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Dipartimento di Scienze Veterinarie Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria Tesi di Laurea Sviluppo di un metodo rapido ed economico per l’estrazione del DNA da tessuto muscolare di pesce mediante l’utilizzo di biglie metalliche Candidato: Relatore: Titarenko Evgeniya Prof.ssa Alessandra Guidi Correlatore: Dott. Andrea Armani

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Tesi di Laurea

Sviluppo di un metodo rapido ed economico per

l’estrazione del DNA da tessuto muscolare di pesce

mediante l’utilizzo di biglie metalliche

Candidato: Relatore:

Titarenko Evgeniya Prof.ssa Alessandra Guidi

Correlatore:

Dott. Andrea Armani

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RIASSUNTO

Nel settore ittico, dove le frodi per sostituzione, sia involontarie che intenzionali, hanno

raggiunto livelli allarmanti, le analisi molecolari sono sempre più utilizzate, sia da parte delle

Agenzie Ufficiali che da parte dell’industria, al fine di verificare la tracciabilità e la qualità

dei prodotti. L’estrazione del DNA rappresenta una fase necessaria e cruciale nella

processazione del campione destinato alle analisi molecolari. Tra gli inconvenienti associate a

questa procedura ricordiamo ad esmpio: l'uso di materiali tossici, la bassa resa e la scarsa

produttività, dovuta alle procedure manuali molto laboriose. In questo lavoro, al fine di

superare i problemi sopraelencati, abbiamo sviluppato un metodo alternativo basato su una

procedura di frantumazione del tessuto con l’utilizzo di sfere metalliche (bead-milling)

omettendo la fase di digestione mediante proteinasi K. Il nuovo metodo è stato confrontato

sia con un protocollo salting out sviluppato in un lavoro precedente, sia con un kit

commerciale. Sono stati valutati la resa, la purità spettrofotometrica, il livello di degradazione

con utilizzo dell'elettroforesi e l'amplificabilità del DNA estratto. In particolare,

l'amplificabilità del DNA è stata stimata mediante la comparazione dell'intensità delle bande,

visualizzate in elettroforesi su gel, dopo l'amplificazione dei geni 16s rRNA e COI con la

PCR convenzionale e i valori di take-off dopo l'amplificazione del gene 16s rRNA con la real-

time PCR. I risultati hanno dimostrato che il metodo basato sul bead-milling permette di

ottenere quantità accettabili di DNA con buona purità e buone caratteristiche di

amplificabilità. Sebbene il metodo salting out rimanga un protocollo più efficiente in termini

di purità, la procedura basata sul bead-milling può essere considerata una valida alternativa

anche in relazione alla ridotte esigenze in termini di costi e manodopera.

Keywords: estrazione del DNA, bead milling, muscolo del pesce

ABSTRACT

In the fish food sector, where frauds have reached alarming levels, the molecular analysis is

increasingly applied to to verify the quality of goods. DNA extraction represents a necessary

and critical step for all types of DNA analysis. Among the drawbacks associated with this

procedure, there are handling of toxic materials, low DNA yield and low throughput due to

time-consuming manual procedures. In this work, to overcome some of these problems, we

developed an alternative method based on a bead milling procedure without proteinase K

digestion. The new method was then compared with both a salting out protocol developed in

a previous work and a commercial kit. Yield, spectrophotometric purity, electrophoretic

degradation pattern, and amplificability of the extracted DNA were assessed, In particular,

DNA amplificability was evaluated by comparing the band intensity on the gel after

amplification of the 16S rRNA and COI genes with a conventional PCR and the take-off

cycles after amplification of the 16S rRNA gene with a real-time PCR. The results showed

that the bead-based method allowed to obtain acceptable amounts of DNA, with good purity

and good characteristics of amplificability. Although the salting out method remains the most

effective protocol in terms of pure performances, the bead-milling procedure can be

considered a valid alternative, in the light of its lower demand in terms of labor and costs.

Keywords: DNA extraction, bead milling, fish muscle.

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INDICE

INTRODUZIONE 6

CAPITOLO 1. PROBLEMATICHE ISPETTIVE DEL COMPARTO ITTICO 8

1.1 QUADRO GENERALE 8

1.2. PERICOLI CONNESSI AL CONSUMO DEI PRODOTTI ITTICI

1.2.1. Pericoli fisici

1.2.2. Pericoli biologici

1.2.2.a Contaminazione virale dei prodotti ittici

1.2.2.b Contaminazione microbica dei prodotti ittici

1.2.2.c Zoonosi parassitarie trasmesse da prodotti ittici

1.2.2.d Biotossine algali

1.2.2.e Pesci velenosi

1.2.2.f Istamina

1.2.3 Pericoli chimici

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CAPITOLO 2. LE FRODI NEL COMPRTO ITTICO 23

2.1. CENNI SULLE FRODI ALIMENTARI 23

2.2. ASPETTI GIURIDICI DELLE FRODI ALIMENTARI 23

2.3. LE PRINCIPALI FRODI NELL'ESERCIZIO DEL COMMERCIO DEI PRODOTTI

ITTICI

2.3.1. Frodi per sostituzione di specie

2.3.2. Frodi qualitative

2.3.3. Frodi quantitative

2.3.4. Frodi sanitarie

2.3.4.a Trattamenti che possono mascherare uno stato di alterazione

2.3.4.b Utilizzo illecito di sostanze non consentite ed utilizzo di sostanze consentite

al di sopra dei limiti previsti dalle Leggi

2.3.4.c Commercializzazione di prodotti ittici vietati

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CAPITOLO 3. NORMATIVA SULLA SICUREZZA ALIMENTARE DEI

PRODOTTI DELLA PESCA

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3.1 L'EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE SULLA SICUREZZA ALIMENTARE

NELL'EU

3.1.1. Analisi del rischio

3.1.2. Il principio di precauzione

3.1.3. Rintracciabilità degli alimenti

3.1.4. Le nuove responsabilità degli operatori del settore alimentare

3.1.5. L'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA)

3.1.6. Il Pacchetto Igiene

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3.1.7. Etichettatura dei prodotti alimentari 47

3.2. IGIENE E SICUREZZA NELLA FILIERA ITTICA

3.2.1. Qualità igienico-sanitaria dei prodotti ittici

3.2.2. Etichettatura e rintracciabilità dei prodotti ittici

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CAPITOLO 4. IDENTIFICAZIONE DI SPECIE NEI PRODOTTI ITTICI

MEDIANTE TECNICHE ANALITICHE DI LABORATORIO

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4.1. MICROCHIMICA ED ANALISI DEGLI ISOTOPI STABILI 65

4.2. ANALISI DEGLI ACIDI GRASSI 66

4.3. MARKER PROTEICI 67

4.4. ANALISI DEL DNA

4.4.1. Il DNA mitocondriale

4.4.2. Metodiche dell'estrazione degli acidi nucleici

4.4.3. La Reazione a Catena della Polimerasi (PCR)

4.4.4. Inibizione della PCR

4.4.5. Sequenziamento del DNA

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CAPITOLO 5. MATERIALI E METODI 88

5.1. SCELTA DELLE SPECIE, RACCOLTA DEI CAMPIONI, CAMPIONAMENTO E

CONSERVAZIONE

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5.2 SVILUPPO DI UN METODO NON ENZIMATICO PER L'ESTRAZIONE DEL DNA

TOTALE MEDIANTE L'UTILIZZO DI BIGLIE METALLICHE

5.2.1 Ottimizzazione del protocollo

5.2.2. Protocollo finale (B30, B60)

5.2.3. Procedura di decontaminazione e sterilizzazione delle biglie di acciaio

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5.3. COMPARAZIONE DELLE DIVERSE PROCEDURE D'ESTRAZIONE

5.3.1. Estrazione con il kit commerciale

5.3.2. Digestione enzimatica e protocollo d'estrazione Salting out

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90

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5.4. DETERMINAZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA DEL DNA TOTALE

5.4.1. Quantificazione spettrofotometrica del DNA estratto

5.4.2. Valutazione dell'integrità del DNA tramite elettroforesi su gel

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5.5. L'AMPLIFICABILITA' DEL DNA

5.5.1. PCR convenzionale

5.5.2. PCR Real Time

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92

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5.6. VALUTAZIONE DEI COSTI E DEL TEMPO NECESSARI PER CIASCUN

METODO

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5.7. ANALISI STATISTICA 93

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CAPITOLO 6. RISULTATI E DISCUSSIONI 95

6.1. PROCEDURA DI BEAD-MILLING: OTTIMIZZAZIONE E PROTOCOLLO FINALE 96

6.2. COMPARAZIONE TRA LE DIVERSE PROCEDURE D'ESTRAZIONE

6.2.1. Resa finale e qualità spettrofotometrica

6.2.2. Pesi decrescenti

6.2.3. Integrità del DNA

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6.3. AMPLIFICABILITA' DEL DNA

6.3.1. PCR convenzionale

6.3.2 PCR Real Time

100

101

101

6.4. VALUTAZIONE DEI COSTI E DEL TEMPO NECCESSARI PER CIASCUN 103

CAPITOLO 7. CONCLUSIONI 104

APPENDICE 105

BIBLIOGRAFIA 113

RIFERIMENTI NORMATIVI 129

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INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni, a livello mondiale, si è registrato un notevole aumento della richiesta e

del consumo dei prodotti della pesca che, come conseguneza, hanno determinato l'aumento

della produzione e del commercio internazionale di questa tipologia di prodotto. Tali

cambiamenti, in concomitanza all'ampia diversificazione dell'offerta associata al settore

ittico, hanno favorito una sensibile diffusione delle frodi alimentari.

Una delle frodi più comunemente riscontrata è la sostituzione di specie ittiche pregiate con

altre di minor valore. Questa forma di frode, che rientra nella categoria delle falsificazioni,

oltre all'impatto economico può comportare anche problemi di tipo sanitario.

Per i suddetti motivi, per poter garantire la qualità e la salubrità di un prodotto, la corretta

identificazione di specie assume una fondamentale importanza. Fino ad oggi l’identificazione

morfologica del pesce intero rimane l'unica metodologia ufficiale nell'EU, che, però, diventa

poco efficiente in caso dei prodotti lavorati e trasformati nei quali le caratteristiche

anatomiche vengono completamente alterate. L'impossibilità di effettuare un riconoscimento

della specie implica evidenti problemi ispettivi anche dal punto di vista della tracciabilità

della filiera. Pertanto negli ultimi tempi si ricorre sempre di più all'identificazione della

specie con l’utilizzo delle metodiche biomolecolari, in particolare, su quelle basate sull'analisi

delle sequenze del DNA.

In effetti, il DNA, è caratterizzato da sequenze di basi azotate, uniche per ogni essere vivente

che permettono di distinguere una specie da un’altra. Una volta che il DNA totale viene

estratto dai tessuti, è possibile, grazie alla tecnica della PCR, amplificare un numero

elevatissimo di frammenti relativi al gene target d’interesse. Questi, una volta sequenziati,

possono essere confronti con le sequenze depositate nelle banche dati on-line, rendendo

possibile l’identificare di specie. Il DNA mitocondriale, grazie alle sue caratteristiche

intrinseche, ed in particolar modo grazie alla sua maggiore frequenza mutazionale rispetto a

quello nucleare, rappresenta la molecola più utilizzata per le applicazioni di biologia

molecolare al fine del riconoscimento delle specie ittiche, Le sequenze “target” indagate sono

in genere quelle dei geni che codificano per le subunità dell’RNA ribosomiale (12srRNA-

16srRNA) e quelli che codificano per le 3 subunità della Citocromo C .

Qualsiasi approccio analitico basato sull'analisi del DNA dovrebbe essere efficace ed

economico (Galimberti et al., 2013). L'efficacia si basa, sostanzialmente, sulla possibilità di

contare sul buon esito dell'amplificazione mediante PCR che a sua volta dipende molto

dall'ottenimento di una quantità sufficiente del DNA di alta qualità. Infatti, è fondamentale

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che ogni metodo di estrazione sia capace di massimizzare la rimozione dei contaminanti che

possono inibire la PCR, aumentando la possibilità del successo nelle fasi successive. Per

questa ragione l'estrazione del DNA è considerato uno step cruciale nella processazione dei

campioni destinati all'analisi basate sulla PCR. Sopratutto nel settore ittico, in relazione alla

molteplicità delle specie presenti, la scelta di una tecnica appropriata dovrebbe essere

accuratamente valutata.

L'estrazione del DNA si ottiene mediante due approcci diversi: un legame selettivo per

affinità del DNA a supporti rivestiti di silice o sfere magnetiche oppure attraverso procedure

che, grazie all’utilizzo di solventi organici o di soluzioni saline altamente concentrate (salting

out), permettono di rimuovere tutte le molecole estranee concentrando il DNA. In generale,

una fase fondamentale dell'estrazione del DNA è la distruzione del tessuto e la lisi delle

cellule, in quanto questo step influenza enormemente la quantità degli acidi nucleici che

vengono liberati. Numerosi metodi, sia chimici che fisici, sempre seguiti da digestione

enzimatica con la proteinasi K sono stati proposti per la lisi dei tessuti. Tra le diverse

procedure conosciute, una agitazione rapida dei campioni in presenza di sfere di vetro o

acciaio (bead-milling) si sono dimostrati efficaci per diversi tipi di matrice di origine

microbica, vegetale o animale.

Supponendo che la distruzione meccanica dei tessuti in presenza di biglie possa ridurre il

tempo ed i costi, e tenendo in conto l'assenza di studi mirati su tessuti di pesci, in questo

lavoro abbiamo sviluppato un metodo di estrazione del DNA semplice ed economico, basato

sul bead-milling, seguito da una fase di salting out senza l’utilizzo dell’enzima proteolitico.

Nel nostro studio abbiamo valutato vantaggi e svantaggi di questo metodo di estrazione

paragonandolo con una procedura di salting out ed un kit commerciale, entrambi preceduti da

lisi enzimatica, sia su campioni freschi che su campioni conservati in etanolo, ottenuti da 38

specie diverse. Infine, la resa, la qualità e il grado di degradazione dei DNA estratti ed il loro

effetto sulla performance nelle successive fasi analitiche, effettuando un’amplificazione a

mezzo di PCR convenzionale e Real Time PCR sono stati valutati.

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CAPITOLO 1

PROBLEMATICHE ISPETTIVE DEL COMPARTO ITTICO

1.1 QUADRO GENERALE

Negli ultimi decenni i prodotti della pesca e dell'acquacoltura hanno contribuito, e

contribuiscono tuttora in modo cruciale, all'economia ed alla sicurezza alimentare mondiale.

Infatti, rappresentano quasi il 17% della fonte di proteine di origine animale consumate dalla

popolazione mondiale ed il 25% di quelle consumate dai paesi del terzo e del quattro mondo.

La pesca e l’acquacoltura danno occupazione a circa 600-820 milioni di persone che

corrispondono al 10-12 % della popolazione mondiale (FAO, 2012). Da sottolineare che,

nell’ambito di una progressiva crescita della popolazione mondiale, i prodotti ittici

assumeranno un ruolo ancora più importante vista la costante e progressiva riduzione dei

terreni destinati all'agricoltura (Aniol et al, 2012).

Il comparto ittico rappresenta uno dei settori produttivi in più rapida espansione: il rapporto

FAO del 2012 stima che la produzione mondiale complessiva dei prodotti della pesca sia

passata da circa 114 milioni di tonnellate nel 2006 a 131 milioni di tonnellate nel 2011, (FAO,

2012). Dal 1960 al 2007 il consumo mondiale è quasi raddoppiato (Aniol et al, 2012).

Inoltre, i prodotti della pesca continuano ad essere una delle voci merceologiche più

scambiate sui mercati internazionali. Secondo le statistiche disponibili, nel 2011 i valori

dell'esportazione hanno superato i 125 miliardi di dollari. Questa tendenza è legata alla forte

domanda, alle politiche di liberalizzazione del commercio internazionale, alla globalizzazione

dei sistemi alimentari ed alle innovazioni tecnologiche associate alla produzione e

distribuzione (FAO, 2012). L'Unione Europea è tra i quattro più grandi mercati per quanto

riguarda l’importazione di pesce e di prodotti derivati insieme al Giappone, agli Stati Uniti ed

alla Cina. La dipendenza dell'Unione Europea dalle importazioni è in continua crescita e, nel

2010 rappresentava il 40% dell'importazione totale mondiale (FAO, 2012). A livello

comunitario l'Italia è il paese maggiormente dipendente dal mercato internazionale: nel 2012

le importazioni rappresentavano circa il 76 % di tutti i prodotti ittici consumati contro una

media europea del 62% (fonte ISMEA). Al contempo, la quantità del pescato, sia dal mar

Mediterraneo che dai mari europei, è in progressiva diminuzione (fonte ISMEA) e questo

spiega come, il consumatore finale, si ritrovi ad acquistare nella maggior parte dei casi un

prodotto proveniente da altre parti del mondo.

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L'introduzione di nuove specie esotiche sul mercato europeo e quello nazionale è un processo

costante, basta consultare periodicamente l'elenco ufficiale delle denominazioni commerciali

approvate per le specie ittiche dal MIPAF, che è in continuo aggiornamento. In queste

condizioni le Autorità competenti (servizi veterinari, vigili sanitari, carabinieri del NAS,

ufficiali della capitaneria di porto, guardie di finanza), che devono svolgere le attività di

controllo sui prodotti della pesca, si trovano in difficoltà nel riconoscere le nuove specie

ittiche, e questo aumenta il rischio per il consumatore (Armani et al., 2012). Infatti, l’elevato

numero di specie, spesso sottoposte a trattamenti di lavorazione che ne alterano i caratteri

distintivi, costituisce un elemento determinante che facilita la sostituzione (volontaria o

involontaria) di prodotti di pregio con prodotti di qualità inferiore.

1.2. PERICOLI CONNESSI AL CONSUMO DEI PRODOTTI ITTICI

I prodotti ittici rivestono un'enorme importanza nell'alimentazione umana per le loro

proprietà nutritive e salutistiche: forniscono proteine di elevato valore biologico, ricche di

acidi grassi insaturi, di vitamine, di macro e microelementi. La composizione chimica, che

rende questi prodotti così peculiari, al contempo contribuisce alla loro elevata deperibilità. La

velocità dei processi di degradazione e di conservabilità variano con la specie e sono

influenzate dai numerosi parametri relativi alla filiera produttiva (Orban, 2011). Dal momento

in cui vengono pescati, questi prodotti subiscono una serie di trasformazioni che ne

modificano le caratteristiche nutrizionali, organolettiche e lo stato sanitario. aratteristica del

pesce, infatti, quella di possedere un elevato tenore di acqua (fino all’80-85% del peso),

ridotta quantità di tessuto connettivo e uno scarso contenuto di glicogeno muscolare da cui

dipende, oltre che una rapida risoluzione del rigor mortis, anche una scarsa acidificazione

muscolare post mortale. Ciò comporta una minore inibizione dei batteri alteranti e le attività

enzimatiche (Haouet, 2001). L'elevata concentrazione di polipeptidi e aminoacidi liberi nella

muscolatura, che da un lato costituisce un carattere di pregio in termini bromatologici,

fornisce importanti nutrienti per la moltiplicazione batterica. Il loro utilizzo da parte dei

batteri determina la comparsa di sostanze tossiche (ammine biogene e o di odori sgradevoli

(idrogeno solforato, indolo ecc. . Un’altra caratteristica dei prodotti ittici l’elevato tenore di

sostanze azotate non proteiche, come l’ossido di trimetilamina –TMA-O, che in condizioni di

anaerobiosi, viene trasformata in trimetilammina-azoto TMAO-N da alcune specie batteriche

psicrotrofe (Photobacterium spp., Shewanella spp.), responsabili del tipico odore

“stantio”(Giuffrida et al, 2008 . Inoltre nei prodotti ittici, gli acidi grassi insaturi possono

andare incontro a fenomeni di irrancidimento (soprattutto se il contenuto dei lipidi è

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maggiore dell’ 8%, come nell’aringa, nello sgombro, nella sardina, nel salmone, nell’anguilla,

ecc.), sia di tipo aldeidico sia di tipo chetonico (Haouet, 2001). Inoltre, i pesci grassi

assimilano pi facilmente le sostanze liposolubili come gli idrocarburi, che accidentalmente

possono essere presenti nell’ambiente marino (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per

la produzione primaria, 2009).

In generale, i pesci di taglia pi grande sono pi resistenti di quelli di taglia pi piccola che,

per questo motivo, non vengono sottoposti a decapitazione e/o asportazione del contenuto

addominale e conseguente dissanguamento. Anche i fattori legati alla conformazione del

pesce e la strutturazione dei tessuti possono influenzare la deperibilità: i pesci erbivori sono

pi deperibili poich possiedono un apparato intestinale molto pi sviluppato rispetto a quello

dei pesci carnivori i pesci con cute pi spessa, come gli Sparidi, i Serranidi e i Mugilidi,

sono meno deperibili rispetto a pesci di altre famiglie (Gadidi, Scombridi, ecc...) perchè la

loro cute offre un'elevata resistenza alla migrazione batterica transcutanea (AA.VV. Manuale

di buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009); nei “pesci piatti”, nei quali il

rapporto tra superficie cutanea e massa muscolare è piuttosto elevato, la più rilevante fonte di

contaminazione muscolare è la cute, mentre in pesci a sezione trasversale circolare la più

importante fonte è l'intestino (Giuffrida et al, 2008).

I rischi connessi al consumo di prodotti ittici possono essere rappresentati da contaminanti di

origine biologica, chimica o fisica. La presenza di questi contaminanti principalmente

dovuta all’influenza dell’ambiente acquatico. Il livello di contaminazione dipende inoltre

dall’età dell’animale, dal suo tipo di alimentazione e dal tenore lipidico della specie. Tuttavia,

un’impropria manipolazione e conservazione del prodotto, dal momento della pesca fino alla

vendita al dettaglio e alla conservazione casalinga, pu influire negativamente sulla qualità e

sicurezza nel’uso del prodotto (Orban, 2011 .

1.2.1 PERICOLI FISICI

I pericoli fisici possono essere rappresentati da:

oggetti che cadono accidentalmente nel pescato, come sporco, parti dei contenitori,

frammenti di vetro, di metallo o ami che possono risultare pi frequenti nel caso della

pesca con i palangari (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione

primaria, 2009);

sabbia e fango o altri detriti che si possono trovare all’interno dei molluschi bivalvi

vivi (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009);

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radioattività, dovuta all'inquinamento delle acque in seguito a fall-out radioattivi, che

si trasmette lungo tutta la catena alimentare, interessando oltre tutto i prodotti della

pesca (Avellini, 2008).

1.2.2 PERICOLI BIOLOGICI

I pericoli biologici sono dovuti alla presenza, nei prodotti ittici, di virus, batteri, parassiti,

tossine algali per i molluschi bivalvi che possono provocare patologie nell’uomo.

1.2.2.a Contaminazione virale dei prodotti ittici

Attraverso il consumo di prodotti ittici vengono trasmessi diversi tipi di virus, in particolare

tramite il consumo di molluschi quali ostriche, cozze e cappesante (Guandalini, 2011). I virus

di origine umana a trasmissione oro-fecale giungono al mare attraverso le feci e vengono

concentrati negli organismi filtratori. ra i virus pi importanti ci sono: virus dell’epatite A

(Hepatitis A Virus, HAV) e i norovirus (NV) (precedentemente conosciuti come Norwalk-

Like Viruses (NLV) o come Small Round Structured Viruses – SRVS) (Cantoni, 2008).

L’infezione sostenuta dal virus dell’ patite A ( A diffusa in tutto il mondo, con maggior

incidenza nei aesi in ia di Sviluppo, con manifestazioni epidemiche soprattutto dove le

condizioni igienico-sanitarie sono carenti. In Italia l’incidenza relativamente bassa, non

superando i 10 -15 casi ogni 100.000 abitanti/anno (AA.VV. Manuale di buona prassi

igienica per la produzione primaria, 2009). Secondo i dati del Sistema pidemiologico

Integrato dell’ patite irale Acuta (S I A, Istituto Superiore di Sanità) emerge una

valutazione del rischio in cui si stima che il 50-60% delle epatiti A siano correlabili al

consumo di mitili ingeriti crudi o solo parzialmente cotti.

I Norovirus (NV) possono essere considerati i principali agenti di malattie gastroenteriche,

caratterizzate da vomito, diarrea e crampi addominali, nei paesi sviluppati. I N

rappresentano un importante problema di sanità pubblica per la loro capacità di dare luogo ad

infezioni clinicamente rilevanti in tutti i gruppi di età e di trasmettersi con diverse modalità,

fra cui l’ingestione di alimenti contaminati (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la

produzione primaria, 2009). Si stima che i Norovirus siano responsabili di un terzo dei casi

delle gastroenteriti virali ( antoni, 2008 . L’unica misura efficace per eliminare o inattivare il

norovirus o il virus dell’epatite A dai molluschi bivalvi o dai prodotti freschi contaminati

l'accurata cottura (Guandalini, 2011).

1.2.2.b Contaminazione microbica dei prodotti ittici

Un altro tipo di rischio associato al consumo dei prodotti ittici costituito dall’ intossicazione

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di origine microbiologica. La flora batterica di un prodotto ittico strettamente associata alle

caratteristiche dell’ambiente acqueo di provenienza. I pesci provenienti da acque temperate

sono prevalentemente colonizzati da batteri Gram-negativi mesofili, aerobi o anaerobi

facoltativi appartenenti ai generi Pseudomonas, Alteromonas, Xanthomonas, Moraxella,

Acinetobacter, Vibrio, Flavobacterium, Cytophaga e Aeromonas. Nei pesci tropicali, invece

prevalgono i germi Gram-positivi appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae, mentre

in quelli provenienti da acque fredde – Gram-negativi psicrotrofi (Pseudomonas,

Alteromonas, Shewanella) e Gram-positivi del genere Clostridium nell'intestino (Giuffrida et

al, 2008). Nei crostacei tropicali sono state rinvenute significative colonizzazioni da parte di

Corynebacterium e Gram-negativi bastoncellari (Croci, 2003). Il pesce presenta

microrganismi vitali sulla cute, sulle branchie e nell’intestino, mentre le masse muscolari

sono essenzialmente sterili. Sulla cute e nelle branchie generalmente predominano aerobi

(Pseudomonas spp., Aeromonas spp., Acinetobacter spp., Moraxella spp.), mentre a livello

intestinale prevalgono germi Gram-negativi aerobi-anaerobi facoltativi (Vibrio spp. in gran

maggioranza, Alcaligenes spp., Flavobacterium spp., Xanthomonas spp. e in forma pi

modesta alcuni Gram-positivi (Micrococcus spp., Bacillus spp., Corinebacterium

( orgstrom, 1 1 . Il momento in cui pu verificarsi la contaminazione della massa

muscolare del pesce quello riguardante le operazioni iniziali che si compiono direttamente

sul peschereccio: lavaggio, eviscerazione e dissanguamento del pesce. Nel muscolo del

pesce, inoltre, sono presenti alcune proteasi, (catepsine e peptidasi) che nello stato post

mortem favoriscono, mediante l'autolisi, la graduale invasione batterica dall’intestino e la

proliferazione (Croci, 2003). Dopo 2-3 giorni di stoccaggio a temperature di refrigerazione,

tendono a prevalere i batteri psicrofili Gram-negativi aerobi, in particolare Pseudomonas e

Alteromonas spp mentre in pesci provenienti da mari tropicali anche germi quali Vibrio,

Flavobacterium, Acinetobacter e Moraxella possono inizialmente raggiungere livelli

apprezzabili. on l’ulteriore protrarsi della conservazione, la Pseudomonas raggiunge livelli

notevoli, potendo in alcuni casi costituire oltre l’80% della microflora presente. Nel caso di

un ritardo iniziale nella conservazione a basse temperature, quando il prodotto raggiunge uno

stato di deterioramento pi o meno evidente, si pu invece riscontrare un elevato numero di

Bacillus e Aeromonas (Orefice, 1997).

Le specie più pericolose per la sicurezza dei prodotti della pesca e dei molluschi bivalvi e che

possono essere fonte di trasmissione di malattie per l’uomo sono: Clostridium botulinum,

Listeria monocytogenes, Vibrio spp., Aeromonas hydrophila.

Clostridium botulinum presente nei sedimenti dell’ambiente marino nelle zone costiere e

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nelle acque dolci. E' possibile trovarlo nelle branchie e nell'intestino di pesci, crostacei e

molluschi (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009). La

specie C. botulinum comprende diversi tipi di batteri Gram-positivi sporigeni che hanno in

comune la capacità di sintetizzare potenti neurotossine, molto pericolose per la salute umana

in quanto capaci di provocare una sindrome neuroparalitica. La tossina facilmente distrutta

dal calore (80 °C per 15 min, i tipi A e B); le spore invece possono resistere fino a 120 °C. I

clostridi sono fortemente anaerobi per cui la maggior parte delle intossicazioni alimentari

ittiche derivano dal consumo di conserve artigianali inadeguatamente preparate e conservate

sott'olio o prodotti affumicati artigianalmente e conservati in film sottovuoto (Giaccone,

2008).

Listeria monocytogenes è un microrganismo ampiamente diffuso nell’ambiente: si trova

anche nel fondale marino. Il batterio può essere trovato sulle superfici (pelle, muco, branchie,

coda) e nelle cavità intestinali dei pesci (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la

produzione primaria, 2009). L. monocytogenes un germe poco esigente capace di resistere e

moltiplicare in condizioni considerate avverse per altri batteri. Esso infatti sopravvive al

congelamento e all’essiccamento, pu moltiplicarsi a temperature di refrigerazione,

sopravvivere alle alte temperature (70-75°C), a valori di pH acido (4,4) e basico (9,6) e in

presenza di sale da cucina (NaCl 10-12%). L. monocytogenes è responsabile di meningiti,

setticemie, infezioni polmonari, affezioni gastroenteriche. Particolarmente pericolosa per

alcune fasce di popolazione, come le donne in stato di gravidanza (passaggio

transplacentare), i neonati e le persone anziane (EFSA, 2011). Gli alimenti ittici veicolo di

questa infezione sono costituiti principalmente dalle preparazioni crude, marinate o

affumicate a freddo (Guandalini, 2011).

Il genere Vibrio comprende i batteri bastoncelli Gram-negativi comunemente presenti nelle

acque marine come componenti della microflora batterica, per cui i prodotti della pesca, e

particolarmente i molluschi e crostacei, possono essere naturalmente contaminati, soprattutto

se provenienti da acque temperate o tropicali (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per

la produzione primaria, 2009). Le specie pi comunemente associate a tossinfezioni

nell’uomo sono: V. parahaemolyticus, V. cholerae sierotipi O1 o O139 e V. vulnificus. Le

specie V. hollisae, V. alginolyticus e V. fluvialis pur avendo determinato casi di malattia

alimentare umana, rappresentano un problema meno rilevante (Panebianco et al, 2008). I

vibrioni danno generalmente disturbi di tipo gastroenterico di varie intensità: nausea, vomito,

diarrea, dolori addominali, febbre. Le infezioni si manifestano generalmente 10-18 ore dopo

il consumo di alimenti contaminati crudi o poco cotti. Il processo di depurazione dei

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molluschi bivalvi solitamente non efficace nei confronti dei vibrioni per cui soltanto una

cottura appropriata dei cibi pu assicurare l’inattivazione dei germi (Guandalini, 2011).

Aeromonas hydrophila è un patogeno ampiamente diffuso negli ambienti acquatici. Sono

pi frequenti isolamenti dai pesci d’acqua dolce e dai molluschi bivalvi, anche se non raro

trovare il batterio in pesci d'acquacoltura marina. Nell’uomo causa patologie gastroenteriche

(diarrea, dolori addominali, nausea, coliti , e tra-intestinali (batteremia, setticemia, meningiti

ed infezioni polmonari e cutanee (dermato-mionecrosi . oich si sviluppa anche a

temperatura intorno ai 2 , molto importante mantenere i prodotti a temperature vicino agli

0 . rattamenti di cottura, p ˂ ,0 e concentrazioni di sale ˃ 4,5 % sono sufficienti per

annullare gli effetti patogeni (Panebianco et al, 2008).

Tra i batteri non presenti naturalmente nell'ambito marino, ma che possono essere pericolosi

per l’uomo troviamo: Salmonella spp., Shigella spp., Escherichia coli e Staphylococcus

aureus.

Salmonella spp. – il genere, appartenente alla famiglia delle Enterobacteriaceae, costituito

da microrganismi Gram-negativi, tipici della flora microbica intestinale dei vertebrati a

sangue caldo e, di conseguenza, rientra nella cosiddetta microflora secondaria o alloctona del

pescato (Panebianco et al, 2008). I prodotti della pesca possano inquinarsi con Salmonella

spp. in due modi essenziali: per contatto con acque costiere, dolci o salmastre, in prossimità

di foci di fiume o scarichi fognari; per inquinamento da manipolazione secondaria in fase di

lavorazione, per inquinamento d’attrezzi di lavoro, superfici, ecc. ra i prodotti ittici, i

molluschi bivalvi vivi sono i pi a rischio, seguiti da filetti di pesce e crostacei cotti sgusciati.

Dei circa 2.500 sierotipi o sierovarietà di Salmonella oggi identificati, S. enteritidis, S.

typhimurium, S. newport e S. heidelberg sono tra quelli maggiormente implicati nelle

tossinfezioni alimentari (Guandalini, 2011). I principali sintomi della salmonellosi sono di

origine gastroenterica e riguardano dolori addominali, nausea, febbre, vomito e diarrea. Per

prevenire l'infezione importante ridurre sia la probabilità di moltiplicazione sia la carica

batterica già presente. La catena del freddo, la conservazione dei cibi cotti o sotto i 6°C o

sopra i 65°C impedisce o rallenta la moltiplicazione batterica nei prodotti. Una cottura

corretta pu inoltre inattivare i batteri presenti (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica

per la produzione primaria, 2009).

Shigella spp. si trasmette attraverso l’acqua contaminata da feci infette. Sebbene

prevalentemente terrestre, alcuni ceppi di bacillo possono sopravvivere nell’ambiente marino

anche sei mesi. Provoca infezioni di carattere gastroenterico con febbre alta, forti dolori

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addominali e dissenteria prolungata. Il rispetto della catena del freddo lungo la filiera,

associato ad un’adeguata cottura, sono le condizioni essenziali per la riduzione significativa

dello sviluppo del batterio (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione

primaria, 2009).

Escherichia coli un batterio che vive nella parte inferiore dell’intestino di animali a sangue

caldo, molto resistente alla salinità. La sua presenza nelle acque un indicatore comune di

contaminazione di origine fecale. La maggior parte delle infezioni dovute a ceppi patogeni

presenti nell’uomo sono da imputare alla scarsa igiene durante la manipolazione o

lavorazione del pescato nell'acqua contaminata. I sintomi della malattia, tipicamente

gastroenterica, sono: diarrea, dolori addominali, febbre, colite. Una buona igiene personale,

delle attrezzature e degli ambienti di lavoro ed una formazione aziendale sulle buone pratiche

igieniche, sono essenziali alla lotta contro le infezioni. Il rischio di infezione pu essere

ridotto o eliminato solo con la cottura dei prodotti ittici prima del consumo (AA.VV. Manuale

di buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009).

Staphylococcus aureus un microrganismo che produce numerose tossine termostabili,

denominate “enterotossine stafilococciche” (S s . Queste danno luogo ad una comune forma

di intossicazione alimentare da enterotossina stafilococcica. Lo S. aureus un batterio

presente sulla cute e sulle mucose dell’uomo e di altri mammiferi. La contaminazione

avviene durante la lavorazione della materia prima o durante la manipolazione nelle fasi di

produzione, commercializzazione e somministrazione dei prodotti ittici, o per la scarsa

igiene del personale e dell’ ambiente. I sintomi caratteristici che compaiono poche ore dopo

l'ingestione dell'alimento contenente le tossine preformate sono: nausea, vomito, brividi,

febbre, diarrea (De Santis et al, 2008).

1.2.2.c Zoonosi parassitarie trasmesse da prodotti ittici

I parassiti pi frequenti nelle specie ittiche di interesse commerciale pescate nei mari europei

sono i nematodi ascaridoidei appartenenti ai generi Anisakis e Pseudoterranova (fam.

Anisakidae). I mammiferi marini, ospiti definitivi (principalmente cetacei per il genere

Anisakis e pinnipedi per il genere Pseudoterranova) si infettano ingerendo pesci e/o

cefalopodi parassitati. L’uomo si inserisce in questo ciclo biologico, come ospite accidentale,

infettandosi con le larve vive presenti sui visceri e o nella muscolatura dei pesci. Le specie

pi frequentemente colpite da parassitosi sono acciuga (Engraulis encrasicolus), sardina

(Sardina pilchardus), sgombro (Scomber scombrus), aringhe (Clupea harengus), triglie

(Mullus sp.), nasello (Merluccius merluccius), mel (Micromesistius potassou), pesce

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sciabola (Lepidopus caudatus), tracuro (Trachurus trachurus) (Guandalini, 2011). Nei pesci

morti da poco le larve di Anisakis vengono generalmente reperite sulla superficie della cavità

gastrointestinale. ntro poche ore i parassiti migrano nelle carni del pesce, per cui il prodotto

non eviscerato pi a rischio rispetto a quello sottoposto a eviscerazione. Le larve possono

essere devitalizzate mediante congelamento a -20 °C per almeno 24 ore, trattamento termico

ad almeno 60 °C/qualche minuto, salagione a secco, trattamenti in salamoia all'8-10% di sale

per 48-72 ore. L’affumicatura e la marinatura non sono in grado di devitalizzare con sicurezza

le larve di Anisakis (Giuffrida et al, 2008 . La malattia collegata all’abitudine di consumare

alimenti crudi o poco cotti o sottoposti a lavorazioni che non prevedono trattamenti termici.

Le larve vive ingerite dall'uomo generalmente muoiono nell'apparato gastrointestinale senza

poter completare il ciclo vitale. Tuttavia in alcuni casi possono provocare dolori addominali,

diarrea, nausea, vomito e, persino perforazioni dell’intestino e dello stomaco. La presenza di

forme larvali di Anisakis sono ritenute responsabili anche di reazioni allergiche mediate da

Ig , con una sintomatologia clinica che va dall’orticaria, all’asma fino allo shock anafilattico

(Genchi et al., 2004).

Opisthorchis spp. è un genere dei digenei che causa l'opistorchiasi nell'uomo ed in alcuni

mammiferi ittiofagi (il gatto domestico è tra le specie più colpite). I parassiti richiedono due

ospiti intermedi, un mollusco acquatico il primo e un pesce d'acqua dolce il secondo. L'uomo

e gli animali, gli ospiti definitivi, contraggono il parassita attraverso l'ingestione di pesce

infestato, poco cotto o crudo. diffuso nelle aree in prossimità di laghi e fiumi in uropa,

Russia e vari Paesi dell'Ex Unione Sovietica (O. felineus) e nel in Sud-Est asiatico

(O.viverrini e Clonorchis sinensis) (Guandalini, 2011). I dati, prevalentemente europei,

mostrano che tra i teleostei più di 35 specie appartenenti alla famiglia Ciprinidae (generi

Abramis, Alburnus, Aspius, Barbus, Blicca, Carassius, Chondrostoma, Cobias, Cyprinus,

Gobio, Leuciscus, Phoxinus, Polecus, Rutilus, Scardinius e Tinca), sono sensibili ai parassiti

del genere Opisthorchis. Per quanto concerne il solo O. felineus, nella ex URSS sono state

identificate 22 specie recettive, appartenenti a 17 generi differenti (WHO, 1995). In Italia

l’unica specie di teleostei positiva per presenza di metacercarie risulta la inca (Tinca tinca)

(De Liberato, 2010; Bossù, 2008; Boscarelli, 2010; Di Raimo). Si ritiene che queste

infezioni siano state causate dall’introduzione di pesci provenienti da regioni endemiche o da

immigrati infetti provenienti da queste regioni, le cui feci abbiano contaminato le acque del

lago dove sono presenti gli ospiti intermedi necessari al completamento del ciclo del parassita

(Guandalini, 2011). Le infestazioni da O. felineus si presentano raramente in forma

asintomatica, più spesso acuta, subacuta o cronica. La sintomatologia acuta si manifesta con

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febbre alta e segni clinici simili a quelli dell’epatite virale. Nelle forme sub-acute e croniche

si possono invece avere i sintomi di colangite suppurativa ed ascessi epatici, colelitiasi,

dimagrimento, edema (WHO, 1995), ostruzione, infiammazione e fibrosi del tratto biliare e

pancreatite (Keiser, 1995). Nei casi avanzati - ipertensione portale, infiammazione cronica

delle vie biliari e la cirrosi epatica (Vennervaldi, 2009). L'unica profilassi efficace

dell'opistorchiasi la cottura a 5 nel cuore dell’alimento per almeno 1 minuto o

congelamento del pesce a -20°C nel cuore per almeno una settimana

(http://www.vetinweb.it/cm_siv/sites/default/files/SELVATICI%20E%20ALTRI%20-

%2003%20OPISTORCHIASI.pdf).

Il Diphyllobothrium spp. è un genere dei cestodi che possono causare la difillobotriasi

nell'uomo attraverso il consumo di pesce crudo o poco cotto. Il Diphyllobothrium latum la

specie pi importante da un punto di vista sanitario. Il ciclo vitale del D. latum comprende

almeno due ospiti intermedi (un crostaceo ed uno o più pesci) ed un ospite definitivo (l'uomo

od altri mammiferi ittiofagi). Le larve una volta ingerite dal secondo pesce ospite perforano

l’intestino e si localizzano nei muscoli incapsulandosi. Nell'ospite definitivo, dopo aver

ingerito il pesce infestato, la larva plerocercoide si attaca all'intestino e completa il suo

sviluppo in parassita adulto. Il D. latum adulto può raggiungere i 10 m di lunghezza con oltre

di 3.000 proglottidi (http://www.cdc.gov/dpdx/diphyllobothriasis/). Tra i pesci ospiti del

parassita vi sono il luccio (Esox lucius), la trota (Salmo trutta), il salmone (Salmo salar), il

pesce persico (Perca fluviatilis), la bottatrice (Lota lota), il salmerino (Salvelinus alpinus) . Il

D. latum è diffuso in Scandinavia, Russia occidentale, regioni baltiche dell'Europa e in Nord

America (http://web.gideononline.com/web/epidemiology/). In Italia, il D. latum stato

individuato nei grandi laghi del Nord ed in particolare nel Lago Maggiore, di omo e d’Iseo

in cui si ritiene che il parassita sia endemico. Tutte le infestazioni sono state causate dal

consumo delle preparazioni di pesce persico crudo (Guandalini, 2011). La difillobotriasi

generalmente si presenta nella forma asintomatica, ma può anche provocare disturbi

gastrointestinali, perdita di peso ed anemia perniciosa per la carenza di vitamina B12

(http://www.cdc.gov/dpdx/diphyllobothriasis/). La prevenzione dell'infestazione può essere

raggiunta attraverso il consumo del pesce cotto o congelato ad almeno -18˚ per 24-48 ore

(Scholz et al, 2009).

1.2.2.d Biotossine algali

Le Biotossine algali sono sostanze organiche con azione tossica, prodotte da alghe

unicellulari, appartenenti alla famiglia delle dinoflagellate o delle diatomee, che si

accumulano nei molluschi filtratori o in altri organismi marini in misura che pu risultare

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pericolosa per la salute umana. Le biotossine acquatiche non provocano danni nell'organismo

che le veicola nella catena alimentare, per cui risulta difficile rilevare la loro presenza nei

prodotti della pesca. Le biotossine sono termo-resistenti e ciò comporta l'impossibilità di

eliminare, con la cottura dei prodotti, il rischio di intossicazione (Avellini, 2008).

Le manifestazioni dell'avvelenamento dipendono dalla natura delle tossine presenti e dalla

quantità di alimento ingerito. Si distinguono in: avvelenamento neuromotorio (PSP Paralytic

Shellfish Poisoning), avvelenamento gastro-enterico (DSP Diarrhetic Shellfish Poisoning),

avvelenamento definito “amnesico” (AS Amnesic Shellfish Poisoning)(AA.VV. Manuale di

buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009), avvelenamento neurotossico (NSP

Neurotoxic Shellfish Poisoning) e avvelenamento dalla ciguatera (CFP Ciguatera Fish

Poisoning)(Avellini, 2008).

- DSP (Diarrhetic Shellfish Poisoning) o sindrome diarroica da molluschi bivalvi. Il

complesso tossico del DS formato da pi molecole liposolubili come l’acido okadaico, le

dino- fisitossine, le pectonotossine, le yessotossine e gli azaspiracidi. Queste causano diarrea

con meccanismo simile a quello svolto dal Vibrio cholerae, controllando la fosforilazione

che controlla la escrezione di sodio dalle cellule intestinali, provocando la liberazione di

grandi quantità di liquidi. Inoltre, possiedono attività cancerogena (Avellini, 2008).

- PSP (Paralytic Shellfish Poisoning) o sindrome paralitica da molluschi bivalvi: ostriche,

mitili, capesante; da molluschi gasteropodi oltre ad alcune specie di crostacei e di pesci che

possono occasionalmente diventare tossici in alcuni periodi dell’anno e causare nell’uomo

tale sindrome. Gli agenti tossici della S agiscono sul sistema nervoso. La S scatenata

dalla sa itossina, una tossina idrosolubile di natura basica, e da 18 altri composti con

proprietà chimiche simili. La sintomatologia si manifesta con parestesia facciale e degli arti,

astenia muscolare e, nei casi gravi (in base alla dose della tossina ingerita) paralisi

respiratoria e morte (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione primaria,

2009).

- ASP (Amnesic Shellfish Poisoning). La tossina in questione l’acido domoico, tossina

idrosolubile, prodotta da microalghe appartenenti alle Diatomee. Provoca patologie

caratterizzate da disordini gastrointestinali e neurologici (perdita di memoria,

disorientamento, confusione mentale, difficoltà di respirazione, e infine, il coma) (Avellini,

2008). In Italia, per le concentrazioni presenti nei molluschi allevati e pescati, la tossina non

costituisce un pericolo (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione

primaria, 2009).

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- NSP (Neurotoxic Shellfish Poisoning). La sindrome è provocata dalla brevetossina, una

tossina liposolubile, prodotta dalle alghe Gymnodinium brevis e Karenia brevis. La

brevetossina agisce sul tratto gastrointestinale e sul sistema nervoso. A questa tossina è

riconducibile una sindrome respiratoria, con sintomi simili a quelli di un attacco asmatico,

dovuta all'inalazione di aerosol d'acqua contaminata durante le maree rosse (Avellini, 2008).

- CFP (Ciguatera Fish Poisoning). La sindrome è dovuta all'azione della ciguatossina e della

maitotossina attraverso il consumo di alcune specie ittiche tipiche della barriera corallina

quali il barracuda, l'epinefelo e i pesci della famiglia Lutjanidae e dell'ordine Perciformi. La

CFP provoca sintomi gastrointestinali, cardiovascolari e neurologici: prima si manifestano

diarrea, vomito e dolori addominali, seguiti da disfunzione neurologica che porta

all'inversione della sensazione di freddo e caldo, confusione, ansietà, crampi muscolari e

perdita delle sensibilità delle dita. Sono stati riportati anche casi di paralisi e morte. L'unica

prevenzione consiste nell'evitare assolutamente il consumo di pesci tropicali di reef (Avellini,

2008).

1.2.2.e Pesci velenosi

Le specie ittiche velenose sono rappresentati dai pesci delle famiglie Tetraodontidae,

Molidae, Diodontidae, Canthigasteridae e Gempylidae. er quanto riguarda i pesci delle

prime quattro famiglie, il pericolo associato al loro consumo dovuto alla presenza nei loro

tessuti della Tetraodontotossina (TTX), una potente neurotossina. La tossina blocca la

conduzione nervosa provocando paralisi, vomito, diarrea, convulsioni, blocco

cardiorespiratorio e, infine, morte (Clark et al, 1999). Le parti del pesce nelle quali si

accumula la tossina sono la pelle e gli organi, tra cui soprattutto il fegato seguito da uova ed

intestino. La tossicità della carne varia tra le specie, nel corso delle stagioni e località

geografiche, e in molti pesci può non essere così pericolosamente tossica (Tepedino et al,

2013). I pesci dell’ordine etrodotiformes vivono soprattutto nei mari dell'estremo oriente

(Cina, Giappone, Filippine, Taiwan) e nel mare del Messico (Ellenhorn et al, 1988), perciò

possono entrare nel circuito commerciale europeo attraverso l'importazione. Tuttavia, alcune

specie della famiglia Tetradodontidae (Sphoeroides pachigaster, Lagocephalus spadiceus e

Lagocephalus sceleratus) sono già state avvistate nel Mare Mediterraneo come rappresentanti

della fauna “lessepsiana” (Arcangeli, 2011 .

Invece, i pesci della famiglia Gempylidae (escolar (Lepidocybium flavobrunneum) e ruvetto

(Ruvettus pretiosus)) sono pericolosi per la presenza nei loro tessuti di elevata quantità di

esteri di cera. Essi possono provocare i disturbi gastro-intestinali sopratutto in chi soffre di

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problemi all’apparato digestivo o nelle donne in gravidanza.

(http://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/doc/92.pdf).

1.2.2.f Istamina

L’istamina un’amina endogena derivante dalla decarbossilazione dell'aminoacido istidina,

presente nei pesci. I livelli particolarmente alti di istidina sono contenuti normalmente nelle

masse muscolari delle specie appartenenti alla famiglia di Scombroidei (sgombro, lanzardo,

palamita, tombarello, tonno ed in misura minore nei lupeidi (sardine, acciughe, spratti .

L’istamina non contenuta nel pesce fresco, o lo in minima quantità: la sua presenza nei

prodotti della pesca deriva prevalentemente dalla degradazione batterica, in grado di

trasformare l’istidina libera nei tessuti in istamina dopo la morte del pesce. La quantità di

istamina notevolmente influenzata dalla temperatura e dai trattamenti. Temperature oltre i 6

°C favoriscono la sua formazione, mentre le basse temperature sono in grado di ritardarla

(AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009). La cottura,

l’affumicatura e la conservazione tramite inscatolamento non eliminano la tossina prodotta. Il

limite tollerato di istamina di 100 ppm, oltre questo limite e in relazione alle quantità di

prodotto consumato, si possono avere i sintomi dell’intossicazione: rash cutaneo, nausea,

vomito, diarrea, crampi addominali (Guandalini, 2011).

1.2.3 PERICOLI CHIMICI (Guandalini, 2011)

I pericoli chimici sono costituiti da metalli pesanti, idrocarburi, diossine e , erbicidi e

pesticidi, che possono essere presenti nell’ambiente acquatico, e contaminare

successivamente il prodotto. La contaminazione chimica maggiormente significativa in

particolari ambienti acquatici, legati alle attività antropiche, come le foci dei fiumi, le aree

portuali o la fascia costiera a ridosso di poli industriali, per cui le specie ittiche che si

ritrovano in questi habitat sono pi soggette ad accumulare sostanze chimiche nel loro

organismo ed a presentare un maggior rischio. Alla contaminazione derivante da attività

antropiche va aggiunta quella dovuta a cause naturali (caratteristiche geochimiche,

vulcanismo).

I metalli pesanti che possono dare problemi accumulandosi nei tessuti dei prodotti ittici, e

che comportano seri rischi sanitari sono: mercurio, piombo, cadmio, arsenico etc. Sono

responsabili di sindromi tossiche nell'uomo a carico del rene, del fegato, del sistema nervoso,

del sistema endocrino e del sistema osseo (Avellini, 2008).

Mercurio. Le acque vengono contaminate per le attività antropiche (antiparassitari in

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agricoltura, siti industriali . Il mercurio presente nell’ambiente acquatico soggetto a un

processo di trasformazione (metilazione batterica dei sedimenti e cos viene assorbito lungo

la catena trofica. I pesci, soprattutto i grandi predatori (es. squalo, tonno, pesce spada

presentano i livelli pi elevati di mercurio sotto forma di metilmercurio, che è la forma più

tossica rispetto a quella inorganica.

Arsenico. Gli organismi acquatici, specialmente quelli marini, presentano elevate

concentrazioni di quest’elemento, ma quasi esclusivamente in forme organiche non tossiche,

come l’arsenobetaina e gli arsenozuccheri. Nel pesce e nei frutti di mare la proporzione

relativa di arsenico inorganico, che molto tossica ridotta, e tende a diminuire con

l’incremento del contenuto di arsenico totale.

Cadmio. Il cadmio un metallo pesante che contamina l’ambiente sia per cause naturali sia

come conseguenza dei processi industriali e agricoli. er la popolazione, la fonte principale di

esposizione al cadmio rappresentata dall’ingestione di alimenti quali cereali, alghe marine,

crostacei e molluschi bivalvi.

Piombo. Le principali fonti d’esposizione al piombo per la popolazione in generale sono:

l’aria e l'alimentazione. ra gli organismi acquatici, i molluschi bivalvi e i crostacei

presentano le maggiori concentrazioni di piombo. Risulta comunque basso il rischio di

assunzione di questo elemento attraverso il consumo di prodotti ittici.

Gli idrocarburi presenti nelle acque marine come conseguenza del trasporto via mare del

petrolio, o come effetto dell’uso dei suoi derivati nei carburanti marini, possono essere

assimilati attraverso i prodotti della pesca e dei molluschi e determinare una intossicazione

cronica nel consumatore. Tra gli idrocarburi gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), sono

composti organici che si formano nel corso della combustione incompleta di prodotti come il

carbone, il petrolio, il gas o i rifiuti, causando un inquinamento nell’ambiente che pu

contaminare i prodotti alimentari, inclusi quelli della pesca ed i molluschi. Per quanto

riguarda le specie ittiche è più facile ritrovare delle concentrazioni elevate di IPA nei pesci

che vivono nelle acque interne, quindi pi esposte a fonti inquinanti antropiche, e in specie

ittiche cosiddette grasse e di taglia medio-grande, come salmoni e anguille.

Gli alimenti possono essere contaminati dagli IPA anche nel corso di processi non

direttamente legati alla produzione primaria quali affumicatura, riscaldamento ed

essiccazione, a causa del contatto diretto tra l’alimento e i prodotti della combustione.

Le diossine sono un gruppo di composti chimici aromatici policlorurati derivate da processi

di combustione non controllata provenienti da attività antropiche quali: l’incenerimento dei

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rifiuti, gli scarichi dei veicoli di trasporto, la produzione di plastiche, ecc... Queste si liberano

nell’ambiente contaminando il suolo e le acque e penetrano nella catena alimentare. Le zone

costiere risultano le pi sensibili a causa delle numerose specie stanziali che le popolano

(crostacei, molluschi, specie pelagiche durante il periodo di riproduzione).

I PCB (policlorobifenili) sono composti chimici che, sebbene vietati ormai da diversi anni,

rappresentano ancora una forma di inquinamento ambientale altamente diffusa, a causa della

loro permanenza nell’ambiente. In passato erano utilizzati nella sintesi di antiparassitari,

erbicidi, inchiostri, solventi e in determinati processi industriali per componenti elettrici. Si

caratterizzano per la quasi totale insolubilità in acqua, che determina fenomeni di accumulo

nel tessuto adiposo degli organismi marini. Le diossine e i PCB sono considerate sostanze

altamente tossiche avendo mostrato un’ azione neoplastica.

Gli erbicidi e pesticidi usati in agricoltura possono interessare le aree di pesca e le zone di

produzione e di stabulazione dei molluschi attraverso le foci dei fiumi o i canali agricoli di

comunicazione e rimanere nell’ambiente per lunghi periodi di tempo, con la possibilità di

accumularsi nella componente lipidica degli organismi viventi, risultando tossici per l’uomo e

la fauna selvatica (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione primaria,

2009).

Il problema dei residui di farmaci veterinari o di sostanze disinfettanti nei tessuti degli

organismi acquatici, si pu presentare quando: 1. si supera l’MRL stabilito, cio si

impiegato un farmaco autorizzato ma non in maniera adeguata (dosi, frequenza, tempi di

sospensione 2. si utilizzato illecitamente un farmaco o una sostanza non autorizzata o

vietata. Se i aesi U si sono dotati di una buona regolamentazione per l’uso del farmaco

veterinario in acquacoltura, a livello internazionale permangono tra i vari Stati diversità

normative e di organizzazione nei controlli locali e ci crea qualche problema sui prodotti

d’importazione che a volte risultano contaminati da sostanze non autorizzate nella U .

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23

CAPITOLO 2

LE FRODI NEL COMPARTO ITTICO

2.1. CENNI SULLE FRODI ALIMENTARI

Negli ultimi anni il fenomeno delle frodi ha raggiunto una tale rilevanza da minacciare

fortemente l'igiene e la sicurezza degli alimenti, oltre che gli interessi economici dei cittadini

(Colavita et al., 2012).

Dal 2008 fino al 2013 “in Italia le frodi a tavola sono triplicate con incremento del 170% del

valore degli alimenti sequestrati perchè falsificati, contraffatti o adulterati... Nel 2013 quasi

un italiano su cinque (18 %) è stato vittima di frodi alimentari con l'acquisto di cibi fasulli,

avariati ed alterati e con effetti dannosi sulla salute”(Isole24ore, 2013).

Attualmente sono molteplici i fattori che possono facilitare la realizzazione di frodi da parte

degli operatori del settore alimentare in cerca di un rapido profitto (Rea, 2012):

la globalizzazione del mercato con l'ingresso di grandi quantità di merce non

convenzionale che spesso viene può essere spacciata per un prodotto locale di valore e

qualità superiore;

il progresso nelle conoscenze scientifiche e tecnologiche che permettono di introdurre

nuovi metodi per rallentare, inibire o mascherare condizioni indesiderate degli

alimenti o conferire caratteristiche che non possiedono;

le difficoltà nel reperimento di materie prime idonee che spesso vengono sostituite da

quelle di minor pregio o di diversa origine;

la pubblicizzazione dei prodotti con conseguente aumento della domanda e dei prezzi

che provocano l'immissione nel commercio di prodotti fraudolentemente spacciati per

prodotti di pregio, ma che non corrispondono a quanto dichiarato;

le crisi economiche periodiche con le loro ripercussioni sulla stabilità economica di

molte imprese, che spesso ricorrono ad azioni fraudolente per il raggiungimento dei

propri obiettivi;

le stagionalità della richiesta e produzione di alcuni prodotti con conseguente

diminuzione della materia prima che molto spesso viene sostituita da prodotti di

provenienza diversa;

complessità delle normative in campo alimentare, talvolta di difficile comprensione

ed interpretazione, che vengono sempre più aggirate da parte dell'OSA.

A volte è il consumatore stesso, con le sue esigenze, a spingere i produttori a mettere in atto

le frodi, poiché non accetta le condizioni che sarebbero, in realtà, più naturali: un esempio

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classico è l'apprezzamento di tranci di tonno fresco di colore rosso innaturale trattati con il

monossido di carbonio rispetto alle carni di colore rosso cupo naturali e tipiche del tonno

(Colavita et al., 2012).

on il termine “frodi alimentari” si intende la produzione, detenzione, commercio, vendita o

somministrazione di alimenti non conformi alle normative vigenti. In generale sono quelle

azioni che portano ad una diminuzione del valore dell'alimento, economico, nutritivo, o

entrambi, da parte del produttore o venditore al fine di trarne vantaggio (Semeraro, 2011).

Secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, in relazione alla produzione ed alla

vendita dei prodotti alimentari, si distinguono due forme di frode:

Frodi commerciali: comprendono tutte le azioni fraudolente sugli alimenti che danneggiano

gli interessi economici del consumatore, senza arrecare necessariamente nocumento danni

alla sua salute.

Frodi sanitarie: dette anche frodi tossiche, perchè costituiscono una minaccia per la salute

del consumatore.

Inoltre, in base agli effetti esercitati sulla composizione e/o sugli aspetti esteriori

dell'alimento, si distinguono:

frodi sulla qualità intrinseca dell'alimento;

frodi inerenti alla commercializzazione degli alimenti.

Secondo quanto riportato da Semeraro (2011), le frodi sulla qualità intrinseca dell'alimento si

distinguono in:

Adulterazioni: un alimento è adulterato quando, ad opera volontaria dell'uomo, viene

introdotta una modificata della sua composizione a seguito di mescolamento con altre

sostanze di qualità inferiore o a seguito di privazione di elementi utili o caratterizzanti il

prodotto.

Alterazioni: consistono in modifiche delle caratteristiche chimico-fisiche e/o organolettiche

di un alimento, dovute ai fenomeni degenerativi per cattiva o prolungata conservazione. Sono

i casi ove la condotta umana (ad esempio, disattenzione o dimenticanza) può aver provocato

l'episodio, ma in modo colposo, non doloso. Non vi è volontà cioè di arrecare un danno.

Sofisticazioni: sono modifiche volontarie della composizione originale di un alimento

mediante l'aggiunta di sostanze estranee, o la sostituzione di uno o più elementi propri del

prodotto con sostanze di qualità e valore inferiore, o mediante l'uso di sostanze chimiche non

consentite dalla legge, al fine di migliorarne l'aspetto o per coprirne i difetti.

Le frodi riguardanti la commercializzazione dei prodotti alimentari includono:

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Falsificazioni: consistono in operazioni fraudolente nelle quali un alimento viene sostituito

con un altro, spesso con uno di valore commerciale inferiore.

Contraffazioni: sono le azioni fraudolente finalizzate a conferire al prodotto un'identità

diversa da quella propria o a creare un prodotto ex novo apparentemente simile a quello reale.

Questa pratica può essere ricondotta all'adulterazione o alla sofisticazione, e in questi casi

l'inganno può essere esplicito, quando l'etichetta dichiara il falso, o implicito, quando il tipo

di confezione, la forma, il marchio, pur in assenza di una dichiarazione di falso, arrivano a

confondere il consumatore. Vengono in questo caso sfruttati i vantaggi commerciali che un

marchio più noto può dare.

Un altro modo di suddividere le frodi alimentari è seguente (Rea, 2012):

le frodi perpetrate direttamente sul prodotto, modificandone la sua composizione (mediante

aggiunta o sottrazione di costituenti o di sostanze estranee);

le frodi perpetrate sulla documentazione o sulle dichiarazioni (comprese quelle riportate in

etichetta) inerenti al prodotto stesso (composizione, caratteristiche, conservabilità) o ai

requisiti dello stabilimento di produzione (in termini sia di strutture sia di organizzazione), ai

mezzi di trasporto, ai metodi di produzione, alla provenienza ecc.

2.2. ASPETTI GIURIDICI DELLE FRODI ALIMENTARI

L'ordinamento giuridico italiano attraverso il Codice di Consumo (D.Lgs 206/2005) prevede

una serie di norme poste a garantire i diritti del consumatore, in caso di difetto di conformità

tra bene richiesto e bene consegnato. Questa tutela trova il proprio campo d’applicazione

ogni qualvolta la difformità tra quanto richiesto e quanto consegnato sia frutto di una scelta

incosciente ed involontaria del venditore. Qualora, invece, la consegna di un bene “diverso”

derivi dall’intenzione di ingannare consapevolmente il consumatore/acquirente

consegnandogli con coscienza e volontà un bene non identico a quello richiesto, dichiarato o

pattuito, si configura un’ipotesi di reato di frode nell’esercizio del commercio (Art. 515 del

C.P.). Quando le frodi riguardano il commercio o la distribuzione dei prodotti alimentari, una

valenza meramente commerciale quasi inevitabilmente affianca quella sanitaria (Colavita et

al., 2012), per cui tali frodi possono essere catalogati nei delitti contro l'incolumità pubblica

(Att. 438-444 del C.P.).

Il Titolo VI e VIII, Libro II del Codice Penale racchiude tutte quelle fattispecie di reato a

quali possono essere ascritte i frodi in campo alimentare:

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Titolo VIII Delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio:

Capo II Delitti contro l'industria e il commercio:

Art.515 “Frode nell'esercizio del commercio”:

, diversa da quella dichiarata o patt

, con la reclusione fino a due anni o con

2.065 €”.

Art. 516 “ endita di sostanze alimentari non genuine come genuine”:

1.032”.

Art. 517 “ endita di prodotti industriali con segni mendaci”

ltra disposizione di legge, con la reclusione fino ad un anno

20.000 00 €”.

Titolo VI Delitti contro l'incolumità pubblica:

Capo II Delitti di comune pericolo mediante frode:

L'art. 438 “ pidemia”

“ ' diante la diffusione di germi patogeni è punito con

' . S ”(la pena

di morte è stata abolita dall'art.1 del D.Lgs. n.224/1944).

L’art. 439 “L’avvelenamento di acque e di sostanze alimentari”:

”. “S

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”.

L’art. 440 “Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”:

reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffa in modo pericoloso

”.

Art. 441 “Adulterazione o contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute”:

commerci '

€ 1.309”.

Art. 442 “ ommercio delle sostanze alimentari contraffatte o adulterate”

“ i reati preveduti dai tre articoli precedenti, detiene per

il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose

che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte in modo pericoloso alla

salute pub ”.

Art. 444 “ ommercio di sostanze alimentari nocive”:

.

persona che le ac ”.

In sintesi, e frodi alimentari dal punto di vista giuridico-penale si possono classificare in

(Lenzini&De Rosa, 2008):

- reati che presidiano il bene giuridico rappresentato dall’igiene e sicurezza degli alimenti

- reati che presidiano il diverso bene giuridico della correttezza e lealtà nel commercio

alimentare;

- reati di frode miranti a conseguire illeciti finanziamenti o sovvenzioni in campo di

produzione o

distribuzione alimentare.

Un altra norma di carattere penale tesa a tutelare la salute del consumatore è la Legge 283/62

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(artt. 5, , 12 e 12 bis , inerente “la disciplina igienica della produzione e della vendita delle

”. I reati riconducibili a questi articoli non costituiscono

frodi vere e proprie poiché è assente l'elemento volontario, si tratta più dell'inosservanza di

una serie di condotte che possono provocare situazioni potenzialmente pericolose per la

salute umana, e non si ripercuotono direttamente in maniera negativa sulla salute con un

danno immediato. In questo caso la commissione dell'illecito si concretizza qualora non

venga rispettata una prescrizione, a prescindere dalla concreta pericolosità del prodotto

(Meazza, 2012). Ad esempio, detenzione e distribuzione degli alimenti in cattivo stato di

conservazione, per mancato rispetto della temperatura, per mancanza di involucro protettivo,

con cariche microbiche superiori ai limiti, insudiciate, invase da parassiti, in stato di

alterazione ecc (art. 5 Legge 283/62).

In conclusione, al fine di contrastare il problema delle frodi nell'esercizio del commercio dei

prodotti alimentari il Ministero della Salute, in accordo con il Ministero della Giustizia, in

attuazione dell'art. 8 della Legge 462/86, inerente le “ re urgenti in materia di

prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari”, pubblica annualmente sulla

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, i nominativi dei responsabili delle frodi

alimentari le cui sentenze sono passate in giudicato.

2.3. LE PRINCIPALI FRODI NELL'ESERCIZIO DEL COMMERCIO DEI

PRODOTTI ITTICI

Il reparto ittico è caratterizzato da una serie di elementi che possono agevolare i

comportamenti scorretti dei produttori, commercianti o venditori. I tipi di frode che si

possono riscontrare in questo settore sono molte e svariate, ma si possono ricondurre alle

seguenti tipologie:

1. Frodi per sostituzione di specie;

2. Frodi qualitative;

3. Frodi quantitative;

3. Frodi sanitarie.

2.3.1. FRODI PER SOSTITUZIONE DI SPECIE

L'elevata richiesta dei prodotti della pesca e l’enorme varietà delle specie ittiche che il

mercato offre portano inevitabilmente alla diffusione di frodi per sostituzione. Essendo

sempre più dipendente dai prodotti ittici provenienti da acque internazionali il mercato ittico

europeo commercializza, nella maggior parte dei casi, prodotti d'importazione (Aniol et al,

2012). Le specie ittiche provenienti dai mari extra-europei sono spesso morfologicamente

molto simili a quelle domestiche, ma, in alcuni casi, presentano un valore commerciale e

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nutritivo inferiore. Quindi, i consumatori, ma anche i Servizi Veterinari chiamati ad effettuare

i controlli ispettivi su questi prodotti, si ritrovano in difficoltà nell'identificare con certezza le

specie di acque europee più apprezzate e più costose. Questo costituisce un presupposto per

l'aumento del numero di prodotti commercializzati con etichettatura errata (volontaria o

deliberata) e delle frodi per sostituzione di specie (Tepedino et al, 2000, Campagna et al.,

2008).

Tali frodi sono ancora più facilmente realizzabili nel caso dei prodotti lavorati e trasformati

quali filetti, bocconcini, tranci, spiedini, crocchette ecc. che hanno un sempre maggior

diffusione. Ciò avviene perchè le caratteristiche morfologiche identificative dei pesci, durante

i processi tecnologici si perdono favorendone la sostituibilità (Galimberti et al., 2013).

Quando una specie ittica viene sostituita con un’altra, il danno per il consumatore sempre di

tipo economico-commerciale riconducibile all'art. 515 del C.P., ma spesso può anche avere

ripercussioni di carattere sanitario e in questi casi si configura nelle artt. 440, 442, 444 del

C.P oltre all'art.5 della Legge 283/62. Ad esempio, si ricordano i casi di decessi in Italia negli

anni settanta a seguito di avvelenamento da tetrodotossina, per il consumo di tranci di pesce

palla (Tetraodon miurus) della famiglia Tetraodontidae falsamente dichiarati come tranci di

rana pescatrice (Lophius piscatorius). I pesci della famiglia dei Gempilidae (Ruvettus

pretiosus e Lepydocibium flavobrunneum), oggetto di uno specifico divieto di

commercializzazione sul territorio nazionale, possono essere spacciati per tonno (Lowenstein,

2009). La sostituzione di pesce serra (Pomatomus saltator) al posto del branzino

(Dicentrarchus labrax pu provocare intossicazione da istamina, poich il primo contiene

maggiori quantità del suo precursore. La commercializzazione di preparazioni alimentari

contenenti pesce al posto di crostacei o di molluschi, e viceversa, può esporre a rischi i

consumatori allergici. La sostituzione di molluschi bivalvi nostrali con bivalvi esotici,

raccolti in aree non controllate per la presenza di biotossine, o la sostituzione di specie ittiche

mediterranee con quelle extra-europee, provenienti dalle acque inquinate, costituiscono altri

esempi di frodi per sostituzione che in realtà possono comportare gravi rischi per il

consumatore (IZS Venezie, 2011).

In seguito vengono riportati i casi più frequenti di sostituzioni fraudolente di specie:

Specie ittiche pregiate Specie ittiche sostitutive

Tonno rosso (Thunnus thynnus) Tonno a pinne gialle (Thunnus albacares)

(Arcangeli, 2011)

Tonno a pinne gialle (Thunnus albacares) Tonno obeso (Thunnus obesus) (Gaviglio, 2011)

Merluzzo indopacifico (Thunnus tonggol)

(Gaviglio, 2011)

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Diverse specie di tonno (Thunnus spp.) Smeriglio (Lamna nasus)(Jacquet et al, 2007)

Squalo volpe (Alopias vulpinus )(Jacquet et al,

2007)

Escolar (Lepidocybium flavobrunneum)

(Lowenstein, 2009)

Rana pescatrice (Lophius budegassa e

Lophius piscatorius)

Diverse specie di rana pescatrice (Lophius spp.)

(Armani et al, 2011)

Pesce spada (Xiphias gladius) Squaliformi:

Palombo (Mustelus mustelus, Mustelus

asterias), Palombo maculato (Mustelus

punctulatus), Palombo atlantico (Mustelus

achmitti), Verdesca (Prionace glauca), Squalo

volpe (Alopias vulpinus), Smeriglio o mako

(Isurus oxyrinchus), Smeriglio (Lamna nasus),

Spinarolo (Squalus acanthias e Squalus

blainvillei) e molte altre (Rea, 2012)

Palombo (Mustelus mustelus) Spinarolo (Squalus acanthias)(De Maddalena,

2002)

Verdesca (Prionace glauca)(Lucchetti, 2008)

Smeriglio o mako (Isurus oxyrinchus)(Barbuto

et al, 2010)

Ricciola (Solea vulgaris) Pangasio (Pangasius hypophtalmus) (Filonzi et

al., 2010)

Pesce persico (Perca fluviatilis) Persico africano (Lates niloticus)(Rea, 2012)

Varie specie di Cernia Pangasio (Pangasius hypophtalmus) o

(Pangasius micronemus)(Berrini, 2011)

Pesce falco(Oxycirrhites typus)(Gaviglio, 2011)

Platessa (Pleuronectes platessa)(Gaviglio,

2011)

Eglefino (Melanogrammus aeglefinus) (Berrini,

2011)

Platessa (Pleuronectes platessa) Passera del Pacifico (Lepidopsetta polixsitra)

(Arcangeli, 2011)

Halibut (Hippoglossus hippoglossus) Pangasio (Pangasius hypophtalmus)(Arcangeli,

2011)

Bianchetto (novellame di Sardina

pilchardus)

Pesce ghiaccio (Neosalanx spp. o Protosalanx

spp.)(Armani et al., 2011)

Dentice (Dentex dentex) Pagro (Pagrus pagrus)(Gaviglio, 2011)

Pesce falco (Oxycirrhites typus)(Gaviglio,

2011)

Ombrina atlantica (Pseudotolithus Typus)

(Gaviglio, 2011)

Merluzzo (Gadus morhua) Ruvetto (Ruvettus pretiosus) (Jacquet et al,

2007)

Altre specie di merluzzo (Gaviglio, 2011)

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Calamaro (Loligo vulgaris o Lolio forbesi) Totano (Illex coindetii, Todarodes sagittatus o

Ommastrephes bartramii) (Rea, 2012)

Polpo (Octopus vulgaris) Polpo messicano (Octopus maya) (Gaviglio,

2011)

Polpo indopacifico (Octopus aegina e Octopus

cyanea) (Arcangeli, 2011)

Vongola verace (Tapes aureus o

Tapes philippinarum)

Vongola del Pacifico (Paphia undulata, Paphia

textile, Meretrix meretrix, Meretrix lyrata o

Meretrix lusoria) (Rea, 2012)

Tabella 2.1. Esempi delle frodi per sostituzione nel comparto ittico.

L'individuazione di frodi per sostituzione di specie avviene mediante controllo visivo sul

prodotto intero e anche, in certi casi, sul prodotto in tranci o sfilettato, grazie alla diversa

distribuzione dei fasci muscolari nelle diverse specie, alla differenza dei profili, alle

differenze nelle basi ossee ecc. In caso dei prodotti trasformati o lavorati è indispensabile

ricorrere alle tecniche analitiche di laboratorio delle quali si parlerà nel Capitolo 4 della

presente tesi.

2.3.2. FRODI QUALITATIVE

Oltre alle frodi per sostituzione di specie, rientrano sempre nelle frodi nell'esercizio del

commercio del settore ittico, anche quelle di tipo “qualitativo”, riconducibili alle frodi per

contraffazione (art. 515, 516, 517 del C.P.): la vendita o somministrazione dei prodotti

decongelati per freschi, la commercializzazione di prodotti d'allevamento per prodotti

selvatici catturati in mare e l'impiego illecito di marchi tutelati.

La frode più comune che si riscontra nel comparto ittico è la vendita o somministrazione dei

prodotti decongelati per freschi (Colavita, 2012). Il pregio elevato dei pesci, crostacei e

molluschi freschi costituisce una delle motivazioni che rende i prodotti della pesca un

frequente oggetto di frodi di questo tipo. La normativa ha stabilito che per freschi si

intendono i prodotti “

imballati sotto vuoto o in atmosfera modificata che, ai fini della conservazione, non hanno

subito alcun trattamento diverso dalla refrigerazione, inteso a garantirne la

”(Reg. CE 853/2004), escludendo in tal modo la congelazione e la

surgelazione. Tuttavia alcuni dettaglianti pongono in vendita come fresco il pesce refrigerato,

che ha in precedenza subito un periodo più o meno lungo di magazzinaggio a temperatura di

congelazione (-20 – 30 °C). La diffusione di questo tipo di frode è favorita dalla mancanza di

macroscopici elementi validi che potrebbero aiutare il consumatore nell'identificazione del

prodotto conservato con uno dei due diversi metodi. In più, tale frode riguarda principalmente

le specie di pesci con carni magre che subiscono minori alterazioni durante lo scongelamento

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(Arcangeli et al., 2003 e quindi risulta difficilmente “smascherabile”. er poter distinguere i

prodotti ittici freschi da quelli decongelati gli ispettori possono ricorrere alla valutazione

dell'aspetto esteriore, che però risulta utile nel prodotto commercializzato intero, nel quale

possibile evidenziare alterazioni riconducibili ad una fase di pregresso congelamento. Altri

elementi valutabili sono rappresentati dalla solidificazione del “nero di seppia” nei

cefalopodi, l'opacizzazione del cristallino e la rottura delle pinne nei pesci. Questo esame

però non è applicabile in uguale misura a tutte le specie (Fasolato et al., 2008), perciò in

ausilio al metodo sensoriale di solito vengono applicati tecniche di laboratorio, che indagano

proprietà fisiche, chimiche o biologiche del pesce sottoposto a congelamento: l'esame

microscopico di uno striscio ematico per la conferma dell'avvenuta emolisi; la valutazione

della resistenza al passaggio della corrente attraverso le masse muscolari; la valutazione

dell'attività enzimatica. Quest'ultimo prevede lo studio del comportamento delle enzimi

HADH (β-idrossiacil-CoA-deidrogenasi) e α-glucosidasi (Fasolato et al., 2008). Accanto ai

metodi convenzionali stanno affacciandosi nuove tecnologie tra quali il NIRs (Near infrared

reflectance spectroscopy) o la spettroscopia del vicino infrarosso (Xiccato et al., 2004;

Fasolato et al., 2008).

Un'altra frode di tipo “qualitativo” molto diffusa consiste nella commercializzazione di

prodotti d'allevamento come prodotti selvatici catturati in mare. L'apprezzamento dei prodotti

della pesca selvatici da parte del consumatore insieme alla continua diminuzione degli stock

di specie di maggior pregio e l'intensificazione degli allevamenti (FAO, 2012) creano le

condizioni favorevoli per poter perpetrare questo tipo di frode. La possibilità di individuare la

sostituzione di un prodotto pescato con un prodotto allevato, è limitata ai soggetti interi e

talvolta richiede una notevole esperienza da parte degli operatori, tuttavia negli ultimi anni

sono state messe a punto diverse tecniche utili ai fini della rintracciabilità dell'origine dei

prodotti che possono essere impiegati anche nei prodotti ittici non più interi, quale risonanza

magnetica nucleare (NMR), spettroscopia vicino all'infrarosso (NIRS) (Segato et al., 2002,

Fasolato et al., 2004) , spettrometria di massa isotopica (IRMS) (Novelli, 2011) e metodiche

molecolari basati sull'analisi del DNA (Skaala et al., 2004).

Un’altra possibile frode consiste nell'impiego illecito dei marchi tutelati. Nell’ambito del

comparto ittico ra i marchi protetti riconosciuti in Italia ci sono soltanto “ inta inca Gobba

Dorata del ianalto del oirino” DO (Reg. n. 1 0 2008 e “Acciughe sotto sale del Mar

Ligure”, (Reg. n. 77 2008 IG . Un altro marchio tutelato spesso soggetto ad abusi è

quello relativo al “biologico”.

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2.3.3. FRODI QUANTITATIVE

Le frodi di tipo “quantitativo”, riconducibili sopratutto alle frodi per sofisticazione (art. 515

del C.P.):, comprendono tute quelle operazioni che traggono in inganno i consumatori circa la

massa totale del prodotto: vendita dei prodotti ittici con peso ponderale differente rispetto a

quello richiesto o pattuito; aumento della percentuale della glassatura nei prodotti della pesca

congelati o surgelati; introduzione di scaglie o pezzi di ghiaccio attraverso la bocca dei pesci,

o direttamente nelle confezioni, oppure nel mantello dei molluschi cefalopodi, od ancora

mediante il rinfresco dei molluschi bivalvi vivi ecc (Rea, 2012).

2.3.4. FRODI SANITARIE

Anche se il termine di “frode sanitaria” non compare specificatamente nei odici o nelle

Leggi con le adulterazioni, contraffazioni e sofisticazioni, con questo tipo di frode non solo

s'inganna la buona fede del consumatore, ma si pone anche un rischio per la sua salute. Si fa

presente che la categoria “frodi sanitarie”, di cui faremo degli esempi, non una categoria

assoluta in quanto può essere ricondotta alle treprecedenti tipologie di frodi.

2.3.3.a Trattamenti che possono mascherare uno stato di alterazione

Al fine di nascondere uno scadente stato di freschezza, allungando in tal modo la vita

commerciale dei prodotti ittici, gli operatori disonesti possono ricorrere a varie tecniche: da

semplici manipolazioni come decapitazione (operazione che di per sè non costituisce una

frode), asportazione di branchie e occhi, desquamazione, mescolamento di prodotti in

avanzato stato di conservazione con prodotti freschi, fino all'impiego delle sostanze chimiche

come per esempio lavaggio con acqua e aceto o altri acidi organici (per allontanare odori

anomali), ravvivamento del colore delle branchie mediante un trattamento con anilina e

ammoniaca, o degli estratti vegetali, come ad esempio estratto di rape rosse o di acerola (per

raggiungere una colorazione rossa accesa sopratutto nel tonno) (Colavita, 2012). Un altro

additivo non consentito, ma ampiamente utilizzato soprattutto nel tonno, è il monossido di

carbonio che conferisce al tessuto muscolare un colore rosso vivo, che a sua volta maschera il

deterioramento del prodotto dovuto alla prolungata conservazione. Questa pratica rappresenta

un rischio per il consumatore in quanto le carni invecchiate del tonno accumulano alte

concentrazioni di istamina in grado di provocare un'intossicazione acuta (sindrome

sgombroide) (Giaccone, 2004). La valutazione dello stato di freschezza si effettua con

l'utilizzo di metodi sensoriali, dei quali si parlerà in modo dettagliato nel Capitolo 3 della

presente tesi. Nei casi, laddove eventuali interventi (spellatura, filettatura, tranciatura)

potrebbero aver ridotto la possibilità di rilevare eventuali caratteristiche anomale di

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freschezza, è necessario ricorrere alla determinazione analitica di alcuni parametri: ossido di

trimetilamina (TMAO) o trimetilamina (TMA), azoto basico volatile totale (ABVT),

dialdeide malonica (DAM), istamina, numero dei perossidi, indolo, ammoniaca, inosina

monofosfato, ipoxantina ecc., alcuni di quali (TMA-N, TMAO, TMA e ABVT) (Rea, 2012).

Sono stati anche proposti vari indici complessi, basati su diversi parametri analitici, quali la

valutazione dei prodotti della degradazione a cascata dell'ATP (Saito et al, 1959) o la

determinazione di diversi prodotti del catabolismo delle sostanze azotate e lipidiche (Cianti et

al, 2007).

2.3.3.b Utilizzo illecito di sostanze non consentite ed utilizzo di sostanze consentite al di

sopra dei limiti previsti dalle legge

Queste sostanze possono essere impiegate, ad esempio, per conferire alle carni una

colorazione più attraente alla vendita: la colorazione dei prodotti ittici, soprattutto dei

crostacei, può essere raggiunta mediante l'utilizzo di coloranti Sudan Rosso, Rosso Congo o

Sudan III alcuni dei quali da tempo messi al bando per la loro comprovata pericolosità. Molte

sostanze chimiche vengono usate per ottenere un effetto conservante, come ad esempio i

solfiti nei crostacei in grado di rallentare o impedire l'insorgenza del fenomeno delle macchie

nere (black spots). I solfiti sono gli additivi autorizzati per il trattamento dei crostacei, ma

molto spesso si riscontrano degli abusi: vengono impiegati in concentrazioni superiori ai

limiti previsti, usati nelle quantità consentite ma non dichiarati in etichetta oppure usati nei

prodotti dove l'utilizzo dei solfiti non è previsto, come per esempio in filetti di pesce

congelati e surgelati (Rea, 2012). I solfiti sono considerati allergeni a quantità superiore a 10

ppm (http://www.hc-sc.gc.ca/fn-an/label-etiquet/allergen/proj1220-revise-eng.php). Un altra

sostanza che spesso trova impiego illecito per ottenere un effetto conservante e sbiancante nel

pesce fresco o conferire un aspetto brillante nel pesce azzurro è il perossido di idrogeno.

L'altra frode piuttosto frequente è l'impiego illecito dei fosfati e dei polifosfati nel pesce

fresco non lavorato, nel quale rallentano lo sviluppo microbico e trattengono l'acqua,

aumentando di conseguenza il peso del prodotto (Arcangeli&Gallina, 2011). Un altro

esempio di frode è l'impiego di eritorbato di sodio nel polpo affettato e di acido borico negli

scampi congelati, che risultano tossici eprl'uomo. Nel settore dell'allevamento ittico, una

pratica fraudolenta piuttosto frequente, consiste nel trattamento degli animali con sostanze

farmacologicamente attive, usate contro le malattie o per aumentare la produzione (in

particolare, nitrofurani, colarmfenicolo, tetracicline, verde malachite, cristalvioletto). Queste

frodi sono diffuse soprattutto nei paesi dell'area asiatica (Armani et al., 2010).

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2.3.3.c Commercializzazione di prodotti ittici vietati

Questa categoria di frodi sanitarie riguarda la consapevole immissione in commercio di:

prodotti contenenti livelli di metalli pesanti, diossine e PCB, benzopirene in concentrazioni

superiori a quelle previste dalla normativa vigente; pesci manifestamente infestati dai

parassiti; prodotti ittici, oggetto di specifici divieti sanitari; pesci velenosi appartenenti alle

famiglie Tedraodontidae, Molidae, Diodontidae e Canthicasteridae; Sgomberidi, o altri

teleostei appartenenti alle famiglie Clupeidi, Corifenidi, Engraulidi, contenenti istamina in

quantità superiore alle norme; molluschi bivalvi vivi raccolti in zone non classificate ai sensi

del Reg.Ce n. 854/2004 o preclusi alla raccolta, senza il previsto transito attraverso il centro

di raccolta ed eventualmente il centro di depurazione; molluschi bivalvi in cui si sono

riscontrate, inseguito ad indagini di laboratorio cariche microbiche o biotossine algali in

quantità superiori a quelle consentite ecc.

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CAPITOLO 3

NORMATIVA SULLA SICUREZZA ALIMENTARE DEI

PRODOTTI DELLA PESCA

3.1 L'EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE SULLA SICUREZZA ALIMENTARE

NELL'EU

La sicurezza alimentare rappresenta uno degli obiettivi prioritari delle politiche comunitarie.

Questa impostazione nata a seguito delle gravi crisi alimentari che si sono verificate in

Europa negli anni novanta (lo scoppio dell'afta epizootica, BSE, contaminazione da diossine

e da bifenili policlorurati negli alimenti, ecc.) e che hanno fatto emergere sia una

disomogenea applicazione delle norme sanitarie da parte degli Stati Membri che una carente

organizzazione nel sistema dei controlli, che hanno favorito la proliferazione a grande scala

delle pratiche illecite con gli alimenti. Per riconquistare la fiducia dei consumatori la

Commissione europea ha avviato una profonda rivisitazione della normativa in campo di

sicurezza alimentare, che ha prodotto due importanti documenti:

- il Libro Verde, pubblicato nel 1997, che definisce i principi generali della legislazione

alimentare dell’Unione europea. Da questo documento per la prima volta emerge il principio

“dai campi alla tavola”, con il quale si stabilisce l'orientamento della futura legislazione

alimentare verso tutti i molteplici aspetti della filiera alimentare.

- il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, pubblicato nel 2000, nel quale vengono

formulati i principi generali e strumenti sui quali si fonderà la politica europea in materia di

sicurezza alimentare, tra cui: l'istituzione di un'Autorità alimentare indipendente come organo

scientifico di riferimento per l'intera Unione europea; l'adozione di misure per migliorare e

rendere coerente il corpus della legislazione alimentare “dal campo alla tavola”

l'elaborazione di una nuova disciplina giuridica uniforme che copra tutta la catena alimentare,

compresa la produzione, la commercializzazione e la somministrazione di alimenti per

animali. Quindi si introduce il concetto che la legislazione mangimistica, intesa in senso lato

come alimentazione animale, rientra in quella alimentare (Libro ianco, capitolo 5: “la

sicurezza dei prodotti di origine animale inizia con la sicurezza degli alimenti destinati agli

animali” .

Sulla base di quanto previsto dal Libro Bianco è stato emanato il Regolamento 178/2002 del

arlamento europeo e del onsiglio, del 28 gennaio 2002 definito “Legge quadro in materia

di sicurezza alimentare” o “G F w”, che stabilisce i princ pi generali della

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legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa

procedure nel campo della sicurezza alimentare. Tale Regolamento costituisce il fondamento

di tutta la legislazione alimentare europea “per garantire un livello elevato di tutela della

”(Art.1) e “

consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che

” (Art.8). Un altro scopo importante del regolamento CE n. 178/2002 è

l’armonizzazione delle normative nel campo della sicurezza alimentare tra gli stati Membri

dell’Unione uropea per permettere la libera circolazione degli alimenti, in totale trasparenza

e nel rispetto di regole comuni.

Il cambiamento radicale introdotto dal presente Regolamento si basa sul concetto integrato di

filiera agro-alimentare, al fine di garantire la sicurezza dei prodotti alimentari. Infatti, il

campo di applicazione del Regolamento CE 178/2002 comprende “tutte le fasi della

” (Art. 3).

Un altro aspetto rilevante la nuova definizione di “alimento” (o “prodotto alimentare” o

“derrata alimentare” del quale, prima dell'elaborazione dell'art. 2 Reg. CE 178/2002, non si

conosceva una univoca definizione in sede comunitaria. on il termine “alimento” si intende

“qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato,

destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito,

da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza,

compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della produzione,

preparazione o trattamento”.

Nel Regolamento CE 178/2002 vengono inoltre affrontati e chiariti in modo univoco i

concetti di analisi del rischio, di principio di precauzione e di rintracciabilità dei prodotti.

3.1.1 ANALISI DEL RISCHIO

La legislazione alimentare si basa sull'analisi del rischio (Art.6 Reg. CE 178/2002). L'analisi

del rischio è un sistema coordinato di valutazioni scientifiche e successivi interventi volti ad

assicurare la qualità dei processi nel settore alimentare e in quello dei mangimi, in modo da

individuare, eliminare o minimizzare i pericoli per la salute che possono sorgere nelle fasi di

produzione, di trasformazione e di distribuzione degli alimenti e dei mangimi. Il rischio viene

definito come “ ,

” (Art.3 Reg. CE 178/2002). Invece, «pericolo» o

«elemento di pericolo» rappresentato da un “agente biologico, chimico o fisico contenuto in

un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento o un mangime si trova, in grado di

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” (Art.3 Reg. CE 178/2002).

L'analisi del rischio si articola in tre fasi interconnesse (Capelli, 2006):

- Valutazione del rischio: un processo scientifico rivolto ad individuare la probabilità che il

rischio si verifichi in relazione all’esposizione a potenziali pericoli e si svolge “

”(Art.6 Reg. CE 178/2002). E' costituito da quattro fasi:

1. individuazione del pericolo: consiste nell'identificazione degli agenti biologici, chimici,

fisici, con riferimento all'assunzione degli alimenti e dei mangimi, che possono determinare

effetti negativi per la salute degli uomini o per quella degli animali e sono, quindi, una

potenziale sorgente di rischio;

2. caratterizzazione del pericolo: avviene mediante la determinazione della natura e della

gravità degli effetti nocivi collegati con gli agenti o con le attività da cui dipendono;

3. valutazione dell'esposizione al pericolo: valutazione del grado e delle modalità

dell'esposizione dei consumatori all'agente pericoloso;

4. caratterizzazione del rischio: integrazione delle fasi precedenti in una stima della natura,

della frequenza e della gravità degli effetti negativi che possono incidere sulla salute;

- Gestione del rischio: definisce la modalità di contenimento del rischio individuando le

procedure di controllo atte a verificare le scelte effettuate;

- Comunicazione del rischio: consiste nella diffusione di informazioni tra tutti i soggetti

interessati sulla natura del rischio e sulle misure per controllarlo (compresi i consumatori o i

produttori).

Nel sistema europeo, l’ FSA l'organo che effettua la valutazione e la comunicazione dei

rischi, mentre la gestione del rischio affidata alla ommissione uropea, al Parlamento

Europeo e agli Stati Membri.

3.1.2. IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

Il “principio di precauzione” sorto nell'ambito del diritto internazionale dell'ambiente si

riferisce in genere ad una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda le decisioni

politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse. Il

principio di precauzione si applica nell'ipotesi in cui venga individuata in circostanze

specifiche, a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, la possibilità che

insorgano effetti dannosi per la salute, anche se l'incertezza scientifica non consente una

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valutazione completa del rischio. In questi casi “possono essere adottate le misure

provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il li

” (Art.7 Reg. CE 178/2002).

L'applicazione del principio di precauzione richiede due elementi chiave (Capelli, 2006):

- un’analisi del rischio, realizzata in modo rigoroso e completo in base a tutti i migliori dati

scientifici disponibili ricavati dalle più recenti ricerche internazionali;

- l'incertezza scientifica, che può riguardare sia gli aspetti qualitativi che gli aspetti

quantitativi dell'analisi.

Quindi, l'analisi del rischio deve essere quanto più possibile completa, identificando, in

ciascuna fase, il grado d'incertezza scientifica, la discrezione dei rimedi utilizzati per

compensare la mancanza di dati scientifici o statistici nonché la portata delle potenziali

conseguenze dell'inazione.

L’applicazione del principio di precauzione pu comportare l’adozione di diverse misure di

carattere provvisorio. In effetti si tratta di misure che devono essere “riesaminate entro un

periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute e

del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza

scientifica e per realizzare una valut ”(Art.7 Reg. CE

178/2002). Le misure precauzionali devono essere mantenute finché i dati scientifici

rimangano insufficienti, imprecisi o non concludenti e finché il rischio sia ritenuto troppo

elevato per farlo sostenere alla società.

3.1.3. RINTRACCIABILITA' DEGLI ALIMENTI

Uno dei principali elementi di novità introdotte dall'Art.18 del Regolamento 178 2002

l’obbligo dal 1 gennaio 2005 dell’adozione di un sistema di “rintracciabilità” come

strumento di prevenzione obbligatorio. er “rintracciabilità” si intende “

ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla

produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un

alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e

della distribuzione”. La rintracciabilità consiste nell'utilizzare le "impronte", ovvero la

documentazione raccolta dai vari operatori coinvolti in ognuna delle fasi del ciclo produttivo,

per isolare un lotto in caso di emergenza, e consentire al produttore e agli organi di controllo

che hanno il dovere di vigilare sulla sicurezza alimentare del cittadino, di gestire e controllare

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eventuali situazioni di pericolo attraverso la conoscenza dei vari processi produttivi (flussi

delle materie prime: documentazione di origine e di destinazione,

etc.(http://www.salute.gov.it/portale/temi). Sebbene il sistema della rintracciabilità non sia una

novità assoluta nel sistema di controllo della catena alimentare, è la prima volta che esso

viene disciplinato esplicitamente in un regolamento europeo di carattere orizzontale. A

seguito delle crisi alimentari il legislatore comunitario ha, infatti, ritenuto indispensabile

introdurre l'obbligo generale della rintracciabilità per tutti gli operatori del settore alimentare

e di quello dei mangimi in modo da renderlo applicabile a tutte le categorie di alimenti e di

mangimi (Capelli, 2006).

Dunque, ogni operatore del settore alimentare o dei mangimi deve poter individuare qualsiasi

soggetto (persona fisica o giuridica da cui riceve “un alimento, un mangime, un animale

destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta

.

, che le

” (Art.18 del Reg. CE 178/2002).

3.1.4. LE NUOVE RESPONSABILITA' DEGLI OPERATORI DEL SETTORE

ALIMENTARE

Il Regolamento CE 178/2002 attribuisce per la prima volta la responsabilità primaria di

garantire la conformità dei prodotti alla legislazione applicabile, in particolare per quanto

riguarda la sicurezza alimentare, agli Operatori del Settore Alimentare (OSA) e di quello dei

mangimi. Sono chiamati a svolgere un ruolo fondamentale nella politica della sicurezza

alimentare poiché tali operatori sono in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi

sicuri per l'approvvigionamento di alimenti e di mangimi garantendo la sicurezza dei prodotti

all'interno dell'intera filiera. In altre parole, gli operatori sono responsabili della sicurezza

degli alimenti e dei mangimi che essi producono, trasportano, conservano e vendono. Inoltre,

gli OSA, qualora abbiano motivo di ritenere che gli alimenti non siano sicuri, sono obbligati a

ritirarli o richiamarli immediatamente dal mercato ed informare le autorità competenti.

3.1.5. L'AUTORITA' EUROPEA PER LA SICUREZZA ALIMENTARE (EFSA)

Infine, con l'emanazione del Regolamento CE 178/2002 è stata istituita l’Autorità Europea

per la Sicurezza Alimentare (EFSA), una fonte indipendente di consulenza e di

comunicazioni sui rischi associati alla catena alimentare. Nella sua attività, avviata nel 2005

con la sede a Parma, l'EFSA si basa su tre fondamenti principali: l'eccellenza scientifica,

l'indipendenza e la trasparenza. L’ FSA dotata di una propria personalità giuridica e, pur

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essendo finanziata con risorse attinti dal bilancio comunitario, opera in modo indipendente

rispetto alle istituzioni comunitarie come la Commissione Europea e il Parlamento Europeo.

I settori nei quali l'EFSA presta la sua assistenza includono: la sicurezza di alimenti e

mangimi, il benessere e salute degli animali, la nutrizione, la protezione e la salute delle

piante. Il compito dell'EFSA è quello di esprimere i pareri scientifici e tecnici, coordinare la

definizione di metodi uniformi di valutazione del rischio, intervenire per individuare e

definire i rischi emergenti, comunicare i rischi, raccogliere, analizzare e pubblicare i dati

scientifici e tecnici nei settori della sicurezza alimentare, partecipare nell'elaborazione dei

piani generali per la gestione delle crisi. In stretta collaborazione con le autorità nazionali,

l'EFSA fornisce pareri scientifici e consulenza specialistica per stabilire un solido fondamento

al processo legislativo e di definizione delle politiche in Europa. Inoltre, l'EFSA ha il compito

di collaborare con altri organismi e di promuovere reti tra le organizzazioni europee operanti

nel settore della sicurezza alimentare.

L’ FSA giuridicamente tenuta a pubblicare sul suo sito eb i risultati delle proprie attività

scientifiche, oltre ai principali documenti prodotti a livello amministrativo.

Nell'ambito della sorveglianza dei rischi emergenti è stato avviato un programma, definito

come il sistema di allarme rapido “Rapid alert system for food and feed” (RASFF , che, in

tempo reale, notifica i rischi diretti o indiretti per la salute pubblica connessi al consumo di

alimenti o mangime, che viene gestito dall'EFSA, dagli Stati membri e dalla Commissione. Si

tratta di informazioni riassuntive, attraverso il quale gli enti sanitari territoriali interessati e

l'EFSA possono direttamente venire a conoscenza delle notifiche e adottare immediatamente

le necessarie misure per far fronte all'emergenza. La partecipazione alla rete dell'Autorità

europea per la sicurezza alimentare conferisce una base scientifica a tale sistema (Capelli,

2006).

3.1.6. IL PACCHETTO IGIENE

A seguito dell'adozione del Regolamento CE 178/2002 la Commissione europea ha avviato

un complesso lavoro di aggiornamento normativo per riorganizzare la frammentata e

diversificata normativa comunitaria in materia di igiene degli alimenti, che si concluso agli

inizi del 2004, con la pubblicazione del cosiddetto “ acchetto Igiene”. Un complesso di

quattro regolamenti (Reg. CE 852/2004, Reg. CE 853/2004, Reg. CE 854/2004, Reg. CE

882/2004), successivamente integrato dai Reg. CE 183/2005, CE 2073/2005, CE 2074/2005,

CE 2075/2005 e CE 2076/2005, teso a garantire un approccio complessivo e integrato

nell’ambito della sicurezza alimentare basato sull’analisi del rischio, con un completo

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coinvolgimento della produzione primaria e una forte responsabilizzazione degli operatori del

settore (OSA). Infatti, diventa fattore essenziale che ciascun operatore sia consapevole della

necessità di monitorare il rischio collegato ad una specifica fase del ciclo produttivo,

partendo dalla produzione fino alla distribuzione. on l’emanazione del acchetto Igiene

sono state anche abrogate una serie di Direttive verticali e orizzontali che disciplinavano, in

modo talvolta poco fluido, il settore alimentare. Si tratta della Direttiva 2004/41/CE “del

Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che, appunto, abroga alcune

direttive r

produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al

consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE e la decisione

95/408/ E ”.

Il Regolamento CE 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari rappresenta l’atto legislativo

principale del acchetto Igiene perch si applica a tutti gli alimenti, compresi quelli di origine

vegetale. ra i princ pi ispiratori della nuova legislazione alimentare, vi sicuramente quello

di assicurare la salubrità di un prodotto lungo tutta la filiera produttiva e tra i diversi operatori

(dai campi alla tavola). Il Regolamento prevede vari strumenti volti a garantire l'osservanza

da parte degli operatori dei requisiti di igiene alimentare, incluso le procedure basate sui

principi del cosiddetto sistema HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point . ale

sistema, come noto, era stato già introdotto in uropa agli inizi degli anni novanta dalla

Direttiva 93/43/CEE, recepita in Italia dal D.lgs. 155/97, nel acchetto Igiene l’ A

viene riconfermato quale migliore strumento atto a prevenire i rischi potenzialmente presenti

o veicolati dagli alimenti. Per fornire un'assistenza agli OSA, il Reg. CE 852/2004 e

incoraggia l'uso e la divulgazione dei manuali di corretta prassi che facilitano il rispetto delle

norme di igiene. Inoltre viene espressa la necessità di determinare i criteri microbiologici così

come i requisiti in materia di controllo delle temperature, nonché le prescrizioni relative al

mantenimento della catena del freddo per alimenti che non possono essere immagazzinati a

temperatura ambiente in condizione di sicurezza, in particolare gli alimenti surgelati. Il

Regolamento non si applica alla produzione primaria per uso domestico privato, né alla

preparazione e conservazione di alimenti per uso domestico privato (Capelli, 2006).

Il Regolamento CE 853/2004 prevede requisiti specifici in materia igienico-sanitaria con

misure pi orientate per i prodotti di origine animale, prendendo in considerazione i rischi

particolari per la salute che tale categoria di alimenti può presentare. Esso riunisce e

sostituisce tutte le Direttive verticali che avevano precedentemente regolamentato i prodotti

del settore. Il nuovo Regolamento stabilisce l'obbligo del riconoscimento degli stabilimenti

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adibiti alle lavorazioni di prodotti animali da parte delle autorità nazionali competenti, eccetto

gli stabilimenti che effettuano esclusivamente la produzione primaria, le operazioni di

trasporto e il magazzinaggio di prodotti che non richiedono installazioni termicamente

controllate. Il documento prescrive l'obbligo d'utilizzo, nei casi previsti, del bollo sanitario,

che indica che sono stati effettuati i controlli ufficiali in conformità del Regolamento CE

854/04, oppure di un marchio di identificazione. Inoltre, obbliga la redazione degli elenchi di

aesi erzi dai quali sono consentite le importazioni di prodotti animali: all’interno del

Regolamento sono fissati i requisiti per l'ammissione di un Paese nel suddetto elenco. Ai fini

della rintracciabilità delle carni i gestori dei macelli sono obbligati ad ottenere informazioni

relative a tutte le specie da loro trattate, eccetto la selvaggina selvatica. L'importazione di

prodotti della pesca sottoposta a specifiche disposizioni. Infine, il Regolamento CE

854/2004 determina le condizioni di lavorazione, stoccaggio, trasporto dei diversi tipi di

prodotti di origine animale, fornendo precise indicazioni anche sulle temperature a cui tali

operazioni devono essere effettuate. I requisiti igienico-sanitari specifici sono riportati

nell'allegato III e sono applicati per: carni fresche di ungulati domestici (bovini, suini, ovini,

caprini, equini), carni di pollame e lagomorfi, selvaggina di allevamento, selvaggina

selvatica, prodotti a base di carne; molluschi bivalvi vivi, prodotti della pesca, latte crudo e

prodotti lattiero-caseari trasformati, uova e ovo prodotti, cosce di rana e lumache, grassi fusi

di origine animale e ciccioli, stomaci, vesciche e intestini trattati; gelatina, collagene.

Il Regolamento CE 854/2004 stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli

ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano ed strettamente

correlato al Regolamento 853/04. Esso prevede che vengano effettuati da parte dell’Autorità

competente controlli ufficiali su tutti gli operatori finalizzati alla verifica della conformità alla

normativa vigente. In particolare stabilisce che vengano effettuati audit sulle buone prassi

igieniche e sul sistema HACCP. Mediante gli audit relativi alle procedure basate sul sistema

HACCP viene controllato se gli operatori applicano dette procedure in permanenza e

correttamente, e se garantiscono che i prodotti di origine animale siano conformi ai criteri

microbiologici nonché alla normativa sui residui, sui contaminanti e sulle sostanze proibite e

che gli stessi non presentino pericoli fisici. Gli audit si effettuano con indicazioni molto

precise di ci che sarà esaminato, oltre a ispezioni specifiche per alcuni prodotti particolari

(carni fresche, molluschi bivalvi vivi, prodotti della pesca, latte crudo). Gli audit di buone

prassi igieniche hanno come oggetto l’igiene delle attrezzature e del personale, la

manutenzione dei locali e delle attrezzature, la formazione del personale in materia di igiene

e procedure di lavoro, controlli sull'informazione della catena alimentare la lotta contro i

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parassiti, la qualità dell’acqua, il controllo delle temperature e dei prodotti alimentari in

entrata e in uscita dallo stabilimento. Inoltre, il Regolamento stabilisce: i requisiti per il

riconoscimento degli stabilimenti da parte delle Autorità competenti; i compiti e le

responsabilità del veterinario ufficiale nel controllo delle carni fresche le modalità e la

frequenza dei controlli da parte delle Autorità competenti riguardo ai seguenti alimenti di

origine animale: molluschi e bivalvi vivi, prodotti della pesca, latte crudo e prodotti lattiero-

caseari; il regime sanzionatorio per i contravventori degli obblighi fissati dal Regolamento

stesso; il completamento delle regole per l'importazione di prodotti di origine animale da

Paesi terzi stabilite dal Regolamento CE 853/2004.

Il Regolamento CE 882/2004 disciplina le modalità di esecuzione dei controlli ufficiali

comuni a tutti gli alimenti e mangimi e a tutte le strutture di produzione. Esso lascia

impregiudicata la responsabilità legale degli OSA e stabilisce in particolare quanto segue:

obblighi per i aesi comunitari e scopi dei controlli ufficiali in materia di mangimi e alimenti

criteri operativi per le Autorità competenti designate dai aesi Membri per tali controlli;

accessibilità delle informazioni di pubblico interesse; tutela delle informazioni soggette a

segreto professionale; attività, metodi e tecniche di controllo; requisiti dei metodi di

campionamento e di analisi; elaborazione di misure da attuare qualora i controlli rivelino

rischi per la salute dell'uomo o degli animali; principi di assistenza e cooperazione

amministrativa tra Paesi Membri e Paesi terzi; istituzione di Laboratori comunitari a cui i

Laboratori nazionali facciano riferimento nella loro attività; principi per la predisposizione e

l’elaborazione di iani nazionali di controllo (a partire del 1 gennaio 2007 ogni Stato

Membro dell’U attuerà e manterrà aggiornato un iano integrato di controllo nazionale). Il

Regolamento CE 882/04 esprime un indirizzo comunitario fortemente innovativo che obbliga

a ripensare, riprogettare e riorganizzare i servizi di controllo ufficiale. Vengono infatti

ridefiniti soltanto i principi generali sulla cui base i singoli Stati Membri devono organizzare i

propri controlli ufficiali, senza fissare modelli e criteri specifici (non sono previsti “allegati

tecnici” , ma proponendo procedure operative che seguono norme tecniche europee per

l’accreditamento o la certificazione ( N 45011, EN ISO/IEC 17020 . I controlli ufficiali sono

effettuati da strutture e operatori dei servizi di sanità pubblica che dipendono o rispondono

all’Autorità centrale del proprio Stato. In Italia il Ministero della Salute che, attraverso i PIF

(Posti di Ispezione Frontaliera), controlla i prodotti di origine animale e gli animali vivi

provenienti da Paesi terzi e, attraverso gli UVAC (Uffici Veterinari per gli Adempimenti

Comunitari), controlla la rispondenza dei documenti e delle merci di provenienza

comunitaria. Infine, attraverso i servizi veterinari delle ASL delle Regioni, effettuato il

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controllo capillare sul territorio di aziende, allevamenti, macelli, aste, laboratori, mezzi di

trasporto, mercati distributivi. Questi controlli vanno a verificare innanzitutto l’applicazione

delle buone prassi igieniche e le procedure basate sul sistema dell’ A da parte degli

operatori del settore alimentare (Guandalini, 2011).

Il Regolamento CE 183/2005 sancisce le prescrizioni in materia di igiene dei mangimi. In

analogia al Regolamento 852/2004, anche il presente Regolamento si applica a tutte le fasi

della produzione, trasformazione e distribuzione, compresa importazioni ed esportazioni.

L’applicazione del Regolamento 183 2005 ha comportato una revisione completa della

normativa esistente e in particolar modo di quella riferita al regime di autorizzazione degli

operatori del settore mangimi, col coinvolgimento di categorie precedentemente esentate, in

particolare riferite al settore primario. Non si applica, invece, alla produzione primaria per

uso domestico o alla fornitura diretta di piccole quantità di prodotti primari a livello locale. Il

Regolamento stabilisce gli obblighi degli operatori, la cui attività rientra direttamente o

indirettamente nel settore dei mangimi, responsabili della sicurezza degli stessi attraverso

l'applicazione di tutti o di parte dei seguenti punti: l'attuazione di procedure basate sull'analisi

dei rischi; il controllo dei punti critici (HACCP); il principio della rintracciabilità dei

prodotti; l'applicazione di buone pratiche igieniche; l'utilizzo esclusivo di prodotti provenienti

da stabilimenti registrati/riconosciuti ai sensi del presente regolamento. Inoltre, il presente

atto stabilisce le prescrizioni in materia di additivi per mangimi.

Nel 2005 il Pacchetto igiene è stato integrato da quattro Regolamenti CE 2073/2005,

2074/2005, 2075/2005 e 2076/2005:

Regolamento CE 2073/2005 è complementare al Regolamento CE 852/2004 e fissa i criteri

microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. Il presente Regolamento introduce

importanti elementi di novità nell'ambito del controllo microbiologico degli alimenti in

quanto fissa alcuni criteri microbiologici necessari per la protezione della salute del

consumatore basati sulla valutazione del rischio, garantendo una più omogenea valutazione

dei prodotti nell'ambito del mercato unico. Inoltre, per la prima volta stabilisce criteri di

sicurezza per gli alimenti vegetali. I limiti di concentrazione di microrganismi nelle varie fasi

del processo di lavorazione sono stati stabiliti per i seguenti alimenti: carni e prodotti derivati,

latte e prodotti derivati, prodotti a base di uova, prodotti della pesca (prodotti sgusciati di

crostacei e molluschi), ortaggi e frutta e prodotti derivati. I criteri microbiologici fissati nel

Regolamento devono poter essere riveduti e modificati, se necessario, per tenere conto

dell’evoluzione nei settori della sicurezza alimentare e della microbiologia degli alimenti,

ossia dei progressi scientifici, tecnologici e metodologici, dei cambiamenti nei livelli di

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prevalenza e contaminazione e nella percentuale di consumatori sensibili, nonch degli

eventuali risultati che emergono dalla valutazione dei rischi.

Il Regolamento fa obbligo agli OSA di provvedere che gli alimenti siano conformi a criteri di

sicurezza e a criteri di igiene di processo, ma stabilisce anche che le Autorità preposte al

controllo ufficiale ne verifichino il rispetto anche mediante il campionamento e l'analisi dei

prodotti alimentari nell'ambito dell'attività di vigilanza. Il Regolamento 2073/2005 ha subito

delle modifiche apportate con l'entrata in vigore del Regolamento CE 1441/2007, UE

365/2010 e UE 1019/2013.

Il Regolamento CE 2074/2005 “su modalità di attuazione relative ad alcuni prodotti di cui

( E) N. 853/2004

regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio CE 854/2004 e CE 882/2004, deroga al

regolamento CE 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e modifica dei

E 853/2004 E N. 854/2004”. Il Regolamento stabilisce: gli obblighi per gli

operatori del settore dei prodotti della pesca riguardo all’attuazione dei controlli visivi per

l’individuazione di parassiti non indicati nei Regolamenti 853 2004 e 854 2004 i valori

limite delle concentrazioni di azoto basico volatile totale per alcuni prodotti della pesca,

nonché i metodi di analisi per determinare tali concentrazioni non specificati nei Regolamenti

CE 853/2004 e 854/2004; i metodi di analisi per la determinazione delle biotossine marine,

non indicati dai Regolamenti CE 853/2004 e 854/2004; il tenore di calcio delle carni separate

meccanicamente, non indicato nel Regolamento CE 853/2004; i requisiti degli elenchi di

stabilimenti alimentari riconosciuti per i prodotti d’origine animale, con istituzione di un sito

web della Commissione collegato con i siti degli Stati nazionali che riportano tali elenchi,

non specificato nel Regolamento CE 882/2004; i modelli dei certificati sanitari per

l’importazione di cosce di rana, lumache, gelatina e collagene e di materie prime per la

produzione di gelatina e collagene, non specificati nel Regolamento CE n. 853/2004; le

definizioni dei prodotti alimentari che presentano caratteristiche tradizionali, le caratteristiche

degli stabilimenti di produzione di questi alimenti, le modalità delle operazioni di pulizia, la

notificazione delle concessioni di deroga a detti stabilimenti da parte degli Stati membri

riguardo agli obblighi stabiliti dal Regolamento CE 852/2004.

Regolamento CE 2075/2005 “definisce norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali

relativi all T ”;

Regolamento CE 2076/2005 “

del Parlamento europeo e del Consiglio (CE) n. 853/2004, (CE) n. 854/2004 e (CE) n.

882/2004 e che modifica i regolamenti (CE) n. 853/2004 ( E) . 854/2004”.

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Benché non faccia parte del Pacchetto Igiene occorre ricordare il Regolamento CE

1935/2004, mediante il quale il legislatore europeo ha disciplinato la materia inerente gli

imballi per gli alimenti. Con l'adozione del presente regolamento sono state sostituite le

normative precedenti. Esso stabilisce i requisiti generali e specifici per materiali e oggetti,

allo stadio di prodotti finiti, che sono destinati a essere messi a contatto con gli alimenti o che

già si trovano a contatto con i prodotti alimentari nelle condizioni d'impiego normali o

prevedibili (compresi i materiali e oggetti cosiddetti “attivi” e quelli “intelligenti” . L'intero

approccio dell'igiene e sicurezza alimentare, per quanto riguarda i materiali di contatto, è

basato sulla determinazione e sul massimo contenimento dei livelli della “cessione per

migrazione” di sostanze, dal contenitore all'alimento contenuto, per consentire, per quanto

possibile, solo la migrazione di sostanze che comportano rischi accettabili per il consumatore.

Il Regolamento, inoltre, impone, per gli operatori del settore alimentare, l'obbligo di

rintracciabilità di materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti in tutte le

fasi per facilitare i controlli, il ritiro dei prodotti difettosi, le informazioni ai consumatori e

l'attribuzione delle rispettive responsabilità. I materiali e gli oggetti immessi sul mercato

comunitario devono risultare individuabili mediante l'etichettatura o la documentazione o le

informazioni pertinenti.

3.1.7. ETICHETTATURA DEI PRODOTTI ALIMENTARI

L'etichettatura rappresenta un importante strumento per la tutela della salute e degli interessi

del consumatore: due elementi prioritari che stanno alla base degli obiettivi del legislatore

comunitario. Nata inizialmente per fissare regole comuni tra tutti gli Stati membri al fine di

agevolare la libera circolazione all'interno dell’ uropa, la normativa in materia di

etichettatura oggi è composta da una serie di Direttive e Regolamenti che, adeguandosi

continuamente al progresso scientifico ed alle esigenze di tutela ed informazione del

consumatore, rappresenta oggi uno dei più completi e dettagliati strumenti in ambito

internazionale.

Con il termine etichettatura si intende “ i, delle indicazioni, dei marchi

di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono ad un prodotto

alimentare” e che possono essere applicate sulla confezione o, in mancanza di essa, sui

documenti di accompagnamento della merce (D. Lgs. 109/1992, art. 1). Le principali finalità

dell'etichettatura possono essere riassunte nel seguente modo:

fornire una corretta informazione delle caratteristiche del prodotto;

non indurre in inganno il consumatore sulle caratteristiche e/o proprietà che il

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prodotto non possiede;

valutare correttamente il rapporto tra qualità del prodotto e il prezzo di vendita;

garantire la correttezza delle operazioni commerciali nonché la libera circolazione dei

prodotti alimentari sui mercati comunitari e internazionali;

promuovere commercialmente il prodotto.

La materia di etichettatura nell'Unione Europea è stata disciplinata per la prima volta

attraverso la Direttiva 79/112/CEE “relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati

membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al

consumatore finale, nonché la relativa pubblicità”, modificata dalle Direttive 89/395/CEE e

89/396/CEE. In Italia la direttiva con le modifiche è stata recepita con il Decreto Legislativo

109/1992 (inizialmente con il DPR 322/1982 , che ha abrogato “tutte le disposizioni in

materia di etichettatura, di presentazione e di pubblicità dei prodotti alimentari e relative

modalità, diverse o incompatibili con quelle previste dal decreto, ad eccezione di quelle

contenute nei regolamenti comunitari e nelle norme di attuazione di direttive comunitarie

relative a singole categorie di prodotti”. Il documento introduce alcune nuove definizioni:

Prodotto alimentare preconfezionato come “quell'unità costituita da un prodotto

alimentare e dal suo imballaggio, il cui contenuto non può essere modificato senza che la

confezione venga aperta o alterata rispetto all'originale, pertanto l'involucro rappresenta

Prodotti alimentare sfusi come “tutti quei prodotti alimentari sui quali non è possibile

' ”

Prodotti alimentare preincartati come “

luogo di vendita al momento della richiesta del cliente antecedentemente ma ai fini della

A seguito delle numerose modifiche apportate alla Direttiva 79/112/CEE è stata pubblicata la

nuova, una tra le più importanti, Direttiva 2000/13/CE, recepita a livello nazionale con il

Decreto Legislativo 181/2003. Questa direttiva ha modificato sostanzialmente il D.Lgs.

109/92 pur confermandolo come legge quadro. Oltre alle indicazioni obbligatorie, che

devono essere riportate sull'etichetta dei prodotti alimentari preconfezionati, nel

documento viene segnalato che la presentazione e la pubblicità devono essere tali da non

indurre in inganno il consumatore, né devono essere menzionate proprietà medicamentose

riferite a quel prodotto a meno che non sia specificamente disciplinato e autorizzato ai sensi

del Decreto Legislativo 111/1992 “Attuazione della direttiva 89/398/CEE concernente i

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prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare”. Tutte le informazioni

sull'etichetta, inoltre, devono essere riportate in caratteri facilmente visibili, chiaramente

leggibili e indelebili, intelligibili al consumatore, quindi opportunamente tradotte nelle

diverse lingue.

Specifiche norme sono state emanate riguardo al contenuto in energia (in kilocalorie) e

nutrienti (proteine, grassi, carboidrati, fibra, vitamine e sali minerali, ma anche, meno di

frequente, altri nutrienti come i grassi insaturi della serie ω-3 ed il colesterolo) dei prodotti

alimentari. Questa legislazione prende l'avvio dalla Direttiva europea 90/496, recepita in

Italia con D.Lgs 77/1993, e viene ripresa ed ulteriormente ampliata nella già ricordata

Direttiva 2000/13/CE. Per affrontare specifiche problematiche connesse al consumo di

determinanti alimenti con possibili impatti sulla salute umana è stata pubblicata la Direttiva

2003/89/CE che, modificando la precedente Direttiva 200/13/CE, introduce l'obbligo di

menzione in etichetta di particolari ingredienti utilizzati nella preparazione degli alimenti,

indicando un elenco di prodotti alimentari contenenti sostanze allergeniche che, ove utilizzati

come ingredienti, devono essere riportate in etichetta: cereali, pesce e crostacei, arachidi,

soia, latte, frutta secca, sedano, senape, sesamo e anidride solforosa. Questa direttiva è stata

recepita in Italia con il Decreto Legislativo 114/2006 “

2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in materia di indicazione degli ingredienti contenuti

” e successivamente con il Decreto Legislativo n. 7/2007 del 31

gennaio 2007 “Recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della

concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese”, convertito, a

sua volta, con modificazioni con la Legge n. 40/2007. La normativa sull'etichetta nutrizionale

dei prodotti alimentari è stata ulteriormente aggiornata con l'introduzione del Regolamento

CE 1924/2006 e Regolamento CE 1925/2006. Il primo provvedimento stabilisce quali sono

le indicazioni nutrizionali che possono essere presenti in etichetta, nelle presentazioni e nella

pubblicità (come "a basso contenuto di grassi", "leggero", "light", ecc.), nonchè i relativi

requisiti. Inoltre, il Regolamento 1924/2006 stabilisce anche i requisiti delle indicazioni

relative ad effetti sulla salute, nonchè alla riduzione del fattore di rischio di malattia, degli

alimenti. L'altro disciplina “

alimenti”. Il Regolamento UE 432/2012 integra il Regolamento CE 1924/2006 riguardo le

indicazioni sulla salute diverse da quelle riferite alla riduzione del rischio di malattia e allo

sviluppo e alla salute dei bambini. Il Regolamento UE 432/2012 ' entrato in vigore il 14

dicembre 2012.

Infine, l'ultimo atto dell'evoluzione normativa in materia di etichettatura è stata la

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pubblicazione del Regolamento UE 1169/2011, “relativo alla fornitura di informazioni sugli

alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006

del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della

Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della

Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive

2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della

Commissione”, che entrato in vigore dal 7 novembre 2011. Lo scopo del presente

regolamento è quello di riordinare la normativa comunitaria e di razionalizzarla con un

provvedimento unico al fine di agevolarne il rispetto e aumentare la chiarezza delle parti

interessate, tuttavia nel disciplinare alcuni importanti aspetti si rimanda alla legislazione

nazionale (ad esempio, etichettatura prodotti sfusi). Il regolamento applica le nuove

disposizioni relative a:

- l'etichettatura delle carni macinati, in vigore dal 1 gennaio 2014 (art.6, parte B)

- l'obbligo delle indicazioni nutrizionali a partire dal 13 dicembre 2016 (art.9, parte 1. Lett.1)

Quindi, in base a quanto stabilito dalle norme fin qui esposte, sull’etichette dei prodotti

alimentari preconfezionati devono essere presenti:

La denominazione di vendita: è il "nome" dell'alimento, e può corrispondere all'alimento

stesso, in tal caso seguito dal tipo di trattamento tecnologico che è stato eseguito, oppure

può essere un nome di fantasia (D.Lgs. 109/92)

L'elenco degli ingredienti: tutte le sostanze utilizzate nella preparazione dell'alimento, in

ordine decrescente dal punto di vista della quantità (D.Lgs. 109/92)

Le quantità specifiche dell’ingrediente caratterizzante del prodotto espresse in percentuale

sul prodotto stesso (D.Lgs. 109/92)

La quantità netta o la quantità nominale (D.Lgs. 109/92)

Prezzo di vendita e il prezzo per unità di misura (art.4, Direttiva 98/6/CE)

La sede dello stabilimento di produzione o confezionamento (D.Lgs. 109/92)

Il termine minimo di conservazione, la data entro la quale il prodotto conserva le sue

proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione, ma può ancora essere

consumato (mediante la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” , o la data di

scadenza, la data entro la quale il prodotto va consumato, perché altrimenti può diventare

pericoloso (in modo leggibile e di facile individuazione (Legge 40/2007))

Le modalità di conservazione e/o utilizzazione, qualora sia necessaria l'adozione di

particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto (D.Lgs. 109/92)

Il numero di singole unità contenute in una confezione, se non evidente dalla confezione

esterna (D.Lgs. 109/92)

Il lotto di appartenenza del prodotto (D.Lgs. 109/92)

Il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico

superiore a 1,2% in volume e che contengono determinati coloranti alimentari

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(Regolamento CE 238/2010)

, ove necessario (D.Lgs. 109/92)

Il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore

l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto (D.Lgs. 109/92)

Le quantità specifiche dell’ingrediente caratterizzante del prodotto espressa in percentuale

sul prodotto stesso (D.Lgs. 109/92);

L’elenco dei coloranti, conservanti, edulcoranti e additivi chimici (Direttiva 2003/114/CE)

nei limiti di legge

L’eventuale aggiunta di vitamine e minerali nei limiti di legge (Reg. CE 1925/2006)

Allergeni presenti nel prodotto finito (ad esempio, cereali contenenti glutine, crostacei, uova,

pesce, arachidi, soia, latte, frutta a guscio, sedano, senape, semi di sesamo, ecc.)(D.Lgs.

114/2006)

L’eventuale indicazione degli ingredienti trattati con radiazioni ionizzanti (Direttive

1999/2/CE e 1999/3/CE)

“O ” per i prodotti che hanno un contenuto

di OGM superiore allo 0,9%. Tutte le sostanze di origine OGM devono essere indicate

nell’elenco degli ingredienti con la dicitura “geneticamente modificato” (Reg. CE 258/97)

Il valore energetico medio nelle percentuali previste e gli elementi nutritivi nel caso in cui al

prodotto sia associata un’indicazione nutrizionale (D.Lgs 181/2003)

Le indicazioni specifiche previste per legge per determinate categorie di prodotti (prodotti

alimentari destinati all’infanzia, prodotti adatti alle persone intolleranti al glutine, prodotti

dietetici, integratori alimentari, prodotti biologici, prodotti DOP/IGP, ecc.).

Dichiarazione nutrizionale (indicazione obbligatoria a partire dal 16 dicembre 2016 ai sensi

del Reg. UE 1169/2011)

Per quanto riguarda gli alimenti commercializzati sfusi o incartati al momento dell'acquisto

entrano in azione le regole di etichettatura meno restrittive rispetto a quelle dei prodotti

preconfezionati, e sono finalizzate a facilitare le operazioni di vendita, garantendo, nel

frattempo, l'informazione e la tutela del consumatore. Le indicazioni obbligatorie che

vengono riportate sull'etichetta di questa categoria di prodotti sono le seguenti (ai sensi del

D.Lgs. 109/1992):

Denominazione di vendita

Elencazione degli ingredienti, salvo i casi in cui il prodotto ne è esente

Negli alimenti surgelati, il peso totale al netto della glassatura

Indicazione della presenza di eventuali ingredienti allergizzanti

A queste vanno aggiunte:

- Per le paste fresche: la data di scadenza;

- er i prodotti ortofrutticoli: la varietà, l’origine e il calibro categoria

- Per i prodotti della pesca: la tecnica di produzione (pescato/allevato) e la zona di

origine;

- Per i prodotti a base di carne: quantità netta e il lotto;

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- Per le bevande contenenti alcool in quantità superiore a 1,2% in volume: il titolo

alcolometrico volumico;

- Per i prodotti particolarmente deperibili: le modalità di conservazione.

3.2. IGIENE E SICUREZZA NELLA FILIERA ITTICA

Come già descritto nel sottocapitolo precedente, con l'emanazione del Regolamento CE

178 2002 e delle norme contenute nel “ acchetto Igiene”, il legislatore europeo ha

riformulato la frammentata, diversificata e complessa normativa comunitaria in materia

d'igiene e sicurezza alimentare, la quale in precedenza era composta da norme di carattere

verticali per le specifiche tipologie di alimenti. La nuova legislazione ha unito, semplificando

ed introducendo in maniera efficace norme di tipo orizzontale, tutte le tipologie delle

produzioni alimentari, compreso il comparto ittico. Uno degli innumerevoli cambiamenti

apportati dal nuovo assesto giuridico è stata l'estensione dell'applicazione delle norme

igienico-sanitarie alla produzione primaria. Pertanto i prodotti della pesca, i crostacei, i

molluschi cefalopodi, bivalvi e gasteropodi vengono ad essere disciplinati lungo tutta la

filiera alimentare: dalla pesca fino al consumatore finale. Per produzione primaria, in

relazione al settore della pesca, s’intende “ ' llevamento, la pesca e la raccolta di prodotti

; ....

bordo di navi da pesca (macellazione, dissanguamento, decapitazione, eviscerazione, taglio

delle pinne, refrigerazione e confezionamento), che includono anche il trasporto e il

magazzinaggio di prodotti vivi della pesca la cui natura non sia stata sostanzialmente

alterata, nelle aziende agricole di terra,...o dal luogo di produzione fino al primo

stabilimento” (Regolamento 853 2004 . Invece, la produzione primaria in relazione ai

molluschi bivalvi vivi comprende “la produzione, la raccolta e le operazioni connesse che

hanno luogo prima che i molluschi bivalvi vivi arrivino ad un centro di spedizione o ad un

centro di depurazione” (Regolamento n. 853 2004 . Quindi già al momento della raccolta

il pescatore diventa l'operatore del settore alimentare e i prodotti, se destinati al consumo

umano, diventano alimenti, per cui esso è tenuto a rispettare i requisiti generali di igiene

dell'allegato 1 del Regolamento CE 852/2004 nonchè i requisiti specifici del regolamento CE

853/2004 (Allegato III sezione VII per i molluschi bivalvi vivi e sezione VIII per i prodotti

della pesca) (AA.VV. Manuale per buona prassi igienica per la produzione primaria-attività

di pesca, 2009). Sebbene il controllo per la sicurezza degli alimenti sia previsto sin dalla

produzione primaria, i principi del sistema HACCP non sono ancora applicabili su base

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generalizzata alla produzione stessa. Per cui il legislatore raccomanda agli operatori

l'applicazione e l'uso di manuali di corretta prassi igienica, che “

informazioni adeguate sui pericoli che possono insorgere nella produzione primaria e sulle

” (Reg. CE 852/2004, allegato I Parte B). L'allegato 1 del

Regolamento CE 852/2004 prevede che nella produzione primaria e nelle operazioni

associate, gli operatori operano il controllo delle contaminazioni come misura generale, ed il

rispetto delle misure sulla salute ed il benessere degli animali, dei programmi di

monitoraggio, il controllo delle zoonosi e degli agenti zoonotici. A tal fine gli OSA nella fase

di produzione primaria devono adottare le misure igienico-sanitarie per:

- tenere puliti gli impianti di raccolta e allevamento, le attrezzature di supporto alla pesca, i

veicoli e le imbarcazioni;

- utilizzare l'acqua potabile o acqua pulita;

- assicurare che il personale addetto alla manipolazione dei prodotti alimentari sia in

buona salute e segua una formazione sui rischi sanitari;

- immagazzinare e gestire i rifiuti e le sostanze pericolose in modo da evitare la

contaminazione;

- prevenire la propagazione delle malattie contagiose trasmissibili all'uomo, comunicando i

focolai sospetti di dette malattie alle Autorità competenti;

- tenere conto dei risultati delle analisi di laboratorio;

- adottare le opportune misure correttive quando sono informati di eventuali problemi

individuati nel corso dei controlli ufficiali.

Inoltre, gli operatori sono tenuti a conservare le “registrazioni relative alle misure adottate

per il controllo dei pericoli.... per un periodo di tempo adeguato e commisurato alla natura e

dimensioni dell'impresa” , e mettere a disposizione delle Autorità competenti e degli

operatori acquirenti le informazioni richieste (Reg. CE 852/2004 allegato I, Parte A). Il tempo

di conservazione delle registrazioni e' di almeno 12 mesi o comunque per tutta la vita

commerciale del prodotto.

Gli OSA che svolgono le fasi successive alla produzione primaria devono invece attenersi ai

requisiti di igiene di cui all'allegato II del Regolamento CE 852/2004, ed ai requisiti specifici

del Regolamento CE 853/2004. Tale allegato prevede l'applicazione dei requisiti generali in

materia di igiene da parte di tutti gli operatori che svolgono attività successive alla

produzione primaria, tra cui: i requisiti generali applicabili alle strutture destinate agli

alimenti; i requisiti specifici applicabili ai locali in cui gli alimenti vengono lavorati, preparati

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o trasformati; i requisiti delle strutture mobili e/o temporanee e delle mense; i requisiti per

tutti i tipi di trasporto; i requisiti delle attrezzature che vengono in contatto con gli alimenti

nelle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione; i requisiti per i rifiuti alimentari; per

il rifornimento idrico; per l'igiene del personale; i requisiti applicabili ai prodotti alimentari,

al loro confezionamento, imballaggio e trattamento termico; ed, infine, la formazione del

personale. Le aziende che svolgono attività successive alla produzione primaria devono

predisporre le relative procedure di autocontrollo basate sui principi del sistema HACCP e

devono essere registrati o riconosciuti dalle Autorità competenti (Reg. CE 852/2004). Nello

specifico, sono soggetti a riconoscimento:

navi frigorifero;

navi officina;

impianti di macellazione dei prodotti di acquacoltura;

stabilimenti operanti in regime di freddo artificiale che effettuano le seguenti

operazioni: cernita, frazionamento, ghiacciatura e preparazione dei prodotti della

pesca compresi i molluschi refrigerati, congelati o surgelati;

depositi frigoriferi per la conservazione dei prodotti della pesca refrigerati e congelati;

stabilimenti di trasformazione che effettuano sterilizzazione, cottura, essiccazione,

affumicamento, salagione, marinatura ecc.;

centri di depurazione e spedizione di molluschi bivalvi vivi;

mercati all’ingrosso e aste in cui i prodotti della pesca vengono venduti;

stabilimenti frigorifero che producono carne di pesce separata meccanicamente;

stabilimenti che effettuano esclusivamente operazioni di riconfezionamento o

associate ad altre operazioni di porzionatura, taglio ecc.

Dunque, sono soggetti a procedure di riconoscimento tutte quelle strutture nelle quali le

attività di manipolazione dei prodotti avvengono in regime di temperatura controllata. Invece,

tutte le attività di produzione, trasformazione, trasporto, magazzinaggio, somministrazione e

vendita, qualora non sia previsto il riconoscimento, sono soggette a registrazione (Reg. CE

852/2004).

In base al Regolamento CE 853/2004 (l'allegato I) i prodotti ittici vengono classificati in:

Prodotti della pesca: “ (

molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi, gasteropodi marini vivi e di tutti i

)

commestibili di tali a ”.

E

Molluschi: “M

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55

vivi selvatici o di allevamento, tutte le forme, parti e prodotti commestibili di tali

Tra i prodotti della pesca a sua volta si distinguono:

Prodotti della pesca freschi: “

, inteso a

garantirne la conse ”

Prodotti della pesca trasformati: “

Prodotti della pesca preparati: “ prodotti della pes

Nell'allegato III, sezioni VII e VIII del Regolamento 853/2004 vi sono riportati i requisiti

specifici strutturali per le diverse tipologie degli stabilimenti e loro attrezzature nonché i

requisiti per le zone di produzione dei molluschi bivalvi vivi, che integrano quelli definiti nel

Regolamento CE 852/2004 allegato II. Inoltre, vengono forniti i requisiti igienici specifici per

entrambe le tipologie dei prodotti, che possono essere sintetizzate nel seguente modo:

- I prodotti della pesca devono essere manipolati e conservati evitandone danneggiamenti;

- I prodotti della pesca mantenuti vivi devono essere mantenuti a una temperatura e in

condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare o la loro vitalità;

- I prodotti della pesca, ad eccezione dei prodotti mantenuti vivi, devono essere refrigerati il

pi rapidamente possibile dopo essere stati caricati a bordo. Se tuttavia la refrigerazione

non realizzabile, i prodotti della pesca devono essere sbarcati appena possibile;

- Il ghiaccio utilizzato per la refrigerazione dei prodotti della pesca deve essere fatto con

acqua potabile o acqua pulita;

- Eviscerazione e/o decapitazione dei prodotti della pesca devono essere effettuate nel rispetto

delle norme igieniche, appena possibile dopo la cattura e i prodotti devono essere

immediatamente lavati con acqua potabile o acqua pulita. In tal caso, i visceri e le parti

che possono costituire un pericolo per la salute pubblica vengono rimossi appena

possibile e tenuti separati dai prodotti destinati al consumo umano;

- I prodotti della pesca congelati devono essere mantenuti a una temperatura non superiore a -

18 °C in tutti i punti del prodotto; tuttavia, i pesci interi congelati in salamoia destinati

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alla fabbricazione di conserve possono essere mantenuti a una temperatura non superiore

a - 9°C.

- Se non vengono distribuiti, spediti, preparati o trasformati immediatamente dopo essere

arrivati in uno stabilimento a terra, i prodotti refrigerati non imballati devono essere

conservati sotto ghiaccio in strutture adeguate;

- I prodotti della pesca freschi, i prodotti della pesca non trasformati decongelati, nonch i

prodotti di crostacei e molluschi cotti e refrigerati, devono essere mantenuti ad una

temperatura vicina a quella del ghiaccio in fusione.

- Le operazioni come la sfilettatura e l'affettatura devono essere eseguite in modo da evitare

la contaminazione o l'insudiciamento dei filetti e delle trance. I filetti e le trance non

devono restare sui tavoli di lavoro pi del tempo richiesto per la loro preparazione. Essi

devono essere confezionati e se necessario imballati e devono essere refrigerati al pi

presto una volta preparati;

- I contenitori utilizzati per la spedizione o la conservazione dei prodotti della pesca freschi

preparati non imballati conservati sotto ghiaccio devono essere tali da assicurare che

l'acqua di fusione del ghiaccio non sia a contatto con i prodotti;

Dal Regolamento CE 853/2004 allegato II viene impostato l'obbligo di marchiatura di

identificazione per i prodotti ittici ai fini della rintracciabilità ai sensi del Regolamento

178 2004. “Il marchio deve essere apposto direttamente sul prodotto, sull'involucro

sull'imballaggio o essere stampato su un'etichetta apposta a sua volta sul prodotto o

imballo. Il marchio può consistere anche in una targhetta inamovibile di materiale resistente;

deve essere leggibile ed indelebile; i caratteri devono essere facilmente decifrabili; deve

”.

Inoltre “deve indicare il nome del Paese dove è situato lo stabilimento o per esteso o

mediante un codice a due lettere conforme alla norma ISO” e “il numero di riconoscimento

dello stabilimento”. Non necessitano il marchio d'identificazione i prodotti della pesca

trasportati sfusi, se tali informazioni sono riportate nei documenti di accompagnamento.

3.2.1. QUALITA' IGIENICO-SANITARIA DEI PRODOTTI ITTICI

La qualità igienico-sanitaria, a differenza degli altri aspetti che contribuiscono alla “qualità

totale” di un alimento, un pre-requisito essenziale di sicurezza, quindi, dell'idoneità al

consumo umano (Vergara, 2008). La difesa di questo requisito minimo si ottiene attraverso la

rispondenza ai parametri igienico-sanitari, stabiliti per legge, che nel caso dei prodotti della

pesca, oltre al “contenuto” in sostanze di varia natura, riguardano anche lo stato di

freschezza. La necessità di valutazione di quest'ultimo è legata all'estrema deperibilità del

prodotto che inizia subito dopo la pesca e può rapidamente alterare le caratteristiche sanitarie

e commerciali, rendendolo pericoloso, e quindi, non idoneo al consumo (AA.VV. Manuale di

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buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009). La valutazione della freschezza si

effettua con l'utilizzo di diversi metodi: sensoriali, fisici, chimici e microbiologici. Il

legislatore attribuisce maggiore importanza all’approccio sensoriale, in particolare, impone

agli “operatori del settore alimentare di effettuare un esame organolettico dei prodotti della

pesca”, che “deve garantire che i prodotti della pesca soddisfino tutti i criteri di freschezza”

(Regolamento CE 853/2004, Capitolo IV, sezione VIII). Anche l’Allegato III apo II del

Regolamento CE 854/2004 prevede che i controlli ufficiali sui prodotti della pesca

“comprendano almeno l'esame organolettico a campione effettuati in tutte le f

.

il rispetto dei criteri di freschezza stabiliti conformemente alla normativa comunitaria. In

particolare si tratta di verificare, in tutte le fasi della produzione, lavorazione e distribuzione,

che i prodotti della pesca superino almeno i livelli minimi dei criteri di freschezza stabiliti

conformemente alla normativa comunitaria”. er le valutazioni organolettiche si applicano le

tabelle dei criteri e delle categorie di freschezza dei prodotti della pesca previste dal

Regolamento CE 2406/96 che stabilisce norme comuni di commercializzazione per taluni

prodotti della pesca. Il Regolamento è stato successivamente modificato dai Regolamenti

CE 323/97, CE 2578/2000, CE 2495/2001 e CE 790/2005. La normativa si applica alle

numerose specie suddivise nei seguenti gruppi: pesce bianco, cefalopodi, pesce azzurro,

selaci, crostacei, e per ognuno è previsto il suo specifico schema di valutazione. Il pescato,

quindi, viene classificato in quattro categorie: “ tra”, “A”, “ ”, “Non ammesso”, ad

eccezione dei cefalopodi e dei crostacei, ai quali non si attribuisce la categoria “non

ammesso”. I parametri di valutazione comprendono: aspetto, odore, colore, pelle, muco

cutaneo, branchie, occhio, peritoneo, carne, opercoli, peritoneo, vasi sanguigni (Reg. CE

2046/96).

Il metodo sensoriale pur essendo facilmente applicabile, presenta il limite di essere soggettivo

nell’espressione dei risultati (Arcangeli et al., 2003 . er cui tale esame viene di solito

integrato con altri metodi. Questa procedura sancita dal Regolamento 854/2004 e CE

854/2004, che prevede, tra i controlli ufficiali da effettuare sui prodotti della pesca, in primo

luogo l’esame organolettico, seguito, in caso di dubbi sulla freschezza, da controlli chimici o

microbiologici. I primi consistono nel determinare i livelli di azoto basico volatile totale

(ABVT), di trimetilammina-azoto (TMA-N) ed istamina. I valori limite di azoto basico

volatile e la metodica dell'esame sono impostati dal Reg. 1022/2008 (modificato il

Reg.1074/2005). Questi valori sono speci-specifici e vanno in media da 35mg/100g di

muscolatura (Gadidi) a 25 mg/100 g (Sebasti). Per quanto concerne TMA-N, i livelli <5

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mg/100g attestano un buon stato di conservazione, i valori compresi fra 5 e 20 mg/100g

segnano un incipiente stato di alterazione, mentre i quantitativi superiori a 20 mg/100gr

indicano un prodotto alterato (Giuffrida, 2008). I criteri di sicurezza riguardanti istamina

vengono definiti dal Reg. CE 2073/2005, che di recente è stato modificato dal Reg. UE

1019/2013. I metodi biologici per la valutazione della freschezza, invece, si basano sugli

studi di carica batterica totale o carica dei singoli organismi specifici del deterioramento.

Ai fini di garantire la salubrità dei prodotti ittici il Reg. CE 854/2004 dichiara non idonei al

consumo umano gli alimenti, che contengono contaminanti di natura fisica, chimica o

microbiologica o residui che superano i limiti previsti dalla normativa comunitaria, oppure i

prodotti, che in seguito a controlli relativi alla presenza di parassiti risultano non conformi ad

essa, o provengono da pesci velenosi, o da prodotti non conformi ai requisiti in merito alle

biotossine.

I tenori massimi di alcuni contaminanti chimici, quali il piombo, il mercurio, lo stagno

inorganico, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), aromatici e le diossine sono stabiliti nel

Regolamento 1881/2006, mentre nel Regolamento CE 333/2007 modificato dal

Regolamento UE 836/2011 vengono fissati i metodi di campionamento e di analisi per il

controllo ufficiale dei tenori massimi di suddetti metalli. Il tenore massimo di IPA è invece

stabilito dal recente Regolamento UE 835/2011 che modifica il regolamento (CE) n.

1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi di idrocarburi policiclici aromatici nei

prodotti alimentari. er quanto riguarda la contaminazione radioattiva il provvedimento

comunitario al quale fare riferimento il Regolamento (Euratom) 3954/87, emanato per

per animali a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza

radioattiva, modificato dal Regolamento (Euratom) n. 2218/89.

I criteri microbiologici degli alimenti, compresi i prodotti della pesca e i molluschi bivalvi,

sono stabiliti nel Regolamento CE 2073/2005, il cui Allegato I è stato successivamente

sostituito con l’entrata in vigore del Regolamento CE 1441/2007. Nelle tabelle di tale

allegato vengono riportate diverse categorie di prodotti e relativi criteri di qualità

microbiologica, il piano di campionamento, il metodo d'analisi di riferimento, i limiti e la fase

del processo a cui si applica il criterio e l'interpretazione dei risultati. I criteri microbiologici

che vengono esaminati per i prodotti della pesca sono Salmonella spp. e Listeria

monocytogenes, mentre per i crostacei e molluschi – Staphylococcus aureus, Escherichia coli,

Vibrio parahaemolyticus e Salmonella spp. Inoltre, nel Regolamento Ce 2073/2005 vi sono

fissati i limiti relativi all’istamina che devono essere rispettati da parte degli operatori del

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59

settore alimentare (Reg. 853 2004 . er limitare la formazione dell’istamina necessario

il mantenimento della catena del freddo e la temperatura di conservazione del pescato non

deve superare i 4°C, per cui i tempi di lavorazione dopo la cottura devono essere ridotti il più

possibile (AA.VV. Manuale di buona prassi igienica per la produzione primaria, 2009).

Il problema della parassitosi (aniasakidosi) nei prodotti della pesca viene affrontata da parte

del legislatore attraverso il Regolamento CE 853/2004 nel quale stabilisce le misure di

prevenzione e controllo di tale rischio. i specificatamente, l’Allegato III, sezione VIII

riporta che “devono essere congelati ad una temperatura non superiore a -20 °C in ogni

24 ”:

i prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi;

aringhe, sgombri, spratti, salmon ( ) P

essere sottoposti ad un trattamento di affumicatura a freddo durante il quale la

temperatura all'interno del prodotto non supera 60°C;

prodotti della pesca marinati e/o salati se il trattamento praticato non garantisce la

”.

Riguardo alla commercializzazione dei prodotti della pesca “gli operatori del settore

alimentare devono assicurare che tali prodotti siano sottoposti ad un controllo visivo alla

ricerca di endoparassiti” (Reg. e 853 2004 .

Per quanto concerne i prodotti della pesca velenosi Il Regolamento CE 1021/2008, che

modifica gli allegati I, II e III del regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e

rganizzazione di controlli ufficiali sui

prodotti di origine animale destinati al consumo umano e il regolamento (CE) n. 2076/2005

per quanto riguarda i molluschi bivalvi vivi, taluni prodotti della pesca e il personale

assistente durante i controlli ufficiali nei macelli, stabilisce che:

non siano immessi sul mercato prodotti della pesca ottenuti da pesci velenosi

provenienti dalle famiglie Tetraodontidae, Molidae, Diodontidae e Canthigasteridae

ed i prodotti della pesca contenenti biotossine come la Ciguatera o altre tossine

pericolose.

i prodotti della pesca freschi, preparati, congelati e trasformati appartenenti alla

famiglia delle Gempylidae, in particolare il Ruvettus pretiosus e Lepidocybium

flavobrunneum, possono essere immessi sul mercato solo in forma di prodotti

confezionati o imballati e devono essere opportunamente etichettati al fine di

informare i consumatori sulle modalità di preparazione o cottura e sul rischio

connesso alla presenza di sostanze con effetti gastrointestinali nocivi.

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Inoltre, gli operatori del settore alimentare hanno obbligo di garantire che non siano superati i

limiti relativi alle biotossine algali, riportati nel Regolamento CE 853/2004:

Biotossina Limiti massimi

PSP "Paralytic Shellfish Poison"

ASP ("Amnesic Shellfish Poison"

Acido okadaico, dinophysitossine e

pectenotossine complessivamente

Yessotossine

Azaspiracidi

800 μg kg

20 mg/kg di acido domoico

1 0 μg di equivalente acido okadaico kg

1 mg di equivalente yessotossine/kg;

1 0 μg di equivalente azaspiracido kg

3.2.2. ETICHETTATURA E RINTRACCIABILITA' DEI PRODOTTI ITTICI

Ulteriori strumenti di sicurezza alimentare sono la rintracciabilità e l’etichettatura, tesi a

garantire la trasparenza delle informazioni relative all'intera filiera produttiva per gli operatori

e i consumatori (Capelli, 2006). Fino all'inizio degli anni 2000 una piena rintracciabilità era

prevista soltanto a livello volontario per cui il comparto ittico con le sue complessità

organizzative presentava serie difficoltà nella realizzazione della trasparenza (Poli, 2002).

Dopo la riforma della legislazione alimentare e l'introduzione di nuove norme

sull'etichettatura, il settore ittico europeo ha ottenuto una maggiore trasparenza, e quindi, un

più elevato livello di sicurezza. In particolare, una chiara volontà di trasparenza nel comparto

ittico da parte del legislatore è stata espressa con l'emanazione del Regolamento CE

104/2000 relativo “all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca

e dell'acquacoltura” e del suo attuativo Regolamento CE 2065/2001, recepiti in Italia con

Decreto MIPAF del 27 marzo 2002 “Etichettatura dei prodotti ittici e sistema di controllo”.

Nel corso degli anni il Regolamento è stato modificato ed integrato con i Regolamenti CE

1224/2009, UE 404/2011 e UE 1379/2013. In particolare, il Regolamento UE 1379/2013

“relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e

dell'acquacoltura” ha abrogato il Reg. 104 2000 e modificato il Reg. 20 5 2001.

Riassumendo le suddette disposizioni, l'etichetta del prodotto ittico deve riportare le seguenti

informazioni:

- la denominazione commerciale e scientifica;

- il metodo di produzione e zona geografica di cattura; - data delle catture o data di produzione;

- numero di identificazione di ogni partita;

- numero di identificazione esterno e nome del peschereccio o nome dell’unità di

produzione in acquacoltura;

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- codice FAO alfa 3 di ogni specie;

- quantitativi di ciascuna specie in chilogrammi di peso netto o, se del caso, numero di

individui;

- nome e indirizzo dei fornitori;

- “ ” edentemente congelati.

Al fine di semplificare la valutazione da parte del consumatore, soltanto le indicazioni

evidenziate in grassetto devono essere garantite nella fase di vendita al dettaglio

all'acquirente con deroga per quanto riguarda il nome scientifico, nel caso in cui si affiggano

nel punto vendita poster che mostrino adeguatamente la corrispondenza tra specie ittica e

relativa denominazione commerciale (Reg. UE 404/2011, art. 68).

Qualora tali informazioni vengano fornite per mezzo del documento commerciale che

accompagna fisicamente la partita, le singole cassette devono avere apposto almeno il

numero di identificazione corrispondente della partita (Reg. UE 404/2011, art.67).

Nel caso in cui un prodotto della pesca o dell'acquacoltura sia stato precedentemente

congelato, il termine ”congelato” altres indicato sull'etichetta. Si considera che l'assenza di

tale dicitura a livello della vendita al dettaglio indichi che i prodotti della pesca e

dell'acquacoltura non sono stati precedentemente congelati e quindi scongelati. Il termine

“scongelato” non deve figurare: a sui prodotti della pesca e dell'acquacoltura

precedentemente congelati per ragioni di sicurezza sanitaria, conformemente all'allegato III,

sezione VIII, del Regolamento CE 853/2004; e b) sui prodotti della pesca e dell'acquacoltura

che sono stati scongelati prima di essere sottoposti ad affumicatura, salatura, cottura,

Marinatura, essiccatura o ad una combinazione di questi processi (Reg. UE 404/2011, art.

68).

Con il Regolamento CE 104/2000 il legislatore ha affrontato il problema della mancanza di

un sistema di denominazione commerciale, che creava da tempo una grande confusione a

livello commerciale, scientifico e culturale (Baldauf e Jernudd, 1983; Jernudd e Thuan,

1984), impostando imponendo agli Stati membri la stesura di un elenco di denominazioni

commerciali autorizzate. Tale elenco indica, per ciascuna specie: a) il nome scientifico, b)

La/e denominazione/i commerciale/i nella lingua ufficiale. In Italia il primo elenco ufficiale

delle denominazioni delle specie ittiche di interesse commerciale è stato pubblicato nel

Decreto MIPAF del 27 marzo 2002 che, nel corso degli anni, ha subito una serie di modifiche

ed integrazioni:

Decreto MIPAF 14 gennaio 2005 “D ngua italiana delle specie ittiche di

interesse commerciale ai sensi del Regolamento (CE) n. 2065/2001 della Commissione del 22

2001”;

Decreto MIPAF 25 luglio 2005 “M

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62

commerciali dei prodotti i D 14 2005”;

Decreto MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) 31 gennaio

2008 “D –modifiche ed

integrazioni dell 25 2005”;

Decreto MIPAAF 5 marzo 2010 “D

interesse commerciale – 27

2002 e successive modifiche e integr ”;

Decreto MIPAAF 23 dicembre 2010 “D

di interesse commerciale – modifiche ed integrazioni del DM del 31 gennaio 2008

DM 5 2010”;

Decreto MIPAAF 12 agosto 2011 “

DM 31 2008

DM 23 2010”.

Quindi, Da quanto detto di evince che l'elenco ufficiale delle specie ittiche è in continuo

aggiornamento. Questo legato sia che in parte si spiega dall’introduzione di anno in anno di

nuove specie e, in parte sia, dal cambio delle denominazioni delle specie già presenti nei

diversi elenchi (Berrini et al., 2011). Per rendersi conto dell'ordine di grandezza occorre

ricordare che nell'elenco ufficiale del 2002 sono state inserite 423 specie (pesci, molluschi

bivalvi, molluschi cefalopodi, molluschi gasteropodi, tunicati ed echinodermi), mentre nel

2011 il numero è arrivato a 925.

Nel caso di commercializzazione delle specie non incluse nella lista, l’Autorità sanitaria di

controllo provvede a stabilire la denominazione provvisoria dandone comunicazione al

Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Gli Organi di controllo (PIF per primi) sono

tenuti a dare una denominazione provvisoria alle nuove specie in entrata nel Paese e a

richiedere tramite lettera una denominazione provvisoria alla direzione Generale della Pesca,

MIPAAF (Decreto MIPAF 27 marzo 2002). Attualmente l’IZS delle enezie la struttura

incaricata di procedere all’assegnazione delle denominazioni provvisorie.

Il metodo di produzione (“pescato”, “pescato in acque dolci”, “allevato” : per le specie

pescate in mare lo Stato membro può autorizzare l’omissione del metodo di produzione, a

condizione che risulti chiaramente dalla denominazione commerciale e dalla zona di cattura

che si tratta di specie pescata in mare, a meno che ci siano dubbi sul metodo di produzione.

Per i prodotti di acquacoltura è facoltà del venditore aggiungere alla dizione "allevato" quella

di "prodotto di acquacoltura" (Reg. CE 2065/2001).

La zona di cattura: per i prodotti pescati in mare vengono riportate una delle zone di pesca

tra le zone FAO (Reg. CE n. 2065/2001, Allegato alla circolare del 27 maggio 2002, n. 1329):

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Zone di cattura Definizione della zona

Atlantico nord-occidentale Zona FAO n. 21

Atlantico nord-orientale Zona FAO n. 27

Mar Baltico Zona FAO n. 27.III.d

Atlantico centro-occidentale Zona FAO n. 31

Atlantico centro-orientale Zona FAO n. 34

Atlantico sud-occidentale Zona FAO n. 41

Atlantico sud-orientale Zona FAO n. 47

Mar Mediterraneo Zona FAO n. 37.1, 37.2, 37.3

Mar Nero Zona FAO n. 37.4

Oceano Indiano Zona FAO n. 51 e 57

Oceano Pacifico Zona FAO n. 61, 67, 71, 77, 81 e 87

Atlantico Zona FAO n. 48, 58 e 88

Inoltre, il Regolamento CE 2065/2001 dà la possibilità di indicare una zona di cattura pi

dettagliata, dunque in Italia, con l'ultimo Decreto MIPAAF 25 luglio 2013 che “definisce le

modalità appl . 59 14 15 D. . 22 2012 . 83

zone di cattura e/o di allevamento nonché alla conformità alle disposizioni del Reg. (CE) n.

2065/2001”, al fine dell'attestazione dell'origine italiana dei prodotti ittici, prevista la

facoltà di riportare sull'etichetta le sottozone FAO espresse con la denominazione delle GSAs

(Geographical SubAreas) :

GSA Area

GSA 9 Mar Ligure e Tirreno Settentrionale

GSA 10 Mar Tirreno Meridionale

GSA 11.2 Mar di Sardegna (Orientale)

GSA 17 Mar Adriatico Settentrionale

GSA 18 Mar Adriatico Meridionale (parte)

GSA 16 Mar di Sicilia Meridionale

GSA 19 Mar Ionio Occidentale

GSA 20 Mar Ionio Orientale

GSA 21 Mar Ionio Meridionale

er i prodotti pescati in acque dolci, nell’ indicazione “zona di cattura” deve essere riportato

lo Stato membro o il paese terzo di origine, e per i prodotti di acquacoltura - lo Stato membro

o il paese terzo in cui si è svolta la fase finale di sviluppo del prodotto (ovvero la fase che

intercorre tra lo stadio giovanile e la taglia commerciale , o anche l’indicazione dei diversi

stati membri o terzi di allevamento (se avvenuto in più stati) (Reg. CE 2065/2001).

Nei casi di miscugli di specie diverse, le informazioni relative alla denominazione

commerciale, al metodo di produzione e alla zona di cattura devono essere fornite per

ciascuna specie. Quando sia posto in vendita un miscuglio di specie identiche, il cui metodo

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di produzione diverso, occorre indicare il metodo di produzione di ogni partita. Quando sia

posto in vendita un miscuglio di specie identiche la cui zona di cattura o paese di allevamento

diverso, occorre indicare almeno la zona della partita quantitativamente pi rappresentativa,

con l'avvertenza che il prodotto proviene anch'esso, quando si tratta di un prodotto della

pesca, da zone di cattura diverse e, quando si tratta di prodotti d'allevamento, da paesi diversi

(Reg. CE 2065/2001).

Il Regolamento CE 2065/2001 si applica per le seguenti categorie di prodotti ittici: pesci,

crostacei, molluschi, vivi, freschi, refrigerati, congelati, surgelati, decapitati, sgusciati, tagliati

in pezzi o in filetti oppure triturati, secchi, salati, in salamoia, affumicati, anche

preventivamente precotti, in polvere, in farina o in pellets, atti all’alimentazione umana. Sono

esclusi:

i piccoli quantitativi di prodotti venduti direttamente ai consumatori dai pescatori o

dai produttori di acquacoltura;

i prodotti a base di pesce non menzionati all’art. 4 della 104 2000, perci i filetti crudi

semplicemente ricoperti di pasta o di pane grattugiato (impanati), i surimi, il tonno e

le sardine sott’olio ed altre preparazioni (cottura e conserve di pesci, di crostacei e

molluschi;

La materia dell'etichettatura dei prodotti della pesca trasformati viene disciplinata dalla

norma generale sull'etichettatura degli alimenti - D.Lgs 109/92 e successive modifiche.

Dunque, la regolamentazione sull'etichettatura di prodotti della pesca appare complessa: a

livello comunitario strutturata su diverse aree d’intervento e basata su articoli distribuiti su

pi regolamenti; a livello nazionale, invece, si condensa in un unico decreto ministeriale.

L’insieme di queste norme ha lo scopo di ottenere un regime di controllo completo del

comparto ittico, garantendo sicurezza e rintracciabilità dei prodotti, nonch adeguate

informazioni a tutela di chi acquista lungo l’intera filiera: dal grossista, al distributore, fino al

consumatore. Tuttavia, la realizzazione di tali obiettivi non è sempre facile nel settore ittico,

specialmente nel caso di Paesi caratterizzati da filiere estremamente frammentate e ramificate

come nel caso dell'Italia. Allo stato attuale esiste ancora un'ampia possibilità di frodi

commerciali, in particolare, per sostituzione di specie. Il fenomeno è dovuto all'estrema

differenziazione del mercato con elevato numero di specie d'importazione, e quindi, alla

difficoltà di riconoscerle anche da parte di veterinari molto esperti. Appare quindi urgente la

necessità di disporre, sia da parte degli operatori che degli organismi di controllo, di metodi

rapidi ed efficienti per l'identificazione certa della specie ittiche (Poli, 2005).

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65

CAPITOLO 4

IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE IN PRODOTTI ITTICI

MEDIANTE TECNICHE ANALITICHE DI LABORATORIO

In Italia, l'unica tecnica attualmente valida a livello legale nel riconoscimento delle specie

ittiche l’identificazione morfologica delle caratteristiche anatomiche macroscopiche del

pesce intero, secondo chiavi dicotomiche proposte dalla FAO (Campagna et al., 2008).

Questa metodica, però, risulta particolarmente complessa o addirittura inapplicabile di

prodotti ittici lavorati o trasformati, nei quali le caratteristiche morfologiche identificative

non sono pi presenti (Galimberti et al., 2013). Quindi, in questi casi, si rende necessario il

ricorso a tecniche di laboratorio che siano in grado di identificare inequivocabilmente le

specie in esame. A tal fine sono state proposte e utilizzate con successo numerose metodiche,

alcune dotate anche di potenzialità diagnostiche notevoli. Tuttavia, la loro applicazione

pratiche nella gestione delle attività di pesca è ancora molto limitato (Condoleo et al., 2011),

che fino ad oggi in Europa non esiste alcun sistema analitico ufficiale (Campagna et al.,

2008). Nel 2001 il JRC (European Commission Joint Research Centre) ha pubblicato un

report intitolato “D I F S ”, nel quale sottolinea

l'importanza della stretta collaborazione tra i gruppi scientifici e gli organismi ufficiali al fine

di velocizzare il trasferimento tecnologico delle innovazioni per poter far fronte alle attività

di pesca illecite e per garantire la tracciabilità. Il documento illustra le attuali metodiche

chimiche, biomolecolari e forensi utilizzate per l'identificazione di specie ittiche con

particolare attenzione alle tecniche d'avanguardia come quelle basate sull'analisi di sequenze

target del DNA.

4.1. MICROCHIMICA ED ANALISI DEGLI ISOTOPI STABILI

La composizione chimica dei tessuti duri come otoliti, scaglie o spine di un pesce, riflette le

proprietà chimiche e fisiche dell’ambiente nel quale il soggetto abita e pu essere impiegata

per stabilire un’ “impronta degli elementi” che tipica della zona d’origine del soggetto. Le

differenti aree geografiche hanno una composizione chimica delle acque, dei sedimenti e del

cibo distintiva e, di conseguenza, i soggetti cresciuti in queste zone presenteranno nei loro

tessuti sostanze differenti ed in quantità variabili. A questo scopo, viene studiata in particolare

la concentrazione di elementi quali il Bario, il Magnesio, lo Stronzio, il Ferro e il Piombo

(Campana, 2004). Gli otoliti crescono costantemente durante tutta la vita del pesce mediante

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il deposito di materiale e, diversamente dalle ossa, non subiscono alterazioni o

riassorbimento, anche dopo la morte del soggetto (Thresher, 1999). Gli otoliti sono quindi i

tessuti ideali per distinguere pesci che hanno sperimentato differenti esposizioni all’ambiente,

anche a seguito di fenomeni migratori o assortimento degli stock ittici. Il potere

discriminatorio della microchimica degli otoliti, anche per confrontare pesci che provengono

da aree relativamente vicine, è stato dimostrato da vari studi scientifici che hanno individuato

la zona di origine di diverse specie ittiche quali sogliole (Pontual et al., 2000), tonno rosso

(Rooker et al., 2008), merluzzo (Higgins et al., 2010 etc. er definire una “impronta

elementare” possono essere utilizzati altri tessuti duri come le scaglie o le spine (Gillanders,

2001 , che costituiscono un’interessante alternativa perch , per eseguire l’indagine, non

sussiste la necessità di estrarre gli otoliti e quindi danneggiare il soggetto da testare.

Recentemente, il metodo è stato applicato con successo per distinguere il salmone atlantico

selvatico da quello allevato (Adey et al., 2009).

4.2. ANALISI DEGLI ACIDI GRASSI

Gli acidi grassi sono delle molecole organiche semplici che tutti gli organismi viventi

utilizzano come elementi strutturali e fonte di energia (Alberts, 2002). Negli animali marini

sono presenti circa 20 differenti acidi grassi; tuttavia, la loro eventuale presenza e la loro

concentrazione (il c.d. “profilo lipidico” pu variare in maniera significativa non solo in base

alla specie ittica, ma anche tra animali della stessa specie provenienti da aree differenti. La

quantità dei singoli acidi grassi di una specie ittica è fortemente determinata dalla sua

genetica (Kwetegyeka et al., 2008); tuttavia, anche le condizioni ambientali locali

(temperatura e salinità) in cui il soggetto si è sviluppato possono influire su fattori altrettanto

importanti (es. il tipo di alimentazione) e quindi incidere sul suo profilo lipidico. Per questo

motivo, pesci della stessa specie, ma provenienti da aree diverse, presentano delle differenze

riguardo alla qualità e la quantità dei singoli acidi grassi ed è quindi possibile sapere se hanno

un’origine geografica comune o meno. Alcune tecniche analitiche, come la spettroscopia di

risonanza magnetica nucleare, sono in grado di fornire un affidabile quadro lipidico di un

campione di tessuto e, grazie anche all’impiego di metodi statistici, quindi possibile

identificare la specie del soggetto e verificarne l’appartenenza ad uno stock ittico di cui è

noto il profilo lipidico e la relativa area di origine. Questo metodo è stato impiegato con

successo in uno studio per stabilire la provenienza del salmone atlantico nei campioni

commerciali (Aursand et al., 2009) . Sebbene lo studio del profilo lipidico possa essere

eseguito su tessuti freschi o congelati, presenta dei limiti quando è applicato a prodotti

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trasformati come quelli affumicati o le conserve (Martinsohn, 2011).

4.3. MARKER PROTEICI

Molte tecniche di identificazione di specie si basano sulla rilevazione dei polimorfismi

genetici ovvero sulle variazioni genetiche che intercorrono tra gli individui. Lo studio delle

proteine rappresenta una modalità ancora molto utilizzata per rilevare tali polimorfismi

perché la sequenza amminoacidica di una proteina conseguenza diretta dell’espressione

genica. Per evidenziare tali variazioni, molte metodiche di studio si basano su tecniche

elettroforetiche, ovvero viene sfruttata la caratteristica delle proteine di migrare in un mezzo

quando sono immerse in un campo elettrico. Lo spostamento che si viene a generare è

strettamente legato alle proprietà chimico-fisiche della proteina (Griffiths, 2000). Spesso è

sufficiente la variazione di singoli amminoacidi per cambiare il tracciato elettroforetico della

proteina e quindi rilevare eventuali polimorfismi genetici in grado di differenziare soggetti

appartenenti a specie diverse, oppure della stessa specie, ma appartenenti a due diverse

popolazioni. Attualmente il metodo elettroforetico pi utilizzato nell’identificazione di specie

ittiche l’isoelettrofocalizzazione (I F , che in grado di fornire, per le proteine estratte da

ogni specie, un tracciato caratteristico ed identificativo, una vera e propria mappa tipica della

specie (Tepedino, 2007; Tepedino et al., 2007, Rehbein, 1990; Rehbein; 1995 ). La tecnica è

stata ufficializzata nel 1995 negli Stati Uniti dalla Food & Drug Amministration (FDA) come

metodo d’identificazione delle specie ittiche. I vantaggi dell’I F sono rappresentati dalla

semplicità di esecuzione, dall’elevata risoluzione e dalla riproducibilità. uttavia L’I F si

rivelata di scarsa utilità nel caso di prodotti trasformati, dove la struttura delle proteine si

altera a causa dei trattamenti chimico-fisici. Altri limiti nell’applicazione dell’I F sono dati

dall’omologia delle proteine in specie filogeneticamente correlate e dall’elevato

polimorfismo di alcune proteine frequentemente osservato in alcune specie (Rehnbein et al.,

2003). Indagini analitiche sui marker proteici per l’identificazione di una specie ittica

possono essere eseguite anche mediante l’uso di anticorpi monoclonali, combinando

all’elettroforesi tecniche immuno– o Western blotting (Berg et al., 2007) è possibile

analizzare ogni proteina, anche se presente a basse concentrazioni. Tra altre soluzioni

diagnostiche meritano l'attenzione le tecniche immunoenzimatiche e cromatografiche: ELISA

(Taylor and Jones, 1992, Taylor et al., 1994), HPLC (Armstrong Leach, 1 2 e L

(F gel, Carle, & Schieber, 2005). I test ELISA, in particolare, hanno dimostrato la loro

efficacia nell'identificazione di alcune specie ittiche sottoposte a sterilizzazione termica

(Carrera and others 1997; Asensio and others 2003), però risultano non applicabili per la

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differenziazione di specie filogeneticamente vicine.

4.4. ANALISI DEL DNA

Le metodiche basate sulla rilevazione dei polimorfismi genetici tramite l’analisi delle

proteine hanno il vantaggio di essere facilmente eseguibili e con costi contenuti; tuttavia,

sono efficaci quando applicati al prodotto crudo (Martinsohn, 2011). Questo limite è stato

superato grazie alle tecniche biomolecolari, che si basano sull'analisi di sequenze target del

DNA. Il DNA, infatti, oltre a consentire una discriminazione molto specifica tra specie,

stabile ai numerosi trattamenti chimico-fisici che avvengono durante la preparazione dei cibi;

questo rende i DNA marker molto utili in caso di indagini analitiche su prodotti della pesca

trasformati (Galimberti et al., 2013). Un enorme vantaggio, inoltre, consiste nella possibilità

di eseguire l'analisi sui tessuti indipendentemente dalla loro origine e fase del ciclo vitale:

ogni cellula contiene la stessa informazione genetica (Bossier 1999, Wolf et al, 2000). Il

principio delle tecniche basate sull'analisi del DNA risiede nello studio delle disposizioni

sequenziali dei nucleotidi nel DNA al fine di individuare le differenze (polimorfismi) in

regioni omologhe tra individui appartenenti a specie/popolazioni diverse (Liu & Cordes

2004). Queste differenze a livello di sequenza nucleotidica costituiscono un insieme di DNA

marker o marcatori genetici, che una volta rilevati, contraddistinguono in maniera

inequivocabile anche gli organismi geneticamente molto simili (Martinsohn, 2011).

Negli ultimi anni sono state sviluppate numerose metodiche dell'analisi strutturale del DNA

che si differenziano per il tipo di marcatori genetici analizzati e/o per il tipo di tecnologia

impiegata. In base a ciò possono essere suddivise in: tecniche di ibridazione tipo Southern

Blot Hybridization (SBH) o North Blot Hybridizaion (NBH) e tecniche basate sulla Reazione

a Catena della Polimerasi (PCR), come RAPD (Randomly Amplified Polymorphic DNA),

RFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism), SSR (Simple Sequence Repeat), I-SSR

(Inter-SimpleSequence Repeat), AFLP (Amplified Fragment Lenght Polymorphism) CAPS

(Cleaved Amplified Polymorphic Sequence), SNP (Single Nucleotide Polymorphism) ed altre.

Le tecniche biomolecolari basate sulla PCR a causa dei loro pregi, ovvero la velocità, la

semplicità, la sensibilità e la selettività, sono quelle più utilizzate dalla comunità scientifica

(Galimberti, 2013).

In pochi anni è diventata ampiamente utilizzata una tecnica chiamata DNA Barcoding,

ovvero l’identificazione di una corta sequenza di nucleotidi tratta da una specifica parte del

genoma di un qualunque organismo in grado di identificarlo a livello di specie con

ragionevole certezza (Hebert, Ratnasingham, & deWaard, 2003 . Il nome “DNA barcoding”

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metaforicamente si riferisce al modo in cui uno scanner ad infrarossi identifica

inequivocabilmente i vari prodotti commerciali utilizzando i codici a barre (UPC). Il codice a

barre del DNA richiede due caratteristiche fondamentali: un’ampia copertura tassonomica e

un’alta risoluzione ( elbert et al. 2003 . L’alta copertura tassonomica (anche detta

universalità permetterebbe l’applicabilità del gene scelto come DNA barcode ad un numero

di ta a il pi ampio possibile. Una capacità ad alta risoluzione si riferisce invece all’abilità di

un dato barcode di differenziare le specie e si basa sulla quantità di differenze interspecifiche

tra le sequenze di DNA. Come principio generale, il marker genetico scelto come barcode

dovrebbe avere alta variabilità interspecifica e bassa variabilità intraspecifica. er questo

scopo sono stati suggerite diverse regioni del genoma mitocondriale, in particolare il tratto

che codifica per la subunità I della itocromo ossidasi (COI) (Helbert et al. 2003). Gli

studi preliminari hanno dimostrato che questo gene è ideale per il DNA barcoding perché

presenta una sufficiente variazione nucleotidica tra le specie, a fronte di una bassa variazione

intraspecifica (Condoleo et al, 2012).

Grazie ai numerosi progetti di DNA Barcoding sono stati messi a disposizione della comunità

scientifica importanti quantità di dati sulle sequenze delle numerose specie. Le sequenze sono

depositate nelle banca dati in forma elettronica e sono accessibili al pubblico sul web. Quindi

ogni ricercatore può confrontare le sequenze ottenute da una specie sconosciuta con quelle

disponibili nel database al fine di identificarla. Uno di questi database è il BOLD (Barcode of

life database), coordinato da International Barcode of Life Project (iBOL), che raccoglie le

sequenze del gene della citocromo-ossidasi subunità I (COI) con lo scopo di creare una

biblioteca di referenza per tutte le forme viventi (Ratnasingham&Hebert, 2007). Attualmente,

il BOLD con il suo sistema di identificazione BOLD – IDS è considerata una delle più

affidabili risorse sia per scopi di ricerca che per applicazioni pratiche, perchè offre le garanzie

sulla qualità dei dati presenti (Galimberti, 2013). Nel quadro del BOLD è inserito il progetto

FISH-BOL (Fish Barcode of Life), che rappresenta una dei database più completi per le

specie ittiche (Ward et al., 2009) e allo stato attuale contiene le sequenze di più di 10000

specie. Un altro database importante è GenBank che fa parte del'NCBI (National Center for

Biotechnology Information), che è il più grande portale bioinformatico del mondo, creato

negli Stati Uniti dalla National Library of Medicine (NLM). GenBank con il suo programma

BLAST, tuttavia, non risulta adatto nella sicura identificazione di specie in quanto non è

prevista alcuna forma di controllo sulle informazioni depositate. Per offrire un riferimento

o ’ f c z o p c c mpo p o o o altre iniziative importanti:

Consortium for the Barcode of Life, European Bioinformatics Institutes (EBI), Marine

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Barcode of Life, FishTrace Consortium, Fishgen (Bernardi et al., 2011). Attualmente, per ,

non sempre possibile giungere all’identificazione di tutte le specie perch i database

presentano ancora alcune lacune riguardo i geni mitocondriali e sono, invece, molto più

complete per i marker nucleari (Martinsohn, 2011).

Il DNA Barcoding dunque dimostra ottime potenzialità per diventare nel futuro uno

strumento universale di controllo qualità e tracciabilità degli alimenti (Galimberti, 20013).

Allo stato attuale è ancora necessario molto lavoro per creare database esaurienti e affidabili,

in grado di fornire le sequenze nucleotidiche di riferimento di un gran numero di specie

secondo i diversi marker genetici. Negli Stati Uniti, nel frattempo, la FDA ha già fatto la

proposta di ufficializzare il DNA Barcoding per l'identificazione delle specie nei prodotti a

base di pesce, sostituendo la tecnica IEF (Yancy et al., 2008). A tal fine, la FDA ha prodotto

la propria risorsa elettronica, c.d. L'enciclopedia Ufficiale delle specie ittiche (Regulatory

Fish Encyclopedia (RFE)), che contiene le informazioni sulle sequenze del gene

mitocondriale COI delle specie di maggiore rilevanza commerciale

(www.fda.gov/Food/FoodScienceResearch/DNASeafoodIdentification).

4.4.1. IL DNA MITOCONDRIALE

Come già accennato in precedenza, lo studio del genoma mitocondriale è estremamente

importante per identificare le specie utilizzando la tecnica del DNA Barcoding. I mitocondri

sono degli organelli presenti all’interno di ogni cellula, la cui funzione quella di produrre

energia per le varie attività cellulari attraverso la respirazione aerobica. All’interno

presentano un proprio genoma (indipendente dal DNA presente nel nucleo della cellula) che

consiste in una molecola del DNA circolare a doppio filamento contenente 37 geni, che

codificano per 13 proteine, per 22 tRNAs e per 2 RNA ribosomali (12S rRNA e 16S rRNA)

(Wilson et al., 1985), e una regione di controllo non codificante le proteine, chiamata D-loop.

Nella maggior parte degli animali, le due catene polinucleotidiche del DNA mitocondriale

hanno un peso molecolare diverso, per cui una indicata come catena pesante (H, heavy)

ricca di Adenina e Guanina (A e G) e l'altra come catena leggera (L, light) più ricca di Timina

e Citosina (T e C). La maggior parte dei geni mitocondriali localizzata nella catena ,

soltanto un gene codificante mRNA e otto geni per i tRNA sono localizzati sulla catena L.

Nel genoma mitocondriale l'organizzazione estremamente compatta: non vi sono introni,

alcuni geni sono parzialmente sovrapposti, i geni per i tRNA sono inframezzati ai geni che

codificano per gli rRNA o per le proteine.

Il DNA mitocondriale presenta diversi vantaggi rispetto al DNA nucleare:

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è particolarmente abbondante poiché ogni mitocondrio contiene più copie (cca. 10

copie) del suo genoma e in una cellula sono presenti circa 1000 di tali organelli;

questo permette di isolarlo e analizzarlo con una maggiore facilità in laboratorio

(Civera, 2003); la numerosità delle copie fo c o po mp f c

molecole stampo anche in presenza di DNA altamente degradato, a differenza dei geni

a singola copia del genoma nucleare;

la struttura circolare e le piccole dimensioni (16000-19000 pb) del DNA

mitocondriale lo rendono più stabile davanti gli agenti denaturanti, per cui può essere

utilizzato per l'identificazione delle specie nei prodotti sottoposti al trattamento

termico (Avise et al., 1987; Civera, 2003);

a differenza del DNA nei cromosomi, che deriva da geni materni e paterni, il DNA

mitocondriale viene ereditato direttamente dalla madre, e quindi ci sono minori

possibilità di assortimento genetico ad ogni generazione (Martinsohn, 2011);

il DNA mitocondriale, inoltre, è molto più stabile di quello nucleare e non ricombina,

rendendolo così ideale per studi sulle popolazioni o finalizzati al riconoscimento di

specie (Martinsohn, 2011);

m c z o f z z o z o

m oco p mp c m z p c ff

po c gaps di sequenza sono rari (Saccone et al. 1999);

il DNA mitocondriale evolve negli animali con un tasso 10 volte maggiore rispetto al

DNA nucleare (Brown et al., 1 7 l’elevata variabilità dovuta all'elevata frequenza

di mutazioni e la ridotta pressione selettiva contro le mutazioni stesse. Questa

proprietà rende il DNA mitocondriale ideale per la discriminazione delle specie

strettamente imparentate (Wolf et al, 2000).

L'alto tasso di mutazione del DNA mitocondriale, a sua volta, fa sì che si possano avere

sequenze mitocondriali differenti non solo all'interno di una specie, ma persino all'interno

dello stesso individuo. Queste variazioni intraspecifiche, se coinvolgono le sequenze target,

comportano un grande svantaggio durante le procedure diagnostiche (Civera, 2003). Le

regioni del genoma mitocondriale che esibiscono la maggiore variabilità e il più 'alto grado di

conservazione corrispondono ai geni che co f c o p c oc omo c o

(in particolare per il Citocromo C Ossidasi I- COI), per il citocromo b (cyt b), per le rRNA

(12rRNA e 16SrRNA) e per alcuni tRNA (Saccone et al. 1999). Queste caratteristiche li

rendono marker ideali per identificare le specie con un sufficiente grado di affidabilità, per

cui i protocolli analitici sviluppati dai laboratori si basano principalmente sul sequenziamento

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di questi geni. Il gene COI, in particolare è un gene di elezione per gli studi filogenetici in

quanto dimostra significative potenzialità discriminative rispetto ad altri marker mitocondriali

(Hebert et al., 2003), che, nel caso di specie ittiche può raggiunge 93% - 98% (Ward,

Hanner&Hebert, 2009). Inoltre, è stato osservato che, anche sequenze nucleotidiche

relativamente brevi (100-200 bp), possono fornire informazioni accurate relative alla specie

di appartenenza (Hajibabaei et al., 200 . er l’amplificazione di questo gene sono stati

progettati numerosi primer universali, che possono essere applicati ad una vasta gamma di

taxa (Single Laboratory Validated Method for DNA- arcoding for the Species Identification

of Fish for FDA Regulatory Compliance, 2011; Kochzius et al., 2010, Folmer et al., 1994;

Mikkelsen et al., 2006; Ivanova et al., 2007; Baldwin et al., 2009). Infatti, lo scopo principale

dei ricercatori coinvolti nei progetti del DNA Barcoding è quello di riuscire a sviluppare

primer in grado di amplificare il gene in questione nel maggior numero di specie possibile.

Questo compito è molto complesso e al giorno d'oggi non è ancora realizzato (Armani et al.,

2012). Tuttavia già esistono alcuni risultati molto promettenti: Ward et al., (2005) ha

sviluppato i primers in grado di amplificazione il gene COI in più di 200 specie di pesci. Nel

protocollo della FDA, di cui abbiamo precedentemente parlato, vengono utilizzati con

successo i primer disegnati da Baldwin et al. 2000, e leggermente modificati da Steffens et

al. (1993). Tuttavia, l'utilizzo del gene COI nell'identificazione delle specie può risultare

insidioso a causa della presenza dei c.d. pseudogeni nucleari mitocondriali, ovvero di copie

“non funzionali”. Molti studi hanno dimostrato che pseudogeni sono estremamente diffusi

nella natura e si formano quando una parte del DNA mitocondriale si inserisce nel genoma

nucleare mediante i meccanismi di ricombinazione o crossing-over (Buhay, 2009). Il fatto che

questi frammenti vengano co-amplificati insieme con le sequenze target, compromettendo i

risultati, costituisce un principale svantaggio dell'utilizzo del gene COI (Song et al., 2008).

Al fine di evitare la co-amplificazione dei pseudogeni mitocondriali sono state suggerite

diverse metodiche, compresi RT - PCR, longPCR, clonazione e arricchimento del DNA

mitocondriale (Bensasson et al., 2001). Oltre che per il DNA Barcoding, il COI viene

impiegato anche in altre tecniche molecolari, quali la PCR-RFLP e la multiplex PCR

(Espineira et al., 2008; Rasmussen Hellberg et al., 2010). attulmente il gene mitocondriale

maggiormente utilizzato è il gene che codifica il citocromo b (cyt b). Anche questo gene, a

causa della sua alta variabilità interspecifica e bassa quella intraspecifica, permette di

contraddistinguere gli organismi geneticamente molto simili (Mackie et al., 1999). In diversi

studi dedicati all'identificazione di alcune specie ittiche veniva usato, con buoni risultati, il

gene cyt b in concomitanza con il gene adiacente che codifica per tRNA (mt tRNA Glu-cyt b)

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(Wolf et al, 2000; Sanjuan & Comesana, 2002; Akasaki et al., 2006). I primer universali

sviluppati per questa regione permettono di amplificare i frammenti di diversa lunghezza

(Kochzius et al., 2010, Kocher et al., 1989, Abdulmawjood et al., 2001). Ad esempio, un

primer disegnato da Sevilla et al., (2007), in alcune specie ittiche riesce a produrre i

frammenti che comprendono l’intero codice del gene cyt b. Anche i geni che codificano per le

subunità 12S e 1 S dell’RNA ribosomale sono altamente conservati e presentano un buona

variabilità interspecifica, per cui rivestono una grande importanza nelle indagine molecolari

al fine del riconoscimento delle specie (Abdulmawjood et al., 2001).

4.4.2. METODICHE DELL’ ESTRAZIONE DEGLLI ACIDI NUCLEICI

L’isolamento e la purificazione degli acidi nucleici sono i primi cruciali passi nella maggior

parte delle applicazioni di biologia molecolare. Proprio da questi importantissimi passaggi

dipende la buona riuscita di tutto il lavoro poiché, per quanto le operazione successive siano

svolte in maniera eccellente, se vi sono delle anomalie in questa prima fase verrà

compromesso tutto il lavoro che segue (Wink, 2006).

Esistono diverse tecniche di estrazione degli acidi nucleici, che vengono scelte in base al:

- tipo di acido nucleico che si vuole isolare (per esempio, singola o doppia catena di DNA,

RNA totale, mRNA etc.);

- alla fonte utilizzata per l'estrazione (tessuti animali o vegetali, cellule eucariotiche o

procariotiche, virus etc);

- al materiale biologico, contenente la fonte d'acidi nucleici, utilizzato per l'estrazione (organo

intero, tessuto, coltura cellulare, sangue, plasma etc, tessuto fresco, conservato o sottoposto a

trattamenti fisico-chimici etc.);

- all’applicazione prevista post-estrazione (PCR, RT-PCR, clonaggio, restrizione enzimatica,

Southern blotting etc);

- risultato desiderato (quantità, purezza, tempo richiesto).

Indipendentemente dalla tecnica di estrazione usata, due sono i requisiti che vengono presi in

considerazione: la purezza e la resa (quantità).

La purezza del DNA o RNA intesa sia come presenza in soluzione dell’acido nucleico in

esame, sia come assenza di sostanze contaminanti che, legandosi ai reagenti in soluzione,

potrebbero modificare i risultati del sequenziamento. Infatti, i test diagnostici che utilizzano

la tecnica di PCR, risentono sensibilmente della presenza di diverse sostanze di natura

organica e non organica che interferiscono con la reazione d’amplificazione (componenti

organici e fenolici, grassi, polisaccaridi, sali, metalli pesanti ecc.) (Wilson, 1997).

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La a t t di acido nucleico presente in un materiale biologico, direttamente correlata con

la sensibilità e la specificità dei test diagnostici, deve essere garantita da tecniche che,

evitandone la degradazione meccanica o ancora di pi quella enzimatica, ne consentano una

resa accettabile.

Sebbene esistano una grande varietà di metodiche d'estrazione e purificazione degli acidi

nucleici, i passaggi di base sono abbastanza costanti e prevedono:

1. Lisi cellulare: è la distruzione della struttura dei tessuti e delle cellule con la formazione

del lisato cellulare. E' una fase molto delicata in quanto deve essere sufficientemente

aggressiva da frammentare il complesso materiale di partenza, ma abbastanza gentile da

preservare l'integrità dell'acido nucleico. Inoltre, è proprio questo step che determina, in gran

parte, la quantità di acidi nucleici liberati. La lisi si realizza mediante: a) la distruzione fisica;

b) la distruzione chimica c) la distruzione enzimatica. Nella maggior parte dei protocolli

d'estrazione questi metodi vengono combinati tra loro. La distruzione fisica dei tessuti può

essere realizzata attraverso l'omogeneizzazione e lo sminuzzamento meccanico

(Chomczynski, 1993, Armani et al., 2011, Armani et al, 2012a), l'agitazione in presenza di

biglie di vetro o di acciaio (Dilworth and Frey, 2000; Robe et al., 2003), gli ultrasuoni (Yeates

et al., 1998), il congelamento/scongelamento (Kuske et al., 1998; Leff et al., 1995, lo shock

osmotico (Picard et al., 1992; Cunha et al., 2001) e il campo elettrico nei dispositivi

microfluidici (Chen et al., 2007). Invece, la lisi chimica usuale è quella con i detergenti SDS

(sodio lauril solfato) e Sarcosyl (N-lauril sarcosina), capaci di degradare le membrane e

liberare il contenuto cellulare in soluzione. Questi agenti, inoltre possiedono la capacità di

rompere i legami idrofobici e i legami idrogeno tra gli acidi nucleici e le proteine, non

interagendo invece con i legami covalenti tra i filamenti della doppia elica del DNA

(Birnboin&Doly, 1979). Le soluzioni di lisi, oltre al principio litico, contengono numerosi

additivi che servono a stabilizzare il DNA durante il processo di purificazione. Tra di essi il

tampone Tris-HCl è usato per mantenere il pH tra 7,5 e 8,0. Dal momento che il DNA è una

molecola che può facilmente rompersi durante il trattamento di lisi, nelle soluzioni di lisi si

trovano frequentemente polialcoli (saccarosio, glucosio, glicerolo, sorbitolo) che

minimizzano le rotture stabilizzando la molecola del DNA, mentre per ridurre l'attività delle

nucleasi endogene si impiegano chelanti di ioni bivalenti (soprattutto ione magnesio) come

EDTA (acido etilendiamminotetracetico) o EGTA (acido etilen glico-bis-(2-aminoetilen)

tetracetico) (Old&Primrose, 1994). Una volta applicata la lisi chimica e/o fisica, in vari

protocolli, si realizza un trattamento con delle sostanze enzimatiche che attaccano le nucleasi

cellulari ed intensificano, inoltre, il degrado e la dissoluzione delle proteine strutturali.

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2.Inattivazione delle nucleasi cellulari: l’inattivazione degli enzimi cellulari avviene in

maniera diversa a seconda se il materiale genetico da estrarre è rappresentato da DNA o

RNA. Quando l’acido nucleico il DNA, si utilizza la proteinasi K, un enzima molto attivo,

isolato dal fungo saprofita Engyodontium album. La proteinasi K viene attivata da ioni di

calcio che, inoltre, le conferiscono stabilità. La rimozione degli ioni di calcio diminuisce la

stabilità dell'enzima, tuttavia l'attività proteolitica resta, e ciò fa sì che sia possibile l'utilizzo

dell'enzima in presenza di EDTA. La proteinasi K è molto attiva in presenza di sostanze

chimiche che denaturano altre proteine, come SDS, urea, reagenti sulfidrilici ecc., inattivando

rapidamente le DNasi e RNasi. Inoltre, un innalzamento della temperatura di reazione da 37 °

C a 50-60 ° C può aumentare l'attività più volte, come anche l'aggiunta di 0,5-1 % SDS,

cloruro guanidinium, guanidinium tiocianato e urea (Müller et al., 1994). Nel caso dell’RNA

invece, i tessuti o le cellule vengono omogeneizzate in un tampone contenente un detergente

ad alta concentrazione (SDS o Sarcosyl), un agente dissociante (cloruro o isotiocianato di

guanidinio), una soluzione tampone ed un agente riducente (2-mercaptoetanolo o DTT), in

modo da inibire le RNasi endogene, denaturare gli acidi nucleici e dissociare le proteine che

potrebbero esservisi fissate. Quindi la lisi cellulare e inattivazione delle nucleasi possono

essere combinate: una soluzione può contenere detergenti per solubilizzare le membrane e

sali caotropici per inattivare gli enzimi intracellulari (Focà &Lamberti, 2003).

3. Separaz o e e rec pero dell’ac do cle co: il recupero del materiale genetico dalla

soluzione contenente il lisato cellulare, con la conseguente separazione dell’acido nucleico

dai residui cellulari e dalle sostanze interferenti, attuata secondo due approcci diversi (Tan

and Yiap, 2009):

- per non affinità, quando si rimuovono tutte le molecole oltre il DNA con l’utilizzo dei

solventi organici o delle soluzioni concentrate di sali;

- per affinità, quando il DNA si assorbe su di un supporto come silice o alle sfere magnetiche

grazie ai legami selettivi.

Non affinità: una delle operazioni pi diffuse l’uso di solventi organici. iene sfruttata la

solubilità differenziale delle molecole presenti in soluzione (acidi nucleici contaminanti fra

due fasi tra loro non miscibili. La soluzione contenente gli acidi nucleici vigorosamente

mescolata ad una fase non miscibile per qualche minuto. La fase acquosa, che contiene gli

acidi nucleici, viene recuperata delicatamente con una pipetta, dopo la centrifugazione. Una

delle prime sostanze utilizzate allo scopo stato il fenolo, energico deproteinizzante nel quale

gli acidi nucleici non sono solubili. Le proteine denaturate, con i gruppi idrofobici esposti,

diventano solubili nella fase fenolica o precipitano all’interfase fenolo acqua. Con le proteine

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vengono dissoluti lipidi, carboidrati e detriti cellulari (Chomczynski&Sacchi, 2006). La

qualità del fenolo una delle caratteristiche principali che garantisce la buona riuscita

dell’estrazione: deve essere perfettamente puro e non ossidato (distillato . Altre sostanze sono

il cloroformio o in sostituzione l’etere che in ogni caso vengono utilizzate sempre dopo un

trattamento con fenolo, in quanto permettono di eliminare le tracce di fenolo che sono

eventualmente state asportate insieme alla fase acquosa. L’isobutanolo, altra sostanza

utilizzata, ha il vantaggio oltre che di separare gli acidi nucleici dalle sostanze contaminanti,

anche quella di concentrarli di circa il 10% nella soluzione (Focà &Lamberti, 2003).

Nonostante il metodo fenolo/cloroformio sia una tecnica di eccelenza, in grado di garantire

un elevato recupero di DNA ad alto peso molecolare, nella pratica odierna si preferiscono

altri sistemi più rapidi e sicuri per l'operatore, poiché tale processo si rileva essere molto

laborioso oltre che tossico (Tagliabracci, 2010).

Una metodica alternativa del recupero degli acidi nucleici l’estrazione salting out. ' uno

dei metodi pi utilizzati e sfrutta il principio secondo il quale la solubilità delle proteine in

soluzione dipende dalle loro caratteristiche chimico-fisiche, dalla temperatura, dal pH e dalla

concentrazione salina o forza ionica. A basse concentrazioni di sali, la solubilità delle

proteine aumenta lentamente (salting in , mentre ad alte concentrazioni di sali, la solubilità

delle proteine diminuisce bruscamente (salting out) causando la precipitazione delle stesse.

L'ottimizzazione dell'estrazione in questo caso avviene mediante utilizzo di diversi sali in

varie concentrazioni. La capacità di un sale di indurre la precipitazione delle proteine dipende

dal modo in cui interagisce con l'acqua e i soluti. i I cationi ed anioni possono essere ordinati

sulla base della loro capacità di salting out (serie di Hofmeister) (Hofmeister, 1888):

NH4 + > K + > Na + > Li + > Mg2 + > Ca2 +

F - ≥ SO42 - > H2PO4 - > H3CCOO - > Cl - > NO3 - > Br - > ClO3 - > I- > ClO

Gli anioni sono quelli che, tipicamente, hanno un maggior effetto sulla precipitazione delle

proteine. I sali più utilizzati sono il solfato di ammonio, solfato di potassio ed il solfato di

sodio in quanto, secondo la serie di Hofmeister, gli ioni in soluzione acquosa possiedono una

capacità precipitante elevata. Buoni risultati si ottengono anche con acetato di sodio (Armani

et al, 2012a), cloruro di sodio (Miller, 1988) ecc. In generale, questo metodo prevede la lisi

delle cellule mediante tampone di lisi classico e il trattamento con la Proteinasi K allo scopo

di estrarre gli acidi nucleici e degradare le proteine presenti che vengono allontanate

mediante precipitazione con i sali (Miller, 1988).

Affinità: i sistemi di separazione degli acidi nucleici per affinità sfruttano la capacità di

alcune sostanze di instaurare legami selettivi con i DNA e RNA. Questo principio viene

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adottato dai numerosi kit commerciali, che hanno il pregio di evitare l'utilizzo di reagenti

chimici pericolosi, oltre a quello di accorciare notevolmente i tempi di purificazione, a

scapito però della resa finale (Tagliabracci, 2010).

La metodica pi diffusa basata sull’assorbimento selettivo di frammenti del DNA

plasmidico, DNA genomico, RNA totale o del RNA sulla superficie di particelle di vetro o

gel di silice in presenza di alte concentrazioni di sali caotropici (in particolare idrocloruro

(Gu l e isotiocianato (GuS N di guanidina . L’eluizione degli acidi nucleici si ottiene

variando la forza ionica ed il pH della soluzione, utilizzando acqua distillata o un tampone a

bassa concentrazione salina. In caso di trattamento di campioni ricchi di cellule e, contenenti,

verosimilmente, elevate quantità di acidi nucleici (dell’ordine dei μg , le particelle di silice

vengono sostituite con le diatomee (pareti cellulari fossilizzate di alghe unicellulari ( oom

et al., 1 0 . sse sono costituite quasi interamente da silice, ma sono di dimensioni pi

grandi e, quindi, in presenza di elevate quantità di DNA, soprattutto genomico, non formano

con quest’ultimo complessi agglomerati che non potendosi pi risospendere,

determinerebbero una perdita di materiale genetico. Questo metodo di estrazione si è rivelato,

quindi, veloce, economico ed estremamente versatile. Tutte queste caratteristiche lo hanno

reso molto diffuso, soprattutto nella versione modificata nei kit commerciali di estrazione.

Un altro approccio all'estrazione di materiale genomico sfrutta lo stesso legame degli acidi

nucleici a matrici di silice, le quali ricoprono una resina paramagnetica, o il legame diretto

con i supporti paramagnetici come, per esempio, lo zirconio, oppure il legame con la

cellulosa magnetica. I materiali con la maggiore superficie sono di gran lunga preferibili in

quanto possiedono maggior capacità d'assorbimento, come per esempio, le biglie. Con questa

tecnica, quindi, la purificazione può avvenire in un'unica provetta tramite la semplice

aggiunta e rimozione di soluzioni di lavaggio. Le molecole del DNA o RNA vengono

reversibilmente legate alle sfere magnetiche in presenza di sali caotropici. Un magnete viene

utilizzato per mantenere le sfere, legate al DNA o RNA ,sulla parete della provetta lasciando

tutte le impurità in soluzione. La quantità di materiale genetico estratto dipende dal numero e

dalla capacità delle sfere magnetiche (Tagliabracci, 2010). Nel caso della cellulosa magnetica

l'assorbimento degli acidi nucleici avviene in presenza di alte concentrazioni dei sali e del

PAG (polyalkylene glycol). Il componente magnetico intrappolato dentro il polimero è

l'ossido di ferro, che rappresenta il 90 % del peso totale della cellulosa (Nargessi, 2005).

Negli ultimi anni sono andate diffondendosi resine a scambio anionico in grado di legare

DNA, componenti di parete e del citoplasma che vengono successivamente eluiti con

tamponi a forze ioniche crescenti (Brown, 1991).

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La disponibilità di nuove tecnologie per la purificazione di materiale genetico ha fornito i

presupposti per l'automatizzazione del processo di purificazione degli acidi nucleici.

L'utilizzo congiunto di membrane di silice o di sfere magnetiche con una stazione di lavoro

robotica, ha reso possibile la completa automazione dell'estrazione degli acidi nucleici da

differenti tipologie di campioni. In questi sistemi, la fase di lisi delle cellule, avviene in un

sistema completamente chiuso e la separazione degli acidi nucleici dalle altre sostanze

presenti in soluzione attuata mediante l’uso di una sonda-cattura.

5. Precipitazione : ha lo scopo di recuperare gli acidi nucleici in forma solida permettendo

loro, dopo averli essiccati, di ridisciogliersi, alla concentrazione desiderata, in una soluzione

priva di sostanze contaminanti e degradanti. Una delle sostanze utilizzate per la

precipitazione l’alcool etilico che utilizzato ad alta concentrazione (2,5 volumi di etanolo

puro per volume di campione in una soluzione ad alta forza ionica (sodio acetato 3M p

5,2 . In queste condizioni la precipitazione degli acidi nucleici avviene quasi totalmente ed

accelerata dal freddo (- 20 a -70 . Il precipitato ottenuto recuperato dopo la

centrifugazione. Un’altra sostanza utilizzata l’isopropanolo che viene di norma preferito

all’alcool etilico, perch , da un lato permette la precipitazione degli acidi nucleici senza

bisogno di variare la forza ionica della soluzione, e, dall’altro, perch non precipitando i

frammenti molto piccoli degli acidi nucleici, evita che questi, essendo funzionalmente

inattivi, possano interferire con le successive applicazioni di microbiologia molecolare.

Qualsiasi sia la sostanza utilizzata per la precipitazione, gli acidi nucleici precipitati devono

essere lavati con etanolo al 70% e al 100% per essere ripuliti dai sali (Focà &Lamberti,

2003). Il DNA genomico viene conservato generalmente in tamponi a temperature comprese

tra +4°C e -70°C.

Per il controllo dell’estrazione degli acidi nucleici si esegue una valutazione quali-

quantitativa per via spettrofotometrica su un’aliquota del campione. Il metodo

spettrofotometrico sfrutta la capacità degli acidi nucleici di assorbire la luce U con un

massimo di assorbimento alla lunghezza d'onda di 2 0 nm. ale assorbimento determinato

dalle basi azotate, per cui sia caratteristico del DNA a doppio e singolo filamento e sia

dell’RNA. er una stima quantitativa si valuta l’assorbanza a 2 0 nm di un campione

opportunamente diluito, ricordando che un’unità di densità ottica corrisponde ad una

concentrazione pari a 50 μg ml di DNA a doppia elica e a 40 μg ml di DNA a singola elica o

di RNA. Il rapporto A2 0 A280 usato per stimare la purezza della preparazione degli acidi

nucleici, perch le proteine, che sono la principale fonte di contaminazione, assorbono a 280

nm. I campioni puri dovrebbero avere il rapporto A260/A280 circa 1.8 – 2.0. L'assorbanza a

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230 nm, cio ai margini dello spettro di assorbimento degli acidi nucleici, riflette la

contaminazione del campione dovuta a sostanze come carboidrati, fenoli, composti aromatici.

Per campioni puri il rapporto A260/ A230 dovrebbe risultare circa 2 – 2.2.

Oltre la purezza, un altro aspetto che caratterizza la qualità del DNA estratto è la sua integrità

strutturale, in quanto influenza in modo significativo i risultati degli ulteriori passaggi

analitici (Cseke et al., 2004). Il DNA può essere danneggiato dall'esposizione ad alte

temperature, dalle nucleasi, dal pH basso con conseguente depurinazione ed idrolisi

(Marmiroli et al., 2003). Quindi, il DNA estratto dai prodotti lavorati spesso risulta di ridotta

qualità a seguito dei danni strutturali e della frammentazione, che compromettono la sua

amplificabilità (Di Bernardo et al., 2007). La temperatura, però, rappresenta un elemento

trascurabile rispetto ad altri fattori: infatti anche dopo il trattamento di sterilizzazione la

lunghezza dei frammenti del DNA estratto può raggiungere 300 bp (Chapela et al., 2007). Il

DNA invece risulta molto più sensibile agli eventuali enzimi degradativi presenti negli

ingredienti, o alle condizioni chimiche in cui avviene il processo, che possono accelerare il

degrado del DNA, tra cui il pH risulta essere uno dei parametri più influenti. E' stato

dimostrato che il grado di depurinazione del DNA, e quindi il grado di degradazione,

aumenta fortemente con la diminuzione del pH (Lindahl & Nyberg, 1972). Pertanto, trovare

un metodo d'estrazione del DNA più efficiente per una determinata categoria di prodotti,

risulta una vera e propria sfida. Per esempio, in uno studio effettuato sui diversi prodotti a

base di tonno inscatolato (Thunnus albacares), è stato dimostrato quanto la lunghezza dei

frammenti del DNA estratto e l'amplificabilità variassero in relazione ai kit d'estrazione

impiegati e alla natura del condimento in cui veniva conservato il pesce (salamoia, olio,

aceto o salsa di pomodoro). Un metodo d'estrazione del DNA valido per un prodotto

associato ad un condimento poteva risultare non efficiente se associato a condimenti diversi.

Nello studio, l'efficienza di un metodo d'estrazione era valutato sulla base della capacità di

amplificazione degli acidi nucleici estratti con lo stesso (Chapela et al., 2007).

4.4.3. LA REAZIONE A CATENA DELLA POLIMERASI (PCR)(Scialpi& Mengoni, 2008;

Guidi et al., 2008)

La PCR (Polymerase Chain Reaction) è un metodo, inventato da Kary Mullis (1983), che

consente di sintetizzare ripetutamente in vitro e per via enzimatica uno o più specifici

segmenti di DNA localizzati tra due sequenze nucleotidiche note, producendone un numero

elevato di copie. Per una serie di sue caratteristiche quali la versatilità, la semplicità, la

rapidità, l’economicità, la capacità di amplificare anche quantità minime di DNA (in linea di

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principio anche da una singola molecola) e a partire da campioni non particolarmente integre

o puri, la PCR ha avuto un grande successo e ha trovato applicazioni anche nel settore delle

analisi degli alimenti.

Gli elementi coinvolti nella reazione sono:

- il DNA da amplificare (templato);

- i quattro desossiribonucleotidi trifosfato (dNTP), necessari per la sintesi delle nuove eliche;

funzionano anche da inneschi della reazione;

- una coppia di primers specifici (forward e reverse)che individuano la sequenza bersaglio,

poiché complementari alle estremità 3' delle catene della doppia elica;

- DNA Polimerasi termostabile, enzima in grado di riconoscere le coppie sequenza-primer,

legarsi e condurre la sintesi della nuova catena; sono disponibili diversi enzimi, provenienti

da diversi batteri termofili, tra cui Taq DNA Polimerasi (da Thermus aquaticus), Tth DNA

Polimerasi (da Thermus thermophilus) e Tne DNA Polimerasi (da Thermotoga neapolitana)

(Davalieva&Efremov, 2010);

- MgCl2, che rappresenta il cofattore indispensabile alla DNA polimerasi;

- Soluzione tampone (Buffer) per creare le condizioni ottimali alla reazione.

Attualmente le case produttrici tendono a fornire delle soluzioni di reazione precostituite, alle

quali è necessario aggiungere soltanto il templato e i primers.

La tecnica prevede l’uso di uno strumento capace di realizzare ripetuti cicli termici (Thermal

Cycler). Ogni ciclo consiste in 3 fasi:

1.Denaturazione: il DNA genomico viene sottoposto a denaturazione mediante

riscaldamento della reazione a 93- 5 allo scopo di rompere i legami tra l’ idrogeno e le

basi azotate con conseguente separazione dei filamenti della doppia elica. La Taq DNA

polimerasi ha solitamente una emivita di 30 min a 95 °C. Questo fatto limita il numero di

cicli della R ed il tempo di denaturazione: un’ incubazione di 1 min a 5 per ogni ciclo

della PCR consente di effettuare non più di 30-35 cicli. Diminuendo il tempo di

denaturazione a 15-30 mi sec i cicli possono essere aumentati fino a 45.

2. Appaiamento (annealing) dei primers con il DNA stampo a singola elica. La reazione

viene rapidamente raffreddata ad una temperatura, variabile tra 37 e 55°C, in funzione delle

caratteristiche termodinamiche dei primers. Come regola generale, più i primers sono corti e

ricchi di Adenina o Timina, minore deve essere la temperatura di annealing (Ta) in quanto ci

sono meno legami d’ idrogeno. La Tempertura di melting (Tm) (la temperatura alla quale

metà del DNA si trova nello stato a doppia elica, e l’altra metà in quello denaturato), su cui

basare quella di annealing, può essere calcolata da questa formula empirica:

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Tm = [4(G+C)]+2(A+T)]°C,

dove A, T, C, G, indicano il numero dei nucleotidi presenti nel primer. Si utilizza come

temperatura di annealing la m-5 anche se spesso l’utilizzo diretto della stessa m pu

portare ad avere ottime rese nella reazione della PCR . E' importante applicare i programmi

che permettono di realizzare l'appaiamento dei primers alle sequenze complementari del

DNA stampo che sia il più specifico possibile . In effetti, con una temperatura di annealing

troppo bassa i primers tendono di appaiarsi alle sequenze non esattamente complementarie,

mentre a Ta troppo alte i primers non si appaiono affatto. Il tempo di annealing non deve

essere troppo lungo (per impedire l’appaiamento a stampi con bassa complementarietà .

3. Estensione dei primer (elongation) In questa fase la reazione viene riscaldata alla

temperatura di 68-72 per consentire all’enzima DNA olimerasi, in presenza di

deossiribonucleotidi trifosfati, di catalizzare le sintesi di nuovi filamenti di DNA - le copie

della regione bersaglio delimitata dagli inneschi. L'estensione dei primer avviene ad una

velocità di circa 100 basi/sec. In generale, a partire da una molecola di DNA stampo a doppia

elica si ottengono un numero di copie pari a 2n, dove n rappresenta il numero di cicli eseguiti.

In generale, si ottengono da milioni a diversi miliardi di copie del segmento di DNA

bersaglio, ognuna lunga da qualche decina a qualche migliaio di coppie di basi. Il ciclo viene

ripetuto 30-40 volte e dopo l'ultimo segue una fase finale di estensione, necessaria al

completamento di tutte le sequenze sintetizzate durante le fasi precedenti. Tuttavia, l'effetto

del numero dei cicli non è proporzionale al tasso di accumulo in quanto il progressivo

esaurimento dei reagenti porta al raggiungimento di un plateau, oltre il quale non si ha più

l'aumento delle sequenze bersaglio.

Al termine dell'amplificazione i prodotti della PCR vengono analizzati mediante una corsa

elettroforetica su gel, che consente di separarli in base alla loro lunghezza (numero di basi) e

quindi di riconoscerli. Il gel può essere costituito da agarosio o da poliacrilammide. I gel di

agarosio sono tipicamente usati per separare frammenti di dimensioni variabili da poche

centinaia di basi a 20 kb. L’agarosio un polimero di carboidrati estratto dalle alghe. sso, se

fuso e gelificato, forma una matrice, la cui porosità dipende dalla concentrazione

dell’agarosio. Le molecole del DNA sono caricate negativamente e, quindi, in un campo

elettrico migrano verso l'anodo con la velocità proporzionale al loro peso molecolare. In

effetti, la matrice porosa del gel ritarda la migrazione del DNA, consentendo ai piccoli

frammenti di spostarsi più velocemente rispetto ai più grandi. Il risultato è che i frammenti di

DNA si separeranno nella matrice in funzione del peso molecolare e della forma (superelica,

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circolare o lineare). Elevate concentrazioni si usano per separare le molecole più piccole e,

viceversa, concentrazioni più basse sono più adatte a separare frammenti più grandi. Il

tampone di elettroforesi è una soluzione salina che serve sia a condurre la corrente elettrica

che a controllare il p durante l’elettroforesi. rima dell'elettroforesi si aggiunge ai campioni

il tampone di caricamento, contenente l'addensante (glicerina), che permette la loro

permanenza nei pozzetti, e colorante per poter visualizzare le bande. Il colorante,

maggiormente utilizzato è bromuro di etidio, una molecola che si lega al DNA ed emette

fluorescenza una volta esposta alla luce ultravioletta (302 nm).

Dopo l'introduzione della PCR sono stati sviluppati altri metodi alternativi o complementari

per scopi analitici diversi, tra cui la Real time PCR. E' una tecnica che permette di avere

informazioni quantitative in tempo reale sulla quantità e concentrazione di DNA

amplificati. Il monitoraggio continuo del processo di amplificazione si basa sul rilevamento

con un sistema spettrofotometrico di un segnale luminoso emesso dalle molecole fluorescenti

che vengono incorporate nel prodotto in formazione o che si intercalano alla doppia elica,

man mano che si forma. La quantificazione si realizza attraverso l'individuazione del ciclo

soglia (Ct) cioè il punto in cui la reazione entra nella fase di crescita esponenziale. Il

diagramma lineare permette di confrontare i valori di Ct fra reazioni multiple e quindi

calcolare la concentrazione dell'acido nucleico che si vuole quantificare. La pendenza di

questa linea fornisce inoltre una misura dell’efficienza della R.

L'altra modificazione della tecnica della PCR è la Multiplex PCR nella quale una o pi

coppie di primers specifici, per differenti sequenze bersagli, vengono introdotte nello stesso

tubo di reazione, permettendo l’amplificazione simultaneamente di molteplici sequenze.

Questa metodica permette di risparmiare gli sforzi e il tempo, tuttavia pu essere restrittiva

dal momento che tutte le coppie di primers devono funzionare nelle stesse condizioni di

amplificazione, con il rischio che si possa avere formazione di primer-dimer tra vari primers

con conseguente diminuzione della sensibilità del test e o l’amplificazione preferenziale di

alcuni bersagli rispetto ad altri (Markoulatos et al., 2002).

La RFLP-PCR (Restriction Fragments Length Polymorphisms) è un tecnica, nella quale i

prodotti di amplificazione ottenuti mediante la PCR vengono sottoposti all'azione degli

enzimi di restrizioni (endonucleasi) che permettono di frammentare il genoma in punti

precisi. I frammenti così ottenuti vengono separati attraverso una corsa elettroforetica su gel

di agarosio in relazione alla loro lunghezza. Lo studio successivo dei polimorfismi di

lunghezza di frammenti del DNA consente il riconoscimento di specie. Questa tecnica viene

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utilizzata per l'identificazione delle specie anche nel settore ittico.

La Nested PCR consiste nel sottoporre un prodotto della PCR ad un'ulteriore amplificazione

con l'utilizzo di primers che riconoscono sequenze interne al prodotto ottenuto con il primo

ciclo d'amplificazione. Questa variante della PCR è utile per verificare la specificità

dell'amplificato dal primo ciclo e per cercare eventuali variabilità interne alla sequenza

precedentemente amplificata. Infatti, se sono presenti errori nella prima R improbabile

che la seconda R possa dare dei risultati, proprio perch la seconda coppia di primer non

riuscirà ad attaccarsi al filamento amplificato (Fontana &Cornaglia, 2000).

Tra le altre varianti della tecnica della PCR occorre ricordare FINS (Forensically informative

nucleotide sequencing), PCR-RAPD (Random Amplification of Polymorphic DNA), PCR-

AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphisms) e PCR-SSCP (Single-strand

conformation polymorphism).

4.4.4. INIBIZIONE DELLA PCR

La PCR riconosciuta oggi come il pi potente ed efficace strumento dell'analisi degli acidi

nucleici rispetto a rapidità, sensibilità e specificità (R dstr m et al., 2004). Tuttavia la sua

sensibilità può essere drammaticamente ridotta a causa dell'azione di alcune sostanze

inibitrici presenti nei campioni. Questo fenomeno costituisce un problema di grande rilevanza

perchè gli inibitori sono in grado di ridurre o persino di bloccare l'amplificazione, limitando

l'efficacia della PCR con conseguente incremento del tasso dei risultati falsi negativi (Lantz

et al., 2000).

Gli inibitori della PCR possono provenire da due fonti diverse: dal campione stesso e dai

reagenti utilizzati nella fase della sua preparazione (Rossen et al., 1992). Fanno parte della

prima categoria: feci, collagene, eme, melanina, mioglobina, polisaccaridi, proteine e ioni

calcio nel latte, l’urea (Rossen et al., 1 2 , diversi fluidi corporei, formalina, eparina, agenti

mucolitici, bilirubina, acidi biliari, acidi fulvici, glicogeno, grassi, ferro, cobalto, detriti

batterici, qualsiasi DNA estraneo all’analisi e altre sostanze ancora non scoperte (Wilson,

1997). Le metodiche di estrazione degli acidi nucleici, chiamate tra l'altro ad eliminare tali

inibitori, paradossalmente prevedono l'utilizzo di alcune delle sostanze capaci di causare

l'inibizione della PCR, tra cui: detergenti ionici, eccesso dei sali NaCl, KCl od altri, SDS e

sarkosyl (Weyant et al., 1990), fenolo (Katcher&Schwartz,1994), etanolo ed isopropanolo

(Loffert et al., 1997) e persino polvere dei guanti (Wilson, 1997). I meccanismi dell'inibizione

della PCR sono molto complessi e spesso poco chiari: dipendono dalle proprietà di una certa

sostanza e la sua interazione con i vari fattori chimici, fisici ed enzimatici. Questi meccanismi

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possono essere raggruppati in 3 principali categorie (Wilson, 1997):

1. Interferenza con la fase di lisi cellulare E' evidente che la mancata esposizione

degli acidi nucleici come bersaglio dell'amplificazione risulta fallimentare per una

buona riuscita della reazione. Per cui è importante che le metodiche d'estrazione nella

fase di lisi cellulare assicurino un'adeguata distruzione delle membrane delle cellule.

La scarsa lisi può derivare da protocolli inadeguati, dall'inattivazione delle proteinasi

in corso dell'estrazione o dall'utilizzo delle enzimi di scarsa qualità.

2. Degradazione e cattura degli acidi nucleici La degradazione del DNA è dovuta

principalmente all'idrolisi, alla metilazione non enzimatica, al danno ossidativo ed

infine, alla degradazione enzimatica (Lindahl, 1993). L'ultima spesso accade a causa

della presenza di alcuni batteri producenti nucleasi termostabili. Gli stafilococchi, in

particolare, sintetizzano le DNasi estremamente resistenti al calore, capaci di

idrolizzare il DNA e primers durante l'amplificazione (Gibson et al., 1994). La

cattura, invece, può avvenire a seguito di un blocco aspecifico o di un sequestro del

DNA bersaglio ad opera di cellule o detriti batterici, proteine e polisaccaridi, che lo

rendono non disponibile per la DNA polimerasi. La polvere dei guanti, ad esempio,

inibisce l'amplificazione, legandosi alla molecola del DNA (De Lomas et al., 1992),

mentre le proteine del latte formano dei complessi ad alto peso molecolare che

fungono da trappola per gli acidi nucleici, limitando quindi le possibilità di azione

della polimerasi (Rijpens et al., 1996).

3. Inattivazione della DNA polimerasi può accadere a seguito dell'azione degli enzimi

proteolitici, denaturanti, sali (Favre&Rudin, 1996) e composti fenolici presenti nel

campione originariamente o introdotti durante il processo di estrazione del DNA

(Saulnier&Andremont, 1992; Simon et al., 1 . ’ stato dimostrato che le proteasi

dei formaggi sono in grado di inattivare la Taq polimerasi (Rossen et al., 1992), come

anche la presenza di eventuali proteasi e nucleasi di origine batterica. Questo vale

anche per i detriti cellulari, acidi biliari ed altri fattori, che operano attraverso i

meccanismi sia enzimatici che fisico-chimici (Wilson, 1 7 . Al-Soud R dstr m

(1998) hanno inoltre dimostrato come, anche concentrazioni minimi di sangue

(0,004%), determinano una inibizione totale della Taq polimerasi. Oltre l'interazione

diretta con la DNA polimerasi, gli inibitori possono agire mediante il suo cofattore

(Mg2+), riducendo la la sua disponibilità o interferendo nel legame Mg2+-DNA

Polimerasi (Bessetti, 2007a).

Al fine di eliminare o ridurre gli effetti inibitori sulla PCR sono stati sviluppati diversi

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protocolli di ottimizzazione che possono riguardare la fase di campionamento, di estrazione

del DNA o di preparazione della PCR. Un buon campionamento può essere raggiunto,

utilizzando varie tecniche fisico-chimiche mirate a separare i campioni dai possibili inibitori

come il lavaggio dei campioni conservati in etanolo in Tris-base, o campioni salati in acqua

ecc. Nella fase estrattiva si mira a prevenire la co-precipitazione degli inibitori insieme al

DNA. A tal proposito sono stati messi a punto diverse tecniche d'estrazione per la maggior

parte delle quali sono stati sviluppati kit commerciali specifici: ad esempio NucleoSpin®

Blood (MACHEREY-NAG L Gmb o. Germany che progettato per l’estrazione di

DNA puro da sangue intero, anche trattato con anticoagulanti, o NucleoSpin® Soil

(MACHEREY-NAGEL GmbH & Co. Germany) che è il kit specifico per l'estrazione di DNA

da batteri, funghi e alghe da campioni di terreno. Per far fronte alla presenza dei residui degli

inibitori nel DNA estratto nella fase di preparazione della reazione della PCR si ricorre a

varie metodiche d'ottimizzazione. Tra queste, ricordiamo il ricorso all'utilizzo di DNA

polimerasi diverse dalla Taq classica, come Tth polimerasi che ha dimostrato di essere più

resistente al fenolo (Katcher &Schwartz, 1994) ed ai sali (Davalieva&Efremov, 2010).

Oppure può essere usata una concentrazione della polimerasi maggiore rispetto al dovuto che

da un lato spinga parte delle molecole dell’enzima a legare gli inibitori rimuovendoli dalla

reazione, mentre altre rimarranno libere per agganciare i primers (Bessetti, 2007). Con eguale

fine si può ricorrere alla Siero Albumina Bovina (BSA) e spermidina (Orlando et al., 2002),

che formano un substrato alternativo alle proteasi riducendo la quantità degli inibitori

(Powell, 1994). Altra tecnica diffusa è la diluizione del DNA estratto prima

dell'amplificazione che permette di diminuire la concentrazione degli inibitori (Bessetti,

2007).

4.4.5. SEQUENZIAMENTO DEL DNA

E' una tecnica che consente di ottenere l’informazione esaustiva su un frammento di DNA

determinandone la sequenza nucleotidica completa. L’analisi della sequenza risultante,

tramite il confronto con il database delle sequenze, permette di assegnare una precisa

identificazione delle specie in esame.

Prima di effettuare il sequenziamento, è essenziale che il prodotto della PCR venga purificato

dagli altri componenti della miscela di reazione (e sopratutto dai primer residui, nucleotidi

non incorporati, sali, proteine ecc). Questo viene in genere ottenuto in maniera semplice ed

efficace mediante i vari kit commerciali a membrana di silice o altri speciali matrici. In

analogia con i kit per l'estrazione il DNA viene assorbito per affinità da supporti solidi in

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presenza di sali chaotropici. Con un semplice passaggio di lavaggio vengono eliminati tutti i

contaminanti, incluso gli oligonucleotidi e primer dimerizzati (circa 40-80 bp) in quanto il

processo richiede una lunghezza minima del DNA che è di circa 100-120 bp. L'eluizione

avviene in bassa concentrazione salina dopo il lavaggio, in genere con l'acqua. A seconda del

tipo di matrice utilizzata i kit riescono a rimuovere il 90-99% dei contaminanti ed a

recuperare il 90-95% dei frammenti del DNA di varie dimensioni (compresi tra 300 bp e 5-20

kp)(Guenzi, 2000).

Gli attuali sistemi di sequenziamento automatizzati in genere si basano sul metodo proposto

da Frederick Sanger e i suoi colleghi nel 1977. La tecnica chiamata sequenziamento a

terminazione di catena, prevede l'ulteriore amplificazione del DNA stampo con la sintesi

delle copie complementari di varia lunghezza. Tali frammenti vengono generati attraverso

una interruzione controllata della replicazione enzimatica. Questo arresto specifico si ottiene

aggiungendo alla reazione di polimerizzazione dei nucleotidi modificati (dideossintrifosfato

ddNTP), coniugati con i fluorocromi (invece di marcatori con isotopi radioattivii, utilizzato

originariamente).

Per poter effettuare una reazione a terminazione di catena è necessario aggiungere al

campione, contenete il prodotto della PCR che funge da stampo, i seguenti reagenti:

- un primer (forward o reverse);

- una miscela composta da deossinucleotidi (dNTPs), dideossinucleotidi (ddNTPs) marcati

con quattro diversi fluorofori corrispondenti alle quattro basi (A, C, G, T);

- un DNA polimerasi termoresistente.

Quando i dideossinucleotidi (ddATP, ddTTP, ddCTP e ddGTP) vengono incorporati in una

catena di DNA in crescita, bloccano l’allungamento perch privi del gruppo ossidrilico sul

carbonio in 3’ e non possono partecipare alla formazione del legame fosfodiesterico 3’-5’ con

il dN successivo. La casualità nell’impiego dei dN s/ddNTPs durante la sintesi porta alla

formazione di frammenti di DNA, complementari allo stampo, di dimensioni diverse a

seconda del momento in cui si inserisce il ddNTP durante la sintesi. Essendo i quattro

ddNTPs legati con fluorocromi diversi a seconda del tipo di base associata, la successiva

separazione dei frammenti mediante elettroforesi capillare e rilevamento del segnale di

fluorescenza, prodotto dal fluorocromo in seguito ad eccitazione sotto un raggio laser,

permette di ricostruire la sequenza delle basi nel frammento studiato. Quindi il risultato

dell'elettroforesi capillare sarà visualizzato come un grafico nel quale comparirà un picco, il

cui colore corrisponderà alla base incorporata, rendendo riconoscibile in tal modo la sequenza

intera del prodotto di amplificazione. Attualmente le tecniche automatizzate basate sul

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metodo di Sanger hanno la capacità di sequenziare frammenti fino a 1000 basi e rendono

possibile la corsa in parallelo di 384 reazioni contemporaneamente (Scialpi& Mengoni, 2008;

Sanger et al., 1977).

Recentemente è stata introdotta una nuova tecnica, detta pirosequenziamento

(Pyrosequencing), molto rapida ma in grado di sequenziare i frammenti molto corti (fino a

100 bp per volta). Il metodo è basato sull'individuazione del pirofosfato (PPi) rilasciato da

dNTP durante l'amplificazione del DNA. Il PPi così prodotto viene coinvolto in una cascata

di reazioni enzimatiche con la formazione di una sostanza, chiamata luciferina, capace di

emettere un segnale luminoso che viene a sua volta catturato da un'apposita camera

fotosensibile e registrato in un "pirogramma"(Ronaghi, 2001). Balitzki-Korte et al. (2005)

hanno dimostrato che il pirosequenziamento di soli 20 nucleotidi che seguivano il primer

all'interno di un frammento di 149 bp del gene mitocondriale 12S rDNA , era sufficiente per

identificare l'origine dei campioni.

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CAPITOLO 5

MATERIALI E METODI

5.1. SCELTA DELLE SPECIE, RACCOLTA DEI CAMPIONI, CAMPIONAMENTO

E CONSERVAZIONE

Considerando che l'eterogeneità naturale nella composizione dei tessuti può influire

sull'efficacia della distruzione meccanica, abbiamo deciso di testare l'efficienza di una nuova

procedura per l’estrazione del DNA scegliendo le specie in base al contenuto di grasso

secondo la categorizzazione proposta da Ackmann (1989). Infatti, i grassi possono contribuire

alla precipitazione del DNA e all’inibizione della R (Wilson 1 7 esbes et al. 2011).

I campioni del tessuto muscolare sono stati raccolti da 38 diverse specie di pesci (Tabella

5.1.) secondo il peso degli esemplari. Quando il peso di un pesce superava i 150 g, il tessuto

veniva estratto dai muscoli dorso-laterali di tre differenti esemplari e successivamente veniva

sminuzzato grossolanamente con l'utilizzo delle forbici. Nel caso dei piccoli pesci, quando un

esemplare non era sufficiente, tre mix, costituite da almeno cinque pesci, venivano preparate

dopo la rimozione della pelle e delle ossa. Da ciascuno dei tre esemplari o miscele venivano

prodotti ed estratti 18 campioni (un duplicato per ogni metodo d'estrazione testato, vedi

sezione 4.3.).

Infine, considerando che, per lo sviluppo di una metodica identificativa basata sul DNA

Barcoding è necessario ricorrere a campioni di riferimento forniti dai musei o istituzioni di

ricerca, che molto spesso vengono conservati in etanolo (Armani et al., 2013; Galimberti et

al., 2013), abbiamo deciso di sperimentare il nostro metodo anche su campioni conservati in

etanolo in 4 °C per un minimo 30 giorni.

5.2 SVILUPPO DI UN METODO NON ENZIMATICO PER L'ESTRAZIONE DEL

DNA TOTALE MEDIANTE L'UTILIZZO DI BIGLIE METALLICHE

5.2.1 OTTIMIZZAZIONE DEL PROTOCOLLO

La forza distruttiva di biglie di materiale e dimensioni diverse è stata valutata sul tessuto

muscolare fresco ottenuto da 10 specie diverse (Tabella 5.1.). In particolar modo sono state

utilizzate biglie di vetro da 0,1 mm e 0,5 mm di diametro (SI-BG01, SI-BG05 disruptor beads

Scientific Industries, Inc., Bohemia, NY, USA) e biglie di acciaio da 2,5 mm di diametro

(Precellys 24-Bulk bead, Bertin Technologies, Villeurbanne, France). Per stabilire il metodo

più appropriato abbiamo condotto la seguente procedura: a 200 mg del tessuto è stata

aggiunta una soluzione composta da 200 μl del buffer di lisi (500 mM Tris– HCl, 100 mM

EDTA, 100 mM NaCl, 2 % (w/v) SDS, pH 8.0). Le biglie di vetro sono state usate in rapporti

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(peso/peso) 3:2, 1:1, 1:2, e 1:6 secondo i le indicazioni della casa produttrice, mentre le

biglie metalliche sono state aggiunte in quantità 3, 5, 10 o 20 per 200 mg di tessuto. Infine,

la distruzione meccanica è stata effettuata per tempi diversi (30 e 60 min) sia a temperata

ambiente che a 60 °C in agitazione continua su termoblocco autoriscaldante (EuroClone T-

shaker, Euroclone S.p.A, Pero, MI, Italia) a 1200x g. Per stabilire la giusta durata e

temperatura di lisi meccanica sono stati valutati i seguenti paramenti: il rapporto di

assorbenza a 260/280 nm ed a 260/230 nm e la quantità del DNA estratto.

5.2.2. IL PROTOCOLLO FINALE (B30, B60)

In una provetta da 2 ml a fondo tondo sono stati aggiunti 200 mg di tessuto muscolare, 10

biglie di acciaio e 200 µl di buffer di lisi. La provetta è stata posta in agitazione continua su

termoblocco a 60°C per 30 e 60 min a 1500x g. Al termine del periodo di incubazione il

campione stato centrifugato a 15000 g per 2’ per separare il surnatante liquido dai tessuti e

le biglie. La fase liquida è stata trasferita in una nuova provetta da 1,5 ml. L'estrazione è stata

poi completata secondo il protocollo riportato nella sezione 5.3.2., eccetto quei campioni, che

dopo la prima precipitazione con l'acetato di sodio, presentavano una fase liquida non

trasparente. In questo caso il surnatante veniva trattato con 0,5 volume di acetato di sodio per

la seconda precipitazione seguita da un lavaggio con Etanolo al 70%. Successivamente, il

protocollo selezionato è stato testato anche su campioni di peso decrescente (200, 100, 50,

25, 10 mg) per un totale di 36 campioni: tre esemplari per ogni specie e tre specie per

ciascuna delle quattro categorie secondo il contenuto dei grassi (Tab. 1A, specie evidenziate

in grassetto), che venivano estratti secondo i metodi SO, B30 e B60.

Pesci magri (˂2%) Pesci poco grassi (2-4%) Pesci semigrassi (fino ad 8%) Pesci grassi (˃8%)

Cernia del Pacifico Epinephelus

awoara

Tilapia Oreochromis niloticus Merluzzo nordico Gadus morhua

Molo Merlangius merlangus

Merluzzo sudafricano Merluccius capensis

Capone gallinella Chelydonictis

lucerna Lucerna Uranoscopus scaber

Pesce S.Pietro Zeus faber

Scorfano Scorpaena scrofa Pagro Pagrus caeruleostictus

Rana pescatrice orientale Lophius

litulon

Sogliola Solea solea Sgliola oceanica Synaptura cadenati

Rombolino Psettodes belcheri Verdesca Prionace glauca Palombo Mustelus mustelus

Smeriglio Lamna nasus

Razza Raja sp.

Brotola Brotula multibarbata

Busbana Trisopterus minutus

capelanus Ghiozzo gò Zosterisessor

ophicephalus

Branzino Dicentrarchus labrax Orata Sparus aurata

Acciuga Engraulis encrasicolus

Alaccia Sardinella aurita Tonno a pinne gialle Thunnus

albacares

Gattuccio Scyliorhinus canicula

Trota arcobaleno Oncorhyncus

mykiss

Storione bianco Acipenser transmontanus

Triglia di fango Mullus

barbatus Cefalo dorato Liza aurata

Sardina Sardina pilchardus

Pesce spada Xiphia gladius Spinarolo Squalus acanthias

Salmone Salmo salar

Anguilla Anguilla anguilla Ricciola Seriola dumerili

Sgombro Scomber scombrus

Tab. 5.1. Le specie utilizzate in questo studio sono in state selezionate funzione del contenuto di grassi secondo

Ackmann (1990). I valori del contenuto di grassi nelle diverse specie sono stati acquisiti da rato e iandolino (2012 ,

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zogul e zogul (2007), and FAO (http://www.fao.org/ wairdocs/tan/x5916e/x5916e01.htm). Le specie utilizzate

nell'ottimizzazione dell'estrazione con le biglie e nella real-time PCR sono evidenziate in grassetto. (da Armani et al., 2014)

5.2.3. PROCEDURA DI DECONTAMINAZIONE E STERILIZZAZIONE DELLE

BIGLIE DI ACCIAIO

Dopo l'utilizzo, le biglie sono state lavate accuratamente con acqua di rubinetto in una piastra

Petri fino a rimuovere tutti i detriti tessutali, dopo di che venivano messe a bagno in una

soluzione di ipoclorito di sodio al 5% per 1 ora. Dopo la rimozione della soluzione di

ipoclorito, le biglie venivano lavate con acqua deionizzata sterile ed etanolo al 70%,

asciugate all'aria e poi sottoposte ad un ciclo nell'autoclave a 120 per 30 min. L’efficacia

della procedura di decontaminazione è stata verificata attraverso l'esecuzione della PCR per

l'amplificazione di un frammento del DNA mitocondriale (16srRNA) (sezione 5.5.1.) durante

la quale le biglie autoclavate sono state messe direttamente nelle provette di reazione.

5.3. COMPARAZIONE DELLE DIVERSE PROCEDURE D'ESTRAZIONE

Il metodo d'estrazione del DNA sviluppato in questo lavoro è stato paragonato con altre due

metodiche diverse: la procedura di Salting out (Armani et al. 2011) ed un kit commerciale,

utilizzando tutti i campioni (Tabella 5.1.) sia prima che dopo la conservazione in Etanolo. I

campioni conservati in Etanolo venivano reidratati mediante un lavaggio in Tris-base 50-mM

a pH 7.8 per una durata di 30 minuti a temperatura ambiente prima di procedere con

l'estrazione. L’estrazione del tessuto muscolare è stata effettuata in doppio. Considerando la

bassa concentrazione di DNA ottenuta utilizzando il kit per l’estrazione dai campioni freschi

(sezione 6.3.1.), tale procedura non è stata utilizzata per i tessuti conservati in Etanolo.

5.3.1. ESTRAZIONE CON IL KIT COMMERCIALE

Il DNA veniva estratto da 40 mg di tessuto con il kit d'estrazione (EuroGold Tissue DNA

Mini Kit, EuroClone S.p.A.), seguendo le istruzioni del produttore, eccetto l'eluzione finale,

che è stata effettuata con 50 μl d'acqua deionizzata sterile invece dei 100-200 μl suggeriti dal

produttore.

5.3.2. DIGESTIONE ENZIMATICA E PROTOCOLLO D'ESTRAZIONE SALTING OUT

L'estrazione del DNA totale è stata condotta partendo da circa 200 mg di tessuto secondo il

protocollo proposto da Armani et al. (2011) con le successive modifiche (Armani et al.

2012b).

Il protocollo prevede:

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1. Distruzione meccanica del tessuto: in una provetta da 2 ml con 200 mg di tessuto si

aggiungono 200 µl di buffer di lisi, 200 µl di 200 mM NaH2PO4, pH 8.0, dopo di che il

tessuto viene finemente sminuzzato con le forbici;

2. Digestione enzimatica: ai campioni omogenizzati si aggiungono 20 µl di proteinasi K, che

poi vengono posti in agitazione continua a 1.200x g su termoblocco (EuroClone T- shaker,

EuroClone S.p.A., Pero, MI, Italy) per 1h a 60°C; al termine del periodo di incubazione il

digesto viene centrifugato a 15000 g per 2’ per separare il surnatante liquido che viene

trasferito in una nuova provetta sterile;

3. Salting out delle proteine: Alla fase liquida si aggiungono 0,5 volumi di Acetato di sodio

4M, p 8.3. oi il campione viene mescolato, lasciato a temperatura ambiente (R per 5’ e

infine centrifugato a 15000 g per 5’. Il surnatante liquido viene separato e trasferito in una

nuova provetta sterile;

4. Precipitazione del DNA: al surnatante si addiziona 0,6 volumi di isopropanolo (Molecular

Biology grade, SERVA Electrophoresis GmbH, Heidelberg, Germany); il campione viene poi

mescolato, lasciato a R per 10’ ed infine centrifugato nuovamente a 10000 g per 10’

5. Lavaggio del DNA: il surnatante viene allontanato per inversione della provetta ed il pellet

di DNA viene lavato con Etanolo al 70% (Molecular Biology grade, SERVA Electrophoresis

GmbH, Heidelberg, Germany) e poi centrifugato a 10000 g per 5’. Infine, si effettua un ciclo

di lavaggio finale con Etanolo al 100%;

6. Asciugatura e risospensione del DNA totale estratto: le provette vengono poste in stufa a

70 per far evaporare l’etanolo residuo prima di risospendere il pellet nell'acqua

deionizzata sterile.

5.4. DETERMINAZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA DEL DNA TOTALE

La qualità del DNA estratto con l'utilizzo di tre procedure diverse è stata determinata in base

alla valutazione dei seguenti criteri: purezza, concentrazione ed integrità del DNA.

5.4.1. QUANTIFICAZIONE SPETROFOTOMETRICA DEL DNA ESTRATTO

La determinazione della concentrazione e del grado di purezza del DNA totale è stata

effettuata attraverso uno spettrofotometro NanoDrop ND-1000 (NanoDrop Technologies,

Wilmington, DE, USA), misurando il rapporto di UV assorbenza a 260/280 nm ed a 260/230

nm. Successivamente, è stata calcolata la concentrazione (microgrammo per milligrammo).

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5.4.2. VALUTAZIONE DELL'INTEGRITA' DEL DNA TRAMITE ELETTROFORESI SU

GEL

L'integrità del DNA è stata verificata tramite elettroforesi su gel: 1 µg di DNA totale estratto

da ogni campione, eccetto quelli, estratti con il kit dove veniva utilizzata la concentrazione

più bassa (in relazione alla resa finale d'estrazione) sono stati sottoposti ad elettroforesi su gel

di agarosio 0,8% (GellyPhorLE® Euroclone, Life Sciences Division PV, Italia) a 240V,

colorato con GelRedTM

Nucleid Acid Gel Stain (Biotium, Hayward, CA, USA) diluito in

0.5× Tris-borate-EDTA (TBE) buffer (pH 8.3). I risultati sono stati visualizzati tramite

transilluminazione UV. La lunghezza del DNA è stata valutata tramite comparazione con due

marker molecolari standard SharpMassTM

50DNA Ladder e SharpMassTM

1-kb DNA Ladder

(Euroclone S.p.A., Pero, MI, Italia).

5.5. L'AMPLIFICABILITA' DEL DNA

er analizzare l'amplificabilità del DNA, i 3 campioni utilizzati per l’ottimizzazione del

metodo (tre esemplari di ogni specie, tre specie per ciascuna delle quattro categorie) (Tabella

1, specie evidenziate in grassetto) sono stati analizzati mediante PCR convenzionale e PCR

Real Time.

5.5.1. PCR CONVENZIONALE

I campioni del DNA sono stati amplificati tramite la PCR convenzionale con l'utilizzo di due

coppie di primers universali: 16SaR/16sbr (Palumbi et al. 1996) e

FISHCOILBC_ts/FISHCOIHBC_ts (Handy et al. 2011), per un frammento di ~650-bp del

gene mitocondriale codificante per RNA ribosomale 16S (16srRNA) e per un frammento di

~700-bp del gene mitocondriale codificante per citocromo ossidasi I (COI), rispettivamente.

Il volume di reazione per l'amplificazione di 10 µl totali, contenente 1,25 U di PerfectTaq

DNA Polimerasi (5Prime, Gaithersburg, MD, USA), 200 µM di ogni dNTP (dnTP mix,

EuroClone S.p.A. - Life Sciences Division, Pavia, Italy), 0,25 µM di primers, forward e

reverse, 1,5 mM di Mg l2 (5 rime, Gaithersburg, MD, USA , 25 ng μl di SA ( urified

BSA 100×, New England BioLabs® Inc., Ipswich, MA, USA), e 25 ng di DNA totale. Dopo

la fase iniziale dell'attivazione del Taq polimerasi (3 min a 94° C), entrambi i protocolli di

amplificazione prevedevano il seguente programma a 35 cicli: 94 ° C per 25 secondi, 57.5

°C per 15 secondi, 72 °C per 2 secondi (gene 16 s rRNA), 94 °C per 30 secondi, 55 °C per 30

secondi, e 72 °C per 30 secondi (gene COI). Entrambi i protocolli sono stati conclusi con una

fase di elongazione finale a 72 ° C per 5 minuti. I prodotti di amplificazione sono stati

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verificati mediante elettroforesi su gel di agarosio all’2%, colorato con GelRed M Nucleid

Acid Gel Staining 10,000× water solution (Biotium, Hayward, CA, USA) diluito in 0.5× TBE

buffer. I risultati finali sono stati visualizzati tramite transilluminazione UV, e la lunghezza

dei frammenti del DNA è stata determinata mediante il confronto con il marker Standard

SharpMass™ 50-DNA (Euroclone S.p.A. -Life Sciences Division, Pavia, Italia).

Le immagini su gel sono state acquisite con fotocamera digitale e successivamente analizzate

con l'utilizzo del programma ImageJ 1.47 t (NIH, Bethesda, MD, USA). I valori assoluti

ottenuti sono stati normalizzati come percentuale risultante dalla somma di ogni singola

banda all’interno di ogni gruppo, in modo tale da produrre una stima relativa dell’intensità di

ogni banda.

5.5.2. PCR REAL TIME

Per l'amplificazione di un frammento di ~330-bp del gene 16S RNA con la PCR Real Time

sono stati utilizzati i primers FOR16Spc/REV16Spc disegnati da Armani et al. (2012c).

L'amplificazione del DNA è stata effettuata nel termociclatore Rotor-Gene 6000 (Corbett

Research, Sydney, Australia con 10μl del volume di reazione contenente 5 μl della soluzione

premiscelata (QuantiTect SYBR Green PCR Kit, Qiagen, Hilden, Germany), 250 nM di

primers, reverse e forward, e 25 ng del DNA stampo. E' stato impostato il seguente

programma per la PCR: incubazione iniziale a 95°C per 10 minuti; 45 cicli incluso la

denaturazione a 94°C per 15 secondi, l'appaiamento a 53°C per 30 secondi ed, infine, la fase

di estensione a 72°C per 30 secondi. Tutti i campioni sono stati processati in doppio con un

controllo negativo ed uno positivo. Sono stati registrati i valori dei cicli soglia (Ct) per una

successiva analisi statistica.

5.6. VALUTAZIONE DEI COSTI E DEL TEMPO NECCESSARI PER CIASCUN

METODO

E' stato valutato il costo per campione di tutti e tre i protocolli sperimentali in base al prezzo

commerciale dei reagenti e dei dispositivi utilizzati. Il tempo delle procedure è stato calcolato

per un gruppo di 10 campioni partendo dalla fase di distruzione meccanica dei tessuti (con i

forbici o le biglie) fino alla fase di solubilizzazione del pellet del DNA.

5.7. ANALISI STATISTICA

La normalità della distribuzione è stata analizzata con il test Shapiro-Wilk’s W, mentre

l’omogeneità delle varianze con il test di Levene.

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Per poter verificare l'effetto dei fattori: metodo (M), specie (S), o categoria (C) (pesce magro,

poco grasso, semigrasso, grasso) sulla resa del DNA e sul rapporto di assorbenza a 260/280

nm (A260/A280) e a 260/230 nm (A260/A230) dopo l'estrazione, sono stati utilizzati due

modelli misti REML (restricted maximum likelihood) per la stima dei componenti della

varianza. Nel primo modello, M, S e la loro interazione (MxS) rappresentano i fattori con

effetto fisso, mentre l'effetto causale stato attribuito al fattore individuale “soggetto”. Il

secondo modello è stato sviluppato come il primo, sostituendo il fattore S con il fattore C.

Dato che sono state individuate varianze non omogenee, le differenze tra i metodi per quanto

riguarda la resa e i rapporti A260/A280 e A260/A230 sono stati analizzati mediante il test di

Friedman a misure ripetute, e poi tramite i test multipli di Dunn per il confronto appaiato tra

medie, sia per i campioni freschi che per quelli conservati in Etanolo. Le analisi sono state

effettuate sia in totale sia all'interno di ogni categoria di pesci.

Per poter verificare l'effetto dei fattori M, la quantità iniziale del tessuto (W) e S sulla resa del

DNA estratto e sul rapporto di assorbanza a 260/280 nm (A260/A280) e a 260/230 nm

(A260/A230), è stato usato un modello misto per la stima delle varianze: M, W, la loro

interazione (MxW) e S rappresentano i fattori con effetto fisso, mentre l'effetto causale è stato

attribuito al fattore individuale “soggetto”.

Le differenze dei valori misurati fra i metodi è stata analizzata mediante il test di Friedman

per il confronto tra gruppi di misure ripetute, e poi tramite i test multipli di Dunn per il

confronto appaiato tra medie.

er verificare l’effetto dei fattori M e S sull’intensità della banda del DNA amplificata con la

PCR convenzionale e take off del DNA amplificato con la PCR Real Time, è stato usato un

modello misto per la stima delle varianze: M, S, la loro interazione (MxS) e S rappresentano i

fattori con effetto fisso, mentre l'effetto causale è stato attribuito al fattore individuale

“soggetto”.

Per confrontare i valori concernenti l'intensità delle bande e il punto di take off delle PCR

eseguite con i DNA estratti con i quattro metodi, sono stati utilizzati il test di Friedman a

misure ripetute per il confronto tra gruppi e i test multipli di Dunn per il confronto appaiato

tra medie.

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95

CAPITOLO 6

RISULTATI E DISCUSSIONI

Una tecnica d'estrazione ideale dovrebbe massimizzare la resa del DNA, minimizzare la

degradazione ed essere efficiente in termini di costi, tempo, manodopera. Inoltre, un metodo

ideale dovrebbe garantire la rimozione della maggior parte delle sostanze che possono

comportarsi da inibitori della PCR (Radstrom et al. 2004; Bessetti 2007). Anche se le

metodiche basate sull'analisi delle sequenze del DNA sono le tecniche più utilizzate

nell'identificazione delle specie ittiche, l'isolamento del DNA rappresenta ancora una delle

fasi più lunghe e laboriose, che richiede il pieno coinvolgimento degli operatori lungo tutto il

processo.

Tra i metodi d'estrazione del DNA più utilizzati ci sono quelli basati sull'uso del

fenolo/cloroformio, originariamente proposto da Sambrook et al. (1989). Da uno studio

effettuato analizzando 51 articoli pubblicati negli ultimi 5 anni, riguardanti l'identificazione

delle specie ittiche, si evince che gli unici protocolli utilizzati per l'estrazione del DNA sono

quelli basati sull'utilizzo dei solventi organici (fenolo/cloroformio) o i kit commerciali

(Tabella 1A).

Anche se il protocollo fenolo/cloroformio può essere applicato a numerose specie e

garantisce una buona resa del DNA, esso prevede l'uso dei materiali tossici e, quindi,

comporta dei rischi per la salute degli operatori e per l'ambiente. D’altra parte, sulla base

della nostra esperienza, i kit commerciali presentano come principale svantaggio

l’ottenimento di rese di DNA molto basse, anche se, in alcuni casi, caratterizzate da una

purezza superiore a quella ottenibile con le metodiche classiche. Inoltre, i kit commerciali

dimostrano un altro svantaggio: spesso non sono attendibili per quanto riguarda la

concentrazione e la purezza del DNA dichiarate dal produttore (Di Bernardo et al. 2007;

Akkurt 2012).

Alla luce di quanto detto, lo sviluppo di un metodo d'estrazione del DNA, basato sull'utilizzo

dei reagenti non organici e, quindi, facile da utilizzare, potrebbe rappresentare il giusto

compromesso tra le due procedure. Pertanto, in precedenza è stato sviluppato un protocollo

salting-out per l'utilizzo quotidiano in laboratorio senza l’utilizzo di apparecchiature aspiranti

(Armani et al. 2011). Tale metodo e stato poi usato con successo per l'isolamento del DNA

totale di alta qualità da molte specie ittiche (Armani et al. 2012b, c, 2013).

Nel caso dei metodi di estrazione che non si basano sui legami di affinità, la distruzione

iniziale del tessuto, che si realizza attraverso l'utilizzo sia di agenti chimici che di

procedimenti fisici, richiede generalmente molto tempo; inoltre, questa fase può influenzare

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notevolmente la resa e la qualità del DNA. Le procedure fisiche possono essere molto

laboriose e richiedere una formazione speciale degli operatori (Burden 2008). In più, tutti

questi metodi non sono facilmente standardizzabili e possono portare ad una contaminazione

incrociata (Verollet 2008). Dato il continuo aumento della richiesta di analisi biomolecolari di

routine nel settore ittico, nel nostro studio ci siamo focalizzati sullo sviluppo di un metodo

più semplice rispetto al precedente, basato su protocollo di omogeneizzazione che utilizza

biglie metalliche, ma senza utilizzare la digestione enzimatica. In questo modo abbiamo

potuto ridurre anche i costi dell’estrazione.

6.1. PROCEDURA DI BEAD-MILLING: OTTIMIZZAZIONE E PROTOCOLLO

FINALE

La fase di lisi cellulare nel processo d'estrazione del DNA prevede, in genere, l'incubazione

del campione con enzimi proteolitici (Proteinasi K) per un tempo variabile (Tabella 2A).

Attualmente, però, nessuno dei diversi protocolli d'estrazione proposti per l'estrazione del

DNA da tessuto muscolare di pesce, propone la sostituzione della proteolisi enzimatica con

l’omogenizzazione meccanica in presenza di biglie ( abella 1A .

Uno dei fattori più importanti per ottenere un’efficace distruzione del tessuto consiste nel

trovare il giusto rapporto fra la dimensione del campione (massa e volume) e quella delle

provette e delle biglie (Burden, 2008). Nel nostro protocollo, sono state scelte le sfere di

acciaio inossidabile, perchè, rispetto alle sfere di vetro, hanno dimostrato di essere più

efficaci nella distruzione meccanica del tessuto ricco in miofibrille e nel rilascio del DNA in

soluzione. Infatti, la resa del DNA è risultata cinque volte superiore (dati non riportati).

Inoltre, al termine della fase di distruzione meccanica, le biglie di vetro venivano smaltite

insieme al precipitato organico, mentre le sfere di acciaio potevano essere riutilizzate dopo

una semplice procedura di decontaminazione.

Abbiamo ottimizzato la procedura a 60°C per il fatto che, già a 56°C, si verifica una

denaturazione della maggior parte delle proteine e degli enzimi cellulari (compresi DNAasi)

(Lahiri&Schnabel, 1993)

Infine, se dopo la prima centrifugazione, conclusa la fase di lisi, i campioni presentavano una

“fase torbida” nel surnatante, per purificarli veniva eseguita una doppia precipitazione con

acetato di ammonio seguita da un doppio lavaggio con etanolo al 70%.

Siamo ricorsi a tali modifiche durante la procedura d'estrazione del DNA per le seguenti

specie: Merlangius merlangus, Trisopterus capelanus minutus, Mullus barbatus , Salmo

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salar, Sardina pilchardus e Squalus acanthias.

6.2. COMPARAZIONE TRA DIVERSE PROCEDURE D'ESTRAZIONE

6.2.1. RESA E QUALITA' SPETTROFOTOMETRICA

La resa finale di una procedura di estrazione può avere una certa importanza, in quanto

dovrebbe fornire non solo una quantità sufficiente di DNA, ma anche una concentrazione

adeguata in proporzione al numero ed al tipo di analisi necessari. Ciò è particolarmente

importante nel caso di campioni ottenuti da musei o collezioni, che di solito sono di pochi

milligrammi.

In generale, un rapporto A260/A280 tra 1,8 e 2,0 indica un DNA incontaminato (Sambrook &

Russell, 2001; Alaey et al., 2005). Valori più bassi indicano una contaminazione da proteine,

mentre valori più elevati possono essere associati alla probabile presenza di RNA (Varma et

al. 2007). Il rapporto A260/A230 è considerato accettabile quando è tra 1,8 e 2,4. Valori

inferiori a 1,8 indicano la presenza residua di quantità significative di composti organici,

come il fenolo, carboidrati o guanidina (De Maeseneire et al., 2007;Morin et al., 2010;

http://cancerucsf.edu/ research/cores/genome/services/genome-analysis-servizio-analisi). Il

rapporto A260/A230 è un parametro meno preciso rispetto al rapporto A260/A280, per cui

spesso non viene analizzato (Besbes et al., 2011; Cawthorn et al., 2011). Tuttavia,

considerando che i valori A260/A230 anormali possono influire negativamente sulle

successive analisi, abbiamo deciso di considerare anche questo parametro per poter meglio

caratterizzare la purezza del DNA ottenuto con i vari metodi d'estrazione.

I risultati relativi alla resa del DNA e ai rapporti A260/A280 e A260/A230 hanno dimostrato

un’elevata variabilità all'interno delle specie (dati non mostrati). Questo conferma

l'importanza del ruolo che gli operatori svolgono e del fattore individuale associato a ciascun

campione. Per questo motivo, abbiamo scelto un modello misto in grado di prendere in

considerazione tale fattore di variabilità (fattore casuale) al fine di valutare l'influenza del

metodo e della categoria (in relazione al contenuto di grasso) o del metodo e della specie

sull'esito delle procedure d'estrazione. L'analisi statistica ha dimostrato che il metodo, la

categoria e le specie hanno avuto un effetto molto significativo sulla resa. Mentre la

significatività associata al metodo e la specie rimaneva molto elevata per gli altri due

parametri esaminati (A260/A280 e A260/A230), la significatività associata alla categoria

risultava diminuita (Tabella 2A). E' importante notare che l'interazione tra i suddetti fattori

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98

(metodo con specie o metodo con categoria) ha svolto un ruolo importante, indicando come il

metodo abbia influenzato la resa o i parametri di assorbanza in una misura diversa nelle

diverse categorie o specie.

er i campioni conservati in etanolo, il fattore “metodo e specie” ha fortemente influenzato

solo la resa e il rapporto A2 0 A280, mentre il fattore “categoria” era poco significante. Se

sommiamo questi risultati con i risultati ottenuti dai campioni freschi, sembra probabile che il

livello del contenuto di grassi abbia influenzato il processo di purificazione del DNA e che

l'etanolo abbia diminuito tale influenza. In effetti, è stato segnalato in precedenza come una

bassa resa finale del DNA estratto possa essere associata a campioni caratterizzati da un alto

contenuto di grassi (Saunders&Rossi, 2008).

Il confronto dei risultati ottenuti con i diversi metodi d'estrazione ha rivelato che, nel

complesso, per tutti i tre parametri (la resa, i rapporti A260/A280 e A260/A230) non esistono

differenze tra i metodi B30 e B60.

Come risultato generale, è emerso che il metodo SO fornisce la resa più alta ed è il più

efficace nella rimozione dei contaminanti, permettendo di ottenere dei valori A260/A280 e

A260/A230 sempre all'interno dell'intervallo ottimale sia per i campioni freschi, che per

quelli conservati in etanolo. Per quanto riguarda i metodi bead milling, la resa risulta, in

media, la metà rispetto a quella ottenuta con il metodo SO, ma circa tre volte più elevata

rispetto alla resa associata al kit commerciale. I valori del rapporto A260/A280 sono stati

circa 2.0, mentre quelli del A260/A230, leggermente sotto 1.8. Infine, il kit, utilizzato

soltanto su campioni freschi, ha fornito delle rese molto basse, ma un buon rapporto

A260/A280. Tuttavia, sono stati osservati livelli di A260/A230 insolitamente elevati e molto

variabili.

Anche se i kit commerciali vengono utilizzati più frequentemente e sono considerati

tecnicamente meno impegnativi e più sicuri rispetto alle procedure d'estrazione classiche

(Loffler et al., 1997), la nostra precedente esperienza, confermata dai risultati del presente

lavoro, ha dimostrato che, oltre ai costi elevati (vedi la sezione 6.4.), hanno come svantaggio

la bassa resa finale. Infatti, anche se il tampone di eluizione veniva ridotto a 50 µl e riscaldato

a 70°C prima della centrifugazione finale, la resa del DNA rimaneva piuttosto bassa.

I risultati nei quattro gruppi sono simili, anche se le differenze tra i vari metodi avevano

diversi livelli di significatività. Infatti, quando i confronti venivano effettuati all'interno di

ogni gruppo, il panorama risultava variabile. L'unico elemento stabile e ricorrente era la

sostanziale uguaglianza tra i metodi B30 e B60. Questo indica che, dopo 30 minuti, la

distruzione risultava completata ed un ulteriore allungamento del tempo non portava ad alcun

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miglioramento significativo. Nei campioni freschi, le differenze in resa finale tra SO e B30 o

B60 rimanevano altamente significative in tutti i quattro gruppi per ogni categoria, mentre le

differenze in A260/A280 tra SO e B30 o B60 non erano più significative nei gruppi dei pesci

grassi e semigrassi. Riguardo il rapporto A260/A230, è emersa un'altissima variabilità nei

campioni estratti con il kit e l'abbassamento dei loro valori in gruppi semigrassi e grassi ha

portato alla perdita di significatività tra i valori di SO e il kit all'interno di queste due

categorie.

Per quanto riguarda i campioni conservati in etanolo, le differenze in resa finale tra SO ed

entrambi metodi B30 e B60 sono rimaste altamente significative in tutti i quattro gruppi, così

come le differenze nei rapporti A260/A280 e A260/A230.

6.2.2. PESI DECRESCENTI

Partendo da diverse quantità di tessuto, abbiamo ottenuto diverse rese relative e diversi valori

di purezza del DNA fra i tre metodi (SO, B30, B60).

L'analisi statistica basata sul modello misto ha rivelato che sia la quantità iniziale di tessuto

che il metodo d'estrazione hanno significativamente influenzato la resa relativa

(microgrammi del DNA per milligrammo di tessuto) del DNA estratto e che tale parametro in

diversi metodi variava in maniera significativamente differente. La stessa correlazione è stata

confermata per entrambi i rapporti A260/A280 e A260/A230, così come anche i diversi

fattori risultavano essere associati a vari livelli di significatività (Tabella 3A). Il fattore

“specie” influenzava in modo significativo tutti i tre parametri.

Sono state osservate delle marcate differenze tra i metodi SO e bead milling, mentre nessuna

differenza significativa emersa in seguito all’aumento del tempo di omogenizzazione da 30

min a 60 min. Come mostrato in Figura 6.1, la variazione per i metodi B30 e B60 è molto

simile, confermando ancora una volta che l'omogeneizzazione del campione per una durata di

30 min è un tempo sufficiente per raggiungere un buon livello di lisi del tessuto.

In particolare, il peso iniziale del tessuto che ha fornito la massima resa del DNA con il

metodo SO è stato 50 mg. Quantità di tessuto inferiori o superiori erano associate con una

resa significativamente inferiore (p < 0.01). Al contrario, le differenze tra i valori di purezza

del DNA non erano significative.

Per quanto riguarda i protocolli bead milling, l'aumento della quantità iniziale dei tessuti ha

permesso di ottenere un netto guadagno nella resa finale del DNA. Il rapporto A260/A280

non variava molto, ad eccezione di un valore significativamente più alto per il campione di

200 mg rispetto ai campioni ad altri pesi (p < 0,01). Il rapporto A260/A230 risultava minimo

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per il campione di100 mg ed era significativamente differente da altri valori (p < 0.05).

Da questi risultati è emerso che le migliori performance in termini di resa e purezza sono

state ottenute con le quantità più basse di tessuto (25 e 10 mg), con rapporti di assorbanza per

entrambi intorno alla soglia dell'intervallo ottimale (Figura 6.1). Tuttavia, parliamo della resa

relativa, per cui la quantità totale del DNA sarebbe inferiore rispetto a quella ottenuta da

campioni di maggior peso. Questo può avere più o meno importanza in relazione alle

necessità e agli scopi delle fasi d'analisi successive.

Figura 6.1. Performance associate alle quantità scalari dei campioni analizzati (da Armani et al., 2014).

6.2.3. INTEGRITÀ DEL DNA

Lo scopo di un metodo d'estrazione consiste non solo nell'ottenere una quantità accettabile di

DNA altamente pura, ma anche nel limitare al massimo la degradazione dello stesso.

L'elettroforesi su gel di agarosio permette di visualizzare il grado di degradazione del DNA

estratto. L'analisi visiva del DNA totale analizzato non ha messo in evidenza alcuna

differenza evidente tra i metodi d'estrazione esaminati (dati non mostrati) .

6.3. AMPLIFICABILITA' DEL DNA

Al fine di valutare l'amplificabilità del DNA estratto con i vari metodi, sono stati eseguiti sia

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PCR convenzionali chee PCR Real-Time con il DNA ottenuto da alcuni campioni freschi (gli

stessi campioni utilizzati nell'estrazione del DNA dai tessuti di pesi decrescenti). Nel nostro

studio abbiamo scelto i geni 16s rRNA e COI come marcatori molecolari target, perché sono

tra i più utilizzati nell'identificazione di specie ittiche e perché per l'amplificazione richiedono

diversi tipi di primers (Armani et al . 2012a).

6.3.1. PCR CONVENZIONALE

Il DNA è stato amplificato con successo indipendentemente dai metodi d'estrazione

impiegati, anche se qualche differenza è stata osservata fra i quattro metodi utilizzati (Figura

6.2).

Ancora una volta, il modello misto ha mostrato che l'amplificazione dei due geni target era

significativamente influenzata sia dai fattori “metodo” e “specie” che dalla loro interazione,

confermando che alcuni fattori non identificabili, associati al tipo del tessuto (probabilmente

legati alla particolare composizione chimica dovuta alle specie), possono influenzare

fortemente la procedura d'estrazione e quindi la performance durante le fasi successive

(Tabella 4A). Anche se i valori complessivi non erano molto distanti, nei risultati

dell'amplificazione del gene COI sono state trovate differenze significative (p < 0,05) tra il

metodo SO ed entrambi i metodi B30 e B60, mentre i risultati dell'amplificazione del gene

16SrRNA hanno rivelato differenze significative (p < 0,01) tra il kit ed entrambi i metodi B30

e B60. I vari modi in cui i metodi d'estrazione influenzano l'amplificabilità dei vari geni

potrebbe dipendere dalle caratteristiche dei primer utilizzati, ovvero dalla loro capacità di

associarsi perfettamente alla sequenza complementare del DNA, che a sua volta potrebbe

essere influenzata dalla presenza dei contaminanti nelle miscele di reazione PCR.

6.3.2 PCR REAL TIME

Partendo dalla stessa quantità del DNA, il punto di take off è un indice di efficienza della

PCR, che a sua volta è proporzionale alle caratteristiche dei primers, alle condizioni della

PCR (identiche per tutti i campioni), all'integrità del DNA ed alla presenza dei potenziali

inibitori. Nel nostro studio, abbiamo amplificato solo il frammento del gene 16s rRNA, a

causa dell'assenza di primers universali per l'amplificazione di brevi frammenti del gene COI.

L'analisi statistica ha dimostrato che entrambi i fattori “metodo” e “specie” influenzano

significativamente il take-off (p < 0.001). L'elevata significatività (p < 0.001) associata

all'interazione tra i due fattori ha rivelato inoltre che il fattore “metodo” aveva un effetto

diverso sulle varie specie (Tabella 4A).

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Nel complesso, un confronto diretto tra i metodi d'estrazione del DNA ha dimostrato

differenze significative tra il metodo SO e gli altri tre metodi (p < 0.001), mentre non sono

state riscontrate diversità significative tra i metodi B30, B60 e il kit. In media, il metodo SO

era associato ad un take-off leggermente, ma significativamente, più basso rispetto ad altri

metodi (Figura 6.3). Le miglior performance nell'amplificazione mediante PCR RealTime dei

campioni ottenuti con il metodo SO, riflette la maggiore qualità del DNA estratto e quindi la

maggior efficacia di tale protocollo d'estrazione.

Figura 6.2. Performance di amplificazione di due geni (a COI, b 16S) a mezzo PCR convenzionale, partendo

dal DNA estratto con i quattro diversi metodi da 12 specie di pesci, appartenenti alle 4 categorie (magri, n = 3;

poco grassi, n = 3; semigrassi, n = 3 , grassi, n = 3). Le quantità sono espresse come l'intensità relativa delle

singole bande sul gel, corrispondente alla percentuale associata alla somma dei singoli valori d'intensità,

calcolati su un singolo gel, nel quale veniva eseguita la corsa dei campioni appartenenti alle differenti categorie.

Non sono stati riportati i valori complessivi per l'impossibilità di calcolare la media di valori corrispondenti a

campioni provenienti da gel diversi. Tuttavia, i livelli di significatività sono stati calcolati confrontando i valori

ottenuti con la comparazione parallela dei campioni corsi nello stesso gel (da Armani et al., 2014).

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6.4. VALUTAZIONE DEI COSTI E DEL TEMPO NECCESSARI PER CIASCUN

METODO

Il kit d'estrazione è risultato il pi costoso, con un costo che di circa 2,25 € per campione, che

quasi 2,5 volte pi alto rispetto al metodo SO (~ 0,8 € e 3,5 volte pi alto rispetto al

protocollo beads milling ( ~ 0, 2 € . ale svantaggio nell'utilizzo dei kit già stata segnalato

da Ivanova et al. (2006). Siamo riusciti a ridurre ulteriormente i costi del metodo bead

milling, rispetto al SO, grazie all'assenza dell'enzima, che è uno tra i reagenti più costosi

utilizzati nelle procedure di estrazione classiche. Infine, va sottolineato che

l'omogenizzazione meccanica con le biglie ha sostituito completamente il lavoro manuale

dell'operatore, per cui può essere considerato come un altro vantaggio economico in termini

di risparmio di ore lavoro, che può diventare significativo quando il numero dei campioni da

elaborare è elevato. Sono anche state riscontrate differenze anche confrontando il tempo

complessivo richiesto per l'intero protocollo (dall'omogeneizzazione fino alla fase di

solubilizzazione del pellet del DNA). Il metodo SO richiedeva circa 3 ore e 20 min, il metodo

B30 2 ore 30 min, il metodo B60 3 ore, mentre nel caso del kit, il tempo risultava

estremamente variabile: da 1 ora e 30 minuti fino a 3 ore e 30 minuti. Infatti, secondo quanto

riportato dal produttore, al fine di ottenere un risultato soddisfacente la fase di lisi cellulare

può essere estesa fino a 3 ore. Per quanto riguarda il metodo SO e il kit, il tempo complessivo

per la loro esecuzione dipende dal tempo necessario per l'omogeneizzazione manuale dei

campioni con le forbici, che può variare da 20 a 40 minuti, in base alla resistenza del tessuto

al taglio.

Figura 6.3. Performance di amplificazione mediante PCR Real Time del DNA estratto con i quattro diversi

metodi, da 12 specie di pesci, appartenenti alle 4 categorie (magri, n = 3; poco grassi, n = 3; semigrassi, n = 3 ,

grassi, n = 3 , espressa come differenza (Δct tra i punti di take off ( t per ciascun soggetto e la media

complessiva (da Armani et al., 2014).

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CAPITOLO 7

CONCLUSIONI

In questo lavoro abbiamo sviluppato un metodo di estrazione del DNA dal muscolo del pesce,

semplice ed economico, basato sull'utilizzo delle biglie di acciaio (bead-milling), seguito da

una procedura salting out.

In corso di questo esperimento, è emerso che non è possibile indicare a priori un metodo

d'estrazione migliore per una particolare specie di pesce o per uno specifico gene da

amplificare. Tuttavia le conclusioni generali si possono sviluppare sulla base delle analisi

effettuate su un gran numero di specie, che presentano differenze per quanto riguarda il

contenuto dei grassi.

Anche se il confronto tra i diversi metodi ha dimostrato che la procedura Salting out è in

generale la migliore in termini di resa e qualità spettrofotometrica del DNA totale, il

protocollo bead milling ha permesso di ottenere un DNA di buona qualità e in quantità

accettabili, sufficienti per eseguire le migliaia di amplificazioni tramite PCR, e in questo

senso supera indubbiamente le prestazione del kit commerciale. Inoltre, eliminando la fase

dell'omogenizzazione meccanica dei campioni da parte dell'operatore, il metodo bead milling

consente di evitare la fase più impegnativa e lunga di tutto il processo d'estrazione del DNA.

Di conseguenza, questo permette di migliorare significativamente la produttività aumentando

il numero dei campioni che possono essere processati da un solo operatore. Infine,

l'automatizzazione del processo di distruzione meccanica riduce l'influenza dell'operatore sul

risultato finale.

In conclusione, il metodo bead milling rappresenta una valida alternativa ai metodi classici

d'estrazione del DNA, specialmente per le analisi di routine che coinvolgono un elevato

numero di campioni e richiedono costi più bassi possibili.

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105

APPENDICE

Articolo Campione

Metodo Reference/ Company Kit

commerciale Procedura classica

Identifying Canadian Freshwater

Fishes through DNA Barcodes

Hubert, et al. (2008). Plos One 3(6):

e2490.

Fresco NucleoSpin96

kit

MACHEREY-

NAGEL GmbH

& Co. KG, D-

52313 Düren,

Germany

Authentication of Anglerfish Species

(Lophius spp) by Means of

Polymerase Chain Reaction-

Restriction Fragment Length

Polymorphism (PCR-RFLP) and

Forensically Informative Nucleotide

Sequencing (FINS) Methodologies.

Espineira, et al. (2008). Journal of

Agricultural and Food Chemistry 56

(22): 10594-10599.

Fresco/lavor

ato

Protocollo

Fenolo/Cloroformio *

Rogers, et al. (1988).

Extraction of DNA

from plant tissues.

Plant Molecular

Biology Manual. S.

Gelvin, R.

Schilperoort and D.

Verma, Springer

Netherlands: 73-83.

DNA barcoding detects market

substitution in North American

seafood. Wong & Hanner (2008).

Food Research International 41(8):

828-837

Fresco/fritto

/ precotto

Protocollo con fibre di

vetro

Ivanova, et al. (2006).

An inexpensive,

utomation-friendly

protocol for recovering

high-quality DNA.

Molecular Ecology

Notes 6(4): 998-1002.

Detection of Mislabeling in Hake

Seafood Employing mtSNPs-Based

Methodology with Identification of

Eleven Hake Species of the Genus

Merluccius. Machado-Schiaffino, et

al. (2008). Journal of Agricultural

and Food Chemistry 56 (13): 5091-

5095.

Fresco/cong

elato/

precotto

Protocollo con resina

Chelex®

Estoup, et al. (1996).

Rapid one-tube DNA

extraction for reliable

PCR detection of fish

polymorphic markers

and transgenes."

Molecular Marine

Biology and

Biotechnology 5(4):

295-298.

DNA barcoding for the identification

of smoked fish products

Smith, et al. (2008). Journal of Fish

Biology 72(2): 464-471.

Affumicato

Protocollo

Fenolo/cloroformio/eta

nolo

Taggart, et al. (1992).

A simplified protocol

for routine total DNA

isolation from

salmonid fishes.

Journal of Fish

Biology 40(6): 963-

965.

Development of a method for the

identification of scombroid and

common substitute species in

seafood products by FINS

Espineira, et al. (2009). Food

Chemistry 117(4): 698-704.

Fresco/cong

elato/

lavorato

NucleoSpin

Tissue kit

Protocollo

Cloroformio/isoamile*

MACHEREY-NAGEL

GmbH & Co. KG., D-

52313 Düren,

Germany.

Rogers, et al. (1985). Extraction of DNA

from milligram

amounts of fresh,

herbarium and

mummified plant

tissues. Plant

Molecular Biology

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106

5(2): 69-76. PCR-based methodology for the

authentication of grouper

(Epinephelus marginatus) in

commercial fish fillets.

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affumicato

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tto

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(fresco)

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o

SureFood®

PREP

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64297

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o

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PerkinElmer

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scatola/essic

ato/ fritto

Master ure™

DNA

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in scatola

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ato

TIANamp

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elato/affumi

cato/secco

GenElute

Mammalian

Genomic

DNA

Miniprep Kit

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Pesce in

scatola/fresc

o/

affumicato/s

alato/

essicato

QIAamp® D

NA Mini Kit

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MACHEREY-NAGEL

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Fresco/pesce

in scatola

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DNeasy

Blood &

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Fresco

DNeasy

Blood &

Tissue Kit

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Fresh/frozen

/ ethanol

preserved

DNeasy

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Tissue Kit

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and processed scallops by multiplex

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in scatola/

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Fresco/salat

o/

essicato

DNeasy

Blood &

Tissue Kit

QIAGEN GmbH, 40724 Hilden,

Germany

Commercialization of a critically

endangered species (largetooth

sawfish, Pristis perotteti) in fish

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Authenticity by DNA analysis Melo

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Fresco/salat

o

Protocollo

Fenolo/cloroformio

Sambrook, et al.

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Cloning: A Laboratory

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DNA barcoding for detecting market

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battered cod chunks Di Pinto, et al.

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Salato

DNeasy

Blood &

Tissue Kit

QIAGEN GmbH, 40724 Hilden,

Germany

Development of a rapid genetic

technique for the identification of

clupeid larvae in the Western English

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mislabeling in processed fish

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Fresco/lavor

ato

Wizard kit for

adult fish

Protocollo con resina

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Rapid one-tube DNA

extraction for reliable

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Congelato/la

vorato

Protocollo

Cloroformio/isopropan

olo

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fish species of raw or

cold-smoked salmon

and salmon caviar by

single-strand

conformation

polymorphism (SSCP)

analysis. European

Food Research and

Technology 220(5-6):

625-632.

Tabella 1A. Nella tabella sono riportati i metodi di estrazione del DNA (kit commerciali e procedure classiche)

utilizzati negli articoli che hanno a che fare con l'identificazione delle specie ittiche. Le procedure

contrassegnate da * non hanno praticato la digestione enzimatica con la proteinasi K (Armani et al., 2014).

Fresh Ethanol

Yield A260/A2

80

A260/A2

30 Yield

A260/A

280

A260/A23

0 M *** *** *** *** *** ns

S *** *** *** *** *** ns

M*S *** *** *** *** *** ns

M *** *** *** *** *** ns

C ** ns * ns ns ns

M*C *** * *** ns ns ns

Table 2A. Livello di significatività, valutata in base ad un modello misto con la REML per la stima dei

componenti di varianza, degli effetti associati ai fattori metodo (M), specie (S), categoria (C) e all'interazione tra

metodo e specie (M * S) o tra metodo e categoria (M * C) sulla resa finale, sul rapporto A260/A280 e

A260/A230 per i campioni freschi e conservati in etanolo. *** P < 0.001; ** P < 0.01; * P < 0,05 (Armani et al.,

2014)

Page 112: Tesi di Laurea Sviluppo di un metodo rapido ed economico ... · Frodi per sostituzione di specie 2.3.2. Frodi qualitative 2.3.3. Frodi quantitative ... che ogni metodo di estrazione

112

Resa A260/A28

0 A260/A230

M *** *** ***

W *** *** *

M*W *** *** **

S *** *** ***

Tabella 3A. Livello di significatività, valutata in base ad un modello misto con la REML per la stima dei

componenti di varianza, degli effetti associati ai fattori metodo (M), quantità iniziale di tessuto (W), la loro

interazione (M * W) e categoria (C) sulla resa relativa del DNA estratto e sui rapporti A260/A280 e A260/A230

. *** P < 0.001; ** P < 0.01; * P < 0,05. (Armani et al., 2014).

Intensità delle bande Take-off

COI 16S 16S

M *** *** ***

S *** *** ***

M*S *** *** ***

Tabella 4A. Livello di significatività,valutata in base ad un modello misto con la REML per la stima dei

componenti di varianza degli effettiassociati ai fattori metodo (M), specie (S), e la loro interazione (M M * S)

sull'intensità della banda dopo l'amplificazione dei geni COI e 16S tramite PCR convenzionale e sul punto di

take off misurato durante l'amplificazione del gene 16S con PCR Real Time. *** P < 0,001 (Armani et al.,

2014).

Page 113: Tesi di Laurea Sviluppo di un metodo rapido ed economico ... · Frodi per sostituzione di specie 2.3.2. Frodi qualitative 2.3.3. Frodi quantitative ... che ogni metodo di estrazione

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contro l'incolumità pubblica: Capo II Dei delitti di comune pericolo mediante frode: Art.

438. Epidemia; Art. 439. Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari; Art. 440.

Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari; Art. 441. Adulterazione o

contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute; Art. 442. Commercio di sostanze

alimentari contraffatte o adulterate; Art. 443. Commercio o somministrazione di medicinali

guasti; Art. 444. Commercio di sostanze alimentari nocive.

3. Codice Penale della Repubblica Italiana Testo coordinato ed aggiornato del Regio

Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398. Libro II Dei delitti in particolare: Titolo VIII Dei delitti

contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio: Capo II Dei delitti contro l'industria

e il commercio: Art. 515. Frode nell'esercizio del commercio; Art. 516. Vendita di sostanze

alimentari non genuine come genuine; Art. 517. Vendita di prodotti industriali con segni

mendaci.

4. Commissione Europea (1997) Libro Verde: Principi generali della legislazione in

E , COM (1997) 176 def. Bruxelles aprile 1997.

5. Commissione Europea (1999) Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare, COM

(1999) 719 def. Bruxelles 12 gennaio 2000.

6. Decreto legislativo 206/2005 del 6 settembre 2005 “Codice del consumo, a norma

dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229.” G.U. del 08 ottobre 2005.

7. Decreto Legislativo N. 109/92 del 27 gennaio 1992

” G.U. n. 39 del 17 febbraio 1992.

8. Decreto Legislativo N. 111/1992 17 f o 1992 “Attuazione della direttiva

89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare”.

G.U. n. 39 del 17 febbraio 1992.

9. Decreto Legislativo N. 114/2006 del 8 febbraio 2006 “Attuazione delle direttive

2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in materia di indicazione degli ingredienti contenuti

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” G.U. n. 69 del 23 marzo 2006.

10. Decreto Legislativo N. 181/2003 del 23 giugno 2003 “Attuazione della direttiva

2000/13/CE concernente l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimen

”. G.U. n.167 del 21 luglio 2003.

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la nascita di nuove imprese”. G.U. n. 26 del 1 febbraio 2007.

12. Decreto Legislativo N. 77/1993 del 16 febbraio 1993 “Attuazione della direttiva

90/496/CEE del Consiglio del 24 settembre 1990 relativa all'etichettatura nutrizionale dei

” G.U. n. 69 del 24 marzo 1993.

13. Decreto MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) 31

gennaio 2008 Denominazione in lingua italiana delle specie di interesse commerciale –

f ’ 2 200 ” G.U. n. 45 del 22

febbraio 2008.

14. Decreto MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) del 25 luglio

2013 che “ . 59 14 15 D. . 22

2012 . 83 ntestazione di origine, anche in relazione

alla identificazione delle zone di cattura e/o di allevamento nonché alla conformità alle

disposizioni del Reg. (CE) n. 2065/2001.

15. Decreto MIPAAF 12 agosto 2011 Attribuzione della denominazione in lingua

f ’ DM 1

200 DM 2 2010” G.U. n. 208 del 7 settembre 2011.

16. Decreto MIPAAF 23 dicembre 2010 Denominazione in lingua italiana delle

specie ittiche di interesse commerciale – modifiche ed integrazioni del DM del 31 gennaio

200 f DM 2010” G.U. n.11 del

15 gennaio 2011.

17. Decreto MIPAAF 5 marzo 2010 Denominazione in lingua italiana delle specie

ittiche di interesse commerciale – f ’

27 2002 f ” G.U. n. 124 del 29 maggio 2010.

18. Decreto MIPAF (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) 14 gennaio 2005

Denominazione in lingua italiana delle specie ittiche di interesse commerciale ai sensi del

( ) 20 2001 22 2001” G.U. n. 33 del

10 febbraio 2005.

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“M f ’

D 14 200 ” G.U. n. 181 del 5 agosto 2005.

20. Decreto MIPAF (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) del 27 marzo 2002

“Etichettatura dei prodotti ittici e sistema di controllo”. G.U. n. 84 del 10 aprile 2002.

21. Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000

“relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri c ’

f

” om op . L109/29 del 6 maggio 2000.

22. Direttiva 2003/89/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 novembre 2003

“che modifica la direttiva 2000/13/CE per quanto riguarda l'indicazione degli ingredienti

” ’ o op L308/15 del 25 novembre

2003.

23. Direttiva 2004/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004

“ ’

disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di

origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e

2 11 40 ” G.U. dell’Unione europea n.

L157/33 del 30 aprile 2004.

24. Direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978 relativa al

ravvicinamento delle legislazioni degli Stat M

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” . G.U. n L33 dell' 8 febbraio 1979.

25. Direttiva 90/496/CEE o o 24 m 1990 “Relativa

’ chettatura nutrizionale dei prodotti alimentari”. G.U. n. L 276 del 6 ottobre 1990.

26. Legge 30 aprile 1962, N. 283 che “modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262

del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265:

Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle

bevande”. G.U. n.13 del 4-6-1962).

27. Legge 40/2007 del Parlamento Italiano del 2 aprile 2007 “Conversione in legge, con

modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007 7

” G.U. n. 77 del 2 aprile 2007.

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28. Legge 462/86 del 7 agosto 1986 recante “ re urgenti in materia di prevenzione e

repressione delle sofisticazioni alimentari”. G.U. n. 1 2 del 20.08. 1 8 .

29. Regolamento (CE) N. 1021/2008 della Commissione del 17 ottobre 2008 che

modifica gli allegati I, II e III del regolamento (CE) n.854/2004 del Parlamento europeo e

f ’ ff

prodotti di origine animale destinati al consumo umano e il regolamento (CE) n. 2076/2005

per quanto riguarda i molluschi bivalvi vivi, taluni prodotti della pesca e il personale

ff ” G.U. dell’Unione europea n.

L277/15 del 18 ottobre 2008.

30. Regolamento (CE) N. 1022/2008 della Commissione del 17 ottobre 2008 “recante

modifica del regolamento (CE) n. 2074/2005 per quanto riguarda i valori limite di azoto

( BVT) ”. G.U. dell’Unione europea n. L277 18

del 18 ottobre 2008

31. Regolamento (CE) N. 104/2000 del Consiglio del 17 dicembre 1999 relativo

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32. Regolamento (CE) N. 1224/2009 o o 20 o m 2009 “che istituisce

un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica

comune della pesca, che modifica i regolamenti (CE) n. 847/96, (CE) n. 2371/2002, (CE) n.

811/2004, (CE) n. 768/2005, (CE) n. 2115/2005, (CE) n. 2166/2005, (CE) n. 388/2006, (CE)

n. 509/2007, (CE) n. 676/2007, (CE) n. 1098/2007, (CE) n. 1300/2008, (CE) n. 1342/2008 e

( ) 2 47 ( ) 1 27 4 ( ) 1 200 ” G.U.

’ o europea n. L343/1 del 22 dicembre 2009;

33. Regolamento (CE) N. 1441/ 2007 della Commissione del 5 dicembre 2007 che

modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti

” G.U. dell’Unione europea n. L322/12 del 7 dicembre 2007.

34. Regolamento (CE) N. 160/2008 della Commissione del 21 febbraio 2008 “recante

indicazioni geografiche protette [Pane di Matera (IGP), Tinca Gobba Dorata del Pianalto di

P (DOP)]” G.U. dell’Unione europea n. L48 27 del 22 febbraio 2008.

35. Regolamento (CE) N. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28

gennaio 2002 “che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare,

is

”. G.U. delle omunità uropee n. L31/1 del 1 febbraio 2002.

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133

36. Regolamento (CE) N. 183/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12

gennaio 2005 “ ”. G.U. dell’Unione europea n.

L35/1 del 8 febbraio 2005.

37. Regolamento (CE) N. 1881/2006 della Commissione del 19 dicembre 2006 che

“definisce i tenori massimi di taluni contaminanti presenti nei prod ”. G.U.

dell’Unione europea n. L3 4 5 del 20 dicembre 200 .

38. Regolamento (CE) N. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20

c m 2006 “Relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite dai prodotti

alimentari”. G.U. dell’Unione europea n. 404/9 L del 30 dicembre 2006;

39. Regolamento (CE) N. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20

c m 2006 “S ’ ”.

G.U. dell’Unione europea n. 404/26 L del 30 dicembre 2006.

40. Regolamento (CE) N. 1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27

ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire in contatto con i prodotti

0 0 10 ” G.U. dell’Unione

europea n. L338/4 del 13 novembre 2004.

41. Regolamento (CE) N. 2065/2001 della Commissione del 22 ottobre 2001 “

'applicazione del regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio per

quanto concerne l'informazione dei consumatori nel settore dei prodotti della pesca e

' ”. G.U. dell L 278 del 23 ottobre 2001.

42. Regolamento (CE) N. 2065/2001 della Commissione del 22 ottobre 2001 “che

stabilisce le 'applicazione del regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio per

quanto concerne l'informazione dei consumatori nel settore dei prodotti della pesca e

dell'acq ” G.U. delle omuni europee n. 278 del 23 ottobre 2001.

43. Regolamento (CE) N. 2073/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15

novembre 2005 “ ”. G.U.

dell’Unione europea n. L338/1 del 22 dicembre 2005.

44. Regolamento (CE) N. 2074/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5

dicembre 2005 “

regolamento (CE) N. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e

di controlli ufficiali a norma dei regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio (CE) N.

854/2004 e (CE) N. 882/2004, deroga al regolamento (CE) N. 852/2004 del Parlamento

europeo e del Consiglio e modifica dei regolamenti (CE) N. 853/2004 ( E) N. 854/2004”.

G.U. dell’Unione europea n. L338 27 del 22 dicembre 2005.

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134

45. Regolamento (CE) N. 2075/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5

dicembre 2005 “che definisce norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla

T ”. G.U. dell’Unione europea n. L338 0 del 22 dicembre

2005.

46. Regolamento (CE) N. 2075/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5

dicembre 2005 “che definisce norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla

T ”. G.U. dell’Unione europea n. L338 0 del 22 dicembre

2005.

47. Regolamento (CE) N. 2076/2005 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5

dicembre 2005 “ amenti del

Parlamento europeo e del Consiglio (CE) n. 853/2004, (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004

e che modifica i regolamenti (CE) n. 853/2004 e (CE) n. 854/2004”. G.U. dell’Unione

europea n. L338/60 del 22 dicembre 2005.

48. Regolamento (CE) N. 2406/96 del o o 26 o m 1996 “che stabilisce

norme comuni di commercializzazione per taluni prodotti della pesca”. G.U. n. L334 del

23 dicembre 1996.

49. Regolamento (CE) N. 2495/2001 omm o 19 c m 2001 “recante

modifica del regolamento (CE) n. 2406/96 del Consiglio che stabilisce norme comuni di

” G.U. delle omuni europee n.

L337/23 del 20 dicembre 2001.

50. Regolamento (CE) n. 2578/2000 del Consiglio del 17 novembre 2000 “recante

modifica del regolamento (CE) n. 2406/96, che stabilisce norme comuni di

” om op . L298

del 25 novembre 2000.

51. Regolamento (CE) N. 323/97 della Commissione del 21 febbraio 1997 “recante

modifica del regolamento (CE) n. 2406/96 del Consiglio che stabilisce norme comuni di

” G.U. n. L52 del 22 febbraio 1997.

52. Regolamento (CE) N. 333/2007 della Commissione del 28 Marzo 2007 Regolamento

(CE) N. 333 2007 della ommissione del 28 marzo 2007 “relativo ai metodi di

campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di piombo, cadmio, mercurio,

stagno inorganico, 3-MCPD e benzo(a)pirene nei prodotti alimentari”. G.U. dell’Unione

europea n. L 88/29 del 29 marzo 2007.

53. Regolamento (CE) N. 776/2008 della Commissione del 4 agosto 2008 “recante

iscrizione di alcune denominazioni nel registro delle denominazioni d'origine protette e delle

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indicazioni geografiche protette [Acciughe sotto sale M (IGP) B

w (IGP) (IGP)]” G.U. dell’Unione europea n. L207 7 del 5 agosto

2008.

54. Regolamento (CE) N. 790/2005 della Commissione del 25 maggio 2005 “recante

modifica del regolamento (CE) n. 2406/96 del Consiglio che stabilisce norme comuni di

” ’ o op L1 2/15

del 25 maggio 2005.

55. Regolamento (CE) N. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile

2004 “sull limentari”. G.U. dell’Unione europea n. L13 1 del 30 aprile

2004.

56. Regolamento (CE) N. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile

2004 “ ”.

G.U. dell’Unione europea n. L139/55 del 30 aprile 2004.

57. Regolamento (CE) N. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile

2004 “

di origine animale destinati al c ”. G.U. dell’Unione europea n. L22 83 del 25

giugno 2004.

58. Regolamento (CE) N. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile

2004 “

materia ”.

G.U. dell’Unione europea n. L1 1 del 28 maggio 2004.

59. Regolamento (Euratom) N. 2218/89 del Consiglio del 18 luglio 1989 recante

“modifica del Regolamento (Euratom) n. 3954/87 che fissa i livelli massimi ammissibili di

radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anomali

di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza

”. G.U. della Comunità Europea L 211 del 22 luglio 1989.

60. Regolamento (Euratom) N. 3954/87 del Consiglio 22 dicembre 1987 che “

livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per

animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in

”. G.U. della Comunità Europea L371 30

dicembre 1987.

61. Regolamento (UE) N. 1019/2013 della Commissione del 23 ottobre 2013 che

“ I ( E) . 2073/2005

della pesca.” G.U. dell’Unione europea n. L282 4 del 24 ottobre 2013

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62. Regolamento (UE) N. 1019/2013 della Commissione del 23 ottobre 2013 che

“ I ( E) . 2073/2005

” (G.U. dell’Unione europea L282 4 del 24.10.2013.

63. Regolamento (UE) N. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25

ottobre 2011 “Relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che

modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del

Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del

Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del

Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione

( ) 0 2004 ” G.U. dell’Unione europea n.

L304/18 del 22 novembre 2011.

64. Regolamento (UE) N. 1379/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11

dicembre 2013 “relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della

pesca e dell'acquacoltura, recante modifica ai regolamenti (CE) n. 1184/2006 e (CE) n.

1224/2009 del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio”. G.U.

n L354/1 del 28 dicembre 2013.

65. Regolamento (UE) N. 365/2010 della ommissione del 28 aprile 2010 “sui criteri

microbiologici applicabili ai prodotti alimentari per quanto riguarda le enterobatteriacee

presenti nel latte pastorizzato e in altri prodotti lattiero-caseari liquidi pastorizzati e Listeria

monocytogenes nel sale alimentare”. G. U. dell’Unione europea L107 del 2 aprile 2010.

66. Regolamento (UE) N. 432/2012 della Commissione del 16 maggio 2012 “Relativo

alla compilazione di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti alimentari,

diverse da quelle facenti riferimento alla riduzione dei rischi di malattia e allo sviluppo e

” ’ o op 136/1 del 25 maggio 2012.

67. Regolamento (UE) N. 835/2011 della ommissione del 1 agosto 2011 “che

modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi di

”. G.U. dell’Unione europea n. L

215/14 del 20 agosto 2011.

68. Regolamento (UE) N. 836/2011 della Commissione del 19 agosto 2011 che

“modifica il regolamento (CE) n. 333/2007 relativo ai metodi di campionamento e di analisi

per il controllo ufficiale dei tenori di piombo, cadmio, mercurio, stagno inorganico, 3-MCPD

e benzo(a)pirene nei prodotti alimentari”. G.U. dell’Unione europea n. L215 del 20 agosto

2011.

69. UNI CEI EN 45011:1999: Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono

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sistemi di certificazione di prodotti.

70. UNI CEI EN ISO/IEC 7020:2012: Valutazione della conformità – Requisiti per il

funzionamento di vari tipi di organismi che eseguono ispezioni.