Tesi di laurea LA DISFUNZIONE DIASTOLICA IN … · Si definisce disfunzione diastolica il fenomeno...
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UNIVERSITA' DI PISA
Dipartimento di Patologia Clinica, Molecolare e dell’Area Critica
Scuola di Specializzazione in Anestesia Rianimazione e Terapia Intensiva
Tesi di laurea
LA DISFUNZIONE DIASTOLICA IN CARDIOCHIRURGIA
Relatore:
Chiar.mo Prof. Francesco Giunta
Correlatore:
Dott. Francesco Forfori
Candidato:
Ester Avagliano
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
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Indice
RIASSUNTO ANALITICO ................................................................................. 3
1. LA DISFUNZIONE DIASTOLICA ................................................................... 4
1.1 Definizione e generalita’ ................................................................................... 4
1.2 Fisiopatologia .................................................................................................... 7
1.3 Diagnosi e prognosi’ ....................................................................................... 15
1.4 Trattamento ..................................................................................................... 17
2. DISFUNZIONE DIASTOLICA E CARDIOCHIRURGIA ........................... 19
2.1 Valutazione e classificazione .......................................................................... 21
2.2 Analisi del flusso trans mitralico..................................................................... 23
2.3 Studio del flusso venoso polmonare ............................................................... 28
2.4 Color M-mode ................................................................................................. 30
2.5 Il Doppler tissutale dell’anello mitralico......................................................... 32
2.6 Classificazione della disfunzione diastolica ................................................... 36
3. STUDIO CLINICO ............................................................................................ 38
3.1 Metodi ............................................................................................................. 38
3.2 Analisi statistica .............................................................................................. 40
3.3 Discussione...................................................................................................... 43
3.4 Limiti ............................................................................................................... 46
4. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................ 48
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RIASSUNTO ANALITICO
La funzione diastolica ha ricevuto sempre più attenzione dal momento in cui sono
state sviluppate e rese ampiamente disponibili le idonee misure ecocardiogradifiche
per la sua valutazione. Ad oggi l’importanza ed il significato della disfunzione
diastolica (DD) presente prima dell’intervento di cardiochirurgia ed il nesso
eventuale tra questa ed un outcome chirurgico avverso, come ad esempio un
difficile svezzamento dal by-pass cardiopolmonare, non sono stati ancora
completamente esplorati. In questo studio ipotizziamo che la DD possa essere un
predittore della richiesta di inotropi al momento dello svezzamento dal by-pass
caridopolmonare (CPBP). Sono stati analizzati 37 pazienti sottoposti ad intervetno
di cardiochirugia nel periodo tra Giugno 2013 e Marzo 2014. E’stata valutata la
funzione sistolica e la funzione diastolica secondo le più recenti linee guida
attraverso ecografia transesofagea intraoperatoria (ETE). Sono state quindi raccolte
informazioni demografiche, ecocardiografiche, emodinamiche e anamnestiche ed
inserite in un’analisi multivariata della varianza, utilizzando un modello lineare
generalizzato. Lo scopo è stato determinare quale di queste variabili potesse essere
un predittore di difficile svezzamento da CPBP, e inoltre potesse predirre una
degenza più lunga in terapia intensiva (UTI) e un maggior tempo di ventilazione
meccanica in UTI. Attraverso l’analisi statistica la disfunzione sistolica è stata
riconosciuta essere unico predittore di difficile separazione dal CPBP mentre è stata
rilevata una correlazione statisticamente significativa sia tra la disfunzione sistolica
che diastolica con il tempo di degenza in UTI e con il tempo di ventilazione
meccanica.
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1. LA DISFUNZIONE DIASTOLICA
1.1. Definizione e generalità
Si definisce disfunzione diastolica il fenomeno per il quale il processo di diastole
ventricolare risulta allungato, rallentato o incompleto: ovvero vi è un’alterazione
nell’avvio e nella progressione del declino della pressione ventricolare che ne
consente il normale riempimento diastolico e nel rapporto pressione volume
ventricolare [1].
Lo scompenso cardiaco diastolico può essere definito come la sindrome clinica
caratterizzata da sintomi e segni di scompenso cardiaco, associati a disfunzione
diastolica. Da un punto di vista concettuale esso si verifica in seguito all’incapacità
del ventricolo di riempirsi adeguatamente in diastole e garantire un adeguata gittata
sistolica e portata cardiaca, sia a riposo che in esercizio, con pressione dell’atrio
sinistro non eccedente i 12 mmHg [2][3].
La disfunzione diastolica del ventricolo sinistro rappresenta un problema comune
tra pazienti con un ampio spettro di patologie cardiovascolari. In svariate
condizioni, tra cui ipertensione, in particolare se associata ad ipertrofia del
ventricolo sinistro, ischemia miocardica o infarto e patologie valvolari
(principalmente la stenosi aortica) essa può verificarsi precocemente.
Tutti i pazienti con scompenso sistolico hanno concomitante scompenso diastolico,
ma è importante sottolineare che in circa il 40% di nuova diagnosi di scompenso
cardiaco i pazienti hanno una frazione di eiezione normale [4]: in tal caso si parla
appunto di “scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata” oppure di
disfunzione diastolica isolata, in tali pazienti però non può essere esclusa la
presenza di alterazioni molecolari a livello dei sarcomeri [5].
Riassumendo i criteri diagnostici che definiscono lo scompenso diastolico sono:
1. Presenza di segni e/o sintomi di scompenso cardiaco
2. Funzione sistolica del ventricolo sinistro normale o leggermente alterata
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3. Evidenza di anomalie del rilasciamento e/o del riempimento diastolico del
ventricolo sinistro.
L’insufficienza cardiaca può infatti esser caratterizzata sia da segni di ridotta
capacità espulsiva del ventricolo che da un aumento della pressione diastolica, il
prevalere di una di queste due condizioni porta a distinguere l’insufficienza cardiaca
in diastolica e sistolica. In realtà nessun quadro di insufficienza cardiaca potrebbe
manifestarsi senza la concomitante disfunzione diastolica: l’insufficienza cardiaca
infatti compare ogni qualvolta il riempimento necessario per sostenere la gittata
sistolica sia ottenuto a presso di un eccessivo aumento della pressione di
riempimento. Nel caso dell’insufficienza diastolica isolata, l’aumento inappropriato
della pressione avviene in presenza di un normale volume diastolico del ventricolo,
mentre, nel caso dello scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta,
l’incremento di pressione si associa all’aumento di volume della camera
ventricolare. Nel primo caso si tratta di un deficit funzionale conseguente
all’espansione di componenti disfunzionanti della massa miocardica sia a livello del
miocita che a livello della struttura del collagene cardiaco, mentre nel secondo caso,
essa è basata sulla perdita di tessuto contrattile.
Una delle più efficaci ed eleganti descrizioni dello scompenso a funzione sistolica
conservata rimane quella fatta nel 1985 da TOPOL e col. sul New England Journal
of Medicine. Gli autori descrivevano una piccola serie costituita da 21 pazienti di
età avanzata, prevalentemente di sesso femminile, giunti all’osservazione con un
quadro clinico di scompenso cardiaco grave, fino all’edema polmonare acuto. Oltre
all’assenza di altre malattie di rilevanza clinica ed in particolare di coronaropatia,
questi pazienti erano caratterizzati da una lunga storia di ipertensione arteriosa e dal
risconto ecocardiografico di marcata ipertrofia ventricolare sinistra, di tipo
concentrico (cioè spessori aumentati e cavità ventricolare ridotta), frazione di
eiezione normale o addirittura “supernormale” e indici di funzione diastolica
alterati. Tali alterazioni morfologiche e funzionali del ventricolo sinistro
sembravano alla base non solo di un distinto meccanismo fisiopatologico rispetto al
quadro classico da dilatazione e disfunzione sistolica, ma anche di una differente
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risposta alla terapia convenzionale. Nelle conclusioni gli autori ponevano l’accento
sull’unicità del meccanismo fisiopatologico, in altre parole la disfunzione diastolica
isolata del ventricolo sinistro, la cui conoscenza è indispensabile per un approccio
terapeutico appropriato [6].
Sono trascorsi ormai anni dalla pubblicazione di questi dati ma, nonostante la
solidità dei successivi studi epidemiologici che confermano il riscontro frequente di
una frazione di eiezione ventricolare sinistra normale in pazienti affetti da
scompenso cardiaco, e nonostante in questi ultimi anni siano stati proposti dei
protocolli per la diagnosi dello scompenso da disfunzione diastolica [7][8], lo
scompenso cardiaco “diastolico” continua ad essere trascurato e addirittura messo in
discussione come entità clinica a se stante [9][10][11].
Le indagini epidemiologiche condotte recentemente si attestano intorno all’11.1%
nella popolazione generale: circa la metà (44%) [12] dei casi di scompenso cardiaco
e la loro incidenza risulta proporzionale all’età, aumentando considerevolmente in
soggetti relativamente anziani (dal 2.8% nella fascia di età tra 25 e 35 anni, fino al
18% al di sopra dei 65 anni). La letteratura indica che la funzione diastolica sia
alterata più frequentemente negli uomini che nelle donne, probabilmente in ragione
della prevalenza più elevata dei fattori di rischio cardiovascolare associati. Come
già detto la presenza di fattori di rischio cardiovascolare, quali diabete mellito,
ipertensione arteriosa, ipertrofia ventricolare sinistra e cardiopatia ischemica
incrementano il rischio di disfunzione diastolica, in particolare nella popolazione
anziana. Numerosi studi basati su reperti ecocardiografici, cateterismo cardiaco ed
esame autoptico, hanno dimostrato che esiste una stretta correlazione tra obesità,
alterazioni strutturali cardiache e disfunzione sistolica sinistra.
Nei pazienti da sottoporre a chirurgia per patologia coronarica o stenosi aortica,
l’incidenza di disfunzione diastolica sale al 44-75% [13][14].
Nella popolazione generale l’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio più comune
di scompenso cardiaco e infarto miocardico; la progressione della cardiopatia
ipertensiva verso lo scompenso cardiaco include una serie di cambiamenti a carico
del ventricolo sinistro, oltre al rimodellamento concentrico e all’ipertrofia il cui
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ruolo prognostico è noto [15][16], si assiste a modificazioni delle proprietà
diastoliche ventricolari.
I pazienti da sottoporre a cardiochirurgia sono a rischio di disfunzione diastolica o
franco scompenso diastolico e ciò aumenta il rischio di instabilità emodinamica
perioperatoria, pertanto un adeguata valutazione ecografica preoperatoria della
funzione diastolica andrebbe sistematicamente fatta, tenendo ovviamente presente il
contesto clinico di ogni singolo paziente.
1.2. Fisiopatologia
Il ciclo cardiaco è arbitrariamente suddiviso in diverse fasi sistoliche e diastoliche
[17]. La diastole è il processo attraverso cui il cuore torna al suo stato di
rilassamento e durante questa fase il miocardio viene perfuso. La diastole si estende
dalla chiusura della valvola aortica alla chiusura della valvola mitrale e si divide
convenzionalmente in quattro fasi (Figura 1):
1. Rilasciamento isovolumetrico
2. Riempimento rapido
3. Diastasi
4. Sistole atriale
Figura 1: Fasi del ciclo cardiaco
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1. Fase di rilasciamento isovolumetrico (IVRT): inizia con la chiusura della
valvola aortica e si estende fino all’apertura della valvola mitrale. A valvole
chiuse, senza flussi, il volume ventricolare resta invariato ma si verificano
modificazioni della configurazione geometrica della camera ventricolare e si
assiste a rapida e progressiva caduta della pressione intraventricolare a livelli
inferiori della pressione atriale. E’ un processo energia dipendente, nel quale i
Calcio-ioni vengono rimossi dal citoplasma contro un gradiente di
concentrazione, consentendo la dissociazione del complesso actina-miosina.
Questa fase risulta prolungata da fattori che alterano il rilasciamento attivo (es.:
ischemia miocardica) e accorciata da condizioni in cui la pressione dell’atrio
sinistro è aumentata in quanto la valvola mitrale si aprirà precocemente.
La velocità di rilasciamento influenza anche la velocità di caduta della pressione
ventricolare sinistra. Un rilasciamento incompleto provoca un aumento della
pressione di riempimento necessaria per mantenere un adeguato volume
diastolico del ventricolo. Sul rilasciamento isovolumetrico influisce anche il
"recupero elastico" (od "effetto suzione"), cioè la liberazione (restituzione)
dell’energia elastica "compressa" all’interno del miocardio durante la sistole
precedente e poi liberata non appena inizia il rilasciamento. Anche tale
liberazione contribuisce alla caduta della pressione ventricolare sinistra all’inizio
della diastole.
Una riduzione di funzione sistolica, determinando un aumento del volume
telesistolico ventricolare sinistro, provoca una riduzione del "ritorno elastico"
nella protodiastole successiva.
2. Fase di riempimento rapido: inizia con l’apertura della valvola mitrale ed il
flusso rapidamente riempie il ventricolo ma la pressione intracavitaria continua a
ridursi grazie al rilasciamento attivo delle fibre miocardiche con un effetto di
suzione sul flusso atriale. Il gradiente pressorio tra atrio sinistro e ventricolo
sinistro è massimo in questa fase, determinando così fino al 65-80% del
riempimento ventricolare. Questa fase è influenzata da numerosi fattori quali la
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capacità di rilasciamento attivo, la pressione dell’atrio sinistro, l’elasticità delle
fibre miocardiche e dalla compliance ventricolare sinistra. Infatti il riempimento
ventricolare rapido è un processo solo in parte attivo (rilasciamento energia-
dipendente, legato a processi biochimici di rimozione dei calcio-ioni dai
complessi contrattili actina-miosina, analogamente a quanto avviene nella fase
di rilasciamento isovolumetrico); esso infatti avviene prevalentemente in modo
passivo, grazie al gradiente atrio ventricolare. II riempimento ventricolare
rapido, inoltre, è influenzato dal "ritorno elastico" del ventricolo, cioè dalle forze
intrinseche di ripristino della lunghezza delle fibre in diastole per rimbalzo
dell’energia elastica che il miocardio accumula, contraendosi, nella sistole
precedente; tale "ritorno" determina un "effetto suzione" che favorisce lo
svuotamento rapido dell’atrio in ventricolo in protodiastole.
3. Fase di riempimento lento o diastasi: rappresenta la fase più complessa della
diastole in cui il gradiente pressorio atrio-ventricolare e il flusso tendono ad
azzerarsi con riduzione della velocità di riempimento. Nel soggetto normale, il
contributo della diastasi al riempimento ventricolare totale è scarso (5%). La
durata di tale fase è notevolmente dipendente dalla frequenza cardiaca; essa si
annulla per frequenze superiori a 100/m’. Tale fase è strettamente collegata alla
distensione ventricolare cioè alla resistenza che la camera oppone al
riempimento dovuta alle caratteristiche passive della parete stessa. Il principale
determinante di questa fase è infatti la compliance della camera ventricolare
sinistra (dV/dP) o il suo inverso, la rigidità o stifness.
4. Fase di contrazione atriale: in cui durante la contrazione atriale, la funzione di
pompa atriale fa aumentare il gradiente atrio-ventricolare e quindi il flusso, che
in condizioni fisiologiche rappresenta il 15-20% del riempimento ventricolare.
Fattori determinanti di questa fase sono: la funzionalità dell’atrio, la frequenza
cardiaca e il precarico: essa risulta dunque alterata in caso di dilatazione,
ipertrofia o aritmie a carico dell’atrio.
I fattori principali su cui pertanto si fonda l’efficacia della diastole sono:
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la compliance
il tempo di rilasciamento ventricolare τ
la sistole atriale
la frequenza cardiaca
La compliance cardiaca (Figura 2) è definita come la variazione di volume per ogni
variazione unitaria della pressione (dV/dP) [62]. Con questo termine ci si riferisce
alle proprietà viscoelastiche passive del ventricolo sinistro durante il passaggio del
sangue attraverso la valvola mitrale, dall’atrio sinistro al ventricolo, valutata come
rapporto volume/pressione nella pratica clinica. La compliance ventricolare sinistra
è influenzata da vari fattori: caratteristiche intrinseche del miocardio in particolare
spessore e struttura (alterate in presenza di ipertrofia, ischemia, ipossia, fibrosi,
malattie infiltrative e degenerative); volume endoventricolare; interdipendenza
ventricolare e con pericardio.
Figura 2: Relazione tra volume e pressione, ad un aumento di volume corrisponde un
aumento della pressione intraventricolare.
La proprietà di rilasciamento del ventricolo in funzione del tempo τ (tau): tale
valore indica il costante di declino della pressione ventricolare in funzione del
tempo, corrisponde, approssimativamente, al tempo impiegato dalla pressione
ventricolare a scendere di due terzi del suo valore iniziale [19]. Quando si verifica
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un deterioramento della funzione diastolica e quindi un rallentamento del
rilasciamento ventricolare sinistro si assiste ad un allungamento del periodo di
rilasciamento con incremento di τ (normalmente inferiore a 50 ms). Tale evento
produce uno spostamento verso l’alto della curva pressione-volume del ventricolo
perché parte del miocardio è ancora in uno stato attivo durante la diastole, per
alterata coordinazione della contrazione miocardica e con allungamento del τ [20].
Va in questo senso considerata la relazione tra disfunzione sistolica e diastolica del
ventricolo sinistro [3][7]: infatti un aumentato volume telesistolico sinistro inficia la
capacità di rilasciamento ventricolare e di conseguenza ci si aspetta un aumento del
tempo di rilasciamento ventricolare nel paziente con ridotta frazione di eiezione.
La sistole atriale, ultima fase del ciclo cardiaco, porta l’ultimo contributo al
riempimento ventricolare. E’ caratterizzata dalla contrazione della muscolatura
dell’atrio con un conseguente aumento della pressione intra-atriale e un nuovo picco
di afflusso atrio-ventricolare. La funzionalità atriale, la frequenza cardiaca e il
preload sono fattori determinanti della contrazione atriale che risulta alterata in caso
di dilatazione, ipertrofia o artimie atriali [21].
La frequenza cardiaca è un parametro che interviene per incrementare la portata,
un suo aumento comporta la riduzione del tempo di riempimento diastolico (in un
paziente con frequenza di 75 battiti al minuto il ciclo cardiaco dura 800 ms di cui
ben 500 ms di diastole e solo 300 ms di sistole), con conseguente riduzione della
forza contrattile.
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Figura 3: Fattori che influenzano la pressione diastolica e l’andamento della diastole.
L’elasticità e la geometria del miocardio (dimensioni e spessore della parete) sono importanti per
tutta la durata della diastole, gli altri effetti si sovrappongono alla pressione a causa dell’elasticità
miocardica. In proto-diastole, il rilasciamento attivo e l’effetto di rimbalzo dell’energia elastica
che può esserestata accumulata nella sistole precedente (la cosiddetta “suzione diastolica”)
determina il gradiente di pressione atrio-ventricolaree la velocità di riempimento ventricolare. La
linea tratteggiata mostra la curva pressione-volume puramente elastica del gusciomiocardico in
assenza delle componenti provocate dal rilasciamento attivo del battito precedente, le pressioni
negative riflettonoqui l’energia elastica che si combina con la componente di rilasciamento per
determinare la pressioneosservata. Tardivamente nella diastole diventano importanti l’interazione
tra i ventricoli ed il pericardio. Le proprietà visco-elastiche del miocardio hanno un piccolo ruolo
durante il riempimento rapido e la contrazione striale e la diastole. I differenti fattori sono elencati
con l’indicazione del momento in cui sono importanti per la determinazione della pressione
diastolica. VES, volume tele-sistolico, VED, volume tele-diastolico, V0, volume d’equilibrio.
(Modificato da: GILBERT JC, GLANTZ SA. Determinants of left ventricular fillingand of the
diastolic pressure - volume relation. Circ Res 1989; 64: 827).
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I quattro fattori, prima citati, possono essere modificati da varie situazioni
patologiche che modificano la composizione delle fibre miocardiche e/o della
matrice extracellulare e portano i fibroblasti a produrre collagene. Qualsiasi
cardiopatia che determini un’alterazione strutturale miocardica e/o pericardica può
determinare disfunzione diastolica.
La deposizione interstiziale di collagene di tipo I e III, indotta dallo stress
meccanico sul muscolo cardiaco e da meccanismi umorali, quali i componenti del
sistema renina-angiotensina-aldosterone, è stata ipotizzata come possibile concausa
dell’alterazione della funzione diastolica, in quanto responsabile di una riduzione
della compliance miocardica [22]. In pazienti affetti da ipertensione arteriosa
essenziale inoltre è stata dimostrata un’associazione significativa tra alterato
riempimento diastolico e aumentati livelli sierici di propeptide amino terminale del
procollagene di tipo III, mettendo in relazione, dunque la disfunzione diastolica con
la fibrosi miocardica [23]. Anche se il rimodellamento miocardico è accompagnato
da cambiamenti dei cardiomiociti, un importante ruolo è svolto da alterazioni della
struttura e della composizione della matrice extracellulare: è emerso di recente
come la matrice di collagene non sia una struttura statica, bensì un’entità dinamica
che svolge un’importante funzione nell’adattamento del miocardio a stress
patologici favorendo quindi il processo di rimodellamento [24].
Il risultato complessivo di queste alterazioni che possono essere concomitanti o
separate si traduce nella disfunzione diastolica.
Il rilasciamento ventricolare, analogamente alla contrazione, è un processo energia
dipendente che richiede rilascio di ioni calcio dal complesso troponina C-miosina-
actina, distacco dei ponti di actina-miosina, fosforilazione del fosfolambano, re-
uptake di ioni Calcio nel reticolo sarcoplasmatico, espulsione di ioni calcio dal
citosol grazie allo scambio con ioni sodio, estensione dei sarcomeri fino alla loro
lunghezza di riposo [25]. Una diminuzione dell’attività della pompa del Calcio del
reticolo sarcoplasmatico (Ca ATPasi del reticolo sarcoplasmatico SERCA) può
rallentare la rimozione di ioni calcio dal citosol del cardiomiocita ed alterare il
rilasciamento ventricolare, così come può accadere in caso di aumentati livelli o
attività del fosfolambano, il naturale inibitore di SERCA. L’ipotirodismo riduce
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l’attività di SERCA e aumenta quella del fosfolambano inducendo alterato
rilasciamento ventricolare, mentre l’effetto opposto si ha nell’ipertiroidismo [26]. In
maniera simile, incrementando la funzionalità del SERCA, attraverso la
somministrazione di captopril e β-agonisti si osserva un miglioramento del
rilasciamento diastolico [27].
I meccanismi patogenetici alla base della disfunzione diastolica possono essere
ricondotti a [28]:
1. Rilasciamento ventricolare rallentato o incompleto: l’alterato rilasciamento
interessa il rilasciamento isovolumetrico ed il riempimento diastolico
precoce, con conseguente aumento della pressione di riempimento relativa ad
un dato volume e sviluppo di sintomi congestizi. Esso è fondamentalmente
dovuto a ritardato uptake di ioni Calcio nel reticolo sarcoplasmatico. E’la
forma prevalente di disfunzione diastolica quantomeno nella fase iniziale di
sviluppo e si verifica in molteplici condizioni quali ischemia miocardica,
ipertensione, stenosi aortica, cardiomiopatia ipertrofica, ipotiroidismo.
2. Disfunzione diastolica passiva: dovuta a ridotta compliance ventricolare,
viene inficiata la fase di diastasi e la fase di sistole atriale. Può esser dovuta
all’amiloidosi o altri tipi di processi infiltrativi, a fibrosi miocardica, cicatrice
post-infartuale o in seguito a sovraccarico volumetrico del ventricolo sinistro
( ad esempio in caso di insufficienza valvolare acuta)
3. Patologia endocardica: fibroelastosi, stenosi mitralica
4. Patologia pericardica: pericardite restrittiva, tamponamento
5. Fattori estrinseci al ventricolo sinistro quali sovraccarico volumetrico del
ventricolo destro o compressione estrinseca (ad esempio da tumore)
La storia naturale della disfunzione diastolica progredisce comunque verso una
condizione di alterata compliance ventricolare e aumentata rigidità.
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1.3. Diagnosi e Prognosi
Lo scompenso cardiaco diastolico può indurre sintomi a riposo (New York Heart
Association NYHA class IV), in seguito ad attività fisica lieve ( NYHA class III),
oppure in seguito ad attività fisica ordinaria (NYHA class II). Nei casi meno severi
non appare evidente a riposo poiché i meccanismi di compenso, essenzialmente
legati all'aumento del contributo atriale al riempimento ventricolare, non
comportano una variazione della gittata sistolica o degli altri parametri emodinamici
[1]. Può presentarsi invece in condizioni di stress quali ad esempio l'ischemia, lo
svezzamento dalla ventilazione meccanica o altre condizioni che comportano
un'improvvisa variazione dell'equilibrio cardiocircolatorio quali ad esempio perdite
ematiche, respirazioni ad alte pressioni positive, manovre di reclutamento alveolare.
Quando un paziente con disfunzione diastolica è soggetto a stress, il ventricolo non
riesce a rilasciarsi e riempirsi adeguatamente a causa dell’accorciamento del tempo
di diastole, e ciò induce un aumento della pressione ventricolare telediastolica e
congestione polmonare [2][3].
La principale conseguenza di una disfunzione diastolica è rappresentata infatti da
elevate pressioni di riempimento ovvero: mean pulmonary capillary wedge pressure
(PCWP) > 12 mmHg oppure pressione telediastolica del ventricolo sinistro > 16
mmHg [4]. Le pressioni di riempimento variano minimamente in seguito a stress,
esercizio fisico ed aumento della frequenza cardiaca in soggetti sani mentre si
elevano sostanzialmente in caso di disfunzione diastolica, pertanto lo stroke volume
non aumenta come in condizioni fisiologiche e il soggetto lamenta dispnea e
affaticamento. Pertanto un’alterazione del riempimento ventricolare può essere la
prima manifestazione di ischemia miocardica in uno spostamento verso l’alto della
curva pressione-volume del ventricolo sinistro [3][25].
La tachicardia è poco tollerata da questi pazienti per diverse ragioni: la prima è che
l’aumento della frequenza cardiaca aumenta la richiesta di ossigeno miocardica
riduce il tempo di perfusione coronarica, che avviene prevalentemente in diastole.
Ciò può indurre disfunzione diastolica ischemica anche in assenza di patologia
coronarica, in particolare nel paziente affetto da ipertrofia ventricolare sinistra.
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Inoltre una diastole accorciata può causare un rilasciamento incompleto,
determinando cosi un’aumentata pressione telediastolica ventricolare. Infine in caso
di disfunzione diastolica il rapporto velocità di rilasciamento-frequenza cardiaca è
piatto o addirittura negativo, per cui se la frequenza aumenta, il grado di
rilasciamento ventricolare potrebbe anche diminuire o comunque non aumentare
relativamente ad esso, favorendo un ulteriore aumento delle pressioni ventricolari.
La presenza di concomitanti aritmie quali ad esempio la fibrillazione atriale o
tachicardia, comportano una diminuzione ulteriore del tempo di rilasciamento
incrementando ulteriormente il rischio di infarto subendocardico [7].
I principali segni e sintomi di scompenso cardiaco diastolico sono: stanchezza,
dispnea, ortopnea, dispnea notturna parossistica, distensione delle giugulari,
tachicardia, rantoli, epatomegalia, cardiomegalia ed edema polmonare e/o
sistemico. Questi sintomi e segni non sono specifici ma si verificano spesso in
condizioni non cardiache quali anemia, patologie polmonari, ipotiroidismo e
obesità. Inoltre è difficile distinguire lo scompenso sistolico dal diastolico solo sulla
base di questi sintomi clinici [29].
Il peptide natriuretico atriale (ANP) ed il peptide natriuretico di tipo B (brain
natriuretic peptide BNP) sono prodotti dal miocardio atriale e ventricolare in
risposta ad un aumento della distensione atriale e ventricolare diastolica, e la loro
secrezione induce natriuresi, vasodilatazione e un miglioramento del rilassamento
ventricolare. I miociti cardiaci producono pro-BNP che viene successivamente
clivato in NT-proBNP e BNP. Tali valori sono correlati agli indici di rilasciamento
del ventricolo sinistro e quindi variano col grado di disfunzione diastolica. Pertanto
sono utili nel predirre la disfunzione diastolica in pazienti asintomatici [30] ma in
anche in questo caso non consentono la distinzione tra lo scompenso diastolico e
sistolico.
Infine (vedi capitoli successivi) le informazioni fondamentali al fine di una diagnosi
accurata sono date dall’ecocardiografia e dal cateterismo cardiaco.
La mortalità annua dovuta a scompenso diastolico isolato varia dal 5-8%, mentre in
caso di scompenso sistolico è pari al 10-15%, ed è quattro volte maggiore rispetto ai
controlli sani di stesso genere ed età [1].
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La prognosi varia in relazione alla patologia sottostante difatti in caso di
disfunzione diastolica ma assenza di patologia coronarica la mortalità annua scende
al 2-3%. Altri determinanti della mortalità risultano essere l’età e la frazione di
eiezione.
La morbidità è piuttosto alta, praticamente identica a quella relativa allo scompenso
cardiaco sistolico, infatti il paziente affetto da scompenso diatolico sarà sottoposto a
frequenti visite, ammissioni in ospedale con spese significative in termini di risorse
del sistema sanitario: circa il 50% dei pazienti vengono riammessi in ospedale entro
un anno [1].
1.4. Trattamento
Il trattamento dello scompenso cardiaco diastolico può esser suddiviso in tre
passaggi fondamentali. In primis l’obiettivo è la riduzione dei sintomi
principalmente mirando a diminuire le pressioni venose polmonari a riposo e
durante l’esercizio fisico, attraverso presidi farmacologici e non. Il secondo
obiettivo è il trattamento della patologia di base allo scompenso quale patologia
coronarica, ipertensione arteriosa e stenosi aortica. Il terzo obiettivo è rappresentato
dal trattare i meccanismi alterati sottostanti alla patologia di base.
Lo step iniziale è quindi ridurre la congestione polmonare riducendo il volume del
ventricolo sinistro, mantenendo sincrona la contrazione atriale e incrementando la
durata della diastole riducendo la frequenza cardiaca.
Per ridurre il volume del ventricolo e quindi migliorarne la compliance possono
essere utilizzati diuretici o si può ricorrere a restrizione di fluidi e sodio;
alternativamente si possono usare nitrati agendo sulla volemia centrale o ace
inibitori, sartani e/o antagonisti dell’aldosterone per inibire il sistema renina-
angiotensina-aldosterone che invece favorisce la ritenzione idrica ed ha un effetto
diretto sulla genesi della disfunzione diastolica. I diuretici utilizzati dopo intervento
di cardiochirurgia prevengono l’insorgenza di edema polmonare e/o di congestione
epatica senza ridurre il cardiac output.
18
I β-bloccanti ed i calcio antagonisti possono essere parte dello schema terapeutico al
fine di impedire la tachicardia eccessiva o indurre bradicardia relativa, favorendo
così la tolleranza all’esercizio fisico [31][32][33][34].
Gli inotropi positivi non sono generalmente usati nello scompenso diastolico isolato
in quanto se la frazione di eiezione è preservata sono di poco beneficio. Inoltre
potrebbero addirittura peggiorare i processi che causano la disfunzione diastolica,
ma nel breve termine risultano di beneficio per il trattamento dell’edema polmonare
associato a disfunzione diastolica in quanto promuovono un rilasciamento più
rapido e completo del ventricolo, incrementano la perfusione splancnica, la capacità
venosa e la diuresi [35][36][37][38]. In ogni caso questi farmaci dovrebbero essere
usati con cautela poiché anche nel breve termine hanno effetti collaterali quali
tachicardia, aritmie e potenziale ischemia.
I risultati del Digitalis Investigation Group Trial [39] suggeriscono che i pazienti
con scompenso cardiaco diastolico e preservata frazione di eiezione vanno incontro
a una riduzione dei sintomi e del numero di ammissioni in ospedale se trattati con
digitale. In ogni caso non è stata ancora pubblicata un’analisi dettagliata di questi
dati, inoltre la digitale potrebbe indurre un aumento della richiesta energetica da
parte del miocardio in sistole e un overload di calcio in diastole. Tali effetti
potrebbero essere latenti e rivelarsi invece nocivi in caso di stress emodinamico o
ischemia, contribuendo ad un’eventuale disfunzione diastolica. Pertanto l’efficacia
della digitale resta poco chiara.
Gli inibitori delle fosfodiesterasi sembrano essere di grande beneficio in caso di
disfunzione diastolica agendo sia sul precarico che sul post-carico e potrebbero
essere usati in seguito ad intervento di cardiochirurgia [40]. Hanno il vantaggio di
migliorare sia la funzione diastolica che sistolica senza incrementare il consumo di
ossigeno miocardico. Allo stesso modo il levosimendan può essere utilizzato nella
gestione perioperatoria dello scompenso diastolico [41]: il suo principale effetto
consiste nell’aumentare il cardiac output e ridurre le pressioni polmonari. Inoltre
non aumenta il consumo di ossigeno miocardico, la concentrazione intracellulare di
calico e non ha effetti avversi sulla funzione diastolica.
19
2. DISFUNZIONE DIASTOLICA E
CARDIOCHIRURGIA
Nel setting della cardiochirurgia la prevalenza di disfunzione diastolica è
significativa, pari al 44-75%, ma vi sono tuttora notevoli controversie relative al suo
impatto sull’outcome chirurgico e all’eventuale trattamento da utilizzare. La
morbidità e mortalità risultano considerevomente aumentate [42][43][44] dalla
presenza di disfunzione diastolica, è stata associata a difficile svezzamento dalla
circolazione extracorporea e a maggior uso di inotropi. Il potenziale miglioramento
post-operatorio a cui si dovrebbe assistere in termini di funzione diastolica è invece
bilanciato dall’effetto dannoso dell’ischemia globale indotta dalla cardioplegia in
combinazione all’edema interstiziale miocardico, aggravato dall’ipotermia ed
eventuali disturbi metabolici [45][46]. Sono ancora pochi gli studi riguardo il
surgical outcome nel paziente cardiochirurgico con disfunzione diastolica ed inoltre,
la diagnosi pre ed intraoperatoria e le strategie terapeutiche per lo scompenso
diastolico non sono ancora chiare, pertanto la disfunzione diastolica può esser
paragonata ad un “cavallo di Troia” perioperatorio”.
Va tenuto presente che in seguito a by-pass aortocoronarico la disfunzione
diastolica sarà temporaneamente deteriorata (in genere si osserva riduzione
dell’onda E e aumento dell’onda A di flusso transmitralico) [47] e tale alterazione
sembra protendersi almeno per tre ore nel periodo post-operatorio [48][49]. Allo
stesso modo, Yamamoto et al. attraverso l’ecografia transtoracica mostrano che,
dopo by pass aortocoronarico, il paziente con precedente disfunzione diastolica va
incontro a riduzione dell’onda E transmitralica, aumento del deceleration time,
riduzione del rapporto E/A [50]. I meccanismi implicati sembrano essere radicali
liberi dell’ossigeno, alterata omeostasi del Calcio intracellulare o entrambi [51][52].
Un miglioramento temporaneo è stato invece dimostrato nel caso in cui fossero
somministrati calcioantagonisti, come il diltiazem, prima della chirurgia o aggiunti
alla cardioplegia [50][51][53][54].
20
In pazienti sottoposti a bypass off-pump (OPCAB), studi comparativi hanno
mostrato che la disfunzione diastolica è alterata nel post-operatorio ma in maniera
minore rispetto alla chirurgia convenzionale [55], altri studi non hanno invece
evidenziato differenze tra le due tecniche chirurgiche [50][56][57] e in tali studi il
deterioramento della funzione diastolica persiste fino ad un anno dalla chirurgia. In
contrasto, Shi et al., che hanno valutato l’evoluzione a breve e lungo termine della
performance diastolica biventricolare in 49 pazienti sottoposti a bypass
aortocoronarico hanno evidenziato che il deterioramento della funzione diastolica
postoperatorio ritorna ai livelli precedenti alla chirurgia nell’arco di sei mesi [58].
Altri studi invece riportano un miglioramento [59] oppure nessun cambiamento [46]
della funzione diastolica in seguito a by-pass cardiopolmonare (CPBP). Queste
differenze potrebbero essere spiegate dalle differenti tecniche di protezione
miocardica usate oppure semplicemente da una diversa interpretazione dei dati.
Secondo l’analisi multivariata di Bernard et al. [42] la disfunzione diastolica sinistra
è un buon indice predittivo di instabilità emodinamica postoperatoria e difficile
svezzamento dalla circolazione extracorporea in cardiochirurgia.
Deanault et al. [60] hanno sviluppato un algoritmo diagnostico applicato a 74
pazienti da sottoporre a cardiochirurgia, per determinare se la disfunzione diastolica
sinistra e/o destra di grado moderato-severo potessero predirre difficoltà nello
svezzamento dalla circolazione extracorporea. E’stato osservato che pazienti con
disfunzione sinistra moderata-severa tendevano ad avere valori di pressione di
incuneamento polmonare più alte rispetto ai pazienti con funzione diastolica
normale o disfunzione lieve. In caso di disfunzione destra moderata-severa sono
stati osservati valori inferiori di pressione arteriosa polmonare e di indice cardiaco.
Lo studio evidenzia che la disfunzione diastolica moderata-severa, sia destra che
sinistra, sono associate a difficile svezzamento dalla circolazione extracorporea.
In un recente studio è stata valutata la funzione diastolica in 905 pazienti sottoposti
a by-pass aorto-coronarico attraverso l’ecografia transesofagea, utilizzando
esclusivamente il flusso transmitralico ed i valori di doppler tissutale pulsato.
L’outcome primario è stata la valutazione di eventi cardiaci maggiori nel follow-up
a lungo termine in seguito a cardiochirurgia ovvero eventi cardiaci maggiori e morte
21
( da causa cardiaca e non). E’stato osservato che questo algoritmo ha consentito di
identificare i pazienti a maggior rischio di complicanze a lungo termine in seguito a
chirurgia cardiaca [61].
E’ possibile concludere dicendo che ad oggi sono ancora pochi gli studi che
valutano l’impatto specifico della disfunzione diastolica sul risultato della
cardiochirurgia. Senza dubbio la disfunzione diastolica con aumento delle pressioni
telediastoliche del ventricolo sinistro può predisporre ad un aumento della morbidità
e della mortalità post-operatoria. Inoltre è spesso associata a scompenso sistolico,
ipertrofia ventricolare sinistra o ipertensione polmonare.
Sebbene gli studi ad oggi eseguiti riportino un peggiore outcome chirurgico
associato a disfunzione diastolica, nessuno di questi suggerisce strategie
terapeutiche.
Da ciò risulta come una pronta individuazione della disfunzione diastolica nei
pazienti che devono essere sottoposti ad interventi di cardiochirurgia ed un
successivo trattamento adeguato sia essenziale.
2.1. Valutazione e classificazione
Il gold standard per la valutazione della funzione ventricolare è il cateterismo
cardiaco: quando focalizzato sulla valutazione della funzione diastolica, permette la
valutazione quantitativa della curva pressione-volume ventricolare sinistra durante
tutto il ciclo cardiaco. Questa metodica si avvale di un micromanometro introdotto
nelle cavità cardiache [62]. Tra i vari parametri emodinamici, quelli migliori per
descrivere le proprietà di rilasciamento del ventricolo sono: τ (tau), la costante di
declino della pressione ventricolare in funzione del tempo, che corrisponde,
approssimativamente, al tempo impiegato dalla pressione ventricolare a scendere di
due terzi del suo valore iniziale e il rapporto dP/dT, espressione del rilasciamento
del miocardio ventricolare sinistro alla fine della diastole [19]. Quando si verifica
un deterioramento della funzione diastolica, si assiste ad un allungamento del
periodo di rilasciamento con incremento di τ.
Un’altra metodica, modicamente invasiva di studio della funzione diastolica è
22
l’angiografia con radionuclidi: essa fornisce una stima del rilasciamento
miocardico, tramite il normalized filling peak rate, indice derivato dalla curva
dell’attività del ventricolo sinistro, permettendo dunque di valutare l’andamento
dell’attività del muscolo cardiaco in funzione del tempo, correlandolo con
l’andamento del volume ventricolare sinistro e con i suoi cambiamenti durante il
ciclo cardiaco. Tale parametro permetterebbe quindi lo studio del riempimento
ventricolare, e, di conseguenza, della funzione diastolica, ma non sarebbe il metodo
di scelta in quanto non solo non provvede ad una stima effettiva della pressione
telediastolica, o della rigidità della parete miocardica, ma è anche fortemente
influenzato dal precarico [63].
La risonanza magnetica nucleare fornisce non solo dati anatomici, ma al tempo
stesso, informazioni funzionali sul cuore, comprese quelle sulla funzione diastolica.
Tuttavia, tra le metodiche non invasive di valutazione della morfologia e della
funzionalità cardiaca, l’ecocardiografia è quella usata su più larga scala, grazie alla
sua relativa semplicità e ripetibilità, alla maggiore accuratezza nell’identificare
eventuali anomalie, al basso costo e al non utilizzo di radiazioni ionizzanti.
Quest’indagine ci consente di ottenere, in modo relativamente rapido e non invasivo
una serie di indici in grado di identificare e classificare i vari gradi di disfunzione
diastolica del ventricolo sinistro.
La valutazione ecocardiografica della funzione diastolica si avvale tradizionalmente
dell’analisi comparata dei flussi in entrata a livello dell’atrio sinistro (Doppler
venoso polmonare) e del ventricolo sinistro (Doppler transmitralico). Più
recentemente, un contributo determinante è stato dato dall’introduzione dell’analisi
Doppler tissutale e dalla valutazione color M-mode. Pertanto le misure Doppler
forniscono informazioni importanti sulla dinamica del riempimento e sulle proprietà
diastoliche del ventricolo sinistro.
23
2.2. Analisi del flusso trans mitralico
Il metodo standard di cui si avvale la stima ecocardiografica della funzione
diastolica è il profilo Doppler del flusso transmitralico, (transmitral pulsed wave
Doppler flow velocities (PW) ) che ha dimostrato di possedere una buona
correlazione con la costante di rilasciamento τ [64].
Posizionando il volume campione del Doppler pulsato all’apice dei lembi valvolari
in apertura, vengono registrate, nei pazienti in ritmo sinusale, l’onda protodiastolica
di riempimento rapido (E) ed l’onda secondaria alla contrazione atriale (A), in modo
da valutare il riempimento del ventricolo sinistro (Figura 4 e Figura 5). Tale
misurazione viene effettuata in proiezione 4 camere e ci consente di ottenere
eccellenti risultati nella gran parte dei pazienti.
Vengono così individuati due picchi di flusso definiti E e A [65].
Figura 4: Doppler pulsato del flusso trans mitralico
L’onda E, rappresenta la velocità massima raggiunta durante la fase di riempimento
rapido ed è determinata dalla differenza di pressione tra atrio e ventricolo sinistro
subito dopo l’apertura della valvola mitrale. Il picco dipende dalla pressione atriale
24
sinistra all’apertura della mitrale, dal precarico, dalla compliance del ventricolo e
dal rilasciamento ventricolare attivo. Raggiunto il picco di velocità, l’onda E ritorna
progressivamente verso la linea di base in un tempo definito “Deceleration E-Time”
(DET), influenzato dalla velocità di incremento della pressione protodiastolica
endoventricolare. Il DET si riduce proporzionalmente all’aumento della pressione
ventricolare. Tale valore è quindi in funzione della compliance ventricolare sinistra,
e pur se influenzato dal rilasciamento ventricolare attivo, mostra un ottimo grado di
correlazione con i valori di pressione media in atrio sinistro [66][67].
L’onda A è quella secondaria alla contrazione atriale. Tale onda riflette il precarico,
la forza di contrazione atriale e le proprietà elastiche del ventricolo sinistro e
dell’atrio sinistro alla fine della diastole [68]. L'area al disotto del picco rappresenta
l'integrale della velocità del flusso transmitralico nella fase di contrazione atriale.
Figura 5: Rappresentazione grafica schematica delle velocità di riempimento diastolico
Doppler ventricolare sinistro. Vengono anche riportati i valori normali di alcuni indici ricavabili
dal tracciato Doppler transmitralico e dal fonocardiogramma. AVC=Tono di chiusura della
valvola aortica; IVR= Tempo di rilasciamento isovolumetrico; MVO= Apertura della mitrale; AT=
Tempo di accelerazione; DT= Tempo di decelerazione; E = Velocità massima di riempimento
protodiastolico; A = Velocità massima di riempimento telediastolico. Da Scheperd e Coll:
Hypertension and left ventricular diastolic function. Mayo Clin Proe 1989; 64: 1521-32
Il rapporto dei picchi di velocità E/A è stato tra i primi indici doppler utilizzati per
la valutazione della funzione diastolica, considerando che nei soggetti giovani e sani
il valore normale del rapporto E/A è pari a 1.5. Un altro parametro da valutare è il
25
tempo di rilasciamento isovolumetrico (IVRT), che è l’intervallo compreso tra la
chiusura della valvola aortica (fine del flusso aortico) e l’apertura della valvola
mitrale (inizio del flusso trans mitralico): è una misura indiretta della velocità di
rilasciamento del ventricolo sinistro ed è uno degli indici più sensibili di alterata
funzione diastolica, anche se la frequenza cardiaca ed il post-carico possono
modificarlo [69][70].
Vengono inoltre calcolati gli integrali velocità-tempo (TVI) delle velocità E ed A e
della diastole totale, da cui si può calcolare la frazione di riempimento atriale (AFF
= TVI A/TVI diastole totale x 100) che esprime, in percentuale, il contributo atriale
al riempimento ventricolare e in condizioni di normalità ha valori < 32% [71].
In caso di disfunzione diastolica di grado lieve (I, II), la frazione di riempimento
sarà aumentata per il meccanismo compensatorio in fase di contrazione atriale per
garantire un riempimento ventricolare adeguato [65].
In base ai valori di flusso transmitralico è possibile distinguere diversi pattern di
disfunzione diastolica (Figura 6) [72].
1) Impaired relaxation o alterato rilasciamento: in tal caso l’IVRT è prolungato
e l’apertura della mitrale leggermente ritardata, la pressione all’interno del
ventricolo sinistro in diastole è mantenuta più a lungo del normale pertanto il
gradiente transmitralico è ridotto. Osserveremo dunque un’onda E prolungata
ma di velocità inferiore, con allungamento del tempo di decelerazione DET>
200-220ms e prolungamento del tempo di rilasciamento isovolumetrico IVRT>
100 ms. Il rilasciamento attivo del ventricolo si completa nella parte tardiva
della diastole per cui il contributo della contrazione atriale sarà maggiore (onda
A di velocità maggiore) con riduzione del rapporto E/A, tipicamente inferiore ad
1. Tale pattern è tipico nella popolazione tra i 50 e i 60 anni.
2)Pseudonormale: Inizialmente il paziente con disfunzione diastolica avrà un
alterato rilasciamento ventricolare e pressione atriale normale, ma col procedere
della patologia la pressione atriale tende a salire. Ciò determina una più precoce
apertura della valvola mitrale con accorciamento dell’IVRT. Il gradiente quindi per
26
il riempimento precoce è maggiore con aumento del valore di velocità dell’onda E e
del E wave VTI. D’altro canto questo incremento di pressione nel ventricolo induce
una riduzione del deceleration time e della onda A. Si può dire che questi
cambiamenti servono a minimizzare l’effetto della disfunzione diastolica sul pattern
transmitralico e a farlo apparire simile alla norma (da cui pseudonormale). I pazienti
con pattern pseudonormale solitamente non presentano alterazioni ma se viene
eseguita una manovra di Valsalva, che aumenta la pressione intratoracica con
riduzione del ritorno venoso al cuore, il rapporto E/A raggiunge valori inferiori a
0.5.
3)Restrittivo: col progredire della patologia si osserva una riduzione della
compliance ventricolare ed atriale ed un aumento della pressione in atrio sinistro.
Siamo giunti allo stadio più avanzato di scompenso diastolico. In tal caso durante la
fase di riempimento rapido l’elevata pressione in atrio sinistro induce un aumento
del gradiente pressorio transmitralico e dunque un rapido incremento nella velocità
dell’onda E, aumentando sia il valore di E che di E wave VTI. Nella fase successiva
della diastole la ridotta compliance ventricolare determina un rapido incremento
pressorio durante il suo riempimento: pertanto si osserva una riduzione del
deceleration time, dell’onda A e del A wave VTI. In genere il rapporto E/A è
maggiore di 2.
Tabella 1: Classificazione della funzione diastolica in base al flusso transmitralico
Parametro Normale Alterato rilasciamento Pseudonormale Restrittivo
E/A >1 <1 >1,5 >1,5
DTms 150-200 >200 <150 <150
IVRT 50-100 >100 50-100 <50
S/D 1,3-1,5 1,6-2,0 <1 0,4-0,6
AFF <32 % >32% - -
AR <3,5 cm sec - >3,5 cm sec >3,5 cm sec
27
Figura 6: Pattern di flusso diastolico transmitralico e variazioni indotte da modificazioni del
precarico: in relazione alle pressioni di riempimento ilpattern di flusso transmitralico viene
definito: normale, da alterato rilasciamento, pseudonormale e restrittivo. Con la riduzione del
precarico (manovra di Valsalva o nitroderivati) è possibile distinguere un pattern normale (non
variazione) da uno pseudonormale (viraggio verso un pattern di alterato rilasciamento) nonché
identificare un pattern restrittivo irreversibile. Con l’aumento del precarico (sollevamento passivo
degli arti inferiori o infusione di soluione salina) e’ possibile svelare la perdita della riserva di
precarico in un paziente con pattern da alterato rilasciamento.E = onda protodiastolica di
riempimento rapido, DET = tempo di decelerazione dell’onda E, A = onda di flusso
Il flusso transmitralico è influenzato non solo dalle proprietà diastoliche, ma anche
da altri fattori, quali il precarico e il postcarico, la geometria dell’orifizio valvolare,
e soprattutto dall’età e dalla frequenza cardiaca. In considerazione dei molteplici
fattori che possono influenzare il pattern transmitralico, è stato proposto di integrare
i parametri da esso forniti con quelli derivanti dalla valutazione del flusso venoso
polmonare e con il Doppler tissutale e color M-mode.
28
2.3. Studio del flusso venoso polmonare
L’analisi delle curve di flusso delle vene polmonari può fornire importanti
informazioni per meglio interpretare i diversi tipi di pattern diastolico. In
ecocardiografia transesofagea viene registrato il flusso della vena polmonare
superiore destra utilizzando la proiezione apicale 4 camere, è possibile in una
percentuale variabile di pazienti a causa di difficoltà tecniche. In un soggetto
normale si registrano 4 componenti: le due sistoliche, una prima onda sistolica (S1),
una seconda onda sistolica (S2), un’onda protodiastolica (D) e un’onda retrograda
secondaria alla contrazione atriale (AR) [73]. Spesso S1 e S2 sono indistinguibili tra
loro, si fondono e la velocità della prima non è visualizzabile nel 70% dei pazienti
ed il classico pattern risulta S-D-AR (Figura 7).
Figura 7: Doppler pulsato del flusso venoso polmonare
L’onda S rappresenta il flusso nell’atrio sinistro durante la sistole ventricolare ed è
espressione del rilasciamento atriale e dell’effetto suzione che si viene a creare
mentre il cuore si contrae. E’ influenzata da numerose componenti: compliance
dell’atrio sinistro, rilasciamento atriale, pressione atriale media, dislocamento
29
sistolico dell’anulus mitralico verso l’apice, funzione del ventricolo destro,
eventuale presenza di rigurgito mitralico [74].
Il flusso diastolico (D) si verifica quando, all’apertura della mitrale, si è determinato
un condotto unico tra vene polmonari, atrio e ventricolo sinistro, ed è influenzato
dagli stessi fattori che modificano l’onda E del pattern mitralico quali il
rilasciamento e la compliance del ventricolo sinistro. Essa è difatti correlata al
crollo della pressione atriale secondaria al riempimento ventricolare che promuove
il flusso nelle vene polmonari [72].
L’onda Ar è condizionata dalle pressioni nel ventricolo sinistro a fine diastole, dal
riempimento e dalla contrattilità atriale.
Oltre ai parametri descritti è utile valutare il rapporto S/D, la frazione di
riempimento sistolico, la durata dell’onda Ar e la differenza tra la durata dell’onda
Ar.
In caso di alterato rilasciamento la caratteristica principale del flusso venoso
polmonare è una riduzione dell’onda D, perché come già detto, essa riflette l’onda E
transmitralica, l’onda S è aumentata e il rapporto S/D è maggiore di 1.
Nel caso di pattern pseudonormale e restrittivo si osserva un progressivo
incremento dell’onda D in parallelo con l’incremento della pressione in atrio
sinistro e della velocità dell’onda E. Il rapporto S/D è inferiore ad 1 e l’onda Ar sarà
di velocità e durata maggiore, così come aumenta la differenza tra durata di Ar e
dell’onda A.
I valori di flusso transpolmonare sono influenzati dall’età: i soggetti sani con età
inferiore di 40 anni hanno in genere prominenti onde D che rilettono l’onda E
transmitralica. Con l’aumentare dell’età invece aumenta il rapporto S/D e la velocità
dell’onda Ar, senza eccedere i 35 cm/s: pertanto valori maggiori indicano un
aumento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro.
Il flusso venoso transpolmonare si è dimostrato poco accurato in caso di frazione di
eiezione >50%, fibrillazione atriale, patologia mitralica e cardiomiopatia ipertrofica.
Invece la differenza tra la durata di Ar-A risulta molto utile perché indipendente
dall’età e in quanto indica un aumento della pressione ventricolare di fine diastole in
pazienti con pressione dell’atrio sinistro normale. Risulta inoltre accurata in pazienti
30
con normale EF, patologia mitralica e cardiomiopatia ipertrofica. E’ possibile
affermare che un valore >30 ms indica un aumento della pressione ventricolare
telediastolica.
In ogni caso, a differenza dello studio del flusso transmitralico, ad oggi il ruolo
prognostico del flusso polmonare resta da chiarire.
2.4. Color M-mode
La metodica chiamata M-mode color Doppler (o flow propagation velocity) è una
tecnica Doppler in cui le velocità medie di flusso sono ricodificate attraverso scale
di colore e rappresentate nel tempo (secondo l’asse orizzontale) e nello spazio
(profondità sull’asse delle ordinate). In questo caso, dal punto di vista tecnico deve
essere prestata attenzione nel posizionare l’asse del color M-mode al centro della
valvola mitralica e il più possibile parallelo al flusso afferente (accettabile uno
scarto ≤20% nell’allineamento) [75]. In base alla mappa digitalizzata (in post-
processing) così determinata, ciascun pixel acquisito potrebbe essere identificato in
base a coordinate quali velocità, spazio e tempo: è stato dimostrato come tali
informazioni presentino una stretta correlazione con il gradiente intraventricolare
[76].
Durante il riempimento rapido una serie consecutive di gradienti pressori
intracavitari si realizza dalla base all’apice del ventricolo sinistro determinando una
progressive propagazione del flusso dall’anello mitralico verso la punta. Similmente
al flusso transmitralico sarà possibile osservare due onde di riempimento
ventricolare: un’onda precoce (early wave) ed un’onda di riempimento legata alla
sistole atriale. L’attenzione è rivolta per lo più all’onda E in quanto questa varia
notevolmente in caso di alterazioni del rilasciamento ventricolare.
In pratica verrà misurata la velocità di propagazione del flusso di sangue nel
ventricolo, data dalla pendenza (slope) del bordo esterno del colore della velocità
protodiastolica, a circa 4 cm al di sotto del piano valvolare mitralico: velocità di
propagazione (Vp). Il suo valore normale è > 50 cm/sec e si riduce in caso di
31
disfunzione diastolica. Nel ventricolo normale il riempimento rapido si propaga
rapidamente dalla base verso l’apice guidato da un gradiente pressorio. Nello
scompenso cardiaco e nell’ischemia miocardica vi è un rallentamento della
propagazione del flusso, coerentemente con la riduzione di tale effetto suzione.
Kidawa et al. [77] hanno messo a confronto Doppler tissutale e color M-mode in
pazienti sottoposti a misurazione invasiva della pressione intraventricolare,
dimostrando un’ottima concordanza delle due metodiche nella sua stima, in pazienti
con compromissione della funzione sistolica (frazione di eiezione <50%). Altri
studi hanno confermato come la velocità di propagazione del flusso transmitralico
precoce diastolico nella cavità ventricolare sinistra sia strettamente correlato al
valore di τ e sia scarsamente influenzato da piccole alterazioni della pressione
atriale sinistra e dalla frequenza cardiaca, al contrario degli indici Doppler
transmitralici [78].
In studi effettuati sia sull’animale sia sull’uomo, il color M-mode ha dimostrato di
essere un parametro indipendente dal precarico [74]. Si tratta dunque di una
metodica utile nella pratica clinica per discriminare tra pattern di flusso diastolico
normali e “pseudonormalizzati”, al pari del Doppler tissutale [79].
E’possibile inoltre usare il rapporto E/Vp in quanto diversi studi clinici hanno
dimostrato che è direttamente proporzionale alla pressione atriale sinistra e quindi
può essere usato per la valutazione delle pressioni di riempimento sinistro, da solo o
associato all’IVRT. In genere un E/Vp ≥2.5 indica un valore di pressione di
incuneamento polmonare >15 mm con accuratezza.
Nella pratica clinica la valutazione e la successive interpretazione della Vp è
complicate dalla moltitudine di variabili che condizionano il flusso
intraventricolare, pertanto l’applicazione di questa metodica ha notevoli limitazioni
tecniche.
32
Figura 8: Color M-mode Vp
2.5. Il Doppler tissutale dell’anello mitralico
Il Doppler tissutale è una recente applicazione ecocardiografica con la quale viene
valutata la velocità di movimento della parete miocardica: per lo studio della
funzione diastolica si misura, convenzionalmente, la velocità di spostamento del
miocardio a livello dell’anulus mitralico [68] sia sul versante laterale, sia su quello
settale. Infatti con il progredire del riempimento diastolico, la camera ventricolare
sinistra si allunga dalla base all’apice espandendosi sia in direzione radiale che
circonferenziale. La velocità dell’allungamento miocardico longitudinale in diastole
può essere misurato usando il Doppler Pulsato con la scala di velocità, guadagno e
filtri aggiustati per rappresentare la velocità del movimento del miocardio piuttosto
che le velocità del flusso sanguigno intracavitario (Figura 9). La scala della velocità
è diminuita fino a comprendere un range di soli 0,2 m/s, il guadagno (gain) è
portato a livelli estremamente bassi e i filtri di parete sono ridotti fino ad ottenere un
ben definito segnale con chiari picchi E’ e A’.
33
Il segnale così ottenuto, mostra, sinteticamente, tre diverse componenti: un picco
sistolico Sm, e due diastolici, di polarità opposta (Em e Am), rispettivamente
durante la fase precoce e tardiva della diastole. Em o E’ ha una normale velocità tra
0,10 e 0,14 m/s ed il normale rapporto E’/A’ è> 1.0.
Figura 9: Doppler tissutale a livello dell’anulus mitralico
Un’importante misura risulta essere il rapporto tra velocità di flusso trans mitralico
e velocità tissutali (E/E’). Il razionale di questa misura è che la velocità di flusso
transmitralico (E) riflette sia il gradiente di pressione tra atrio e ventricolo che
l’ammontare totale di sangue che entra nel ventricolo in diastole, quindi è un
parametro molto accurato in grado di predire la pressione di riempimento
ventricolare sinistro [80]. Al contrario, la velocità doppler tissutale riflette solo
l’ammontare di sangue che entra nel ventricolo per cui questo rapporto normalizza
la velocità E per la quota di volume di flusso, provvedendo alla misura delle
pressioni di riempimento.
E’ stato suggerito che Em, registrato a livello della base cardiaca, sia un parametro
relativamente indipendente dal precarico rispetto all’onda E registrata durante il
flusso transmitralico: studi effettuati su pazienti con un alterato rilasciamento
diastolico hanno dimostrato che l’aumento del precarico ottenuto con l’infusione di
34
soluzione salina induce una pseudonormalizzazione del pattern di flusso
transmitralico, ma lascia inalterato il valore della velocità del picco Em e del
rapporto Em/Am. Nello stesso gruppo di pazienti è stata anche messo in evidenza
una correlazione lineare tra performance diastolica del miocardio e parametri
rilevati al Doppler tissutale migliore rispetto a quella che si osserva con i parametri
transmitralici [81].
Una variabile fisiologica in grado di influenzare significativamente il Doppler
tissutale è rappresentata dall’età: un recente studio condotto su pazienti ipertesi con
o senza ipertrofia ventricolare sinistra, confrontati con un gruppo di controllo, ha
messo in evidenza come l’età apparisse il maggiore determinante della velocità
dell’onda Em laterale e del rapporto E/Em, suggerendo la necessità, in tutti i
pazienti, di valori di normalità corretti per l’età [82]. L’età riduce il valore di Em
mentre aumenta Am ed il rapporto E/Em. È stato comunque dimostrato che un
rapporto E/Em settale >15 individua, con buona sensibilità e specificità, pressioni
capillari polmonari >15 mmHg ed è quindi stato ampiamente usato come criterio
per la determinazione della funzione diastolica e la stima delle pressioni di
riempimento ventricolare sinistro [83]. Tuttavia, nonostante un rapporto E/E’ molto
alto (>15) sia specifico per un’elevata pressione di riempimento, questo rapporto
non è molto sensibile e molti pazienti con elevate pressioni di riempimento hanno
un rapporto compreso tra 8 e 15.
L’analisi comparata del flusso transmitralico e le informazioni derivanti dal Doppler
tissutale rappresentano un utile strumento per la valutazione delle pressioni di
riempimento ventricolare: la riduzione del tempo di decelerazione e l’incremento
del rapporto E/A si osservano in corrispondenza di un incremento delle pressioni
atriali, in pazienti con una compromissione della funzione sistolica [84].
In pazienti con normale funzione sistolica (frazione di eiezione ≥50%) i parametri
Doppler transmitralici non correlano in modo preciso con le pressioni di
riempimento ventricolare [85] mentre è di estrema importanza l’utilizzo del
rapporto E/Em, parametro in grado di predire in modo accurate la pressione di
riempimento ventricolare sinistro [80] di riconosciuto valore prognostico in una
36
Figura 12: Pattern di grado III
I vari gradi di disfunzione diastolica sono stati associate inoltre alla classificazione
NYHA dell'insufficienza cardiaca [86]. Da ciò si evidenzia come la progressione
della malattia diastolica che può essere sottostante ad altre patologie sistemiche
possa non solo inficiare la funzione diastolica ma comportare, nei casi più gravi
anche una compromissione della funzione sistolica con insorgenza di insufficienza
cardiaca.
2.6. Classificazione della disfunzione diastolica
Attualmente, secondo le più recenti linee guida sulla valutazione ecografica della
disfunzione diastolica [87] è possibile classificare la disfunzione diastolica in: lieve
o grado I (pattern da alterato rilasciamento), moderata o grado II (pattern
pseudonormale) e severa o grado III (pattern restrittivo). Questo schema si è rivelato
un importante indicatore di mortalità in un vasto studio epidemiologico [12]. Anche
in pazienti asintomatici, ma con grado I di disfunzione, si è osservato un tasso di
mortalità 5 volte più alto rispetto a pazienti con funzione diastolica normale..In
pazienti con disfunzione lieve (grado I) il rapporto E/A è <0.8, il DT>200ms,
IVRT≥100ms, S/D>1, Em settale<8cm/s e infine E/Em (sia settale che laterale) è
37
<8. Questi pazienti si caratterizzano per una ridotta riserva diastolica che può essere
slatentizzata in condizioni di stress.
In pazienti con disfunzione moderata (grado II) il rapporto E/A è 0.8-1.5, e si
riduce del 50% in caso di manovra di Valsalva, il rapporto E/Em (valore medio) è
9-12, Em settale è <8cm/s, Ar>30cm/s e S/D<1. In alcuni casi l’unico valore che
può risultare alterato è la pressione telediastolica ventricolare (la pressione atriale
sinistra è normale) evidenziabile dal parametro durata di Ar-durata di A≥30ms. La
disfunzione moderata è una condizione di alterato rilasciamento con incremento
moderato delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro.
Nel caso di disfunzione severe (grado III) il rapporto E/A è ≥2, il DT<160ms,
IVRT≤60ms, la frazione di riempimento sistolico è≤40% e infine E/Em (valore
medio) è >13. In alcuni casi (grado III A) il riempimento ventricolare può
convertire questa condizione ad un grado II, altrimenti lasciarla invariata (grado III
B).
Figura 13: Schema per la classificazione della disfunzione diastolica
38
3. STUDIO CLINICO
3.1. Metodi
Nel presente studio abbiamo valutato prospetticamente 37 pazienti sottoposti ad
intervento di cardiochirurgia elettiva (by-pass aorto-coronarico, chirurgia
valvolare, chirurgia combinata e trattamento chirurgico delle cardiopatie
congenite nell’adulto) presso il dipartimento di Chirurgia Cardiotoracica del
“The Heart Hospital”, nel periodo compreso tra Giugno 2013 e Marzo 2014.
Abbiamo analizzato i dati anamnestici preoperatori di ogni singolo paziente con
particolare attenzione ai fattori di rischio rilevanti in termini di disfunzione
diastolica. Pertanto sono state riportate e analizzate le seguenti variabili
preoperatorie: età, sesso, diabete, stenosi aortica, insufficienza renale, ipertrofia
del ventricolo sinistro, patologia coronarica.
La gestione anestesiologica è stata la seguente: monitoraggio attraverso
elettrocardiografia, pulsossimetria, capnografia e pressione invasiva tramite
catetere arterioso radiale. L’induzione è stata eseguita in tutti i pazienti con una
combinazione di fentanyl con propofol ed isofluorano. Dopo l’induzione, una
sonda ecografica multiplane (Sonos 1500, Omniplane 3.5-5 MHz) è stata
introdotta, con l’uso di laringoscopia dove necessario, al fine di ottenere la
sequenza di immagini necessarie per valutare la funzione sistolica e diastolica
del ventricolo sinistro prima della chirurgia. Le immagini sono state registrate in
condizioni di stabilità emodinamica, prima della pericardiotomia. La funzione
sistolica è stata valutata attraverso il metodo di Simpson biplano utilizzando la
proiezione 4 camere apicale e 2 camere apicale.
Abbiamo così classificato questo parametro:
Funzione sistolica normale: FE> 55%
Grado I, lievemente depressa: FE 45-55%,
Grado II, moderatamente depressa: FE 35-45%,
Grado III, severamente depressa: FE<35%
39
La funzione diastolica invece è stata analizzata e classificata secondo le
“Recommendations for the evaluation of left ventricular diastolic function by
echocardiography” [87]. E’stato quindi analizzato il flusso transmitralico e le
variabili registrate sono state le seguenti: onda E, onda A, rapporto E/A,
deceleration time. Successivamente è stato analizzato il flusso venoso
polmonare: onda S, D, Ar, S/D. E’ stato inoltre analizzato il doppler tissutale a
livello dell’anello mitralico sia sul versante settale che laterale. Abbiamo
riportato i valori di Em, Am, E/Em di ciascun paziente.
Sono stati poi presi in considerazione e registrati i seguenti dati: tipo di
intervento, tempo di by-pass cardiopolmonare (CPBP time, in minuti), tempo di
cross-clamp aortico (Cx clamp time, in minuti), uso di inotropi durante CPBP
e/o all’uscita dal CPBP fino a 12 ore dall’intervento, tempo di ventilazione
meccanica in terapia intensiva (in giorni), tempo di permanenza in terapia
intensiva (in giorni).
Ricordo che si definisce difficile lo svezzamento dal CPBP, la condizione in cui
la pressione arteriosa sistolica è <80mm Hg e la diastolica >15mm Hg durante la
progressiva uscita da CPBP richiedente appunto l’uso di inotropi o di supporto
meccanico [88] o comunque una condizione di instabilità emodinamica che
richiede il ripristino del CPBP o l’introduzione di contropulsatore aortico.
Nessuno dei pazienti coinvolti in questo studio ha richiesto supporto meccanico,
ripristino del CPBP o contropulsatore aortico, pertanto l’uso di inotropi nelle
prime 12 h dalla chirurgia è stato considerato un parametro indicativo per quanto
riguarda il difficile svezzamento dal CPBP.
Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti adulti > 18 anni sottoposti a
cardiochirurgia in elezione, in grado di firmare il consenso scritto alla
partecipazione allo studio. Successivamente sono stati eliminati dallo studio i
pazienti in cui non è stato possibile per motivi di diversa natura lo studio
completo della funzione sistolica e diastolica secondo i criteri su detti, attraverso
ecografia transesofagea intraoperatoria. Ha costituito invece criterio di
40
esclusione preliminare la controindicazione all’esecuzione dell’ecografia
transesofagea.
3.2. Analisi statistica
Il campione è costituito da 37 soggetti con età media e deviazione standard pari
a 64±13 anni. Il 27% dei pazienti è di genere femminile, il 73% di genere
maschile. In questi pazienti l’intervento chirurgico è stato by-pass
aortocoronarico (23), chirurgia valvolare aortica e/o mitralica (8), intervento di
Bentall (2), chirurgia combinata valvolare+by-pass aortocoronarico (2),
chirurgia correttiva in pazienti adulti con cardiopatie congenite (2).
I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: gruppo A, pazienti con funzione
diastolica normale e gruppo B, pazienti con disfunzione diastolica ( grado I, II,
III).
I dati categorici sono presentati in percentuale e quelli continui in valori medi ±
deviazione standard (SD). L’omogeneità e la differenza in relazione alle diverse
variabili cliniche analizzate tra i 2 gruppi è stata valutata utilizzando il test t per
le variabili continue e il χ2 test per le variabili categoriche rispettivamente,
considerando statisticamente significativo un valore di P < 0.05 (Tabella 2) .
Gruppo A Gruppo B Significatività
Età 60 ± 12 66 ± 13 0,17
Genere femminile 8% 36% 0,08
Insufficienza renale 0 17% 0,15
Diabete 27% 37,5% 0,56
Ipertensione 73% 92% 0,13
Stenosi aorta 9% 32% 0,14
Ipertrofia LV 8% 20% 0,37
Patologia coronarica 67% 76% 0,54
FE 64 ± 7 58 ± 14 0,64
CPBP 98 ± 44 103 ± 48 0,89
CXCT 65 ± 30 73 ± 50 0,53
41
Gruppo A Gruppo B Significatività
Inotropi 25% 44% 0,26
UTI 2,0 ± 0,7 5,8 ± 15,1 0,10
Ventilazione 17% 36% 0,09
Tabella 2: Confronto tra pazienti con funzione diastolica normale (gruppo A) e disfunzione
diastolica (gruppo B). Ipertrofia LV: ipertrofia del ventricolo sinistro; FE: frazione di eiezione;
CPBP: durata del bybass cardiopolmonare; CXCT: tempo di cross-clamp aortico; UTI: giorni di
degenza in terapia intensiva; Ventilazione: giorni di ventilazione meccanica
I pazienti con DD sono 25 (67%), di questi 4 presentano disfunzione di grado III
(16%), 12 disfunzione di grado II (48%) e 9 di grado I (36%). In questo gruppo
(gruppo B) l’età media è di 66±13 anni, il 36% sono di sesso femminile, il 64%
di sesso maschile. Nel 17% di questi pazienti è presente insufficienza renale
preoperatoria, nel 37,5% diabete mellito, nel 92% ipertensione arteriosa, nel
32% stenosi aortica, nel 20% ipertrofia del ventricolo sinistro, nel 76% patologia
coronarica. La FE è del 58±14%. La durata rispettivamente del bypass
cardiopolmonare e del cross-clamp aortico è stata 103±48 minuti e 73±50
minuti. L’uso di inotropi allo svezzamento dalla CEC fino a 12 ore
dall’intervento è stato necessario nel 44% dei pazienti. Il periodo di degenza in
ITU è di 5.8±15.1 giorni. La percentuale di pazienti che non sono stati estubati il
giorno stesso dell’operazione è stata del 36%.
Nel gruppo di pazienti con funzione diastolica normale (gruppo A) l’età è di
60±12 anni, con una percentuale di pazienti di sesso femminile dell’8% e
maschile del 92%. Riguardo le comorbidità preoperatorie non è presente
insufficienza renale, si riscontra invece diabete mellito nel 27% dei casi,
ipertensione arteriosa nel 73% dei casi, nel 9% dei casi stenosi aortica, nell’8%
ipertrofia del ventricolo sinistro e nel 67% patologia coronarica. La FE è del
64±7%. La durata rispettivamente del bypass cardiopolmonare e del cross-clamp
aortico è stata 98±44 minuti e 65±30 minuti. L’uso di inotropi allo svezzamento
dalla CEC fino a 12 ore dall’intervento è stato necessario nel 25% dei pazienti. Il
periodo di degenza in ITU è di 2±7 giorni. La percentuale di pazienti che non
sono stati estubati il giorno stesso dell’operazione è stata del 17%.
42
Non vi sono differenze statisticamente significative nell’analisi di questi
parametri tra i pazienti con DD e i pazienti con funzione diastolica normale, i
due gruppi sono risultati quindi omogenei relativamente alle variabili
considerate.
L’outcome primario dello studio è stato valutare se la presenza di disfunzione
diastolica preoperatoria fosse associata ad una maggiore richiesta di inotropi al
momento della separazione dal CPBP fino a 12h dall’intervento e quindi potesse
predirre difficoltà nello svezzamento dal CPBP.
Sono stati inoltre assunti due ulteriori endpoints al fine di valutare l’influenza
della disfunzione diastolica sull’outcome chirurgico: il tempo di permanenza in
UTI e i giorni di ventilazione meccanica in UTI. Abbiamo infine valutato se altri
fattori quali l’età, il sesso, il tipo di intervento, la funzione sistolica
preoperatoria, il CPBP time, il Cx clamp time, condizionino a loro volta gli end-
points. Difatti dalla letteratura si evince che i principali fattori che possono
predirre un difficile svezzamento dalla CEC e richiesta di inotropi sono appunto
la funzione sistolica preoperatoria, l’età, il sesso femminile, la durata del CPBP
e del cross-clamp aortico e la dilatazione cardiaca [89].
I dati sono stati elaborati con un'analisi multivariata della varianza, utilizzando un
modello lineare generalizzato che assume come variabili dipendenti gli end-points e
come variabili indipendenti la disfunzione diastolica preoperatoria e gli altri fattori
di presi in esame (software SPSS). Un valore di P<0.05 è stato considerato
statisticamente significativo.
I risultati dell'analisi (Tabella 3) mostrano come la disfunzione diastolica
preoperatoria sia associata ad un tempo di ventilazione meccanica in ITU maggiore
(P: 0.011) e, ai limiti della significatività, ad un tempo più lungo di degenza in
terapia intensive (P: 0.056). Non si osserva, invece, una correlazione statisticamente
significativa tra DD e maggior uso di inotropi e quindi la DD non risulta essere un
indice di difficile svezzamento dal CPBP in questo studio (P: 0,4).
Per quanto riguarda gli altri fattori considerati, si evidenzia una associazione
statisticamente significativa tra un minore valore percentuale di EF ed un maggior
43
uso di inotropi al momento dello svezzamento dalla CEC fino a 12h dall’intervento
(P 0.001). Pertanto coerentemente con la letteratura la disfunzione sistolica si è
rivelata un indice di difficile svezzamento dal CPBP. Inoltre è stata riscontrata una
correlazione statisticamente significativa tra la disfunzione sistolica sia con il tempo
di degenza in terapia intensiva (P:0.000) che con il tempo di ventilazione meccanica
(P:0.017).
Gli altri fattori di considerati non mostrano di condizionare nessuno degli end points
valutati in maniera significativa.
Sorgente Variabile
dipendente
Somma dei quadrati
Tipo III F Sig.
Modello corretto
Inotropi 20,849a 1,154 ,390
UTI data 5045,176b 7,340 ,000
Ventil gg 8,487c 2,416 ,039
Intercetta
Inotropi 6,268 6,941 ,018
UTI data 1463,880 42,593 ,000
Ventil gg ,484 2,758 ,116
FE
Inotropi 2,911 3,224 ,001
UTI data 1167,117 33,958 ,000
Ventil gg 1,233 7,021 ,017
Funzione diastolica
Inotropi 2,332 ,861 ,481
UTI data 319,458 3,098 ,056
Ventil gg 2,720 5,163 ,011
Tabella 3: Risultato finale dell’analisi multivariata. UTI data= giorni di degenza in UTI;
FE=frazione di eiezione; Ventil gg= tempo di ventilazione meccanica
3.3. Discussione
La funzione diastolica ha ricevuto sempre più attenzione dal momento in cui
sono state sviluppate e rese ampiamente disponibili le idonee misure
ecocardiogradifiche per la sua valutazione. Ad oggi l’importanza ed il
significato della disfunzione diastolica presente prima dell’intervento di
44
cardiochirurgia ed il nesso eventuale tra questa ed un outcome chirurgico
avverso, come ad esempio un difficile svezzamento dal by-pass
cardiopolmonare, non sono stati ancora completamente esplorati. E’ noto che in
seguito ad intervento di cardiochirurgia si riscontra un certo grado di disfunzione
miocardica che può rappresentare una sfida per l’anestesista in particolare al
momento della separazione dal CPBP. Si manifesta immediatamente dopo il
CPBP e in genere appare reversibile in 24h. E’ legata all’uso della cardioplegia,
ad una possibile inadeguata protezione miocardica, al danno da ischemia
riperfusione e all’ipotermia [89].
Pertanto può esser necessario l’uso di inotropi o vasocostrittori, ed è ancora
controverso il loro eventuale uso profilattico al fine di evitare l’ipoperfusione
miocardica e gli altri eventi sfavorevoli di un tempo di CPBP prolungato. Inoltre
a causa dei potenziali effetti avversi di questi farmaci, in particolare legati
all’aumentato consumo di ossigeno, è diffcile stabilirne la necessità [89]. Diversi
autori hanno tentato di identificare il miglior trattamento per uno svezzamento
efficace dal CPBP senza effetti collaterali. A tale scopo si è cercato di
identificare i diversi sottogruppi di pazienti che avrebbero potuto presentare
maggiori difficoltà nell’uscita dalla CEC e che quindi avrebbero potuto trarre
beneficio dall’uso di inotropi e/o farmaci vasoattivi.
Negli anni è stata dedicata molta più attenzione alla disfunzione sistolica che si è
rivelata essere un fattore prognostico nello scompenso cardiaco [90], per
supporto inotropo dopo CPBP [91] e per la mortalità in cardiochirurgia [92].
La disfunzione diastolica, è ormai noto, essere un precoce marker di ischemia
miocardica per cui si associa alla presenza di miocardio fortemente suscettibile
al danno da ischemia riperfusione e/o all’insulto ischemico da CPBP [93] e
avere un significato prognostico nello scompenso cardiaco [90], vari studi hanno
confermato che i pazienti con scompenso diastolico hanno le stesse peculiarità
fisiopatologiche dei pazienti con scompenso sistolico e simili caratteristiche
cliniche [94]. In particolare è stato dimostrato che in condizioni di stress, come
appunto l’intervento chirurgico, lo svezzamento dalla CEC o dalla ventilazione
45
meccanica, nel paziente con disfunzione diastolica, associata o meno a ridotta
frazione di eiezione, si verifica un aumento del consumo di ossigeno
principalmente legato all’impossibilità da parte del ventricolo sinistro di
aumentare la gittata. Questo rappresenta appunto il risultato dell’inadeguato
riempimento ventricolare nonostante le elevate pressioni di riempimento. Inoltre
un aumento delle pressioni di rimepimento può inficiare [44] la perfusione
subendocardica e rendere i pazienti più sensibili alle variazioni di volume, che
sono comuni nello scenario perioperatorio. Tutte questi fattori possono favorire
l’instabilità emodinamica e contribuire alla sindrome da low cardiac output nel
periodo perioperatorio ed in particolare al momento della separazione dal CPBP.
Alcuni autori addirittura considerano il riempimento ventricolare più importante
della funzione sistolica in sé, nel determinare la performance cardiaca [68].
Diversi studi inoltre hanno già (vedi paragrafi precedenti) esplorato il suo
impatto nello svezzamento dal CPBP e sull’outcome chirurgico, considerando
diversi endpoints [42][60][61][44]. Se pur sia ancora oggetto di controversie, la
disfunzione diastolica severa è stata associata ad un peggior outcome chirurgico
ed ad un aumento della mortalità e della morbidità in cardiochirurgia.
Nel nostro studio la disfunzione diastolica, non si è dimostrata essere un fattore
predittivo per quanto riguarda lo svezzamento difficile dalla CEC, a differenza
da quanto evidenziato dagli studi presenti attualmente in letteratura, citati
precedentemente. Un solo studio nel 1997 aveva evidenziato che la disfunzione
diastolica non fosse correlata ad un peggior outcome post-operatorio ma in ogni
caso aveva evidenziato un’elevata incidenza di disfunzione diastolica nei
pazienti da sottoporre a by-pass aorto-coronarico (77%) [95]. Noi abbiamo
evidenziato un’incidenza del 67% di disfunzione diastolica in una popolazione
di pazienti sottoposti a diversi tipi di interventi dicardiochirurgia, con una
prevalenza del grado I-II (84%), sottolinenado che probabilmente la scarsa
rappresentazione del grado III ovvero disfunzione severa possa aver inciso sul
nostro risultato.
46
Nessuno dei parametri presi in considerazione si è rivelato condizionare lo
svezzamento dalla CEC fatta eccezione per la frazione di eiezione e quindi la
funzionalità sistolica del ventricolo sinistro. In ogni caso la disfunzione
diastolica si è rivelata significativamente associata a tempo di permanenza in
UTI e tempo di ventilazione meccanica in UTI, due fattori fondamentali per
quanto riguarda l’outcome chirurgico in quanto a loro volta condizionano la
morbidità e la mortalità post-operatoria. Sottolineo inoltre che anche lo
svezzamento dalla ventilazione meccanica impone un lavoro aggiuntivo al
sistema cardiovascolare, aumenta il ritorno venoso ed il postcarico e può
appunto slatentizzare una disfunzione diastolica fino ad allora subclinica. Si può
manifestare edema polmonare franco e dunque l’estubazione si rende difficile e
si viene a prolungare il tempo di ventilazione meccanica.
Queste osservazioni supportano la necessità di un’adeguata valutazione della
funzione diastolica attraverso l’utilizzo dell’ecografia transesofagea data la
prevalenza che assume questo fenomeno nel paziente da sottoporre a intervento
di cardiochirurgia e il rilievo che assume sull’outcome chirurgico. Tali risultati
possono avere delle implicazioni cliniche in quanto potrebbero rendere
necessario l’uso di farmaci in via profilattica prima dello svezzamento dalla
CEC e/o in terapia intensiva stessa, e la scelta di questo trattamento può essere
appunto condizionata dalla presenza o meno di disfunzione diastolica.
3.4. Limiti
Il principale limite di questo studio è dato dal numero ridotto di pazienti
analizzati nel campione, difatti l’intenzione è di estendere la popolazione
oggetto di esame. Inoltre la disfunzione diastolica è condizionata da molteplici
fattori che possono essi stessi andare a condizionare lo svezzamento dalla CEC
ed in questo studio invece è stata presa in considerazione la DD in maniera
isolata.
Inoltre va tenuto conto che differenti pattern e gradi di DD possono predirre un
difficile svezzamento dalla CEC e condizionare l’output chirrugico in maniera
47
variabile. Nell’analisi statistica noi non abbiamo tenuto conto dei diversi gradi di
DD ma abbiamo valutato globalmente la DD, differenziando i pazienti in due
grandi gruppi: pazienti con funzione diastolica normale e pazienti con
disfunzione diastolica.
La funzione sistolica valutata attraverso la frazione di eiezione è dipendente
dalle condizioni di precarico e postcarico, così come la valutazione della
funzione diastolica è alterata dai cambiamenti del precarico e del postcarico che
si verificano in seguito all’induzione dell’anestesia e dipendono dal tipo di
induzione e dall’anestetico usato. Noi abbiamo valutato la funzione diastolica in
un periodo di stabilità emodinamica ma non abbiamo considerato il tipo di
induzione ei farmaci anestetici usati.
Si rendono necessari ulteriori studi che non solo includano un maggior numero
di pazienti ma che vadano a valutare anche altri parametri fondamentali riguardo
l’outcome chirurgico quali le varie complicanze cliniche post-operatorie ed il
tempo di degenza totale in ospedale, e che quindi considerino un follow-up di
più lunga estensione.
48
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