costituzionalmente garantito; nelle due direttrici della

separazione tra politica ed amministrazione e della regionalizzazione del

servizio, che hanno caratterizzato il processo di profonde riforme della

pubblica amministrazione degli anni Novanta.

Il principio di aziendalizzazione del SSN entra a far parte del quadro

normativo con il D.Lgs. 30 Dicembre 1992, n.502, che per la prima volta

conferiva all’USL l’attributo di “azienda”, nonché una serie di elementi

privatistici nella gestione ed in primo luogo l’autonomia organizzativa,

amministrativa, patrimoniale, gestionale, tecnica e contabile.

Successive modifiche apportate nel corso degli anni hanno condotto

all’attuale formulazione normativa, in base alla quale “le unità sanitarie

locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica ed

autonomia imprenditoriale e la loro organizzazione ed il loro

funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel

rispetto dei principi e criteri previsti dalle disposizioni regionali”9.

9 Art.3, comma 1-bis, D.Lgs. 502/1992 così come modificato dal D.Lgs. 229/1999 e dal D.Lgs. 168/2000

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In tal modo il legislatore ha voluto riaffermare la natura di aziende

pubbliche delle USL, dotandole al contempo di una maggiore autonomia al

fine di favorire un uso più efficiente delle risorse finanziarie e professionali

dell’azienda, senza scadere in derive di tipo economicistico e favorendo il

consolidamento della regionalizzazione del SSN.

La ratio della figura aziendale risiede nell’esaltazione giuridica di un

elemento sostanziale quale quello di “attività stabilmente organizzata per la

produzione di beni e servizi”, ratio che rimane tale, come pure le regole di

assetto e funzionamento che caratterizzano il modello aziendale, anche

quando l’azienda assolve a finalità pubbliche.

I principi che presiedono alla configurazione di ogni struttura aziendale

pubblica e che vanno, quindi, ritrovati nei nuovi soggetti gestionali del

servizio sanitario sono: l’autonomia, ovvero la capacità degli organi di

amministrazione di combinare le risorse a disposizione in funzione dei fini

dell’azienda; l’economicità, in base alla quale il funzionamento della

struttura aziendale deve essere ispirato da razionalità rispetto allo scopo

piuttosto che da razionalità rispetto alla norma; la regolamentazione di

diritto comune, per cui l’attività deve essere sottoposta più alle regole del

diritto comune che a quelle del diritto amministrativo; la responsabilità, che

comporta che il controllo esterno sia esercitato sui risultati e sulla

conduzione complessiva della gestione piuttosto che sugli atti, mentre

all’interno della struttura deve decollare la funzione del controllo di

gestione.

Le Aziende Sanitarie, in base al nuovo dettato legislativo, agiscono

mediante atti di diritto privato, informano la propria attività a criteri di

efficacia, efficienza ed economicità e sono tenute al rispetto del vincolo di

bilancio, attraverso l’equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di

risorse finanziarie.

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Il processo di aziendalizzazione, attraverso l’introduzione di meccanismi

detti di mercato, ha l’obiettivo di aumentare l’efficienza produttiva del

sistema, tentando di raggiungere un equilibrio tra la scarsità delle risorse a

disposizione ed il mantenimento di determinati livelli di assistenza.

L’attribuzione all’Azienda Sanitaria di una marcata autonomia e di una

connessa responsabilità per i risultati conseguiti, insieme all’individuazione

dei fini istituzionali propri dell’entità organizzativa, rappresentano

l’essenza stessa dell’essere azienda che, una volta definiti obiettivi e

vincoli, significa: disporre del potere di allocare le risorse e gestirne

l’utilizzazione in modo da perseguire al meglio gli obiettivi, nel rispetto dei

vincoli assegnati dal livello regionale; accettare di essere valutati per la

gestione svolta, secondo i vincoli ricevuti, sulla base dei risultati conseguiti;

assumersi la responsabilità per quello che si è realizzato.

Aziendalizzazione non significa che i vincoli di bilancio cambino natura e

diventino obiettivi10, ma che i Livelli uniformi ed Essenziali di Assistenza e

le prestazioni efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini a carico

del Servizio Sanitario Nazionale sono assicurati dalle Regioni avvalendosi

del sistema delle Aziende Sanitarie, nella piena riconduzione di queste nella

logica programmatoria aperta e non burocratica che regge l’intero Servizio

Sanitario Nazionale.

La dipendenza dell’Azienda Sanitaria dalla Regione riguarda

esclusivamente l’area di indirizzo, cioè della determinazione degli obiettivi

e dei vincoli, anche finanziari, ed il controllo sui risultati complessivi della

gestione. Resta in tal modo del tutto integra l’autonomia gestionale, che

rappresenta il carattere peculiare ed essenziale del modello aziendale ed

10 Come spiega chiaramente il “Libro Bianco sui principi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale”, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – LUISS “Guido Carli”, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachel”, 2008

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attiene all’organizzazione delle risorse a disposizione, in vista del

conseguimento dei risultati.

L’atto aziendale è la massima espressione della capacità di diritto privato

delle aziende sanitarie e, nel rispetto degli indirizzi regionali, determina

l’organizzazione ed il funzionamento dell’azienda, dando pratica attuazione

all’autonomia imprenditoriale.

L’atto aziendale, in particolare, individua le strutture operative dotate di

autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione

analitica, ed a seconda della specificità o meno degli indirizzi regionali

varia il grado di predeterminazione dei suoi contenuti e la conseguente reale

autonomia di cui gode l’azienda.

Organi dell’Azienda Sanitaria sono il Direttore Generale, organo

monocratico dell’azienda, nominato fiduciariamente dalla Regione in

presenza di obiettivi requisiti di professionalità, ed il Collegio Sindacale,

con poteri di ispezione, controllo e vigilanza, sia di tipo economico che

riguardo l’osservanza della legge.

Il Direttore Generale, in particolare, coerentemente al modello di

management privato, ha la responsabilità complessiva della gestione, di cui

detiene tutti i poteri, deve assicurare l’equilibrio economico dell’azienda cui

è preposto ed è sottoposto al principio della responsabilità mediante

l’istituto della valutazione.

Due aspetti particolarmente innovativi dell’aziendalizzazione del SSN sono

la separazione delle funzioni tra acquirenti e fornitori delle prestazioni, con

la creazione di un mercato interno al SSN, ed il riposizionamento a livello

organizzativo delle Unità Sanitarie Locali e di alcuni ospedali, quelli

costituitisi in Aziende Ospedaliere, in seguito all’attribuzione della qualifica

aziendale.

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La separazione del concetto di erogazione da quello di garanzia della

prestazione, introdotta dalla scissione delle funzioni di acquisto e fornitura

avviata dal D.Lgs. 502/1992, ha permesso, a condizione del rispetto di

determinati standard, l’affiancamento e l’integrazione dei soggetti erogatori

pubblici con quelli privati e privati senza scopo di lucro, cosiddetto privato

sociale, tutti sottoposti al regime di accreditamento da parte della autorità

regionali.

L’accreditamento istituzionale costituisce il presupposto per l’esercizio di

attività sanitarie per conto del SSN, ma di per sé non comporta alcun

vincolo alla remunerazione delle prestazioni erogate, che va appositamente

disciplinata nell’ambito degli accordi contrattuali.

Fondamentali diventano, dunque, i controlli e l’attività di vigilanza

assicurati da Regioni, Aziende USL ed Aziende Ospedaliere sull’uso

corretto delle risorse, prendendo a parametro valori standard relativi a

qualità, appropriatezza, accessibilità e costi.

Il processo di aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali, come si evince

da quanto detto, ha riguardato non solo la progressiva autonomia del

soggetto erogatore dei servizi sanitari rispetto all’ente territoriale di

riferimento, ma ha comportato anche l’introduzione di strumenti privatistici

nella gestione aziendale. Ne consegue che le Aziende USL, pur avendo

secondo il giudice amministrativo la natura di enti strumentali delle

Regioni, nel perseguire i propri fini agiscono in concreto utilizzando gli

strumenti di un imprenditore privato.

Va rilevato, inoltre, che l’aziendalizzazione ha interessato, oltre ad Aziende

USL ed Aziende Ospedaliere, anche altri soggetti erogatori di prestazioni

sanitarie, quali le aziende ospedaliero - universitarie, le aziende ospedaliere

di rilievo nazionale o interregionale, che per specifiche esigenze

assistenziali, di ricerca scientifica o di didattica del SSN possono essere

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costituite o confermate in aziende, secondo le modalità fissate per le

Aziende Sanitarie Locali (Antonelli, 2010).

Il processo di riforma del settore sanitario ha condotto ad una tendenziale

separazione delle funzioni ad ogni livello organizzativo (Menichetti, 2001).

A livello istituzionale: allo Stato sono state attribuite le funzioni

espressamente riservategli dal D.Lgs. 112/1998 e dal D.Lgs. 502/1992 e

successive modificazioni; alle Regioni sono state assegnate le funzioni di

indirizzo, programmazione e controllo; alle nuove Aziende Sanitarie è stata

riservata l’organizzazione e la gestione del servizio.

A livello delle forme di gestione: alle Aziende USL è stata affidata la

funzione di acquisto; alle Aziende Ospedaliere quella di fornitura delle

prestazioni, realizzando la cosiddetta separazione tra acquirenti e fornitori.

A livello operativo - gestionale: alla Regione sono state riconosciute le

funzioni di indirizzo, programmazione e controllo; ai Direttori Generali la

gestione concreta dei servizi sanitari, dando vita ad una vera e propria

svolta manageriale.

L’attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico e

dell’autonomia imprenditoriale ha consentito un riposizionamento

dell’Azienda USL sia nei rapporti con gli enti fornitori accreditati sia

pubblici che privati, rispetto ai quali è acquirente dei servizi e controllore

degli standard qualitativi delle prestazioni erogate, che in relazione al

sistema degli enti territoriali, rispetto ai quali sono più chiari e definiti

l’ambito d’azione e le prerogative di cui gode.

Le conseguenze dell’introduzione del principio di aziendalizzazione in

ambito sanitario sono, dunque, notevoli, soprattutto per l’impatto

sull’assetto organizzativo.

Significativa è la mutuazione nel settore sanitario dei criteri di gestione

tipicamente aziendalistici, quali i principi di efficacia, efficienza ed

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economicità, che connotano oggi tutta l’attività delle Aziende Sanitarie,

orientata al raggiungimento dei risultati in termini di tutela della salute, nel

rispetto degli obiettivi prefissati, con il minor dispendio di risorse ed in

condizioni di equilibrio economico.

L’aziendalizzazione cui informare il processo di cambiamento degli enti

sanitari consiste, dunque, nella capacità dell’organizzazione di operare in

condizioni di efficienza produttiva e con strumenti e meccanismi gestionali

a supporto di processi decisionali trasparenti e governati da priorità

aziendali condivise.

Coscienti del fatto che la funzionalità complessiva del sistema dipende dai

livelli di funzionalità di ciascuna azienda e dall’interazione tra le diverse

aziende e che le logiche ed i metodi sviluppati nel tradizionale contesto

d’impresa non possano essere acriticamente trasferiti alle Aziende Sanitarie,

è necessario modificare le modalità di funzionamento delle singole aziende,

mettendole nelle condizioni di migliorare i propri risultati nel rispetto delle

proprie specificità in termini di obiettivi, organizzazione, gestione ed

ambiente.

L’aziendalizzazione non va intesa come negazione dell’autonomia

professionale o della centralità del paziente, né come minimizzazione dei

costi, né tanto meno come massimizzazione dei profitti (Rapporto OASI

2010). È, invece, un approccio logico, che richiede ad ogni istituto, quindi

anche alle Aziende Sanitarie, di perseguire le proprie finalità e di soddisfare

le aspettative dei propri stakeholder utilizzando al meglio le risorse

disponibili, ricercando continuamente modalità alternative di acquisizione

ed impiego delle risorse, per poter ampliare i bisogni soddisfatti, e

verificando continuamente che i bisogni a cui vengono destinate le risorse

siano quelli più rilevanti.

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La teoria aziendale afferma che un’azienda è, in generale,

un’organizzazione economica finalizzata al raggiungimento di determinati

obiettivi. È necessario, dunque, che anche l’Azienda Sanitaria sviluppi una

propria visione strategica ed una propria mission in termini di obiettivi di

salute e non solo di obiettivi organizzativi, in quanto è fondamentale

soprattutto in ambito sanitario non confondere il concetto di azienda con

quello di impresa, cioè di azienda deputata alla produzione di reddito e di

profitti, e comprendere che quello sanitario è un mercato assolutamente

atipico, in cui non vi è equilibrio tra domanda ed offerta e che, pertanto, va

affrontato in modo appropriato.

Lo sbilanciamento della programmazione sanitaria verso i problemi

dell’offerta, la transizione epidemiologica verso malattie croniche sempre

più curabili, ma in molti casi inguaribili, l’invecchiamento progressivo della

popolazione, l’innovazione tecnologica continua ed i costi crescenti

dell’organizzazione sanitaria, che hanno già causato negli anni il fallimento

finanziario prima del sistema mutualistico e poi del SSN, così come era

stato delineato nella Legge n.833 del 1978, rischiano, in mancanza di

un’adeguata comprensione e consapevolezza delle potenzialità, ma anche

dei rischi dello strumento aziendale, di provocare11 un altro collasso

finanziario.

Per far sì che l’attuale sistema sanitario italiano aziendalizzato si dimostri

adeguato alle sfide odierne in termini di tutela dei livelli di salute della

popolazione a costi sostenibili per lo sviluppo complessivo della società è

necessario: chiarire il concetto di Azienda Sanitaria, quale organizzazione

economica finalizzata al raggiungimento di obiettivi di mantenimento e/o

innalzamento dei livelli di salute; sviluppare in seno alle Regioni e tra le

11 Come fa notare C. Favaretti nel suo articolo “Organizzazioni in rete e processi di aziendalizzazione”, http://www.carlofavaretti.it/pdf/art_reti_aziendali.pdf, (02/04/11)

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Aziende Sanitarie una vera logica di sistema, che permetta di permeare

reciprocamente gli obiettivi di salute con quelli di riorganizzazione dei

servizi; definire ed identificare in maniera netta e precisa gli ambiti di

competenza diretta dell’Azienda Sanitaria, distinguendoli da quelli in cui

all’azienda competono solo azioni di supporto nei confronti di istituzioni ed

aree non sanitarie; favorire ed incrementare un approccio programmatico

realistico, che tenga conto e contemperi bisogni di salute, soluzioni efficaci

disponibili e costi sostenibili.

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1.4 Il Piano Sanitario Nazionale ed i Piani Sanitari Regionali

Il Piano Sanitario Nazionale è il principale strumento di programmazione

sanitaria con il quale vengono definiti gli obiettivi da raggiungere, nell’arco

di un triennio, attraverso l’individuazione di attività e di strategie

strumentali alla realizzazione delle prestazioni istituzionali del SSN12.

La programmazione sanitaria rientra a pieno titolo nell’ambito della

programmazione economico-finanziaria dello Stato, in quanto

l’individuazione dei LEA e delle prestazioni efficaci ed appropriate, da

effettuarsi in sede di PSN, deve avvenire contestualmente

all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al SSN, nel rispetto

delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza

pubblica nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria varato

dal Governo.

Il PSN era già previsto dalla legge istitutiva del SSN, L. 833/1978, ma è

rimasto di fatto inattuato sino alla riforma di tale importante strumento di

programmazione, che si è avuta con il D.Lgs. 502/1992 e successive

modificazioni.

Attraverso il PSN lo Stato, nell’osservanza degli obiettivi e dei vincoli posti

dalla programmazione economico-finanziaria nazionale, nonché dei principi

di tutela della salute stabiliti a livello internazionale, detta le linee generali

di indirizzo del SSN in materia di prevenzione, cura, riabilitazione ed

assistenza sanitaria, da applicare conformemente e secondo criteri di

uniformità su tutto il territorio nazionale.

12 “Legislazione sanitaria e sociale” IX Edizione, a cura di B. Consales, I. Sangiuliano e R. Sangiuliano, Edizioni Giuridiche Simone, Gruppo Editoriale Esselibri, Napoli, 2003

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Il PSN, in seguito ad un esame degli scenari del triennio successivo in

termini di situazione economica, demografica ed epidemiologica, trend

internazionali e trend di sviluppo scientifico e tecnologico, individua gli

ambiti verso cui indirizzare le scelte innovative del sistema e le strategie

operative da mettere in atto nelle linee di attività trasversali al sistema,

declina gli obiettivi di salute, definisce un sistema per il loro monitoraggio e

valuta le performance del SSN.

Con il PSN, in particolare, devono essere definiti i Livelli Essenziali di

Assistenza che il SSN assicura a tutti i cittadini, ovvero quelle prestazioni

che, rispondendo a bisogni primari di salute, devono essere garantite

all’intera collettività, su tutto il territorio nazionale, in condizioni di

uniformità.

I principali contenuti del PSN13 sono: le aree prioritarie di intervento, anche

ai fini di una progressiva riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali

nei confronti della salute; i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria da

assicurare per il triennio di validità del Piano; la quota capitaria di

finanziamento per ciascun anno di validità del Piano e la sua

disaggregazione per livelli di assistenza; gli indirizzi finalizzati ad orientare

il SSN verso il miglioramento continuo della qualità dell’assistenza, anche

attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovra regionale; i progetti

obiettivo, adottati dal Ministro della salute con decreto di natura non

regolamentare, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della

programmazione economica e con gli altri Ministri competenti per materia,

d’intesa con la Conferenza unificata, da realizzare anche mediante

l’integrazione funzionale ed operativa dei servizi sanitari e dei servizi

socio-assistenziali degli enti locali; le finalità generali ed i settori principali

della ricerca biomedica e sanitaria, prevedendo altresì il relativo programma

13 Art. 1, comma 10, D.Lgs. 502/1992 così come modificato ed integrato dal D.Lgs. 229/1999

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di ricerca; le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi

alla formazione continua del personale, nonché al fabbisogno ed alla

valorizzazione delle risorse umane; le linee guida ed i relativi percorsi

diagnostico-terapeutici allo scopo di favorire, all’interno di ciascuna

struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e

valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l’applicazione

dei Livelli Essenziali di Assistenza; i criteri e gli indicatori per la verifica

dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti.

Il PSN viene predisposto dal Governo su proposta del Ministro della salute,

previo parere obbligatorio, ma non vincolante delle competenti

Commissioni parlamentari e delle confederazioni sindacali maggiormente

rappresentative, tenuto conto delle proposte provenienti dalle Regioni,

nonché dei dati e delle informazioni contenute nella relazione annuale sullo

stato di attuazione del Piano Sanitario Regionale, sui risultati di gestione e

sulla spesa prevista per l’anno successivo, che tutte le Regioni hanno

l’obbligo di trasmettere al Ministero della salute

Il PSN viene adottato con Decreto del Presidente della Repubblica, previa

deliberazione del Consiglio dei Ministri, d’intesa con la Conferenza

Unificata, entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del Piano

precedente, ha durata triennale e può essere modificato nel corso del

triennio di validità seguendo lo stesso procedimento previsto per la sua

adozione.

A testimonianza del ruolo fondamentale attribuito al Piano Sanitario

Nazionale, va rilevato che i suoi contenuti risultano immediatamente

applicabili, non necessitando per la loro attuazione dell’approvazione o del

recepimento da parte dei PSR.

Il Piano Sanitario Regionale, la cui predisposizione compete alla Giunta

Regionale, include le finalità che ciascuna Regione, coerentemente alle

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indicazione del PSN, deve raggiungere in materia sanitaria nell’arco del

triennio di validità del Piano, nonché gli aspetti strategici degli interventi da

porre in essere per la tutela della salute ed il miglior funzionamento dei

servizi.

All’interno del PSR confluiscono diversi fattori e convivono l’estrema

rigidità del percorso formativo delle decisioni strategiche con la notevole

flessibilità dei contenuti e delle modalità attuative, affidate interamente alle

leggi regionali.

Il PSR rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di

salute ed il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche

della popolazione regionale, anche in riferimento agli obiettivi del Piano

Sanitario Nazionale.

Il procedimento di adozione del Piano Sanitario Regionale risulta uniforme

su tutto il territorio nazionale, in quanto le Regioni, entro centocinquanta

giorni dalla data di entrata in vigore del PSN, devono adottare o adeguare i

Piani Sanitari Regionali, prevedendo forme di partecipazione delle

autonomie locali, attraverso il parere obbligatorio della Conferenza

permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, che

può formulare osservazioni e che garantisce il coinvolgimento delle

autonomie locali in sede di programmazione, nonché delle formazioni

sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo

dell’assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli

operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal

SSN.

Le regioni e le province autonome trasmettono al Ministro della salute i

relativi schemi o progetti di Piani Sanitari allo scopo di acquisirne il parere

per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del PSN; il

Ministro della salute esprime il parere entro trenta giorni dalla data di

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trasmissione dell’atto, sentita l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari

regionali.

Il Piano Sanitario Regionale ha assunto un’importanza ed una valenza

determinante con la maturazione del federalismo sanitario, in quanto il

documento testimonia le scelte strategiche, indica le priorità d’intervento e

si deve basare su una conoscenza approfondita del territorio e dei bisogni

specifici di salute della popolazione locale.

La mancanza del Piano Sanitario Regionale non comporta, però,

l’inapplicabilità delle disposizioni contenute nel PSN e nel caso in cui la

Regione non abbia adottato il PSR, trascorso un anno dall’approvazione del

PSN, è previsto il blocco dell’accreditamento di nuove strutture sul

territorio della Regione inadempiente, nonché un meccanismo sostituivo

che consente, previa fissazione di un termine almeno trimestrale, al

Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentita

l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, d’intesa con la

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province

autonome, di surrogarsi alla Regione stessa per dare attuazione al PSN nella

Regione, anche mediante la nomina di commissari ad acta.

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1.5 Da Unità Sanitaria Locale ad Azienda USL

Il concetto di Unità Sanitaria Locale nacque con la L. 833/1978, istitutiva

del SSN, e ne rappresentò una delle principale innovazioni, rispetto al

precedente assetto mutualistico, relativamente all’organizzazione

territoriale delle prestazioni sanitarie.

Detta legge dispone, all’art.10 che: “… alla gestione unitaria della tutela

della salute si provvede in modo uniforme sull'intero territorio nazionale

mediante una rete completa di unità sanitarie locali.

L'unità sanitaria locale è il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi

dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane i quali in un

ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario

nazionale”.

Viene così ricomposta in capo ad un unico soggetto, l’USL, la competenza

esclusiva in materia sanitaria, di cui erano precedentemente titolari, in vario

ordine e grado, Comuni, Province, enti mutualistici, consorzi ed altri

soggetti.

All’USL competeva, dunque, già secondo l’originario quadro normativo,

l’erogazione delle prestazioni di prevenzione, cura, riabilitazione e

medicina legale, al fine di assicurare a tutta la popolazione i livelli delle

prestazioni sanitarie che devono essere garantiti a tutti i cittadini.

In qualità di strutture operative dei Comuni, singoli o associati, e delle

Comunità montane, le USL introdotte nel 1978, prive di personalità

giuridica, avevano un bacino d’utenza compreso tra cinquantamila e

duecentomila abitanti, a seconda delle caratteristiche geomorfologiche e

socio-economiche della zona.

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Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale, i Comuni, singoli o

associati, o le Comunità montane dovevano provvedere ad articolare le

Unità Sanitarie Locali in distretti sanitari di base, quali strutture tecnico-

funzionali per l'erogazione dei servizi di primo livello e di pronto

intervento.

L’articolazione delle USL in distretti sanitari era volta a garantire una

maggiore interazione tra territorio, servizi ed individui, ovvero tra

dimensione sociale e sanitaria delle prestazioni erogate; con lo stesso

obiettivo si spiegano le dimensioni territoriali relativamente ridotte di detti

distretti, idonee a favorire la maggiore efficacia e diffusione dell’intervento.

Per quanto concerne la struttura ed il funzionamento delle Unità Sanitarie

Locali, all’interno dell’USL vi erano: l’Assemblea Generale, organo

rappresentativo della popolazione locale; il Comitato di gestione, eletto

dall’Assemblea Generale, ed il suo presidente, deputati alla gestione degli

atti amministrativi dell’USL; il Collegio dei revisori, i cui compiti e

modalità di funzionamento erano disciplinati da legge regionale, al fine di

provvedere al controllo sulla gestione amministrativo-contabile dell’USL.

Con il riordino della materia sanitaria disposto dal D.Lgs. n. 502 del 1992

l’Unità Sanitaria Locale è stata trasformata in azienda e configurata come

ente strumentale della Regione, dotato di personalità giuridica pubblica,

nonché di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile,

gestionale e tecnica.

L’USL si trasforma così da strumento operativo del Comune a soggetto

istituzionalmente deputato alla gestione dei servizi sanitari, con il potere di

identificare autonomamente la struttura organizzativa dell’apparato

aziendale, ovvero dell’insieme degli elementi che compongono il sistema

organizzativo interno, nonché i meccanismi di decentramento dei poteri di

gestione, coordinamento, comunicazione e controllo.

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La trasformazione delle Unità Sanitarie Locali in aziende operata dal

D.Lgs. 502 del 1992 ha comportato che l’Azienda Sanitaria non possa

considerarsi come una semplice sommatoria degli enti USL che

eventualmente la compongono, ma va vista come un ente distinto ed

autonomo.

L’Azienda USL viene dotata del potere di adottare in via autonoma

provvedimenti amministrativi implicanti l’esercizio di potestà pubblica e

della capacità di disporre del patrimonio mediante atti di acquisizione,

amministrazione e cessione dello stesso, in forza dell’autonomia

conferitagli nell’area della gestione economico-finanziaria e patrimoniale e

per quanto riguarda il profilo tecnico dell’attività da svolgere, cioè

relativamente alle procedure ed alle modalità di impiego delle risorse.

In virtù dell’autonomia gestionale, inoltre, all’Azienda USL è stato

conferito il potere di: determinare in via autonoma, ma pur sempre nei limiti

dei vincoli imposti dalla programmazione regionale e nazionale, gli

obiettivi dell’azione; programmare le attività da compiere; definire le

modalità di svolgimento delle attività; provvedere all’allocazione delle

risorse umane, strumentali e finanziarie in relazione agli obiettivi ed ai

programmi; determinare l’organizzazione del lavoro; procedere al

conferimento dei poteri ed all’attribuzione delle connesse responsabilità

all’interno della struttura organizzativa; controllare l’andamento della

gestione e verificare i risultati conseguiti14.

Con la nuova formulazione dell’art.3 del D.Lgs. 502/1992, introdotta dal

D.Lgs. 229/1999, si ha un ulteriore sviluppo nel processo di

aziendalizzazione delle AUSL, che divengono aziende con personalità

giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale. Quest’ultima si esplica:

14 Circolare del Ministero della sanità: <Linee guida 2/96: profilo aziendale dei soggetti gestori dei servizi sanitari>, G.U. n. 126 del 31-05-1996

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nell’obbligo di adottare un atto aziendale di diritto privato che ne disciplini

l’organizzazione ed il funzionamento; nella capacità di disporre del proprio

patrimonio secondo il regime della proprietà privata; nel dovere di

informare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità;

nel dover rispettare il vincolo di bilancio, attraverso l'equilibrio di costi e

ricavi, compresi i trasferimenti di risorse finanziarie; nella capacità di agire

di regola mediante atti di diritto privato.

L’atto aziendale, emanato dal Direttore Generale e fortemente caratterizzato

da principi e criteri stabiliti dalla legge regionale, costituisce la chiave di

volta del nuovo impianto aziendale, in quanto dalla sua capacità di recepire,

metabolizzare e rendere effettivamente praticabili gli strumenti competitivi

del privato, quali flessibilità, autonomia imprenditoriale, responsabilità

diretta della dirigenza ed impiego dinamico dei fattori produttivi al fine di

“produrre salute” e non profitti, dipenderà il grado di completamento del

processo di aziendalizzazione.

Secondo la legislazione attualmente vigente, organi dell’azienda sono il

Direttore Generale, coadiuvato da Direttore amministrativo e Direttore

Sanitario e dal Consiglio dei sanitari, ed il Collegio sindacale.

Al Direttore Generale competono tutti i poteri di gestione, ovvero di

rappresentanza legale dell’azienda USL, nonché poteri di verifica, anche

attraverso l’istituzione di un apposito servizio di controllo interno, della

corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate e

dell’imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.

Il Direttore Generale è nominato dalla Regione tra una serie di soggetti in

possesso del diploma di laurea e di un’esperienza almeno quinquennale di

direzione tecnica o amministrativa in enti, aziende, strutture pubbliche o

private, in posizione dirigenziale con autonomia gestionale e diretta

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responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, svolta nei dieci

anni precedenti15.

A sua volta il Direttore Generale nomina i responsabili delle strutture

operative aziendali ed i revisori ed è coadiuvato, nell’esercizio delle proprie

funzioni, dal Direttore amministrativo e dal Direttore sanitario, che

partecipano, unitamente al Direttore Generale, che ne ha la responsabilità,

alla direzione dell’azienda assumendo diretta responsabilità delle funzioni

attribuite alla loro competenza e concorrendo, attraverso la formulazione di

proposte e pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale.

Il Direttore sanitario è un medico che, all’atto della nomina, non deve aver

compiuto sessantacinque anni di età, ma che sia in possesso di esperienza

almeno quinquennale di qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in

enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione.

Al Direttore sanitario è attribuita la direzione dei servizi sanitari ai fini

organizzativi ed igienico-sanitari e la presidenza del Consiglio dei sanitari,

organismo elettivo dell’AUSL con funzioni di consulenza tecnico-sanitaria,

composto da una maggioranza di medici ed altri operatori sanitari in

possesso di un diploma di laurea e da una rappresentanza di infermieri e

tecnici.

Il Direttore amministrativo, cui spetta la direzione dei servizi amministrativi

dell’AUSL, è un laureato in discipline giuridiche od economiche, che

all’atto della nomina deve avere meno di sessantacinque anni d’età ed

essere in possesso di un’esperienza almeno quinquennale di direzione

tecnico-amministrativa in enti o strutture pubbliche o private di media o

grande dimensione.

15 Art 3-bis comma 3, D.Lgs. 502/1992, come aggiunto dall’art. 3 del D.Lgs. 229/1999

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La triade formata da Direttore Generale, Direttore sanitario e Direttore

amministrativo costituisce il top management all’Azienda USL di

appartenenza, cui ciascuno di essi è legato da un contratto di diritto privato,

che ne regola il rapporto di lavoro esclusivo, di durata non inferiore a tre e

non superiore a cinque anni, rinnovabile e stipulato in osservanza delle

norme dettate dal codice civile nel libro quinto, titolo terzo.

L’ipotesi patologica di risoluzione del contratto per gravi motivi è

affiancata da altre due ipotesi peculiari del carattere di azienda con

personalità giuridica pubblica proprio dell’AUSL, quali il grave disavanzo e

la violazione di leggi o del principio di buon andamento ed imparzialità

della pubblica amministrazione.

Elemento importante e tipico della disciplina aziendale è la scelta di

sottoporre il top management al principio della responsabilità, mediante

l’istituto della valutazione ad opera delle Regioni, sulla base di criteri

predeterminati dalle stesse, agganciati alla programmazione regionale e

particolarmente all’efficienza, all’efficacia ed alla funzionalità dei servizi

sanitari. La valutazione si basa sulla verifica dei risultati aziendali e sul

raggiungimento degli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi

prefissati nel Piano Sanitario Regionale, nel limite di compatibilità con le

risorse e ferma restando l’autonomia gestionale del Direttore Generale

(Menichetti, 2001).

In ogni azienda è costituito il Collegio di direzione, di cui il Direttore

Generale si avvale per il governo delle attività cliniche, la programmazione

e valutazione delle attività tecnico-sanitarie e ad alta integrazione sanitaria,

nonché per l’elaborazione del programma di attività dell’azienda, per

l’organizzazione e lo sviluppo dei servizi, anche in attuazione del modello

dipartimentale, e per l’utilizzazione delle risorse umane.

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Il Collegio di direzione concorre alla formulazione dei programmi di

formazione, delle soluzioni organizzative per l'attuazione dell’attività

libero-professionale intramuraria ed alla valutazione dei risultati conseguiti

rispetto agli obiettivi clinici.

L’attività e la composizione del Collegio di direzione sono disciplinate

dalla Regione ed è prevista la partecipazione del Direttore sanitario e del

Direttore amministrativo16.

Il Collegio sindacale verifica l’amministrazione dell’azienda sotto il profilo

economico, vigila sull’osservanza della legge, accerta la regolare tenuta

della contabilità e la conformità del bilancio alle risultanze dei libri e delle

scritture contabili, effettuando anche periodicamente verifiche di cassa,

riferisce almeno trimestralmente alla Regione sui risultati del riscontro

eseguito, denunciando immediatamente i fatti se vi è fondato sospetto di

gravi irregolarità e trasmette almeno semestralmente una propria relazione

sull’andamento dell’attività dell’AUSL alla Conferenza dei sindaci o al

Sindaco del comune capoluogo della Provincia dove è situata l’azienda

stessa.

Per quanto concerne le funzioni dell’Azienda USL, attraverso essa le

Regioni assicurano sul proprio territorio i Livelli Essenziali ed uniformi di

Assistenza definiti nello standard minimo dalla programmazione nazionale

ed eventualmente rielaborati nei Piani Sanitari Regionali.

Le tre macroaree ricomprese nei LEA sono individuabili nell’assistenza

sanitaria collettiva in ambienti di vita e di lavoro, nell’assistenza distrettuale

e nell’assistenza ospedaliera.

Alle Aziende USL compete, inoltre, l’erogazione di servizi e prestazioni

eventualmente contemplati dai livelli aggiuntivi di assistenza previsti dai

16 Art. 17 D.Lgs. 502/1992 come modificato dall’art. 14 del D.Lgs. 229/1999

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Comuni, in coerenza con la programmazione sanitaria regionale e finanziati

con risorse proprie del Comune stesso.

Le Aziende USL possono, infine, assumere anche la gestione di attività o

servizi socio-assistenziali, attraverso l’erogazione di prestazioni socio-

sanitarie, su delega dei singoli enti locali, che ne mantengono, però, a loro

totale carico gli oneri, compresi quelli relativi al personale.

Ogni AUSL deve garantire agli utenti le funzioni di informazione,

accoglienza, tutela e partecipazione, che sono assicurate tramite

l’istituzione dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, la cui organizzazione è

definita a livello locale nel rispetto della legislazione regionale e nazionale

e la cui attività è rivolta sia all’interno che all’esterno della struttura per la

valutazione dell’efficacia dei servizi erogati.

L’Azienda USL adempie alle sue funzioni di erogatore di prestazioni

sanitarie avvalendosi di propri presidi ospedalieri non costituiti in azienda,

di Aziende Ospedaliere, di istituzioni sanitarie pubbliche o private

autorizzate ed accreditate e di professionisti in regime di convenzione.

Nell’ambito dell’assetto organizzativo dell’Azienda USL, spetta alla

Regione la determinazione dei principi organizzativi e strutturali

dell’AUSL, in relazione all’articolazione del territorio regionale in Aziende

USL, all’organizzazione delle AUSL in distretti, all’istituzione ed alla

gestione nell’ambito dell’AUSL dei dipartimenti di prevenzione ed alla

costituzione dei presidi ospedalieri in aziende quando ricorrano determinati

presupposti sanciti dalla legge nazionale.

La legge statale fissa, in via generale, i principi di organizzazione dei

servizi aziendalizzati, individuando nel dipartimento e nel distretto le due

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tipologie di riferimento e prevedendo l’istituzione in ciascuna azienda del

dipartimento di prevenzione17.

L’organizzazione dipartimentale costituisce il modello ordinario di gestione

operativa di tutte le attività delle Aziende Sanitarie, anche se non è definito

a livello statale cosa sia il dipartimento, lasciando spazio in tale ambito

all’autonomia regionale ed, a seconda dei contenuti di questa, a quella

aziendale.

La legge regionale disciplina l’articolazione dell’Azienda USL in distretti,

concepiti allo scopo di garantire un sistema di intervento in risposta ai

bisogni sanitari della popolazione, attraverso un’organizzazione funzionale

dell’azienda sul territorio, ed aventi un bacino d’utenza di almeno

sessantamila abitanti, salvo che la Regione disponga diversamente in

considerazione delle caratteristiche geomorfologiche del territorio o della

bassa densità della popolazione residente.

Il distretto, dunque, è l’organizzazione territoriale dell’Azienda USL, che

assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e

sociosanitarie.

Dotato di autonomia tecnica, gestionale ed economico-finanziaria, il

distretto è soggetto a rendicontazione analitica con contabilità separata

all’interno del bilancio aziendale, valuta i bisogni e definisce i servizi

necessari relativamente ai Livelli Essenziali di Assistenza distrettuale,

garantendo alla popolazione di riferimento l’accesso ai servizi ed alle

prestazioni sanitarie e sociosanitarie.

Il distretto racchiude in sé contemporaneamente la duplice anima di macro-

struttura aziendale e realtà fortemente legata alla comunità locale ed ai

17 “Libro Bianco sui principi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale”, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – LUISS “Guido Carli”, Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachel”, 2008

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luoghi di vita dei cittadini, si configura come un sistema che, a fronte di

aziende sanitarie sempre più ampie ed anche lontane dalla singola persona,

deve sapersi coordinare con gli enti locali per garantire programmi di

azione a forte integrazione sociosanitaria (Balduzzi, Moirano, 2011).

Le Regioni disciplinano l’organizzazione del distretto in modo da garantire

l’assistenza primaria e la continuità assistenziale, il coordinamento dei

medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture

operative a gestione diretta e l’erogazione delle prestazioni sanitarie a

rilevanza sociale connotate da specifica ed elevata integrazione, nonché

delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria, se delegate dai Comuni.

Il recente PSN 2011-2013 identifica nel distretto la chiave di volta del

cambiamento del sistema sanitario italiano in direzione non più

ospedalocentrica, ma focalizzato sul territorio e sull’assistenza primaria,

attribuendo al distretto il compito di garantire il coordinamento e

l’integrazione di tutte le attività sanitarie e socio-sanitarie a livello

territoriale, affidandogli, inoltre, i compiti di ricercare, promuovere e

realizzare opportune sinergie tra tutti i sistemi di offerta territoriale e di

fungere da strumento di coordinamento per il sistema delle cure primarie.

Il distretto è guidato da un Direttore di distretto, che realizza le indicazioni

della direzione aziendale, gestisce le risorse assegnate in modo da garantire

l’accesso della popolazione alle strutture ed ai servizi, l’integrazione tra i

servizi e la continuità assistenziale.

Il Direttore di distretto supporta la direzione generale nei rapporto con i

Sindaci del distretto, elabora la proposta di Programma delle attività

territoriali, che definisce gli obiettivi di salute a livello territoriale, si avvale

di un ufficio di coordinamento delle attività distrettuali, composto da

rappresentanti delle figure professionali operanti nei servizi distrettuali, ed è

individuato dal Direttore Generale tra i dirigenti dell’azienda che abbiano

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maturato una specifica esperienza nei servizi territoriali ed un’adeguata

formazione nella loro organizzazione o tra i medici convenzionati da

almeno dieci anni.

Il dipartimento di prevenzione è la struttura operativa dell’Azienda USL

istituita ed organizzata da ciascuna Regione allo scopo di garantire la tutela

della salute collettiva, perseguire obiettivi di promozione della salute, agire

per la prevenzione delle malattie e delle disabilità ed operare per il

miglioramento della qualità della vita.

Il dipartimento di prevenzione è preposto all’erogazione di prestazioni e

servizi relativi alla sanità pubblica, alla tutela della salute e della sicurezza

negli ambienti di vita e di lavoro e di sanità pubblica veterinaria, è dotato di

autonomia organizzativa e contabile, organizzato in centri di costo e di

responsabilità e soggetto a rendicontazione analitica e contabilità separata

all’interno del bilancio aziendale.

Al fine di adempiere alle sue funzioni, il dipartimento di prevenzione

promuove azioni volte ad individuare e rimuovere le cause di nocività e

malattia di origine ambientale, umana ed animale, mediante iniziative

coordinate con i distretti, con i dipartimenti dell’Azienda Sanitaria Locale e

delle Aziende Ospedaliere, prevedendo il coinvolgimento di operatori di

diverse discipline.

Il dipartimento di prevenzione, inoltre, partecipa alla formulazione del

programma delle attività dell’Azienda USL, formulando proposte

d’intervento nelle materie di competenza ed indicazioni in ordine alla loro

copertura finanziaria.

Gli ospedali che non hanno natura aziendale, infine, costituiscono i presidi

dell’Azienda Sanitaria Locale, attraverso i quali, insieme all’uso congiunto

e coordinato dei dipartimenti di prevenzione e dei distretti sanitari di base,

la stessa Azienda USL provvede all’erogazione dell’assistenza sanitaria.

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2. Il caso della Regione Calabria

2.1 L’istituzione del Servizio Sanitario Regionale

Il Servizio Sanitario Regionale in Calabria viene ufficialmente istituito con

la Legge Regionale n.18 del 2 Giugno 1980, attraverso la quale la Regione,

in osservanza dei principi sanciti dalla Costituzione e dalla L. 833/1978, si

impegna a tutelare la salute quale diritto fondamentale dell’individuo ed

interesse della collettività, nel rispetto della libertà, dignità ed uguaglianza

dei cittadini, senza distinzioni di condizioni individuali e sociali.

La Regione assicura, inoltre, l’integrazione ed il coordinamento dei servizi

socio-assistenziali con quelli sanitari.

Regione ed enti locali attuano il Servizio Sanitario Nazionale operando con

il metodo della programmazione pluriennale e della più ampia

partecipazione democratica18.

In base alla legge istitutiva del SSR, i Comuni, singoli o associati, e le

Comunità montane esercitavano le funzioni loro attribuite mediante

strutture operative denominate Unità Sanitarie Locali.

L'Unità Sanitaria Locale veniva definita come il complesso unificato dei

presidi, degli uffici e dei servizi che, in un determinato ambito territoriale,

assolve ai compiti del Servizio Sanitario Nazionale.

L'Unità Sanitaria Locale si articolava in settori che, in collegamento

funzionale tra di loro, organizzavano le attività di igiene ed ecologia, della

18 Secondo quanto previsto dall’art. 1 della L.R. n. 18/1980

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medicina diagnostica e terapeutica, del campo veterinario, dell’ambito

farmaceutico e del servizio sociale.

Sul territorio regionale vennero originariamente istituite trentuno Unità

Sanitarie Locali, i cui ambiti territoriali erano definiti dalla stessa L.R. n.

18/1980 e potevano essere eventualmente variati con legge regionale,

previo parere delle Provincie e sentiti i Comuni degli ambiti territoriali

interessati.

L'Unità Sanitaria Locale si configurava come struttura operativa del

Comune, della Comunità montana o dei Comuni associati, a seconda che il

suo ambito territoriale coincidesse con il territorio comunale, con il

territorio della comunità montana o che comprendesse il territorio di più

comuni. In quest’ultimo caso, veniva istituita per ciascun ambito territoriale

l’Associazione dei Comuni, alla cui assemblea generale prendevano parte i

rappresentanti dei singoli Comuni eletti dai rispettivi Consigli comunali e

che rimanevano in carica per il periodo corrispondente alla durata del

Consiglio comunale dal quale erano stati eletti.

Organi dell’Unità Sanitaria Locale, in base all’articolazione dettata dalla

Legge Regionale n. 18/1980, erano: l’assemblea generale, il Comitato di

gestione ed il Presidente del Comitato di gestione.

L'assemblea generale dell'USL era costituita dal Consiglio comunale, dal

Consiglio della Comunità montana o dall'assemblea generale

dell'associazione dei comuni, a seconda che l'ambito territoriale dell’USL

coincidesse con quello del Comune, con quello dell'Unità Sanitaria Locale

o con quello complessivo dei comuni associati.

I compiti dell’assemblea generale comprendevano: la determinazione della

sede dell’USL e la sua denominazione; l’elezione del comitato di gestione;

l’approvazione di bilanci preventivi e conti consuntivi, di piani e

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programmi relativi a più esercizi e di regolamenti; la suddivisione del

territorio in distretti sanitari di base; la deliberazione delle convenzioni nel

rispetto del Piano Sanitario Regionale e delle direttive statali e regionali in

materia; la determinazione della pianta organica del personale, una volta

sentite le organizzazioni sindacali.

L’assemblea generale eleggeva al suo interno ed a maggioranza assoluta dei

suoi membri il Presidente, al quale competeva la convocazione della stessa

almeno ogni novanta giorni o entro dieci giorni dalla richiesta di almeno un

quinto dei suoi membri.

Il Comitato di gestione era l'organo esecutivo dell’Unità Sanitaria Locale,

cui competeva l'adozione di tutti i provvedimenti amministrativi non

espressamente riservati alla competenza dell'assemblea generale.

I componenti del Comitato di gestione venivano eletti a maggioranza

assoluta dall’assemblea generale tra i suoi membri, con voto limitato ad un

solo nominativo e con la prevalenza, in caso di parità di voti, del più

anziano d’età.

Qualora si fosse resa necessaria la contemporanea sostituzione della

maggioranza assoluta dei membri del Comitato di gestione l'assemblea

generale avrebbe provveduto all'integrale rinnovo dello stesso.

L'assemblea generale, inoltre, doveva procedere, sempre attraverso

un’elezione a maggioranza assoluta dei suoi membri, al rinnovo del

Comitato di gestione qualora lo stesso avesse violato ripetutamente,

nonostante diffida, norme di legge e previsioni del Piano Sanitario

Nazionale o Regionale.

Competenza del Comitato di gestione, la cui deliberazione avveniva con

l'intervento della metà più uno dei suoi componenti ed a maggioranza di

voti, era la predisposizione di bilanci preventivi e conti consuntivi, di piani

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e programmi, della pianta organica del personale, dei regolamenti, delle

convenzioni e di tutti gli altri provvedimenti che per legge dovevano essere

sottoposti all'assemblea.

Il Comitato di gestione doveva compiere, inoltre, ogni altro atto di

amministrazione dell'Unità Sanitaria Locale ed assicurare l’efficienza della

gestione attenendosi alle direttive e seguendo i criteri fissati dai competenti

organi regionali.

Il Presidente del Comitato di gestione, nominato dal comitato stesso tra i

suoi membri, aveva la rappresentanza legale dell'Unità Sanitaria Locale,

convocava e presiedeva il Comitato di gestione e ne coordinava l' attività,

garantendone la conformità dell'operato alle direttive dell'assemblea

generale ed agli indirizzi della Regione, nonché avendo la responsabilità

dell’attuazione delle deliberazioni dell'assemblea e dello stesso Comitato di

gestione cui apparteneva.

In qualità di legale rappresentante dell’USL, il Presidente del Comitato di

gestione, inoltre, stipulava le convenzioni, rappresentava l'Unità Sanitaria

Locale di fronte a terzi ed in giudizio, firmava atti con rilevanza esterna in

materia di contratti, appalti, concorsi, gare, licitazioni per

l'approvvigionamento e l'acquisizione di beni e servizi necessari all’USL,

firmava i verbali delle riunioni, gli ordini di riscossione ed i mandati di

pagamento ed esercitava ogni altra funzione prevista da leggi e regolamenti.

In caso di assenza o impedimento, il Presidente del Comitato di gestione

veniva sostituito dal vice Presidente, nominato dal Comitato stesso con le

medesime modalità previste per la nomina del Presidente.

Secondo il dettato originario della L.R. n. 18/1980 l'assemblea generale, su

proposta del Comitato di gestione e sentiti i Comuni ed i Consigli

circoscrizionali interessati, articolava il territorio dell'Unità Sanitaria Locale

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in distretti sanitari di base tali da comprendere, in linea di massima, gruppi

di popolazione non inferiori a cinquemila e non superiori a quindicimila

abitanti.

I distretti sanitari di base, in qualità di articolazioni tecnico-funzionali per

l'erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento, dovevano

essere determinati nel rispetto di specifici criteri, quali: la presenza di

bisogni e di fasce di rischio per gruppi omogenei di popolazione; la facile

accessibilità e l’effettiva fruibilità dei servizi da parte degli utenti, anche in

relazione alle caratteristiche geomorfologiche del territorio; la coincidenza,

di norma, con i confini comunali; l'efficienza tecnico-funzionale dei

servizi19.

Al distretto competeva l’organizzazione delle attività sanitarie e sociali che

interessavano il cittadino in modo più comune e frequente e che dovevano

essere svolte con criteri di interdisciplinarità per garantire l’unitarietà e la

globalità degli interventi sull'individuo e sull'ambiente.

Per quanto concerne i controlli sulle Unità Sanitarie Locali, la L.R. n.

18/1980 prevedeva un controllo sugli atti delle USL esercitato dal Comitato

regionale di controllo, integrato da un esperto in materia sanitaria designato

dal Consiglio regionale.

La Regione, inoltre, svolgeva funzioni di indirizzo e di coordinamento nei

riguardi dell'attività delle USL, al fine di assicurare il raggiungimento degli

obiettivi del servizio sanitario ed in particolare per accertare la

corrispondenza tra la programmazione sanitaria regionale e l'attività

programmatoria dell'Unità Sanitaria Locale, nonché la congruenza tra costi

dei servizi e relativi benefici. A tal fine i progetti dei bilanci preventivi, dei

conti consuntivi e delle piante organiche, predisposti dal Comitato di

19 Criteri sanciti dall’art. 23 della L.R. n. 18 del 1980

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gestione, dovevano essere inviati alla Giunta regionale, la quale aveva il

compito di esprime il proprio parere, entro trenta giorni, in merito alla

rispondenza di tali atti al Piano Sanitario Regionale, dandone notizia al

Comitato di controllo.

Dalla medesima legge istitutiva del SSR erano previste, da parte della

Giunta regionale, forme di collaborazione tecnica e di supporto all'azione

degli organi delle Unità Sanitarie Locali, al fine di evitare squilibri di

gestione e di assicurare l'uniformità dei servizi sul territorio regionale. Per

conseguire tali obiettivi la Giunta regionale aveva la facoltà di chiedere alle

USL informazioni aggiuntive o notizie più precise e poteva proporre al

Consiglio regionale l'emanazione di indirizzi e direttive vincolanti.

Fin dall’istituzione del SSR veniva formalmente dato spazio alla

partecipazione ed all’informazione attraverso le previsioni del Titolo VI

della L.R. n. 18/1980, che assegnava all’assemblea generale delle Unità

Sanitarie Locali il compito di assicurare, particolarmente a livello di

distretto socio-sanitario, la partecipazione dei cittadini e delle forze sociali

al perseguimento delle finalità del Servizio Sanitario Nazionale,

coinvolgendo i Consigli circoscrizionali ed istituendo organismi consultivi

e di partecipazione ampiamente rappresentativi degli utenti e degli operatori

sanitari. Per la concreta attuazione di tali fini, gli strumenti e le modalità di

realizzazione delle forme e dei momenti partecipativi e di consultazione

dovevano essere previsti in appositi regolamenti approvati dalle singole

assemblee generali delle Unità Sanitarie Locali.

Tutti i cittadini residenti nel territorio dell'USL potevano prendere visione

dei provvedimenti di interesse generale dell'USL ed ottenerne copia, previo

rimborso delle pure spese di riproduzione, al fine di formulare osservazioni

e proposte.

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Un importante passo avanti nell’ambito dell’organizzazione dei servizi

delle Unità Sanitarie Locali in Calabria è stato fatto con la L.R. n. 18 del

1981, in base alla quale le USL dovevano organizzare i propri servizi nel

rispetto dei principi di razionalizzazione del sistema erogativo delle

prestazioni socio-sanitarie, attraverso la flessibilità dell'organizzazione e

dei criteri d'impiego delle risorse umane e finanziarie, al fine di perseguire

il massimo di efficienza e di economicità nella gestione, e di integrazione

dei servizi dell'USL, attraverso l'adozione di moduli di lavoro improntati

alla collegialità, alla professionalità, all’interdisciplinarietà ed alla

partecipazione responsabile nell'organizzazione e nell’erogazione delle

prestazioni.

Altri importanti criteri di organizzazione dei servizi dell’USL, sanciti dalla

medesima legge, erano: la rivalutazione del ruolo del personale

convenzionato, indispensabile per assicurare le prestazioni di medicina di

base, la cui valorizzazione è necessaria per garantire efficienza all'attività

esercitata e per la realizzazione delle finalità cui l'attività è coordinata;

l’adozione dell'organizzazione dipartimentale dei servizi; la mobilità del

personale, nel rispetto della professionalità, anche al fine di garantire, ove

necessario, l'assistenza nel domicilio dei bisognosi; il libero accesso di tutte

le unità operative al sistema informativo; l’utilizzo di tutte le strutture da

parte di tutti i servizi dell'USL.

L'organizzazione territoriale dei servizi si articolava secondo tre aree:

distrettuale, che coincideva con il distretto di base, individuato

dall'assemblea generale dell'USL; zonale, che coincideva con l'intero

ambito dell'USL; interzonale, che coincideva con gli ambiti territoriali di

due o più USL, per l'organizzazione dei servizi multizonali.

L'Unità Sanitaria Locale si presentava, da un punto di vista organizzativo,

come complesso unificato dei servizi e dei presidi che nell'ambito

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territoriale avevano il dovere di assolvere ai compiti assegnati dal Servizio

Sanitario Nazionale.

Il servizio veniva inteso come il complesso delle attività omogenee

aggregate in autonomia tecnica e funzionale e si articolava, a seconda del

tipo di prestazione e di attività, in uffici ed unità operative.

I servizi erano tra loro collegati funzionalmente e si distinguevano in

amministrativi e sanitari: i servizi amministrativi si articolavano in uffici,

ovvero unità amministrative a competenza specifica; i servizi sanitari si

articolavano in unità operative finalizzate all’espletamento di specifiche

attività professionali.

Il presidio si configurava quale struttura funzionale dell'USL per

l'assolvimento, in ambito territoriale, di specifiche funzioni e la cui

strutturazione e localizzazione veniva identificata dal Piano Sanitario

Regionale e dalle USL, ciascuno per le proprie competenze.

Nell'ambito del presidio le unità operative potevano aggregarsi,

funzionalmente ed operativamente, in dipartimenti.

L’Unità Sanitaria Locale, inoltre, aveva il compito di organizzare

l'erogazione integrata delle prestazioni sanitarie e sociali di base per aree

distrettuali.

La struttura del distretto di base comprendeva operatori sanitari e sociali,

dipendenti o convenzionati, che dovevano privilegiare nella loro attività le

modalità del lavoro di gruppo, in rapporto alle prestazioni ed alle

professionalità richieste, in base alle indicazioni dei programmi dell'USL,

che tenevano conto della realtà geomorfologica, antropologica e socio-

economica di ciascun distretto, ed uno o più operatori amministrativi,

addetti allo svolgimento delle attività amministrative ed esecutive.

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Al distretto era preposto un responsabile sanitario, al fine di assicurare il

collegamento organizzativo tra operatori e con i servizi dell'USL, il quale

provvedeva anche agli accertamenti sanitari ed alle certificazioni e faceva

capo, sotto il profilo organizzativo, ai servizi dell'USL.

Le prestazioni specialistiche venivano erogate da operatori dipendenti o

convenzionati, sia a domicilio che in ambulatorio.

I presidi specialistici ambulatoriali servivano di norma più distretti, in

rapporto alle esigenze del territorio, e dovevano fungere, secondo la

previsione del legislatore regionale, da filtro al ricovero ospedaliero e da

ente di protezione nei confronti dei dimessi.

I presidi ospedalieri, la cui localizzazione ed articolazione funzionale

andava stabilita dal Piano Sanitario Regionale, dovevano svolgere

un’attività integrata con quella extraospedaliera e servire, per le funzioni di

base, la popolazione dell'intero ambito territoriale dell'USL.

Per quanto concerne l’amministrazione del patrimonio e la contabilità delle

USL, nella Regione Calabria venne approvata una specifica legge, la L.R.

n. 21 del 1981, che disciplinava proprio la contabilità, l'utilizzazione e la

gestione del patrimonio delle Unità Sanitarie Locali, nel rispetto dei

principi fondamentali della contabilità pubblica previsti dalla legislazione

nazionale e regionale vigente.

La gestione delle USL doveva fondarsi sul principio della corrispondenza

tra i costi dei servizi ed i relativi benefici, entro rigorosi limiti di spesa

predeterminati.

La Giunta regionale determinava i criteri e le modalità per la rilevazione e

la trasmissione dei dati ed aveva il compito di promuovere opportune

iniziative tese alla realizzazione di un sistema informativo unificato, sia ai

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fini dell'analisi dei costi e dei benefici dei servizi erogati dall’USL, che alla

standardizzazione e comparazione dei dati a livello nazionale e regionale.

Le Unità Sanitarie Locali, dal canto loro, erano tenute a trasmettere alla

Regione tutte le informazioni richieste ed a fornirsi reciprocamente tra loro,

dietro esplicita richiesta, ogni notizia utile allo svolgimento delle proprie

funzioni in campo amministrativo e contabile, nonché ad utilizzare in

comune i propri sistemi informativi, previo accordo sulle relative modalità,

ed a favorire ogni altra forma di collaborazione nell'interesse reciproco e

generale.

Gli strumenti contabili previsti erano: il bilancio pluriennale, il bilancio di

previsione annuale ed il rendiconto generale delle USL. I tre strumenti

finanziari dovevano assicurare il collegamento tra il bilancio delle USL ed

il Piano Sanitario Regionale, nell'ambito degli obiettivi generali del

programma regionale di sviluppo.

Per quanto concerne gli organi dell’Unità Sanitaria Locale, la legge

istitutiva del SSR venne modificata dalla L.R. n. 23 del 1984, che

introdusse il Collegio dei revisori, quale organo deputato alla vigilanza sulla

gestione del bilancio dell’USL e sulla regolarità dell’attività amministrativa

e contabile, composto da tre membri designati uno ciascuno da Ministero

del tesoro, Consiglio regionale ed assemblea generale dell’USL tra le

persone in possesso di una particolare e comprovata esperienza

amministrativa nel settore della contabilità e della finanza pubblica.

Il Collegio dei revisori aveva, in particolare, tra i suoi compiti quelli di:

esprimere il parere sul bilancio di previsione e redigere la relazione da

allegarvi; esaminare il conto consuntivo e predisporre la relazione da

allegarvi; accertare la regolarità delle scritture e delle operazioni contabili;

effettuare riscontri trimestrali sulla consistenza di cassa ed almeno

annualmente sull’esistenza di valori e titoli in proprietà, deposito, cauzione

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o custodia; sottoscrivere i rendiconti trimestrali e redigere la relazione

trimestrale sulla gestione amministrativa-contabile dell’USL, da trasmettere

alla Giunta regionale ed ai Ministeri della Sanità e del Tesoro.

Al Comitato di gestione dell’USL, inoltre, veniva assegnato il compito di

assicurare al Collegio dei revisori l’assistenza tecnica ed organizzativa

necessaria per l’espletamento dei propri compiti.

L’assemblea generale venne soppressa con L.R. n. 38 del 1986 e le sue

funzioni assegnate, a seconda dei casi, al Consiglio comunale del singolo

Comune, all’assemblea dell’Associazione dei Comuni o al Consiglio della

Comunità montana, ai quali venne affidato il compito di deliberare, su

proposta del Comitato di gestione, in materia di: bilancio preventivo, suo

assestamento e conto consuntivo; spese vincolanti il bilancio per un periodo

superiore all’anno; adozione complessiva delle piante organiche;

convenzioni; articolazione dei distretti sanitari di base.

Fin dal 1990, con la L.R. n. 18/1990, la Regione Calabria emanò norme per

l’esercizio delle funzioni in materia farmaceutica e di vigilanza sulle

farmacie, stabilendo che ogni Comune dovesse avere la propria pianta

organica delle farmacie, nella quale fosse determinato il numero delle sedi

farmaceutiche, il perimetro di ciascuna di esse e l’ubicazione di ogni

farmacia.

L’attività ispettiva di vigilanza e di controllo sulle farmacie, di cui fossero

titolari enti pubblici o i privati, doveva essere esercitata dal servizio

farmaceutico dell’USL, intendendosi sostituito al medico provinciale il

responsabile del servizio stesso.

Allo scopo di razionalizzare e qualificare l’uso del farmaco, la Regione

stabilì che fosse il Comitato di gestione dell’USL a disciplinare le modalità

di approvvigionamento delle preparazioni farmaceutiche da impiegare nei

propri ospedali, presidi e strutture; vietò, inoltre, agli ospedali, agli

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ambulatori ed a tutti gli altri presidi e servizi dell’Unità Sanitaria Locale di

distribuire direttamente agli assistiti del SSN medicinali, fatte salve le

eccezioni previste dalle disposizioni legislative vigenti.

Una fase importante nel processo di evoluzione del Servizio Sanitario

Regionale fu quella sancita dalla L.R. n. 3 del 1992, che segnò il passaggio

da trentuno USL ad undici Unità Socio Sanitarie Locali e l’aggiornamento

dei servizi amministrativi, sanitari e sociali erogati dall’USSL per meglio

rispondere all’evoluzione medico-sanitaria avutasi nel corso degli anni e più

in generale ai bisogni emergenti della collettività.

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2.2 Il primo Piano Sanitario Regionale

In seguito all’emanazione del D.Lgs. n. 502/1992 e successive

modificazioni ed integrazioni, la Regione Calabria, con L.R. n. 26/1994,

confermò gli ambiti territoriali e le sedi delle undici Unità Sanitarie Locali

precedentemente definite e stabilì, con decreto del Presidente della Giunta

regionale, la costituzione in Azienda Ospedaliera con personalità giuridica

pubblica ed autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale,

contabile, gestionale e tecnica dei complessi ospedalieri di Catanzaro,

Cosenza e Reggio Calabria, individuati con decreto del Presidente del

Consiglio dei Ministri. Con la medesima legge, la Regione stabilì che i

direttori generali delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere

venissero nominati con decreto del Presidente della Giunta regionale, con le

modalità e le procedure previste dalle vigenti disposizioni di legge, sulla

base dei criteri definiti dal Consiglio regionale.

Il primo Piano Sanitario Regionale venne approvato in Calabria con la L.R.

n. 9/1995 per il triennio 1995-1997 ed era finalizzato a realizzare, attraverso

i momenti coordinati ed integrati della prevenzione, della cura e della

riabilitazione, la tutela della salute dei cittadini, in maniera qualitativamente

appropriata, basandosi sul pieno rispetto della dignità della persona ed

adottando criteri di efficienza, produttività ed economicità idonei a

realizzare un corretto rapporto tra costo dei servizi e relativi benefici.

Per realizzare tali fini il PSR indicava le modalità di riorganizzazione e

coordinamento dei servizi sanitari in modo da pervenire alla progressiva

eliminazione degli squilibri territoriali e strutturali esistenti e perseguiva le

sue finalità avvalendosi delle strutture sanitarie pubbliche e private

rispondenti ai requisiti richiesti dalla normativa nazionale e regionale.

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Le Unità Sanitarie Locali dovevano articolarsi territorialmente in distretti

sanitari e, nell’ambito di ciascun distretto, in poli sanitari territoriali, in

conformità ai criteri appositamente fissati dal Piano stesso.

Obiettivi sostanziali del PSR 1995-1997 erano: l'adeguamento

dell'assistenza sanitaria di diagnosi e cura di base, generica e pediatrica,

specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica ai bisogni della

popolazione; la razionalizzazione e l'equilibrata distribuzione delle

prestazioni sanitarie sul territorio regionale con riferimento ai livelli

uniformi di assistenza sanitaria definiti dal Piano Sanitario Nazionale; lo

sviluppo e l'organizzazione delle attività di prevenzione, cura,

riabilitazione ed integrazione sociale dei soggetti portatori di handicap per

disabilità fisiche, psichiche e sensoriali, individuando anche iniziative

specifiche e coordinando gli interventi previsti dal PSR; l'incremento

dell'attività di prevenzione delle malattie e degli infortuni per mezzo della

profilassi degli eventi morbosi e l'indicazione delle misure idonee ad

eliminare i fattori di nocività, pericolosità e deterioramento negli ambienti

di vita e di lavoro e ad assicurare l'igiene degli alimenti, delle bevande e dei

prodotti di origine animale; il coordinamento delle politiche di intervento

tra i settori sociale e sanitario; la formazione di una moderna coscienza

sanitaria per mezzo di azioni di educazione sanitaria dei singoli e della

collettività.

Il primo PSR individuava, inoltre, per il periodo della sua durata, gli

obiettivi strumentali in materia di organizzazione e funzionamento delle

strutture sanitarie prevedendo, in conformità agli indirizzi ed alle

indicazioni desumibili dalla normativa nazionale, i criteri generali per:

l'articolazione delle USL in distretti sanitari ed in poli sanitari territoriali,

nonché la localizzazione, l'ambito territoriale di riferimento, il

dimensionamento e la riorganizzazione delle attività dei servizi specialistici

ambulatoriali, ospedalieri ed extraospedalieri, anche multizonali, esistenti o

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da istituire nel quadro del riequilibrio delle dotazioni sanitarie; il

fabbisogno quantitativo e qualitativo di personale, in relazione ai servizi ed

ai presidi pubblici, ed il conseguente adeguamento degli organici, tenuto

anche conto di una corretta applicazione della disciplina delle compatibilità

e della mobilità sulla base oggettiva dei servizi effettivi da coprire; il

fabbisogno di attrezzature per il potenziamento e l'ammodernamento dei

servizi pubblici; la formazione e l'aggiornamento del personale addetto al

SSR, con particolare riferimento alle funzioni tecnico - professionali,

organizzative e gestionali; l'adeguamento, mediante sistemi informatici,

degli strumenti di rilevazione dei dati epidemiologici, statistici e finanziari,

necessari alle esigenze conoscitive, di valutazione e di controllo della

Regione, anche ai fini dei conseguenti indirizzi gestionali per le Unità

Sanitarie Locali e per le Aziende Ospedaliere; la definizione e la

localizzazione del fabbisogno di prestazioni professionali convenzionate per

la medicina generale e per la pediatria di libera scelta, per i servizi

specialistici nei poliambulatori intra ed extraospedalieri e per le attività

specialistiche di ricovero, cura e riabilitazione presso strutture private,

secondo le reali necessità ed in relazione alla qualità dei servizi offerti; la

partecipazione del volontariato ed il coordinamento delle attività che esso è

ammesso a svolgere nei presidi e nei servizi pubblici territoriali; la

partecipazione dei cittadini alla verifica della qualità dell'assistenza

sanitaria.

Le Unità Sanitarie Locali erano tenute ad attivare prioritariamente i distretti

sanitari e la rete dei poli sanitari territoriali, il servizio regionale per

l’emergenza sanitaria, i dipartimenti di prevenzione ed il sistema

informativo sanitario.

Già in tale Piano venivano avvertite come prioritarie le esigenze di:

ristrutturazione, razionalizzazione e riqualificazione della rete ospedaliera;

avvio della rete ambulatoriale specialistica, intra ed extraospedaliera, anche

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al fine di contenere i ricoveri nei limiti delle esigenze diagnostiche e

curative; attivazione e potenziamento dei servizi riabilitativi; avviamento e

consolidamento delle attività di formazione ed aggiornamento

professionale; uniformazione degli interventi e dell’organizzazione;

ristrutturazione e riqualificazione dei servizi ai progetti obiettivo avviati

dalla Regione.

Il Piano approvato aveva efficacia di indirizzo, di prescrizione e di vincolo

per tutti gli interventi in materia sanitaria nell'ambito regionale. Esso era

valido per il triennio 1995-1997 ed in ogni caso fino a che non fosse stato

approvato un nuovo Piano.

La Regione si impegnava, attraverso l’approvazione dello stesso, ad

uniformare al Piano Sanitario Regionale la propria attività legislativa,

regolamentare ed amministrativa nel settore sanitario, nonché la propria

funzione di indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli enti

locali.

Ai contenuti ed agli indirizzi del Piano dovevano uniformarsi anche le

Unità Sanitarie Locali, le Aziende Ospedaliere, le Province, i Comuni,

singoli o associati, e le Comunità montane nell'esercizio delle loro

funzioni.

La funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative e

sanitarie delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere, con

particolare riferimento all’attuazione del PSR, era affidata alla Giunta

regionale, che doveva esercitarla in conformità ai criteri fissati dal Piano

stesso ed agli atti della programmazione sanitaria nazionale, nel quadro

delle attribuzioni conferite alla Regione. Per l'esercizio di tale funzione

veniva istituito, con delibera della Giunta regionale, un apposito

Osservatorio Sanitario con compiti di monitoraggio del PSR e di supporto

tecnico nei confronti del Consiglio regionale, della Giunta regionale e

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dell'Assessore regionale alla sanità, per l'esercizio delle funzioni loro

conferite.

Particolare importante della L.R. 9/1995 è la disposizione contenuta

nell’art.9, in base alla quale dall’entrata in vigore di tale legge le Unità

Sanitarie Locali assumono la denominazione di Aziende Sanitarie Locali ed

i presidi ospedalieri costituiti in aziende quella di Aziende Ospedaliere.

Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore di tale legge, inoltre, le

AUSL e le AO dovevano adottare e trasmettere alla Giunta regionale i

propri piani attuativi, redatti in conformità ai contenuti del PSR.

I piani attuativi, in particolare, dovevano individuare gli obiettivi locali e

particolari per una gestione unitaria e di utilizzazione delle risorse coerente

con le funzionalità del PSR, indicando, tra l’altro: le iniziative finalizzate

alla riqualificazione della spesa, con particolare riguardo all’organizzazione

del lavoro nei poli sanitari territoriali, al fine di rispondere alle esigenze

degli assistiti e di ottenere la piena utilizzazione e la massima produttività

dei servizi; gli interventi innovativi e quelli di riequilibrio e riconversione

della rete dei servizi sanitari, prevedendo prioritariamente l’utilizzazione

ottimale delle strutture esistenti, da riconvertire o ancora non attivate, con

destinazione preferibilmente a residenze sanitarie assistenziali; le iniziative

volte a raggiungere, a parità di costo, il miglioramento della qualità e

dell’efficienza dei servizi e delle prestazioni.

I piani attuativi dovevano, inoltre, definire tempi e modalità per la

realizzazione degli interventi e delle iniziative programmate, con

l'indicazione dell'ordine di priorità e delle conseguenti necessità finanziarie

e di spesa.

La L.R. n. 9/1995 assegnava all’Assessore regionale alla Sanità la vigilanza

sulla regolare e puntuale attuazione del PSR da parte delle AUSL e delle

AO ed individuava nella formazione e nell’aggiornamento del personale un

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obiettivo da perseguire in sede regionale e locale, al fine di far progredire il

livello di preparazione, il coinvolgimento professionale e la propensione ad

assumere responsabilità da parte di tutto il personale dipendente del SSR.

Il Piano Sanitario Regionale 1995-1997 era costituito, nello specifico, da

ventitre allegati, tra i quali in primis i documenti relativi alla

riorganizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale, alla rideterminazione

della rete ospedaliera ed al rilevamento numerico preciso dei posti letto

effettivi e dei ricoveri nei presidi ospedalieri pubblici e privati

convenzionati per disciplina.

Dopo una generale disamina su definizione, ruolo e funzioni del distretto

sanitario e del polo sanitario territoriale nell’ambito delle Aziende USL, il

PSR 1995-1997 fissava gli standard di riferimento ed i parametri ai quali le

AUSL dovevano attenersi nei loro piani attuativi per definire il numero dei

distretti sanitari e dei poli sanitari territoriali, nonché i servizi e le

prestazioni da assicurare alla popolazione.

Nel documento relativo alla rideterminazione della rete ospedaliera, invece,

dopo aver riportato gli standard ospedalieri desunti dalle disposizioni

normative nazionali al tempo vigenti veniva sancito il dovere per i piani

attuativi delle AUSL e delle AO di prevedere: la ristrutturazione delle

degenze ospedaliere in aree funzionali omogenee afferenti alle attività di

medicina, di chirurgia e di specialità, da dimensionare in rapporto alle

esigenze assistenziali; la soppressione, l'accorpamento e la trasformazione

delle divisioni o sezioni autonome che non raggiungessero il tasso ottimale

di utilizzazione dei posti letto; la promozione di una migliore e più umana

qualità della vita dei degenti negli ospedali.

Gli spazi risultanti liberi dalle soppressioni di divisioni o sezioni autonome

con tasso di utilizzazione dei posti letto mediamente inferiori al

settantacinque per cento dovevano essere destinati a: specifiche sezioni di

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degenza per la riabilitazione di malati lungodegenti e ad alto rischio

invalidante; attività di day hospital; esercizio delle attività libero -

professionali in sede ospedaliera dei medici a tempo pieno; miglioramento

della ricettività alberghiera, anche per servizi da rendere a pagamento.

La riorganizzazione dei servizi ospedalieri, accompagnata dalla

rideterminazione del personale da impiegare, doveva consentire, secondo le

previsioni del Piano, il potenziamento delle attività diagnostiche e di

accertamento strumentale almeno su due turni giornalieri, l'utilizzo delle

grandi attrezzature diagnostiche e terapeutiche per un minimo di dodici ore

giornaliere, l'attivazione delle camere operatorie per non meno di cinque

giorni la settimana ed all’occorrenza la turnazione antimeridiana e

pomeridiana, con conseguente e documentabile riduzione ad un massimo di

quindici giorni dei periodi di attesa e la contrazione della durata media

delle degenze.

Tali previsioni, di per sé poco stringenti e passibili di ulteriori correzioni

efficientiste, lasciano immaginare quale fosse la situazione antecedente

l’approvazione del Piano, il quale stabiliva, inoltre, che le strutture che non

rispettavano gli standard fissati andavano parzialmente disattivate, qualora

fosse possibile con questa misura ricondurre il livello di produttività entro i

valori parametrali prescritti, oppure totalmente disattivate e concentrate in

un solo presidio ospedaliero, qualora presentassero valori di utilizzazione

talmente bassi da pregiudicare non solo la conduzione economica, ma anche

la stessa funzionalità sanitaria per i cittadini.

Visti i provvedimenti legislativi citati e le fasi di sviluppo del Servizio

Sanitario Regionale, è possibile affermare che l’assetto sanitario della

Regione Calabria è stato caratterizzato da un forte ritardo nell’attuazione

degli obiettivi di riordino del Servizio Sanitario Nazionale, come

configurati dal D.Lgs. n. 502/1992 e successive modificazioni, per motivi in

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larga misura riconducibili alle perduranti inadempienze della Regione

nell’adozione ed attuazione della programmazione (Griglio, 2005).

Ai problemi legati all’inerzia nell’adozione di strumenti programmatici

adeguati si è aggiunto il problema dell’inadempienza nell’attuazione dei

criteri di riorganizzazione del settore, per cui le stesse disposizioni

contenute nel PSR 1995-1997 sono rimaste previsioni di facciata prive di un

reale impatto sul sistema.

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2.3 Il riordino del SSR

Con la Legge Regionale n. 2 del 1996, abrogativa delle precedenti

eventualmente in contrasto con quanto da essa stabilito ed in particolare

anche delle leggi regionali n. 18/1980, n. 18/1981, n. 23/1984 ed art. 2-7

della L.R. n. 3/1992, ha avuto inizio il riordino del Servizio Sanitario

Regionale, con la finalità di assicurare ai cittadini livelli uniformi di

assistenza sanitaria, in rapporto alle risorse a disposizione nell’ambito

territoriale regionale.

Viene sancita la garanzia da parte del Servizio Sanitario Regionale della

partecipazione dei cittadini, degli organismi di volontariato e di tutela dei

diritti e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, per

mezzo dell’attivazione di modalità di informazione reciproca e preventiva,

volta ad individuare esigenze e bisogni degli utenti ed eventuali disservizi o

carenze strutturali.

Si sottolinea come alle finalità del SSR concorrano i Comuni, le Comunità

montane, le Province, nonché le strutture sanitarie pubbliche e private,

compresi gli ospedali militari ed i professionisti.

La Regione ha compiti di legislazione, programmazione, indirizzo e

coordinamento delle Aziende Sanitarie e delle Aziende Ospedaliere, le

supporta e le controlla nelle loro attività e governa i rapporti fra Aziende

Sanitarie, Aziende Ospedaliere, strutture sanitarie pubbliche e private e

professionisti, attraverso gli strumenti, le procedure ed i vincoli della

programmazione sanitaria regionale.

Operativamente è la Giunta regionale che: predispone il Piano Sanitario

Regionale e determina gli indirizzi in materia di tutela della salute; assegna

la rispettiva quota parte di fondo sanitario regionale alle Aziende Sanitarie

ed alle Aziende Ospedaliere, sulla base di criteri e parametri di natura

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epidemiologica, demografica e gestionale, stabiliti dal PSR con l'obiettivo

di superare gli squilibri esistenti nelle diverse aree del territorio; esercita le

attività di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private.

Il Presidente della Giunta regionale, inoltre, ha il diritto-dovere di adottare i

provvedimenti urgenti in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia

veterinaria, che interessino il territorio della Regione o una parte di esso

comprendente più Comuni.

La legge regionale di riordino del SSR per quanto concerne

l’organizzazione delle Aziende Sanitarie e delle Aziende Ospedaliere

stabilisce che: a ciascuna struttura ed unità operativa devono essere

assegnati compiti, obiettivi e strumenti coerenti fra loro e rispondenti a

logiche di organicità ed omogeneità; per ciascun livello organizzativo deve

essere individuato un unico ufficio di livello dirigenziale, dal quale

dipendono tutti gli operatori assegnati alle strutture o unità operative del

medesimo livello organizzativo ed all'interno di detto ufficio devono

prevedersi ulteriori articolazioni con un ambito di responsabilità definita di

livello inferiore; ciascuna struttura ed unità operativa deve essere

individuata come centro di attività e di costo ed in quanto tale deve essere

assegnataria sia di specifici obiettivi in termini quantitativi e qualitativi, sia

di un definito budget e del raggiungimento degli obiettivi, nel rispetto del

budget, risponde il responsabile della struttura o unità operativa; devono

essere previsti meccanismi volti ad assicurare il coordinamento tra strutture

ed unità operative che, pur operando nell'ambito della propria autonomia,

devono agire in maniera necessariamente integrata; l’organizzazione delle

funzioni amministrative deve avvenire a livello centrale di azienda ed a

livello di distretto e presidio ospedaliero non costituito in azienda; le

funzioni sanitarie devono essere organizzate in dipartimenti e per aree

omogenee su base aziendale; si deve provvedere all’organizzazione

dipartimentale delle funzioni socio-assistenziali e socio-sanitarie svolte a

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livello distrettuale, su base aziendale; l’organizzazione dei presidi

ospedalieri deve essere anch’essa per dipartimenti.

All’Azienda Sanitaria Locale vengono assegnate funzioni di prevenzione,

cura e riabilitazione. Essa deve adottare per la propria organizzazione il

modello dipartimentale, deve ripartirsi in distretti socio-sanitari e poli

territoriali. In collaborazione con i Comuni, a carico dei quali sono poste le

attività di assistenza sociale, e con le Provincie, l’AUSL deve assicurare

l'integrazione funzionale ed operativa delle attività sanitarie con quelle di

assistenza sociale, in conformità alle indicazioni del Piano Sanitario e di

quello socio-assistenziale.

Spetta al Direttore generale, nominato dal Presidente della Giunta regionale

previa delibera della Giunta stessa ed in conformità ai criteri fissati dal

Consiglio regionale, assicurare, attraverso le aree dipartimentali ed in

condizioni di uniformità e di efficienza sul territorio dell'azienda, i livelli

uniformi di assistenza stabiliti dal PSN e dal PSR.

A tal fine al Direttore generale vengono assegnati tutti i poteri di gestione,

la rappresentanza dell'Azienda Sanitaria o dell'Azienda Ospedaliera ed egli

è responsabile verso la Regione del raggiungimento degli obiettivi di

politica sanitaria previsti dal Piano Sanitario Regionale ed in particolare

della corretta ed economica gestione delle risorse a disposizione

dell'azienda.

Il Direttore generale è coadiuvato nell’esercizio delle sue funzioni dal

Direttore sanitario, dal Direttore amministrativo e, nel caso in cui l’Azienda

Sanitaria assuma la gestione di attività o servizi sociali su delega dei singoli

enti locali, dal coordinatore dei servizi sociali. Il Direttore generale si

avvale, inoltre, della collaborazione del Consiglio dei sanitari, quale organo

di consulenza tecnico-sanitaria, e del servizio di controllo interno, o nucleo

di valutazione.

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La medesima legge regionale di riordino si preoccupa di definire il presidio

ospedaliero non costituito in azienda come struttura tecnico funzionale,

mediante la quale l'Azienda Sanitaria assicura l'assistenza ospedaliera in

modo unitario ed integrato sulla base dei principi di programmazione

stabiliti dal Piano Sanitario Regionale.

Al presidio ospedaliero è attribuita autonomia economico-finanziaria con

contabilità separata all'interno del bilancio dell'Azienda Sanitaria, fondata

sul principio dei preventivi e consuntivi per centri di costo, basati sulle

prestazioni effettuate.

I presidi ospedalieri dell'Azienda Sanitaria sono raggruppati in un'unica

area dipartimentale dell'assistenza ospedaliera e, nell'ambito dell'autonomia

economico- finanziaria, a ciascun dipartimento è assegnato un budget, la

cui gestione spetta al dirigente del dipartimento stesso.

Nell'Azienda Sanitaria e nell'Azienda Ospedaliera deve essere garantita

l'attività poliambulatoriale che assicuri l'erogazione di prestazioni

specialistiche, sia in ambito dipartimentale ospedaliero che dipartimentale

territoriale.

Il Collegio dei revisori deve vigilare sull'osservanza delle leggi, verificare

la regolare tenuta della contabilità e la corrispondenza del rendiconto

generale alle risultanze delle scritture contabili, esaminare il bilancio di

previsione, le relative variazioni e l’assestamento.

Al fine di esprimere il bisogno socio-sanitario delle comunità locali e di

corrispondere alle esigenze sanitarie della popolazione, viene costituita la

Conferenza dei sindaci dei Comuni compresi nell'ambito territoriale di

ciascuna Azienda Sanitaria. A tale Conferenza vengono assegnate le

funzioni di: definire, nell'ambito della programmazione regionale, le linee

di indirizzo per l'impostazione programmatica dell'attività delle Aziende

Sanitarie; esaminare il bilancio pluriennale di previsione ed il bilancio di

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esercizio, rimettendo alla Giunta regionale le relative osservazioni;

verificare l'andamento generale dell'attività e contribuire alla definizione

dei piani programmatici, trasmettendo le proprie valutazioni e proposte al

Direttore generale ed alla Giunta regionale; definire i criteri e le modalità

per l'affidamento alle aziende dei servizi sociali.

Per quanto concerne il controllo sugli atti delle Aziende Sanitarie ed

Ospedaliere, la L.R. n. 2/1996 stabilisce che vanno sottoposti a controllo

preventivo della Giunta regionale: il bilancio pluriennale di previsione, il

bilancio preventivo economico annuale ed il bilancio consuntivo di

esercizio; la determinazione complessiva della pianta organica del

personale e le sue variazioni; i provvedimenti a contenuto generale che

disciplinano l'attuazione dei contratti e delle convenzioni, con esclusione

dei provvedimenti di attribuzione del trattamento giuridico ed economico in

esecuzione dei contratti nazionali di lavoro, ad eccezione dei provvedimenti

che comportino modifiche di posizione funzionale e di livello economico o

che attribuiscano mansioni superiori; i regolamenti di organizzazione.

Si sottolinea nella medesima legge il divieto in ogni caso per le Aziende

Sanitarie ed Ospedaliere di ricorrere a forme di indebitamento, fatte salve

unicamente le eccezioni normativamente previste, ovvero un ricorso al

credito consentito solo nelle forme dell’anticipazione di tesoreria per il

credito a breve termine e del mutuo o delle forme similari di indebitamento

per il credito a medio - lungo termine esclusivamente per il finanziamento

di spese di investimento e previa autorizzazione della Regione.

Sempre attraverso la legge di riordino del SSR è istituito in ciascuna

Azienda Sanitaria il dipartimento di prevenzione, quale struttura tecnico-

operativa dell’Azienda Sanitaria preposta a garantire l’attività di

prevenzione, caratterizzata da autonomia gestionale ed economico-

finanziaria ed assegnataria di un budget gestito dal dirigente del

dipartimento.

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I dipartimenti di prevenzione afferiscono alle Aziende Sanitarie e devono

essere organizzati in modo da garantire: interventi unitari in rapporto alle

esigenze del territorio; il decentramento nell'erogazione delle prestazioni, in

base a specifiche criticità territoriali per i diversi fattori di rischio

concernenti la salute pubblica; l'utilizzo flessibile delle risorse finanziarie,

del personale e delle attrezzature, tenendo conto del rapporto ottimale fra la

domanda di prestazioni e l’offerta di servizi.

Il riordino della normativa in materia di finanziamento, programmazione,

contabilità, patrimonio, contratti e controllo delle Aziende Sanitarie e delle

Aziende Ospedaliere è affidato ad un’apposita legge, la L.R. n. 43 del 1996,

che stabilisce innanzitutto i criteri di gestione, sottolineando come l’attività

di gestione delle aziende debba essere informata a criteri di

programmazione coerenti con le linee guida dettate dal PSR e che, per lo

svolgimento della loro attività gestionale, le aziende devono avvalersi di un

insieme coordinato di strumenti preordinati alle scelte, secondo criteri di

efficienza, efficacia ed economicità.

Le aziende devono fornire alla Regione tutte le informazioni ritenute da

questa utili per la definizione dei criteri di programmazione e di

pianificazione e favorirne il sistematico aggiornamento.

Le risorse disponibili per il finanziamento delle Aziende Sanitarie vengono

stabilite annualmente dalla Giunta Regionale con riferimento ai livelli

uniformi di assistenza sanitaria e l’impiego delle risorse da parte delle

aziende è vincolato al rispetto da parte delle stesse dei parametri fissati dal

PSN.

Nella legge si puntualizza come l’azienda possa sì assumere la gestione di

attività o servizi socio-assistenziali su delega dei singoli enti locali, ma con

oneri a totale carico degli enti deleganti e con contabilità separata.

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Le scelte di programmazione delle aziende devono basarsi sul Piano

Sanitario Nazionale, sul Piano Sanitario Regionale e sugli altri atti di

programmazione adottati dalla Regione. Le scelte di programmazione si

effettuano, in particolare, attraverso un insieme coordinato di piani,

programmi e progetti: i piani definiscono le finalità, gli indirizzi, gli

obiettivi e le politiche di gestione, individuando le politiche

programmatiche conseguenti, e possono essere generali, se si riferiscono

all'attività complessiva dell'azienda, o particolari se riguardano specifici

settori d’attività; i programmi sono strumenti attuativi dei piani generali e

consistono in una o più azioni coordinate e preordinate al raggiungimento

degli obiettivi fissati dal piano generale; i progetti sono strumenti attuativi

dei piani particolari riferiti a specifici settori di intervento.

In particolare, strumenti di programmazione delle Aziende Sanitarie sono il

Piano attuativo, il bilancio pluriennale di previsione ed il bilancio

economico preventivo.

Il Piano attuativo definisce le linee strategiche dell'Azienda, è adottato dal

Direttore generale, sentita la Conferenza dei sindaci ed in conformità al

Piano Sanitario Regionale, e specifica gli obiettivi dell'Azienda e gli

indirizzi di gestione, articolati in programmi ed in progetti.

Il Piano attuativo ha la stessa durata del PSR ed è aggiornato annualmente,

anche in correlazione alla verifica dello stato di conseguimento degli

obiettivi di programma. Nella sua formulazione si deve tener conto dei

principi espressi nella Carta dei diritti degli utenti ed al suo interno sono

evidenziati: le risorse finanziarie ed economiche per la realizzazione degli

obiettivi del piano; il programma pluriennale degli investimenti; gli

indicatori di economicità aziendale e di qualità; la riorganizzazione e la

ristrutturazione dei servizi; le prestazioni aggiuntive rispetto ai livelli

uniformi di assistenza da assicurare; le prestazioni e la riorganizzazione dei

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servizi a livello di singoli distretti, tali da assicurare un’assistenza uniforme

a livello di Azienda Sanitaria.

Il bilancio pluriennale ha durata triennale e, nel rispetto delle direttive

impartite dalla Regione, traduce in termini economici, patrimoniali e

finanziari le indicazioni del Piano attuativo, con particolare riguardo agli

investimenti programmati per il triennio considerato. A tal fine il bilancio

pluriennale rappresenta distintamente lo stato patrimoniale ed il conto

economico che, in conseguenza dell'attuazione del piano ed a

giustificazione del medesimo, si prevede di conseguire per ciascun esercizio

del triennio. Al bilancio pluriennale è allegato, inoltre, il piano degli

investimenti, che definisce le iniziative da intraprendere e ne quantifica le

spese con l'indicazione delle relative modalità di finanziamento.

Il bilancio economico-preventivo, infine, esprime analiticamente il risultato

economico dell'Azienda previsto per il successivo anno solare, è redatto

conformemente al bilancio pluriennale di previsione e deve essere

formulato in base allo schema di bilancio obbligatorio approvato dalla

Regione, in conformità allo schema interministeriale.

Il bilancio economico-preventivo è corredato da una relazione illustrativa

del Direttore generale, che ne costituisce parte integrante.

Le aziende adottano il sistema di budget come metodologia per la

formazione del loro Piano attuativo e come strumento per indirizzare ed

orientare le scelte operative di realizzazione del piano. La programmazione

annuale delle aziende è, dunque, esplicitata nel loro budget generale, che

riguarda l’intera attività dell’azienda e si articola in tre parti: il budget

patrimoniale, che indica analiticamente le fonti di finanziamento e la loro

utilizzazione, in modo da consentire la separata evidenza della gestione

corrente e della gestione degli investimenti; il budget finanziario, che indica

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particolarmente i flussi di entrata e di spesa; il budget economico, che

indica in analisi le attività, i costi, i ricavi ed i proventi.

Al budget generale deve essere allegata una relazione illustrativa che

evidenzi le ipotesi ed i parametri su cui si fondono le previsioni, le azioni

preordinate agli obiettivi fissati nel budget, i risultati attesi, i criteri di

misurazione adottati, con separata evidenza dei servizi sociali delegati.

Responsabile del budget generale dell'Azienda è il Direttore generale ed i

dirigenti preposti alle strutture delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere a cui

viene assegnato il budget rispondono al Direttore generale degli obiettivi e

delle risorse loro assegnate. Entro il relativo tetto di risorse si esplica

l'autonomia gestionale ed organizzativa di ciascun dirigente di struttura ed a

tale autonomia corrisponde la responsabilizzazione sul raggiungimento

degli obiettivi di budget e sull'utilizzo delle risorse.

La gestione economica, patrimoniale e finanziaria delle Aziende deve

informarsi ai principi previsti dal codice civile in materia di contabilità e

bilancio ed il bilancio d’esercizio deve rappresentare con chiarezza, in

modo veritiero e corretto, il risultato economico e la situazione patrimoniale

e finanziaria nel periodo di riferimento, con separata indicazione dei servizi

socio-assistenziali. Ai bilanci delle Aziende Sanitarie devono essere allegati

i bilanci di ciascun presidio ospedaliero.

Il bilancio d’esercizio deve essere corredato da una relazione del Direttore

generale sulla situazione dell’Azienda e sull’andamento della gestione, con

particolare riguardo agli investimenti, ai ricavi ed ai proventi, ai costi ed

agli oneri dell’esercizio.

Le Aziende sono articolate, da un punto di vista contabile, in centri di costo,

ovvero in unità organizzative nell'ambito delle quali sono svolte attività

dirette o ausiliarie che, per il loro carattere di omogeneità, consentono di

imputare al centro i vari costi sostenuti. All' articolazione delle Aziende

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Sanitarie e delle Aziende Ospedaliere in centri di costo provvedono i

Direttori generali attraverso un Piano dei centri di costo adottato sulla base

di uno schema tipo predisposto dalla Giunta Regionale, che consenta

un'analisi omogenea dei dati.

I centri di costo devono coincidere o essere ricompresi nelle componenti

organizzative in cui si articolano le Aziende ed il responsabile di ciascun

centro di costo è individuato nel responsabile della componente

organizzativa di riferimento.

Con la L.R. n. 29 del 2002 la Regione Calabria recepisce il D.P.C.M.

29/11/2001 sui Livelli Essenziali di Assistenza, al fine di migliorare

l’appropriatezza delle prestazioni e favorire forme di assistenza più idonee.

Con l’approvazione di tale legge le Aziende Sanitarie Locali ed ospedaliere

sono tenute all’osservanza di quanto previsto dalla programmazione

nazionale e regionale in materia di risorse finanziarie destinate ai livelli

assistenziali ed al rispetto degli indici di ospedalizzazione e del tasso di

utilizzo dei posti letto fissati dalla normativa vigente. Ai fini della verifica e

del miglioramento dell’appropriatezza nell’erogazione dell’assistenza

sanitaria e della remunerazione delle prestazioni dei soggetti erogatori

presso i quali si registrano frequenze elevate di ricoveri inappropriati

vengono definiti dalla Giunta regionale specifici standard e parametri per

l’applicazione delle relative sanzioni.

A fronte di un evidente dissesto economico della sanità calabrese, già con la

L.R. n. 29/2002 vengono presi provvedimenti di razionalizzazione della

spesa, quali: il blocco delle assunzioni da parte delle Aziende Sanitarie di

personale appartenente a qualsiasi categoria professionale fino

all’attuazione di un nuovo PSR, ma comunque non oltre un anno

dall’entrata in vigore della legge; l’obbligo per le Aziende Sanitarie di

aderire alle convenzioni per l’acquisto di beni e servizi, salva la

dimostrazione di ottenere migliori condizioni, ed alla stipula di contratti di

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fornitura per beni e servizi a valenza regionale; il divieto ai Direttori

generali delle Aziende Sanitarie di stipulare contratti di consulenza con

professionisti esterni per attività che possono essere svolte con personale

dipendente delle strutture aziendali, salvo in via eccezionale il conferimento

di incarichi di consulenza per comprovate esigenze e per singole

prestazioni, con provvedimento da sottoporre a controllo della Giunta

regionale; l’adozione di vari provvedimenti finalizzati a ricondurre la spesa

farmaceutica nei limiti di un determinato tetto massimo di spesa

ammissibile; l’obbligo per le Aziende Sanitarie di avvalersi di società

specializzate nella certificazione dei bilanci per avviare una

precertificazione del bilancio d’esercizio ed assicurarne successivamente la

certificazione.

Con la medesima legge viene istituita la Conferenza permanente per la

programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale, quale organismo

rappresentativo delle autonomie locali, con il fine di potenziare il loro ruolo

nei procedimenti di programmazione sanitaria e sociosanitaria a livello

regionale e locale.

La nomina dei Direttori generali delle Aziende Sanitarie assume, infine, con

la L.R. n. 29/2002 natura esclusivamente fiduciaria ed è revocabile in

qualsiasi momento con il venir meno del rapporto di fiducia da parte

dell’organo che ha effettuato la nomina, ove riscontrasse un’azione di

contrasto e di non osservanza dei programmi, delle direttive e degli obiettivi

stabiliti dalla Regione.

In seguito alla riforma costituzionale del Titolo V, la Regione Calabria, in

attuazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione delle

funzioni e competenze, con la L.R. n. 34 del 2002, detta i criteri e disciplina

gli strumenti, le procedure e le modalità per il riordino delle funzioni e dei

compiti amministrativi esercitati dai Comuni, dalle Provincie, dagli altri

Enti locali, dalle autonomie funzionali e dalla Regione. Con tale legge la

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Regione Calabria provvede al pieno conferimento agli Enti locali di tutte le

funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi delle

comunità locali, riservando a sé esclusivamente le funzioni ed i compiti che

richiedono necessariamente l’esercizio unitario a livello regionale.

In materia di servizi alla persona ed alla comunità, ed in particolare di tutela

della salute, sono riservate alla Regione le funzioni ed i compiti

amministrativi relativi a: approvazione di piani e programmi di settore non

aventi rilievo ed applicazione nazionale; adozione dei provvedimenti

puntuali per l’erogazione delle prestazioni; adozione dei provvedimenti di

urgenza in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, qualora

l’emergenza avesse una dimensione sovracomunale; verifica della

conformità rispetto alla normativa nazionale e comunitaria di attività,

strutture, impianti, laboratori, officine di produzione, apparecchi, modalità

di lavorazione, sostanze e prodotti, ai fini del controllo preventivo, nonché

della vigilanza successiva, compresa la verifica dell’applicazione della

buona pratica di laboratorio; pubblicità sanitaria, ad esclusione delle

funzioni riservate allo Stato e ferme restando le competenze dei Sindaci;

vigilanza e controllo sugli enti pubblici e privati che operano a livello

infraregionale e sulle attività di servizio rese dalle articolazioni periferiche

degli enti nazionali; attività assistenziale degli istituti di ricovero e cura a

carattere scientifico ed attività degli istituti zooprofilattici sperimentali;

vigilanza sui fondi integrativi sanitari, istituiti e gestiti a livello regionale o

infraregionale; riconoscimento del servizio sanitario prestato all’estero, ai

fini della partecipazione dei concorsi indetti a livello regionale ed

infraregionale ed ai fini dell’accesso alle convenzioni per l’assistenza

generica e specialistica con le Aziende Sanitarie Locali; accertamento e

verifica del rispetto dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi

minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture

pubbliche e private; determinazione degli standard di qualità che

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costituiscono requisiti ulteriori per l’accreditamento di strutture pubbliche e

private in possesso dei requisiti minimi; fissazione delle tariffe delle

prestazioni e successive modificazioni ed integrazioni, nel rispetto dei

criteri generali definiti a livello statale.

È compito della Giunta regionale verificare la coerenza dei piani strategici

triennali delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere con gli

indirizzi della programmazione regionale.

Alle Provincie sono, invece, attribuite le funzioni amministrative ed i

compiti concernenti: la formazione e la revisione della pianta organica delle

farmacie; l’istituzione e la gestione dei dispensari farmaceutici; l’istituzione

di farmacie succursali; il decentramento delle farmacie; l’indizione e lo

svolgimento dei concorsi per l’assegnazione delle sedi farmaceutiche

vacanti o di farmacie succursali; l’assegnazione ai Comuni della titolarità

delle farmacie.

Ai Comuni, infine, sono attribuite le funzioni amministrative ed i compiti

concernenti: l’autorizzazione per la pubblicità di tutti i presidi sanitari

privati soggetti ad autorizzazione regionale o comunale; l’autorizzazione

all’apertura di depositi all’ingrosso di medicinali e di gas medicinali;

l’autorizzazione per l’apertura, l’ampliamento o la trasformazione delle

strutture private che erogano prestazioni di assistenza specialistica in

regime ambulatoriale, nonché per la sospensione e la chiusura delle

medesime; la pubblicità sanitaria relativa all’esercizio delle professioni

sanitarie, delle professioni sanitarie ausiliarie e degli studi professionali.

Le funzioni amministrative inerenti la pubblicità sanitaria concernente le

strutture di ricovero e cura e le strutture ambulatoriali, comprese quelle

riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio sono, invece,

delegate alle Aziende Sanitarie Locali.

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Sempre nel 2002, dopo il flop del Piano Sanitario Regionale 1995-1997,

mai concretamente attuato, ed il fallimento del progetto di programmazione

sanitaria per il triennio 2001-2003, elaborato ma mai approvato, si tentò di

dettare degli indirizzi di programmazione ed organizzazione sanitaria con il

progetto di Piano Sanitario Regionale 2002-2004, ma neppure questo vide

mai l’approvazione.

Seppur con tutti i limiti connessi ad una superficiale lettura della situazione

reale ed alla scarsa incisività delle misure in esso contenute, il progetto di

PSR 2002-2004 riconosceva lucidamente il mancato adeguamento del

Servizio Sanitario Regionale al dettato del D.Lgs. n. 229/1999 e l’assenza

in ambito regionale di un qualsivoglia strumento di programmazione

sanitaria.

La Griglio (2005) sottolinea come “l’assenza di una programmazione

periodica organica ha contribuito a favorire la disorganicità degli

interventi di riassetto delle strutture e dei servizi previsti dalla

programmazione nazionale, alla quale si è cercato di dare attuazione solo

attraverso saltuari ed isolati interventi normativi, che peraltro non hanno

inciso in maniera rilevante sul riordino e sulla riconversione del sistema”.

Lo stato dell’aziendalizzazione in Calabria ha sempre presentato, e

purtroppo tutt’oggi presenta, continui ritardi ed inadempienze rispetto agli

obiettivi ed ai dettami della disciplina nazionale.

Nonostante l’emanazione di due leggi generali di disciplina del settore, le

L.R. n. 2 e n. 43 del 1996, finalizzate a realizzare i nuovi orientamenti

promossi a livello nazionale sotto il profilo dell’organizzazione, le stesse

hanno mostrato profonde e costanti lacune da un punto di vista attuativo ed

operativo, dando a loro volta origine a tutta una serie di ritardi ed

inadempienze, che hanno negativamente condizionato l’evoluzione

organizzativa del Servizio Sanitario Regionale.

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L’inerzia nell’attuazione delle linee programmatiche e normative può essere

in parte spiegata dal carattere non auto-applicativo delle due citate leggi

regionali di riferimento, ispirato dai principi del decentramento e della

flessibilità, tipici del modello della legislazione sanitaria regionale

calabrese.

In Calabria, inoltre, l’impossibilità di procedere ad una compiuta e

tempestiva attuazione delle prospettive di aziendalizzazione è stata in larga

misura determinata dalla sovrapposizione tra responsabilità politiche ed

amministrative che hanno di fatto ostacolato una compiuta conformazione

del sistema sanitario regionale ai nuovi parametri funzionali ed

organizzativi statali (Griglio, 2005). La presenza di questo ritardo originario

ha notevolmente contribuito a condizionare la successiva inerzia attuativa

nel recepimento del D.Lgs. n. 229 del 1999 e l’intero riordino del sistema,

facendo sì che di fatto la compiuta implementazione della “Riforma Ter”

venisse a sovrapporsi con il recepimento a livello regionale delle nuove

sfide aperte dalla riforma costituzionale.

Altri due parametri particolarmente rilevanti nell’analisi dello stato di

aziendalizzazione della Regione, oltre all’incapacità di incidere a fondo

negli assetti organizzativi ed all’inerzia nell’adozione di una

programmazione organica, sono: la notevole instabilità degli incarichi

dirigenziali, ed in particolar modo di quello di Direttore generale, con la

conseguente impraticabilità degli strumenti di valutazione e controllo

dell’operato dell’organo direzionale, non raggiungendosi nella maggior

parte dei casi il periodo di diciotto mesi di carica, che rappresenta il lasso di

tempo minimo individuato dal D.Lgs. n. 229/1999 per procedere alla

verifica del compimento degli obiettivi assegnati a ciascun direttore

generale e dei risultati aziendali conseguiti; la ristrutturazione della rete

ospedaliera, in armonia con i criteri e gli obiettivi stabiliti a livello

nazionale.

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Il sistema regionale calabrese, a causa dei ritardi e delle inadempienze

nell’attuazione delle riforme e dei nuovi indicatori nazionali, ha dato vita ad

un’aziendalizzazione disorganica e fondamentalmente incompleta, che

necessita ancora di essere definita ed assestata per quanto concerne alcuni

profili organizzativi (Griglio, 2005).

In particolare, per favorire un completamento organico del processo di

aziendalizzazione assume prioritaria importanza la realizzazione di un

sistema informativo integrato regionale, che consenta alla Regione di

monitorare in tempo reale l’attività svolta dalle singole aziende, al fine di

garantire una piena coerenza degli obiettivi aziendali con la

programmazione regionale20.

L’inerzia regionale nell’attivazione di meccanismi informativi tra Aziende e

Regione ne ha pesantemente condizionato la capacità di assumere quel

ruolo di coordinamento, basato su una conoscenza approfondita delle varie

realtà presenti all’interno della Regione stessa, che si sostanzia nella

programmazione e nella successiva valutazione di una corretta

implementazione della stessa.

La presa di coscienza dell’impellente necessità di ispirare ai principi della

programmazione la nuova organizzazione del servizio sanitario della

Regione Calabria e della primaria funzione di guida del Piano Sanitario

Regionale per il governo della sanità, sia in relazione agli obiettivi di salute

da perseguire che al funzionamento dei servizi ed alla quantificazione e

reperimento delle risorse, ha dato vita al Piano Sanitario Regionale 2004-

2006, oggi ancora in vigore.

20 Come ha evidenziato anche la Corte dei Conti in “Indagine sul tema dell’assistenza sanitaria – anni 1998/2000”

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3 Scenari attuali e prospettive future della sanità

calabrese

3.1 Il Piano Sanitario Regionale 2004-2006

Lo scenario istituzionale e politico nel quale si colloca il Piano Sanitario

Regionale 2004-2006 è radicalmente diverso da quello in cui era stato

approvato il precedente PSR, come dimostrano le rilevanti differenze tra i

due piani in termini di metodo, obiettivi e contenuti.

Il nuovo PSR presenta un approccio più integrato e globale alla gestione

della sanità calabrese, configurando un intervento radicalmente diverso dal

precedente, poiché intende la programmazione come definizione di fini e di

obiettivi prima ancora che come elaborazione di strategie d’intervento

(Griglio, 2005) e costituisce il primo fondamentale passo verso la

ridefinizione del sistema sanitario regionale nel suo insieme, assumendo la

funzione primaria di guida in relazione agli obiettivi di salute da perseguire,

al funzionamento dei servizi sanitari ed al reperimento delle risorse

necessarie21.

L’obiettivo fondamentale del riassetto istituzionale ed organizzativo del

Servizio Sanitario Regionale è quello di dar vita ad un impianto in cui le

esigenze ed i contributi della rappresentanza politico-istituzionale, il

rafforzamento del processo di aziendalizzazione e la razionalizzazione dei

processi assistenziali e gestionali possono trovare una rimodulazione tale da

assicurare alla collettività un sistema sanitario efficace, efficiente ed

21 Come afferma lo stesso Comunicato stampa preposto dalla Presidenza della Giunta regionale in coincidenza con la pubblicazione della L.R. n. 11 del 2004 di approvazione del Piano

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economicamente sostenibile, nel quadro delle nuove autonomie e

responsabilità affidate alle collettività locali.

Lo sviluppo progressivo dell’organizzazione del SSR deve avvenire

secondo una logica progettuale, al fine di adattare le configurazioni al

variare delle strategie necessarie per regolare i rapporti fra i livelli

decisionale, organizzativo ed operativo.

Il rilievo del Piano Regionale per la Salute 2004-2006, che intende anche

trasformarsi da atto programmatico e di pianificazione sanitaria in vero e

proprio progetto per la salute, in grado di assicurare ai cittadini calabresi un

sistema sanitario efficace, efficiente ed economicamente sostenibile, è

confermato dalla volontà della Regione di “blindarne” l’approvazione con

la L.R. n. 11 del 2004, al fine di garantirgli una diversa tutela processuale,

potendo diventare oggetto di ricorso solo davanti alla Corte Costituzionale.

La scelta di questa tutela processuale “forte” sottolinea l’incisività del Piano

su governance e government del sistema sanitario regionale, che appariva

e, purtroppo per larghi tratti appare tutt’oggi, scarsamente efficace ed

efficiente sia dal punto di vista del cittadino utente che da quello degli

operatori sanitari e rispetto ai costi richiesti per la sua gestione, non essendo

riuscito a garantire equità, soddisfazione dei bisogni sanitari degli utenti,

efficienza organizzativa e sostenibilità economica22.

La programmazione sanitaria regionale è lo strumento indispensabile per la

definizione degli obiettivi e delle regole di funzionamento del sistema

sanitario regionale, dei criteri di appropriatezza delle prestazioni e degli

standard di funzionamento dei servizi, degli indirizzi per l’attivazione dei

processi aziendali di produzione e controllo e dei criteri e requisiti di

accreditamento.

22 Come ammette anche il “Piano Regionale per la salute 2004-2006”, Assessorato tutela della salute ed organizzazione sanitaria, Regione Calabria

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Il principio della programmazione costituisce il fondamento del nuovo

Servizio Sanitario Regionale presentato nel Piano e la Regione si impegna

ad assicurare e garantire la partecipazione e la tutela dei diritti dei cittadini

nella fruizione dei servizi sanitari, nonché a promuovere iniziative per la

consultazione e la partecipazione attiva dei cittadini e delle loro

organizzazioni, al fine di raccogliere informazioni sull’organizzazione dei

servizi e favorire il loro coinvolgimento nelle attività di programmazione,

controllo e valutazione dei servizi sanitari a livello regionale, aziendale e

distrettuale.

La Carta dei Servizi, in particolare, è lo strumento attraverso il quale le

Aziende del SSR sono tenute ad orientare ed adeguare le proprie attività

alla soddisfazione dei bisogni degli utenti, definisce gli impegni e gli

standard generali e particolari cui i servizi devono adeguarsi e le Aziende

hanno il dovere di promuovere specifiche attività informative e di tutela

degli utenti, nonché un piano di comunicazione aziendale finalizzato a

promuovere la conoscenza da parte di tutti i soggetti interni ed esterni dei

contenuti della Carta e della relativa attuazione.

La Carta è essenzialmente volta alla tutela dei diritti degli utenti, non si

tratta, però, di una tutela intesa come mero riconoscimento formale di

garanzie al cittadino, ma di attribuzione allo stesso di un potere di controllo

diretto sulla qualità dei servizi erogati23, nell’ambito del ruolo che tale

strumento gestionale svolge nei processi di responsabilizzazione e

miglioramento dei servizi a livello aziendale. Affinché la Carta dei Servizi

sia realmente uno strumento in grado di orientare l’organizzazione

all’ascolto dell’utente/cliente e verso migliori livelli di performance, è

necessario che i suoi contenuti siano completi e che le logiche sottostanti la

23 Come stabilito dallo stesso D.M. “Schema generale di riferimento della Carta dei Servizi Pubblici Sanitari” del 19 Maggio 1995, in G.U. 31 Maggio 1995, n. 125, Sup. Ord.

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sua elaborazione garantiscano: la partecipazione di tutti i soggetti interni ed

esterni coinvolti nel processo di erogazione del servizio; la coerenza con i

meccanismi operativi aziendali; l’adeguata promozione e diffusione del

documento tra gli utenti attuali e potenziali; il continuo confronto con le

valutazioni degli utenti, che devono alimentare il processo di miglioramento

continuo (Tanzi, Panetta, 2010).

Il processo di attuazione della Carta dei servizi nel settore sanitario è basato

sulla definizione di Carte specifiche da parte di ciascuna struttura sanitaria,

in grado di fissare gli standard più opportuni per la loro realtà, ma che

devono tutte contenere i principi fondamentali di eguaglianza, imparzialità,

continuità, diritto di scelta, partecipazione, efficacia ed efficienza.

Nell’ambito del processo di riassetto istituzionale ed organizzativo del SSR,

ampio rilievo viene dato anche al profilo della partecipazione degli enti

locali alla programmazione, alla gestione ed al controllo dei servizi e delle

attività, con la valorizzazione di alcuni organismi di coordinamento

territoriale, quali i Comuni, il Comitato dei sindaci del distretto, la

Conferenza dei sindaci e la Conferenza permanente per la programmazione

sanitaria, socio-sanitaria e socio-assistenziale, già istituita dalla L.R. n.

29/2002, ma profondamente riformata dalla L.R. n. 11/2004, che la ha resa

vero e proprio organo rappresentativo delle autonomie locali, con funzioni

consultive nei confronti del Consiglio e della Giunta regionale.

La Conferenza dei sindaci rappresenta le esigenze sanitarie della

popolazione ed esprime il bisogno socio-sanitario delle comunità locali, ai

Comuni, infatti, si riconosce lo specifico ruolo di garanzia e di tutela dei

bisogni sanitari e socio-sanitari delle popolazioni amministrate ed il sistema

delle autonomie locali rimane l’interlocutore privilegiato rappresentativo

degli interessi della comunità locale ed espressione dei suoi bisogni di

salute.

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La stessa ridefinizione del distretto quale centro di riferimento sanitario

della comunità locale presuppone una rivalutazione e valorizzazione del

ruolo dei Comuni, che il legislatore ha inteso realizzare anche con

l’istituzione del Comitato dei Sindaci del distretto, che svolge funzioni

consultive e propositive sulla programmazione distrettuale delle attività e

sul livello dei bisogni sanitari dei cittadini rispetto ai servizi erogati,

rappresentando il luogo del confronto con le istanze istituzionali del

territorio.

La Conferenza permanente per la programmazione sanitaria, socio-sanitaria

e socio-assistenziale, infine, istituita per realizzare il coinvolgimento dei

Comuni, delle Provincie e delle Comunità Montane e la loro

responsabilizzazione sui temi sanitari, è l’organismo rappresentativo delle

autonomie locali, con il fine di potenziare il loro ruolo nei procedimenti di

programmazione sanitaria, sociosanitaria e sociale a livello regionale e

locale, con pari dignità istituzionale fra Regione ed Enti locali, in linea con

quanto previsto dal nuovo Titolo V della Costituzione.

La valorizzazione della concertazione con gli ambiti territoriali di

organizzazione e produzione e con gli enti locali permette che la

programmazione che si esplica nel Piano Sanitario Regionale trovi

attuazione nel Piano Attuativo Locale, che è l’atto di programmazione

sanitaria aziendale, e nel Programma delle Attività Territoriali, chiamati a

rendere operativi sul territorio gli indirizzi e gli obiettivi sanciti a livello

regionale.

La Giunta regionale: indirizza la formazione dei piani attuativi e delle

relazioni sanitarie aziendali, anche attraverso l’emanazione di linee guida a

carattere tecnico operativo e di schemi tipo per la redazione degli elaborati;

approva la conformità dei piani attuativi delle Aziende Sanitarie ed

Ospedaliere alle disposizioni del Piano Regionale per la Salute, emanando

eventuali prescrizioni di adeguamento; controlla la corrispondenza dei

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risultati raggiunti con i risultati attesi previsti dai piani attuativi; nell’ambito

delle proprie competenze può attivare iniziative atte a verificare la

rispondenza fra gli atti di programmazione e l’azione di governo delle

Aziende24.

La gestione delle attività e delle risorse deve avvenire in base al piano di

attività aziendale ed al bilancio preventivo annuale, definiti secondo gli

indirizzi di programmazione annualmente stabiliti dalla Giunta regionale in

attuazione della pianificazione vigente.

Per quanto concerne la copertura economica del Servizio Sanitario

Regionale, al finanziamento delle attività necessarie a garantire i livelli

essenziali ed uniformi di assistenza e la produzione ed erogazione delle

prestazioni in esse ricomprese provvede la Giunta regionale nei limiti delle

quote del Fondo Sanitario Regionale.

La Giunta regionale provvede, inoltre, a determinare i volumi e le tipologie

delle prestazioni, le modalità di remunerazione ed i limiti di spesa per gli

accordi ed i contratti che le Aziende Sanitarie stipulano con le strutture

pubbliche e con gli erogatori privati accreditati, entro i limiti degli standard

relativi ai livelli essenziali ed uniformi di assistenza e con riferimento alla

qualità delle prestazioni.

Si evidenzia un nuovo ruolo della Regione, quale soggetto istituzionale cui

sono demandati il compito e la responsabilità di determinare

l’organizzazione complessiva dell’offerta dei servizi e delle prestazioni

individuati dai livelli essenziali di assistenza, coerentemente con le

indicazioni epidemiologiche peculiari della Regione e con la propria

disponibilità di risorse.

24 Art. 10 della L.R. n. 11 del 2004

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La Regione, attraverso gli strumenti della programmazione, individua

annualmente gli obiettivi che devono essere raggiunti dal SSR, assegna le

risorse e verifica il conseguimento degli obiettivi tramite l’impiego di

idonei strumenti di controllo di gestione e di governo della spesa sanitaria.

Il Piano Regionale per la Salute 2004-2006, in linea con gli indirizzi dettati

dai D.Lgs. n. 502/1992, n. 517/1993 e n. 229/1999, si propone di dare una

risposta unitaria e coerente al miglioramento dello stato di salute della

popolazione, alla soddisfazione dei bisogni sanitari e sociosanitari dei

cittadini, all’efficienza ed alla sostenibilità economica del sistema sanitario.

La L.R. n. 11 del 2004 focalizza subito la sua attenzione, dopo il generale

riconoscimento della tutela della salute quale diritto fondamentale

dell’individuo ed interesse della collettività, sulla garanzia: dei Livelli

Essenziali ed uniformi di Assistenza definiti dal Piano Regionale per la

Salute, nel rispetto dei principi del PSN; dei bisogni di salute delle

popolazioni; dell’equità nell’accesso all’assistenza; della qualità delle cure

e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze;

dell’economicità nell’impiego delle risorse.

Le prestazioni e le attività sanitarie comprese nei LEA sono garantite dal

Servizio Sanitario Regionale a titolo gratuito o con partecipazione alla

spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione

nazionale e dalle disposizioni regionali.

La garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza ai cittadini calabresi e

l’efficace ed efficiente erogazione delle prestazioni e delle attività in essi

ricomprese costituiscono, in relazione alle rispettive e specifiche

competenze ed attribuzioni istituzionali delle Aziende del SSR, gli obiettivi

assistenziali che le Aziende Sanitarie dovranno perseguire e realizzare con

il programma delle attività distrettuali e che le Aziende Ospedaliere

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dovranno includere nei rispettivi piani attuativi, nell’arco di vigenza del

Piano Regionale per la Salute.

La Regione, al fine di garantire maggiore appropriatezza delle prestazioni,

dispone l’adozione da parte delle Aziende Sanitarie di linee guida tecnico-

professionali coerenti ed integrate con il programma nazionale e promuove

il riassetto organizzativo e funzionale delle strutture e dei servizi in modo

tale da assicurare le prestazioni e le attività sanitarie comprese nei LEA.

Sono due, nello specifico, le principali strategie di intervento individuate

dalla Regione Calabria per lo sviluppo della politica dei Livelli Essenziali

di Assistenza: da un lato l’adozione di strumenti volti a monitorare ed a

migliorare la qualità del servizio; dall’altro la valorizzazione degli

interventi finalizzati a riequilibrare l’offerta assistenziale, depotenziando i

settori che risultano sovradimensionati e potenziando quelli più carenti

(Griglio, 2005).

La Regione predispone gli indirizzi per ottimizzare le risorse disponibili,

attraverso il loro utilizzo finalizzato all’erogazione di quei livelli

assistenziali che combinano nel modo migliore possibile l’efficacia della

prestazione e l’economicità dell’intervento, accrescendo in tal modo

l’efficienza e le potenzialità del sistema sanitario regionale.

Fondamentale è lo stretto collegamento che ci deve essere tra: Livelli

Essenziali di Assistenza, intesi come tipologie assistenziali delle prestazioni

e dei servizi che il SSN offre, produce e finanzia in applicazione dei

principi ispiratori delle sue finalità e dei suoi obiettivi; regionalizzazione,

quale strategia diretta ad affrontare il nuovo rapporto bisogni-risorse e le

esigenze di cambiamento dell’organizzazione sanitaria sul piano

istituzionale, ai fini del ridisegno dell’offerta assistenziale ed in riferimento

al modello organizzativo - gestionale dei servizi e delle prestazioni;

aziendalizzazione, quale processo che individua l’azienda come mezzo per

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riordinare l’organizzazione produttiva in una logica strumentale rispetto al

raggiungimento di finalità di tutela della salute ed economiche.

È necessaria una razionalizzazione dell’organizzazione produttiva, attuata

attraverso l’applicazione dei principi della scienza dell’organizzazione, in

base ai quali emergono due tipologie fondamentali di processi di lavoro,

l’attività di ricovero ospedaliero e l’attività territoriale, che esigono diverse

ed appropriate gestioni dell’offerta e della produzione.

Occorre riorientare la domanda di salute secondo principi di appropriatezza,

avviando iniziative di educazione ed informazione dei cittadini, poiché una

migliore informazione sulle opportunità terapeutiche, sui fattori di salute e

sui rischi derivanti dall’abuso di pratiche mediche non necessarie deve

portare ad una riduzione di interventi terapeutici inappropriati.

I principi ed i valori che devono orientare il nuovo Servizio Sanitario

Regionale si realizzano, inoltre, attraverso: la ricerca di economie di scala,

realizzabili attraverso la semplificazione delle procedure gestionali e la

razionalizzazione dei processi di organizzazione e produzione; la netta

distinzione nell’ambito dell’organizzazione produttiva tra responsabilità

gestionali, organizzative e produttive; la coerenza delle strategie gestionali

ed organizzative con le condizioni e la disponibilità di risorse professionali

e di struttura; il superamento della schematica e tradizionale distinzione tra

assistenza ospedaliera ed extraospedaliera, con una valorizzazione delle

prima quale punto di riferimento per le prestazioni sanitarie di maggior

complessità, rilevanza ed eccellenza; la piena assegnazione dell’assistenza

specialistica ambulatoriale all’organizzazione produttiva dei servizi

territoriali e l’attribuzione all’assistenza territoriale di tutte le attività di

assistenza sanitaria che non costituiscono ricovero o che comunque non

fanno parte dell’assistenza ospedaliera; un rinnovato rapporto tra strutture

pubbliche e private, basato su una capacità di offerta in una logica di

sistema e su una correttezza di rapporti, a garanzia della qualità ed

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appropriatezza delle prestazioni, nonché della sostenibilità della spesa,

fondata sulla chiarezza e distinzione nell’uso di strumenti come

autorizzazione, accreditamento, accordo contrattuale e sullo stimolo

reciproco allo sviluppo25.

Visti tali principi e valori, condizioni indispensabili per lo sviluppo del SSR

sono: la ridefinizione dell’assetto organizzativo delle Aziende Sanitarie ed

Ospedaliere; la creazione di un sistema di rete attento alla compatibilità tra

risorse impiegate e risorse disponibili per l’assistenza sanitaria; l’attuazione

di quell’innovazione su vari fronti resa ormai necessaria ed opportuna dalle

trasformazioni demografiche, sociali, epidemiologiche, dal continuo

sviluppo delle tecnologie sanitarie, dai vincoli imposti della finanza

pubblica, dalle opportunità offerte da informatica e telematica e

dall’evoluzione dei modelli organizzativi; l’adozione di una

programmazione e valutazione delle prestazioni e delle attività rese dal

SSR; l’implementazione di percorsi assistenziali ben congegnati e

progettati; la diffusione della comunicazione, quale strategia per favorire

uno sviluppo condiviso della rete dei servizi sanitari ed un senso di

appartenenza e condivisione da parte di cittadini ed operatori del servizio

sanitario; la garanzia di una qualità complessiva delle prestazioni sanitarie

rese ai cittadini.

È compito delle Aziende Sanitarie garantire le prestazioni e le attività

previste dai Livelli Essenziali di Assistenza, dimensionate ed organizzate in

relazione alle specificità del territorio ed ai bisogni delle popolazioni,

secondo gli indirizzi fissati dalla legge, avvalendosi anche delle strutture

private accreditate26.

25 Come evidenziato dallo stesso “Piano Regionale per la Salute 2004-2006”, Assessorato Tutela della Salute ed Organizzazione Sanitaria, Regione Calabria

26 Come stabilito dall’art. 11 della L.R. n. 11 del 2004

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Le Aziende Sanitarie assicurano l’esercizio unitario delle funzioni di

prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, nonché il coordinamento e

l’integrazione delle attività dei servizi territoriali con quelle dei presidi

ospedalieri a gestione diretta e con quelle delle Aziende ospedaliere, in

conformità ai criteri di organizzazione definiti dal Piano Regionale per la

Salute.

Per quanto concerne l’organizzazione delle Aziende Sanitarie, è importante

sottolineare la separazione che vi deve essere tra Direzione Generale,

costituita da Direttore generale, Direttore sanitario e Direttore

amministrativo, tenuti a collaborare nel rispetto dei relativi ruoli e

responsabilità, e Direzione di strutture aziendali individuate in

corrispondenza delle attività gestionali, di organizzazione e di produzione,

cui spetta la responsabilità sotto il profilo gestionale, organizzativo e

produttivo delle azioni poste in essere per il raggiungimento degli obiettivi

aziendali.

Risultano, inoltre, imprescindibili i criteri di distinzione: tra attività

gestionali, organizzative, produttive e di erogazione; fra attività centrali ed

attività centralizzate di gestione e fra attività decentrate ed attività delegate

di organizzazione, produzione ed erogazione; tra responsabilità dei fattori

produttivi, che caratterizza l’organizzazione, e responsabilità

dell’attuazione dei processi, che caratterizza la produzione; tra

responsabilità delle infrastrutture produttive e responsabilità dei processi

produttivi.

Per la direzione complessiva dell’azienda sotto il profilo gestionale,

organizzativo, produttivo ed erogativo bisogna procedere all’individuazione

di una struttura centrale di Direzione Aziendale, che si occupi anche della

riorganizzazione delle strutture e delle attività aziendali, del

raggruppamento dei processi produttivi delle prestazioni individuate dai

livelli di assistenza e dell’aggregazione delle attività che compongono i

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processi assistenziali, nonché di quelle tecnico-amministrative di fornitura e

gestione delle risorse utilizzate nei processi produttivi, di supporto sia

all’attività di programmazione e controllo che all’attività di gestione, con la

costituzione di un’apposita area gestionale.

I risultati attesi dal processo di riorganizzazione promosso dal Piano

Regionale per la Salute 2004-2006 si articolano in risultati di governo,

gestionali, organizzativi e produttivi.

Nell’ambito dell’attività di governo del Servizio Sanitario Regionale, ciò

che ci si attende è: la riorganizzazione del dipartimento sanità; la

pianificazione, programmazione, verifica e valutazione dell’attività e dei

risultati del SSR rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza previsti; il

controllo ed il contenimento della spesa; la valorizzazione della distinzione

tra area di offerta, propria della Regione, ed organizzazione produttiva,

propria delle Aziende Sanitarie; la razionalizzazione del rapporto

pubblico/privato; lo sviluppo di capacità di indirizzo e coordinamento da

parte del SSR; la riduzione dei processi di mobilità passiva verso altre

Regioni; il riequilibrio fra le aree territoriali in cui si articola il SSR.

In campo gestionale è prevista la riorganizzazione su base divisionale dei

servizi delle aziende e la loro articolazione in distretti, al fine di rafforzare

le logiche aziendali, con particolare attenzione al prodotto ed alle aree di

attività. Altro elemento da rivedere sono gli strumenti contabili di gestione,

che vanno armonizzati con i principi della contabilità economico-

patrimoniale. Bisogna, inoltre, accrescere la capacità di gestione e controllo

della formazione dei costi attraverso la distinzione fra gestione, ovvero chi

decide, organizzazione, ovvero chi gestisce le risorse, produzione ed

erogazione, cioè chi utilizza le risorse per soddisfare la domanda. Lo

sviluppo dell’efficienza gestionale delle produzioni ospedaliere passa,

infine, attraverso l’attribuzione di livelli di specializzazione ed eccellenza

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alle Aziende Ospedaliere e l’eliminazione delle diseconomie di produzione

dei presidi ospedalieri non aziendalizzati.

I risultati che ci si attende da questa nuova condotta gestionale sono:

l’eliminazione delle discrepanze nelle decisioni gestionali nell’ambito del

SSR; l’omogeneizzazione della gestione del personale e delle decisioni di

acquisto ed utilizzo di beni e servizi; la riduzione delle risorse destinate alle

produzioni ospedaliere con il corrispondente incremento di quelle messe a

disposizione del territorio; lo sviluppo della pianificazione aziendale

attraverso la predisposizione del Piano Attuativo Locale, del piano di

attività aziendale e dei programmi territoriali di Distretto; il collegamento

visibile tra quanto si spende e cosa e come viene realizzato, ovvero tra

bilancio ed attività; il miglioramento dei rapporti tra sistema tariffario e

spesa sostenuta; la compatibilità tra accordi contrattuali e limiti di spesa;

l’attuazione di sperimentazioni gestionale che prevedano forme di

collaborazione pubblico-privato al fine di contenere la spesa sanitaria,

migliorare efficienza e qualità dell’assistenza, riqualificare le strutture

sanitarie e ridurre progressivamente la mobilità sanitaria.

L’obiettivo del riequilibrio dell’offerta assistenziale viene fortemente

perseguito attraverso un ripensamento del ruolo e dell’attività del Distretto,

precedentemente lasciato in una situazione di profondo disordine e di totale

marginalità rispetto agli obiettivi assistenziali regionali, al quale si

attribuisce ora il compito di garantire, nella continuità assistenziale, una

promozione del territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei

percorsi sanitari (Griglio, 2005).

Il Distretto costituisce un centro di responsabilità ed autonomia gestionale

ed economica, nell’ambito degli indirizzi della Direzione Aziendale e

coerentemente con le scelte di programmazione regionale.

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Il buon funzionamento del Distretto è condizione necessaria per lo sviluppo

del welfare locale, sanitario e sociosanitario, integrato con le funzioni di

prevenzione, cura e riabilitazione, garantendo accesso unitario ai servizi,

continuità assistenziale e responsabilizzazione sui risultati e sugli esiti di

salute.

Il dimensionamento del Distretto deve rispondere ai criteri propri di uno

spazio sociale geograficamente, economicamente e culturalmente ben

determinato. Il Distretto deve, pertanto, configurarsi ed assumere un ruolo

diverso a seconda del contesto geografico, abitativo e di ecosistema unitario

nell’ambito del quale va ad inserirsi.

Da un punto di vista organizzativo si deve puntare a: sviluppare capacità e

strutture per l’organizzazione dei servizi territoriali; riorganizzare le

direzioni dei presidi ospedalieri; sviluppare una rete ospedaliera di

eccellenza, un’attività ambulatoriale specialistica ed una rete organizzativa

dei servizi socio-sanitari; realizzare una rete distrettuale; riconvertire le

strutture ospedaliere che non rientrano nei parametri fissati a livello

nazionale e regionale, riducendo i posti letto per acuti, aumentando quelli

per lungodegenza e riabilitazione, potenziando day hospital e day surgery e

ridefinendo la distribuzione delle discipline; contemperare organizzazione

produttiva pubblica e privata su base territoriale in una logica di

complementarietà; ridistribuire risorse umane e professionalità; avviare un

sistema di formazione continua; sviluppare un sistema informativo

sanitario.

Per quanto concerne l’organizzazione produttiva, infine, l’obiettivo che ci si

pone è quello di: sviluppare le attività di prevenzione e tutela della salute;

migliorare la qualità delle prestazioni ospedaliere; ridurre i ricoveri non

appropriati ed i tempi di degenza; utilizzare il prontuario terapeutico

regionale; ottimizzare il rapporto tra risorse utilizzate e prestazioni prodotte;

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rendere adeguato l’uso delle strutture da parte della popolazione; potenziare

il sistema di emergenza-urgenza e le prestazioni di continuità assistenziale.

Nell’ambito della ricerca di nuove soluzioni organizzative che consentano

di rendere più efficace ed efficiente il Servizio Sanitario Regionale e che

promuovano un adeguamento dell’offerta di prestazioni ai bisogni

emergenti dei cittadini, prioritaria attenzione è stata attribuita al problema

della ristrutturazione della rete ospedaliera, che malgrado gli interventi di

riforma presenta ancora ritardi e profili di inefficienza.

Sotto il profilo dell’offerta qualitativa di servizi, la rete ospedaliera deve

essere pienamente adeguata ai parametri indicati dalle disposizioni

nazionali, mentre la situazione attuale riflette il permanere di una situazione

di squilibrio nella disponibilità di posti letto in relazione alle diverse forme

di assistenza.

Va detto che la significativa presenza del privato nel settore sanitario

calabrese contribuisce a rendere più complesso ed articolato il processo di

ristrutturazione della rete ospedaliera secondo criteri di efficacia ed

efficienza.

Manca un intervento organico di riforma del settore privato finalizzato ad

introdurre nella Regione quella “competizione amministrata” tra pubblico e

privato volta ad elevare il livello qualitativo dell’offerta sanitaria.

A causa della mancata introduzione di una specifica disciplina regionale in

materia di accreditamento istituzionale, il privato accreditato ha operato

sempre in una situazione di transitorietà e provvisorietà che è andata a

danno di efficacia ed efficienza.

Altro obiettivo del nuovo modello sanitario regionale proposto è la

riorganizzazione della rete emergenza-urgenza che, date le caratteristiche

geomorfologiche del territorio regionale calabrese, lo stato della viabilità e

la dislocazione abitativa, deve assicurare i sistemi più idonei al trasporto

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nelle strutture più adeguate degli infermi che necessitano di cure

specialistiche urgenti.

Secondo il Piano Regionale per la Salute 2004-2006 il rinnovato assetto

organizzativo del Servizio Sanitario Regionale deve prevedere, inoltre,

l’integrazione delle strutture ospedaliere con quelle socio-sanitarie del

territorio, al fine di garantire adeguate forme di continuità assistenziale alla

collettività e senza sottovalutare l’attivazione di forme di assistenza

ospedaliera a domicilio, ad integrazione dell’assistenza sociosanitaria

domiciliare erogata istituzionalmente dai Distretti.

Molto importante, oltre all’assistenza domiciliare, che è una delle funzioni

che vanno potenziate per costituire prestazioni alternative ai ricoveri

ospedalieri, è l’assistenza sanitaria di base. Il medico di medicina generale

ed il pediatra di libera scelta sono i riferimenti più diretti ed immediati per

le persone e le famiglie in ambito di assistenza sanitaria. Sono proprio loro

a dover essere responsabilizzati in modo adeguato per favorire

l’integrazione tra i servizi territoriali, la collaborazione con i servizi

ospedalieri, il riorientamento della domanda ed il contenimento della spesa

sanitaria per i propri assistiti ottenuto grazie ad un nuovo approccio alla

prescrizione.

Due ambiti di intervento che nel contesto del riequilibrio dell’offerta

assistenziale assumono un ruolo determinante sono proprio la

razionalizzazione dell’assistenza farmaceutica e la riforma del settore

dell’integrazione socio-sanitaria.

La spesa farmaceutica territoriale deve essere contenuta nei limiti

percentuali previsti dagli indirizzi di programmazione sanitaria regionale, in

coerenza con quanto previsto dagli Accordi fra Stato e Regioni. A tal fine la

Regione Calabria fa ampio ricorso agli strumenti di compartecipazione alla

spesa, erogazione diretta di farmaci agli assistiti in dimissione dai presidi e

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servizi delle Aziende Sanitarie, interventi sull’uso dei generici,

monitoraggio della spesa farmaceutica, predisposizione di procedure

centralizzate d’acquisto, razionalizzazione dei punti di distribuzione di

farmaci ed ausili medici e standardizzazione degli stessi.

Il Piano Regionale per la Salute 2004-2006, dettando le linee

programmatiche nel settore dell’assistenza farmaceutica, pone l’accento

non solo sull’obiettivo del contenimento della spesa, ma anche sulla

promozione di una nuova cultura assistenziale fondata sull’appropriatezza e

sull’economicità degli interventi farmaco-terapeutici. I problemi di

sostenibilità economica dettati dalle tendenze demografiche e sanitarie, in

atto anche a livello regionale, sollecitano un ripensamento dei percorsi di

cura farmaceutici che, per mezzo di un’effettiva integrazione tra

dimensione territoriale ed ospedaliera ed attraverso la responsabilizzazione

delle competenti strutture sulle attività di governo, controllo e verifica dei

consumi, consentano di ripensare l’intero sistema di erogazione dei farmaci

a livello regionale (Griglio, 2005).

In armonia con l’orientamento globale ai temi della tutela della salute

perseguito nel Piano, esso formula una strategia per l’integrazione socio-

sanitaria incentrata non solo sulla ristrutturazione della dimensione

organizzativa, ma su una riforma complessiva dei profili istituzionali,

gestionali e professionali funzionali ad una compiuta integrazione dei

diversi percorsi assistenziali, che possa offrire alla Regione Calabria un

modello di riferimento adeguato alle caratteristiche sociali, politiche,

storiche ed amministrative del relativo territorio ed ai bisogni di assistenza

dei cittadini.

Per quanto concerne il finanziamento del Piano Regionale per la Salute,

precondizioni indispensabili per la sua concreta realizzabilità sono

rappresentate da risorse finanziarie certe, disponibili e sufficienti e da

strumenti allocativi e di governo della spesa sanitaria adeguati ed efficaci.

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Il finanziamento delle Aziende Sanitarie deve assicurare disponibilità di

risorse e prestazioni in grado di garantire livelli uniformi ed appropriati di

assistenza. A tal fine si procede al finanziamento sulla base della quota

capitaria per popolazione residente e per Livelli Essenziali di Assistenza,

eventualmente integrata da opportuni correttivi, cui si affianca il

finanziamento delle attività tariffabili a prestazione dei soggetti erogatori

pubblici e privati, nel rispetto dei tetti massimi di spesa annualmente

stabiliti dal governo regionale, ed il finanziamento delle attività e delle

funzioni non tariffabili delle aziende, nonché il finanziamento specifico di

progetti obiettivo nazionali e regionali.

Nel complesso il processo di riforma avviato dal Piano Regionale per la

Salute 2004-2006, pur non avendo determinato una rivoluzionaria e

sostanziale modifica del modello generale di riferimento, ha il merito di

aver introdotto, quantomeno da un punto di vista programmatico, radicali

innovazioni in tema di organizzazione ed assistenza, destinate a conferire

un nuovo aspetto alla tradizionale articolazione regionale delle strutture

sanitarie.

Con una nota amara, che traspare dalle parole di Griglio (2005), si può

concludere che: <si consuma, tra elementi di conservazione, tentativi di

innovazione e profili di perdurante inattuazione, la portata innovativa del

primo intervento di programmazione post-riforma costituzionale nel settore

dell’organizzazione del sistema>.

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3.2 Le cinque Aziende Sanitarie Provinciali ed il processo di

razionalizzazione

Nell’ambito del processo di razionalizzazione delle strutture e delle attività

connesse alla prestazione di servizi sanitari, al fine di eliminare sprechi e

disfunzioni, perseguendo contemporaneamente l’efficacia e l’efficienza dei

servizi sanitari, a garanzia dei cittadini e del principio di equità distributiva,

si inserisce a pieno titolo la L.R. n. 9 del 2007, che tra le misure per lo

sviluppo socio-economico e per la razionalizzazione dell’azione pubblica

prevede l’istituzione della Stazione Unica Appaltante e l’accorpamento

delle ASL e tra le disposizioni in materia sanitaria sancisce il contenimento

della spesa sanitaria e la riforma della Conferenza permanente per la

programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale.

La responsabilizzazione della Regione nella risposta ai bisogni sanitari e nel

rispetto dei vincoli economici, imposta dalla riforma costituzionale e dal

“federalismo fiscale”, passa attraverso la responsabilizzazione delle

Aziende Sanitarie, che devono acquisire il senso di appartenenza ad un

sistema complesso da governare ai diversi livelli nella piena condivisione

degli obiettivi. In tale contesto le Aziende Sanitarie sono chiamate a

completare il processo di aziendalizzazione, utilizzando a pieno le leve

gestionali imprenditoriali e sfruttando al meglio gli spazi di autonomia, esse

devono perseguire gli obiettivi di salute ed assistenziali, affidati loro dai

provvedimenti di indirizzo regionali, in condizioni di efficacia, efficienza

ed economicità.

Il rientro dal deficit accumulato in sanità dalla Regione rappresenta il

nucleo fondamentale attorno al quale si articola la questione del

“federalismo fiscale”, poiché il bilancio regionale è in gran parte costituito

dalla spesa sanitaria e la responsabilità che la Regione si trova ad affrontare

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è prima di tutto quella di impegnarsi a rientrare nel bilancio, responsabilità

che per essere sviluppata appieno prevede la capacità, da parte della

Regione stessa, di utilizzare gli strumenti della programmazione, di

intervenire sull’organizzazione complessiva del Sistema Sanitario

Regionale, di riequilibrare il rapporto tra ospedale e territorio e di

correggere il deficit della spesa farmaceutica (Balduzzi, 2008).

Fondamentale ai fini di un efficace processo di razionalizzazione della

spesa, che non deve incidere sull’offerta di servizi, da ampliare e

migliorare, è il contenimento dei costi organizzativi e gestionali, attraverso

scelte quali la riduzione del numero delle ASL e la centralizzazione degli

acquisti, che rispondono anche a ragioni di appropriatezza organizzativa e

che sono volte alla riduzione degli oneri non direttamente collegati alla

produzione di servizi sanitari.

Al fine di semplificare e rendere omogenea l’azione amministrativa, nonché

per avere una gestione più uniforme, trasparente e conveniente degli appalti

di opere, lavori pubblici e forniture di beni e servizi, è istituita una Stazione

Unica Appaltante, cui devono obbligatoriamente ricorrere, salvo eccezioni

adeguatamente motivate, anche le Aziende Sanitarie ed Ospedaliere per le

procedure di predisposizione e di affidamento degli appalti, fino alla stipula

del contratto di affidamento, che rimane nella titolarità dell’ente

beneficiario della prestazione.

La Stazione Unica Appaltante rappresenta un intervento di management

sanitario di alto profilo, poiché essa, oltre ad avere una ricaduta positiva sui

bilanci della sanità, contribuisce anche ad elevare la trasparenza della prassi

amministrativa e la cultura della legittimità e della legalità, garantita dalla

presenza altamente qualificata al suo interno delle forze dell’ordine dedicate

alla supervisione di tutta la complessa gestione dei procedimenti, del

monitoraggio e dell’esecuzione dei contratti d’appalto (Guerzoni, 2009).

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Con la L.R. n. 9 del 2007 le undici Aziende Sanitarie precedentemente

presenti sul territorio regionale vengono accorpate prima in sei e poi in

cinque Aziende Sanitarie Locali, che assumono la denominazione di

Aziende Sanitarie Provinciali ed il cui territorio di riferimento corrisponde

alle attuali circoscrizioni provinciali.

Le nuove Aziende subentrano nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi

relativi alle Aziende preesistenti, in ragione dell’ambito provinciale di

riferimento.

Parziale e temporanea eccezione a tali disposizioni era quella riguardante le

Aziende Sanitarie n. 9 di Locri e n. 11 di Reggio Calabria, per le quali

l’attuazione delle disposizioni di accorpamento su base provinciale doveva

avvenire previo accordo con il Ministero dell’Interno, in quanto l’ASL di

Locri era commissariata, in seguito allo scioglimento nel 2006 per

infiltrazione mafiosa, e come tale non poteva subire modificazioni.

La situazione è stata risolta dalla Giunta Regionale che, in un primo tempo,

con la delibera n. 229 del 2010, preso atto della sopraggiunta inutilità

dell’accordo con il Ministero dell’Interno essendo cessate le ragioni che lo

avevano imposto, aveva dato avvio alla procedura di accorpamento e

successivamente con la delibera n. 441 del 2010 stabilisce che a decorrere

dalla data di pubblicazione sul B.U.R.C. della delibera in oggetto l’ASL n.9

di Locri e l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria sono estinte

ed accorpate di diritto in una nuova Azienda Sanitaria, il cui territorio di

riferimento corrisponde all’attuale circoscrizione provinciale di Reggio

Calabria e che la nuova Azienda subentra nelle funzioni e nei rapporti attivi

e passivi relativi alle Aziende preesistenti.

Con la L.R. n. 9 del 2007 nelle Aziende del Servizio Sanitario Regionale

l’indicazione e l’espletamento di concorsi, le assunzioni, anche a tempo

determinato, i trasferimenti, la mobilità, i comandi ed ogni altra forma di

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copertura di posti della dotazione organica anche mediante forme di lavoro

flessibile, collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, sono

soggette a preventiva autorizzazione regionale27.

La Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-

sanitaria regionale è istituita quale organismo rappresentativo delle

autonomie locali nell’ambito della programmazione sanitaria e socio-

sanitaria, è organo consultivo del Consiglio e della Giunta Regionale,

esprime i pareri e svolge le funzioni previste dal Piano Regionale per la

Salute ed il Dipartimento regionale della sanità ne assicura le attività di

supporto logistico e di segreteria necessarie per il suo funzionamento.

Nel corso dello stesso 2007 venne predisposta una bozza di PSR 2007-

2009, che per varie ragioni politico-amministrative non vide mai

l’approvazione, ma che per realismo, profondità di analisi ed acume di

lettura merita di essere brevemente esaminata.

Il Piano abbozzato operava scelte impegnative per il riordino della rete

ospedaliera, la cui realizzazione veniva vista come la sola condizione per un

reale cambiamento di rotta, per offrire servizi qualificati ai cittadini ed

invertire decisamente il grado di disaffezione e di sfiducia da essi avvertito

e che alimenta le fughe extraregionali.

Il riordino strutturale ed organizzativo della rete ospedaliera veniva visto

come imprescindibile anche per rispettare gli obblighi derivanti dagli

accordi contratti con lo Stato, che individuano standard precisi e non

eludibili cui tutte le Regioni devono necessariamente attenersi.

Il Piano individuava un ulteriore asse strategico, che è quello di considerare

la sanità come fattore ed occasione di sviluppo, delineando una riforma del

27 Art. 16 c. 1 della L.R. n. 9 del 2007

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Servizio Sanitario Regionale sì impegnativa, necessaria ed

improcrastinabile, ma anche possibile.

Obiettivo prioritario della nuova sanità delineata nella bozza di PSR 2007-

2009 era quello di costruire un “sistema normale”, dove per “sistema

normale” si intendeva un servizio organizzato, sia all’interno di ciascuna

azienda che fra le diverse aziende e complessivamente a livello regionale,

come un “sistema coerente”, con carattere di equità nell’organizzazione ed

articolazione nei diversi territori. Un sistema che garantisse un adeguato e

facilitato diritto di accesso di tutti i cittadini in uguale misura, che

collocasse il cittadino-utente al centro e lo considerasse come soggetto per

il quale lavorare attraverso la presa in carico, che individuasse percorsi

assistenziali definiti per le diverse esigenze e che garantisse la continuità

assistenziale, l’armonizzazione dell’offerta e dell’accoglienza e la

partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni. Un “sistema normale”

significava anche rimodulare l’offerta sanitaria secondo criteri di

appropriatezza organizzativa, funzionale e prescrittiva, orientando servizi e

prestazioni alla qualità, al fine di eliminare sprechi e di garantire il

conseguente recupero di risorse da destinare al miglioramento dei livelli di

assistenza. Per “sistema normale” si intendeva, infine, la qualificazione

dell’offerta in modo tale da permettere una sostanziale riduzione della

mobilità impropria dei cittadini all’interno ed al di fuori della Regione, per

ridurre gli sprechi economici che ne derivano e per alleviare i grandi

sacrifici umani, sociali ed economici di chi vi è costretto.

Tra le linee strategiche della nuova sanità propugnate dalla bozza di PSR

2007-2009 c’era quella in base alla quale l’organizzazione delle Aziende e

la loro articolazione in strutture organizzative e funzionali doveva essere

ispirata a criteri di essenzialità, di efficacia e di adeguata flessibilità

operativa, garantendo l’unitarietà dell’intervento aziendale ed assicurando

adeguati livelli di qualità delle prestazioni e gradi elevati di accessibilità.

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Andavano, inoltre, garantiti il modello di gestione in rete dei presidi

ospedalieri delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere e la generalizzazione

della gestione per budget, quale strumento di unificazione del ciclo

programmazione – controllo -riprogrammazione, affidando alla direzione

generale le decisioni relative all’assegnazione delle risorse, nonché la

verifica, la valutazione ed il controllo delle attività e delle prestazioni

erogate dalle unità operative, in relazione alle risorse loro assegnate. Tutte

le Aziende dovevano organizzarsi secondo rigorosi criteri che garantissero

il controllo direzionale, il sistema dei budget, il controllo di gestione, la

contabilità analitica, un efficace sistema informativo e la realizzazione di

sistemi oggettivi ed efficaci di valutazione e controllo, rivolti soprattutto ai

risultati in termini di salute dei cittadini sulla base di un positivo rapporto

costi-benefici. Attraverso tali criteri organizzativi ed un’effettiva

applicazione degli istituti contrattuali dovevano delinearsi con chiarezza gli

obiettivi delle macro-strutture, delle strutture complesse e semplici e dei

singoli operatori, promuovendone le rispettive responsabilità e la

soddisfazione professionale.

Ulteriore obiettivo funzionale alla realizzazione del sistema progettato era

la creazione di un servizio di supporto ed ispettivo, allo scopo di verificare

e controllare le attività delle Aziende con particolare riferimento alla

qualificata realizzazione dei LEA ed all’appropriato uso delle risorse.

La costruzione della nuova sanità non poteva, inoltre, prescindere da un

efficiente sistema informativo sanitario, la cui realizzazione veniva vista

come fondamentale ed improrogabile, che doveva consentire la piena

disponibilità delle informazioni necessarie alla programmazione ed al

controllo, per assolvere agli adempimenti informativi nei confronti degli

organi centrali dello Stato.

Nell’ambito dell’analisi della spesa sanitaria, con riferimento alle risorse

disponibili ed alla sostenibilità del sistema, la bozza programmatica

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individuava alcuni elementi causali specifici del sistema sanitario regionale,

tutt’oggi estremamente attuali, quali: il troppo elevato tasso di

ospedalizzazione, nonostante i vari provvedimenti ed indirizzi nazionali e

regionali; il mantenimento della spesa farmaceutica ad un valore al di sopra

di quanto previsto dalla programmazione nazionale; la quota di spesa

correlata agli elevati e non sempre appropriati consumi di prestazioni di

specialistica ambulatoriale; il crescente costo del personale ed il

sottoutilizzo di alcuni fondamentali fattori produttivi.

A fronte di tutto ciò, obiettivo prioritario del riequilibrio del sistema era

quello di rendere la spesa compatibile con le risorse impiegate, attraverso

l’incremento dell’efficienza e dell’appropriatezza, garantendo una

compatibilità tra livelli di spesa e risorse sia a livello programmatico, nella

definizione del fabbisogno e delle priorità, che gestionale, nel monitoraggio

della spesa, qualificazione del management e sistemi incentivanti.

Obiettivi generali del triennio erano il raggiungimento del pareggio

economico a livello aziendale e regionale ed un’equa ed efficiente

allocazione delle risorse tra i tre macro-livelli di assistenza: prevenzione,

distrettuale, ospedaliera.

Significativa era l’osservazione in base alla quale l’ospedale deve essere

visto come una risorsa estrema, da usare solo quando è indispensabile e per

il tempo strettamente necessario, e deve essere ideato ed organizzato

ponendo al centro il paziente, con le sue esigenze di cura ed i suoi bisogni

di assistenza. La presa in carico del cittadino deve avvenire nel territorio,

con l’organizzazione dei necessari percorsi socio-assistenziali.

Le Aziende Sanitarie erano tenute, secondo il suddetto progetto

programmatico, ad attivare esperienze di utilizzo di strutture residenziali di

carattere sanitario, alternative all’ospedalizzazione e basate sul

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coinvolgimento dei medici di medicina generale, che costituissero una

valida alternativa al ricovero.

Per quanto concerne l’assistenza farmaceutica, infine, la bozza di PSR

2007-2009 indicava quale obiettivo primario della razionalizzazione

dell’utilizzo del farmaco e della spesa farmaceutica quello di promuovere

negli operatori sanitari la cultura dell’appropriatezza e dell’adeguatezza di

quanto erogato, al fine di dare accesso tempestivamente a prestazioni di

buona qualità a chi ne avesse bisogno, evitando danni per la salute legati ad

un consumo sanitario incontrollato e conseguendo la sostenibilità

economica del sistema sanitario.

Il controllo della spesa, secondo la bozza, era ottenibile valorizzando

l’attività sistematica di monitoraggio e di reporting del consumo di farmaci,

prevedendo anche il coinvolgimento dei medici di medicina generale e dei

pediatri di libera scelta, con un’attenzione continua all’attività di analisi

della spesa e del consumo di farmaci, sia a livello aziendale che del

dipartimento per la tutela della salute, anche avvalendosi della

collaborazione di soggetti istituzionalmente deputati alla raccolta ed

all’elaborazione dei dati di consumo.

Dopo la mancata approvazione di tale bozza programmatica non vi sono

stati, fino ad oggi, altri Piani Sanitari Regionali e la situazione del sistema

sanitario regionale ne ha risentito, configurandosi sempre più un vero e

proprio “problema sanità”.

Un importante elemento di criticità è dato dalla presenza di diffuse

inappropriatezze nel SSR, sia di carattere strutturale, come la

frammentazione dei presidi ospedalieri, l’irrazionale articolazione delle

specialità ed il tasso medio di utilizzo dei posti letto sotto il valore ottimale

stabilito a livello nazionale, che di carattere prescrittivo, come l’alto ed

ingiustificato livello della spesa farmaceutica, il ricorso incongruo

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all’ospedalizzazione e l’alto consumo di prestazioni specialistiche,

soprattutto di diagnostica strumentale e di laboratorio, che producono un

irrazionale uso delle risorse.

Vi è, inoltre, una persistente sperequazione fra le risorse assegnate ai tre

fondamentali livelli di assistenza, in modo sproporzionato a favore

dell’assistenza ospedaliera ed ampiamente inferiori agli standard nazionali

per quanto riguarda la prevenzione collettiva e l’assistenza territoriale. Ciò

conferma l’improprio utilizzo delle strutture ospedaliere, la cui collocazione

al centro dell’offerta sanitaria condiziona la possibilità di costruire un

sistema che individui la propria missione nella prevenzione e nella

promozione della salute.

Caratteristica saliente del sistema sanitario calabrese è quella di fornire una

risposta di ricovero ospedaliero alla maggior parte dei bisogni della

popolazione, producendo inappropriatezza di ricoveri e rigidità

organizzativa, condizionando la possibilità di costruire un sistema sanitario

più equilibrato, in cui l’ospedale, secondo una moderna concezione

dell’offerta sanitaria, va visto e vissuto come un presidio ad alta tecnologia,

ad alta efficienza e specificamente dedicato alle acuzie.

La rimodulazione dell’offerta ospedaliera, che ha come obiettivo operativo

la contrazione del numero di posti letto per abitanti, ha bisogno di politiche

che favoriscano modelli assistenziali virtuosi, che spostino in regimi diversi

da quelli del ricovero ordinario la diagnosi, la cura e la riabilitazione di

specifiche patologie, attraverso l’attivazione di processi di continuità

assistenziale che colleghino fortemente l’assistenza ospedaliera a quella

territoriale28.

28 Come spiegato anche nella “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2007-2008”, a cura del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali

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Tra i vari elementi critici, inoltre, particolarmente rilevanti sono: l’elevata

emigrazione per prestazioni sanitarie, aggravata dal fatto che la maggior

parte del fenomeno attiene a prestazioni di media e bassa assistenza; il non

adeguato livello di utilizzo delle risorse umane e strumentali, con

particolare riferimento a diffuse incoerenze nell’organizzazione dei servizi

ed a scarsi livelli di utilizzo di beni fondamentali quali sale operatorie e

tecnologie sofisticate, che configurano inefficienze tali da non consentire il

raggiungimento di una produttività adeguata a soddisfare la domanda di

prestazioni, generando lunghe liste d’attesa ed alta mobilità in uscita; la

cronica divisione tra attività territoriali ed ospedaliere, che non permette la

realizzazione di quel continuum assistenziale tra territorio ed ospedale che

caratterizza i migliori sistemi sanitari; la scarsa diffusione del criterio della

presa in carico del cittadino-utente e la non adeguata trattazione delle sue

problematiche attraverso percorsi assistenziali definiti ed ancorati a linee

guida e protocolli appropriati; l’accesso ai servizi non organizzato in tutte le

Aziende secondo criteri oggettivi e razionali, tramite efficienti Centri

Unificati di Prenotazione; l’insufficiente sviluppo di collaborazioni

operative, nel campo della formazione e della ricerca, con il sistema

universitario calabrese.

Criticità di carattere strategico sono, infine, individuabili: nelle attuali

condizioni degli edifici destinati alle attività ospedaliere e territoriali,

dovute anche al mancato utilizzo di una parte consistente delle risorse

destinate all’edilizia sanitaria e ad un’inadeguata attività di manutenzione;

nell’insufficiente disponibilità di tecnologie avanzate e nell’obsolescenza di

quelle esistenti; nella distribuzione del personale tra le Aziende, in alcuni

casi fortemente disallineata rispetto a razionali parametri di

dimensionamento degli organici, che condiziona l’equilibrio economico e la

stessa possibilità di assicurare in maniera equa i livelli di assistenza.

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Uno dei principali fattori di instabilità che si ripercuotono negativamente

sull’efficienza e la funzionalità del sistema sanitario della Regione Calabria

è rappresentato dalla situazione finanziaria delle Aziende Sanitarie ed

Ospedaliere, che denota margini di incertezza in ordine all’effettiva

dimensione quantitativa dei disavanzi maturati negli anni precedenti,

determinandosi in tal modo un’obiettiva difficoltà nella definizione di Piani

di rientro congrui e coerenti.

Negli anni 2007-2008 la Regione Calabria è stata oggetto di numerose

disposizioni urgenti per fronteggiare l’emergenza socio – economico –

sanitaria emersa nel territorio regionale e col passare del tempo la spesa

sanitaria è divenuta sempre più un fardello oggettivamente insostenibile per

la Regione, che si è vista costretta ad autorizzare la Giunta regionale, con la

L.R. n. 11 del 2009, a definire, proporre, stipulare, attuare, monitorare e

rimodulare con lo Stato un accordo per il rientro dai disavanzi del servizio

sanitario, al fine di pervenire al risanamento strutturale del SSR, anche

attraverso la ristrutturazione dei debiti contratti, la cui consistenza, ancora

non del tutto accertata, costituisce un problema fondamentale che impedisce

una serena programmazione ed una fattiva attuazione di linee operative

volte al miglioramento della “qualità totale” del servizio sanitario calabrese.

La Regione, con la stessa L.R. n. 11 del 2009, assume il principio

dell’appropriatezza delle prestazioni quale strumento imprescindibile per la

riorganizzazione del sistema ospedaliero, al fine di realizzare

l’efficientamento dei servizi e la razionalizzazione delle risorse.

Ai fini del rispetto dell’obbligo di riduzione del costo del personale delle

Aziende Sanitarie, Ospedaliere ed ospedaliero - universitarie, le stesse

devono, prima di procedere alla pubblicazione dei bandi di concorso o di

avvisi per l’assunzione, acquisire l’autorizzazione della Giunta regionale.

Tale autorizzazione deve essere acquisita anche per le assunzioni a tempo

determinato, per i rapporti di collaborazione, consulenza o per altre

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tipologie contrattuali a qualsiasi titolo riconducibili a nuove spese per il

personale, comprese quelle per la specialistica ambulatoriale interna e per la

continuità assistenziale. È fatto, inoltre, divieto di procedere ad assunzioni

di nuovo personale, fatti salvi l’eventuale reclutamento di profili infungibili

ed indispensabili al fine del mantenimento dei Livelli Essenziali di

Assistenza preventivamente autorizzati dalla Giunta regionale e la mobilità

infraregionale tra le aziende. Si configura così un vero e proprio blocco

delle assunzioni.

Al fine di ottimizzare e potenziare l’attività di controllo, vigilanza ed

ispezione sulle Aziende pubbliche e private accreditate che erogano

prestazioni di assistenza sanitaria, il Consiglio regionale nomina l’Autorità

per il sistema sanitario, con il compito di fornire referti periodici agli organi

regionali di indirizzo e di gestione amministrativa competenti29. L’autorità

per il sistema sanitario, inoltre, deve: valutare e controllare l’adeguatezza

delle attività sanitarie e socio-sanitarie; analizzare atti e circostanze

sanitarie ed amministrativo-contabili; verificare, attraverso specifiche

indagini, l’applicazione degli standard di qualità ed appropriatezza;

proporre ogni forma di intervento surrogatorio e/o di sanzione prevista dalla

normativa vigente.

La perdurante incertezza sullo stato dei conti regionali, la sostanziale scarsa

affidabilità dei procedimenti amministrativo-contabili che sottostanno alla

determinazione di tali conti, la situazione di incertezza istituzionale, con

particolare riferimento ai soggetti deputati a predisporre e gestire il Piano di

rientro, e la sussistenza di una situazione di significativo disavanzo

strutturale regionale hanno portato il Presidente del Consiglio dei Ministri a

diffidare il Presidente della Regione Calabria a predisporre un Piano di

rientro contenente misure di riorganizzazione e riqualificazione del SSR,

29 Art. 6 della L.R. n. 11 del 2009

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vista la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare le prestazioni

sanitarie comprese nei Livelli Essenziali di Assistenza e di perseguire il

risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del

sistema sanitario della Regione, anche sotto il profilo amministrativo e

contabile30.

30 Come si legge nella lettera di diffida del Presidente del Consiglio dei Ministri, 2 Luglio 2009

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3.3 Il Piano di Rientro ed il commissariamento

Il Piano di Rientro è lo strumento adottato d’intesa tra la Regione

interessata ed i Ministeri della Salute e dell’Economia al fine di definire le

azioni di riqualificazione e razionalizzazione del Servizio Sanitario

Regionale, in modo da ricoprire i deficit pregressi e riformare il servizio,

per superare le inefficienze e le disorganizzazioni strutturali e strategiche

del sistema sanitario.

In base a quanto stabilito anche dal nuovo Patto per la Salute 2010-2012

sancito tra il Governo e le Regioni31, il Piano di Rientro deve contenere sia

le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei Livelli Essenziali di

Assistenza, per renderlo conforme a quello desumibile dal vigente Piano

Sanitario Nazionale e dal vigente decreto del Presidente del Consiglio dei

Ministri di fissazione dei medesimi LEA, sia le misure per garantire

l’equilibrio di bilancio sanitario in ciascuno degli anni compresi nel Piano

stesso.

Sono tre fondamentalmente gli obiettivi che il Governo si propone

attraverso i Piani di Rientro: la programmazione della spesa, legata alla

questione dei costi standard del “federalismo fiscale”; la razionalizzazione

della rete ospedaliera, sotto il profilo del numero e della tipologia dei posti

letto e sviluppo delle cure primarie; la definizione dei budget assegnati agli

erogatori privati, ovvero la capacità di definire di quanto privato c’è

31 I cui contenuti principali riguardano l’avvio di un diverso sistema di monitoraggio dei fattori di spesa e la puntualizzazione delle modalità di adozione, conduzione e verifica dei piani di rientro e degli eventuali commissariamenti (Balduzzi, Moirano, 2010)

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bisogno nel contesto di ciascuna Regione rispetto al raggiungimento degli

obiettivi di salute definiti dai LEA32.

Il Piano di Rientro dal disavanzo della Regione Calabria è stato

definitivamente approvato con delibera della Giunta regionale n. 845 del

2009, ad integrazione e modifica del documento precedentemente adottato

dalla Regione con le delibere della Giunta regionale n. 585 e n. 752 del

2009, con l’obiettivo strategico della riqualificazione e del miglioramento

dell’intero sistema sanitario regionale.

Con l’Accordo tra il Ministro della Salute, il Ministro dell’Economia e delle

Finanze e la Regione Calabria, firmato a Roma il 17 Dicembre 2009, la

Regione si è impegnata ad attuare le misure contenute nel Piano di

Razionalizzazione e Riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale per il

perseguimento dell’equilibrio economico. Il Ministero della Salute, da parte

sua, in collaborazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, si è

impegnato ad affiancare la Regione per l’attuazione del Piano,

assicurandone il monitoraggio attraverso la verifica trimestrale del

raggiungimento degli obiettivi intermedi previsti dal Piano stesso.

Le attività di affiancamento realizzate in collaborazione dai due Ministeri,

in particolare, si realizzano attraverso tre fasi: monitoraggio formale del

Piano, che ha l’obiettivo di verificare se, a fronte degli impegni presi nel

Piano, la Regione abbia o meno deliberato gli atti previsti nei tempi

pianificati; monitoraggio sostanziale del Piano, che ha l’obiettivo di

verificare se, a fronte degli atti deliberati dalla Regione, siano stati attuati

gli interventi previsti nelle modalità e nei tempi pianificati, cosiddetto

32 Come confermato nell’articolo “Piani di rientro, un primo bilancio. Intervista al sottosegretario alla Salute Francesca Martini” di E. Antoniotti, in “Monitor: Elementi di analisi e osservazione del sistema salute”, Trimestrale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Anno VII, numero 22, 2008

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monitoraggio di attuazione, nonché di valutare come il SSR stia evolvendo

per effetto degli interventi previsti dal Piano di Rientro e degli altri fattori

che ne determinano la dinamica, cosiddetto monitoraggio di sistema;

coordinamento dei Nuclei di affiancamento regionali, che consiste nel

coordinamento di gruppi regionali con funzione consultiva che supportano

le Regioni nella definizione degli interventi previsti nel Piano33.

L’obiettivo strategico che la Regione Calabria intende perseguire con la

definizione e l’attuazione del Piano di rientro è il rispetto dei Livelli

Essenziali di Assistenza, così facendo il Piano stesso diviene, oltre che

semplice strumento tecnico-amministrativo per il riequilibrio economico-

finanziario della Regione, leva ed occasione per un ripensamento

complessivo del sistema sanitario regionale.

L’Accordo, in particolare, consta: di una parte organizzativa, nella quale

sono contenuti gli indirizzi per la riqualificazione del SSR che la Regione

Calabria, in conformità ai principi di efficacia, efficienza ed economicità e

nel rispetto dei LEA, deve progressivamente attuare; di una parte

finanziaria, nella quale vengono presentate le forme e le modalità con le

quali si provvede a coprire il disavanzo.

Il Piano, dopo un breve excursus delle vicende che hanno condotto alla sua

formulazione ed approvazione ed una veloce disamina del quadro

normativo sul quale si basa, dà un’inquadratura generale del contesto

regionale nel quale va ad inserirsi e tenta, in particolare, di fare un’analisi di

quelli che sono i punti di debolezza e di forza, le minacce e le opportunità

del sistema sanitario regionale.

Eloquenti, concisi, chiari ed incisivi sono i punti di debolezza inseriti nella

“SWOT Analysis”: scarto tra programmazione formale e risultati operativi;

33 Come spiegato nella “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2007-2008”, a cura del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali

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scarsa cultura aziendale e modesto orientamento al risultato del

management; prestazioni inappropriate in numerose tipologie assistenziali;

elevata mobilità passiva; elevata spesa farmaceutica; squilibrio allocativo

tra ospedale e territorio; distribuzione inefficiente delle risorse umane; costi

di produzione elevati; servizio informativo non efficace; basso livello di

interazione istituzionale; eccesso di pressioni corporative. Sono questi i

punti fondamentali sui quali bisogna focalizzare l’attenzione nel processo di

riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale.

Per quanto concerne l’assistenza ospedaliera, gli aspetti più negativi rilevati

nel Piano e sui quali è indispensabile porre azioni di carattere correttivo

sono: il numero dei ricoveri complessivi, che vanno ridotti attraverso la

diminuzione dell’inappropriatezza in regime ordinario, rimodulando tutto il

processo diagnostico-terapeutico e correlandolo alle funzioni e strutture più

appropriate; la mobilità passiva, in riferimento alla quale è necessario

ridurre la migrazione sanitaria di bassa complessità e trovare risposta nelle

Aziende Ospedaliere della Regione per i ricoveri particolarmente

complessi.

Sul versante dell’offerta la principale criticità è rappresentata dal numero di

strutture sia pubbliche che private di piccole e piccolissime dimensioni in

termini di posti letto ed al tempo stesso di bassissima attività di ricovero,

che rendono la casistica frammentata e di conseguenza particolarmente a

rischio.

Altra notevolissima criticità riguarda il numero di strutture private

caratterizzate da scarsa attività ed inappropriatezza delle prestazioni.

L’analisi dell’attività nelle strutture private mostra che nella maggior parte

dei casi si tratta di duplicazioni di unità operative di base già presenti nei

presidi pubblici e caratterizzate da bassa o bassissima casistica, bassa

complessità ed alta percentuale di inappropriatezza dei ricoveri.

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La rete ospedaliera calabrese presenta, dunque, numerose criticità, sia sul

versante della domanda che dell’offerta, ed il processo intrapreso con il

Piano di Rientro è teso a promuovere il cambiamento strategico del ruolo

dell’ospedale, che deve essere sempre più specializzato ed orientato alla

cura delle patologie acute e delle casistiche a maggiore complessità,

puntando all’individuazione di centri di eccellenza in grado di riqualificare

l’offerta del servizio reso e stabilendo un sempre più efficace collegamento

con i presidi sanitari nei diversi nodi del processo assistenziale, mediante

l’integrazione dei servizi a livello ospedaliero con quelli del livello di cure

primarie e distrettuali.

La riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera prevede, come obiettivo da

raggiungere gradualmente, la razionalizzazione della rete, fissando standard

sui posti letto e sul tasso di ospedalizzazione, in linea con quanto richiesto

dalla normativa nazionale in materia.

Operativamente nel Piano appare urgente prevedere un intervento sui

piccoli presidi ospedalieri, di cui occorre: in alcuni casi prevedere la

chiusura o l’eventuale riconversione in strutture residenziali o riabilitative o

in “case della salute”, accompagnata da un potenziamento dell’attività

specialistica ambulatoriale con la presenza di branche normalmente assenti

in quei presidi; in altri casi prevedere la dismissione delle branche

chirurgiche e dei punti nascita con bassa attività, sviluppando eventuali

attività di chirurgia ambulatoriale nei presidi trasformati in “case della

salute” o in altri presidi territoriali. In base alle Linee Guida del Ministero

della Salute, la “casa della salute” rappresenta la sede pubblica in cui

trovano allocazione i servizi territoriali che erogano contemporaneamente

prestazioni sanitarie e sociali, è una struttura polivalente e funzionale in

grado di erogare materialmente l’insieme delle cure primarie, di garantire la

continuità assistenziale e le attività di prevenzione ed è quindi un luogo di

prevenzione e promozione della salute e del benessere sociale.

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La ristrutturazione della rete ospedaliera e la maggior concentrazione di

attività potrà consentire una razionalizzazione ed una maggiore produttività

dell’investimento tecnologico, che costituisce oggi un fattore essenziale per

la qualificazione del servizio. Elemento non secondario nell’ambito della

riqualificazione funzionale e strutturale della rete ospedaliera, che valorizzi

i punti di eccellenza e tagli i costi, è la riduzione dei ricoveri sulla

componente privata, che avrebbe un notevole effetto economico di

riduzione della spesa per prestazioni ospedaliere da privato.

Il potenziamento dell’assistenza territoriale è la chiave per la

riqualificazione di tutto il sistema sanitario, in quanto all’interno di essa

sono ricomprese tutte le attività ed i servizi sanitari e socio-sanitari diffusi

capillarmente sul territorio, dalla medicina generale all’assistenza

farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di

protesi ed ausili, dai servizi domiciliari agli anziani a quelli ai malati

terminali, dai servizi territoriali consultoriali ai SERT ed ai servizi per la

salute mentale, da quelli riabilitativi alle strutture semiresidenziali e

residenziali.

La sfida che l’organizzazione dei servizi territoriali nel distretto deve oggi

affrontare è quella di acquisire una capacità di governo della domanda

sanitaria e di erogare delle cure primarie appropriate e continuative. Per tale

finalità diviene importante sviluppare un’operatività multiprofessionale e

coinvolgere in modo diretto e strutturale i medici di medicina generale, i

pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali, costruendo percorsi di

integrazione tra territorio ed ospedale che consentano una risposta

assistenziale più appropriata34. Il coinvolgimento diretto dei medici di

medicina generale è un elemento essenziale, in quanto sono loro di fatto la

34 Come si legge nello stesso “Piano di Razionalizzazione e Riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale” per il triennio 2010-2012 della Regione Calabria

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“porta d’accesso” dei cittadini al servizio e solo attribuendogli un ruolo

attivo nell’organizzazione si potrà chiedere contestualmente loro una

maggiore appropriatezza prescrittiva, un maggior controllo ed un

importante contributo al contenimento della spesa.

Alla base dello sviluppo di meccanismi di coordinamento più evoluti ed

efficaci vi è la collaborazione multidisciplinare e multiprofessionale

(Damiani et a., 2011), che si basa su: l’esistenza di obiettivi condivisi e di

una vision comune, che comportano una radicale trasformazione di valori

ed attività e rendono necessarie sinergie orientate ai bisogni del cliente-

assistito; la consapevolezza da parte dei professionisti delle loro

interdipendenze e dell’importanza di gestirle, che si traduce in senso di

appartenenza, conoscenza personale e professionale di ciascuno, dei loro

valori e fiducia reciproca; la formalizzazione, ossia la definizione chiara di

azioni, ruoli e responsabilità attraverso diversi strumenti; la governance,

intesa come capacità, da parte degli organismi di governo, di fornire linee di

indirizzo chiare ed esplicite, al fine di guidare azioni strategiche in grado di

promuovere l’implementazione di processi di collaborazione.

In questa visione, il distretto esprime la funzione di integrazione nei servizi

sanitari e socio-sanitari tra diversi professionisti, organizzazioni ed assistiti,

facilitando, nel rispetto delle autonomie dei diversi attori, la

responsabilizzazione degli operatori e la programmazione e la valutazione

delle attività su obiettivi comuni di assistenza.

Nell’ambito della riorganizzazione dei servizi territoriali, la Regione

intende muoversi lungo alcune linee programmatiche fondamentali, quali:

facilitare l’accesso all’assistenza territoriale da parte del cittadino; favorire

la prevenzione e la promozione della salute, facendo nascere una cultura

che porti all’adozione di nuovi stili di vita; sviluppare forme organizzate di

medicina generale e creare percorsi e servizi integrati con la rete

ospedaliera; potenziare le cure domiciliari.

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Nel complesso dell’attività specialistica, un particolare ruolo hanno le

attività dei laboratori d’analisi, caratterizzati da continui progressi di ordine

tecnologico e dall’aumento dei costi correlati. Sulla base di apposite

direttive regionali, è necessario che le Aziende Sanitarie Provinciali attuino

puntuali processi di riorganizzazione dei laboratori pubblici, al fine di

migliorare gli standard di qualità delle prestazioni e di ridurre i costi di

gestione, attraverso una concentrazione delle attività che sfrutti i benefici

derivanti dalle economie di scale connesse all’aumento dei volumi. Al

contempo va realizzato un processo di razionalizzazione della rete privata,

che specie in alcune aree mostra un eccesso di offerta con attività di piccole

dimensioni non sempre adeguate agli standard qualitativi richiesti. Tale

processo dovrà tendere a favorire una diversa collocazione territoriale

dell’offerta ed un utilizzo integrato e sussidiario dei servizi rispetto

all’offerta pubblica. Va sottolineato, inoltre, come il raggiungimento di

adeguati standard qualitativi delle prestazioni specialistiche e diagnostiche

ambulatoriali passi necessariamente, soprattutto per i produttori privati,

attraverso il completamento della procedura di accreditamento.

Una criticità rilevante del Servizio Sanitario Regionale calabrese, analizzata

nel Piano di Rientro, è la spesa farmaceutica convenzionata, per quanto

riguarda la quale è operativamente necessario mettere in atto interventi volti

ad un controllo accurato della “medicalizzazione” degli assistiti e ad una

ricerca di soluzioni più economiche per l’erogazione dei medicinali agli

assistiti.

Al fine di una migliore qualificazione delle prestazioni erogate dai servizi

sanitari un importante elemento da affrontare è quello relativo alle variabili

organizzative e comportamentali in grado di produrre errori o eventi avversi

nei confronti dei pazienti trattati. Il miglioramento della qualità

dell’assistenza deve diventare patrimonio culturale comune a tutto il

personale sanitario ed obiettivo di tutti, da perseguire attraverso processi

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valutativi e formativi ed un continuo confronto multiprofessionale. La

formazione si configura nel Piano di Rientro quale leva strategica a

supporto dei cambiamenti culturali, gestionali ed organizzativi e la sua

importanza richiede la predisposizione di un piano di formazione

focalizzato su azioni capaci di avviare integrazioni e relazioni intersettoriali

e di vincere la sfida di coniugare l’efficienza gestionale con la qualità delle

cure.

Complessa, ma di vitale importanza, è la questione relativa al sistema

dell’emergenza-urgenza, che richiede una rivisitazione complessiva,

mostrando in molti aspetti obsolescenza, diseconomicità e scarsa efficienza.

La necessaria razionalizzazione del servizio di emergenza territoriale 118

passa attraverso una distribuzione strategica sul territorio dei mezzi di

soccorso adeguati ai tipi d’intervento ed una più corretta distribuzione delle

postazioni di soccorso con medico a bordo, con una parallela

riorganizzazione del servizio di Guardia Medica e di continuità

assistenziale, in funzione di una più razionale ed appropriata rete

ospedaliera dell’emergenza, la cui corretta riorganizzazione passa anche

attraverso una più razionale presenza della rete territoriale del 118, che

garantisce la tempestiva stabilizzazione dei pazienti critici di quel

determinato territorio e la conseguente allocazione alla sede più idonea per

il trattamento definitivo, in armonia con un’efficiente ed equilibrata rete per

le patologie complesse. È necessario, inoltre, allentare la pressione

impropria sul Pronto Soccorso, che ne condiziona l’efficacia ed efficienza,

vista l’alta percentuale di codici bianchi e verdi registrata dal servizio di

emergenza-urgenza, casi che potrebbero essere opportunamente trattati in

altre strutture presenti sul territorio.

Un altro ambito di intervento identificato dal Piano di Razionalizzazione e

Riqualificazione del SSR come prioritario per le finalità di rientro è quello

relativo al costo del personale, che per entità complessiva della spesa e

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disallineamento rispetto alla media nazionale richiede un intervento

strutturale che permetta di ridurre al contempo la numerosità del personale

ed il costo medio per dipendente.

La Regione Calabria mostra una sostanziale carenza nei sistemi di

monitoraggio e controllo, volti sia alla verifica dell’attendibilità delle

scritture contabili e quindi dei dati di bilancio, sia alle verifiche gestionali

ed al monitoraggio dell’andamento della gestione, nonché alla verifica della

correlazione tra dati di produzione e corrispondenti dati economici di

derivazione contabile35.

Il governo della dinamica dei costi di produzione impone l’adeguamento

del Sistema di monitoraggio regionale delle prestazioni e dei servizi sanitari

erogati e dei costi sostenuti per erogarli. Il Sistema deve abilitare i processi

di pianificazione, programmazione e controllo delle variabili gestionali ed

economiche, processi indispensabili ai fini del perseguimento degli obiettivi

definiti dalle politiche regionali e dallo stesso Piano di Rientro. L’attività di

monitoraggio ha come obiettivo quello di apportare consistenti effetti

economici indiretti inducendo comportamenti improntati ad una via via

maggiore efficienza e legittimità. Essa, però, può esplicarsi solo in presenza

di sistemi informativi e di controllo precisi, puntuali ed efficaci, ben lontani

dalle informazioni poco tempestive, incomplete e con basso livello di

certificazione fornite dal sistema sanitario regionale in assenza di un

programma di innovazione digitale.

Il perseguimento degli obiettivi del Piano di Razionalizzazione e

Riqualificazione del SSR per essere efficace deve, dunque, essere

accompagnato anche da una profonda riorganizzazione dei sistemi

35 Come rileva lo stesso “Piano di Razionalizzazione e Riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale” per il triennio 2010-2012 della Regione Calabria

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informativi, che dovranno essere progettati e realizzati a supporto dei

processi di governo della spesa e di erogazione dei servizi sanitari.

Nella prima metà del 2009 la Regione, in seguito ad una crescita costante

della domanda sanitaria e della spesa sanitaria, ha vissuto un periodo di

grande criticità, risultando inadempiente relativamente ad alcune attività

che garantiscono i LEA e venendo affiancata da un Advisor per una

ricognizione della situazione economico-finanziaria, che ha determinato, in

via ancora provvisoria ed approssimativa, in 2.166 milioni di euro il debito

aggregato delle Aziende Sanitarie calabresi.

Viste queste premesse, la Regione Calabria con il Piano di Rientro intende

riportare il cittadino al centro del sistema sanitario, adottando una

prospettiva di “clinical governance” che, attraverso il riequilibrio

assistenziale, nel giovare al cittadino, diviene anche condizione favorente il

raggiungimento del riequilibrio economico, patrimoniale e finanziario.

In una visione d’insieme, il Piano di Rientro nella sua struttura triennale è

un’operazione di estrema complessità, i cui obiettivi principali ed assi

portanti degli interventi operativi programmati sono: la ristrutturazione

della rete dell’offerta territoriale e la riqualificazione della rete dell’offerta

ospedaliera, attraverso il bilanciamento del rapporto tra il territorio e

l’ospedale; la riorganizzazione ed il rafforzamento delle procedure e delle

strutture di monitoraggio e controllo amministrativo-gestionale e

dell’analisi della produzione.

In seguito alla riunione di verifica tenutasi nel Luglio 2010 circa lo stato di

attuazione degli obiettivi del Piano, essendo state riscontrate permanenti

criticità ed inadeguatezze tali da costituire i presupposti necessari ai fini

dell’attivazione della procedura di commissariamento, il Consiglio dei

Ministri, con delibera del Presidente del Consiglio del 30 Luglio 2010, ha

nominato il Presidente pro-tempore della Regione Calabria Giuseppe

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Scopelliti quale Commissario ad acta per dare attuazione al Piano di Rientro

dai disavanzi nel settore sanitario.

Successivamente, visto il drammatico quadro della sanità calabrese, in data

4 Agosto 2010, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha affiancato al

Commissario ad acta due sub-commissari: il Generale della Guardia di

Finanza dott. Luciano Pezzi ed il dott. Giuseppe Navarra, al fine di

rafforzare l’impatto dell’attività commissariale.

In particolare, i punti del mandato commissariale in capo al dott. Pezzi

riguardano: la razionalizzazione ed il contenimento delle spese per il

personale e per l’acquisto di beni e servizi; la definizione dei contratti con

gli erogatori privati accreditati, dei tetti di spesa delle relative prestazioni e

la ridefinizione delle relative tariffe; la revoca o la modifica dei

provvedimenti regionali approvati in carenza o difformità di preventivo

parere di approvazione da parte dei Ministeri interessati all’attività di

affiancamento, in coerenza con le linee del Piano di Rientro.

Al dott. Navarra, invece, in base a quanto stabilito nel mandato

commissariale, competono: gli interventi sulla spesa farmaceutica

convenzionata, per la realizzazione degli obiettivi del Piano e sulla spesa

farmaceutica ospedaliera, finalizzati al suo riallineamento agli obiettivi

programmati in sede nazionale; il completamento del riassetto della rete dei

laboratori e di assistenza specialistica ambulatoriale; gli interventi sulla

spesa relativa alla medicina di base; l’introduzione di misure di

partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie; il riassetto della rete

ospedaliera con adeguati interventi per la dismissione/riconversione dei

presidi non in grado di assicurare adeguati profili di efficienza e di efficacia

e revoca degli accreditamenti per le corrispondenti strutture private

accreditate; l’attuazione della normativa statale in materia di autorizzazione

ed accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento della vigente

normativa regionale.

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La verifica del 27 Ottobre 2010 ha mostrato il permanere di criticità rispetto

agli obiettivi del Piano di Rientro, specie per la tardiva adozione di

provvedimenti per quanto concerne il riordino della rete ospedaliera,

territoriale, dell’emergenza-urgenza e la sottoscrizione dei contratti con gli

operatori privati.

La necessità sempre più impellente di una profonda rivisitazione ed

innovazione dell’attuale strutturazione del Servizio Sanitario Regionale è

stata espressa anche nell’ultimo Documento di Programmazione Economico

Finanziaria della Regione Calabria per gli anni 2011-2013, in cui

l’appropriatezza delle prestazioni viene identificata quale obiettivo

principale da perseguire non solo da parte di chi garantisce le cure, ma

anche favorendo una crescita culturale di chi fruisce delle strutture sanitarie,

al fine di evitare un uso improprio delle stesse. Si dovrà passare da

un’organizzazione incentrata sull’erogazione di singole prestazioni ad una

che individua processi ben definiti, standardizzati e finalizzati al

conseguimento di obiettivi di salute certi, condivisi e valutabili,

un’organizzazione a rete che mette al centro la persona, all’interno della

quale ruoli e responsabilità sono den definiti e la comunicazione esercita

una funzione importante36.

Gli adempimenti connessi agli impegni assunti con il Piano di Rientro della

spesa sanitaria rendono improcrastinabile una riforma dell’attuale assetto

istituzionale ed organizzativo, su cui basare la ricostruzione dell’intero

sistema e puntando prioritariamente, oltre che su una progressiva

reingegnerizzazione dei processi interni, anche sulla valorizzazione delle

risorse umane.

36 Come sottolinea il Documento di Programmazione Economico Finanziaria della Regione Calabria (DPEFR) per gli anni 2011-2013 approvato dal Consiglio Regionale della Calabria in data 3 Gennaio 2011

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3.4 Conclusione

In una prospettiva di analisi comparativa dei Piani di Rientro della spesa

sanitaria, nell’ambito di una riflessione critica ad ampio raggio dello

strumento in questione, va rilevato come i Piani di Rientro hanno sì da un

lato comportato apprezzabili risultati in termini di rallentamento della

crescita della spesa per le Regioni interessate, ma dall’altro non sono stati

capaci di incidere sulla modifica delle determinanti critiche dei deficit. Si

tratta, dunque, di una procedura istituzionale molto costosa, che sembra non

produrre esiti in linea con le notevoli attese che vi si accompagnavano

(Cuccurullo, Ferré, Lega, 2010).

I Piani di Rientro sono nati per il perseguimento dell’equilibrio economico-

finanziario dei Servizi Sanitari Regionali, nel rispetto dei Livelli Essenziali

di Assistenza ed andando ad incidere sulle cause strutturali del

disequilibrio, attraverso strumenti di coordinamento, collaborazione e

confronto, al fine di diffondere best practice ed emulare le migliori

procedure amministrative, ma forse è proprio in questo che sta il limite più

evidente dei Piani e, dunque, la causa dei risultati alquanto deludenti o

comunque inferiori alle aspettative. Il problema consiste nel gap tra le

finalità intrinseche dello strumento, che lo vedono quale piano di effettivo

riequilibrio e riqualificazione del SSR, e la sua sostanza primaria, che è

prettamente normativo - burocratica, propria di uno strumento di controllo

amministrativo, di pianificazione razionale e gerarchica, che ritiene naturale

che gli adempimenti amministrativi determinino automaticamente effetti

positivi, non considerando le peculiarità dei contesti ai quali si applicano ed

avendo quale finalità quasi esclusiva il ristabilimento in tempi urgenti di

una situazione di grave indebitamento attraverso azioni di

razionalizzazione, ridimensionamento o riduzione di servizi, limitati al

miglioramento nel breve periodo della gestione operativa.

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Il maggior problema che si riscontra nella definizione e soprattutto nel

monitoraggio dei Piani di Rientro, inoltre, è la carenza o la qualità dei dati,

in particolare di carattere economico-finanziario, che ha spinto il Governo

ad obbligare le Regioni sottoposte ai Piani di Rientro ad essere supportate

da un Advisor contabile, individuato dal Ministero dell’Economia e delle

Finanze, al fine di un rafforzamento della credibilità delle azioni adottate e

di una maggiore garanzia di adeguatezza dei modelli contabili e delle

procedure amministrative.

Quella che è mancata in molti casi è una diagnosi seria delle eterogenee

relazioni di causa-effetto tra determinanti, interne ed esterne, che generano

il deficit, unita ad una continua e fattiva comunicazione con gli stakeholder

principali, al fine di allargare la percezione della gravità dei problemi e

della necessità di un turnaround, ovvero di un esplicito, coerente ed

unificato piano degli interventi di azione concreta sui problemi strutturali

del sistema sanitario regionale.

Un approccio esclusivamente economicistico rivolto ai problemi finanziari

della sanità ha come limite forte il fatto che la sola prospettiva economica di

per sé è riduttiva e porta spesso solamente a risultati e soluzioni di breve

termine e non strutturali.

I problemi correlati alla crescita costante della spesa e della domanda

sanitaria non possono essere risolti con dei tradizionali, per quanto utili e

ben articolati possano essere, interventi congiunturali, ma necessitano di

manovre ampie e complesse, che hanno implicazioni tecniche, economiche,

organizzative, sociali e politiche.

Per quanto concerne, nello specifico, la sanità calabrese diventa necessario

ed imprescindibile unire ai doverosi sforzi di risanamento (Guerzoni, 2009),

attraverso l’individuazione di aree di spreco e di inefficienza gestionale ed

organizzativa a livello di pianificazione come di erogazione delle

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prestazioni sanitarie, la sperimentazione di una nuova cultura di governo

organizzativo. L’attenzione deve essere posta non solo sugli strumenti e

sugli automatismi della programmazione strategica ed operativa, ma anche

su tutti quegli aspetti, non meno importanti, che riguardano la storia, la

cultura ed il contesto sociale, economico e politico peculiare della sanità

calabrese.

La sanità più di altri è un settore personnel intensive, in cui la qualità fornita

al cittadino-utente-cliente è principalmente il risultato del modo in cui le

persone operano, è dunque fondamentale la valorizzazione delle risorse

umane che prestano il proprio servizio all’interno delle Aziende Sanitarie e

che sono espressione di una determinata cultura o sottocultura organizzativa

e manageriale in tema di gestione della sanità.

La componente umana, nei suoi aspetti individuali e sociali, va

necessariamente considerata per la progettazione ed il funzionamento dei

sistemi manageriali della realtà calabrese, poiché può costituire un reale ed

efficace supporto ai processi di pianificazione, programmazione e gestione

dei servizi sanitari (Guerzoni, 2009). Il ruolo delle persone è, infatti,

basilare per far funzionare un sistema, com’è quello calabrese,

“tecnicamente perfettibile”, problematico, ma nel quale la componente

umana ha una forza trainante.

La cultura, intesa quale insieme di valori, credenze e concezioni difficili da

modificare, deve essere sempre tenuta in considerazione in tema di gestione

della sanità, in quanto è l’unica forse in grado di influenzare i

comportamenti, tanto nelle situazioni operative quanto nelle scelte di

carattere strategico e nella loro attuazione.

Le misure economiche e finanziarie contenute e previste dal Piano di

Rientro sono da sole insufficienti all’indispensabile ed inderogabile

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riassetto del Servizio Sanitario Regionale, esse vanno accompagnate da una

radicale metamorfosi dei modelli organizzativi e culturali di riferimento.

La classe politica calabrese è rimasta per decenni insensibile ai profondi

cambiamenti che hanno interessato il Sistema Sanitario Nazionale,

causando carenze, omissioni e ritardi nell’organizzazione e gestione

dell’assistenza sanitaria regionale37.

Le incertezze che per lungo tempo hanno caratterizzato il quadro

programmatico, i ritardi e le inadempienze nell’attuazione delle disposizioni

normative possono contribuire a spiegare le inefficienze e le carenze

dell’assetto sanitario calabrese (Griglio, 2005) e la sua incapacità di

adeguarsi alle sollecitazioni di riforma provenienti dalla normativa statale

che, attraverso fasi successive e transitorie, ha continuato a svolgere un

ruolo di “supplenza” nei confronti del governo della sanità a livello

regionale.

Lo stesso Piano di Rientro, in un’ottica critica di stampo economico-

aziendale, rappresenta un’evidente limitazione della sovranità regionale e

dell’autonomia aziendale, che vengono sottomesse ai dettati ministeriali in

cambio di finanziamenti aggiuntivi.

È mancata negli anni in Calabria una visione complessiva della sanità

regionale, che ha impedito la nascita di quella giusta tensione, anche di tipo

valoriale, che permette di canalizzare tutti gli interventi e gli sforzi verso un

unico obiettivo condiviso. Si è proceduto per decenni con azioni correttive

tardive ed incrementali, nell’ambito di una totale assenza di una realistica

percezione collettiva della gravità del problema del disavanzo sanitario, a

37 Come ha rilevato anche la Corte dei Conti nella “Relazione sul tema dell’assistenza sanitaria con particolare riferimento alla gestione ospedaliera nella Regione Calabria – anni 2000/2001 e stime 2002”

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causa dell’errata convinzione circa la gravità e l’allarme della situazione,

ritenuta congiunturale e non radicata in elementi strutturali.

Anche quando ci si è resi conto della necessità di un processo di riforma

radicale ed immediato, esso ha incontrato non pochi ostacoli a causa del

gran numero di stakeholder interessati, una moltitudine di attori rilevanti

con obiettivi fortemente conflittuali che tende a favorire la paralisi

strategica o la diluizione delle iniziative di cambiamento.

Il processo di riforma, inoltre, è stato poco partecipato ed è mancata la

necessaria coesione tra i diversi soggetti coinvolti. La Regione Calabria,

dunque, per poter garantire ai propri cittadini servizi socio sanitari

efficienti, ha ancora oggi bisogno di una profonda rivisitazione ed

innovazione dell’attuale strutturazione del Servizio38 che, nell’ultimo

quinquennio, in assenza di un piano sanitario e totalmente slegato dalle reali

esigenze di funzionalità che il sistema richiedeva, ha portato il deficit

finanziario a toccare il considerevole importo di oltre due miliardi di euro,

peraltro non ancora accertato in via definitiva.

La vera sfida consiste nell’individuare realmente la mission della sanità

calabrese nella promozione e tutela della salute dei cittadini-utenti,

mettendo in moto un circolo virtuoso che dia vita ad un vero rinnovamento

dei servizi sanitari calabresi, partendo da valori condivisi, da un comune

senso di responsabilità e puntando sul capitale umano.

C’è bisogno di una governance seria e coerente, che non significa solo

capacità di dettare linee guida chiare e precise, ma anche leadership di

manager e classe dirigente, supporto ai professionisti ed apprendimento

continuo per sostenere i cambiamenti nelle attività cliniche, condivisione di

38 Come ammette anche il “Documento di Programmazione Economico Finanziaria della Regione Calabria per gli anni 2011-2013”, approvato dal Consiglio Regionale della Calabria il 3 Gennaio 2011

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rischi e responsabilità a livello decisionale tra tutti i soggetti coinvolti,

collegamento tra individui ed organizzazioni facilitato dalla disponibilità di

luoghi d’incontro.

Il management delle istituzioni sanitarie calabresi deve assumersi

l’obiettivo di motivare il proprio personale ad essere agente del

cambiamento (Guerzoni, 2009) e per fare ciò deve essere dotato esso stesso

in primis di notevoli capacità di leadership, autorevolezza e credibilità, in

quanto non si tratta solo di gestire una realtà di per sé estremamente

complessa, ma di favorire anche un profondo cambiamento dei valori

attualmente presenti, impostando tutta l’attività su criteri indispensabili per

la produzione di un outcome coerente con le esigenze della collettività.

Nonostante il tempo perso e le occasioni sprecate, dunque, la Calabria può

ancora farcela, ma serve uno sforzo eccezionale da parte di tutti gli attori ed

i soggetti coinvolti, un rinnovamento culturale, strutturale ed organizzativo

condiviso, in quanto solo la condivisione di soluzioni che vanno oltre i meri

interessi particolari in gioco può permettere al sistema sanitario regionale di

uscire dalla crisi in cui versa.

Serve una classe dirigente rinnovata, capace, forte e coesa, in grado di

costruire ed implementare veri programmi aziendali ad ampio respiro ed a

lungo termine che, basandosi sulla condivisione delle ambizioni e dei rischi

ed investendo sul potenziale del personale, si impegni concretamente nel

cambiamento.

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Legge Regionale (Calabria) n. 11/1996

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Legge Regionale (Calabria) n. 34/2002

Legge Regionale (Calabria) n. 30/2003

Legge Regionale (Calabria) n. 11/2004

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