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IL CONFLITTO ARMATO E IL PROCESSO DI PACE COLOMBIANO Tesi di Laurea di Romina Surace Università di Trento - 2006

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IL CONFLITTO ARMATOE IL PROCESSO DI PACE

COLOMBIANO

Tesi di Laurea di Romina Surace

Università di Trento - 2006

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INDICE.

Introduzione. Pag. 5

Primo capitolo. Le origini del conflitto armato colombiano. Pag. 15

Introduzione: una società frammentata Pag. 15

Ha inizio la lotta secolare tra conservatori e liberali Pag. 18

La Guerra de los Mil dias Pag. 19

La Repubblica Conservatrice (1880-1930) Pag. 20

La Grande crisi del 1929-1930 e i suoi effetti Pag. 23

La Repubblica liberale (1930-1946) Pag. 25

La Violencia (1946-1958) Pag. 32

Il contesto internazionale Pag. 32

Le disillusioni della Revoluciòn en Marcha Pag. 33

L’inizio della Violencia e la vittoria del Partito Conservatore Pag. 35

L’assassinio di Elicier Gaitàn e il fallimento del populismo in Colombia Pag. 37

Il governo dell’ultraconservatore Laureano Gòmez e il processo di

sostituzione delle importazioni Pag. 43

Il regime militare di Rojas Pinilla Pag. 51

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Il “Fronte Nazionale” (1957-1974) Pag. 55

Il processo di modernizzazione delle Forze Armate Pag. 57

Il generale Ruiz Novoa e l’ala progressista delle Forze Armate Pag. 60

Gli echi del Concilio Vaticano II in America Latina e in Colombia Pag. 64

La politica agraria del Fronte Nazionale e l’Alleanza per il Progresso Pag. 65

Il processo di sostituzione delle importazioni o il processo di sostituzione

dei proprietari ? Pag. 66

Gli ostacoli al movimento sindacale Pag. 68

La nascita dei principali gruppi guerriglieri colombiani Pag. 70

Le forme d’opposizione politica Pag. 72

La seconda fase del Fronte Nazionale e il ritorno alla “crescita verso l’esterno” Pag. 73

Secondo capitolo. Le chiavi dell’attuale conflitto armato. Pag. 79

Introduzione: l’allargamento e la trasformazione del conflitto Pag. 79

L’ apertura democratica e l’intensificazione della guerra sucia (1974-1989) Pag. 81

Lo smantellamento dello Stato interventista-protezionista in Colombia Pag. 81

La militarizzazione delle funzioni pubbliche Pag. 85

La risposta del movimento sindacale Pag. 93

La diffusione e il rafforzamento della guerriglia Pag. 95

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Il controllo territoriale e la crescita del fenomeno paramilitare Pag. 99

Sviluppo e consolidamento dell’economia informale dominata dal narcotraffico Pag. 103

Gli anni della “lotta alla droga” (1989-2002) Pag. 117

L’applicazione del modello neoliberista in Colombia Pag. 122

La ristrutturazione del narcotraffico Pag. 127

L’inarrestabile crescita del fenomeno paramilitare Pag. 131

La guerriglia Pag. 134

Terzo capitolo. Il processo di pace in Colombia. Pag. 141

Considerazioni sulla possibilità della pace in Colombia Pag. 141

Sulla via dell’internazionalizzazione della pace colombiana Pag. 155

Il coinvolgimento della comunità internazionale Pag. 156

La società civile globale Pag. 159

La società civile come mezzo e fine della nuova nozione di sviluppo Pag. 165

Il caso-studio: la Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia Pag. 169

Il contesto catalano Pag. 171

Descrizione dell’iniziativa Pag. 178

Limiti e possibilità Pag. 185

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Il dibattito aperto dalle “Giornate Aperte” di Barcellona 2005 Pag. 186

Conclusioni. Pag. 200

Appendice. Pag. 205

Dichiarazione di intenti della

Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia Pag. 205

Interviste ad alcuni componenti della Tavola Catalana Pag. 207

Bibliografia. Pag. 249

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INTRODUZIONE.

Questo lavoro nasce con l’intenzione di fare chiarezza sulla complessità di un conflitto che

colpisce il popolo colombiano da più di mezzo secolo nel tentativo di proporre a tutti i

soggetti istituzionali e sociali della comunità internazionale, impegnati a promuovere il

processo di pace in Colombia, l’orizzonte ritenuto più adatto per operare.

L’ampio spazio dedicato alla ricostruzione dei processi storici che hanno investito la

Colombia nel secolo appena trascorso vuole tentare di mettere alla luce la

pluridimensionalità di un conflitto che oggi e nel passato è stato oggetto di varie

semplificazioni ad opera dei diversi attori coinvolti nella confrontazione e dei loro

simpatizzanti, sia sul piano nazionale che internazionale. Nonostante le non poche

difficoltà che ciò comporta, oggi questo compito è ancor più necessario ed urgente alla

luce degli avvenimenti che interessano il paese colombiano e la scena internazionale nel

suo complesso. Da un lato, il fallimento delle trattative di pace del precedente Governo

Pastrana ha prodotto una radicalizzazione dell’opinione pubblica ed una conseguente

crescita dei consensi a favore di una risposta militare più decisa dello Stato contro gli attori

armati. Questo ha condotto all’approvazione, da parte dell’attuale Governo Uribe, di un

Piano di Sviluppo Nazionale, il cui asse portante si costituisce di una Politica di Sicurezza

Democratica che nega l’origine politica del conflitto in atto riducendo la violenza in

termini di terrorismo e, cosa ancor più grave, non distingue tra popolazione civile e

popolazione combattente. Dall’altro, questa politica di guerra trova un terreno assai

favorevole nel contesto politico internazionale del dopo 11 settembre, nel quale le

questioni di sicurezza sembrano prevalere su qualsiasi altra istanza di libertà. È in un

simile contesto che si spiega l’appoggio dimostrato dall’amministrazione statunitense alla

Politica di Sicurezza Democratica di Uribe: appoggio che si è concretizzato di fatto in un

aumento del coinvolgimento statunitense nel conflitto interno colombiano.

In primo luogo si è cercato di risalire alle origini storiche delle divisioni oggi

apparentemente insanabili che percorrono la società colombiana, soffermandosi

sull’individuazione di quei fattori che hanno contribuito ad impedire che tali divisioni si

risolvessero attraverso un confronto pacifico delle parti sociali in contrapposizione.

Il primo obbiettivo è stato mettere alla luce le debolezze di quella che si presenta come la

democrazia più longeva e meno interrotta da dittature militari dell’intero continente

sudamericano. Da questo studio è emersa l’immagine di una società altamente frammentata

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per percorsi economici distinti a livello regionale e culturale, dovuti alle divisioni politiche

imposte dalla conquista europea e dal differente sviluppo economico che ha caratterizzato

le regioni colombiane in seguito all’ingresso del paese nel mercato internazionale,

avvenuto grazie alla produzione di caffè su larga scala. Questa frammentazione è alla base

della debolezza politica di uno Stato che, fin dalla sua indipendenza, è stato attraversato da

antagonismi regionali e rivalità locali sfociate, agli inizi del XX secolo, in una guerra civile

sanguinosissima e, dal 1948, in un conflitto interno che ha contrapposto le comunità locali

da allora ai giorni nostri. La debolezza statale ha fatto sì che il lunghissimo processo di

colonizzazione delle terre incolte avvenisse senza alcun controllo diretto dello Stato e fosse

accompagnato, fin dagli inizi, dalla comparsa di eserciti irregolari: tale processo ha

permesso la privatizzazione della forza nella quasi totalità delle terre colombiane e

l’affermazione di caudillos regionali nel controllo del territorio, delle milizie armate,

dell’organizzazione sociale ed economica. Tale privatizzazione ha determinato: da un lato,

l’appropriazione indebita della terra attraverso l’uso delle armi che, insieme alla mancanza

di sussidi agricoli ed adeguati meccanismi di controllo capaci di limitare gli effetti della

libera concorrenza delle merci, ha facilitato la concentrazione della terra nelle mani di una

ristrettissima classe. Dall’altro, la formazione di uno Stato Nazionale costituito sulla base

di una cultura politica federale in cui ha prevalso una logica di potere clientelare, grazie a

cui le scelte politiche adottate non hanno trovato la loro legittimazione nella capacità di

mediare i diversi interessi rappresentati, ma sono state determinate da “transazioni e

conflitti tra i poteri in gioco a tutti i livelli della società”1. Difatti, fin dalla sua formazione

lo Stato colombiano non è riuscito a garantire una sua presenza effettiva in molte zone del

paese, il che ha permesso alle reti informali di potere, legali e non, di consolidarsi in reti

clientelari ed in reti organizzate dai gruppi insurrezionali e dai narcotrafficanti. Da sempre

lo Stato colombiano ha dovuto appoggiarsi su queste reti per esercitare la propria autorità.

Questo ha fornito un terreno favorevole per il dilagare della corruzione in tutto l’apparato

statale e per l’affermazione nella classe dominante di una cultura politica costruita sulla

concezione di partito come espressione degli interessi di signorotti locali e su quella di

Stato come bottino da spartire tra i vincitori alle elezioni presidenziali.

Il secondo obbiettivo è stato quello di individuare gli avvenimenti che hanno determinato

la nascita e il consolidamento della guerriglia più forte del continente sudamericano in

relazione al suo radicamento all’interno della società, al suo protrarsi nel tempo e alla

potenza raggiunta in termini militari. Due ordini di fattori intervengono a spiegare la sua

1 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 163.

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diffusione nella società colombiana per un lasso di tempo così esteso. Innanzitutto,

l’interruzione violenta del movimento populista in gestazione, avvenuta per mezzo

dell’assassinio nel 1948 del suo leader, Elicier Gaitàn, e dello scoppio di una

sanguinosissima guerra civile che sconvolse il popolo colombiano negli anni della

Violencia. Le dinamiche internazionali della Guerra Fredda, che hanno costituito lo sfondo

nel quale si è consumato questo omicidio, hanno finito per rafforzare quella società

oligarchica caratterizzata da una profondissima distanza tra la democrazia formale e la

democrazia reale. Secondariamente, l’incapacità e la non volontà dimostrata dalla classe

politica dominante di attenuare le differenze esistenti in seno alla società colombiana per

mezzo dello sviluppo economico del XX secolo. Nonostante la formazione di una classe

media urbana, forte è rimasto il divario tra un ideale di cittadinanza ed uguaglianza politica

e la realtà, che ha mantenuto un sistema di privilegi ereditato dal passato e rafforzato dalla

legge dello Stato. Nella seconda metà del XX secolo la crescita urbana e una moderata

versione del processo di sostituzione delle importazioni hanno solo aumentato la violenza

politica e sociale. Rispetto ad altri paesi del continente sudamericano, in Colombia il

processo di sostituzione delle importazioni raggiunse livelli moderati a causa della

debolezza dell’autorità statale in campo economico. La classe politica dominante non

riuscì ad evitare che la politica economica nazionale assumesse le vesti di un “ibrido tra il

protezionismo industriale e il libero mercato”2, in balia delle scelte di lobby corporative

molto potenti, espressioni degli interessi locali. L’acutizzarsi di uno sviluppo squilibrato e

la chiusura del sistema politico fortemente autoritario e dirigista del Fronte Nazionale

determinarono l’aumento delle tensioni sociali che si espressero attraverso il

consolidamento di quei gruppi armati contadini, nati negli anni ’50 per difendersi

dall’azione della polizia conservatrice (chulavita) e dei primissimi gruppi paramilitari

(pajaros) finanziati dai grandi latifondisti. Mentre la concentrazione delle ricchezze non

subì alcuna battuta d’arresto, la crescita ininterrotta del PIL nazionale non risolse nessuno

dei gravi problemi socioeconomici del paese: la disoccupazione in aumento, la

disgregazione del mondo agricolo, la proletarizzazione di gran parte dei settori urbani, la

crescita dell’inflazione. Tutti questi elementi approfondirono la disaffezione già radicata

nella società colombiana verso l’autorità centrale dello Stato e, più in generale, verso la

politica come strumento di confronto e di negoziazione degli interressi. Nel corso degli

anni del Fronte Nazionale si costituirono le quattro principali formazioni guerrigliere: le

FARC, l’ELN, l’EPL e l’M19. La lotta armata condotta da questi gruppi mirava a

2 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,

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trasformare l’ordine sociale e lo Stato colombiano attraverso una serie di riforme strutturali

riguardanti il piano economico (per l’attuazione di una riforma agraria e una maggiore

redistribuzione delle ricchezze), il piano politico (per una maggior apertura degli spazi di

partecipazione) e quello militare (per un minor ruolo dell’esercito nelle questioni di ordine

interno). Dal punto di vista ideologico questi gruppi insurrezionali si rifacevano tutti al

marxismo, ma se le FARC si affermarono come un gruppo fortemente radicato nel mondo

rurale, sostenitore di un tipo di colonizzazione non controllata dai grandi latifondisti, gli

altri gruppi minori nacquero come espressione del malcontento della classe media urbana

e, pur nelle loro diversità, attinsero tutti dalla teoria foquista, diffusasi nel continente

sudamericano attraverso la rivoluzione cubana.

Negli anni successivi al Fronte Nazionale la nuova classe politica tornò a rivolgersi in

modo più esplicito alle basi di potere locale. Procedendo nello smantellamento dello Stato

interventista-protezionista e nell’implementazione delle politiche di liberalizzazione, la

nuova classe dirigente rimase fedele in materia agraria alla strategia politica adottata dai

suoi predecessori, che aveva concentrato gli investimenti nelle aree più ricche del paese a

vantaggio della grande proprietà agricola, della sua tecnicizzazione e dell’aumento della

mobilità del lavoro. L’onnipresente rifiuto delle forze governative di trattare in materia

economica con le forze popolari e la persecuzione attuata verso i suoi leader, non

produssero altro che l’ulteriore allargamento della disaffezione all’attività politico-legale.

Fu così che dalla fine degli anni ‘70 e nel corso della decade successiva, in risposta alla

crescente militarizzazione delle funzioni pubbliche e all’aggravarsi delle condizioni di vita

delle classi subalterne l’attività della guerriglia crebbe considerevolmente. Dopo un lungo

periodo in cui la sua presenza si era limitata a zone rurali di frontiera, questi gruppi

raggiunsero anche il mondo urbano, nonostante la loro base sociale e politica continuò ad

essere fondamentalmente legata al mondo rurale. Il potenziamento militare della guerriglia

colombiana e le significative dimensioni territoriali raggiunte nel corso dell’ultimo

ventennio si spiegano invece grazie all’abilità dimostrata dai gruppi insurrezionali di

sviluppare una serie di dinamiche complesse che da allora legano l’economia guerrigliera a

quella nazionale. “Le principali attività produttrici ricchezze per la nazione equivalgono, e

ciò non è casuale, alle attività che producono la maggior parte delle entrate della

guerriglia”3: petrolio e carbone tra le attività legali; cocaina, per quanto riguardo quelle

illegali, a cui negli anni ’90 si è aggiunta l’eroina. Il rafforzamento della sua potenza in

2002, pag. 320.3 Rangel Suarez Alfredo, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 369.

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termini militari è stato affiancato dalla diminuzione considerevole del suo sostegno politico

tra la popolazione civile, soprattutto tra quella parte della classe media che dalla fine anni

’70 la aveva sostenuta o semplicemente aveva simpatizzato per le sue cause e i suoi

progetti politico-sociali. L’attuale scarsa legittimazione delle forze guerrigliere in seno alla

società colombiana è legata alla degenerazione delle pratiche di violenza commesse

indiscriminatamente a danno della popolazione civile, al solo ed unico scopo di accrescere

il controllo territoriale. La caduta dell’URSS e la fine delle ideologie insieme al processo

di istituzionalizzazione che ha investito i gruppi guerriglieri colombiani ancora attivi (le

FARC e l’ELN) sono gli avvenimenti che hanno contribuito a favorire tale degenerazione

della violenza. In particolare, in riferimento alle FARC, ossia l’organizzazione guerrigliera

più grande e longeva del paese, il fallimento del socialismo reale ha comportato

l’assunzione di atteggiamenti meno dogmatici. Il modello di sviluppo proposto per il

popolo colombiano rimane legato ai precetti fondamentali della filosofia politica marxista

(tra cui: l’analisi dell’economia capitalista, il ruolo attribuito alla classe sfruttata e

l’obbiettivo di giustizia sociale cui dovrebbe tendere lo sviluppo), ma diffusa è la

convinzione che non si tratti dell’applicazione di un modello già dato, piuttosto che la

definizione stessa del modello costituisca un processo in fieri. Per alcuni analisti questo

implica un importante passo avanti in termini democratici poiché tale apertura permette

una maggiore partecipazione degli strati popolari nella formulazione delle proposte

avanzate. Per altri la vaghezza di questo discorso dimostra l’inesistenza di un chiaro

progetto politico, il che rende più difficile una possibile negoziazione con

l’organizzazione. Sicuramente questa maggiore elasticità contribuisce a rendere i membri

del gruppo più permeabili rispetto ad interessi particolaristici e più adattabili alla logica

della guerra attuale, in cui quello per cui si combatte non è l’affermazione di un modello di

sviluppo e di integrazione che includa l’intera società, bensì il potere territoriale ed

economico.

Il terzo obbiettivo è stato quello di comprendere le dinamiche di espansione del conflitto

riguardo al territorio. A questo proposito è sembrato opportuno mettere in risalto che fin

dai tempi dello scoppio della Violencia il maggior tasso di conflittualità ha interessato le

regioni in procinto di essere inserite nell’economia nazionale ed internazionale. La

correlazione tra espansione del latifondo e diffusione della guerriglia è sempre stata diretta:

man mano che proseguiva la crescita dei latifondi e parte della manodopera in eccesso

emigrava verso nuove terre da colonizzare, nelle nuove comunità fondate dagli sfollati

prive di forti legami di coesione sociale cresceva il numero di contadini dediti alle

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coltivazioni illecite ed il loro sostegno alla guerriglia. A partire dagli anni ’70, aumentando

il valore degli interessi legati al narcotraffico e il conseguente numero di sicari reclutati per

la difesa delle coltivazioni della foglia di coca, delle terre e delle raffinerie di cocaina di

proprietà dei narcos, è cresciuta la conflittualità tra guerriglieri e narcotrafficanti affiancati

dai paramilitari.

Il quarto obbiettivo ha interessato l’individuazione dei fattori cha hanno reso possibile

l’estendersi del fenomeno paramilitare fino alle dimensioni attuali. Se inizialmente questi

gruppi, assoldati negli anni della Violencia dai grandi latifondisti per difendere i loro diritti

di proprietà, mantennero un carattere difensivo, ben presto le loro azioni si iscrissero in una

più ampia strategia d’attacco per il controllo territoriale rivolta contro i gruppi guerriglieri

e i loro simpatizzanti. Il rifiuto di affrontare le cause politiche ed economiche delle tensioni

sociali condusse la classe dominante a considerare il mantenimento dell’ordine pubblico

una questione prettamente militare. L’intrinseca debolezza dell’autoritá statale, da sempre

incapace di esercitare il monopolio della forza sull’intero territorio nazionale, portó la

classe dominante all’adozione di una strategia che combinava: da un lato, l’aumento

dell’autonomia delle Forze Armate nella gestione delle questioni relative alla sicurezza e

l’estensione delle delle loro attivitá a funzioni civiche e sociali; dall’altro, il

coinvolgimento della popolazione civile nelle questioni inerenti la garanzia dell’ordine

pubblico. Man mano che il potere di questi gruppi paramilitari si è espanso grazie a non

pochi decreti legislativi a loro favore ed agli ingenti finanziamenti provenienti dai narcos,

dalla fine degli anni ’80 i loro capi hanno cominciato a rivendicare il diritto di essere

riconosciuti come soggetti politici, pretendendo di svolgere un ruolo di arbitro nel processo

di pace tra lo Stato e i gruppi guerriglieri.

Alla luce dell’enorme peso che lo sviluppo del narcotraffico ha avuto in relazione sia al

potenziamento degli attori armati illegali che all’estensione della violenza generalizzata

con la conseguente crescita della disgregazione del tessuto sociale colombiano, l’altro

interrogativo cui si è cercato di rispondere attraverso la ricostruzione storica degli eventi ha

riguardato le motivazioni per le quali in Colombia si è sviluppata un’economia illegale di

tali dimensioni e gli elementi che ne hanno favorito il consolidamento. Le peculiari

condizioni create da una disuguale distribuzione delle ricchezze tra gli strati sociali e le

aree geografiche del paese, l’immobilismo del sistema politico, l’assenza dello Stato in

molte zone periferiche del paese, l’incapacità dei due partiti tradizionali di fungere da

mediatori tra gli interessi delle diverse classi sociali e il dilagare della corruzione

nell’intero apparato statale sono gli elementi indivituati alla base della creazione del

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terreno favorevole in cui il narcotraffico ha potuto dare vita ad un vero e proprio sistema

economico ed un potere territoriale parallelo a quello dello Stato, capace di permeare e

coinvolgere l’intera società. L’apparato giuridico del paese è stato individuato come

elemento chiave dell’intera macchina. Difatti, il sistema legale colombiano, da sempre uno

degli anelli più deboli delle istituzioni nazionali, è rimasto ai margini della vita di un paese

in cui la legge è garantita più dalla forza delle armi che da una cultura democratica fondata

sullo Stato di Diritto ampiamente condivisa dall’intera società.

Infine, la ricostruzione storica si è dimostrata estremamente utile per porre in evidenzia

come parte delle cause e molte delle ripercussioni del conflitto interno colombiano abbiano

acquisito una dimensione internazionale crescente.

Oggi le dimensioni raggiunte dal narcotraffico, la partecipazione dei gruppi armati

colombiani al traffico internazionale di armi, la sistematica violazione dei diritti umani e

del Diritto Internazionale Umanitario e gli effetti prodotti dall’incessante fenomeno di

sfollamento della popolazione colombiana dalle campagne sul piano delle migrazioni

internazionali sono fenomeni che destano un’attenzione particolare da parte della comunitá

internazionale sul caso colombiano.

Abbracciata la tesi secondo cui il problema dell’internazionalizzazione del conflitto puó

essere affrontato solo attraverso l’internazionalizzazione della pace, si ribadisce l’assoluta

necessitá che la comunità internazionale riconosca ed assuma le proprie corresponsabilità

in riferimento ai fattori di internazionalizzazione del conflitto ed elabori delle adeguate

strategie di intervento per la sua risoluzione politica. In un mondo sempre più

interdipendente la maggioranza delle decisioni che riguardano il benessere della

popolazione colombiana vengono prese in centri decisionali molto lontani dalla Colombia.

Basti pensare alla domanda di droga, al traffico di armi, alla politica finanziaria

(aggiustamento strutturale, debito estero, liberalizzazione del commercio ed investimenti

transnazionali) e alle politiche di immigrazione.

Ugualmente, si considera estremamente importante che qualsiasi strategia d’intervento

elaborata da parte dei diversi soggetti istituzionali e sociali della comunitá internazionale,

impegnati nella promozione del processo di pace colombiano, non prescinda mai dal

riconoscere che l’origine del conflitto colombiano è politica. Questo non significa non

considerare che esiste una politica economica positiva emersa attorno al conflitto armato

colombiano in cui tutti gli attori armati coinvolti (guerriglieri, paramilitari, Forze Armate)

traggono il loro profitto dal mantenere una guerra a bassa intensità. Né significa non dare il

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giusto peso al fatto che l’utilizzo del terrore contro la popolazione civile da parte di ogni

attore armato rappresenta il mezzo indispensabile per ottenere quel “consenso” necessario

al controllo dei territori conquistati, senza cui non è possibile sopravvivere in una guerra a

bassa intensità come quella attuale, né è possibile perseguire i propri obbiettivi militari,

nella misura in cui questi si allontanano sempre piú dalle rivendicazioni sociali ed

economiche delle popolazioni locali. Piuttosto, riconoscere l’origine politica del conflitto

conduce a porre in evidenza che il conflitto interno colombiano è nato come una

confrontazione tra Stato e società, in cui la legittimità dello Stato è una questione di fondo.

Pertanto, il rafforzamento di cui lo Stato colombiano ha bisogno è prima di tutto di tipo

istituzionale, diretto ad assicurare alla società civile la difesa della propria persona e la

possibilità di svolgere un ruolo di primo piano nel processo di pace. Solo una maggiore

governabilità democratica può sfuggire all’inganno di soluzioni temporanee e parziali,

generatrici di conflitti più profondi. Il recupero della legittimità statale, sia a livello

nazionale che a livello internazionale, deve basarsi sul rispetto della legalità e sulla

garanzia dei diritti umani, tanto civili e politici che economici, sociali e culturali.

Concentrare gli sforzi sulla lotta antiterrorista e antidroga attraverso il potenziamento delle

capacitá militari dello Stato colombiano sono considerate misure inefficaci poiché dirette

ad attaccare le conseguenze e non le cause del conflitto armato: nessuna pace sarà mai

possibile nel paese se non si affrontano questioni fondamentali come il problema agrario

legato alla concentrazione della terra nelle mani di una ristretta minoranza.

L’obbiettivo dell’intervento della comunitá internazionale deve invece essere diretto

all’ottenimento di una risoluzione politica del conflitto armato, in un contesto di garanzie

democratiche e sulla base di un quadro giuridico capace di stabilire rigorosi criteri di

verità, giustizia e riparazione. Per questo è necessario promuovere tutti i possibili mezzi

attraverso cui facilitare l’imbocco della strada del dialogo. Dialogo che non conduca alla

sola firma di un trattato di negoziazione per la cessazione delle ostilità (pur essendo questa

una tappa fondamentale e neppure di facile raggiungimento del processo di pace), ma che

miri a sradicare le cause che hanno generato un sistema politico, economico e sociale che

si regge sulla disuguaglianza e l’esclusione. Affinché il dialogo permetta l’avvio di un

processo di pace duraturo ed integrale si ritiene indispensabile intervenire nel

rafforzamento del tessuto sociale e dello Stato di Diritto colombiano, tanto dalla

prospettiva nazionale quanto da quella internazionale. Lo scopo è quello di garantire un

reale coinvolgimento della società civile colombiana e della societá civile mondiale nei

diversi interventi avviati. Questa partecipazione è considerata un elemento fondamentale

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per dare legittimità all’intero processo, senza la quale lo Stato colombiano e la comunitá

internazionale invierebbero all’intera società mondiale un messaggio pericoloso, ossia che

l’unico mezzo per accedere al potere è il ricorso alla violenza.

Posto che l’operato della comunitá internazionale puó essere solo un complemento

dell’azione dello Stato colombiano (che rimane il maggiore responsabile del rispetto dei

diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario all’interno del proprio territorio), si

ritiene che la riuscita di questo processo sarà possibile solo in seguito alla maturazione di

una volontà politica da parte dello Stato di questo paese e della sua classe dirigente diretta

a dare avvio ad una serie di politiche che risolvano in profonditá la crisi economica, sociale

ed umanitaria del paese. L’orizzonte qui proposto per esercitare una pressione politica a

livello internazionale affinché questo avvenga passa attraverso il potenziamento dei canali

di comunicazione e di cooperazione della societá civile globale. Grazie alla trasformazione

della società civile mondiale in seguito all’inserimento dei suoi attori in reti ed

organizzazioni transnazionali di diversa tipologia (i cui attori agiscono in più luoghi

superando i confini nazionali, ed i cui membri appartengono a più nazioni), all’espansione

dei canali di comunicazione ed all’annullamento delle distanze oggi viviamo in un contesto

assolutamente nuovo, segnato dalla fine di un epoca in cui le relazioni internazionali erano

dominate dagli Stati nazionali e dall’inizio di una nuova epoca dove la politica mondiale si

sviluppa secondo una pluralità di centri in cui, accanto agli Stati nazionali ed al capitale, si

muovono anche le organizzazioni internazionali e la società civile globale per affermare

diverse pratiche di emancipazione politica ed economica.

L’approccio reticolare, peraltro oggi dominante, è qui considerato come il piú adatto per

una serie di motivi. In primo luogo, esso garantisce un maggior grado di orizzontalitá ed

inclusione sia ai soggetti promotori delle politiche di sviluppo, sia ai soggetti direttamente

coinvolti nella realizzazione di tali politiche. Il maggior senso di appartenenza ai processi

avviati garantisce migliori risultati dal punto di vista dell’efficacia e va ad incidere

direttemente sul profondo senso di sfiducia maturato dal popolo colombiano rispetto ai

canali d’azione politica legali. In secondo luogo, il maggior grado di informalitá che

caratterizza questo approccio assicura una pluralitá maggiore degli interessi rappresentati.

Questo aumenta le possibilitá per i soggetti della societá civile del Nord di avere

un’informazione plurale su quanto accade in Colombia e di captare le reali esigenze della

sua popolazione civile. Contemporaneamente, accresce la capillaritá dei campi d’azione,

elemento che la pluridimensionalitá del conflitto colombiano richiede. Parallelamente, si

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raggiunge un livello di sensibilizzazione e mobilitazione maggiore della popolazione civile

del Nord attorno alle problematiche che investono il popolo colombiano. In terzo luogo, la

maggiore comunicazione garantita dall’approccio reticolare a soggetti molto diversi tra

loro è elemento indispensabile per aumentare il livello di coordinazione e la coerenza delle

politiche realizzate. Questo rallenta l’intero processo ma potenzia il profilo d’azione

ottenuto. Infine, tale approccio permette di coniugare l’universalitá degli intenti con la

localizzazione della partecipazione.

Allo scopo di illustrare le opportunitá offerte da questo connubio, l’ultima parte di questo

elaborato è dedicata alla presentazione di un caso specifico di una rete di soggetti

istituzionali e sociali che opera in un contesto locale, la Catalogna, per contribuire

all’internazionalizzazione della pace colombiana: la Tavola Catalana per la Pace e i Diritti

Umani in Colombia. Per la descrizione delle sue dinamiche di funzionamento, dei suoi

obbiettivi, dei valori condivisi dai suoi membri, dei limiti e delle potenzialitá di questo

coordinamento regionale si è ricorso all’utilizzo di alcune interviste fatte ai rappresentanti

di quattro membri della Tavola e ad una rappresentante del movimento colombiano di

donne Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas operante in Catalogna per un anno grazie

a dei finanziamenti messi a disposizione dalla Tavola. Per concludere, si è ritenuto

opportuno riportare alcune delle tematiche principali attorno cui quest’anno si è articolato

il dibattito aperto durante l’evento piú importante organizzato annualmente a Barcellona

dal coordinamento catalano. Difatti, il tema in discussione alle cosí dette “Giornate

Aperte”, cui ho personalmente partecipato nell’aprile di quest’anno e riguardante il ruolo

che puó svolgere la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi Stati

membri, in un paese in conflitto armato come quello colombiano, rappresenta un chiaro

esempio del profilo politico locale, nazionale ed internazionale che il coordinamento vuole

avere.

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PRIMO CAPITOLO: LE ORIGINI DEL CONFLITTO

ARMATO COLOMBIANO.

Introduzione: una società frammentata.

La conquista spagnola introdusse in Colombia il latifondo, divisione territoriale che andò

ad affiancarsi al più tradizionale minifondo.

I due modelli si distinguono per il differente sfruttamento del territorio. Al basso tasso di

manodopera assorbita dal latifondo, che si caratterizza per il suo carattere estensivo, si

contrappone l’eccesso di manodopera tipica del minifondo, in cui lavora l’intera famiglia

contadina. Questa organizzazione del territorio determina un esubero della popolazione

rurale in relazione alla sua capacità produttiva. La popolazione contadina in eccesso si

trova di fronte a due possibilità: dirigersi verso le città commerciali, oppure spingersi in

direzione delle zone di frontiera per l’occupazione di nuove terre. L’abbondanza di terre

inoccupate e la mancanza di una riforma agraria, hanno fatto sì che la colonizzazione abbia

costituito, per secoli, una valvola di sfogo alla pressione demografica e l’espediente per

rimandare qualsiasi tipo di riforma sociale ed economica.4

Storicamente, il processo di colonizzazione si è costituito come un movimento della

popolazione dal “centro” verso due grandi confini geografici:

_ I “confini prossimi”, ovvero quelli rappresentati dalle pianure della zona caraibica e dai

versanti esterni delle Ande. Questa fase della colonizzazione si è prolungata fino agli inizi

del 1900 e le sue grandi ondate hanno determinato la colonizzazione dell’attuale

Dipartimento di Antioquia e delle pianure del Magdalena Medio. Durante il processo di

insediamento, entrambi i modelli si sono mantenuti: il minifondo, per quanto riguarda le

Ande e la zona di coltivazione del caffè di Antioquia; il latifondo, dentro e, soprattutto,

fuori dalle Ande.

_ I “confini lontani”, ovvero quelli rappresentati dalle pianure e dai boschi della costa

dell’oceano Pacifico, dell’attuale Dipartimento di Orinoquia e dell’Amazzonia. Questa fase

di colonizzazione ha assunto ritmi sempre più rapidi nel corso degli ultimi decenni, in

seguito al trasferimento forzato della popolazione per la violenza, e alla prospettiva di

4 Informe nacional de desarrollo Humano 2003. El conflicto, callejòn con salida. Programma delleNazioni Unite, Bogotà, 2003.

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guadagni derivanti dalla ricchezza di queste zone di prodotti altamente commerciabili,

leciti (petrolio, banane, smeraldi, oro, etc.) e illeciti (cocaina, papavero).5

Il processo di colonizzazione, salvo rare eccezioni, è stato un processo spontaneo avvenuto

senza il controllo diretto dello Stato. Attratto dalle possibilità di guadagno e di autonomia,

il colono tipico si indebita con un proprietario capitalista o un fornitore locale per creare le

condizioni necessarie allo sfruttamento del terreno. Le possibilità di successo non sono

molte: è sufficiente una qualche carestia o la difficoltà di vendita sul mercato delle merci

prodotte, per l’ instabilità del loro prezzo sul mercato internazionale, a provocare il

fallimento dell’intera sua attività agricola. Infatti, sia la mancanza di servizi e sussidi

agricoli statali, sia i monopoli esistenti nel mercato per la vendita e l’acquisto delle merci,

costituiscono forti ostacoli all’accumulazione di una ricchezza iniziale e determinano

spesso la perdita della terra da parte del contadino. Le sue proprietà divengono quindi

proprietà del suo creditore.

Tale meccanismo ha garantito la continua rinascita del ciclo del latifondo, il suo

rafforzamento e la sua estensione, e, infine, la permanenza del cosiddetto “esercito di

riserva”, sempre disponibile per la colonizzazione di nuove terre o, successivamente, per

riversarsi nelle città e costituire la base necessaria allo sviluppo industriale.

E’ facile comprendere come la cultura delle zone di frontiera si sia da sempre caratterizzata

da diritti di proprietà ancora in via di definizione, del tutto precari. “Colui che riesce ad

affermarsi appropriandosene, detiene il controllo del prodotto del lavoro, del capitale, della

natura, dello sforzo collettivo, della spesa pubblica, di tutti i beni e servizi che esistono nel

momento dato.” 6

Tutto questo contribuisce a creare un alto livello di incertezza, instabilità, conflitto. Le

terre di frontiera sono terre in cui l’inesistenza quasi totale dello Stato e delle sue

istituzioni, sia in termini di coercizione che in termini di autorità, si traduce in impossibilità

di garantire il rispetto di qualsiasi tipo di contratto. Per molti autori, l’elevato livello di

conflittualità come conseguenza diretta della privatizzazione della giustizia, accompagnata

dalla comparsa di eserciti irregolari, non ha investito solo le zone di frontiera propriamente

dette, ma si è estesa con tale intensità da prevalere nella maggior parte del il territorio

colombiano.

5 Gouësset Vincent, El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la construcciónterritorial, in Territorios. Revista de Estudios Regionales y Urbanos, nº 1, agosto 1998-gennaio1999, Bogotá, Cider (Universidad de los Andes).

6 North Douglas C., Institutions, Institutional Change and Economic Performance. CambridgeUniversity Press, 1990, pag. 33.

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Per Hubert Prolongeau, ad esempio, in Colombia “la guerra non è una coincidenza, ma un

sistema di vita. Di più: è il fondamento del diritto”.7 Le sorti del paese non dipendono dalle

decisioni risultanti dalla confrontazione tra le due tradizionali formazioni politiche, il

Liberale e il Conservatore, ma dallo scontro fisico tra gli eserciti reclutati dai grandi

proprietari, liberali e conservatori, dotatisi di una clientela di uomini arruolabili disposti a

servire gli interessi dei propri capi in caso di bisogno.

L’esercizio della forza è stata quindi la prerogativa caratterizzante l’occupazione della

quasi totalità delle terre colombiane e l’affermazione e la legittimazione su di esse del

potere di caudillos regionali. La struttura di potere conseguentemente consolidatasi per

l’inesistenza di un’autorità centrale sufficientemente forte, è stata quella del “partito come

confederazione di caciques regionali”8. Questa struttura di potere ha permesso la

formazione dello “Stato nazionale, costituito su una cultura politica di tipo federale,

essenziale presupposto per la definizione della forma stato oligarchica, che affidava ai

caciques regionali il controllo del territorio, dell’organizzazione sociale e economica, e

delle milizie armate”.9

D’altro canto la morfologia del territorio colombiano è particolarmente predisposta a tal

fine. Si tratta infatti, di un arcipelago diviso da tre imponenti cordigliere e da alcuni grandi

fiumi, come il Magdalena e il Cauca, estremamente diverso al suo interno: dai deserti

caraibici e quelli centrali compresi tra la costa atlantica e quella pacifica, si passa agli

altopiani, alle sterminate selve amazzoniche e alle immense pianure orientali.

Infine, a differenza di altre zone del continente sudamericano, i conquistadores spagnoli

giunti in Colombia, non si ritrovarono di fronte ad un impero centralizzato come quello dei

maya o degli incas, bensì davanti ad una miriade di popoli assai diversi tra loro.

Tale configurazione federale della forma Stato ha determinato per lungo tempo,

un’incapacità di esercizio del monopolio statale della forza fisica. La privatizzazione della

forza, così radicata nella società colombiana, costituisce sicuramente uno dei tanti elementi

che ci aiutano a spiegare perché la violenza abbia rappresentato l’unico elemento di

continuità nella storia della Colombia, a partire dalla sua indipendenza, fino ai giorni

nostri. La Colombia si presenta oggi come il paese dell’America Latina che ha registrato il

minor numero di dittature militari, ma in cui, paradossalmente, la violenza continua ad

7 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. BibliotecaUniversale Rizzoli, pag. 40.8 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze,1991, pag. 105.9 Ibidem.

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essere, ancor più che negli altri paesi, l’unico mezzo di confronto tra le diverse parti

sociali.

Ha inizio la lotta secolare tra conservatori e liberali.

La vita politica del paese, dalla metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, è stata

caratterizzata dalla lotta secolare tra il Partito Conservatore e quello Liberale costituitisi

attorno al 1848. Immediatamente dopo la loro nascita, i due partiti cominciarono a

scontrarsi perseguendo come unico obbiettivo l’eliminazione, uno dell’altro. Da allora,

solo nel XIX secolo, in Colombia sono state combattute, oltre a due guerre con l’Ecuador,

otto guerre civili nazionali e quattordici guerre civili regionali, fino ad arrivare alla

cosiddetta Guerra de los Mil Dìas: “un’ ininterrotta carneficina realizzata,

paradossalmente, in nome e per conto di due partiti, nati simili e diventati inesorabilmente

uno la fotocopia dell’altro”. 10

La Colombia di quegli anni produceva prevalentemente tabacco per l’esportazione, il cui

prezzo sul mercato internazionale si mantenne favorevole fino al 1875.11 L’oligarchia degli

esportatori forniva le basi del capitale finanziario bancario e industriale. Le fortune delle

grandi famiglie collegate alla terra e, inesorabilmente, alla politica, erano state risultato di

concessioni e contratti privilegiati stipulati direttamente con lo Stato. È in nome di questi

rapporti privilegiati con l’autorità centrale che fu possibile la prima accumulazione di

capitale ad opera della classe oligarchica. Per la peculiare genesi del capitale originario,

base del futuro avvio del processo di modernizzazione, l’economista Hector Mondragòn

definisce il capitalismo colombiano un “capitalismo burocratico”: un capitalismo molto

diverso da quello europeo e statunitense, prodotti dalla libera concorrenza delle merci nei

loro mercati interni e sorretti da politiche protezionistiche nei confronti del mercato

internazionale. Il “capitalismo burocratico” fece sì che, anche in ambito dell’industria

nazionale nascente, si costituissero dinamiche molto simili, grazie a cui, monopoli e

privilegi, vennero distribuiti in nome di amicizie e rapporti personali. Queste, furono le

basi della coalizione bipartitica del governo Reyes, ovvero l’uomo che diede avvio allo

sviluppo di un’industria di tipo capitalistica nel paese: la stessa coalizione costituì le

fondamenta dello Stato colombiano del XX secolo.

10 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 22.11 Mondragòn Hector, economista e consigliere di diversi movimenti sociali colombiani, tra cui il“Movimento Campesino e Indigena Colombiano”, Los ciclos y las crisis econòmicas enColombia, www.gratisweb.com/ciclocrisis.

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La Guerra de los Mil dias.

La Guerra de los Mil Dìas venne combattuta tra il 1899 e il 1902 e provocò la morte di

100.000 persone, anche se alcune fonti sostengono siano state 150.000. Essa riassegnò il

potere al Partito Conservatore, che lo aveva mantenuto per l’ultimo ventennio del XIX

secolo, e che lo conserverà fino al 1930.12 In realtà, la guerra non produsse né vinti, né

vincitori. La pace sopraggiunse solo grazie all’armistizio tra i due partiti, firmato sulla

nave statunitense “Wisconsin”. I danni provocati dalla guerra furono di tale portata, non

solo per quanto riguarda il numero delle vittime, ma anche per la quantità di manifatture e

piantagioni distrutte, da lasciare il paese in una situazione economica di crisi profonda,

permettendo agli Stati Uniti di approfittare della situazione per aprirsi la strada al controllo

di Panama. La presenza, fin dal 1839, di una spedizione statunitense sul territorio del

canale, inviata per studiare le possibilità di guadagni derivanti dall’apertura di un canale in

grado di collegare l’oceano Pacifico con quello Atlantico13, suggerisce l’idea che

Washington non intervenne in Colombia guidata esclusivamente dal suo spirito umanitario.

“L’intervento statunitense a Panama, fu determinante per la capitolazione dei liberali”.14

L’anno seguente l’armistizio, l’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt,

provocò una ribellione nei territori di Panama, inviò delle truppe militari per “proteggere” i

diritti dei rivoltosi guidati da Rafael Uribe Uribe e, infine, si affrettò a riconoscere

immediatamente la costituzione del neonato Stato indipendente nel 1903. Lo stesso anno

venne firmato un accordo tra Washington e il nuovo governo panamense per la costruzione

del canale, i cui lavori cominciarono l’anno seguente.15

Ad ogni modo, la ragione principale per la quale le tensioni tra i due partiti vennero

temporaneamente messe da parte, a conclusione della sanguinolenta Guerra de los Mil

dìas, fu la promettente accumulazione di capitale proveniente dall’economia di

esportazione.16 A partire dal crollo del prezzo del tabacco avvenuto durante l’ultimo

quindicennio del XIX secolo, l’economia d’esportazione si stava riorientando verso la

produzione del caffè.

12 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. Rizzoli.13 Piccoli Guido, Colombia. Utet Libreria, Milano, 1996.14 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editorialeFirenze, 1991.15 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003.16 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editorialeFirenze, 1991.

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La Repubblica Conservatrice (1880-1930).

Durante la Repubblica conservatrice, la Colombia si affermò come paese monoesportatore

di caffè. I nuovi produttori di caffè affiancatisi ai latifondisti tradizionali, rafforzarono

gradualmente il loro potere economico. Gli enormi profitti derivanti dall’introduzione di

metodi di coltura più moderni, avevano permesso lo sviluppo di un sistema bancario

efficiente, l’incremento e la modernizzazione delle vie di comunicazione, per collegare i

centri di produzione delle materie prime ai porti per l’esportazione. Tali trasformazioni

erano avvenute ad opera di quella parte dell’oligarchia, rappresentata politicamente dal

Partito Liberale, che fin dalla “Revoluciòn del Medio Siglo” del 1850, si era mostrata la più

incline alle trasformazioni del vecchio sistema economico di tipo coloniale.

Il paese divenne in quegli anni il secondo produttore al mondo di caffè (subito dopo il

Brasile). Il caffè attrasse una parte rilevante della popolazione agricola, determinando una

mobilità del lavoro fino ad allora del tutto sconosciuta. Tale mobilità portò nuove abitudini

di vita, quali l’iniziale diffusione del sistema salariale che, rivoluzionando la tradizionale

organizzazione del lavoro, di lì a qualche decennio, avrebbero portato enormi cambiamenti

alla struttura delle relazioni di potere.

Fino a quel momento, la maggioranza della popolazione contadina del paese, ovvero la

maggioranza dei colombiani, era rimasta “prigioniera” nelle forme di organizzazione

sociale pre-capitaliste rappresentate dal modello dell’hacienda. In tale sistema di potere, la

dominazione veniva accettata come parte di un ordine naturale. Le relazioni di potere di

questo modello si possono esemplificare in uno schema a triangolo, caratterizzato

dall’inesistenza della base, di questo tipo:

Patròn

Peòn Peòn

Spiegazione: la relazione di potere tra padròn e peòn è verticale, ciò indica un

rapporto fortemente personalizzato e differenziato; l’inesistenza del rapporto

orizzontale tra i peones, indica invece che la solidarietà tra contadini è inesistente,

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da cui l’impossibilità di maturare una qualsiasi coscienza di classe e,

conseguentemente, l’incapacità d’azione a livello socio-politico.17

Secondo l’economista Hector Mondragòn18, l’egemonia di questo modello fu sancita dalla

storica sconfitta della rivolta degli artigiani di Santander, nel lontano 1854. L’economia del

latifondo concentrava il capitale al campo del guadagno commerciale, allontanandolo da

quello della produzione. Essa si reggeva sulle regole del libero commercio. Durante gli

anni ’50 del XIX secolo, anche in America Latina giunsero gli echi delle idee

rivoluzionarie alla base dei moti europei del ’48. La diffusione di queste idee non solo

permise la Revoluciòn del Medio siglo, ad opera dell’oligarchia dominante di stampo

liberale, ma costituì anche il collante tra gli artigiani colombiani, mobilitatisi per la prima

volta “contro gli oligarchi della terra e del commercio, difensori delle idee liberiste della

borghesia britannica e dei suoi economisti”. Il loro intento era quello di difendere il

nascente mercato interno colombiano e la neonata piccola industria manifatturiera

nazionale. Gli artigiani di Santander trovarono il sostegno delle popolazioni indigene

locali, occupati ad impedire l’ingresso dei prodotti stranieri nella zona, per non rovinare gli

artigiani locali. Inizialmente, anche l’esercito indipendentista appoggiò la rivolta. Le

milizie irregolari reclutate dai grandi proprietari terrieri, vennero pertanto armate con

l’aiuto finanziario delle grandi potenze europee di Gran Bretagna, Prussia e Francia. In

particolare, la Francia si sentiva direttamente coinvolta dalle sorti di quel lontano paese,

perché compromessa nell’ideazione di un mega-progetto, che sarebbe poi stato portato a

termine dagli Stati Uniti molti anni dopo: la costruzione del canale di Panama. La rivolta

degli artigiani, guidata dall’indigeno Josè Maria Melo, venne pertanto sedata e, la vittoria

del latifondo, corrispose anche alla vittoria del libero commercio. Venne quindi sancita la

dipendenza dell’economia esportatrice colombiana (dapprima di tabacco poi di caffè)

all’economia internazionale.

La sopravvivenza del modello coloniale dell’hacienda venne garantita, ancora per lungo

tempo, da un sistema di potere di tipo feudale, basato sul monopolio delle classi dirigenti

(conservatrici e liberali) in campo economico, politico, sociale e culturale.

Contemporaneamente, il potere dell’èlite dominante fu sostenuto dal rafforzamento della

grande proprietà terriera, protrattosi per tutti gli anni della Repubblica Conservatrice. Ciò

17 Alberti G., Lezione universitaria del corso “ Teoria dello sviluppo politico“, presso l’Universitàdi Bologna, Facoltà di scienze Politiche, 2003.18 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,www.gratisweb.com/ciclocrisis.

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avvenne in seguito alla privatizzazione di numerose terre pubbliche e di moltissime

proprietà indigene, a beneficio dei grandi latifondisti.19

Le prospettive di guadagno, derivanti dall’ economia monoesporatrice del caffè,

stimolarono ingenti prestiti concessi dalle banche straniere. I capitali stranieri costituirono

un importante contributo per il finanziamento della costruzione delle nuove reti ferroviarie

e dei nuovi porti, che si sommarono ai 25 milioni di dollari provenienti da Washington per

il pagamento dell’indennizzo di Panama. Per dare un’idea dell’entità di questi contributi,

per lo più provenienti dagli Stati Uniti, basti pensare che gli investimenti diretti statunitensi

durante quella che venne chiamata la Danza de los Miliones, passarono dai 4 milioni di

dollari del 1913 ai 173 milioni del 1929.20 Dopo il 1920, tali investimenti si concentrarono

su due nuovi settori destinati a diventare componenti fondamentali dell’industria per

l’esportazione: le banane e il petrolio. Ad esempio, la multinazionale statunitense “United

Fruit Company” affermò in quegli anni il suo controllo su enormi piantagioni di banane,

lungo la costa caraibica.

Lo sviluppo dell’industria, la crescita delle città e la diffusione dei lavori pubblici, diedero

origine ai primi nuclei di classe operaia. Quelli impiegati nelle industrie manifatturiere dei

sigari, delle bevande, dei tessuti e del cemento, non erano ancora sufficientemente forti per

guidare le azioni sindacali. Al contrario, i lavoratori delle città portuali (Santa Marta,

Cartagena, Barranquilla), i trasportatori del Rìo Magdalena e i petroliferi della città di

Barrancabermeja, organizzarono i primi imponenti scioperi avvenuti tra il 1924 e 1927.

Dalle città, le mobilitazioni popolari si spostarono nelle campagne. Nel 1928 toccò alla

“United Fruit Company” far fronte ad una delle lotte sociali più dure di quegli anni. Le

rivendicazioni dei braccianti delle piantagioni di banane della località di Santa Marta erano

basilari: il riposo domenicale, delle condizioni sanitarie umane, l’assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro, modesti aumenti salariali e, soprattutto, il pagamento del salario in

denaro. I bananeros infatti, venivano pagati con dei buoni da spendere nei magazzini della

stessa impresa, dove era possibile comprare solo merci carissime prodotte negli Stati Uniti

e, importate, per non far tornare vuote le navi che portavano le banane a New Orleans. Il 5

dicembre del 1928, anziché un negoziatore governativo, venne mandato l’esercito a trattare

con i braccianti. La “matanza en las bananeras”, il massacro attuato contro gli scioperanti

e le loro famiglie, causò ben 100 morti e più di 200 feriti.21 Quest’evento gravissimo, reso

19 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003.20 Ibidem.21 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze,1991.

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popolare e famoso nel mondo da Gabriel Garcia Marquez (che lo raccontò nella sua opera

più celebre “Cien años de soledad” del 1967), “mise fine alla vecchia visione della lotta

politica fondata sui valori della tradizione e dell’ordine istaurando un diverso rapporto tra

le classi dirigenti e quelle subalterne, fondato sulla violenza e la repressione”.

“La carneficina della Cienaga chiarì inoltre che le forze armate colombiane erano disposte

ad agire come un plotone d’esecuzione del proprio popolo, pur di tutelare gli interessi del

capitale straniero”.22 L’atteggiamento delle forze militari, non era motivato solo da scelte

politiche ed ideologiche, ma era anche assicurato dalla condotta delle imprese statunitensi,

che fin da allora, usavano pagare direttamente i militari per garantire la protezione dei loro

impianti.

In Colombia il dominio feudale della vecchia classe di notabili cominciava a mostrare i

primi segni di un lento, ma inesorabile, collasso su stesso. L’astuzia di alcuni li condusse

ad allearsi con quei latifondisti più coraggiosi che avevano avviato il processo di

modernizzazione. D’altronde non fu difficile cedere alla tentazione di partecipare agli

ingenti profitti legati all’economia cafetalera e all’interesse che in essa venne

immediatamente riversato dal capitale straniero (soprattutto inglese e americano). Molto

meno allettanti si mostravano le conseguenze che quelle trasformazioni economiche

avrebbero avuto in campo politico e sociale. La paura per l’emergere dei nuovi ceti, medi

e popolari, e delle loro rivendicazioni economiche e sociali, aveva appena cominciato a

farsi sentire. I decenni a seguire presagivano violenti sconvolgimenti, contro l’avanzata dei

quali il potere costituito avrebbe scelto la via del sangue.

La Grande crisi del 1929-1930 e i suoi effetti.

L’ulteriore accelerazione e avanzamento del processo di modernizzazione colombiano

avvenuto a partire dal 1930, fu conseguenza della situazione economica internazionale. In

conseguenza degli effetti della Grande Crisi mondiale del 1929-30, iniziò in Colombia,

come nel resto del continente sudamericano, il processo di sostituzione delle importazioni.

Con esso si diede avvio allo sviluppo del paese, in senso propriamente capitalistico. Il

processo di sostituzione delle importazioni fu possibile grazie all’accumulazione, nel

trentennio precedente, di capitale proveniente dall’ economia cafetalera, ma anche, grazie

all’ulteriore accumulazione di capitale, avvenuta durante gli anni del primo conflitto

22 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso.. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 36.

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mondiale. Negli anni seguiti alla Prima Guerra mondiale, le classi dirigenti al potere

adottarono una politica economica protezionistica.

Gli effetti negativi della crisi mondiale furono limitati in Colombia, sia rispetto alle grandi

potenze mondiali, sia rispetto ai grandi paesi del continente sudamericano (Argentina,

Messico, Brasile), a causa del lento avvio del suo processo di industrializzazione: nel 1925,

solo il 10% del PIL proveniva dall’industria nazionale.23

Il processo di sostituzione delle importazioni, caratterizzato da una politica economica di

tipo interventista permessa dagli alti prezzi internazionali del caffè, si articolò in due fasi

successive: una prima fase, in cui l’industria nazionale venne orientata verso la produzione

dei beni di consumo immediato (i beni intermedi continueranno a dipendere ancora per

molto tempo dall’industria pesante nordamericana); una seconda fase, in cui la Colombia

cominciò a vendere sul mercato internazionale i suoi prodotti agricoli ed estrattivi e, in

cambio, a ricevere le divise necessarie per acquistare i macchinari, per lo più provenienti

dagli Stati Uniti.24

La meccanizzazione e tecnicizzazione avvenute in Colombia tra il 1932-1940 diedero

avvio ad un ciclo industriale tipicamente capitalista, caratterizzato da un forte aumento

della produttività.25 La meccanizzazione dei paesi dell’America Latina costituì una valvola

di sfogo per l’economia degli Stati Uniti, colpita dalla Grande Depressione. Il potente

vicino di casa ebbe modo di “rivalorizzare macchine non più rendibili nel suo paese,

assicurandosi il monopolio nei mercati in espansione dei paesi in via di sviluppo.”26 Le

innovazioni introdotte in Colombia favorirono, negli anni a venire, la concentrazione

dell’industria e dei suoi profitti, mentre di pari passo la produzione artigianale e

manifatturiera venne isolata per mancanza di competitività. Contemporaneamente, la

politica prevalentemente antisindacale adottata dalla classe dirigente favorì il processo di

concentrazione e accumulazione delle ricchezze. “Tale accumulazione non corrispose mai

ad un aumento proporzionato della produzione dei beni di consumo immediato”.27

La sostituzione delle importazioni proseguì, a partire dalla sua seconda fase, concentrando

il capitale nazionale e straniero nella produzione di beni intermedi basici (carta, caucciù,

metalli, chimici e petrolchimici). Queste scelte economiche adottate dallo Stato

23 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.24 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale Firenze,1991.25 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,www.gratisweb.com/ciclocrisis.26 Ibidem, pag. 7.

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colombiano, fortemente volute dalle imprese private nazionali e straniere, generarono il

consolidamento dei gruppi finanziari, colombiani e stranieri, in mezzo all’impoverimento

popolare.

La decisione dell’oligarchia liberale di non intaccare il potere dei signorotti locali fu

dettata dall’alleanza bipartitica nata nel XIX secolo e rimasta alla base dello Stato

colombiano nel secolo successivo. Questa scelta comportò l’aumento costante della

distanza tra i tassi di crescita della produzione industriale e di quella agricola, a partire dal

processo di sostituzione delle importazioni fino ai giorni nostri. Pertanto, le conseguenze di

lungo termine della crisi mondiale e delle scelte economiche della classe dirigente

colombiana penalizzarono nel complesso le classi lavoratrici, tra cui soprattutto quelle

legate al mondo agrario.

Anche gli effetti negativi di breve termine della crisi mondiale si riversarono sulle classi

subalterne. In primo luogo, esse furono colpite dall’aumento della disoccupazione per la

diminuzione della domanda sul mercato internazionale dei prodotti colombiani per

l’esportazione; in secondo luogo, dalla caduta dei salari reali causata dall’aumento del

costo della vita perché, nel paese monoesportatore, il fabbisogno alimentare della società

veniva soddisfatto dai prodotti dell’importazione.28

Parallelamente, gli effetti a breve termine della crisi, colpirono anche la componente

latifondista e quella legata al commercio del caffè, in seno alla classe dirigente. I settori

legati all’economia monoesportatrice uscirono, nel complesso, indeboliti dalla crisi

mondiale, a causa del crollo dei prezzi e della domanda di caffè sul mercato internazionale.

D’altro canto, “la notevole concentrazione della ricchezza non poteva che avvenire in parte

grazie alla sensibile diminuzione quantitativa del ceto dei notabili”.29 Come abbiamo visto

però, parte della classe dirigente legata all’esportazione, per lo più di stampo liberale,

seppe riprendersi rapidamente grazie all’avvio del nuovo ciclo propriamente capitalista

dell’economia colombiana di cui divenne protagonista.

La Repubblica liberale (1930-1946)

Gli interessi dei poli più dinamici dell’economia colombiana, politicamente rappresentati

dal Partito Liberale, furono largamente favoriti dagli effetti della Grande Crisi del 1929.

27 Ibidem.28 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.29 Carmagnani Marcello, Casetta Giovanni, America Latina: la grande trasformazione.1945-1985.Einaudi, 1989.

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Pertanto, la loro contrapposizione con l’immobilismo dei latifondisti più conservatori,

legati ai tradizionali rapporti di lavoro e alla grande proprietà, si fece sempre più manifesta.

Nella lotta al tradizionalismo rurale, i liberali decisero di intraprendere la strada delle

riforme, cercando di attirarsi il sostegno delle classi popolari liberate dalla

modernizzazione avviata.30

Il nuovo regime liberale attuò la propria politica di modernizzazione soprattutto durante il

governo del figlio di uno degli uomini della finanza più importanti dell’epoca, le cui

fortune erano legate all’esportazione di caffè: il banchiere Alfonso Lòpez Pumarejo.

Durante i due mandati in cui governò, López portò al centro del dibattito politico istanze di

carattere sociale e lavorativo. Il suo ruolo nella storia politica colombiana è simile a quello

svolto dal suo contemporaneo Franklin D. Roosevelt negli Stati Uniti: le scelte politiche di

López furono molto influenzate dalla politica del “New Deal”.31

Con quella che venne proclamata, non senza una forte carica demagogica, la “Revoluciòn

en Marcha”, durante il suo primo mandato (1934-1938), Lòpez introdusse il suffragio

universale maschile; adottò misure per un aumento dell’intervento statale a difesa della

neonata industria nazionale; limitò il potere della Chiesa; tassò i profitti attraverso la

riforma tributaria; stimolò la contrattazione collettiva con la costituzione del Dipartimento

Nazionale del Lavoro, il riconoscimento e l’appoggio mostrato alle prime organizzazioni

sindacali nazionali; legalizzò lo sciopero; promulgò la legge 200, che riconosceva la

funzione sociale della proprietà terriera e prevedeva una distribuzione controllata delle

terre incolte.32

La legge 200 del 1936 stabiliva la redistribuzione di quei latifondi superiori ai 300 ettari, in

cui non veniva assicurato l’uso della terra a fini sociali.33 Inspirandosi a questo principio, la

legge stabiliva che i campesinos sarebbero divenuti proprietari delle terre che lavoravano

da più di dieci anni. Infine, a difesa del campesino, legalizzava solo quei titoli di proprietà

emessi dallo Stato e, per quelli privati, convalidava solo quelli emessi prima del 1917 (il

che significa che venivano legalizzati tutti i titoli privati falsi, prodotti dai vari notai,

durante e dopo la lunga Guerra de los Mil dìas).

30 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.31 Bushnell D., The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University of CaliforniaPress, Oxford, 1993.32 Livingstone G., Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003.33 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.

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L’obbiettivo di tale provvedimento era quello di favorire la creazione di una classe media

di contadini che avrebbe stimolato lo sviluppo economico del paese con l’introduzione

della forma di produzione capitalista nelle campagne. In questo modo, si voleva frenare

l’avanzata del comunismo nel mondo rurale. In quegli anni infatti l’attività dell’Union

Nacional de la Izquierda Revolucionaria (UNIR) aveva cominciato ad attirare l’attenzione

e il consenso di una parte sempre più consistente della popolazione contadina, ossia una

delle componenti sociali più colpite dagli effetti immediati della crisi mondiale.

Grazie alla sua grande capacità oratoria e alla forza evocativa di slogan quali “la terra a chi

lavora” o “la fame non è né liberale né conservatrice”, il leader di tale organizzazione

contadina, l’avvocato di origine india Jorge Eliécer Gaitàn, cercava di mettere in guardia le

masse popolari dalle false divisioni esistenti in seno al popolo colombiano. Per Gaitàn i

due partiti tradizionali non costituivano altro che un “unico partito a due facce, ossia il vero

nemico del paese, schierato a difesa del potere oligarchico e contro gli interessi delle masse

popolari”. 34

A partire dal 1934 i capi contadini dell’UNIR cominciarono a essere massacrati dalle

“guardie regionali”, ossia sicari finanziati dai latifondisti. Dopo alcuni di questi massacri,

Gaitàn scelse di far confluire il suo movimento nell’onnicomprensivo Partito Liberale.

Se la riforma agraria promossa dalla legge 200 costituì uno degli ultimi colpi sferzati

contro il tradizionale sistema agrario dominato dall’hacienda, l’introduzione del suffragio

universale maschile e la legislazione del lavoro furono misure adottate dalle forze liberali

al potere, per assicurarsi il consenso delle classi popolari, ossia il necessario alleato

nell’opposizione al potere latifondista. Allo stesso tempo, queste misure servirono a

canalizzare le tensioni sociali entro strutture sindacali facilmente controllabili. López e i

suoi alleati erano infatti convinti che la negoziazione, e non l’autoritarismo, fosse la vera

chiave per il progresso e per l’allargamento del potere d’intervento dello Stato centrale. La

determinazione di un’ “aristocrazia di lavoratori”35 come interlocutrice preferenziale del

governo, avrebbe impedito l’emergere di un movimento autonomo e più radicale della

classe operaia, capace di mettere seriamente in pericolo la classe al potere e l’ordine

costituito.

34 Jerez Cisar. Consigliere di varie organizzazioni contadine e rappresentante dell’associazionecontadina di Cimitarra: Coordinaccion Coca Colombia; dalla sua esposizione al seminario Elconflicto social colombiano: una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.35 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 64.

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Per Giovanni Casetta36, con questa serie di riforme sociali la Colombia si inseriva in quel

movimento politico-economico che coinvolse tutti i paesi del continente latinoamericano:

il populismo. Questa forma di dominio statale caratterizzata da un ampio intervento e

controllo dello Stato in campo economico, risentiva chiaramente degli effetti che provocò,

a livello mondiale, la politica economica attuata dal potente vicino di casa, attraverso il

New Deal di Roosvelt.

Al contrario, Daniel Pécaut37 non riconosce affatto nella Revoluciòn en marcha della

Repubblica Liberale una manifestazione di quello che fu il populismo. Anzi, nella politica

di modernizzazione adottata dal Partito Liberale degli anni Trenta, egli scorge uno dei tre

grandi ostacoli che hanno impedito la piena affermazione del populismo in Colombia, nelle

due uniche occasioni in cui tale fenomeno raggiunse dimensioni nazionali: l’ immensa

mobilitazione popolare suscitata da Jorge Eliécer Gaitan tra il 1945 e il 1948 e quella che

riuscì ad ottenere l’ANAPO, l’organizzazione creata dal generale Rojas Pinilla per

combattere il Fronte Nazionale.

Come abbiamo già visto, quando Casetta tenta di spiegare le ragioni esistenti alla base

della continuità della violenza nella storia colombiana, egli ricorre ad elementi strutturali

della “forma-stato oligarchica” 38, sviluppatasi sulla base di una forma partito concepita

come “configurazione di caciques regionali”.39

La frammentazione sociale, legata alla frammentazione del territorio e alla permanenza di

numerose zone escluse al controllo statale è, anche secondo l’analisi di Pécaut, ciò che ha

determinato il consolidarsi e il protrarsi fino ai giorni nostri di “pratiche politiche” che non

trovano la loro legittimazione nella capacità di mediare i diversi interessi rappresentati, ma

che sono derivate da “transazioni e conflitti tra i poteri in gioco, a tutti i livelli della

società”.40 Questo però, come ci spiega nel suo libro Guerra contro la società, è solo uno

dei tre aspetti alla radice del fallimento del populismo e, al secondo lui conseguente

continuo ricorso nella storia della Colombia a pratiche di violenza. In particolare, la

continuità con quanto sostenuto da Casetta continua, anche per quanto riguarda il secondo

36 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991.37 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001. Daniel Pécaut èun grande esperto delle problematiche del continente sudamericano, in particolare è un profondoconoscitore del paese colombiano. Nella sua brillante carriera di studioso è succeduto, per bendieci anni, ad Alain Touraine nella direzione del “Centro Studi dei Movimenti sociali”. Dopo taleincarico è stato direttore di una delle principali riviste riguardanti il continente sudamericano, larivista francese Problemes d’Amèrique Latine.38 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 105.39 Ibidem.40 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 55.

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ordine di fattori, ossia la rigida rivalità esistente tra le due formazioni politiche tradizionali.

È solo Pécaut però a mettere sufficientemente in evidenza il carattere non sostanziale di

tale contrapposizione e della conseguente divisione della società colombiana secondo una

“geografia di partito”.41

Pècaut insiste sulla scelta della classe dirigente, conservatrice e liberale, di mantenere la

medesima intensità dello scontro tra le due formazioni politiche, dalla loro costituzione ai

giorni nostri, senza che tra di esse ci fossero “precise differenze nei loro interessi

socioeconomici, esclusa una diversa visione del ruolo della Chiesa nella creazione di un

ordine sociale”.42 Se il Partito Conservatore ha da sempre considerato il forte potere

clericale esercitato sul sistema culturale del paese e sulle sue istituzioni come il mezzo

indispensabile per garantire l’ordine, il Partito Liberale lo ha sempre visto come un

ostacolo alla progressiva modernizzazione del paese. Dall’altra, in questioni più centrali

per lo sviluppo e la crescita della nazione, i due partiti hanno invece ripetutamente

dimostrato, nel corso dei successivi decenni, di non avere visioni contrastanti né sulla

questione della terra né, più in generale, sulle politiche redistributive dei beni e dei servizi

e sulle rivendicazioni provenienti dalle classi medie e popolari per una maggiore

partecipazione politica. Pertanto la divisione bipartitica della classe politica si consolida

grazie al sangue versato nelle innumerevoli guerre interne dai partigiani di entrambe le

fazioni politiche nel corso dei decenni. L’affiliazione alle due formazioni partitiche riesce a

penetrare fino in profondità nella società colombiana, urbana e rurale, grazie alla

trasformazione delle ideologie liberali e conservatrici in vere e proprie “sottoculture”,

trasmesse di generazione in generazione. Dietro lo scontro demagogico tra valori

propriamente conservatori (quali quelli legati a Dio, alla patria e alla famiglia) e valori

sbandierati dai liberali (che si rifacevano ai principi di uguaglianza, libertà e fratellanza) la

strategia politica più utilizzata da entrambi i partiti è sempre stata quella dell’esclusione

dell’avversario. Modalità d’azione utilizzata congiuntamente quando qualche gruppo

politico e sociale colpiva i privilegi del potere costituito, da trasformarsi in armo d’attacco

per colpire l’avversario nei momenti di relativa calma, ovvero quando le rivendicazioni

popolari erano già state precedentemente evitate e indefinitamente rimandate.43

Tornando a Pécaut, egli sostiene che questa lotta politica escludente interminabile ha

favorito una generale sfiducia della società nell’autorità centrale dello Stato. Questo,

lontano dall’aver raggiunto il monopolio della coercizione e della giustizia, viene per lo più

41 Ibidem, pag. 56.42 Ibidem.43 Marquez Gabriel Garcia,Vivere per raccontarla, Mondatori, 2002.

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percepito come una minaccia dei diversi poteri locali. Di conseguenza, l’idea stessa di

cittadinanza politica possiede solo un contenuto vago, in un paese che riconosce come suo

unico mito fondante l’uso della violenza in ogni circostanza: mito che “si attualizza ad ogni

istante attraverso le guerre civili, ma anche nelle elezioni, percepite non come una

derivazione del principio di legittimità, ma come la manifestazione di una semplice

relazione di forza”44. E’ facile quindi comprendere Pécaut quando afferma che “le

rappresentazioni del politico hanno privato l’idea di popolo unificato di qualsiasi

significato”. 45

Infine, il terzo ed ultimo ostacolo al populismo (ed è qui che l’analisi di Pécaut si allontana

in misura più consistente da quella di Casetta), è stato determinato dalla gestione privata

della politica economica ad opera del Partito Liberale negli anni Trenta. La

modernizzazione avviata non mette per nulla in discussione la struttura di potere

tradizionale, né cerca di rinnovare l’immaginario sociale di un “popolo che possiede

un’identità politica che va oltre alla sua identificazione con i due partiti”.46

Dopo la caduta del prezzo del caffè, conseguente alla crisi mondiale del 1929-1930, il

compito di definire le misure economiche necessarie al superamento della crisi non venne

assunto dal potere statale, bensì fu affidato ad un’organizzazione privata: la Federaciòn de

Cafeteros (FEDECAFE’). Espressione dell’èlite economica legata alla coltivazione e alla

commercializzazione del caffè, la FEDECAFE’ si schierò a difesa della liberalizzazione

dell’economia e contro l’adozione di qualsiasi misura protezionistica. Del resto, anche gran

parte dell’élite economica legata all’industria nascente rifiutava un intervento diretto dello

Stato nella politica economica, che rimase pertanto gestita da un sistema di tipo

corporativo.

Rispetto agli altri paesi dell’America Latina, la Colombia ha potuto quindi limitare

significativamente la propria spesa pubblica. In quegli anni, il vantaggio della gestione

privata dell’economia politica è sicuramente stato quello di non avere dovuto soffrire le

conseguenze, estremamente negative, delle numerose impennate inflazionistiche dei paesi

vicini. Al contempo, la gestione privata dell’economia si è rivelata uno degli ostacoli più

grandi per lo sviluppo industriale del paese e per la piena affermazione di un movimento

populista che avrebbe facilitato il riconoscimento dei diritti sociali. Allo Stato Colombiano

venne negata ancora una volta, ora per mano liberale, prima per mano conservatrice, la

possibilità di assumere un’autonomia reale, dapprima in campo economico, quindi in

44 Pécaut. Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 56-57.45 Ibidem.46 Ibidem, pag. 57.

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quello politico. “Il gaitanismo mise alla luce le difficoltà davanti alle quali si trovò la

mobilitazione populista, in un paese dove il processo di sostituzione delle importazioni e di

industrializzazione rimanevano limitati, in quanto associati agli interessi costituiti.”47 Gli

elementi necessari per la creazione di una nuova alleanza, sulla base della quale ricreare

uno Stato nuovo, erano venuti meno. Innanzitutto, le dimensioni raggiunte dalla

mobilitazione della forza lavoro erano insufficienti. Ancora troppo forte era il legame della

classe media con l’èlite dominante per le possibilità d’impiego che quest’ultima gli offriva;

né era avvenuta una riforma in senso progressista delle Forze Armate. Infine, la gestione

privata dell’economia e il limite che essa esercitò sullo sviluppo industriale del paese fece

sì che la popolazione rurale rimanesse una maggioranza determinante dal punto di vista

elettorale. Questa, a sua volta, era ancora troppo legata ai poteri locali. Come ricordano

Palacios e Abel, fino al 1947, nemmeno Gaitàn era riuscito a controllare la rete informale

di potere dei caciques liberali. Non è quindi certo che il successo straordinario che il leader

populista stava ottenendo tra le masse popolari, soprattutto quelle rurali, sarebbe stato tale

da colmare l’assenza di altri fattori determinanti per la creazione della base sociale

necessaria a sovvertire l’ordine costituito. Quel che è certo ed indiscutibile è che Gaitàn

venne violentemente privato della possibilità di tentarci.

Solo in ambito culturale la Revolucion en Marcha adottò le misure necessarie al

rafforzamento del potere statale. Con la riforma costituzionale del 1936 il processo di

secolarizzazione avanzò in misura considerevole. Innanzitutto, nel preambolo della

Costituzione venne eliminato qualsiasi riferimento alla potenza divina come fonte di

autorità. In secondo luogo, uno dei maggior meriti della riforma fu la diffusione

dell’istruzione pubblica. Tra gli effetti più immediati, le nuove misure introdotte

contribuirono ad esasperare lo scontro tra liberali e conservatori, i quali interpretarono le

modifiche del testo costituzionale, come un vero e proprio sacrilegio. Intanto, i duri

attacchi reciprochi non fecero altro che alimentare la già profonda sfiducia della società

colombiana nei riguardi dell’autorità delle istituzioni statali.

Secondo Pècaut48 quindi, il sistema di potere colombiano non venne minato nelle sue

fondamenta. E’ per questo che egli non considera il progetto riformista liberale un progetto

realmente populista. Se in America Latina il populismo ha assunto caratteri molto diversi a

seconda della specificità delle differenti realtà nazionali, in tutti i casi il populismo si è

presentato come un tentativo di fondare l’ordine sociale su nuove basi, in seguito al diffuso

47 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 612.48 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.

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timore che la disorganizzazione avrebbe prevalso nelle società dei diversi paesi. Il

populismo mise alla luce l’inadeguatezza, nel contesto sudamericano, di quelle

rappresentazioni del politico e dell’economico capaci di garantire l’ordine sociale in

Europa, a partire dall’idea di un mercato in grado di autoregolarsi, fino ad arrivare alle

leggi naturali che sanciscono l’uguaglianza degli individui. Pècaut ritiene che attraverso il

populismo, protagonista della realtà politica dei paesi latinoamericani nel corso degli anni

’20 e ’40, le società sudamericane tentarono “di scoprire quella realidad che sembrava

rovinare il progetto politico della modernità. Le configurazioni populiste costituiscono un

tentativo di evocare un’altra finzione, adatta a questa realtà, quella di un patto fondante

attraverso cui il popolo diventa soggetto politico grazie ad un leader e senza passare

attraverso i classici meccanismi di rappresentazione”.49 Il concetto espresso dal termine

realidad, frequentemente utilizzato nei discorsi dei riformisti di quegli anni, si riferisce alla

specificità della razza locale o alla sua cultura sottostante e, allo stesso tempo, vuole

sottolineare la sua diversità in relazione alle istituzioni artificiali introdotte in America

Latina dal potere colonialista.

La Violencia (1946-1958)

Il contesto internazionale.

Il riconoscimento mondiale della supremazia della potenza statunitense tra i vincitori della

seconda Guerra Mondiale si concretizzò con la nascita del sistema di Bretton Woods nel

1944: alla luce della posizione di privilegio conquistata dagli Stati Uniti il dollaro s’impose

come modello monetario mondiale. Parallelamente vennero create le istituzioni

internazionali necessarie per la coordinazione delle politiche economiche di tutti i paesi

aderenti a Bretton Woods, il cui compito sarebbe stato determinante per garantire la

stabilità e la solidità del nuovo sistema: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la

Banca Mondiale (BM), istituti dipendenti dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.50

Immediatamente, si fece chiaro il principale obbiettivo del nuovo sistema: l’espansione del

commercio, elemento chiave del modello di sviluppo capitalistico e mezzo necessario per

frenare l’avanzata socialista nel mondo. Nel 1948 venne sottoscritto il General Agreements

of Trade Tariffs (GATT), il cui schema insisteva sulla libertà del cambio. In questo modo

si sarebbero favorite le esportazioni delle materie prime, provenienti dai paesi del Terzo

49 Ibidem, pag. 61-62.50 Giordano Giancarlo, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999.

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Mondo, e dei prodotti finiti provenienti dai paesi industrializzati. Molti erano coloro che

sosteneva che il nuovo sistema economico avrebbe favorito un’equa ripartizione delle

ricchezze su scala mondiale, ma ben presto cominciarono a scorgersi i primi segni riguardo

la formazione di una divisione gerarchica del lavoro a livello internazionale.51

La ridefinizione delle relazioni Nord-Sud nel continente americano non si limitò al campo

commerciale, ma investì anche il piano politico: nel 1948 nacque l’Organizzazione degli

Stati Americani (OEA). Sul piano militare invece gli accordi relativi ad una comune

politica di difesa erano già stati stipulati durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale,

attraverso l’istituzione della Giunta Interamericana di Difesa nel 1942. Tale collaborazione

militare venne ribadita a due anni dalla conclusione dell’ultimo conflitto mondiale con la

firma del Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR).

Nella fattispecie, la posizione della Colombia sul mercato internazionale subì grossi

cambiamenti a partire dal 1955, anno in cui fecero ingresso i nuovi raccolti di caffè

provenienti dal continente Africano. Fu allora che la competitività del caffè colombiano,

così come del caffè brasiliano, subì un duro colpo. Brasile e Colombia cercarono

meccanismi difensivi distinti, ma le politiche liberoscambiste riguardo alla circolazione

delle materie prime sul mercato mondiale non lasciavano grandi spazi di manovra.52 Al

riguardo gli interventi del segretario del Tesoro degli Stati Uniti al Consiglio Economico e

Sociale Interamericano dell’Organizzazione degli Stati Americani, Gorge Humpray, furono

esaustivi: egli manifestò apertamente grosse ostilità riguardo le richieste avanzate di

stipulare degli accordi per fissare il prezzo dei beni di prima necessità. 53

Le disillusioni della Revoluciòn en Marcha.

Molti in quegli anni avevano voluto credere nel carattere riformatore della Revoluciòn en

Marcha. Le promesse di Lòpez Pumarejo erano sembrate credibili non solo agli occhi degli

intellettuali liberali, ma anche a quegli degli operai e del Partito Comunista Colombiano

costituitosi nel 1930, forte soprattutto nelle zone del Tolima e della parte sud-occidentale

del Cundinamarca, ovvero zone dedite alla coltura del caffè.54

Le prime disillusioni sopraggiunsero con la presidenza del liberale Eduardo Santos (1938-

42), che non si preoccupò di mettere in atto la maggior parte dei provvedimenti della

51 Rodriguez Octavio, La teoria del subdesarrollo de la CEPAL. Siglo XXI Editores, quintaedizione, Bogotà, 1986.52 Montoya A. S., Critica al Alca. Ediciones Aurora, Bogotà, 2003.53 Bates Robert, Politica internacional y economica abierta. TM editores, Bogotà, 1999.54 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.

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legislazione precedente.55 Soprattutto nel mondo agrario, l’insoddisfazione stava crescendo

a macchia d’olio. Difatti, i provvedimenti della legge 200 erano rimasti praticamente

inapplicati. A rendere inefficace quanto stabilito dalla riforma agraria del 1936 intervenne

la complessità burocratica e, soprattutto, la strenua resistenza incontrata nei latifondisti. Per

impedire l’applicazione del testo legislativo i grandi proprietari terrieri ricorsero ai mezzi

più vari: da misure subdole di dubbia legalità (come la strategia di posizionare anche un

unico capo di allevamento su enormi appezzamenti di terra, per dimostrare l’“utilizzo

sociale” dell’intero latifondo), fino al dispiegamento dei mezzi di repressione più duri,

grazie all’azione svolta da bande paramilitari da loro stessi armate.

Di fronte all’indifferenza del Governo riguardo a questi atti illegali, i contadini reagirono

cominciando ad occupare alcune terre pubbliche ed altre private, lasciate incolte dai

latifondisti, in corrispondenza di alcune regioni della Cordigliera. Qui, vennero costituite le

prime organizzazioni di “autodifesa contadina”: da un lato, i contadini volevano fare

pressioni sul governo per il riconoscimento dei loro diritti sulla terra; dall’altro, volevano

semplicemente difendersi dalla violenza messa in atto da questi primi gruppi paramilitari.

Parallelamente, il malcontento continuava a crescere tra le forze conservatrici del paese.

Da un lato, dura rimaneva l’opposizione alla riforma dell’istruzione: con l’introduzione di

misure atte a limitare il monopolio della Chiesa sul mondo culturale non solo venivano

minati i privilegi ecclesiastici, ma l’intero ordine sociale veniva messo in pericolo.

Dall’altra, una grossa fetta del mondo economico si sentiva privata di un’adeguata

protezione governativa di fronte alla crescente mobilitazione di una forza lavoro sempre

più organizzata.56 Fu così che, in seguito al mancato intervento del primo governo López

per frenare l’ondata di scioperi del 1934-35, sorsero diverse organizzazioni padronali,

quali: l’Associazione nazionale degli Industriali (ANDI); la Federazione degli allevatori

(FEDEGAN); la Federazione nazionale per il commercio (FENALCO). Sempre in quegli

anni, le forze di destra si coalizzarono in un unico movimento militarizzato operativo

soprattutto nelle campagne: l’Acción Patronal Económica Nacional (APEN).57

La rottura definitiva tra il mondo contadino e i liberali al potere avvenne con la cosiddetta

“riforma del riformatore” 58, messa in atto dallo stesso Lòpez Pumarejo durante il suo

55 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003.56 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.57 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991.58 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.

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secondo mandato. Essa sopraggiunse in seguito all’approvazione di una legge del 1944,

che legalizzava il despojo, ovvero l’espropriazione illegale della terra. Si trattava di un

vero e proprio ritorno indietro rispetto a quanto stabilito dalla legge 200.

Il 1945 fu, invece, l’anno della rottura definitiva con il movimento operaio. Cruciale fu la

decisione del nuovo presidente ad interim Lleras Camargo (succeduto alla presidenza dopo

le dimissioni di Lòpez, in seguito ad uno scandalo finanziario) di reprimere nel sangue lo

sciopero dei lavoratori dei trasporti e degli scaricatori delle città portuali organizzato dal

Partito Comunista.59

I motivi della polarizzazione sociale crescente vanno ricondotti alla congiuntura storica

della Seconda Guerra mondiale e del suo immediato dopoguerra: ancora una volta gli

effetti negativi delle dinamiche internazionali ricaddero sulle classi subalterne. Si assistette

alla stessa successione di eventi, tra loro concatenati, che avevano caratterizzato gli anni

immediatamente seguiti alla Grande Crisi del 1929. A causa di una drastica caduta delle

importazioni dei beni di prima necessità, il conseguente aumento del costo della vita e la

parallela diminuzione dei salari reali dei lavoratori si sommarono agli effetti della caduta

delle esportazioni dei prodotti colombiani che, a sua volta, provocò un aumento della

disoccupazione. Contemporaneamente, la nuova congiuntura storica ricreava le stesse

condizioni favorevoli ad un’ulteriore concentrazione della ricchezza, a favore dell’èlites

economiche di entrambi i colori.

L’inizio della Violencia e la vittoria del Partito Conservatore.

La regressione di Lòpez e la politica repressiva e antisindacale del governo di Lleras

Camargo avevano causato divisioni insanabili all’interno del Partito Liberale, dividendolo

in: un’ala radicale, capeggiata da Elicier Gaitàn, e un’altra moderata, guidata da Gabriel

Turbay. Questa spaccatura fu la causa della sua sconfitta elettorale nelle elezioni

presidenziali del 1946. In realtà, anche nel Partito Conservatore si riconoscevano un’ala

più moderata e un’altra più estrema, quella degli historicos di Gòmez, stretti attorno al

movimento dell’ANEP e accomunati dal comune desiderio di costituire “una forma stato

fortemente centralizzata, corporativa e clericale”.60 Maggiore comunanza di interessi e di

obbiettivi si riscontravano invece nelle due fazioni moderate di entrambi i partiti,

fermamente schierate contro “l’orientamento dirigista e un eccessivo ruolo dello Stato

59 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003.60 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 57.

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nell’economia”.61 Ad ogni modo, di fronte al pericolo di perdere le elezioni, il Partito

Conservatore pensò bene di non rischiare, presentandosi alle elezioni con un unico

candidato: fu così che vinse il conservatore Ospina Perèz (i cui voti furono nettamente

inferiori a quelli ottenuti dalla somma dei voti dei due candidati liberali).

I risultati di queste elezioni confermarono, d’altro canto, l’enorme portata della

mobilitazione guidata dal populista Elicier Gaitàn. Il linguaggio utilizzato nei discorsi

tenuti davanti ad un pubblico sempre più consistente, costituito da varie componenti sociali

della classe subalterna (lavoratori, piccoli artigiani, piccoli commercianti, disoccupati), era

molto simile a quello dell’argentino Peròn. Gaitàn insisteva infatti nel denunciare le

contraddizioni sociali di un sistema, quello della democrazia liberale, che si costituiva di

un’oligarchia e di tutti coloro che confluivano nelle fila dei privi di diritto. Egli attaccava

indistintamente la componente liberale e conservatrice di questa oligarchia, la stessa al

potere dai tempi dell’Indipendenza. La sua fittizia divisione in due formazioni politiche

contrapposte e in lotta da più di un secolo era funzionale a nascondere gli inganni di un

partito unico a due facce. Le parole di Gaitàn superarono la “divisione storica del paese tra

liberali e conservatori”, per accentuarla con “un taglio orizzontale e più realista tra

sfruttatori e sfruttati: il paese politico e il paese nazionale”62, o “reale” 63. Infine, in comune

con il peronoismo, il gaitanismo condivideva la “stessa aspirazione a superare le

opposizioni tra capitale e lavoro, in nome di una ricostruzione organica della società”.64

Il largo consenso che in quegli anni il gaitanismo ottenne in seno alla società colombiana

trovò conferma nei risultati delle elezioni parlamentari del 1947, ma anche nelle numerose

manifestazioni popolari organizzate sull’onda dell’entusiasmo gaitanista, che interessarono

ogni categoria produttiva. In particolare, la storia ricorda lo sciopero generale del maggio

del 1947, non solo per la portata della mobilitazione che portò sulle strade migliaia di

persone, ma soprattutto perché lo sciopero venne dichiarato illegale e represso nel sangue.

In quell’occasione vennero arrestati centinaia di operai, in seguito alla decisione del nuovo

governo conservatore di sospendere la personalità giuridica alla Confederaciòn de

Trabajadores de Colombia (CTC), ovvero la prima confederazione sindacale nazionale

costituitasi appena dieci anni prima con l’appoggio del governo López. Al suo posto venne

creata una nuova organizzazione sindacale in linea con la politica del Partito Conservatore,

61 Ibidem.62 Garcìa Marquez, Gabriel, Vivere per raccontarla. Mondadori, Milano, 2002, pag. 82.63 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 63.64 Ibidem.

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che incontrò un immediato sostegno nei grandi proprietari agrari e nella Chiesa: la Uniòn

de Trabajadores de Colombia (UTC).

Anche se alcuni storici fanno risalire l’inizio della Violencia a partire dal 9 aprile del 1948

in seguito all’esplosione del cosiddetto Bogotazo, molti altri riconoscono che gli orrori

della Violencia avevano cominciato a dispiegarsi già due anni prima, immediatamente

dopo la conquista della presidenza da parte del Partito Conservatore. L’utilizzo della forza

fu il mezzo impiegato per sedare gli scioperi del 1946-47 e per diffondere il terrore

soprattutto nelle campagne, tra i sostenitori di Gaitàn, prima e dopo le elezioni

parlamentari e, soprattutto, in vista di quelle presidenziali del 1950. Solo in riferimento al

1947 le cifre ufficiali parlano di 14.000 morti.65 Come sottolinea Grace Livingstone, ciò fu

possibile grazie al cambio dei vertici dei comandi delle forze di polizia e dei consigli

comunali, in seguito alla vittoria dei conservatori alle presidenziali. Molti dei nuovi

effettivi vennero reclutati tra i membri delle milizie private che, come già detto, venivano

finanziate dai latifondisti e da parte degli industriali e banchieri, sin dal primo governo

Lòpez. Vista la gravità del pericolo, i conservatori scelsero tra i membri di quelle bande

paramilitari, formatesi nelle zone più conservatrici e cattoliche del paese: uno dei primi

contingenti fu reclutato nella cittadina ultracattolica di Chulavo; da allora, la fama dei

sanguinari poliziotti chulavitas non ha tralasciato di farsi conoscere in tutto il paese.

L’assassinio di Elicier Gaitàn e il fallimento del populismo in Colombia

Agli inizi del 1948 Gaitàn rese pubblico un Memoriale degli oltraggi subiti dai liberali per

mano dei chulavitas, durante una manifestazione popolare che dimostrò, ancora una volta,

le grandi capacità politiche ed oratorie di quest’avvocato di origine india, nemico numero

uno dell’oligarchia al potere. La scelta di Gaitàn fu quella di organizzare

un’impressionante “marcia del silenzio”, che coinvolse quasi la metà degli abitanti di

Bogotà, riunitisi nella storica Piazza Bolivar.

Questa scelta rispecchiò perfettamente, secondo Pècaut, l’impianto filosofico

dell’immaginario gaitanista, fortemente influenzato dalla criminologia italiana66, che lo

condusse ad un’interpretazione “biologica” della contrapposizione popolo-oligarchia.

Anche alla luce di queste considerazioni, vanno interpretati gli slogan quali “La fame non

65 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,2002. 66 Gaitàn studiò criminologia in Italia dal 1926 al 1929 con Ferri, discepolo di Lombroso, il cuipensiero fu altamente influenzato dal darwinismo sociale. Gaitàn ebbe modo pertanto, di assisterealle prime manifestazioni mussoliniane, che lo impressionarono molto.

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ha colore politico”, o “Le malattie non sono ne conservatrici, né liberali”67. Sicuramente

queste frasi avevano lo scopo di mettere in discussione le false divisioni del partito a due

facce, ma contemporaneamente “devono essere interpretate secondo il loro significato

letterale: a causa della sua povertà biologica, il popolo non può ancora accedere da solo

alla condizione di soggetto politico.”68 Parallelamente, anche il termine oligarchia non si

riferisce ad un preciso soggetto politico, ad una classe sociale. Infatti, da essa egli “ suole

escludere, esplicitamente, tutti i settori che partecipano alla produzione economica, da cui,

è precisamente il suo carattere improduttivo che egli vuole denunciare”. 69 Con le parole di

Gaitàn: “Cercare persone intelligenti e capaci, gente onesta e sociale negli organismi

deboli e malati, colpiti da tutti i compiti ereditati e accidentali, è una impossibilità fisica”,

oppure, “I nostri politici hanno dimenticato che l’uomo è prima di tutto una realtà

biologica e fisiologica. Senza la nutrizione delle cellule, senza il funzionamento equilibrato

del suo organismo, è vano parlare di giustizia, di grandezza nazionale”. Secondo l’analisi

di Pécaut, “più che un conflitto tra due gruppi sociali”, Gaitàn “elabora la rappresentazione

mitica di un combattimento tra forze inumane, delle quali una incarna la sofferenza,

l’altra, il godimento.”70

La denuncia di Gaitàn al potere costituito è radicale in quanto egli non accusa la

democrazia liberale solo di mantenere le disuguaglianze generate dalle contrapposizioni

del paese politico-paese reale, oligarchia-popolo, capitale-lavoro, unità organica -

individualismo, ma quello che di essa critica è “il tentativo di favorire, in nome di un

egualitarismo astratto, il regno politico dei mediocri”.71 La soluzione promossa da Gaitàn

è, secondo la lettura di Pécaut, quella di un modello che si basa sulla fusione tra le masse e

il suo leader, dove “l’energia delle prime si converte in sustrato di volontà politica del

secondo”.72 Con le parole dello stesso Gaitàn, si tratta “un organismo in cui agiscono

elementi diversi, a volte opposti, il cui equilibrio garantisce l’unità”. Da cui, si

comprendono affermazioni quali: “Io non sono un uomo, sono un popolo”. Ed è così che

Gaitàn decide di fare sfilare gli abitanti di Bogotà in silenzio, durante quella che sarà la sua

ultima manifestazione, non solo perché il silenzio era probabilmente il mezzo più adatto

per esprimere il dolore collettivo della morte causata dallo scoppio della Violencia nelle

campagne, ma perché il silenzio della massa gli dà la possibilità di dimostrare che lui,

67 Tutte le citazioni di Gaitàn qui riportate sono state prese dal libro di Pécaut Daniel, Guerracontro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.68 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 64.69 Ibidem.70 Ibidem, pag. 65.71 Ibidem.

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leader scelto dal popolo, è in grado di esprimere la volontà politica del “tutto organico”, di

“neutralizzare le leggi della psicologia collettiva”, riuscendo a far vincere la disciplina sul

disordine fisiologico delle masse. Il corpo della massa e quella del leader sono un tutt’uno.

Il radicalismo del discorso gaitanista è stato percepito da altri autori, oltre che da Pécaut.

Per Casetta, ad esempio, il “gaitanismo, come progetto politico, poteva dunque realizzarsi

solo al di fuori del sistema politico tradizionale”73: anche Casetta si sofferma sul fatto che

il bersaglio della critica di Gaitàn era fatto di tutte le oligarchie conservatrici e liberali del

paese, entrambe schierate contro un aumento della partecipazione politica delle classi

emergenti.

Guido Piccoli, afferma che Gaitàn fu l’uomo che tentò di mettere in discussione la

democrazia liberale per dar vita ad una “democrazia partecipativa” 74: le trasformazioni

sociali ad essa collegate destarono nella classe dirigente una paura di tali dimensioni da

mobilitare tutto l’apparato del potere contro il leader populista.

Altri, invece, hanno negato il carattere rivoluzionario del suo discorso politico,

considerando il contenuto delle riforme sociali da lui proposte, in fin dei conti, moderato:

le sue battaglie non miravano altro che a favorire una politica economica maggiormente

redistributiva e una più alta partecipazione politica. In questa prospettiva, Grace

Livingstone ad esempio, lo definisce un “riformatore sociale”75, più che un rivoluzionario.

Un riformatore in grado però di portare nelle strade della capitale migliaia di poveri e, per

questo, percepito come sufficientemente pericoloso da provocare una durissima reazione

nell’establishment politico di allora. La Livingstone condivide le affermazioni fatte da

Gonzalez Sànchez76, nelle quali si denuncia il fatto che gli obbiettivi “moderati” del

progetto gaitanista “furono sostenuti da una mobilitazione sociale di tale portata da

sembrare trasformare il loro contenuto riformista, portando le forze dello status quo a

percepire in esse una minaccia per l’intero impianto dell’edificio sociale”.77 Queste

considerazioni in realtà, più che mettere in dubbio la radicalità del progetto gaitanista

72 Ibidem.73 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 62.74 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 38.75 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003, pag. 65.76 Sanchez G., The violence: an interpretative synthesis , nell’opera di C. Berquist, R. Peñaranda,G. Sanchez, Violence in Colombia: The contemporary crisis in Historical Perspective, ScholarlyResources, USA, 1992, pag. 77.77 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003.

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rispetto al sistema tradizionale di potere, non fanno altro che confermare la teoria del

partito a due facce sostenuta in modo esplicito da Pécaut e da Piccoli.

Il 1948 inizia con il ritiro delle forze liberali dal Governo e la conseguente rottura del

Governo d’Unione Nazionale presieduto da Ospina, a causa della sua incapacità di frenare

l’ondata di violenza. Il 9 Aprile del 1948 Elicier Gaitàn venne assassinato da alcuni sicari.

In quei giorni a Bogotà si stava svolgendo la IX Conferenza Panamericana (presieduta da

Laureano Gòmez), ovvero “quella specie di lasciapassare per l’ imperialismo quale era

l’OSA (Organizzazione per gli Stati Americani)”.78 Tutti i colombiani non dubitarono,

neanche per un attimo, che l’omicidio di Gaitàn fosse da imputare alle forze conservatrici

del paese, terrorizzate da quelli che altrimenti sarebbero potuti essere i risultati delle

presidenziali del 1950. L’omicidio venne attribuito ad un certo Juan Roa Sierra. Secondo le

dichiarazioni ufficiali delle forze di polizia che indagarono sul caso, Roa altro non era che

un fanatico che aveva agito per vendetta personale. Come ricordano Palacios e Safford79,

molti hanno abbracciato la tesi del complotto. I mandanti sono stati variamente riconosciuti

come appartenenti a forze conservatrici, liberali ortodosse o comuniste. In particolare,

quest’ultima ipotesi, quella di un complotto organizzato dalle forze comuniste

internazionali, venne adottata da alcuni esponenti dell’elite colombiana che in quei giorni

si trovarono nell’imbarazzante situazione di giustificare quei tragici avvenimenti di fronte

all’opinione pubblica mondiale, presente a Bogotà per la conferenza dell’OSA. In linea con

questa teoria, la rivolta seguita all’assassinio di Gaitán, sarebbe stata un pretesto per la

presa del potere da parte di forze di sinistra. Queste idee vennero prese ancor più sul serio

non appena venne fuori che anche Fidel Castro si trovava a Bogotà in quei giorni.80 Ad

ogni modo, l’implicazione di Castro non venne mai provata. L’unica cosa certa fu che, nei

giorni a seguire, il giovane Fidel (tra l’altro, non ancora comunista nel 1948) cercò, senza

successo, di influenzare il corso della protesta. Altri ancora, hanno sostenuto che gli Stati

Uniti non fossero rimasti completamente estranei all’organizzazione dell’evento. Mentre la

Cia sostiene ancora oggi la tesi della vendetta personale di Juan Roa Sierra, la tesi del

complotto è stata condivisa da personalità celebri e importanti del mondo colombiano,

quali lo stesso Gabriel Garcìa Màrquez. Ad ogni modo, quello che alimenta i sospetti sulla

78 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 62.79 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,2002. 80 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.

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neutralità di Washington, aldilà delle dichiarazioni di qualsivoglia personaggio del mondo

politico, economico o culturale è il rifiuto, per ragioni di sicurezza nazionale, del Federal

Bureau Investigation (FBI) di aprire i suoi archivi sul caso, nonostante lo abbia fatto per

altri avvenimenti più recenti, come l’assassinio di Salvador Allende.

La reazione popolare fu immediata. Lo stesso giorno scoppiò una rivolta urbana nella

capitale Bogotà. Da cui, il nome Bogotazo. Quella che si rivelò ben presto, con le parole

della Livingstone, una “rivoluzione frustrata”81, fu un’“esplosione spontanea di rabbia

impotente da parte dei poveri delle città”82, scagliatasi indistintamente contro ogni simbolo

del potere. Immediatamente i disordini raggiunsero le altri principali città del paese e le

aree rurali, dove vennero occupati prefetture e municipi. Il sindaco del centro petrolifero di

Barrancabermeja, con l’appoggio della forza lavoro locale, forte dallo sciopero del 1934,

costituì una giunta rivoluzionaria che riuscì a mantenere il potere per due settimane, fino a

che la milizia popolare non capitolò in seguito all’intervento dell’esercito.83 Anche nella

capitale si costituì una giunta rivoluzionaria fatta di intellettuali, professori universitari e

scrittori, mentre gli studenti s’impossessarono delle stazioni radio. Nonostante le

proclamazioni rivoluzionarie trasmesse, grazie al pronto intervento delle forze liberali, la

giunta non riuscì ad impossessarsi del potere e costituì quindi una “Commissione di

notabili” capeggiata da Lleras Restrepo, incaricata di arrivare ad un accordo con il governo

di Ospina. Il 10 di aprile si costituì quindi quello che sarebbe stato l’ultimo governo di

Unità Nazionale dell’amministrazione Ospina. Il Ministero di Guerra e quello degli Interni

vennero affidati a uomini di estrazione liberale.84 Poiché la violenza continuava però ad

espandersi e la mancanza di garanzie per le forze liberali si approfondiva sempre più, nel

maggio del 1949 si ruppe anche quest’ultima compagine governativa. Tale rottura diede

inizio ad una decade di governi non più bipartisan, a cui corrispose uno dei periodi più

violenti e di maggior crisi nella vita politica del paese.

A questo punto la Violencia non trovò più alcun ostacolo per dispiegarsi nella sua

completezza. Il governo proclamò la stato di assedio: vennero proibiti gli scioperi e le

riunioni politiche, chiuse le sedi sindacali, licenziati e arrestati migliaia di lavoratori. In

quegli stessi anni la produzione industriale del paese non conobbe pause: tra il 1948 e 1953

81 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy, London,2003, pag. 66.82 Ibidem.83 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.84 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.

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la produzione industriale aumentò del 56%; contemporaneamente i salari diminuirono del

14% il loro potere d’acquisto.

Immediatamente dopo la repressione del Bogotazo, l’esercito rimase imparziale. Il nuovo

“terrorismo di stato” portò all’epurazione dal corpo di polizia, di ogni possibile elemento

liberale rimasto. Inoltre, i poliziotti vennero affiancati da squadre di civili, come gli

aplanchadores (letteralmente, stiratori) nella zona di Medellìn, e i pajaros (letteralmente,

passeri, dalla loro velocità di agire e scomparire), nella zona attorno a Cali. Questi gruppi

di civili armati diedero vita a veri e propri gruppi di controguerriglia. Si trattava di “forze

paramilitari provenienti da comunità conservatrici di contadini, organizzate da capi politici

dipartimentali o direttamente dalla polizia e dall’esercito”.85

Per Hubert Prolongeau, nel caos generato dall’assassinio di Gaitàn, queste squadre di

assassini furono assoldate tanto dal Partito Conservatore quanto da quello Liberale e non

solo. Sulla base dell’ennesima confrontazione armata tra le due formazioni politiche

tradizionali, la Violencia si scagliò contro la società intera, divenendo l’espediente per

regolare altri conti di varia natura. “ I pajaros finiscono per dettare legge in certe faide

familiari, aiutando i proprietari terrieri a fare allontanare dalle loro terre i contadini per poi

appropriarsi dei loro appezzamenti”.86

La questione della terra è alla base dello scoppio della Violencia anche per l’economista e

sociologo Hector Mondragòn: sia l’eliminazione di Gaitàn, sia il dilagarsi della violenza in

tutto il paese dopo la conseguente rivolta cittadina del Bogotazo, sono stati i mezzi che il

potere costituito ha utilizzato per frenare e impedire il contenuto della legge 200 e le

trasformazioni sociali ad essa legate. A partire dalla violenza degli anni ’50, in Colombia

“non ci sono soltanto gli sfollati per la guerra, ma soprattutto c’è la guerra perché ci siano

gli sfollati.”87 Mentre le famiglie costrette a lasciare le loro case furono spinte verso le

zone più inospitali del paese (gli Llanos orientali e le foreste amazzoniche), gran parte di

queste terre fertili che cambiarono di proprietà in quegli anni, finirono in mano alle aziende

agricole, dedite per lo più alle nuovi produzioni su larga scala di cotone e zucchero.

Anche se per David Bushnell la strenua rivalità tra le due formazioni partitiche tradizionali

va considerata come causa principale della Violencia, anch’egli afferma che spesso i

85 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford University Press,2002, pag. 349. 86 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin. BibliotecaUniversale Rizzoli, pag. 42.87 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.

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“motivi politici venivano usati come paravento per nascondere motivi economici.”88

Soprattutto, anche questo autore riconosce che le zone a più alta densità di violenza

corrispondevano a zone che fin da prima del 1946 erano state luogo di agitazioni rurali,

oppure erano zone di recente colonizzazione, dove forte era la competizione per le terre

fertili e dove i titoli di proprietà erano ancora definiti in modo poco chiaro.

Infine, anche Casetta sottolinea come la Violencia provocò cambiamenti epocali in

relazione al tema terra, contribuendo a dare un “forte impulso capitalistico alle campagne,

stimolando una diversa dinamica del mercato fondiario e una ricomposizione della

struttura della proprietà, che avrà come conseguenza primaria la formazione di un

eccedente di manodopera.” 89 Il tutto ha provocato un’accelerazione del processo che ha

portato alla creazione di una distanza insanabile tra due poli: da un lato, i grandi

proprietari terrieri che adottarono tecniche produttive capitalistiche, dall’altro, i sempre

meno numerosi piccoli proprietari terrieri costretti a pagare i costi dell’accumulazione

capitalistica.

Secondo Pècaut90 le relazioni tra il dilagarsi della Violencia e la questione della terra

passano attraverso il fallimento del populismo. Il nesso populismo-Violencia non è

automatico, né semplicistico. Sicuramente, la violenza costituisce una costante della storia

colombiana: essa esplode in corrispondenza di ogni cambio di potere, nell’alternanza tra le

forze conservatrici e liberali del paese. La sua ricorrenza in tali occasioni è così evidente e

prevedibile, che i presidenti che si sono trovati a vivere questo cambio, hanno tentato di

limitare i rischi del dilagarsi della violenza dando vita, inizialmente, a dei governi di

coalizione nazionale. Questo accadde: tra il 1930-34 all’inizi della Repubblica Liberale; tra

il 1946 e il febbraio del 1948 durante la presidenza di Ospina; infine, dopo il Bogotazo fino

all’aprile del 1949.

La portata e il protrarsi della violenza scoppiata con la morte di Gaitàn può essere

compresa solo attraverso le relazioni esistenti tra violenza e populismo. Queste relazione

sono di tre tipi91.

In primo luogo, la peculiare descrizione di Gaitàn delle masse come “energia” e il suo

rifiuto di riconoscerle come soggetto politico vero e proprio, relega il popolo colombiano

88 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993, pag. 205.89 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 70.90 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.91 Ibidem.

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privato del suo leader, ossia dell’unico interprete della propria volontà politica, a due

uniche possibilità: la “passività” o la “rabbia”.92

In secondo luogo, il fatto che dopo il Bogotazo (quando cioè la mobilitazione delle masse

torna ad inserirsi nella tradizionale contrapposizione bipartitica), la “dialettica dell’umano

e dell’inumano”, che riassume le opposizioni introdotte dal linguaggio gaitanista, “non

sparisce, ma va a porsi al servizio della lotta tra le due formazione politiche”93. Pertanto, da

allora in avanti le guerriglie che vengono combattute rispecchiano la stessa logica delle

guerre civili combattute nel XIX secolo.

Infine, La Violencia costituisce la risposta delle èlite tradizionali al pericolo del populismo.

La sconfitta delle classi popolari, rurali ed urbane è evidente nell’eliminazione totale dei

sindacati indipendenti (vedi la CTC). “Le èlite riescono ad appropriarsi della dialettica

dell’umano e dell’inumano, invertendola: mentre si propongono come uniche garanti

dell’ordine, imputano la barbarie al caos delle masse popolari.”94 Il risultato di questo

stravolgimento delle parti sarà quello di associare il populismo alla violenza delle masse, in

modo diretto e necessario.

Il governo dell’ultraconservatore Laureano Gòmez e il processo di

sostituzione delle importazioni

In questo clima di terrore e nel periodo di maggior crisi che ha vissuto il paese nel corso

del XX secolo95, si svolsero le elezioni presidenziali del 1950 che, grazie al rifiuto dei

liberali di parteciparvi, sancirono la vittoria del leader dell’estrema destra: il conservatore

Laureano Gòmez. Di lì a poco sarebbe iniziata quella che alcuni storici hanno definito

“un’austera controrivoluzione”.96 Le motivazioni alla base della decisione del Partito

Liberale furono: la mancanza di garanzie costituzionali necessarie per un regolare

svolgimento di elezioni democratiche e la violenza perpetrata dalle forze governative a

danno, soprattutto, dell’ala più radicale del paese: le forze comuniste e quelle sindacali.

Una metà della popolazione colombiana, quella dissidente, dichiarò illegittimi i risultati

delle consultazioni elettorali e si rifugiò nelle zone di montagna del Tolima, Boyacà,

Cundinamarca e Antioquia per scappare alla violenza. Qui, vennero organizzati dei

92 Ibidem, pag. 71.93 Ibidem.94 Ibidem, pag. 72.95 Tirado Mejia Alvaro, El gobierno de Laureano Gòmez. Nueva Historia de Colombia. Planeta,Bogotà, 1989.96 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 622.

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“Comitati di resistenza”, che diedero avvio alla costituzione di vere e proprie formazioni

guerrigliere.97

La formazione dei primissimi gruppi armati irregolari di estrazione liberale risale al 1946,

anno di inizio della Violencia. Questi gruppi dal carattere strettamente difensivo sorsero

come risposta agli scontri tra la popolazione e la polizia, “davanti all’inefficacia di altre

forme di resistenza per affrontare la violenza conservatrice”.98 Essi godevano

dell’appoggio, espresso in forma per lo più ambigua, della Direzione Nazionale del Partito

Liberale. Secondo quanto scrive Carlos Miguel Ortiz99, il numero dei guerriglieri passò da

4.500 uomini nel 1950 a 26.000 nel 1951. La velocità con la quale la guerriglia si espanse

dimostra l’impreparazione delle forze d’ordine del paese. Mentre il processo di

professionalizzazione e di nazionalizzazione del corpo di polizia era ancora in atto, la

modernizzazione dell’esercito si trovava in uno stadio più avanzato, ma il paese soffriva

della mancanza di un industria militare propria. Aldilà delle difficoltà tecniche le forze

militari dimostrarono di non essere capaci di affrontare il conflitto interno per una serie di

problemi. In primo luogo, esse dimostrarono l’incapacità di comprendere la natura del

conflitto interno: non si trattava di una guerra convenzionale bensì di una guerra di

movimento. Pertanto la solidarietà e l’appoggio della popolazione civile alle parti in lotta

costituivano un elemento determinante nella confrontazione. L’esercito colombiano invece,

non solo disponeva di armi, mezzi e aerei statunitensi adatti alla guerra convenzionale, ma

si dimostrò particolarmente abile nell’utilizzare questi mezzi in modo totalmente

inappropriato, ossia contro la popolazione civile.100 Difatti, le coordinate del Dipartimento

di Stato e della OEA riguardo la sicurezza dell’emisfero occidentale in piena Guerra

Fredda, identificavano il nemico come soggetto esterno, proveniente dalla “minaccia del

comunismo internazionale”. Tale impostazione si scontrava con la realtà nazionale, in cui

le cause del sovvertimento dell’ordine pubblico erano tutte interne.

La distanza tra guerriglieri liberali e dirigenti di partito non tardò molto a farsi evidente.

Tale distanza crebbe sempre più fino ad assumere le dimensioni di una rottura vera e

propria. Questa, sopraggiunse nel 1952, anno in cui si svolse la conferenza di Boyacà e

venne creata la Comisiòn Nacional Coordinadora, che non raggiunse l’obbiettivo sperato,

ossia l’unità della totalità del movimento guerrigliero, ma contribuì a produrre i primi

97 Informe nacional de desarrollo Humano 2003. El conflicto, callejòn con salida. Programmadelle Nazioni Unite, Bogotà, 2003.98 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 64.99 Ortiz Carlos Miguel, Estrado subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo añoscinquanta. Cider, Cerec, Bogotà, 1985.

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progressi in questa direzione. In tale occasione venne promulgata la cosiddetta “Primiera

Ley del LLano”, con la quale la guerriglia lanciava il suo ultimatum a la direzione del

Partito Liberale. Fu allora che le elite liberali annunciarono ufficialmente il ritiro

dell’appoggio che inizialmente avevano mostrato verso questi primi gruppi di guerriglia,

anche se i tempi non erano affatto maturi per la stipulazione di quello che dieci anni più

tardi sarebbe stato l’accordo storico raggiunto da conservatori e liberali. La direzione del

Partito Liberale optò per l’opposizione politica legale, accontentandosi di quegli spazi

minimi e marginali in cui sarebbe rimasta relegata negli anni a seguire. Tutte le sue

componenti abbandonarono l’obbiettivo di mettere in atto delle riforme istituzionali,

economiche e sociali. Rispetto alle soluzioni da adottare per ristabilire l’ordine pubblico, i

contrasti tra le due formazioni partitiche si limitarono alle differenti soluzioni proposte per

sedare la rabbia dei rivoltosi. Mentre i conservatori non pensavano altro che alla forza

come unico mezzo per ripristinare l’ordine, le elite liberali credevano possibile una

smobilitazione consensuale delle forze dissidenti arroccate nelle montagne. Numerosa era

ancora la base liberale che combatteva nelle campagne. Spesso però, aldilà delle differenze

teoriche tra i due schieramenti, la prassi governativa si rivelava molto più bipartisan,

grazie soprattutto alla supremazia degli interessi della grande proprietà. Così, quando la

mediazione liberale non era possibile per la strenua resistenza incontrata soprattutto nelle

campagne, i grandi proprietari terrieri liberali imponevano alla direzione del partito di

optare per le scelte dei conservatori. Questi, a loro volta, lasciavano carta bianca

all’esercito, che nel frattempo aveva perso l’iniziale posizione di neutralità, in seguito

all’epurazione di ogni suo elemento liberale.

Non ci sono ovviamente fonti realmente affidabili circa il numero di vittime provocato da

questa prima fase della Violencia, prolungatasi fino all’unico colpo di stato militare

avvenuto in Colombia, quello del 1953 ad opera del generale Rojas Pinilla. Le cifre più

comunemente accolte ci parlano di un numero oscillante tra le 200.000 e le 300.000

vittime. A cui si deve aggiungere quello di 2.000.000 di persone in fuga dalle campagne

verso le città: esodo questo che, secondo quanto afferma Hubert Prolongeau, ha provocato

“la sovrappopolazione e la proletarizzazione delle periferie delle grandi città colombiane,

alla base dell’attuale criminalità.” 101

100 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,2000.101 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin.Biblioteca Universale Rizzoli.

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Anche per Marco Palacios102 il processo di urbanizzazione colombiano raggiunse il

massimo della sua velocità nel corso degli anni ‘50. Il ritmo di crescita delle città era stato

piuttosto lento nel corso delle prime tre decadi del XX secolo. In relazione alle esperienze

di altri stati dell’America Latina, tale crescita era rimasta piuttosto limitata anche negli

anni ‘30. Fu invece tra il 1951 e il 1964 che il numero degli abitanti delle città colombiane

raddoppiò, a causa della violenza e dell’insicurezza delle campagne.

La violenza praticata in quegli anni assunse forme nuove: come il cosiddetto corte de

corbata, il taglio della cravatta, ricordato dalla Livingstone, in cui, “il corpo della vittima

veniva lasciato con la lingua penzolante da una fessura inferta nella gola”.103 Le atrocità

furono innumerevoli: solo quelle raccontate da Prolongeau parlano di uomini castrati per

privarli della naturale capacità di riproduzione; occhi strappati; orecchie tagliate e cucite

alla cintura degli assassini; corpi di bambini lanciati contro le mura dei granai; ventri di

donne incinta aperti, privati dei loro feti lasciati appesi sugli usci e sostituiti da corpi di

animali, come galli o polli. “La morte diventa spettacolo, si ritualizza”104 perché, a detta di

Prolongeau, lo scopo questa volta non era solo quello di uccidere, di eliminare l’avversario,

piuttosto, di lasciare segni indelebili, nelle menti dei pochi che sarebbero sopravvissuti.

L’appoggio incondizionato del presidente ultraconservatore Gòmez agli Stati Uniti ebbe

modo di manifestarsi in diverse occasioni, ma raggiunse il suo apogeo nel 1951 grazie alla

decisione di inviare dei contingenti colombiani a fianco dell’esercito nordamericano in

Asia, nella guerra di Corea. La Colombia fu l’unico paese dell’intero continente

sudamericano a partecipare a tale guerra. L’opposizione da parte dei comunisti alla

decisione del presidente fu ripagata con la dichiarazione delle zone da loro occupate come

“zone di guerra”. La scelta di Gòmez di inviare un battaglione dell’esercito in Asia va letta

probabilmente come un’abile mossa per far dimenticare all’amministrazione Usa le sue

passate e più volte dichiarate simpatie per la falange franchista e per Hitler. 105 Il paradosso

di entrare in una guerra che si stava svolgendo al di là del globo negli anni più difficili e

delicati della storia del paese si spiega, in parte, se si considera che a governare il paese era

la frangia più conservatrice e militarista del Partito Conservatore. La partecipazione alla

102 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002. 103 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 66.104 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin.Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 43.105 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.

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guerra permetteva, difatti, l’avvio di quella ristrutturazione dell’esercito, che avrebbe

modernizzato le forze armate sia dal punto di vista tecnico ed organizzativo, sia dal punto

di vista politico, assicurando loro un’autonomia crescente per la garanzia dell’ordine

pubblico. Inoltre, l’invio di forze armate in Corea facilitava l’ingresso di armi statunitensi

nel paese, che sarebbero state poi utilizzate nel conflitto interno. Spedizioni dello stesso

tipo aumenteranno in seguito, durante il governo di Rojas Pinilla.106

Quanto alla legislazione che regolava l’invio di aiuti militari al paese, essa si basava sulla

legge di assistenza e di Mutua Difesa del 1949 (Mutual Defense Assistance Act), attraverso

cui l’amministrazione di Washington poteva rifornire le nazioni membri dell’OTAN di

mezzi, materiali e servizi. Nel 1951 il Congresso statunitense approvò la legge di Mutua

Sicurezza (Mutual Security Act) e la legge di Controllo dell’Assistenza per la Difesa Mutua

(Mutual Defense Assistence Control Act), conosciuta come legge Battaglia. La prima

riconosceva che, qualsiasi assistenza militare ritenuta necessaria per la difesa collettiva

delle repubbliche americane sarebbe stata preceduta da accordi bilaterali. La seconda

attribuiva un’ampia autonomia al presidente nordamericano nello stabilire la sospensione

degli aiuti ai paesi che, secondo la sua opinione, non cooperavano in modo adeguato e non

fornivano informazioni sufficienti per il controllo dei beni strategici.107 Grazie alle scelte

del presidente Gomez e delle forze conservatrici, la Colombia si distinse in quegli anni

come il primo paese sudamericano a firmare simili accordi con il potente vicino di casa,

avviando così i primi corsi specifici per l’addestramento alla controguerriglia.

In cambio, il paese ottenne importanti incarichi internazionali (vedi la presidenza della

Commissione per l’Osservazione della Pace e della Commissione Politica e della Sicurezza

dell’ONU) e all’interno di organismi centrali del sistema panamericano. Il tutto serviva a

dimostrare che le forze conservatrici del paese erano in grado di assicurare alla nazione un

ruolo di maggior rilievo nella difesa della democrazia sul piano internazionale e migliori

relazioni con gli Stati Uniti, rispetto a quanto invece era stato fatto negli anni della

Repubblica Liberale.

Per quanto riguarda l’economia politica colombiana, il 1950 fu l’anno in cui il

protezionismo industriale a sostegno della manifattura nazionale divenne il credo della

politica statale. Con il beneplacito della Commissione Economica per l’America Latina,

nei singoli stati sudamericani vennero adottate diverse misure a sostegno della manifattura

106 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.107 Brown Williams Adams e Redverse Opie, American Foreign assistence. The BrookingsInstitution, Washington, 1954.

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nazionale per facilitare il processo di diversificazione delle esportazioni.108 La limitata

disponibilità dei beni di consumo provenienti dai paesi industrializzati a seguito degli

avvenimenti legati alla Seconda Guerra mondiale non aveva fatto altro che dare un nuovo

slancio a quel processo di sostituzione delle importazioni, iniziato dai tempi della Prima

Guerra mondiale e favorito dagli anni successivi alla Grande Crisi del 1929.

Oltre alle tariffe protezionistiche, il governo colombiano utilizzò altri mezzi per facilitare

la produzione interna, quali: crediti di favore alle banche, sovvenzioni per l’energia

elettrica, facilitazioni fiscali per gli investimenti nell’industria. Infine, anche in Colombia,

come nella maggior parte degli stati sudamericani, vennero create delle imprese a

conduzione statale, in cui i capitali privati venivano attratti dalle facilitazioni fiscali

concesse dallo stato. In Colombia, il consolidamento di una politica economica di tipo

nazionalistico non fu impresa affatto facile e priva di contrasti. L’introduzione di misure

protezionistiche incontrava una forte ostilità di tutti i settori legati alla coltivazione e

all’esportazione del caffè. Tra il 1945 e il 1953 il paese dovette affrontare tutte le

conseguenze negative di quella che assunse i toni di una vera e propria battaglia tra

l’Associazione Nazionale degli industriali (Andi) e la federazione Nazionale dei

Commercianti (Fenalco). Andi e Fenalco godevano entrambe del sostegno di potenti lobby

politiche, attraverso cui cercavano di aggiudicarsi il controllo della politica economica

nazionale, che di fatto aveva preso le forme di un “ibrido tra il protezionismo industriale e

il libero mercato”.109

Nel 1949 l’Andi riuscì ad impedire che il paese partecipasse al General Agreement on

Trade and Tariffs (GATT) e che si compromettesse in altri accordi commerciali con gli

Stati Uniti. La decisione governativa del 1950 di adottare una politica protezionistica sancì

definitivamente il sodalizio tra industriali e regime conservatore. Parallelamente il libero

mercato era difeso da Fenalco e dal Partito Liberale.110

Il governo di Laureano Gòmez sostenne gli interessi degli industriali. Egli era convinto che

lo sviluppo di un’industria nazionale su larga scala sarebbe stato possibile solo grazie ad un

forte intervento dello Stato, al quale spettava il compito di coordinare i vari interessi

economici, oltre che di garantire la sicurezza nazionale. La nuova politica economica

doveva fondarsi sulle imprese e sull’edilizia statali e sugli organismi governativi per la

sicurezza sociale. Il suo nazionalismo si inscriveva in parte nell’atteggiamento

108 Cardoso F.H. & Faletto E., Dipendenza e sviluppo in America Latina. Feltrinelli, Milano, 1971.109 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002, pag. 320. 110 Ibidem.

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paternalistico condiviso dall’intero Partito Conservatore nei riguardi della classe

lavoratrice. Anche la precedente presidenza del più moderato Ospina Pèrez aveva adottato

un programma economico in cui i profitti industriali venivano ridistribuiti attraverso un

sistema di indennità concesse ai lavorativi su base annuale. Pérez era ricorso a simili

palliativi nel 1948, immediatamente dopo la morte di Gaitàn. Alla base della scelta di

promuovere un rudimentale sistema di sicurezza sociale c’era la convinzione dell’ala

moderata del Partito Conservatore che erano meglio contrattazioni collettive con gruppi

selezionati di lavoratori, soprattutto se appartenenti alla UTC e impiegati nelle moderne

fattorie agricole, che trattare con l’intera popolazione lavorativa.111 Il governo ultra

conservatore di Gòmez si allontanò da simili concessioni fatte alle forze sindacali. Per l’ala

più conservatrice della destra al potere le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro non

dovevano essere conflittuali, bensì dovevano ispirarsi ad un sostanziale sentimento di

solidarietà. La redistribuzione dei profitti sarebbe stata garantita da un forte controllo

statale sull’inflazione e dall’operato degli organismi governativi per la sicurezza sociale.

Scelte queste che non tardarono a produrre malcontenti sia tra i membri dell’Andi che della

Fenalco. Per la verità, questi meccanismi ridistribuitivi ebbero effetti assai limitati. Al

contrario, in un attimo vennero cancellati i pochi benefici ottenuti dai lavoratori urbani

dopo anni di lotte: i salari vennero congelati mentre i leader sindacali venivano

ferocemente perseguiti. Contemporaneamente, nulla venne fatto per migliorare le difficili

condizioni di lavoro del mondo agrario, che continuava a rimanere vincolato a forme di

dominazione tradizionale, con l’unica differenza rispetto ai lontani tempi della Repubblica

Conservatrice, che ora i grandi proprietari terrieri agivano sotto l’ala della legalità.112

Il ferreo nazionalismo di Gòmez e della destra più estrema trovava il suo fondamento su

un’idea di Stato forte, i cui poteri andavano accresciuti sia in campo economico che

militare. Se la coesione sociale del suo popolo non ammetteva alcuna conflittualità interna,

la stessa ostilità non era dimostrata nei confronti del capitale straniero. Con il fine di

favorire l’accumulazione capitalista in continua ascesa, gli investimenti stranieri erano

accolti nei migliori dei modi.113 Fu così che, per meglio orientare tali investimenti, venne

creata la Corporaciòn Financiera Industrial. Essi si concentrarono soprattutto nelle nuove

colture della canna da zucchero e del cotone, per quanto riguarda il campo agrario;

111 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.112 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002. 113 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.

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nell’estrazione del petrolio, per quanto concerne il campo dell’industria. Tra il 1951 e il

1959 vennero create ben 114 installazioni industriali straniere: 12 più di quelle fondate in

tutta la storia precedente.114

In riferimento alla produzione petrolifera, l’unica operazione in senso nazionalistico che

venne condotta, fu la decisione di non rinnovare i diritti sulla concessione rilasciata alla più

importante tra le compagnie di petrolio internazionali, la Tropical Oil, nelle mani

dell’americano Jersey Standard. Tali diritti tornarono allo Stato colombiano e fu così che

nel 1951 nacque la prima e unica società petrolifera statale: ECOPETROL. Naturalmente

la Tropical Oil continuò a svolgere un ruolo primario nella commercializzazione del

petrolio.115

La violenza nel frattempo non mostrava sintomi di arresto: il paese continuava a vivere nel

caos più totale mentre la lotta si era intensificata nelle zone in cui gli interessi in gioco

erano molto alti, ovvero nelle aree di coltivazione del caffè. L’unica istituzione statale in

grado di esercitare una qualche autorità era quella dell’esercito. L’incapacità di frenare la

Violencia largamente dimostrata dal governo ultraconservatore, faceva crescere il

malcontento non solo tra la classe lavoratrice, ma anche tra gli interessi dei possidenti. Se

la guerra aiuta a rimodellare i confini delle proprietà e a difendere le nuove terre

conquistate, essa diventa un ingombro nella fase successiva all’espropriazione, in quanto

l’insicurezza mette costantemente a rischio i diritti di proprietà appena affermatisi. In

secondo luogo, la maggioranza delle elite economiche e politiche volevano maggiori

garanzie dal governo riguardo l’abbassamento delle tasse. Infine, l’insoddisfazione si fece

evidente nei riguardi della proposta di riforma costituzionale avanzata da Gòmez. Secondo

tale riforma, il potere parlamentare sarebbe stato fortemente limitato a vantaggio di quello

presidenziale, il suffragio universale eliminato e il controllo dell’istruzione riaffidato alla

Chiesa. Nel 1952 Gòmez dovette dimettersi per un malessere e venne sostituito da un

presidente ad interim, Roberto Urdaneta Arbelaèz. Il cambio di guardia alla testa del

governo non portò cambiamenti rivelanti. Urdaneta era stato difatti l’architetto della

crociata Anti-Comunista del 1945. Era un aristocratico, abile nella diplomazia al punto da

essere riuscito a ricoprire incarichi ministeriali in governi sia conservatori che liberali. Egli

proseguì nella direzione tracciata da Gòmez, quella cioè di considerare ogni tipo di

114 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,www.gratisweb.com/ciclocrisis.115 Guillermo Alvarez Carlos, Economìa y politica petrolera. Comisiòn de Derechos Humanos ypaz, Bogotà, 2000.

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problema sociale come un problema di ordine pubblico.116 Pertanto, nel 1953 tutto

sembrava predisposto a che il generale Rojas Pinilla s’impossessasse del potere attraverso

un golpe militare.

Si chiudeva così la prima delle quattro fasi in cui, secondo Palacios e Safford117, si articolò

la Violencia. In questa prima fase, compresa tra il 1946 e il 1953, la violenza messa in atto

nelle campagne dai diversi attori in gioco (guerriglia liberale, forze paramilitari, polizia

conservatrice e forze militari) rispecchiava ancora le divisioni di partito in cui la

popolazione colombiana si era imbattuta fin dai tempi dell’indipendenza. In questa fase

iniziale, grazie al sangue versato in quegli anni, l’elaborazione dei miti che

contrapponevano liberali e conservatori da più di un secolo si completò. Da queste

rappresentazioni scaturirono una lunga serie di comportamenti e pratiche di violenza che

sarebbero state tramandate nelle fasi successive.

In nome dell’amnistia e dei programmi di pacificazione offerti dal regime militare di

Rojas, in Colombia quella che per Clausewitz è “la violenza originale, […], l’odio e

l’animosità, che deve essere considerata come una pulsione naturalmente cieca”118 e che

sta alla base di ogni guerra, cambiò forma ma non sostanza. Il nocciolo della

confrontazione non riguardò più la storica rivalità tra liberali e conservatori. In modo

sempre più chiaro si era passati alla lotta di classe. Conseguentemente, da allora in avanti

la guerriglia avrebbe acquisito gradualmente un carattere di tipo offensivo.

Il regime militare di Rojas Pinilla

La presa del potere di Rojas Pinilla venne sostenuta dall’insieme delle elite economiche, di

estrazione conservatrice e liberale. Anche gli Stati Uniti accolsero ben volentieri il golpe

militare, messo in atto da un uomo che Washington aveva già avuto modo di conoscere

(Rojas era stato Comandante Supremo delle forze militari colombiane che avevano preso

parte nella guerra di Corea) e che consideravano un moderato. Fu così che grazie al

Programma di Mutua Difesa, la Colombia fu il primo paese del continente sudamericano a

comprare jets statunitensi per la propria forza aerea. Per quanto riguarda il resto della

popolazione colombiana, le classi medio basse e la classe lavoratrice erano stremate da una

carneficina che non aveva subito arresti dal 1946. Esse vollero pertanto credere alle

promesse di questo generale, che si presentava al popolo con un linguaggio di tipo

116 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.117 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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populista, che parlava di pace, giustizia e libertà e che si proponeva come unica autorità in

grado di guidare il paese nell’interesse dell’intera nazione, al di là delle divisioni tra

liberali e conservatori. Rojas non aveva una strategia chiara per porre fine alla Violencia.

Da subito, assunse un atteggiamento assai diverso da quello di Gomez, riconoscendo che

parte delle motivazioni alla base dello scoppio della Violencia avevano radici sociali ed

economiche. Ai principali leader della guerriglia venne quindi offerta l’amnistia, alla quale

risposero ben diecimila guerriglieri, che consegnarono le armi.

Nacquero nuove istituzioni quali la Segreteria Nazionale di Assistenza Sociale e

Protezione Infantile (SENDAS), che riuscì ad utilizzare i fondi messi a disposizione da

organismi internazionali quali FAO, UNICEF, e CARE per finanziare programmi di

distribuzione di alimenti, per l’assistenza medica e la riabilitazione delle vittime della

Violencia. 119

Infine, per sostenere la ripresa dell’economia, oltre che mantenere un forte controllo

sull’inflazione, grazie ai profitti derivanti dagli alti costi che il caffè era tornato ad avere

sul mercato internazionale, si agì su due fronti. Da un lato, venne varato un programma di

welfare, messo in atto dall’Ufficio di Riabilitazione ed Assistenza, che si proponeva di

promuovere la ripresa degli investimenti soprattutto nelle regioni maggiormente colpite

dalla Violencia e di restaurare la proprietà espropriata in modo illegale. Dall’altra, vennero

finanziati importanti lavori pubblici, quali la costruzione di sistemi d’irrigazione, centrali

idroelettriche, una rete ferroviaria lungo la costa atlantica e una stazione televisiva

nazionale. In questo modo Rojas sperava di assicurarsi il sostegno di quelle forze

economiche e politiche del paese che erano state così determinanti nel sostenere la sua

presa del potere: la piccola borghesia dedita all’industria e i nuovi proprietari terrieri, dediti

alle colture del cotone e dello zucchero. Parallelamente, queste riforme destarono il

dissenso di quei settori legati all’economia del caffè: inutile ricordare che tutti i fondi

statali destinati all’industria e alla diversificazione delle colture erano sottratti alla coltura

del caffè. 120

Il dissenso verso la politica di Rojas cominciò ad assumere dimensioni preoccupanti

quando le aspirazioni populiste del generale lo portarono a cozzare apertamente con gli

interessi economici e politici di chi lo aveva appoggiato fino a quel momento. In primo

luogo, i motivi del malessere furono generati da una serie di provvedimenti che miravano

118 Clausewitz C., Della guerra. Mondatori, Milano, 1997, pag. 71.119 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.120 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.

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ad alzare le imposte sui redditi industriali, a sostegno della politica sindacale del generale.

Rojas si preoccupò di dar vita ad una nuova confederazione sindacale di stampo populista,

la Confederaciòn Nacional de Trabajadores (CNT). Quest’ultima, doveva svolgere una

funzione di freno nei riguardi di quello che rimaneva delle due confederazioni nazionali

che, fino a quel momento, avevano raccolto la maggioranza della forza lavoro organizzata:

la CTC e la UTC. Queste scelte no piacquero affatto alle alte gerarchie ecclesiastiche,

secondo cui la CNT altro non era che un’imitazione dell’Asociaciòn de Trabajadores

Latino-americanos (ATLAS), voluta da Peròn.121 La Chiesa divenne pertanto un punto di

riferimento per l’opposizione al regime di Rojas, anche tra forze anticlericali. Fu così che

Rojas tentò di sedare il dissenso della Chiesa, intensificando il suo anti-protestantesimo e,

soprattutto, lanciando una crociata anti-comunista.

Il Partito Comunista tornò ad essere illegale. Era dal 1949 che le forze comuniste avevano

adottato una strategia di “auto-difesa”, in corrispondenza delle zone della parte orientale

degli Llanos, del Tolima e di Antioquia. Dopo la morte di Gaitàn i grandi latifondisti

cercarono di distruggere i gruppi di autodifesa contadini nati nel 1946. Il governo

conservatore di allora si schierò dalla parte dei latifondisti ed utilizzò i programmi di

colonizzazione per espandere le forze conservatrici attorno alle zone dominate dai

comunisti. 122 Come spiegarono pubblicamente nel 1952, lo scopo che condusse alla

formazione dei loro gruppi di guerriglia non era la di messa in atto di un “piano

rivoluzionario”, ossia, non aspiravano alla presa del potere. Il loro obbiettivo era quello di

“rispondere alla violenza dei banditi Falangisti con una violenza organizzata delle

masse”.123 Quando Rojas nel 1953 cessò le operazioni militari e promise l’amnistia ai

guerriglieri che avrebbero deposto le armi, la base contadina del Partito Comunista accettò

l’offerta dell’amnistia. Molti, tra coloro che avevano deposto le armi vennero assassinati.

Manuel Marulanda Vèlez (futuro leader delle FARC) e altri decisero pertanto di proseguire

la lotta, ossia di continuare ad organizzare l’auto-difesa contadina e di continuare a battersi

in difesa delle rivendicazioni contadine. La loro azione nelle campagne continuava ad

allarmare i ceti possidenti, perché questi gruppi guerriglieri cominciarono a finanziarsi,

“tassando” la popolazione e controllando la vendita del caffè. Nel 1955, le forze armate

lanciarono un’offensiva aerea e di terra. In particolare i bombardamenti aerei si

121 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.122 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002. 123 AA. VV., Las verdaderas intenciones de las FARC. Observatorio de Paz, Intermedio, Bogotà,1999, pag. 29.

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concentrarono sulla città di Villarica, dove si compì un vero e proprio massacro. I

contadini sopravvissuti si rifugiarono nel Meta, dove diedero vita ai primi nuclei delle

Fuerzas Armadas Revolucionarias Colombianas (FARC).

In secondo luogo, Rojas premeva per la formazione di una “Terza forza”, ovvero una sorta

di movimento civico che avrebbe dovuto permettere la superazione della storica

contrapposizione tra conservatori e liberali. Venne creato il Movimento de Acciòn

Nacional. A questo punto, i timori delle elite economiche e politiche nei confronti del

probabile successo elettorale di quello che somigliava sempre più all’embrione di una

nuova formazione politica e nei riguardi della costante crescita del numero degli effettivi

dell’esercito, fecero sì che il Rojas venisse percepito come una minaccia, sempre più reale,

al loro potere.124

Quando Rojas Pinilla arrivò a sfidare l’intero sistema di potere, in seguito alla creazione di

due nuove banche nazionali e, nel 1956, del Banco Popular Hipotecario a favore dei ceti

medio bassi e bassi, le corporazioni padronali reagirono: l’Andi proclamò l’unico sciopero

mai realizzato nella sua storia. Contemporaneamente, i prezzi del caffè sul mercato

internazionale cominciarono a scendere. In questo clima di dissenso crescente, iniziarono

le trattative segrete tra le forze liberali e quelle conservatrici che confluirono nella firma,

presso la lontana località turistica spagnola di Sitges, dello storico accordo bipartitico che

prese il nome di “Fronte nazionale”. Correva l’anno 1957.

Il “Fronte Nazionale” (1957-1974)

Di fatto, l’accordo ideato dai capi dei due partiti tradizionali nel 1957 e approvato da una

votazione plebiscitaria125, stabilì l’alternanza al vertice dello Stato, tra le tradizionali

formazioni politiche. Inoltre, ogni quattro anni e per la durata di sedici anni, i due partiti

avrebbero provveduto a spartirsi equamente tutti gli incarichi governativi, a partire dai

seggi parlamentari, ai seggi ministeriali, a quelli delle assemblee regionali e municipali,

fino ad arrivare agli incarichi burocratici dell’intero apparato statale. L’alternanza venne

istituzionalizzata da un’apposita Riforma Costituzionale, con la quale si vietava a qualsiasi

altra formazione partitica, ogni possibilità di competere per l’assegnazione degli incarichi

dell’intero corpo legislativo. Infine, il nuovo testo costituzionale stabiliva una generale

124 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991.

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diminuzione del potere parlamentare, dovuta alla necessaria approvazione di ogni suo

provvedimento, attraverso una maggioranza dei due terzi.

L’accordo sopraggiunto per porre fine ad una confrontazione che durava da più di un

secolo e che non si era limitata al solo campo della politica, si presentava come quel

grande rinnovamento capace di porre fine alla storica conflittualità e permettere al paese di

continuare lungo la strada dello sviluppo, della civiltà e del progresso. Allo stesso tempo,

sulla base della nuova collaborazione responsabile nata tra liberali e conservatori e delle

nuove restrizioni elettorali, le tradizionali formazioni politiche assunsero le vesti di unici

rappresentanti legittimi degli interressi nazionali.

La competizione elettorale non scomparve del tutto; essa si limitò alle diverse liste di

candidati, contrapponendo fazioni distinte, appartenenti a partiti opposti o allo stesso

partito. Né, il nuovo dettato costituzionale, specificava i requisiti necessari per essere

considerati membri dei due partiti tradizionali. Ciò significava che chiunque poteva

presentarsi alle elezioni come candidato liberale o conservatore indipendente. Questo

meccanismo, come ci ricorda David Bushnell126, limitava significativamente gli effetti

dell’esclusione legale nei riguardi di partiti terzi. Non bisogna dimenticare però, che

l’esclusione dell’avversario in Colombia era spesso stata non solo politica ma anche fisica.

Pertanto, per garantire una competizione libera reale, bisognava agire non solo con riforme

elettorali, ma soprattutto con quelle riforme economiche e sociali necessarie a garantire

una maggiore mobilità sociale. Inoltre, una competizione elettorale simile, contribuì

fortemente alla banalizzazione del dibattito politico.

In verità, le modifiche in atto in quegli anni in Colombia, sembrano rispecchiare le parole

di un famoso scrittore italiano, Giuseppe Tomasi de Lampedusa che, nella sua celebre

opera “Il Gattopardo”, scrisse: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto

cambi”.127

La logica funzionale, di quella che oggi viene chiamata da alcuni storici “Dittatura

costituzionale”128, continuò difatti, ad essere la stessa del passato: ossia, regolata da una

forte dose di clientelismo e una visione politica dell’intero sistema in cui lo Stato, i suoi

ministeri e le sue istituzioni, altro non rappresentavano che una torta da spartire tra le elite

125 Il Fronte Nazionale ottenne il 95% dei voti a favore; non solo, ma anche l’affluenza alle urneraggiunse livelli molto elevati, sorpassando il 73%. Fonte: Palacios M., El populismo enCololombia.Bogotà, 1971.126 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.127 Tomasi de Lampedusa Giovannni, Il gattopardo. Decima edizione, febbraio 1992, Feltrinelli,Milano, pag. 41.

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del paese. “I boss regionali, liberali e conservatori, mantennero il loro prestigio ripartendo

favori, da importanti contratti per i grandi uomini di affari, a nuove strade per gli abitanti

delle baraccopoli”.129

Per gli autori Palacios e Safford, il Fronte Nazionale tentò di unire il neoconservatorismo

con i principi alla base della passata Repubblica Liberale. Il risultato fu la

“nazionalizzazione del clientelismo”130, in cui l’accesso al potere non era più garantito

dall’appartenenza alle reti locali di potere, bensì dall’appartenenza all’apparato statale.

Né, la violenza, soprattutto quella praticata nelle campagne, cessò di manifestarsi. Secondo

Pecaut, con il Fronte Nazionale la violenza non si preparava a scomparire, ma a

istituzionalizzarsi. “L’ordine ristabilitosi nel 1958 corrispose più ad una violenza cronica,

che all’instaurazione del populismo. Anche se cronica, la violenza non minacciava il potere

delle corporazioni, né il mantenimento di un modello di sviluppo ortodosso e non

ugualitario, né l’egemonia dei partiti tradizionali.”131

Secondo Palacios e Safford132 invece, la seconda delle quattro fasi in cui si articola la

Violencia in Colombia, iniziata nel 1954, non si concluse affatto con l’inizio del Fronte

Nazionale, ma si prolungò fino al 1964. In questa fase, le pratiche di violenza perpetrate

dalle diverse fazioni in lotta, interferirono con questioni economiche centrali, legate al

processo di modernizzazione: dall’esubero dell’offerta di manodopera nelle terre coltivate

a caffè (in seguito all’avvio della modernizzazione della produzione agricola), alle

questioni legate al commercio e alla distribuzione del caffè, a quelle legate al controllo

della terra (ora contesa tra i coltivatori di caffè e dei nuovi prodotti minori, quali la canna

da zucchero, il cotone, i fiori). In questo senso, la violenza continuava a rappresentare un

mezzo d’ascesa sociale e di redistribuzione delle risorse. Non sono solo questi due autori a

ritenere la violencia come una “forma criminale di impresa economica”133 tipica di quel

periodo. Anche Carlos Miguel Ortiz parla di “violenza come business”.134 Le parole di

Alejandro Lòpez135 invece, sono molto utili per comprendere in che modo la terra

128 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 105.129 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.130 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002, pag. 325. 131 Pécaut Daniel, Guerra contro la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 72-73.132 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002. 133 Ibidem, pag. 351.134 Ortiz M. Carlos, Estrado y subversiòn en Colombia. La violencia en el Quindìo años 50.Planeta Colombiana, Bogotà, 1985,pag. 93.135 Lòpez Alejandro, Problemas colombianos. Tercer Mundo Editores, Bogotà, 1993.

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rappresentava il mezzo d’ascesa sociale per eccellenza. Negli studi fatti su una delle zone

più colpite dalla violenza di quegli anni, quella del Caldas e del Quindìo, di recente

colonizzazione, gli scontri coinvolgevano diversi attori sociali: contadini poveri contro i

proprietari delle grandi fattorie agricole modernizzate; coloni medi contro i grandi

proprietari terrieri; municipalità confinanti. Per tutti, l’obbiettivo era il controllo della terra.

Lo scontro che Lòpez definisce “la battaglia tra ascia e carta stampata”136, contrapponeva

gli uomini che si erano impossessati della terra con la forza e quelli che godevano di una

posizione nella gerarchia sociale tale da manipolare le decisioni legali sui diritti di

proprietà, a proprio favore. L’utilizzo della forza come mezzo per la conquista di potere

politico ed economico non si limitò solo alle campagne, ma si allargò anche alle piccole

città in crescita: qui, i killer assoldati dalle bande mafiose (tra cui i pajaros) utilizzarono la

forza per assicurare ai loro mandanti il controllo del commercio.

Infine, come già visto, in quegli stessi anni anche la guerriglia comunista si rafforzò

(soprattutto nella zona del Tolima e sul massiccio del Sumapaz), dando origine a

quell’embrione da cui, a partire da metà degli anni ’60, sorsero i gruppi di lotta armata.

Il processo di modernizzazione delle Forze Armate

Le strategie adottate dai diversi governi del Fronte Nazionale per risolvere il problema

dell’ordine pubblico seguirono il modello formulato dal generale Rojas Pinilla137. Le

proposte d’amnistia vennero affiancate dal “braccio di ferro”, usato con tutti coloro che si

mostravano restii all’abbandono delle armi. Inoltre, per tenere sottocontrollo il malcontento

nelle zone rurali e nelle periferie delle maggiori città colombiane, si ricorse all’ Azione

Civica Militare (ACM).

Per garantire la fedeltà delle Forze Armate e la loro subordinazione allo Stato (non più ai

partiti politici), il neopresidente Lleras Camargo (1958-1962) espose, in un discorso

pubblico tenutosi il 9 maggio del 1958, quella che passò alla storia col nome di “Dottrina

Lleras” e che ancora oggi continua ad essere la dottrina ufficiale di stato, circa le relazioni

tra civili e militari.138 Secondo i principi di questa dottrina la professionalizzazione delle

forze militari e l’aumento della loro autonomia nella gestione dell’ordine pubblico, sono i

mezzi necessari a garantire la fedeltà e la subordinazione delle Forze Armate all’autorità

136 Ibidem, pag. 39.137 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.

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dello Stato. Uno dei corollari della “Dottrina Lleras” fu il ricorso allo stato d’assedio quasi

permanente negli anni del Fronte Nazionale. Anche se Bushnell afferma che molti dei suoi

strumenti non vennero mai messi in atto, anch’egli riconosce che il ricorso alla

giurisdizione militare per i reati d’ordine pubblico avvenne con una certa regolarità, e che

l’uso della tortura e il trattamento arbitrario delle persone cadute sotto la giurisdizione

dell’esercito non costituì un fatto isolato.139

Durante il governo di Lleras Camargo le Forze Armate attraversarono una fase di

transizione avvenuta su diversi piani. Innanzitutto, il governo riorganizzò il Ministero della

Guerra e il servizio d’Intelligenza Colombiano (SIC), che assunse il nuovo nome di

Dipartimento Amministrativo di Sicurezza (DAS). Nel 1960 il Congresso nazionalizzò le

forze di Polizia e, attraverso un decreto legislativo dell’anno seguente, collocò il Corpo

sotto la direzione del ministro di Guerra.140

Per quanto concerne le forze militari, si ebbero dei cambiamenti significativi riguardanti

diversi aspetti: l’organizzazione interna, il reclutamento e le modalità d’azione. Rispetto al

primo punto, un decreto del 1960 stabiliva che il Consiglio Superiore di Difesa Nazionale

sarebbe stato preseduto dal Ministro di Guerra e che ad esso avrebbero partecipato anche:

il Primo ministro, il ministro delle Opere Pubbliche, degli Esteri e delle Finanze. Nello

stesso anno venne creato il Consiglio Nazionale di Sicurezza, presieduto direttamente dal

Primo ministro, affiancato dal ministro degli Esteri, di Giustizia e di Guerra. Chiara era

l’intenzione di moltiplicare gli strumenti attraverso cui assicurare la subordinazione delle

alte gerarchie militari al potere civile e garantire i mezzi necessari alle forze militari, per

adempiere alle nuove funzioni dell’esercito, nel migliore dei modi possibili.

Riguardo al reclutamento, fino ad allora l’obbiettivo era stato quello di preparare un

numero sufficiente di riserve per mantenere un elevato quantitativo numerico di effettivi.

Le caratteristiche della guerra moderna richiedevano invece una maggiore

professionalizzazione delle reclute e una mobilitazione nazionale a più livelli: non solo

quello militare e politico, ma anche e soprattutto quello economico e industriale. Pertanto,

non era necessario che la maggior parte delle forze giovani del paese partecipassero alle

operazioni belliche, ma che molti di loro venissero impiegati nello sviluppo economico e

138 Leal Buitrago Francisco, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia. Bogotà,Tercer Mundo Editores, 1994.139 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.140 Hernandéz Pardo Rafael, Memoria del ministro de Guerra al Congresso del 1961. Imprenta ypubblicaciones de las Fuerzas Armadas, Bogotà, 1961.

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industriale del paese. Inoltre, un degli effetti voluti della specializzazione del reclutamento

fu la diminuzione della presenza contadina nell’esercito, che passò deal 70% al 53%.141

Infine, circa i cambiamenti avvenuti nelle modalità d’azione delle forze militari,

determinanti furono gli avvenimenti internazionali, in particolare: a) le decisioni prese

durante il XX Congresso del Partito Comunista Sovietico del 1956, riguardo la transizione

pacifica al socialismo; b) il trionfo della Rivoluzione Cubana del 1959; c) l’approvazione

da parte del IX Congresso Comunista, nel 1961, della tesi riguardante la “combinazione di

tutte le forme di lotta”. Questi avvenimenti portarono l’allora presidente statunitense John

Fitzgerald Kennedy a pronunciare il discorso alla nazione del 28 marzo del 1961, in cui si

affermava che le minacce all’ordine e la pace mondiale potevano provenire da un attacco

nucleare, da un’aggressione diretta o indiretta, da un’infiltrazione, da una rivoluzione

interna, da un’insurrezione armata o da una serie di guerre limitate. La paura degli Stati

Uniti riguardava soprattutto gli effetti derivanti dalla diffusione degli ideali della

Rivoluzione Cubana sull’intero continente. Le forze militari dei singoli paesi apparivano,

agli occhi statunitensi, come l’unica forza capace di affrontare il nemico interno ai singoli

stati. Per rendere più efficace il suo operato, l’istituzione militare aveva però bisogno di

portare a termine il suo processo di modernizzazione, che gli avrebbe garantito una

maggiore autonomia e un aumento delle sue funzioni, assicurandogli un ruolo chiave nella

vita delle singole nazioni. Sulla base di quella che prese il nome di “risposta flessibile”, gli

Stati Uniti elaborarono i principi della teoria controinsurrezionale, che riconosceva

nell’azione civica militare una delle sue tattiche principali.142 Improvvisamente, si

guardava alla guerriglia non come l’origine dei disordini, ma come il risultato di una realtà

economica e sociale determinata. Era proprio su questo tipo di realtà che bisognava agire,

favorendo il progresso e lo sviluppo dei paesi latinoamericani. In particolare, secondo le

dottrine degli strateghi statunitensi diffuse attraverso le Conferenze degli Eserciti

Americani (CEA) e la Giunta Interamericana di Difesa (JID), convertita in braccio militare

della OEA, l’ azione civica militare avrebbe garantito la collaborazione tra la popolazione

e le Forze Armate.

In questo contesto, l’Ottava Riunione tra i Ministri degli Esteri partecipanti alla OEA del

1962, stabilì che le Forze Armate dovevano:

a) aprire le scuole militare al personale civile, permettendo la sua partecipazione ai corsi

tecnici;

141 Ibidem.142 Child John, The Inter-American Military System. The American University, Ph.D. dissertation,1978.

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b) partecipare ai programmi governativi per il miglioramento delle condizioni sanitarie e

per la distribuzione degli alimenti;

c) fornire un aiuto tecnico nei programmi governativi riguardanti la costruzione di alloggi

popolari;

d) aumentare il numero di ingegneri dentro le truppe e aiutare la messa in atto del piano

nazionale riguardante le opere pubbliche;

e) appoggiare il progetto di legge sulla riforma agraria.

Ad ogni modo, durante il primo governo del Fronte Nazionale, quello di Lleras Camargo,

prevalse la “mano dura”, perché la debole coalizione appena costituitasi aveva bisogno di

rafforzarsi. La fedeltà delle Forze Armate all’autorità statale e la subordinazione del potere

militare a quello civile vennero ripagate non solo con un aumento dei salari militari e di

polizia, ma anche cedendo alle pressioni dell’ala conservatrice del governo, che stava

all’opposizione. Fu così che molti dei guerriglieri che accolsero la proposta di amnistia

vennero assassinati.143

Il generale Ruiz Novoa e l’ala progressista delle Forze Armate.

Fu durante il successivo governo di Guillermo Leòn Valencia (1962-1966) che la maggior

parte dei cambiamenti ideologici dell’istituzione militare trovarono la loro applicazione. Il

tutto non avvenne certo per volontà del presidente. Non che il presidente si discostasse

dalla linea assunta dal suo predecessore, quanto a sostegno delle scelte di Washington o a

sostrato ideologico anticomunista. Piuttosto, le idee progressiste di alcuni ufficiali e

dell’amministrazione Usa non potevano attecchire su un uomo che aveva più volte reso

manifeste le sue simpatie verso la falange franchista. Inoltre, l’elite politica che lo

sosteneva nutriva forti dubbi sull’efficacia della riabilitazione e premeva per il

rafforzamento dell’apparato repressivo dello Stato. In effetti, tra il 1964 e il 1968, il

numero degli effettivi triplicò, passando da 22.800 a 64.000.144

A distinguersi come uomo chiave del cambiamento dell’apparato militare colombiano fu

pertanto il generale Alberto Ruiz Novoa, eletto Ministro della Difesa nel 1962. Si trattava

di un uomo la cui fedeltà era stata ampiamente provata per Washington, per aver diretto il

battaglione colombiano nella guerra di Corea. Grazie al vecchio amico di un tempo, le

accademie militari colombiane si riempirono facilmente di istruttori militari nordamericani,

mentre alcuni ufficiali colombiani vennero a loro volta inviati nelle accademie di Panama.

143 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.144 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.

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Secondo le idee progressiste di Novoa, l’origine e lo sviluppo della Violencia erano

risultato di un insieme di fattori che fuoriuscivano dal campo strettamente militare. Di

conseguenza, più che attraverso misure militari, il problema dell’ordine pubblico andava

affrontato con misure politiche, socioeconomiche ed etiche. Nel 1962 il generale presentò

il Piano di Azione Civica Militare (ACM), che nello stesso anno venne implementato nel

paese con il nome di Plan Lazo. Con esso venne legittimato l’utilizzo di qualsiasi mezzo,

per arrestare l’avanzata del “nemico interno”: più volte, l’arrivo dei battaglioni di contro-

guerriglia venne preceduto da bombardamenti al napalm. I principi base di questo piano

rispecchiavano i cambiamenti ideologici dell’istituto militare precedentemente esposti.

Unica novità introdotta fu la scelta di formalizzare la costituzione di gruppi formati dai

cosiddetti “cittadini onorati”, che presero ironicamente lo stesso nome di “autodifesa

contadina”, già usato in passato dai liberali ribelli e dai comunisti. Ai loro membri, il

governo decise di concedere ufficialmente il permesso “di acquistare armi regolarmente

immatricolate per difendere la propria vita e i propri beni”.145 Inoltre, per assicurarsi la

fedeltà dei membri di questi gruppi, il Piano Lazo specificava che la selezione del

personale scelto sarebbe prioritariamente avvenuta tra gli ex membri delle forze di polizia

e delle forze militari. Secondo le opinioni del gruppo de La Nuova Prensa146, questa scelta

rappresentava una sorta di “dimissioni dello Stato”147, era sintomo di una guerra civile e

per questo motivo l’esercito doveva intervenire per evitarla.

Secondo l’analisi di Alfred Rangel148 con la firma del Plan Lazo si apriva la così detta fase

“progressista”, nella quale l’atteggiamento adottato dallo Stato rispetto alle questioni

d’ordine pubblico e, nella fattispecie, al problema della lotta armata assunse la forma di

una confrontazione totale. Sulla base ideologica di un forte anticomunismo, la risposta si

articolò in una componente militare e una politica. L’obbiettivo della prima fu

l’eliminazione fisica dell’avversario e lo sradicamento delle “repubbliche indipendenti”.

Per questo, il Piano stimolò la militarizzazione dei comuni e delle regioni, soprattutto in

corrispondenza delle zone a più alta presenza della guerriglia comunista. Sotto questo

punto di vista, il Plan Lazo ottenne dei successi concreti, in quanto effettivamente queste

145 Plano Lazo, Dipartimento 2 del Comando Generale delle Forze Militari, Bogotà, 11 aprile1962, documento contenuto in appendice nell’opera di Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas yseguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà, 2000, pag. 263-270.146 Questa rivista diffondeva le argomentazioni dei militari riformisti colombiani. Era controllatada un settore nazionalista di destra, antioligarchico, contrario al Fronte Nazionale e ai partitipolitici tradizionali, a favore di un governo militare. Il suo primo numero apparve il 19 aprile del1961. Queste considerazioni sono contenute nel n. 55 del 16 maggio 1962.147 Ibidem, pag. 7.148 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001.

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zone vennero riportate sotto il controllo statale. La guerriglia però, per natura era una

guerra di movimento. Pertanto, il recupero di alcuni territori non significava certo la

distruzione dei gruppi guerriglieri. L’obbiettivo della seconda componente, quella politica,

era l’avvicinamento delle Forze Armate alla comunità, per limitare l’appoggio della

guerriglia presso la popolazione civile. La grande novità introdotta dal Plan Lazo fu per

l’appunto il riconoscimento che la ribellione aveva cause di ordine economico e sociale. Fu

su questo versante che le Forze Armate fallirono: l’appoggio alla guerriglia crebbe, mentre

le azioni civiche realizzate dai militari nelle zone a più alta presenza delle forze comuniste,

vennero percepite per lo più come campagne di promozione dell’immagine militare.

Il generale Novoa, ispiratore del Piano e dell’anima più progressista delle Forze Armate,

arrivò ad affermare che tra le cause che avevano determinato il diffondersi e protrarsi nel

tempo della lotta armata, stavano sicuramente l’impunità dei responsabili intellettuali della

Violencia e la debolezza dell’autorità statale. Secondo il generale, in Colombia la violenza

era di tre tipi: a) politica, portata avanti dai vincitori delle elezioni; b) economica, che

utilizzava il terrore per acquistare la terra a basso prezzo; c) sociale.149

“Non è difficile provare che in Colombia esiste uno stato di ingiustizia nel possesso della

terra e che questa situazione sia la responsabile della povertà e del ritardo del progresso del

paese.[…] La maggior parte della terra non è in mano a chi la lavora e questo suo carattere

strutturale è totalmente inadeguato per stimolare la produzione.”150

Questo ed altri interventi tenuti pubblicamente nel corso del 1964 crearono scompiglio in

seno all’oligarchia colombiana, creando grosse pressioni sul presidente affinché ritirasse

l’incarico ministeriale al generale. Inizialmente Valencia difese il suo funzionario, ma

quando le pressioni cominciarono a provenire anche da settori delle Forze Armate, in

particolare dal generale Rebeiz Pizarro, Valencia cedette alle pressioni e destituì Ruiz

Novoa dal suo incarico.151 Così, anche il tentativo di emancipazione avvenuto in seno alle

forze militari, venne stroncato dall’alto. Inoltre, si procedette all’epurazione dell’esercito

da tutti quegli ufficiali che avevano abbracciato posizioni progressiste simili, riuniti nella

cosiddetta Estrella Dorata.

Gli echi del Concilio Vaticano II in America Latina e in Colombia

149 La Nueva Prensa, 15 settembre 1992.150 Revista de las Fuerzas Armadas, 26 maggio del 1964, pag. 349.151 Blair Trujillo Elsa, Las fuerzas armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.

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Il nuovo clima progressista arrivò a coinvolgere anche la Chiesa. Fin dai tempi della

Conquista spagnola, questa istituzione si era da sempre distinta come perno centrale delle

posizioni più conservatrici. Nel corso dei secoli, molti suoi rappresentanti si macchiarono

di complicità e a volte della diretta partecipazione a crimini inauditi, rispetto a quanto

professato ufficialmente dalla fede cattolica. La nuova corrente democratica progressista

apertasi negli anni ’60 con l’apertura del Secondo Concilio Vaticano avvenne in seguito a

dei cambiamenti al vertice dello stato pontificio. Il nuovo clima ispirato al cristianesimo

sociale doveva sicuramente ringraziare il benefico contributo di Papa Giovanni XII, ma

non solo. Le alte gerarchie della Chiesa cattolica cominciarono ad essere profondamente

scosse dalla dilagante povertà delle classi popolari.152 Nel continente sudamericano, mentre

le alte gerarchie assunsero posizioni di progressismo moderato riguardo alle questioni

politiche e sociali, una minoranza crescente di preti cominciò ad avvicinarsi a posizioni più

radicali, condividendo parte delle teorie marxiste e sostenendo apertamente le cause di chi

combatteva in nome di principi rivoluzionari.

Nella fattispecie, nella realtà colombiana gli influssi della teologia della liberazione si

manifestarono con minore intensità rispetto ad altre realtà nazionali sudamericane. Forse

per questo motivo, l’esigua minoranza di preti che abbracciarono questi ideali in Colombia

assunsero posizioni ancora più estreme e militanti. Non si può non pensare a un

personaggio di fama leggendaria nella società colombiana, il prete Camillo Torres, il quale

incarna, a detta di Prolongeau, il Che “Guevara colombiano”.153 Oltre a rivestire il ruolo di

rappresentante di Dio in Terra, Camillo Torres fu titolare della cattedra di Sociologia nel

1960 all’Università di Bogotà. Dopo un soggiorno in Europa, tornato nel suo paese, si unì

ai gruppi marxisti e le sue posizioni divennero sempre più radicali. “Dalla rivolta Torres

passa alle riforme, dalle riforme alla rivoluzione, dalla rivoluzione alla lotta armata.”154

Nel 1964 entrò a far parte a tutti gli effetti dell’Ejercito de Liberaciòn Nacional (ELN),

appena costituitosi. Nel 1966 morì durante dei combattimenti.

Ad ogni modo, in Colombia prevalse la posizione moderata della Conferenza Episcopale

dell’America Latina tenutasi nel 1968 a Medellìn. Anche la Chiesa appariva

profondamente segnata da divisioni interne, così come tutte le altre istituzioni e gruppi

sociali del paese.

La politica agraria del Fronte Nazionale e l’Alleanza per il Progresso

152 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.153 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellin.Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 161.

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Affianco alle nuove dottrine militari, Washington diede vita all’Alleanza per il Progresso

nel 1961, piano attraverso cui gli Stati Uniti s’impegnavano a donare ai diversi paesi del

continente sudamericano un’ingente quota di aiuti, per collaborare nello sviluppo della

regione.

Nella fattispecie, l’Alleanza stanziò 20 milioni di dollari per la Colombia, da versare a

favore del paese nel corso di dieci anni. Inoltre, la Colombia fu beneficiaria degli aiuti

dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (AID). In totale, tra il 1961 e il 1965, il paese

ricevette 833 milioni di dollari in aiuti e prestiti, da parte degli Stati Uniti e degli

organismi internazionali.155

Gli obbiettivi dell’Alleanza per il Progresso del 1961 in riferimento alla Colombia erano:

a) aiutare la nazione nella questione del bilancio dei pagamenti; b) rafforzare e

diversificare la produzione agricola; c) migliorare l’alimentazione della popolazione; d)

modernizzare il sistema di educazione. Per l’implementazione di tale programma, il punto

10 dell’Alleanza stabiliva l’invio dei cosiddetti Corpi di Pace, che avrebbero dovuto

operare sul campo per collaborare: a) nello sfruttamento intensivo delle terre; b) nella

costruzione delle case popolari; c) nella pianificazione e costruzione di strade.

L’organismo colombiano incaricato di facilitare l’azione dei Corpi di Pace fu La Divisione

Nazionale di Azione Comunale, sotto la direzione del Ministero del Governo.156

Fu così che al centro della demagogia populista dei governi del Fronte Nazionale, vi

furono le infinite discussioni attorno alla necessità di una riforma agraria e della sua

applicazione, col fine di accrescere il numero dei piccoli proprietari terrieri, permettere la

nascita e lo sviluppo di un mercato interno e riuscire quindi a diminuire la conflittualità

nelle campagne. In proposito, in linea con le decisioni dell’ Alleanza per il Progresso di

Kennedy, Lleras Camargo creò l’istituto di riforma agraria INCORA nel 1961. Lo scopo

era di provvedere alla redistribuzione della terra tra i contadini, attraverso l’esproprio delle

terre incolte dei grandi latifondisti e la distribuzione di terre pubbliche.

Ancora una volta però, il contenuto di altri provvedimenti varati in parallelo, non

garantirono gli effetti promessi.157 I risultati ottenuti dall’INCORA, furono un fallimento

se si pensa che in 14 anni espropriò solo l’1,5% delle terre occupate dai latifondi. Nel

154 Ibidem, pag. 162.155 Randall Stephan J., Aliados y distantes. Historia de las relaciones entre Colombia y EstadosUnidos. Desde la Indipendencia hasta la guerra contra las drogas. Bogotà, Tercer Munndo-Ediciones UniAndes-CEI,1992.156 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,2000.157 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991.

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complesso, negli anni del Fronte Nazionale non si registrarono miglioramenti negli indici

di polarizzazione sociale ed economica, né in quelli relativi alla crescita senza controllo

delle città. A metà degli anni ’60 la popolazione delle città principali continuava a salire di

500.000 abitanti l’anno. “Conservatori e liberali continuarono a privilegiare le grandi

imprese agricole, mediante l’adozione di politiche finanziarie e creditizie che favorivano

esclusivamente le unità produttive capitalistiche dedite all’agricoltura commerciale”.158

Nel 1966 fu la volta della legge agraria del presidente Lleras Restrepo (1966-1968). Il

presidente più illuminato del Fronte Nazionale cercò di combattere la dura resistenza dei

grandi proprietari delle imprese agricole commerciali, lasciando al mondo contadino

qualche spazio aperto per organizzarsi. La mobilitazione sarebbe comunque dovuta

avvenire sotto il rigido controllo statale. A tal proposito, venne creata l’ Asociaciòn

nacional unida de campesinos (ANUC). La base di sostegno dell’ANUC divenne, col

tempo, sempre più grande: se da un lato il movimento divenne sempre più indipendente

rispetto alla politica governativa, contemporaneamente, esso perse forza e compattezza,

man mano che le tensioni interne crescevano. Alla fine degli anni sessanta, negli ultimi

anni della presidenza Restrepo, le crescenti disillusioni rispetto ad una riforma agraria mai

messa in atto, condussero l’organizzazione contadina a radicalizzare la sua opposizione al

sistema di potere e a procedere all’occupazione di alcune terre. Le terre così ottenute

furono superiori, in superficie, a quelle che l’istituto agrario INCORA era riuscito a

ridistribuire nei dieci anni della sua attività. La decisione del governo di non intervenire

con la forza in quell’occasione, fu però accompagnata dalla stipulazione del cosiddetto

“Accordo di Chicoral” del 1971, che impediva qualsiasi altro futuro ridimensionamento del

latifondo.159 Fu allora che l’INCORA smise definitivamente di distribuire le terre.

Le motivazioni del fallimento dei progetti di riforma agraria di quegli anni, vanno in parte

ricondotte allo spirito sottostante le diverse proposte di riforma: il loro obbiettivo era

quello di trovare una soluzione immediata alla conflittualità, piuttosto che risolvere in

profondità le problematiche del mondo agrario e delle classi subalterne. Inoltre, con la

morte di Kennedy prevalse sull’amministrazione Usa e, di rimando sulla mentalità

dell’elite colombiana, la nuova visione sullo sviluppo del mondo agrario, promossa

dall’economista Currie. Questi, riteneva che il contadino rappresentasse un ostacolo per

l’agricoltura moderna e quindi allo sviluppo: la soluzione stava quindi nella sua

“eliminazione”, attraverso il sostegno allo sviluppo industriale, che avrebbe attirato la

158 Ibidem, pag. 82.159 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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manodopera in eccedenza nelle campagne. Solo favorendo la grande proprietà, la sua

tecnicizzazione e l’aumento della mobilità del lavoro, la terra avrebbe finalmente avuto

modo di essere “libera” e costituire una base per lo sviluppo della nazione.160 “Man mano

che i proprietari terrieri cominciarono a rispondere in modo positivo agli incentivi

governativi offerti nel corso degli anni ’60, divenne improvvisamente chiaro che le grandi

proprietà potevano essere modernizzate e trasformate in efficienti imprese capitaliste”.161

Negli ultimi anni del Fronte Nazionale e durante i governi successivi ad esso, allontanatosi

il pericolo della propagazione degli ideali rivoluzionari nel continente sudamericano, per

mitigare il fallimento della riforma agraria, le elite politiche colombiane abbracciarono i

programmi ideati dalla Banca Mondiale per limitare la povertà nel mondo rurale. I

programmi di nutrizione vennero soprattutto messi in atto in quelle zone la cui popolazione

era considerata particolarmente vulnerabile all’azione dei gruppi guerriglieri.

Il processo di sostituzione delle importazioni o il processo di sostituzione

dei proprietari ?

Per quanto riguarda la politica economica nel suo complesso, l’autorità statale rimase

relegata in una posizione marginale. Nella politica industriale imperava l’ANDI, in quella

agricola dominava la FEDEGAN mentre, riguardo al commercio estero, era la potentissima

Federaciòn de Cafeteros a legiferare. Negli anni del Fronte nazionale, i gruppi d’interesse

assunsero le vesti di associazioni di categoria apolitiche. Nel corso degli anni ’60 e ’70 il

loro numero aumentò e, anche se molte di loro si presentavano come associazioni operanti

per l’interesse nazionale, di fatti, continuavano ad essere espressione degli interessi locali.

Vedi quelle operanti nella produzione dello zucchero di canna (dominate dagli abitanti

della Valle del Cauca), o delle banane (controllate dagli abitanti di Antioquia) dei fiori

(dominate dagli imprenditori della capitale).162

Per tutti gli anni del Fronte Nazionale, la Colombia continuò a dimostrare di voler

compiacere il più possibile le volontà degli Stati Uniti. Grazie ai regolari pagamenti del

debito estero163, all’utilizzo dei fondi e degli aiuti statunitensi per la messa in atto della

modernizzazione delle campagne e la professionalizzazione delle Forze Armate,

160 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.161 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 70.162 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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all’attuazione di un rigoroso controllo sulle nascite (si passò da sette a tre figli per

famiglia), l’amministrazione Usa fece della Colombia la sua “figlia prediletta”164 agli

occhi del mondo e dei suoi organismi internazionali. A queste ragioni, se ne aggiungevano

altre da comprendere alla luce del contesto internazionale. Il pericolo cubano si era

allontanato, ma la Guerra Fredda non si era ancora conclusa e gli Stati Uniti necessitavano

di alleati sicuri, a maggior ragione nel loro “cortile di casa”. Dagli anni ’50, l’America

Latina era afflitta dalle dittature militari (spesso sostenute dagli Stati Uniti d’America). Ad

ogni modo, questi non erano i regimi ideali per sostenere le rivendicazioni di Washington,

secondo cui la Guerra Fredda era un’epica battaglia tra il “mondo libero” e la “tirannia

Comunista”. La Colombia, con la sua regolare alternanza di governi civili, venne scelta

come vetrina dell’ Alleanza per il Progresso di Kennedy.

Le condizioni economiche della stragrande maggioranza dei colombiani durante gli anni

del Fronte Nazionale rimasero critiche: la recessione nell’economia mondiale del 1957-58,

aveva provocato una forte caduta del prezzo del caffè. Gli effetti negativi della recessione

mondiale furono più forti nelle economie dei paesi in via di sviluppo. In particolare, in

Colombia si registrò una caduta del prezzo del caffè del 16%, mentre i prezzi dei beni

importati scesero solo del 4%.165 Se nel ciclo economico precedente, le perdite dei profitti,

dovute ala crisi delle esportazioni, erano state compensate dallo spostamento dei capitali

dall’agricoltura all’industria, dando avvio al processo delle importazioni, ora, questa

soluzione aveva perso la sua efficacia iniziale. Ad ostacolare la crescita industriale

concorrevano alcune delle contraddizioni del sistema economico colombiano: il basso

tasso di profitto industriale e la bassa propensione al consumo della società colombiana.

Agli inizi degli anni ’60, la bilancia dei pagamenti cominciò a registrare i primi saldi

negativi a causa della combinazione di diversi fattori: la remissione degli utili degli

investitori esteri, il saldo dell’acquisto dei mezzi tecnologici importati, la consegna del

petrolio estratto, la caduta del prezzo del caffè. Tutto questo provocò una rapida fuga dei

capitali stranieri. Nel 1962 la classe dirigente decise di procedere all’applicazione della

soluzione proposta dal Fondo Monetario Internazionale, dando avvio ad una lenta ma

continua svalutazione del peso. Ciò provocò un graduale aumento dei tassi d’inflazione e

163 In questo campo la Colombia si distinse come unico paese del continente a rispettare lescadenze dei pagamenti.164 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 69.165 Mondragon Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia,www.gratisweb.com/ciclocrisis.

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un processo di espropriazione delle ricchezze degli imprenditori nazionali ad opera del

capitale straniero: “il processo di sostituzione delle importazioni fu sostituto dal processo

di sostituzione dei proprietari”.166

Gli ostacoli al movimento sindacale

La caduta dei salari reali e l’allontanamento dei partiti dalle organizzazioni sindacali

provocò un periodo di agitazioni nel mondo lavorativo tra il 1957 e il 1966. Di fatti, la

chiusura del sistema di potere negli anni del Fronte Nazionale non solo era diretta contro

l’affermazione di formazioni partitiche alternative, ma anche contro la crescita e il

consolidamento dell’intero movimento sindacale. Alcuni storici sostengono che la

debolezza del movimento sindacale colombiano sia dovuta a motivi strutturali. Charles

Berquist167, ritiene per esempio che questa debolezza sia conseguenza del fatto che la

coltivazione del principale prodotto colombiano per l’esportazione, il caffè, ha interessato

in Colombia, soprattutto la piccola proprietà e che, per questo, ha escluso la classe

lavoratrice dal principale settore dell’economia.

Oltre a queste argomentazioni, è necessario tenere presente che la principale

organizzazione sindacale nazionale di quei tempi, la CTC, era stata il bersaglio principale

delle diffuse pratiche di violenza perpetrate, con l’ampio sostegno governativo, nel corso

dei dodici anni della sanguinolenta guerra civile seguita all’assassinio di Elicier Gaitàn.

Gran parte dei leader della CTC e molti suoi sostenitori furono fisicamente eliminati con la

Violencia. Il terrore che questa guerra riuscì a produrre e a diffondere in seno alla società

colombiana, fa sì che a tutt’oggi, tra i sopravvissuti, il ricordo di quei giorni costituisca

ancora un tabù. 168

L’altra grande organizzazione sindacale nazionale invece, la UTC, sorta durante i primi

anni della Violencia per volontà dell’allora presidente conservatore Ospina Pèrez,

espressione degli interessi dei grandi impresari agrari e della parte più conservatrice della

Chiesa, come già visto, era stata marginalizata negli anni successivi, durante il regime

militare di Rojas Pinilla.

Durante i sedici anni del Fronte Nazionale la mobilitazione della forza lavoro raggiunse il

suo culmine nel 1963, anno in cui venne organizzato un’ondata di scioperi dai lavoratori

della ECOPETROL, nella città di Barrancabermeja. Questi avvenimenti contribuirono alla

166 Ibidem, pag. 11.167 Berquist C., in Violence in Colombia: The contemporary crisis in Historical Perspective,Scholarly Resources, USA, 1992.

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nascita di una delle formazioni guerrigliere più forti del paese, l’Ejercito de Liberaciòn

Nacional.

Ad ogni modo, i conflitti sul mondo del lavoro non destarono particolare attenzione

nell’opinione pubblica per il disinteresse mostrato dai partiti tradizionali e per l’auto-

censura operata dagli stessi media. Per limitare la libertà di stampa non era nemmeno

necessario ricorrere all’intervento pubblico. Era sufficiente negare il pagamento delle

entrate pubblicitarie e qualsiasi altro finanziamento ai giornali che non difendevano gli

interessi della classe dominante.169

Fu così che a partire dalla metà degli anni ’60 sorsero confederazioni sindacali regionali e

indipendenti controllate dalle forze di sinistra, soprattutto dal Partito Comunista. Tra il

1959 e il 1965 il numero dei lavoratori iscritti ai sindacati crebbe: da 250.000 a 700.000.

La Confederacion Sindical de Trabajadores de Colombia era l’organizzazione più

numerosa, ma non contava più di 100.000 iscritti.170

I governi del Fronte Nazionale scelsero di affrontare il problema della povertà crescente

rafforzando le comunità locali, soprattutto nelle aree rurali più marginali del paese, dove

l’intensità della conflitto era elevato e la presenza dello Stato era minima, se non

addirittura inesistente. Le cosiddette Juntas de Acciòn Comunal furono create dal primo

presidente del Fronte Nazionale, Lleras Camargo. L’idea di base era che in ogni comunità

si creasse un leader naturale, capace di dar voce alle necessità dell’intera comunità e di

agire nel nome dei suoi interessi. Questi comitati divennero i maggiori beneficiari degli

aiuti statali e i canali preferenziali attraverso cui le dinamiche clientelari vennero

consolidate nelle zone di recente colonizzazione.171

La nascita dei principali gruppi guerriglieri colombiani

Nel corso degli anni del Fronte Nazionale si costituirono le quattro principali formazioni

guerrigliere colombiane: il 1964 fu l’anno della nascita dell’Ejercito de Liberaciòn

Nacional (ELN); due anni dopo fu la volta delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de

Colombia (FARC); l’ Ejercito Popular de Liberaciòn (EPL) si costituì invece nel 1967;

infine, nel 1970 nacque il Movimiento Diecinueve de Abril (M19).

168 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.169 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.170 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot,2001. 171 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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Si è già visto come in passato, in seguito alla Violencia degli anni ’50, si verificò la nascita

di gruppi di “autodifesa contadina” contro l’azione della polizia conservatrice (chulavita) e

dei primi gruppi paramilitari finanziati dai grandi proprietari terrieri (pajaros). Questi

gruppi, armati a scopo difensivo, furono inizialmente guidati da forze liberali e comuniste.

A partire dalla decade successiva, l’intensificarsi dei rapporti tra gli aderenti a questo

“movimento sociale armato”172 e il Partito Comunista contribuì alla nascita ed al

consolidamento di quello che in seguito divenne il gruppo guerrigliero più numeroso e

forte del paese: le FARC.

La Colombia si situa tra i paesi dell’America Latina in cui la portata raggiunta dalla

guerriglia ha superato quella delle realtà degli altri paesi latinoamericani, quanto a

diffusione all’interno della società e al suo protrarsi nel tempo. Le ragioni di ciò vanno

ricercate in diversi ordini di fattori. Uno dei principali è, sicuramente, la chiusura del

sistema politico scaturito da quella sanguinosissima guerra civile che fu la Violencia, al

termine della quale i sopravvissuti elementi del movimento democratico sconfitto e in gran

parte distrutto, dovettero scontrarsi con la realtà di un sistema fortemente autoritario e

dirigista. Il radicalismo dell’opposizione all’ordine costituito prosegue di pari passo con il

peggioramento della situazione economica delle classi subalterne e la contemporanea

ulteriore concentrazione delle ricchezze. “La riduzione degli spazi di intervento della

guerriglia ” coincise, nel corso di questo ventennio, ai pochi e limitati momenti in cui si

verificò “un ampliamento dei canali di partecipazione dei colombiani nella società e nella

politica”.173 L’intensità dello scontro rimase molto elevata per tutti gli anni del Fronte e del

suo smantellamento. Solo tra il 1958 e il 1966 ben 17.500 omicidi vengono compiuti per

motivi politici.174

Secondo gli autori Palacios e Safford175, i tipi di guerriglia sorti in Colombia possono

essere raggruppati in due tipologie: quella rurale- comunista e quella foquista. Le FARC

rientrano, per la maggior parte della loro storia, nella prima tipologia.

Le FARC sono nate nel mondo rurale per dare espressione alla volontà del mondo

contadino sostenitore di un tipo di colonizzazione autonoma, ossia non controllata dai

grandi proprietari terrieri. Ottenere una riforma agraria a vantaggio dei piccoli proprietari è

stato l’obbiettivo principale della loro lotta, per la maggior parte degli anni in cui essa si è

172 Pizarro Eduardo Longomez, Insurgencia sin revoluciòn. La guerrilla en Colombia en unaprespectiva comparada. Tercer Mundo, Bogotà, 1996, pag. 57.173 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 89.174 Ibidem.

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manifestata, ossia almeno fino alla metà degli anni ‘80. In corrispondenza dei territori dove

la grande proprietà era fortemente consolidata, lo scopo della loro mobilitazione era invece

quello di ottenere migliori condizioni lavorative.176

La cosiddetta teoria foquista invece, ispirata dalla rivoluzione Cubana e dalle teorie

rivoluzionarie di Che Guevara, credeva che la rivoluzione dovesse essere guidata da

un’avanguardia armata di origine urbana. I membri di questa minoranza intellettuale

illuminata avrebbero dovuto lasciare la città per stabilizzarsi temporaneamente nel mondo

rurale. Qui, avrebbero beneficiato del contatto diretto con il mondo contadino grazie, al

quale sarebbero riusciti in un certo senso a purificarsi delle aspirazioni di potere proprie

della classe a cui loro stessi appartenevano, ossia la classe medio -alta.

Contemporaneamente, le loro idee rivoluzionarie e conoscenze intellettuali avrebbero

costituto un utile apparato teorico su cui si sarebbe strutturata la mobilitazione della base

contadina. L’ELN, l’EPL e l’M19 presentano chiari caratteri tipici di questo tipo di

guerriglia. Ad ogni modo, nonostante l’origine urbana di questi gruppi, l’insurrezione nelle

città ha ricoperto un ruolo marginale anche per loro. Di fatti, la loro mobilitazione si è

concentrata nel mondo rurale, soprattutto in corrispondenza delle terre di frontiera.

Le forme d’opposizione politica

Le uniche forme legali possibili di opposizione politica negli anni del Fronte Nazionale,

furono quelle rappresentate dal Movimiento Revolucionario Liberal (MRL) e dall’ Acciòn

Nacional Popular (ANAPO).

L’MRL era stato fondato nel 1960 da quello che sarà il primo presidente eletto dopo la fine

del Fronte Nazionale: Lòpez Michelsen, figlio dell’ideatore della Revoluciòn en Marcha,

Lòpez Pumarejo. Questo movimento osteggiava la politica conciliatrice del Fronte e

raccoglieva gran parte del suo sostegno nelle zone rurali. Sotto l’influsso della Rivoluzione

Cubana abbracciò posizioni ancora più a sinistra. Dopo un iniziale successo elettorale,

Lòpez Michelsen “deluse le aspettative dei suoi sostenitori tornando nelle fila del Partito

Liberale e negoziando con il politico di vecchio stampo Julio César Turbay Ayala, per

vincere il biglietto presidenziale.”177

175 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002. 176 AA. VV., Las verdaderas intenciones de las FARC. Observatorio de Paz, Intermedio, Bogotà,1999.177 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 75.

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I successi dell’ANAPO furono invece di più lunga durata. Il movimento era stato fondato

nel 1961 niente meno che dal generale Rojas Pinilla. Questo movimento riuscì ad ottenere

una mobilitazione popolare di ampie dimensioni, non più verificatesi dai tempi del

gaitanismo. Nato come movimento di protesta nei confronti dei due partiti tradizionali e

dell’intero sistema di potere oligarchico, si mostrò capace di canalizzare il malessere di

settori molto diversi della società colombiana, accomunati dal solo fatto di essere tutti

ugualmente esclusi dal sistema di potere. Inizialmente, l’ingresso del generale in campo

politico fu motivato più da un’esigenza di riscatto che da un progetto politico preciso,

elaborato nel nome dell’interresse nazionale. Lo stesso uomo che era stato elevato al ruolo

di unico possibile pacificatore della nazione dall’intera classe dominante del paese, si era

sentito tradito quando, quattro anni dopo, per volontà della stessa classe oligarchica, era

stato messo da parte e mostrato come un pericolo per i principi della democrazia e dello

Stato di Diritto. In una prima fase, questo movimento trovò sostegno nelle fila del Partito

Conservatore, soprattutto nelle zone rurali. Le sue critiche rivolte al sistema politico del

Fronte Nazionale, vennero elaborate all’insegna dei valori tradizionali, soprattutto cattolici.

Il suo atteggiamento antigovernativo e la sua demagogia antioligarchica, gli garantirono un

discreto successo elettorale fin dalle elezioni del 1966. Considerando la vaghezza del

discorso politico dell’ANAPO (basti pensare che fino al 1970 non accennò ad alcuna

proposta di riforma agraria), il suo successo si spiega in parte per il “malessere di certi

elettori rispetto ad un Fronte Nazionale che li obbligava a votare per un candidato, Carlos

Lleras Restrepo (1966-1970), impopolare tra gli antichi simpatizzanti gaitanisti, per essere

stato uno degli oppositori più fermi al movimento, e tra i conservatori, per aver diretto per

molto tempo la resistenza liberale contro il governo di Laureano Gòmez”.178 Nella sua

seconda fase, in seguito alle delusioni rispetto ai propositi riformatori del presidente Lleras

Restrepo, l’ANAPO trovò l’appoggio di numerosi sostenitori anche tra le forze liberali del

paese. La popolarità dell’ANAPO crebbe considerevolmente anche tra i settori più

emarginati delle città, dove l’organizzazione di Rojas Pinilla, aveva cominciato a costituire

le proprie reti assistenziali in modo da sostituire quelle clientelari del mondo rurale.

Nessun sindacato garantì mai il sostegno al movimento di Rojas Pinilla, anche se,

individualmente, molti membri dei settori organizzati appoggiarono la candidatura del

generale alle presidenziali del 1970.

La mobilitazione popolare ottenuta da Pinilla fu di ampia portata, nonostante il suo

discorso populista non suscitò mai l’immaginario di una società altra. Ad ogni modo,

178 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 77.

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“agitando il tema dell’ingiustizia sociale, di una società umiliata e con profonde

disuguaglianze, stava toccando la stessa corda di Gaitàn”.179 Naturalmente la classe

politica era ben cosciente della portata del successo ottenuto dal generale. Fu così che

utilizzò tutti i mezzi a sua disposizione per mettere a freno i pericoli di eventuali

stravolgimenti dell’ordine.

La seconda fase del Fronte Nazionale e il ritorno alla “crescita verso

l’esterno”

Un emendamento costituzionale del 1968 prolungò alcune delle regole dell’alternanza che

la precedente Riforma Costituzionale sanciva per il tempo di quattro presidenze. Nel 1974

caddero effettivamente le restrizioni riguardo la competizione elettorale per quanto

concerne la carica presidenziale e i seggi parlamentari; le cariche ministeriali invece,

avrebbero continuato ad essere equamente suddivise tra liberali e conservatori ancora fino

al 1978. Addirittura, nello stesso emendamento costituzionale si stabiliva che anche dopo il

1978, il partito vincente alle elezioni, avrebbe dovuto garantire una divisione “equa”

nell’esecutivo tra forze liberali e conservatrici (non specificando il significato di “equa”).

L’alternanza si prolungò in pratica fino al 1986, anno in cui il neoeletto presidente Virgilio

Barco costituì il primo governo dalla fine del Fronte Nazionale, in cui la maggioranza degli

incarichi ministeriali era affidata ad un solo partito, quello liberale.180

Con il 1968 ha inizio la seconda fase del Fronte Nazionale, in cui la volontà politica della

classe dominante affievolisce la sua componente populista per imboccare ancora una volta

la strada dell’autoritarismo e del dirigismo economico. L’inizio di questa fase successiva

coincide con la formalizzazione di quelle tendenze economiche già adottate, durante la

prima fase del Fronte Nazionale, dalla maggior parte dell’elite economica. Il nuovo

indirizzo di politica economica sanciva definitivamente l’abbandono di quelle misure

protezionistiche che avevano dato luogo al processo di sostituzione delle importazioni,

permettendo l’avvio dell’industria nazionale. Durante il primo decennio del Fronte il flusso

della manodopera in eccesso proveniente dalle campagne e diretta verso la città, aveva

contribuito fortemente allo stimolo di un’industria manifatturiera moderna orientata nella

produzione di petrolchimici, automobili, carta, prodotti metallurgici ed elettrici. Nel corso

degli ultimi anni invece, la maggior parte degli investimenti nazionali e stranieri erano

179 Ibidem, pag. 79.180 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.

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tornati a concentrarsi sui beni di esportazione, col fine di sostenere l’agricoltura

commerciale e il processo di diversificazione dei prodotti agricoli. 181

Ancora una volta, le parole d’ordine tornarono ad essere quelle di “promozione delle

esportazioni” o “crescita verso l’esterno”.182 Tale cambiamento fu possibile grazie alla

ripresa dell’economia mondiale e al conseguente aumento del prezzo del caffè colombiano

sul mercato internazionale. Tutti gli sforzi fatti negli ultimi decenni per favorire la crescita

della produzione industriale e consolidare lo sviluppo del mercato interno, furono messi da

parte. Vennero introdotti due nuovi strumenti economici a sostegno dell’esportazione: il

Fondo de Promociòn de Exportaciones (PROEXPO) e l’Instituto Colombiano de Comercio

Exterior (INCOMEX); l’imposta sui valori esportati venne limitata; si stimolò la

circolazione di denaro estero sottoforma di crediti e si tentò di aumentare il controllo

statale sull’attività delle multinazionali, per evitare il rischio di una fuga di capitali (quale

era avvenuta in seguito all’ultima recessione mondiale del 1957-58); al potere esecutivo

venne riconosciuto il potere di emettere decreti a sostegno dell’esportazione e per il

controllo dell’occupazione. Nel 1969 si formalizzò l’adesione al Patto Andino concessa tre

anni prima dal presidente Lleras Restrepo. Questo patto avrebbe favorito le attività

commerciali e le collaborazioni economiche tra la Colombia, la Bolivia, il Cile, il Perù e

l’Ecuador.183 I paesi industrializzati tornarono ad investire in un mercato che prometteva

di crescere; d’altro canto, nei paesi occidentali si era conclusa la fase di espansione del

capitale e, conseguentemente, il tasso di profitto era tornato ad essere inferiore a quello

latinoamericano.

Con la presidenza di Lleras Restrepo la Colombia usciva dall’immobilismo della prima

fase del Fronte Nazionale: la modernizzazione del paese aveva ripreso il suo corso,

soprattutto per quanto riguarda il settore agricolo. Nonostante le scelte economiche

adottate fossero tutte a vantaggio dell’elite dominante, le ostilità verso il presidente liberale

rimasero inalterate, a causa della volontà di Lleras Restrepo di combattere e diminuire il

clientelismo alla base del sistema di potere. Battaglia questa che non si rivelò d’altro canto

sufficiente ad assicurargli l’appoggio dei settori popolari. Nel complesso, “Lleras Restrepo

non fece altro che aumentare le resistenze e risvegliare la sfiducia storicamente radicata

181 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995.182 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,www.gratisweb.com/ciclocrisis, pag. 11.183 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991.

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verso il potere centrale.”184 Per sostenere le scelte economiche degli ultimi anni infatti, i

partiti tradizionali aumentarono la rigidità già mostrata nel corso dell’ultimo decennio

verso le rivendicazioni sindacali. Per regolare i conflitti di lavoro venne creato il Tribunal

de Arbitraje Obligatorio, dal quale rimanevano esclusi tutti quei settori considerati di

“pubblico interesse”. I salari vennero congelati.

Non a caso, nel 1968 venne promulgata la legge 48, pilastro legale del paramilitarismo in

Colombia. Il testo di questa legge conferiva al governo il potere di creare pattuglie civili e

rifornirle di armi di uso esclusivo dell’esercito. Si trattava del quadro legislativo di

riferimento per quanto stabilito dal Plano Lazo circa i gruppi di autodifesa. Inoltre,

cominciarono ad essere distribuiti manuali sull’organizzazione della popolazione civile, il

cui contenuto sostanziale identificava il “nemico interno” da combattere, con tutti i leader

dei movimenti organizzati protagonisti delle lotte sociali.185

Il 19 Aprile del 1970 iniziò l’ultimo mandato presidenziale del Fronte Nazionale. La

legalità delle elezioni che sancirono la vittoria del conservatore Misael Pastrana venne

messa in dubbio da gran parte dell’opinione pubblica di allora e da alcuni osservatori

internazionali. Alle elezioni partecipò, in veste di candidato conservatore indipendente,

anche il presidente dell’ANAPO: Rojas Pinilla. Mentre i programmi televisivi riferivano

sugli aggiornamenti riguardanti lo spoglio delle schede, quando il vantaggio di Rojas

cominciò ad essere evidente, le trasmissioni vennero oscurate. Qualche ora dopo le radio

annunciarono la vittoria di Rojas. Il giorno seguente, i risultati ufficiali attribuirono il

38,7% dei voti a Rojas e il 40,3% a Pastrana.186

Secondo Bushnell, quelle elezioni furono “rubate” né più né meno di quanto non lo siano

tutte le elezioni colombiane, caratterizzate da una serie di irregolarità commesse da tutte le

parti: “un po’ di false credenziali qui, un tocco di intimidazioni di là, mentre i sostenitori

del governo hanno chiari vantaggi a farla franca con i loro abusi.”187

Ad ogni modo, l’importanza di queste elezioni fu rendere evidente gli effetti della

“polarizzazione sociale senza precedenti”188 avvenuta in seguito al successo crescente del

movimento populista dell’ANAPO. Qualcosa di importante era cambiato nella cultura

184 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 79.185 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.186 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.187 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993, pag. 230.188 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 76.

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politica della popolazione colombiana. Per la prima volta dall’inizio della storia della

Repubblica di Colombia, la divisione in seno alla società colombiana non si era articolata

secondo la tradizionale confrontazione liberali -conservatori, ma aveva assunto una

connotazione di classe: “i settori emarginati votarono in massa per l’ex dittatore, mentre

quelli più stabili votarono per il candidato del Fronte Nazionale.”189 Queste considerazioni

sono confermate dall’attenta lettura di Robert Dix190 dei dati forniti dal Dipartimento

Amministrativo Nazionale di Statistica della Colombia191, che mostrano una chiara vittoria

del generale nelle città, soprattutto per quanto riguarda i quartieri non residenziali, abitati

dalla classe media e medio- bassa.

La convinzione della frode elettorale avvenuta, radicata in alcuni settori urbani, sostenitori

del movimento di Rojas e non solo, determinò la fuoriuscita di alcuni intellettuali

dall’ANAPO che, unitisi ad altri dissidenti delle FARC, costituirono nel 1972 il

Movimiento 19 de Abril (M19). Questa nuova formazione guerrigliera portò con forza la

lotta armata nelle città, in particolare fu molto popolare nel Dipartimento del Cauca e nella

città di Cali.

In generale, per molti colombiani queste elezioni non rappresentarono che una conferma

ulteriore alla già diffusa convinzione dell’impossibilità della via democratica per un

rinnovamento reale della società.

La sconfitta di Rojas Pinilla segnava il fallimento dell’ANAPO e del populismo e apriva il

passo alla contestazione politico-militare. Nella popolazione “si installava una nuova

divisione, determinata dall’adesione o dall’opposizione alla prospettiva della lotta armata.

Ancora una volta, il populismo non apparve se non come una fase transitoria che condusse

alla riscrizione della divisione sociale nei termini della violenza politica”.192

La vittoria di Misael Pastrana corrispose ad un continuo aumento dell’autoritarismo per

garantire la continuità dello sviluppo capitalistico delle campagne e per affrontare la

conseguente conflittualità crescente.

Durante gli anni del Fronte Nazionale, le contraddizioni di uno sviluppo squilibrato, non

fecero altro che acutizzarsi. Le differenze dei tassi di crescita industriale registrati tra gli

anni 1968-74 e gli anni 1932-56, dimostrano che le aspettative di coloro che avevano

creduto nelle ricette economiche del Fondo Monetario Internazionale,

dell’amministrazione Usa e dei suoi economisti non erano state ben calibrate. L’idea di

189 Ibidem, pag. 76.190 R. Dix, Political opposition under the National Front, in A. Berry, R.H. Hellmann e M. Solaun,Politics of compromise, New Brunswick, New Jersey, 1980.191 Fonte: DANE, Boletin Mensual de Estadistica, n. 229, 1970.192 Pécaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 82.

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base dell’americano Currie, di un “capitalismo creolo” 193 che, con l’aiuto del capitale

estero sarebbe riuscito finalmente ad eliminare gli ostacoli che si opponevano alla crescita

(senza però risolvere le profonde disuguaglianze sociali ed economiche), mostrava tutta la

sua fragilità.

I centri dell’innovazione rimanevano lontani, così come lontane erano le sedi delle

multinazionali. Proseguiva invece la riorganizzazione della divisione internazionale del

lavoro, attraverso cui alcuni settori della produzione venivano trasferiti nei paesi in via di

sviluppo, approfittando dei bassi costi della mano d’opera.194

Pertanto, le tensioni sociali durante gli anni del Fronte Nazionale si approfondirono:

l’adesione e il sostegno alla guerriglia si diffuse, così come alta fu la mobilitazione

popolare ottenuta dal movimento conservatore e populista del generale Rojas Pinilla. Nel

mondo contadino, il malcontento si raccolse attorno all’unica organizzazione legale del

settore, quella fondata dal liberale Lleras Restrepo, l’ANUC. Mentre la concentrazione

delle ricchezze non subì alcuna battuta d’arresto, la crescita costante del PIL nazionale non

risolse nessuno dei gravi problemi socioeconomici della società colombiana: la

disoccupazione in aumento, la disgregazione del mondo agricolo, la proletarizzazione di

gran parte dei settori urbani, la crescita dell’inflazione. Tutti questi elementi

approfondirono la disaffezione già radicata nella società colombiana verso l’autorità

centrale dello Stato e, più in generale, verso la politica come strumento di confrontazione e

di negoziazione degli interressi. La nuova ondata di autoritarismo sostenuta dagli ultimi

governi del Fronte Nazionale, non ottenne altro che l’aumento del consenso sociale, verso

forme di potere extrastatali. A fianco all’immagine venduta nel mondo di un paese

moderno, ricco e democratico si poteva scorgere un’altra immagine dai colori più vivi e

reali, di una “democracy by default”195, ossia di una “democrazia mancante”, alla cui

popolazione era impedito avere una propria rappresentanza politica attraverso cui

esprimere liberamente la propria opposizione alle politiche di governo, pena l’accusa di

sovversione.

193 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis econòmicas en Colombia,www.gratisweb.com/ciclocrisis, pag. 13.194 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot,2001. 195 Alberti, Democracy by default, Movimientismo and Social Anomie. Università di Bologna eCESDE, 1991, pag. 1.

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SECONDO CAPITOLO: LE CHIAVI DELL’ATTUALE

CONFLITTO ARMATO.

Introduzione: l’allargamento e la trasformazione del conflitto.

Negli anni successivi alla “dittatura costituzionale”196 le èlites politiche conservatrici e

liberali continuarono a collaborare per una gestione condivisa del potere. La teoria del

partito unico a due facce, condivisa da diversi autori, ci aiuta a capire come gli elementi

alla base di questa collaborazione risalivano a tempi ben più remoti rispetto a quelli in cui

l’alternanza al potere si era istituzionalizzata nel Fronte Nazionale. Alla base di questa

teoria c’è l’individuazione in Colombia di una cultura politica di tipo federale, che aveva

accompagnato lo stato oligarchico colombiano fin dalla sua nascita. Nel corso del capitolo

precedente ci si è soffermati su alcuni degli elementi base di questa cultura politica. Da un

lato, una logica di potere clientelare; dall’altro, la diffusa condivisione, tra conservatori e

liberali, della concezione di partito politico come espressione degli interessi di “signorotti”

locali e, quella di Stato, come bottino da spartire tra i vincitori alle elezioni presidenziali.

Era stata proprio questa cultura politica a fungere da motore di quei meccanismi che per

decenni avevano alimentato la medesima spirale di violenza. La chiusura del sistema

politico e il permanente rifiuto di adottare le misure necessarie per dare avvio alle

trasformazioni economiche, politiche e sociali rivendicate dalla maggioranza della

popolazione, avevano negato allo Stato colombiano la possibilità di fungere da mediatore

tra i diversi interessi rappresentati. Lo Stato colombiano non era stato in grado di svolgere

quella funzione che, secondo la moderna teoria democratica, legittima l’intero apparato

statale: garantire l’unità e la coesione sociale per la messa in atto di un progetto collettivo e

di un modello di sviluppo, espressione degli interessi dell’intera società.197

L’uso della forza ad opera delle elite politiche per la difesa degli interessi costituiti,

determinò il ricorso alla strategia della lotta armata da parte di settori della popolazione

sempre più ampi. La diffusione dei movimenti insurrezionali produsse, a sua volta, una

reazione statale ancor più repressiva e autoritaria. Il risultato più evidente ottenuto da

decenni di violenza fu la sfiducia verso la politica come mezzo di confronto in seno

196 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 105.197 AA. VV., Repensar a Colombia: Hacia un nuevo contrato social. Panamericana Formas eImpresos, Bogotà, 2002.

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all’intera società colombiana. Crebbero così gli spazi, le occasioni e le motivazioni per il

consolidamento di poteri informali extrastatali: non solo quelli della guerriglia, ma anche

quelli del narcotraffico e del paramilitarismo. La crescita di questi poteri paralleli,

affiancati ad uno Stato incapace di garantire il monopolio della forza, finì per alimentare la

dilagante militarizzazione delle funzioni pubbliche.

Il tutto non fa che confermare le considerazioni di un noto teorico dello sviluppo politico,

Samuel Huntington.198 A fine anni ’70, egli elabora la teoria sociologica secondo cui la

stabilità sociale è il risultato del rapporto tra il livello di istituzionalizzazione di un paese e

il grado di partecipazione politica garantito ai diversi settori sociali. I rapidi mutamenti

sociali ed economici avvenuti nella seconda metà del XIX secolo nei paesi in via di

sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina (quali l’urbanizzazione, l’ avvio

dell’industrializzazione, l’aumento del grado di istruzione e la diffusione dei mezzi di

comunicazione di massa) sono stati accompagnati da un aumento del benessere materiale,

ma anche da una crescita della frustrazione sociale. I motivi di ciò, vanno ricercati nel fatto

che la ricchezza ottenuta dallo sviluppo economico, non è stata sufficientemente

ridistribuita tra i diversi settori sociali. La mobilità sociale seguita al processo di

modernizzazione ha creato una serie di aspettative rimaste insoddisfatte a causa

dell’incapacità dimostrata dall’apparato statale di rispondere alle nuove aspirazioni

attraverso le sue istituzioni economiche e politiche. Pertanto, il malcontento non ha trovato

altra valvola di sfogo se non quella della forza e del conflitto sociale.

Infine, la redistribuzione in Colombia, così come negli altri paesi dell’America Latina,

dell’Africa e dell’Asia, non è stata ostacolata solo dalle esigenze capitalistiche di

accumulazione delle elite economiche nazionali, ma anche da quelle delle nuove elite

economiche in via di affermazione in campo internazionale.199

198 Huntington S. P., Ordine politico e mutamento sociale. Angeli, Milano, 1979.199 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotá,2001.

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L’ apertura democratica e l’intensificazione della guerra sucia (1974-

1989).

Lo smantellamento dello Stato interventista-protezionista in Colombia

Secondo Hector Mondragòn200, i governi colombiani succedutisi negli ultimi venticinque

anni hanno sposato la fede neoliberale. Questo ha sancito la definitiva emarginazione dei

ceti popolari e della vecchia classe dirigente che, scampata alla Violencia, era stata

protagonista e artefice della riconciliazione tra liberali e conservatori. I membri delle

nuove elite neoliberali in via di affermazione si formarono professionalmente nelle

maggiori istituzioni finanziarie internazionali (FMI e BM), nelle esclusive università di

Chicago e nella prestigiosa Universidad de los Andes di Bogotá. Dato il selettivo accesso a

questo tipo di istruzione universitaria, più economico che meritocratico, i legami di

parentela tra le vecchie e le nuove elite rimasero forti.

La novità del cambiamento riguardava soprattutto la base del consenso che la nuova

generazione di politici andava creandosi negli anni dello smantellamento del Fronte

Nazionale. Se la politica dei loro padri era stata formalmente impregnata di populismo

perché il loro scopo era stato quello di emergere come leader indiscussi degli interessi della

nazione intera, l’atteggiamento politico dei loro figli era tornato a rivolgersi esplicitamente

alle reti di potere su base locale.201

Nel capitolo precedente si è cercato di illustrare come molte delle scelte della classe al

potere durante il Fronte Nazionale, oltre alla demagogia populista e all’effettivo processo

di nazionalizzazione della forza realizzato, avevano perseguito i seguenti obbiettivi:

a) mantenere in vita e, in un certo senso, rafforzare le reti locali di potere sia in campo

economico che in quello socio-politico. Basti pensare al ruolo marginale ricoperto

dall’autorità statale nell’economia del paese, a vantaggio dei gruppi d’interesse

regionali e al mantenimento di un sistema assistenziale che privilegiava le giunte

comunali, a scapito delle grandi confederazioni sindacali;

b) favorire il più possibile gli interessi economici stranieri, in particolare del potente

vicino di casa, gli Stati Uniti d’America.

200 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia. www.gra t i sweb.com/ciclocrisis.201 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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Ad ogni modo, durante gli anni del Fronte Nazionale anche lo Stato colombiano visse

momenti in cui accrebbe le proprie funzioni e la propria forza grazie ad un maggiore

intervento in campo economico, finalizzato all’avvio della produzione industriale e alla

crescita del mercato interno. Nella seconda fase del Fronte, anche se la classe politica

nazionale cominciò ad allontanarsi dal modello di sviluppo basato sul processo di

sostituzione delle importazioni, l’intervento statale in campo economico rimase forte. In

particolare, in seguito alla ripresa dell’economia mondiale, durante la presidenza di Lleras

Restrepo (1966-1970) l’intervento statale tornò a privilegiare il settore delle

esportazioni.202

Secondo Rosemary Thorp203 i meriti di Lleras in campo economico sono stati molti, in

particolare quello di essere riuscito a salvaguardare l’indipendenza nazionale rispetto alle

pressioni provenienti dal FMI, espressosi a favore del mantenimento di un tasso di cambio

flessibile e della svalutazione della moneta colombiana. Con la scelta di una politica

monetaria e fiscale “prudente”204 egli riuscì a garantire un aumento della produzione

nazionale (che a sua volta favorì la diversificazione degli investimenti privati), delle

entrate statali e delle sue possibilità di spesa, tenendo sotto controllo il tasso di inflazione.

Il primo governo dopo la fine del Fronte Nazionale, quello di Lòpez Michelsen (1974-78)

ebbe inizio in un momento difficile in cui, in seguito all’aumento del prezzo del petrolio

sul mercato internazionale ed all’esaurimento delle riserve dei giacimenti petroliferi

colombiani fino ad allora scoperti, il tasso di inflazione colombiano passò dal 7% nel 1973

al 25% nel 1974.205 Alla luce della nuova situazione internazionale i settori in espansione

per gli effetti positivi delle politica economica di Lleras, quello delle esportazioni non

tradizionali e delle costruzioni, subirono una forte battuta d’arresto. Nonostante le

difficoltà, Lòpez dimostrò una certa continuità con la tradizione colombiana, adottando una

politica monetaria rigorosa, che tenesse sotto controllo l’indebitamento pubblico con

l’estero. Per agevolare l’entrata di investimenti stranieri nel settore petrolifero, il governo

optò per un aumento della tassazione fiscale, con l’eliminazione di detrazioni e indennità.

Il processo di liberalizzazione del mercato annunciato dal presidente seguì un andamento

tutt’altro che lineare durante gli anni del suo governo. In campo finanziario la

liberalizzazione fu difatti accompagnata dalla nazionalizzazione delle banche, che provocò

202 Mondragòn Hector, Los ciclos y las crisis economicas en Colombia. www.gra t i sweb.com/ciclocrisis.203 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,MacMillan Academic and professional, London, 1991.204 Ibidem, pag. 150.205 Ibidem, pag. 164.

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una crescita del tasso d’interesse anziché una sua liberalizzazione. Parallelamente, l’indice

di liberalizzazione delle importazioni costruito da Garcia206 non mostra cambiamenti

significativi tra il 1974-78. Secondo Thorp207, l’implementazione di queste misure non

dipese dalle scelte amministrative della squadra al governo, piuttosto da due eventi da essa

indipendenti. Da un lato, la crescita del prezzo del caffè colombiano in seguito alla caduta

dell’offerta brasiliana sul mercato internazionale per motivi climatici. Dall’altro, l’entrata

di un enorme flusso di dollari provenienti dal commercio di sostanze illegali, quali la

marijuana e la cocaina. Poiché in nessuno dei due casi il governo aveva accesso diretto ai

profitti ottenuti, né aveva modo di incidere sulla loro distribuzione e sul controllo del

prezzo delle merci vendute208, l’unico strumento a sua disposizione per neutralizzare

l’aumento del flusso di dollari e frenare il tasso di inflazione era rappresentato da una serie

di misure rivolte a stimolare il risparmio privato e pubblico. Fu così che la spesa pubblica

venne drasticamente ridimensionata e che dal 1977 i salari registrarono una rapida caduta.

Pertanto il governò Lòpez ha spianato la strada al modello di sviluppo neoliberale, non

tanto in termini di liberalizzazione del mercato, quanto in termini di ridefinizione delle

relazioni capitale-lavoro. Nonostante fin dal suo arrivo al potere Lòpez abbia cercato

demagogicamente di porre al centro della sua politica la negoziazione, portando sul

medesimo tavolo delle trattative i rappresentanti del governo, dei sindacati e delle

confederazioni economiche,209 risultato di quegli incontri fu l’introduzione di quello che,

con le parole del presidente, venne definito salario integral: ovvero, un salario più elevato,

accompagnato dalla diminuzione delle già limitate garanzie sociali, a danno del regime

pensionistico e della stabilità lavorativa. In più, i profitti capitalistici ottenuti da queste

manovre, anziché essere investiti nel miglioramento della produzione nazionale, vennero

convertiti in strumenti speculativi che favorirono la concentrazione monopolistica.210

Anche Thorp ritiene che l’errore più grande commesso dall’amministrazione Lòpez e

dall’elite economica nel gestire il boom di quegli anni fu determinato dall’incapacità di

stimolare un incremento degli investimenti a favore della produzione industriale e di quella

agricola del cotone e dello zucchero. I profitti del boom economico produssero invece una

crescita incontrollata del settore finanziario, favorendo le operazioni speculative.

206 Jorge Garcia, The timing and sequency of a trade liberalization policy: Colombia 1967-1982.Mimeo, World Bank, 1986, pag. 87. 207 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,MacMillan Academic and professional, London, 1991.208 Per quanto riguarda il caffè, questi strumenti erano in mano alla Federaciòn de cafeteros ed aiproduttori privati di cui essa rappresentava gli interessi.209 Pecaut Daniel, Orden y Violencia. Tomo II. El Siglo XXI, Bogotà, 1988.

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Infine, anche Palacios e Safford211 concordano col ritenere che la politica di Lòpèz altro

non fece che favorire i finanziamenti diretti al settore del caffè, a sostegno della grande

agricoltura commerciale. Secondo la loro analisi, Lòpez e la classe al potere erano guidati

dalla convinzione che i finanziamenti statali a favore dell’industria manifatturiera

avrebbero reso la produzione meno efficiente e competitiva ed avrebbero aggravato il

decifit statale.

Durante il successivo governo, quello del liberale Ayala Turbay (1978-82), il prezzo del

caffè colombiano cominciò progressivamente a scendere, anche a causa della ripresa della

produzione brasiliana. La moneta circolante rimase comunque abbondante grazie ai profitti

derivati dal mercato del narcotraffico, ma questo non fu sufficiente a finanziare la crescita

nazionale. Come vedremo più avanti, ai tempi dei grandi cartelli della droga, gran parte

degli investimenti dei narcos si limitavano difatti all’acquisto di beni immobili.

Contemporaneamente, il taglio della spesa pubblica deciso dal governo Lòpez aveva fatto

sì che le infrastrutture pubbliche si trovassero in uno stato di deterioramento tale da

ostacolare lo sviluppo economico del paese. Fu così che il nuovo governo cedette all’alta

offerta internazionale di credito e si indebitò pesantemente, guidato “dalla convinzione che

la messa in atto di grandi progetti avrebbe avuto un effetto a pioggia sull’intera economia

del paese”.212 Vennero eliminate anche le restrizioni riguardo l’indebitamento estero da

parte di soggetti privati. In particolare, per quanto riguarda questo settore i crediti si

concentrarono per il 43% a favore di soli 5 grandi imprese.213

Rapidamente, anche in Colombia si verificarono le stesse condizioni sfavorevoli che

caratterizzavano le economie del resto dei paesi latinoamericani, già da tempo attanagliati

dalle conseguenze negative legate alla crescita del debito estero, all’aumento del costo del

debito in termini di interessi, ai ridotti periodi di pagamenti concessi, all’ingente

indebitamento di poche grandi imprese. Man mano che il servizio del debito aumentava,

passando dal 18% nel 1977 al 33% nel 1982, si crearono le condizioni favorevoli al

processo di “latinamericanizzazione”214 della Colombia che spianò la strada alla finanza

estera per l’acquisto dei titoli di stato colombiani.

210 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogotá,2001.211 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002. 212 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,MacMillan Academic and professional, London, 1991, pag. 174.213 Ocampo & Lora, Colombia y la deuda externa. Fedesarrollo, Tercer Mundo Editores, Bogotà,1988, pag. 93.214 Ibidem, pag. 87.

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L’implementazione più radicale delle politiche di liberalizzazione appena accennate dal

governo precedente non produsse gli effetti sperati. L’estensione delle liberalizzazioni a

nuovi gruppi industriali nel cambiato contesto di recessione delle esportazioni produsse

un’ulteriore danno all’industria nazionale. Infine, l’aumento della corruzione nel settore

finanziario favorì la formazione di pochi e potenti gruppi ai quali venne data la possibilità

di indebitarsi senza limiti alcuni. L’intero sistema economico ne uscì fortemente

indebolito. 215

La militarizzazione delle funzioni pubbliche

Nel corso della seconda metà degli anni ‘70 e della decade successiva il risultato di queste

trasformazioni economiche e la mancata redistribuzione degli utili determinarono:

• la risposta del movimento sindacale;

• la diffusione e il rafforzamento della guerriglia;

• lo sviluppo e il consolidamento di un’ economia informale dominata dal narcotraffico.

Il dilagare degli ultimi due di questi elementi contribuirono a creare un forte clima di

insicurezza generalizzata, per contrastare il quale le istituzioni governative favorirono

l’aumento e la diversificazione delle funzioni militari.

Fin dagli anni del Fronte Nazionale gli sforzi messi in atto dalla classe politica per

garantire la sicurezza e l’ordine pubblico si limitarono al potenziamento delle forze

militari.216 A causa dell’incapacità dello Stato di adempire alle proprie funzioni, da allora

le Forze Armate vennero sovraccaricate di attività, che non appartenevano all’ambito

strettamente militare. L’atteggiamento della classe al potere negli anni successivi al Fronte

Nazionale rimase inalterato: oltre alle funzioni civiche e sociali ereditate dal Plan Lazo, ai

militari vennero affidati compiti di polizia: dal contenimento delle tensioni interne, al

controllo del contrabbando di smeraldi e, successivamente, del traffico di marijuana e

cocaina. Di conseguenza, molti militari vennero coinvolti negli interressi locali a scapito

della loro professionalità.

Il timore che con la fine del Fronte Nazionale le tensioni sociali esplodessero senza

controllo e che le forze d’opposizione prendessero il sopravvento fece sì che anche i primi

governi seguiti al Fronte Nazionale ricorressero in modo quasi permanente allo stato

d’assedio: i militari continuarono quindi a svolgere quella funzione di “garanti dell’ordine

215 Rosemary Thorp, Economic Managment and economic development in Perù and Colombia,MacMillan Academic and professional, London, 1991.216 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.

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e delle istituzioni democratiche”217 di cui erano stati insigniti a partire dal 1962 con

l’adozione del Plan Lazo.

La risposta del governo liberale di Lòpez Michelsen (1974-1978) di fronte al diffondersi

della guerriglia e di altre forme di criminalità, fu l’istituzione nel 1974 della Comisión

Nacional para la Prevención de la Delincuencia. Dopo aver riconosciuto che il ricorso al

crimine in seno alla società colombiana non costituiva più il “risultato di fenomeni isolati

di disgregazione sociale, bensì stava assumendo forme permanenti di perturbazione”218, i

membri di questa commissione avviarono quel processo di militarizzazione delle istituzioni

statali che si sarebbe poi completato durante il successivo governo.

Gli anni dell’amministrazione del liberale Turbay Ayala si rivelarono di fatti tra i più

repressivi dai tempi della Violencia.219 Sull’esempio delle dittature militari argentine e

cilene anche la Colombia era ricorsa nell’ultimo governo del Fronte Nazionale, quello del

conservatore Misael Pastrana (1970-74), alla Doctrina de Seguridad Nacional. Secondo

questa dottrina, il nemico era interno e la necessità di combatterlo era vitale per la

sovranità nazionale: ogni opposizione al governo finiva quindi per essere considerata come

sovversiva e pericolosa per la sicurezza del paese. Turbay sposò in toto i principi di questa

dottrina e, grazie a lui, i militari assunsero una capacità d’iniziativa e uno spazio d’azione

mai avuti prima. Fu così che nel 1978 sottoscrisse una serie di leggi repressive, contenute

in un decreto legislativo che prese il nome di Estatuto de Seguridad Nacional. Tale decreto

va letto come atto risultante di una serie di misure adottate d’urgenza da Pastrana e da

Lòpez per contenere la protesta dei settori cittadini, sindacali e popolari.220

Anche per Alfred Rangel221 con Misael Pastrana si era aperta una fase nuova, in cui

l’atteggiamento adottato dallo Stato riguardo le questioni d’ordine pubblico e, in

particolare, in relazione alla lotta armata, aveva assunto le vesti dell’“indifferenza

totale”222. A partire dal 1970 e fino al 1982 la minaccia della guerriglia venne sottostimata

dal potere politico, tanto che l’attenzione si concentrò sulla difesa verso l’esterno, in

relazione ad una disputa territoriale con il Venezuela.

217 Ibidem, pag. 124.218 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 98.219 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.220 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,2000.221 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001.222 Ibidem, pag. 154.

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L’Estatuto de Seguridad fu difatti una misura ideata e realizzata dalle Forze Armate più

che da quelle politiche. Con esso venne ufficialmente proclamata la supremazia della legge

d’emergenza rispetto a quella ordinaria. Il momento non era certo casuale: il paese stava

vivendo il massimo momento di espansione della guerriglia di origine urbana. Le sue

dimensioni erano comunque marginali rispetto alla guerriglia rurale, ma la sua visibilità

venne estremamente amplificata grazie all’M19.223

Con l’Estatuto de Seguridad si crearono nuove figure penali, aumentarono le sanzioni per i

delitti, venne permesso il giudizio dei civili ad opera dei militari, vennero ratificate le

facoltà straordinarie riconosciute alle autorità locali (sindaci e polizia regionale), si

stabilirono meccanismi di censura per le radio e le televisioni, venne negata la possibilità

di ricorrere in seconda istanza per le sentenze emesse dai comandanti dell’Esercito, della

Marina e della Forza Aerea.224

Inoltre, “anche se nello statuto la ribellione mantenne il suo carattere politico, vennero

introdotte tutta una serie di figure criminali, come l’associazione a delinquere, per non

riconoscere la connessione di questi crimini con l’origine politica della ribellione e ridurre

le manifestazioni di quest’ultima a questioni di reato comune.”225

“In un contesto in cui la società era scossa dal dilagare del narcotraffico e dal momento di

massima espansione del movimento guerrigliero, nella sua componente urbana e rurale, gli

effetti della repressione ricaddero soprattutto sui movimenti sociali e politici, studenteschi

e sindacali”226, a danno dei settori più emarginati dei quartieri delle grandi città, ma anche

del grosso della classe media urbana che fino ad allora era rimasta lontana dalla guerriglia.

A detta di Leal Francisco Buitrago, questo fu “uno degli esempi più eclatanti a conferma

dell’assimilazione colombiana della dottrina sudamericana di sicurezza nazionale.”227

223 Questo gruppo guerrigliero si era distinto fin dalla sua nascita per la spettacolarità delle sueazioni, volte a mettere in ridicolo l’esercito. Basti pensare a quanto accadde nel gennaio del 1974,anno della fondazione del gruppo. Uno dei suoi membri s’impossessò della spada di SimonBolivar, nientemeno che l’eroe della lotta per l’indipendenza colombiana, custodita nel Museodella Quinta, nel cuore del quartiere residenziale coloniale di Bogotà, a due passi dal palazzopresidenziale. Nei giorni festivi a cavallo del Capodanno del 1979 invece, alcuni uominidell’organizzazione clandestina riuscirono a svuotare completamente uno degli arsenali militariprincipali del paese, quello del Cánton Norte. Dopo quell’episodio, tra esercito e M19 fu guerraaperta.224 Reyes Alejandro, Guillermo Hoyos e Jaime Herredia, Estatuto de Seguridad. SerieControversia, N. 70-71, Bogotà, Cinep, 1978.225 Torres del Rìo Cesar, Fuerzas armadas y seguridad nacional. Planeta colombiana, Bogotà,2000, pag. 220.226 Ibidem.227 Leal Buitrago Francisco, El oficio de la guerra. La seguridad nacional en Colombia. Bogotà,Tercer Mundo Editores, 1994, pag. 104.

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In quegli anni molte furono le violazioni dei diritti umani e le torture realizzate a danno dei

detenuti da parte di alcuni settori delle Forze Armate. Secondo il rapporto di Amnesty

International del 1980, in quell’anno vennero perpetrati almeno 6.000 casi di tortura. 228

Di fronte alle denuncie, la versione dei militari sotto processo era sempre la stessa: ossia,

“che nessun membro del corpo si era mai permesso di perseguire qualcuno a causa delle

sue idee politiche o filosofiche”; allo stesso tempo, “che tutti suoi membri avevano

dispiegato tutto il loro potere e loro mezzi, e avrebbero continuato a farlo, contro chi

ricorreva a metodi illegali per sovvertire l’ordine istituzionale”.229 Il popolo doveva

comprendere che il nemico non era definito, né manifesto, bensì latente e in azione, capace

di infiltrarsi in tutte le istituzioni, dalla famiglia ai gruppi economici. Il comandante

dell’Esercito, il generale Landazàbal, riteneva inoltre che anche il sistema educativo poteva

essere un mezzo di sovversione.230

Difatti, molte delle vittime degli arresti e delle torture perpetrate dall’esercito furono

insegnanti delle scuole medie, superiori e professori universitari. Come ci fa notare

l’economista e storico Hector Mondragòn, gli insegnati sono stati i bersagli più facili delle

Forze Armate perché, a causa della funzione pubblica da loro svolta, gli orari e i luoghi in

cui esercitano la loro professione sono informazioni di dominio pubblico. Mondragòn è

stato professore universitario nella città petrolifera di Barrancabermeja. Nel 1977, anno in

cui venne organizzato lo sciopero nazionale generale che registrò il maggior numero di

aderenti in tutta la storia contemporanea della Colombia, venne eletto come rappresentante

di un movimento civico di Barrancabermeja. Immediatamente dopo la fine della

mobilitazione, “ingenuamente”, come egli stesso ha affermato231, tornò nel suo luogo di

lavoro, l’Università. Qualche minuto dopo l’inizio della sua lezione venne portato via dalle

Forze Armate. Durante i giorni in cui fu tenuto prigioniero, venne torturato al punto che,

quando i militari decisero di lasciarlo libero, non era in grado di andarsene con le proprie

forze: di fatto non gli era possibile muovere nessuno dei suoi arti. Fu riportato a casa dai

suoi familiari. A causa dell’utilizzo da parte dei torturatori di forti scosse elettriche, a

tutt’oggi gli è impossibile avere piena mobilità del suo corpo, soprattutto per quanto

riguarda le dita delle mani, e la sensibilità della sua pelle è rimasta per sempre danneggiata.

228 Numerose furono anche le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionalecommessi dai gruppi guerriglieri, come il sequestro di persona, gli attacchi contro la popolazionecivile, gli assassini mirati di membri della classe dirigente.229 Revistas de las Fuerzas Armadas, N. 94, gennaio-marzo 1980230 El Espectador, Bogotà, 19 gennaio, 1982.231 In relazione alla ricostruzione delle violazioni perpetrate a danno di Hector Mondragòn, si fariferimento a quanto raccontatomi durante una conversazione informale avvenuta nell’aprile diquest’anno.

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Quel che è peggio è che a tutt’oggi gli è negata la possibilità di esercitare liberamente la

propria professione: il rischio di morte sarebbe troppo elevato. Continua coraggiosamente a

tenere conferenze in diverse città del paese a condizione che non venga fatta alcuna

pubblicità sulla sua presenza agli eventi pubblici a cui partecipa. Inoltre, è invitato in

numerose conferenze e convegni in diversi paesi europei, non solo per testimoniare quanto

gli è accaduto, ma per esporre le sue lucidissime e precise analisi circa la situazione attuale

colombiana e le sue origini storiche.

In questa fase, per quanto concerne invece la guerriglia rurale, essa non rientrò nelle

preoccupazioni né governative, né militari. Tutti gli sforzi si concentrarono nel combattere

quello che appariva il problema più visibile: la guerriglia urbana. Il risultato di questa

impostazione fu l’arresto di buona parte dei capi dell’M19, ma dal punto di vista politico,

l’offensiva messa in atto fallì clamorosamente. L’utilizzo della tortura e della repressione

indiscriminata da parte delle Forze Armate accompagnate dal beneplacito delle elite

politiche ed economiche che accettarono come necessarie l’applicazione di queste azioni,

non fece altro che favorire le possibilità di reclutamento della guerriglia.232 Quest’ultima

rafforzò la sua immagine a livello nazionale ed internazionale come unico strumento

contro le restrizioni delle libertà democratiche e contro l’oppressione.

Fu necessario attendere l’inizio della decade successiva e l’elezione del primo presidente

conservatore dalla fine del Fronte Nazionale, Belisario Betancur (1982-86), affinché le

questioni d’ordine pubblico tornassero ad essere affrontate in primo luogo dalla classe

politica anziché dalle Forze Armate. Per Betancur, la guerriglia non aveva solo un carattere

politico, ma anche “cause oggettive”.233 Il progetto politico di Betancur era ispirato da una

politica di pace in cui la messa in atto di una serie di riforme sociali ed economiche

costituiva la necessaria premessa delle negoziazioni tra il governo e la guerriglia. Fu così

che, per la prima volta, il governo riconobbe nei guerriglieri dei soggetti politici con i quali

interloquire. Venne così varato il Plan de Rehabilitaciòn (PNR), che prevedeva una serie

di investimenti governativi a favore delle zone più colpite dal conflitto. Queste misure

economiche furono accompagnate da importanti misure politiche, quali:

- la concessione di un’amnistia, che portò alla scarcerazione di 700 combattenti;

232 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001.233 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 139.

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- l’istituzione di una Commissione di Pace nella quale vennero incluse tutte le forze

politiche, comprese quelle di opposizione, tra cui i rappresentanti del Partito

Comunista, praticamente illegale;

- l’avvio di una riforma costituzionale per l’introduzione dell’elezione popolare dei

sindaci.234

Il successo della politica di Betancur si concretizzò con la firma di due tregue bilaterali del

1983. La prima, con l’M19 e l’EPL i cui uomini rientrarono nella legalità. Fu allora che,

per volontà degli uomini dell’M19, venne aperto il dibattito circa la necessità di istituire

un’assemblea costituente per la redazione di un nuovo testo fondante. La seconda tregua

venne raggiunta con le FARC. I militanti del gruppo guerrigliero più grande del paese, per

numero di aderenti e per dimensione delle zone controllate, accettarono una tregua

incondizionata e diedero vita all’Union Patriotica (UP), una formazione partitica che

avrebbe dovuto favorire il transito dei guerriglieri, dalla lotta armata alla vita politica.

Il fallimento del processo di pace dipese dall’isolamento in cui Betancur venne relegato

dalla classe politica, dalle corporazioni economiche e dalle Forze Armate.235 Di

conseguenza, i contatti con i gruppi guerriglieri furono condotti da delegazioni prive di una

reale capacità di negoziazione, a causa della mancanza dell’elaborazione di un chiaro piano

politico di riferimento. Ancora una volta, alla base del fallimento governativo stava

l’incapacità di riunire le volontà dei due partiti tradizionali su temi chiave quali:

a) la riforma agraria;

b) l’intervento statale necessario ad assicurare l’incolumità delle forze di opposizione,

attraverso una definizione chiara del ruolo dell’esercito nel processo di pace236;

c) il rafforzamento del potere centrale nei confronti dei poteri locali;

d) la necessaria limitazione della mentalità guerriera predominante nelle Forze Armate.

Inoltre, anche tra gli alleati più stretti di Betancur vi erano alcuni elementi impregnati di

una visione troppo semplicistica della situazione, che considerava l’amnistia e i piccoli

spazi aperti sul piano politico, come misure sufficienti a risolvere una serie di

problematiche che il radicamento della guerriglia nel tessuto sociale faceva percepire come

234 Villaraga Álvaro, presidente del Consiglio Nazionale di Pace della Fondazione ColombianaDemocratica per la Pace. Intervento alla tavola “Smobilitazione, disarmo e reinserimento: passato,presente, futuro” durante il seminario “La Cooperazione Internazionale in Colombia: Pace e DirittiUmani?”, tenutosi tra il 14e il 16 aprile 2005 a Barcellona.235 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993.236 Solo tra il 1981 e il 1986 le bande paramilitari di destra furono responsabili di 3536 esecuzioni,2028 casi di tortura e 645 casi denunciati di desaparecidos, secondo quanto ripartato da GiovanniCasetta in Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti; Firenze, 1991, pag. 101.

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questioni molto più complesse. Parte delle responsabilità del fallimento del processo di

pace vanno d’altra parte sicuramente ricondotte ai gruppi armati. “L’incapacità della

guerriglia di comprendere la portata dei cambiamenti in atto, in proporzione alla sua

debolezza e frammentazione, unita alla sopravvalutazione delle proprie capacità e il

conseguente riavvio delle proprie attività di guerra, ebbero un peso enorme nel fallimento

delle negoziazioni.”237

Le Forze Armate mostrarono fin dall’inizio una forte ostilità verso il progetto politico di

Betancur: ancora oggi la maggior parte di loro considera l’amnistia concessa da questo

governo e i suoi tentativi di negoziazione coi capi della guerriglia quali cause principali del

suo consolidamento in tutto il territorio nazionale.

La distanza tra autorità civili e militari divenne evidente nel 1985, l’anno dell’assalto da

parte di alcuni membri dell’M19 al Palazzo di Giustizia di Bogotà. A partire da allora la

guerra sucia contro i guerriglieri che avevano accolto l’invito del governo e avevano

abbandonato le armi, assunse dimensioni incontrollabili mentre le Forze Armate

cominciarono a fare proselitismo politico vero e proprio. 238

Nel 1985, per denunciare l’inadempienza degli accordi di pace e i passi indietro fatti da

Betancur nella lotta al paramilitarismo, 33 militanti dell’M19 assaltarono il Palazzo di

Giustizia di Bogotá e per ventotto ore tennero in ostaggio più di mille persone, tra cui 15

giudici della Corte Suprema. L’obbiettivo dei guerriglieri era quello di celebrare un

pubblico processo al governo Betancur. A “trattare” con i militanti furono immediatamente

inviati 2000 effettivi dell’esercito colombiano che, dopo aver sfondato il portone principale

con un carro armato, cominciarono a rioccupare il palazzo a suon di fucilate. Il bilancio fu

drammatico: 43 morti tra gli ostaggi (tra cui 12 giudici), 12 tra le forze armate e 33

guerriglieri, mentre vennero fatti sparire 13 superstiti.

Nei mesi successivi, le indagini del procuratore generale, Alfonso Gómez, condussero alle

accuse del comandante della XIII brigata, alla guida dell’operazione per la riconquista del

Palazzo di Giustizia, “di aver omesso ogni azione tesa a salvare la vita e l’integrità degli

ostaggi”.239 La mobilitazione dei vertici militari e delle elite politiche ed economiche a

difesa dell’accusato fu immediata. Dopo le costrette dimissioni, l’amara conclusione di

Gómez, a dispetto delle precedenti dichiarazioni di Betancur, fu la seguente: “ In Colombia

ci sono due costituzioni, una in edizione economica che si trova nelle librerie o dai

237 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 141.238 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001.239 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 82.

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giornalai, ad uso della maggioranza della popolazione, e l’altra assimilata silenziosamente

dal corpo della società e dello Stato, ad uso delle forze armate.”240

Un nuovo cambio sopraggiunse con l’elezione del liberale Virgilio Barco (1986-1890).

Nonostante l’amministrazione Barco avesse riconosciuto le cause oggettive del conflitto

armato, essa non condivideva il ruolo di primo piano che era stato riconosciuto ai

guerriglieri durante il precedente governo per la messa in atto del processo di pace.

Secondo gli uomini di Barco, quello di cui aveva bisogno il paese erano soluzioni più

tecniche. Bisognava cioè rafforzare il Plan de Rehabilitaciòn Nacional, per accrescere la

presenza dello stato nelle zone dove la guerriglia era particolarmente forte, limitando

l’appoggio che essa aveva tra la popolazione civile.

Le negoziazioni con le FARC, aperte dalla precedente amministrazione, passarono in

secondo piano La questione centrale divenne il disarmo dei guerriglieri, senza che esso si

vincolasse alle trasformazioni economiche e politiche rivendicate dai guerriglieri. Pertanto,

nonostante i meriti indiscussi del PNR, una tale strategia di pace che non soddisfaceva la

sua condizione fondamentale, ossia il riconoscimento dell’avversario, si dimostrò

evidentemente insufficiente. “Senza negoziazioni e in una situazione di guerra, il

movimento guerrigliero si rafforzò e la via militare tornò ad imporsi”.241

Basti pensare che “nel 1986, dopo venticinque anni di vita della riforma agraria del 1966,

erano stati distribuiti solo 900.000 ettari di terra, a beneficio appena del 4% degli aventi

diritto.”242 Questo dimostrava che, in materia agraria, i governi successivi al Fronte

Nazionale erano rimasti fedeli alla strategia politica che concentrava gli investimenti nelle

arre più ricche del paese, a vantaggio dell’agricoltura commerciale.

Lo slogan adottato dalla classe politica divenne quello di “mano tesa e braccio fermo”,

mentre aumentava il numero degli effettivi dell’esercito. L’unico risultato positivo ottenuto

dall’amministrazione Barco poco prima della fine del suo mandato riguardo al tema della

lotta armata fu la smobilitazione dell’M19, oramai allo stremo dal punto di vista militare e

politico: i suoi membri e simpatizzanti erano infatti stati il bersaglio principale delle Forze

Armate sin dal governo di Turbay Ayala e ancor più dopo gli avvenimenti del Palazzo di

Giustizia. Parallelamente, colpevoli di sequestri spettacolari (quali quello della sorella dei

tre fratelli Ochoa, narcotrafficanti ai vertici del cartello di Medellìn, avvenuto nel 1981) i

militanti dell’M19 vennero perseguitati con una ferocia e una determinazione mai viste da

240 El Palacio de Justicia y el derecho de gentes. Printer Editorial, Bogotà, 1986.241 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil. Cinep, Bogotà, 1993, pag. 154.242 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 101.

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uno degli squadroni della morte più pericolosi del paese, quello guidato dal

narcotrafficante Carlos Lehder, stretto alleato di Pablo Escobar.

La risposta del movimento sindacale.

Nel corso degli anni ‘70 la popolazione colombiana sperimentò una nuova forma di lotta,

quella dello “sciopero civico”. Si trattava di una strategia d’azione che combinava arresti

della produzione, blocchi stradali, marce collettive, proteste. Il 14 febbraio del 1977 venne

proclamato uno sciopero generale indetto dal primo consiglio nazionale formato dai

sindacati nazionali principali (l’UTC di stampo cattolico e la CTSC di stampo comunista) e

una serie di sindacati minori indipendenti: il Consejo Nacional Sindical (CNS). La dura

risposta governativa messa in atto dalle forze militari e di polizia alla mobilitazione

popolare che era riuscita a bloccare i servizi pubblici e i sistemi di trasporto dell’intero

paese, non fece altro che aumentare il sostegno della popolazione al CSN. Quello che

prometteva di essere il primo passo verso la realizzazione di un unione dei lavoratori, così

importante in un paese dilaniato dalle innumerevoli guerre e confrontazione civili,

spaventava la classe al potere. Tra il 1977-1978 ci furono 50 scioperi civici, tra il 1982-83

altri 78 per un totale di 5 milioni di persone mobilitate.243 L’ondata di repressione messa in

atto dal governo fu di tale intensità da diffondere il terrore tra la popolazione che aveva

aderito alle diverse manifestazioni. Assassinii dei maggiori leader sindacali e comunitari,

detenzioni, sparizioni, veri e propri massacri collettivi, fecero si che i successivi tre

scioperi generali nazionali, organizzati tra il 1984-87, ottennero mobilitazioni solo parziali.

Queste, ebbero comunque il merito di mantenere l’unità d’azione delle forze sindacali e

delle altre forze di opposizione ai tradizionali partiti politici. L’unità era stata la risposta

alle crisi interne ai quattro sindacati nazionali, legate alle trasformazioni economiche e

statali in atto e alla presa di coscienza che solo attraverso l’unità dei lavoratori la società

sarebbe stata in grado di trovare un’alternativa alla crisi e all’offensiva del capitale.

Si giunse così alla costituzione nel 1986 della Central Unitaria de Trabajadores (CUT),

ovvero la prima centrale “unitaria classista, democratica e progressista”244. Questa

243 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.244 Sánchez Ricardo, Critica y alternativa. Las Izquierdas en Colombia. La Rosa Roja, Bogot,2001, pag. 170.

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confederazione, tutt’ora esistente, è nata come risposta difensiva davanti alla repressione

governativa diretta contro l’azione sindacale e contro ogni tipo di opposizione allo status

quo. Si tratta di un’organizzazione indipendente dallo Stato e dai partiti politici, i cui

membri si riunirono per la prima volta nel novembre del 1986 per sottoscrivere:

a) una dichiarazione di principi;

b) una piattaforma di lotta (che mira al raggiungimento di 13 obbiettivi, a tutela della

classe lavoratrice, urbana e rurale, dei diritti delle donne, della difesa ambientale);

c) le modalità per eleggere il Comitato Esecutivo della Centrale.

In alcuni dei documenti emessi nell’anno della sua formazione, si dichiarava che la CUT

sarebbe ricorsa alla “mobilitazione come forma principale di lotta, incluso lo sciopero” e

che avrebbe praticato “la più ampia unità d’azione con le organizzazioni popolari”.245

Oltre a fornire un’esaustiva analisi della situazione economica del paese, la CUT si

propone anche di elaborare piani di sviluppo economici alternativi; tuttavia, poiché tenta di

raggiungere compromessi tra forze sociali assai diverse, la sua forza propositiva presenta

molte debolezze. Il suo maggior merito è quello di aver proposto una forma nuova di

sindacalismo, in cui l’unità sindacale lascia il passo a quella dei lavoratori nel loro

complesso. Pertanto, fermo restando che l’unità dei lavoratori è il principio base da cui

partire, i membri della CUT credono nella necessità di procedere all’auto-organizzazione

dei lavoratori nelle singole imprese, nei singoli rami industriali, aziende agricole,

stabilimenti commerciali, etc. Inoltre, ferma è la sua opposizione alle imposizioni del FMI

e al debito estero. La CUT rappresenta quindi uno spazio sociale e politico nuovo nella

scena colombiana contemporanea, utile alla classe lavoratrice per lo sviluppo di una

coscienza completa della crisi.

I governi dei liberali Lòpez, Turbay e Barco, così come quello del conservatore Betancur,

cercarono di ostacolare l’unità d’azione realizzata dalla CUT, continuando a distinguere tra

un sindacalismo comunista e uno democratico. Intimoriti dagli effetti che l’unità delle

forze avrebbe potuto provocare, questi governi preferirono rimanere ancorati alla vecchia

strategia del divide et impera. Così, nei momenti di maggiore crisi, quando la

mobilitazione popolare ottenuta dalle forze sindacali raggiunse dimensioni davvero ampie,

i governi di entrambi i colori tentarono di raggiungere forme di contrattazione distinte, a

seconda dei soggetti coinvolti. In quegli anni di fatti, anche in Colombia erano giunti gli

echi della contrattazione, che rimase però relegata più al campo della teoria che a quello

245 Ibidem, pag. 171.

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della prassi politica: “escluse le trattative per il salario minimo, non è mai esistita in

Colombia, nessun tipo di contrattazione in materia economica, lavorativa, sociale.”246

L’onnipresente rifiuto delle forze governative di trattare in materia economica con le forze

popolari e la persecuzione attuata verso suoi leader, non produssero altro che l’ulteriore

allargamento della disaffezione all’attività politico-legale. Parallelamente cresceva la

fiducia nell’efficacia della lotta armata grazie anche a quanto accadeva in quei decenni

nella vicina Nicaragua e in altri paesi del Sud America. La Rivoluzione Sandinista del

1979 aveva dimostrato che l’azione delle forze guerrigliere, ampiamente sostenute dalle

forze popolari, era in grado di far cadere una dittatura militare quale quella del generale

Somoza. La guerriglia era diventata particolarmente rumorosa anche nei territori del

Guatemala e del Salvador, mentre in Brasile e Argentina aumentavano le mobilitazioni di

massa.247

In tutto il continente latinoamericano diminuiva il numero di coloro che credevano

possibile canalizzare la mobilitazione di massa in atto in forme d’azione legali e pacifiche

e, con la stessa velocità, i diversi gruppi guerriglieri rinsaldavano il loro radicamento nel

tessuto sociale.

La diffusione e il rafforzamento della guerriglia.

Secondo Palacios e Safford248, quella che inizia nei primi anni ’60 e che termina con la

caduta dell’Unione Sovietica è la terza delle quattro fasi in cui si articola la violencia in

Colombia. Questo, è il trentennio del conflitto armato propriamente detto, in cui “l’azione

dei diversi gruppi guerriglieri aveva come obbiettivo comune la trasformazione

rivoluzionaria dell’ordine sociale e di quello statale che lo proteggeva”,249 attraverso le sue

forze militari e paramilitari.

In generale, gli obbiettivi politici di questi gruppi riguardavano riforme radicali che

investivano il piano economico (riforma agraria), quello politico (maggior apertura degli

spazi di partecipazione) e quello militare (minor ruolo dell’esercito nelle questioni d’ordine

interno).

A partire dalla fine degli anni ‘70 e soprattutto nella decade successiva, in risposta alla

militarizzazione delle istituzioni statali e all’aggravarsi delle condizioni di vita delle classi

246 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.247 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.248 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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subalterne per la concentrazione crescente delle ricchezze nazionali nelle mani di pochi,

l’attività della guerriglia crebbe considerevolmente. Dopo un lungo periodo in cui la

presenza dei gruppi guerriglieri si era limitata a zone rurali di frontiera, questi gruppi

raggiunsero anche il mondo urbano, nonostante la loro base sociale e politica continuò ad

essere fondamentalmente legata al mondo rurale. Nel corso degli anni ’80 queste

formazioni rivoluzionarie acquisirono delle dinamiche di crescita estremamente rapide,

raggiungendo delle dimensioni territoriali significative. Ciò fu possibile grazie alla

capacità di adattamento dimostrata dai gruppi guerriglieri colombiani rispetto ai grandi

cambiamenti strutturali che modificarono profondamente l’economia del paese. Dopo

essere stata per secoli centrata sulla produzione agricola di caffè, l’economia nazionale si é

difatti trasformata in brevissimo tempo in un’economia prevalentemente mineraria, che

ricava la maggior parte dei suoi profitti dall’estrazione del petrolio, del carbone e dell’oro.

L’abilità dei gruppi insurrezionali è stata quella di aver saputo sviluppare una serie di

dinamiche complesse che da allora legano l’economia guerrigliera a quella nazionale. “Le

principali attività produttrici ricchezze per la nazione equivalgono, e ciò non è casuale, alle

attività che producono la maggior parte delle entrate della guerriglia”250: petrolio e carbone

tra le attività legali; cocaina, per quanto riguardo quelle illegali, a cui, negli anni ’90, si

aggiunge l’eroina. Questo, ha permesso inoltre alla guerriglia colombiana di mantenere un

elevato grado di autonomia in relazione agli aiuti esterni, tra l’altro da sempre molto esigui.

Secondo Naylor, “l’economia di un gruppo insurrezionale è determinata, da un lato, dal

tipo di relazioni che esso riesce ad istaurare con il territorio e la sua popolazione, dall’altro

dalla capacità di controllo dello Stato su quelle aree”.251 In base a questa considerazione

egli ha stilato tre casistiche.

_ Quando la guerriglia è presente in un territorio limitato e i suoi legami con la

popolazione locale sono deboli, le sue attività economiche sono essenzialmente

“predatorie”252 (ad esempio, l’estorsione, gli assalti alle banche, i sequestri occasionali).

Data l’elevata capacità di coercizione dello Stato in queste aree, i gruppi rivoluzionari

cercano di ottenere il massimo del guadagno con il minimo dell’esposizione possibile.

249 Ibidem, pag. 354.250 Rangel Suarez Alfredo, Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvadory Colombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 369.251 Naylor R.T, The insurgent economy: black market operations of guerrilla organizations. Nellarivista Crime, law and social change, n. 20, Kluwer Academic Publishers, 1993, pag. 14.252 Ibidem.

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_ Quando le azioni di guerriglia cominciano a raggiungere l’ambito regionale e

dipartimentale, le loro attività economiche diventano “parassitarie”253: con esse i

guerriglieri cercano di integrarsi a lungo termine nel tessuto sociale. Un esempio è

l’estorsione in cambio della protezione.

_ La fase più avanzata è raggiunta quando la guerriglia ottiene un appoggio incondizionato

dalla popolazione delle aree da essa occupate, in cui la capacità di controllo dello Stato è

così bassa che le attività economiche illegali della guerriglia entrano in “simbiosi”254 con

quelle dell’economia formale.

Per Alfredo Ranger Suarez, “il prolungamento del fenomeno insurrezionale - circa

quarant’anni – e il suo rapido processo di crescita negli ultimi quindici anni sono

conseguenza dell’esistenza contemporanea delle diverse forme di economia guerrigliera

[…] nelle diverse aeree del paese, a seconda che la sua presenza sia recente o

prolungata”.255

Se nel mondo urbano l’esiguo appoggio della popolazione non gli ha mai permesso niente

più che delle azioni predatorie, nelle aree in cui essa ha ottenuto l’appoggio della

popolazione locale si è trasformata in parassita dell’economia regionale, soprattutto in

quelle zone attraversate da rapidi sviluppi in seguito alla scoperta di materie prime

minerarie di grande importanza economica. Solitamente, queste erano zone di frontiera

nelle quali la scarsa presenza istituzionale non permetteva il rispetto dei diritti, né il

compimento dei contratti.256

Infine, nei territori in cui l’arrivo delle forze rivoluzionarie ha addirittura preceduto lo

Stato, i guerriglieri hanno avuto modo di stabilire un’economia propria.

Per Vincent Gousset , “parte del successo, dell’arricchimento e della lunga durata della

guerriglia colombiana si spiegano per il fatto che essa è riuscita a costruire dei territori,

come spazi finiti, delimitati politicamente ed amministrativamente.257 In queste aree ha

saputo esercitare il monopolio della forza, amministrare la giustizia, stimolare l’economia

contadina: qui, la sua presenza, in contrasto con quella dello Stato, ha saputo mostrarsi

come garante degli interessi della popolazione locale, in particolare dei settori più deboli

ed emarginati.

253 Ibidem.254 Ibidem.255 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001, pag. 386.256 Montenegro Armando e Posada Carlos, Criminalidad en Colombia. Banco de la Repubblica,Borradores Settimanale di Economia n. 4, Bogotà, 1994.257 Gouësset Vincent, “El territorio colombiano y sus márgenes. La difícil tarea de la construcciónterritorial”. Nella rivista Territorios, n. 1, Cider , Universidad de los Andes, agosto 1998, pag. 79.

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Nel 1988 si costituì la Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar, che aspirava a diventare

nel tempo una forza di coordinazione tra i guerriglieri appartenenti alle FARC, all’ELN e

all’EPL, sulla base della loro comune adesione alla matrice ideologica bolivariana.

Fino a quel momento Simon Bolivar, il Libertador, eroe della guerra d’indipendenza

colombiana, era stato rivendicato come eroe nazionale dagli ambienti della destra

conservatrice, in quanto espressione dei valori di autorità ed ordine. Inoltre, la vicinanza

iniziale del Partito Comunista con le forze liberali aveva promosso, negli ambienti più a

sinistra del paese, la contrapposizione dell’eroe Bolivar (a favore di un potere forte e

centralizzato) con quella di un'altra personalità storica: Santander (sostenitore di un potere

decentralizzato). Infine, la sottovalutazione del pensiero bolivariano viene in parte

attribuita alla critica che Marx rivolse all’indipendenza ottenuta dai paesi ispanici,

riconoscendo in essa lo strumento attraverso cui si è realizzata l’espansione del capitalismo

britannico.258

A 150 dalla sua morte, venne proposta un’immagine “più completa” del Libertador. Sulla

base di questi studi nuovi, emersero gli elementi che vennero riscattati dagli aderenti alla

Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar. In primo luogo, essi condividono la concezione

dell’esercito di Bolivar: le forze armate devono essere super partes rispetto ai partiti

politici e la loro azione deve essere diretta al conseguimento degli interessi della patria. In

secondo luogo, considerano incompiuto il progetto dell’eroe colombiano. Questo progetto

si avvaleva di propositi politici che, attraverso la lotta anticolonialista, miravano

all’instaurazione di un regime rivoluzionario basato su profondi cambiamenti democratici.

Tali cambiamenti non sono mai stati messi in atto nella storia della Repubblica di

Colombia, a causa degli interessi dei settori meno dinamici della società: i latifondisti. Da

qui, il compito di questa organizzazione di dare continuità ai propositi politici del

Libertador.259

Di fatto, la Coordinadora Guerrillera Simon Bolivar non realizzò mai un’effettiva opera di

coordinamento tra i diversi gruppi guerriglieri, limitandosi a fornire alcuni elementi

ideologici vagamente condivisi, incapaci di eliminare differenze fortemente radicate.

258 Patiño Otty, Las verdaderas intenciones de las FARC, Corporaciòn Observatorio de Paz-Intermedio Editores, Bogotà, 1999.259 Ferro Guillermo e Graciela Uribe, El orden de la guerra. Centro Editorial Javeriano, Bogotà,2002.

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In quegli anni non solo si rafforzarono le formazioni già esistenti e aumentarono i canali di

contatto tra loro, ma nacquero nuovi gruppi armati minori, tra cui quello del Quintìn Lame.

Questa organizzazione nacque per difendere quella che era, da oramai 500 anni, la

minoranza meno protetta dalla forza del diritto e la più castigata dalla forza delle armi: le

comunità indigene. La violenza perpetrata a danno degli indios non proveniva solo

dall’esercito. Negli ultimi anni, di fatto aveva preso piede una nuova consuetudine: quella

che vedeva i proprietari terrieri collaborare nientemeno che con alcuni membri delle

FARC. Questi, accettavano delle ricompense in denaro dai grandi latifondisti e in cambio

s’impegnavano ad utilizzare la loro forza per costringere alla fuga le popolazioni indigene

che si erano organizzate per la difesa delle loro terre.260

Le relazioni con i membri dell’M19 erano invece cordiali, al punto che furono i membri di

questa organizzazione armata di origine urbana ad addestrare militarmente i componenti

del Quintìn Lame.261

Con le ingenti ricchezze legate alla nuova economia legale (petrolio e carbone) e illegale

(cocaina) il controllo territoriale diventava sempre più vitale e importante per poter

affermarsi come soggetti politici ed economici. Nuove alleanze e nuovi conflitti nascevano

attorno a quello che rimaneva l’oggetto principale conteso in tutte le guerre che il paese

aveva vissuto fin dai tempi dell’indipendenza: il controllo territoriale.

Il controllo territoriale e la crescita del fenomeno paramilitare.

Fu così che la violenza nelle campagne continuò a seminare le sue vittime. Come nella

Violencia degli anni ’50, il maggior tasso di conflittualità veniva registrato nelle “regioni in

procinto di essere inserite nell’economia nazionale, come l’Urabá, il Magdalena Medio, il

Caquetá, il Guaviare, l’Amazzonia, etc.”262 La correlazione tra espansione del latifondo e

diffusione della guerriglia era diretta. Man mano che proseguiva la crescita dei latifondi e

parte della manodopera in eccesso emigrava verso nuove terre da colonizzare, nelle nuove

comunità fondate dagli sfollati prive di forti legami di coesione sociale, cresceva sia il

numero di contadini dediti alle coltivazioni illecite, sia il loro sostegno alla guerriglia.

260 Palechor Libio, Rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca. Intervento allaconferenza organizzata dalla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia,Barcellona, 14-16 aprile 2005.261 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.262 Orejuela J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. In Narcotraffico enColombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,1991, pag. 212.

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Contemporaneamente, aumentando il valore degli interessi legati al narcotraffico e il

conseguente numero di sicari reclutati per la difesa delle coltivazioni della foglia di coca e

delle sue raffinerie, cresceva la conflittualità tra guerriglieri e narcotrafficanti affiancati,

questi ultimi, dai paramilitari.

Guerriglia, paras e narcos erano le nuove componenti della stessa guerra che continuava a

spargere sangue nelle campagne sin dai tempi dello scoppio della Violencia e che aveva

come comune denominatore il controllo territoriale. Mentre i narcos erano espressione di

un potere economico e sociale emergente, la guerriglia e i paras erano attori presenti nel

conflitto colombiano da almeno tre decadi. Allo stesso tempo, le trasformazioni avvenute

in seno alla società colombiana avevano determinato profondi cambiamenti all’interno di

queste due organizzazioni armate. Difatti, lo sviluppo del narcotraffico ebbe importanti

effetti non solo sulla guerriglia, ma anche sulle forze paramilitari. Questi eserciti privati

reclutati dai latifondisti a difesa della grande proprietà fin dai tempi della Violencia degli

anni ’50, cominciarono a ricevere ingenti finanziamenti provenienti da coloro che si

stavano arricchendo col narcotraffico.

A causa della natura del conflitto, per lo più clandestino, è assai difficile fornire un

bilancio complessivo riguardo gli omicidi avvenuti in quegli anni. Solo tra il 1988 e il 1989

le morti furono 12.000, tra cui 5.200 ufficialmente riconosciute di matrice politica.263

Ancora una volta la popolazione contadina costituiva la vittima principale delle violenze e

dei massacri, per fuggire ai quali era costretta ad abbandonare la propria terra. Mentre lo

spostamento forzato della popolazione rurale continuava ininterrotto da oramai

quarant’anni, la frequenza e le dimensioni dei massacri raggiunsero livelli tali che l’intera

classe politica cominciò a temere i pericoli derivanti da una simile situazione.

La politica riformatrice di Betancur tentò di affrontare il problema affidando alla Procura

Generale il compito di avviare le prime indagini di governo sul fenomeno del

paramilitarismo. In particolare, l’attenzione si concentrò su una delle sue organizzazioni

più grandi e pericolose di quegli anni, il così detto Muerte a Secuestradores (MAS).264

Questa organizzazione di giustizia privata, fondata nel 1981, aveva ottenuto donazioni

generose dai capi del cartello di droga più potente della Colombia e del mondo, il cartello

di Medellìn. Alla guida del MAS vi era, non a caso, uno dei capi del cartello: Carlos

Lehder. Per il resto, l’organizzazione era formata da ex ufficiali dell’esercito e da

263 Casetta Giovanni, Colombia e Venezuela: il progresso negato. Giunti Gruppo editoriale,Firenze, 1991, pag. 104.264 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001.

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proprietari di fattorie del Magdalena Medio, zona in cui gran parte delle terre era di

proprietà dei narcos. 265

Difatti le persone che in questa regione avevano fatto fortuna con il traffico della droga

avevano cominciato ad investire parte dei loro profitti nell’acquisto di terre, che molti

proprietari del luogo erano stati ben felici di vendere ai nuovi acquirenti. Dato che la

presenza della guerriglia in queste zone era cospicua, l’arrivo dei nuovi proprietari portò

non pochi problemi agli abitanti del Magdalena Medio. I narcos infatti non si mostrarono

disposti a pagare la cosiddetta “tassa rivoluzionaria”, né temevano gli attacchi della

guerriglia perché disponevano a loro volta di armi sufficienti per rispondere al fuoco dei

gruppi guerriglieri. Così, mentre gli interessi dei narcos si avvicinavano sempre più a

quelli dei latifondisti e crescevano le collaborazioni tra i sicari della droga e i paras

assoldati dai grandi latifondisti (a cui si affiancarono elementi deviati delle Forze Armate)

sorsero numerosi gruppi rurali di autodifesa.266 Tra questi, il MAS rappresentava uno dei

più forti e meglio organizzati. Bersaglio di questo squadrone della morte divennero ben

presto non solo i membri della guerriglia ma anche i suoi simpatizzanti, uomini politici,

avvocati e giornalisti scomodi.

Le preoccupazioni riguardo l’aggravarsi del conflitto non riguardavano esclusivamente la

società civile. Forti insoddisfazioni circa i mezzi adottati dal governo per la risoluzione del

problema della guerriglia provenivano anche da parte di alcuni elementi delle Forze

Armate. “Dato che, a partire dal 1970 i fronti della guerriglia si erano visibilmente

moltiplicati nonostante le misure di sicurezza adottate, che l’Estatuto de Seguridad veniva

utilizzato per combattere l’opposizione legittima, e che il governo sottovalutava la portata

del progetto politico delle FARC, il generale Josè Joaquìn Matanalla si ritirò dall’esercito,

ritenendo che solo un movimento basato sull’adozione di misure socialiste avrebbe potuto

porre fine alla violenza dilagante nel paese.”267

A distanza di qualche mese dall’avvio delle indagini il capo della Procura Generale, Carlos

Jiménez Gomez, rese pubblico un documento con il quale si accusavano 163 persone di

appartenere al MAS, tra cui 59 ufficiali e militari in servizio. Nel testo del procuratore

generale si parlò, in modo molto esplicito, delle connivenze tra le forze militari e quelle

paramilitari. Con le stesse parole di Jiménez, si trattava di “ufficiali che, cedendo alla

265 Richani Nazih, The paramilitary connection. In NACLA Report on the Americas, vol XXXIV,Settembre/Ottobre 2000.266 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.267 Abel C. & Palacios M., Colombia 1930-1958. Nell’opera di Leslie Bethell, The CambridgeHistory of Latin America, vol. XI, Cambridge University Press, 1995, pag. 668.

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tentazione di ottenere risultati” nella lotta contro il dilagare delle forze guerrigliere, “hanno

utilizzato dei civili, inizialmente come guide o informatori poi come sicari, per far loro

eseguire ufficiosamente delitti che non potevano essere eseguiti ufficialmente.”268

La reazione delle elite militari, politiche ed economiche fu immediata di fronte a queste

dichiarazioni. I vertici militari fecero in modo che il caso degli indagati passasse sotto la

loro giurisdizione. Ben presto il caso venne insabbiato e le accuse ai militari ed agli

ufficiali si convertirono in altrettante promozioni e avanzamenti di carriera nelle forze

armate. Il sostegno all’esercito provenne da tutti i settori dell’establishment: a partire dalle

associazioni degli industriali, degli agrari e dei commercianti, fino ad arrivare ai vertici

politici, Betancur incluso. Betancur aveva perso già da tempo il sostegno della

maggioranza delle corporazioni economiche e di una grossa fetta della classe politica,

secondo cui l’ordine pubblico era materia esclusivamente militare.269 L’appoggio alle

accuse della Procura Generale avrebbe messo fortemente in pericolo la sua posizione di

fronte all’esercito. Pertanto, si affrettò a dichiarare che “le forze armate non utilizzano

forze paramilitari, né ne hanno bisogno. La loro disciplina militare impedisce loro di

ricorrere a metodi contrari alla Costituzione, della quale sono i migliori guardiani.” 270

“La maggioranza delle vittime non sono guerriglieri, ma uomini pacifici, donne e bambini

che non hanno mai imbracciato un’arma contro le istituzioni”271. Queste furono le parole

utilizzate in un’udienza parlamentare quattro anni dopo dal presidente Barco (era il 1989)

in riferimento ai massacri attuati nelle campagne. Il presidente decise pertanto di affidarsi

ai servizi segreti colombiani (DAS) per la lotta contro le forze paramilitari. I risultati delle

indagini degli uomini del DAS misero alla luce l’esistenza di fosse comuni e di campi per

l’addestramento dei paras.

In realtà, le prime rivelazioni riguardo l’esistenza di questi campi furono rese pubbliche

dalla stampa colombiana. Nel giugno del 1989, il settimanale “Semana” denunciò i “servizi

di consulenza paramilitare”272 prestati ai narcos di Medellìn da alcuni ex ufficiali

israeliani. In particolare, nella rivista si accusò il generale israeliano Yair Klein di gestire

in prima persona numerosi campi di addestramento sparsi nelle campagne del Magdalena

Medio per istruire i sicari assoldati da Pablo Escobar e di aver architettato un gigantesco

traffico d’armi, che aveva la sua base logistica nell’isola caraibica di Antigua. La notizia fu

268 El Espectador del 20 febbraio 1983.269 Blair Trujillo Elsa, Las Fuerzas Armadas. Una mirada civil.Cinep, Bogotà, 1993.270 El Espectador, 13 marzo 1985.271 El Tiempo, 20 aprile 1989.272 Posada Camilo Ayerbe, In Colombia una guerra impari tra armi e parole. Nella rivistaCooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi Editori, pag. 54.

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resa nota dalla stampa internazionale solo a seguito del ritrovamento di una videocassetta

contenete immagini degli addestramenti e, solo nel dicembre del 1990, dopo una lunga

inchiesta il governo di Tel Aviv giudicò Klein e i suoi soci colpevoli di esportazione

illecita d’armi.

Dai rapporti dei servizi segreti colombiani emerse chiaramente il fatto che le connivenze

tra narcos, paras ed elementi deviati delle Forze Armate andavano oltre i semplici casi

isolati. A questo punto, l’establishment si adoperò per salvare il salvabile. “L’attenzione

dei servizi segreti si concentrò sul tassello meno difendibile del composito fronte

paramilitare, e cioè i narcos.”273 Contemporaneamente, dagli Stati Uniti giungevano

pressioni sempre più forti sul presidente per l’attuazione di un’efficace campagna contro il

narcotraffico. Fu così che in quell’anno ebbe inizio la “guerra alla droga”.

Sviluppo e consolidamento dell’economia informale dominata dal

narcotraffico

L’ulteriore concentrazione dei capitali e il conseguente impoverimento degli strati medi

avvenuto nel corso degli anni ’70, produsse una crescita notevole dell’economia informale.

Già da decenni le classi popolari riversatesi nelle città avevano trovato in questo tipo di

economia l’unica alternativa per sopravvivere. L’accoglimento dei nuovi poveri entro le

braccia dell’economia sotterranea non fu il solo fattore ad intervenire per assicurare un

ruolo di primaria importanza a questo tipo di economia. Le sue novità maggiori

riguardarono la nascita e il rapido sviluppo di attività legate ai traffici illeciti della

marijuana e della cocaina. La crescita del narcotraffico in Colombia, iniziata alla fine degli

anni ‘70 e largamente proseguita nel corso della decade successiva, va in parte letta “come

risposta delle classi medie e popolari colombiane alla crescente diminuzione di reddito e

all’immobilismo del sistema politico.”274

Fino a metà del XX secolo in Colombia marijuana e coca erano due erbe coltivate su

piccola scala e utilizzate da indigeni e contadini a scopi esclusivamente curativi.

A partire dagli anni ’60, per soddisfare la domanda statunitense di marijuana, per la quale

non bastava più la produzione messicana, in Colombia si diede avvio alla coltivazione

intensiva della canapa indiana. Poche famiglie della costa dell’Urabà si assicurarono in

breve tempo il controllo totale del trasporto della marijuana verso le coste della California,

273 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 86.274 Orejula J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia.Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991, pag.25.

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dove la sua distribuzione proseguiva per mano di contrabbandieri statunitensi. La sua

produzione cominciò a scendere verso la fine degli anni ’70 quando la California e la

Giamaica entrarono nel mercato con varietà più pregiate.275

Mentre “gli Usa costrinsero il governo colombiano di Julio Cesar Turbay Ayala a dare

avvio ad una campagna di distruzione delle coltivazioni di canapa, allo stesso tempo

permisero che nel proprio territorio si sviluppasse una produzione tale da soddisfare una

parte della domanda interna.“276

Fu così che nella decade successiva le piste aeree e la forza lavoro impiegata nel business

della marijuana, vennero riutilizzate per la coltivazione della foglia di coca, la raffinazione

della sua pasta base e l’esportazione del prodotto finito: il cloridrato di cocaina.

Durante gli anni ‘70 il ciclo produttivo della cocaina non avveniva interamente in suolo

colombiano. L’impasto di foglie di coca veniva difatti importato dalla Bolivia e dal Perù,

paesi in cui cresceva una varietà d’erba più pregiata. Una volta passato il confine, gli

enormi quantitativi di questo impasto finivano nei laboratori colombiani. La coltivazione

intensiva della foglia di coca cominciò in Colombia solo un decennio più tardi, quando la

produzione boliviana e peruviana della foglia divenne insufficiente rispetto alla domanda e

i controlli aerei statunitensi lungo i confini con la Bolivia e il Perù cominciarono a

costituire un rischio troppo elevato.277

La Colombia, invece, ha da sempre detenuto l’esclusiva sulla seconda fase di

trasformazione della sostanza. In essa, l’impasto viene sottoposto a complessi procedimenti

che permettono di ottenere la cocaina di base. Quest’ultima, viene infine immersa

nell’etere (un alcool volatile che si trova facilmente nelle farmacie) e nell’acido cloridrico:

si arriva così, al cloridrato di cocaina. In tutto, i precursori chimici utilizzati nelle due fasi

di raffinazione sono cinquantadue, la cui maggior parte non è prodotta nel territorio

nazionale. I contadini cocaleros che forniscono la materia prima (la foglia di coca) altro

non sono che l’ultimo anello di questa lunga catena di produzione, che rese ricchi e potenti

coloro che impiantarono un laboratorio o si occuparono dell’esportazione del prodotto

finito. Basti pensare a qualche cifra: bisogna disporre di un quintale di foglie per ottenere

275 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.276 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 160.277 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001.

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un chilo di impasto, dal quale è possibile ricavare al massimo duecento grammi di

cloridrato di cocaina.278

Dall’altra, alla fine degli anni ‘70 il costo di produzione di un chilo di cloridrato di cocaina

era di 12 dollari; lo stesso quantitativo sulle strade di New York valeva invece 10.000

dollari.279 Ancora più alti divennero i profitti ricavati dal riciclaggio del denaro sporco.

Inizialmente gli investimenti furono diretti all’acquisto di beni immobili negli Stati Uniti

ma, quando le limitazioni legali cominciarono a rallentare questo tipo di transazioni,

nacque una nuova figura di delinquente dal colletto bianco: fu allora che banchieri e

finanzieri ottennero la loro fetta di guadagno, grazie ai profitti derivanti dalle speculazioni

finanziarie.

Per Palacios e Safford280, le peculiari condizioni create da una disuguale distribuzione delle

ricchezze tra gli strati sociali e le aree geografiche del paese, l’assenza dello Stato in molte

delle zone periferiche e l’incapacità dei due partiti tradizionali di fungere da mediatori tra

gli interessi delle diverse classi sociali, crearono le condizioni necessarie affinché il

narcotraffico desse vita ad un vero e proprio sistema economico e un potere territoriale

parallelo a quello dello Stato. Tale sistema riuscì a permeare e coinvolgere l’intera società,

a partire dai contadini cocaleros che, per sfuggire ai morsi della fame e alla precarietà di

una vita fatta di stenti, accettarono in massa la conversione delle loro terre alla coltura di

quest’erba molto resistente alle intemperie, capace di fornire fino a quattro raccolti l’anno e

assai più proficua di altri prodotti tradizionali.

Anche gli strati subalterni delle città garantirono la loro collaborazione.281 L’appoggio

provenne innanzitutto dalle schiere di sicari reclutati per difendere gli interessi dei

narcotrafficanti: uomini e ragazzini, scelti tra le macerie delle baraccopoli delle periferie

delle grandi città colombiane, la cui fedeltà ai boss era garantita dalla voglia di fuggire

dalla miseria e di riuscire ad essere finalmente “qualcuno da rispettare”. Inoltre, negli stessi

quartieri di periferia venivano selezionate le cosiddette “mule”, gli addetti al trasporto di

quantitativi minori di droga. Si tratta di abitanti delle bidonville, così poveri e disperati da

accettare di ingerire fino a sessanta pacchettini (per lo più preservativi) riempiti di droga,

in cambio della ricompensa pattuita. Oltre a correre il rischio derivante dalla possibile

278 Ibid.279 Montañana Antonio, Il ruolo della droga, in AA. VV., Colombiani: Storie da un paese sottosequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000.280 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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corrosione degli ovuli ingeriti ad opera dei succhi gastrici, la “mula” attira facilmente

l’attenzione dei doganieri. I motivi sono vari. In primo luogo, nella stragrande

maggioranza dei casi, si tratta di persone che parlano uno spagnolo nativo, tipico di chi non

è mai uscito dai confini della propria bidonville, in possesso però di un passaporto

nuovissimo. In secondo luogo, prima di imbarcarsi, molti di loro assumono pillole apposite

per combattere la nausea provocata dagli ovuli ingeriti. Le controindicazioni di questi

medicinali vanno dalla tachicardia, al colorito verdognolo a uno sguardo febbricitante.

Queste vittime sacrificali non sono il risultato di errori o distrazioni commessi dai narcos.

Al contrario, la loro presenza è funzionale a far sì che l’uomo elegantemente vestito al loro

seguito non incorra in nessun disguido e riesca a passare la dogana con il vero carico di

cocaina, tenuto nell’ impeccabile ventiquattro ore.

La complicità di ampi settori della polizia, guardie di finanza e doganieri fu determinante.

Senza la loro collaborazione sarebbe stato sicuramente molto più complicato, se non

impossibile, esportare quantitativi di droga dalle dimensioni molto più consistenti ed

ingombranti; così come altrettanto complicato sarebbe stato ripassare il confine

colombiano con intere valigie piene di denaro in contante. A questo scopo, venivano infatti

utilizzati non solo piccoli aerei e imbarcazioni private, ma anche voli nazionali e mezzi

della marina mercantile.282

Inoltre, il sostegno delle forze militari e di polizia era funzionale a garantire l’impunità agli

esecutori e ai mandanti degli orrendi massacri perpetrati ai danni della popolazione ad

opera delle forze paramilitari, strette alleate di molti narcos. Nel 1987 la rivista “Semana”

valutava che l’80% dei poliziotti di Medellìn fossero implicati nel narcotraffico a vari

livelli.283

Gli uomini politici attirati dai facili guadagni provenienti dal racket della cocaina furono

altrettanto numerosi, così come altrettanto elevate e prestigiose erano le cariche occupate

da alcuni di loro. Il primo scandalo risale addirittura al 1969, anno in cui il console

colombiano in Bolivia venne accusato di narcotraffico. Nel 1983 ben otto parlamentari

vengono denunciati per legami intrattenuti con alcuni narcos. Due anni più tardi il

parlamentare Carlos Nader Simons venne condannato a sei anni di carcere negli Stati Uniti

per traffico di droga. Lo stesso anno due senatori vennero accusati di riciclaggio di denaro

sporco. Nel 1986 toccò ad uno dei candidati alla presidenza del Partito Liberale, Eduardo

281 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellín.Biblioteca Universale Rizzoli.282 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.283 Semana, n. 247, del 27 gennaio 1987.

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Mestre Sarmento, ad essere accusato di aver fatto da prestanome nel 1981 al capo del

cartello di Cali, allo scopo di garantirgli il controllo della Corporaciòn Financiera del

Boyacà.284 Nemmeno gli ambienti ai vertici della Repubblica rimasero esclusi da questa

ondata di arresti: il nipote di Mariano Ospina Perez venne arrestato a Miami dopo aver

consegnato un milione e mezzo di dollari ad un riciclatore che più tardi si rivelò un agente

della DEA; il nipote di Turbay Ayala rimase coinvolto in un’operazione antidroga a New

York; il fratello di Belisario Betancur cadde in un’operazione della DEA in Florida.285

Infine, l’apparato giuridico del paese ha rappresentato e continua ad essere la chiave

centrale dell’intera macchina. Il sistema legale colombiano, da sempre uno degli anelli più

deboli delle istituzioni nazionali, è rimasto ai margini della vita di un paese in cui la legge

è garantita più dalla forza delle armi che da una cultura democratica fondata sullo stato di

diritto, ampiamente condivisa dall’intera società.

Secondo l’analisi di Salomón Kalmanovitz Krauter286, le ragioni alla base della debolezza

del sistema giuridico-legale colombiano sono di varia natura. In primo luogo, egli sostiene

che l’origine cattolica e scolastica dell’impianto filosofico sottostante le istituzioni

colombiane ha impedito lo sviluppo di un sistema di giustizia efficiente ed ugualitario. La

visione cattolica del mondo, fortemente gerarchica e corporativa, non ha promosso lo

sviluppo di un’ideologia basata sulla responsabilità individuale, impedendo così

l’affermazione di principi meritocratici. Questa impostazione ha portato il sistema di

giustizia colombiana a negare la possibilità della rieleggibilità dei funzionari pubblici,

deresponsabilizzando la loro azione di fronte all’elettorato. In secondo luogo, la debolezza

della Corona Spagnola e la conseguente decentralizzazione amministrativa, ha permesso

l’affermazione della “tradizione della simulazione, in cui si compie l’apparenza ma si evita

il contenuto.”287 L’inganno tra gli individui e nei confronti dell’autorità è un elemento

presente nell’intera società colombiana, dai tempi del colonialismo ad oggi. In essa, quanto

più l’uomo è opportunista, tanto più è considerato scaltro e astuto. Tutto questo ha

ostacolato l’interiorizzazione delle norme. In terzo luogo, la mancanza di una tradizione

parlamentare forte a vantaggio del potere esecutivo ha reso possibile la subordinazione

della legge ordinaria alla legge dello stato d’assedio, dettato dalle diverse situazioni

d’emergenza (di ordine pubblico, economico, giuridico, etc.). Secondo tale prospettiva la

legge straordinaria concede diritti speciali ai diversi gruppi sociali, a seconda della forza

284 Ibidem.285 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.286 Kalmanovitz Salomón, Las instituciones y el desarrollo económico en Colombia. EditorialNorma, Bogotà, 2001.287 Ibidem, pag. 127.

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con la quale vengono espresse le diverse rivendicazioni. Infine, il basso livello intellettuale

diffuso nell’intero apparato giuridico si aggiunge ai forti legami intrattenuti da molti suoi

membri con gruppi industriali- finanziari o addirittura illegali. Il risultato è stato un sistema

legale poco coerente, confuso, basato su un sistema penale poco rigoroso verso il crimine,

che si è tradotto in un’impunità generalizzata. L’impunità ha alimentato nel cittadino la

convinzione che il crimine paga. In questo contesto, l’impossibilità di una terza via rispetto

alla plata o al plomo (denaro o piombo), ha imposto la suddivisione dei giudici del paese

tra corrotti ed eroi.

A chi sostiene, secondo la teoria marxista, che la giustizia è sempre di classe, Kalmovitz

risponde che “in Colombia esiste un sistema di giustizia che non serve né alla classe

dominante, né a nessun altra classe. Per non incorrere nell’inefficienza e nella corruzione

del sistema legale, gli imprenditori hanno sviluppato un sistema semi-giuridico, che è

quello della conciliazione e dell’arbitraggio.”288 Secondo questa prassi, i conflitti in campo

economico vengono risolti amichevolmente nelle camere di commercio piuttosto che in

un’aula di tribunale.

L’analisi di Kalmovitz è utile anche a spiegare come l’ammirazione e la stima verso i

narcos fossero sentimenti largamente diffusi tra la popolazione, per la cui maggioranza, il

traffico di cocaina altro non rappresentava che una delle forme più redditizie dell’arte

dell’arrangiarsi.

Infine, anche il risentimento nazionale nei confronti dei gringos ebbe la sua parte fungendo

da lubrificante di questa immensa macchina.289 Il traffico di droga, oltre a beneficiare

soprattutto famiglie che fino a quel momento non avevano fatto parte dell’establishment

politico ed economico colombiano, si dimostrava in grado di privare i gringos di grossi

capitali.

La circolazione di quantitativi così elevati di dollari nell’economia informale aveva

provocato una sopravvalutazione del peso tale che il valore del dollaro sul mercato nero era

molto inferiore al tasso di cambio ufficiale. A livello macroeconomico, questa situazione

contribuì a prolungare gli effetti postivi della bonanza del caffè, i cui prezzi sul mercato

internazionale erano cominciati a scendere dalla fine degli anni ’70. Nel corso degli anni

‘80 fu la bonanza della cocaina a salvaguardare la stabilità della moneta colombiana dalle

numerose svalutazioni che colpirono le altre monete sudamericane. Il tutto, aiutò la

Colombia a saldare i pagamenti del debito estero e a comprare beni capitali che la sua

288 Ibidem, pag. 133.

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economia tanto necessitava. Dall’altra però, fece sì che le sue manifatture perdessero

competitività nel resto dell’America Latina.290

Di fronte a questa inaspettata distribuzione di nuovi redditi, le elite economiche non si

limitarono certo a guardare. A partire dalla metà degli anni ’70 si assistette a diversi

tentativi fatti da parte delle istituzioni statali e private per far confluire gli alti profitti

dell’economia informale in quelli dell’economia legale. Una delle prime iniziative

provenne dal Banco della Repubblica. Per otto anni, dal 1975 al 1983, all’interno di

quest’istituzione bancaria fu possibile cambiare in pesos la valuta in dollari di dubbia

provenienza grazie ad un apposito sportello, la cosiddetta ventanilla sinistra. Messe da

parte le proposte di legalizzazione della produzione e della distribuzione della marijuana

avanzate negli anni ‘70, una volta scoppiato il coca boom nella decade successiva, molti

settori della società cominciarono a premere per la legalizzazione dei profitti legati al

traffico di droga, piuttosto che insistere sulla meno lucrativa legalizzazione del prodotto.

La concessione di un’amnistia di tipo economica era fortemente voluta anche da molti

narcos, interessati a convertire il potere economico acquisito in corrispondente potere

politico. Dopo anni in cui tali rivendicazioni erano state affidate al braccio armato dei

narcos, ossia bande di sicari che a volte finivano per affiancarsi ad alcuni gruppi

paramilitari, l’amnistia tributaria venne concessa dal presidente conservatore Betancur.291

I grandi laboratori di raffinazione della cocaina furono impiantati nelle aree meno

accessibili del paese, come quelle amazzoniche. Fu qui, in particolare nelle foreste del

dipartimento del Caquetà, che nel 1984 venne scoperto il primo grande complesso.

Tranquilandia apparteneva agli uomini di quello che allora era il cartello marginale del

paese: il cartello di Cali. La gestione delle attività di quella che la stampa del tempo definì

la “cattedrale della cocaina” era possibile agli uomini di Gilberto Rodriguez Orejula, capo

indiscusso del cartello, grazie al possesso di una vasta rete di farmacie e di numerosissime

fabbriche di vernici. Queste attività garantivano di fatti un’ampia disponibilità di etere e

dei restanti precursori chimici necessari alla raffinazione della droga.

Fin dall’inizio i due cartelli, pur non essendo da subito acerrimi rivali, non erano

accomunati da molte cose. Entrambi investivano nell’acquisto di beni immobili e di

aziende agricole. Entrambi cominciarono da subito ad assoldare killer professionisti per

289 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994.290 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993.291 Orejula J.L., Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico en Colombia.Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá, 1991.

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garantire il superamento di qualsiasi ostacolo per il trasporto e la consegna della merce.

Entrambi divennero tra i maggiori finanziatori delle compagnie di sicurezza privata, dirette

da ex ufficiali dell’esercito e della polizia.

Fin dagli inizi però, gli investimenti fatti dagli Orejula si diversificarono molto di più.292

Tra le numerosissime attività avviate nei settori più disparati, oltre all’acquisto di un gran

numero di imprese edilizie, agenzie immobiliari, complessi residenziali, centri commerciali

e catene alberghiere, di gran rilievo fu l’acquisto di un network di 45 emittenti

radiofoniche e il finanziamento di numerosi istituti universitari (tra cui uno dei più moderni

e accreditati, l’Università di Santiago di Cali). Lo “Scacchista”, così veniva chiamato

Orejula il padre, pensò bene di attorniarsi dei più bravi laureati in legge, economia e

amministrazione aziendale. Le competenze di questi uomini furono indispensabili per

mettere in piedi il sistema di riciclaggio di denaro sporco, tra i più grandi ed efficienti del

mondo. Il boss del cartello capì da subito che il modo più sicuro per muovere tanto denaro

e finanziare allo stesso tempo l’impero economico che stava nascendo, era quello di

controllare delle banche in prima persona. Oltre al controllo di quattro istituti bancari fuori

dal paese (a Panama, Miami, Ecuador, e nelle Isole Cayman), Orejula divenne presidente

del Banco de los Trabajadores de Colombia.

Oltre alla diversificazione degli investimenti, le differenze tra i due cartelli riguardarono i

diversi rapporti intrattenuti con le elite politiche del paese. Se Pablo Escobar commise

l’errore di entrare in politica in prima persona, Rodriguez Orejula si limitò a controllarne le

fila. I finanziamenti messi a disposizione dal cartello di Cali arrivarono nelle tasche di

conservatori, liberali e progressisti, senza risparmiare leader sindacali e uomini delle liste

civiche, a seconda degli interessi da difendere. La scelta di Orejula sul non esporsi

direttamente fu però ferma. Quest’atteggiamento si tradusse in uno “stile di vita severo

imposto a tutti i membri appartenenti all’immensa rete di distribuzione e in una disciplina

dell’organizzazione (strutturata sulla base di cellule separate) così rigida, da spingere un

consulente della DEA a definirla leninista”.293

Quella che secondo le parole del sociologo Alonso Salazar rappresenta la “razza

pioniera”294 della malavita colombiana, proveniva invece da una zona più a nord del

Tolima: il Dipartimento di Antioquia. I primi uomini ad intuire le possibilità di immensi

292 Montañana Antonio, Il ruolo della droga. In Colombiani: Storie da un paese sotto sequestro.Indice Internazionale, Roma, 2000.293 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 215.294 Salazar Alonso e Jaramillo A., Las subculturas del narcotraffico. Cinep Ediciones, Bogotá,1992, pag. 14.

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guadagni legati alla produzione e al traffico del cloridrato di cocaina erano già dediti ad

attività illegali, quali il contrabbando di alcool, sigarette, apparecchi hi-fi: tutta merce

proveniente dai porti franchi di Panama. Gli abitanti di questa zona della Colombia erano

comunemente detti paisá. Qui, la minoranza bianca al potere, borghese e razzista, si

distingueva per la particolare dedizione rivolta all’unico dio considerato realmente

onnipotente: il denaro. Da cui, il detto “por la plata lo que sea” (per il denaro qualsiasi

cosa), uno dei principi cardine ampiamente condiviso dalla gente di Medellín.295 Dopo il

crollo della produzione di marijuana, lo spirito d’iniziativa e la dedizione agli “affari”

degli abitanti di Antioquia costituirono la spinta necessaria per avviare l’intero sistema che

portò alla formazione di quello che si mantenne, per tutta la decade degli anni ‘80 e i primi

anni ‘90, il cartello di droga più grande e potente della Colombia e del mondo: il cartello di

Medellín.

Il capo indiscusso del cartello, Pablo Escobar, proveniva da una famiglia umile e religiosa

di Rionegro. La sua storia è simile a quella di molti altri narcotrafficanti, rappresentanti di

quella che per i colombiani era la “clase emergente, fatta di persone che sono riuscite a

cambiare rapidamente il proprio status economico: poco importa se lo hanno fatto

attraverso attività illegali.”296 Fin da ragazzo Escobar si era dedicato a questo genere di

attività: dal furto e contrabbando di pietre tombali a quello di automobili, presto sostituitesi

alle biciclette. Nel 1975, grazie ai soldi di un sequestro, Escobar arrivò ad occuparsi del

suo primo traffico di cocaina: un carico proveniente dall’Ecuador e diretto agli Stati Uniti.

Il tasso di crescita delle sue attività e dei profitti ad esse legati furono inarrestabili, così

come la domanda di droga proveniente dagli Stati Uniti, dove la generazione hippye degli

anni ’70 stava lasciando il posto a quella yuppie. Le dimensioni del coca boom furono tali

da spingere i narcotrafficanti del Dipartimento di Antioquia a smettere di combattersi tra

loro per il controllo di piccoli mercati locali, per unirsi e costruire un’immensa rete di

distribuzione ed assicurarsi così il controllo del traffico di cocaina nelle principali città

nordamericane. Vennero costruiti complessi produttivi e infrastrutture di dimensioni tali

che le opportunità economiche e lavorative fornite dalla produzione, dalla trasformazione e

dal commercio della droga riuscirono a generare degli spostamenti interni di popolazione

295 Prolongeau Hubert, La vita quotidiana in Colombia al tempo del cartello di Medellín.Biblioteca Universale Rizzoli.296 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993, pag. 263.

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di così ampia portata che Camino Echandia Castillia parla di una vera e propria

“rivoluzione demografica”.297

In pochi anni Escobar divenne uno degli uomini più ricchi del mondo: nelle classifiche

pubblicate dalle riviste statunitensi “Forbes” e “Fortune” del 1987 Escobar occupava il 14°

posto. Le sue fortune avevano superato quelle di grandi famiglie come quella dei

Rockfeller e degli Agnelli.298 Il tasso di crescita delle sue ricchezze venne eguagliato

solamente dal ritmo di crescita della sua popolarità. Don Pablo, come veniva comunemente

chiamato nelle periferie delle grandi città colombiane, aveva aspirazioni che uscivano dal

campo economico. Queste aspirazioni vennero alimentate dalla chiusura della tradizionale

classe politica di Medellín, i cui membri si mostrarono sempre assai reticenti nel concedere

l’accesso alla loro cerchia ristretta a uomini dello stampo di Pablo Escobar. Al contrario, le

istituzioni economiche pubbliche e private di Antioquia e della Colombia intera si erano

mostrate di più larghe vedute, accettando con estrema facilità che il denaro della mafia

irrigasse l’intera economia nazionale.299

Nella sua campagna politica Escobar si rivolse dapprima alle classi popolari, tra le quali il

suo progetto “Medellín senza tuguri” ebbe un successo immediato. Con esso egli investì

una piccola parte dei suoi immensi guadagni nella costruzione di case popolari e

nell’istallazione di impianti di illuminazione degli stadi. Presto però le mire di Escobar si

rivolsero verso piani ben più alti della politica. Don Pablo scelse inizialmente di entrare nel

movimento progressista “Nuevo liberalismo”, guidato da Luis Carlos Galán e Lara Bonilla.

Nel 1982 sopraggiunse l’espulsione ufficiale dal movimento, a seguito di un’inchiesta

promossa da Galàn e condotta dal giudice Lara Bonilla. I risultati dell’indagine avevano

infatti confermato i sospetti circa la provenienza da attività illecite delle ricchezze di don

Pablo. Indispettito, Escobar si avvalse dell’appoggio del parlamentare Jairo Ortega

Ramirez (suo avvocato di fiducia) per entrare a far parte del movimento “Renovación

liberal”, guidato dal senatore Santofimio Botero. A seguito di una campagna elettorale ben

orchestrata che vide la coppia Escobar-Ortega muoversi ininterrottamente da un luogo

all’altro del paese, nel 1983 Ortega confermò il suo seggio in parlamento mentre Escobar

divenne il suo supplente. Il personaggio chiave della vittoria, colui che organizzò e

condusse la campagna elettorale, fu il futuro presidente della Repubblica Ernesto Samper,

297 Camilo Echandia Castilla, El conflicto armado y las manifestaciones de la Violencia en lasRegiones de Colombia. Presidenza della Repubblica di Colombia, Ufficio dell’Alto Comisionadopor la Paz, Bogotà, 2000, pag. 79.298 The World’s Billionaires, nella rivista Forbes, 5 ottobre, 1987.299 Montañana Antonio, Il ruolo della droga, in AA. VV., Colombiani: Storie da un paese sottosequestro. Indice Internazionale, Roma, 2000.

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che nel 1994 è stato al centro di un grosso scandalo, dopo essere stato accusato di aver

ricevuto grosse somme di denaro da ambienti legati al narcotraffico per il finanziamento

della propria campagna elettorale. Grazie a lui, don Pablo aveva raggiunto quello che

voleva: entrare nell’elite politica nazionale e poter godere dell’immunità parlamentare.

Inoltre, la posizione conquistata nel Congresso poteva essergli di grande aiuto nella strenua

lotta che da anni Escobar conduceva contro il famoso trattato di estradizione voluto

fortemente dagli Stati Uniti. Questo prevedeva l’estradizione dei cittadini dei due paesi

accusati di una serie di reati gravi, quali il narcotraffico. Per sanare i rapporti tra Usa e

Colombia, inaspritisi attorno a queste tematiche già dalla fine degli anni ‘70, l’allora

ambasciatore colombiano a Washington e futuro presidente della Repubblica di Colombia,

Virgilio Barco, aveva promosso la firma di due trattati bilaterali, avvenuta nel 1979. Uno

riguardava l’estradizione, l’altro prevedeva lo scambio di prove giudiziarie, il cui

obbiettivo consisteva nel limitare l’azione della ventanilla sinistra. Mentre il secondo

trattato cadde dopo una lunga serie di giochi diplomatici, quello sull’estradizione finì per

assumere un’importanza fondamentale nel mantenimento di buone relazione con gli Stati

Uniti. Pablo Escobar si adoperò con tutto il suo potere e la sua influenza nell’organizzare

mobilitazioni contro il trattato di estradizione. In queste manifestazioni pubbliche Escobar

seppe abilmente ricorrere a temi legati al sentimento nazionale per la difesa dei suoi

interessi personali. Il tutto non fece altro che aumentare la sua popolarità.

La fine dell’avventura politica di don Pablo sopraggiunse a causa dell’accanimento del

giudice Laura Bonilla e del leder del movimento liberale dissidente Luis Carlos Galàn

contro Escobar e i suoi uomini. Mentre nei comizi tenuti da Galàn non venivano

risparmiati colpi per denunciare le strategie dei boss di partito e i loro legami nascosti con

“l’economia borghese della droga”,300 dal 1982 le indagini del giudice Bonilla

(rappresentante della fazione di Galàn nel governo conservatore di Betancur) attorno alle

attività di don Pablo erano continuate ininterrottamente, coinvolgendo un numero sempre

più grande di persone.

Quando nel 1984 il giudice Bonilla si rifiutò di negare il consenso per la richiesta di

estradizione di un altro dei boss del cartello, Carlos Lehder, i narcos se la cavarono grazie

all’intercessione svolta dal procuratore generale Jimenez Gomez, che più volte si era

espresso sull’incostituzionalità del trattato. Il rumore prodotto dall’intera vicenda convinse

i boss del cartello della necessità della fine della loro partecipazione diretta nell’attività

300 Bushnell David, The making of modern Colombia: a nation inspite of itself. University ofCalifornia Press, Oxford, 1993, pag. 263.

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politica, anche se gli appoggi in parlamento continuarono a svolgere un ruolo

fondamentale.301

Il 30 aprile del 1984 il ministro Lara Bonilla venne ucciso. La morte del giudice venne

seguita da una serie di misure restrittive a danno dell’industria della droga, che condusse al

sequestro di numerosi veicoli e altro materiale e all’arresto di molte figure minori legate al

traffico della cocaina. L’applicazione della misura di estradizione su questi arresti provocò

l’indignazione dei grandi narcotrafficanti. Fu allora che sopraggiunse la decisione della

Corte Suprema del 1987 di invalidare il trattato sull’estradizione firmato nel 1979: il

risentimento verso lo Stato, per la sua incapacità dimostrata con gli avvenimenti di Palazzo

di Giustizia di salvaguardare le proprie istituzioni, si sommò alle paure provocate dal

sangue versato quasi quotidianamente nelle grandi città del paese ad opera dei sicari

assoldati dai narcos per l’eliminazione di giudici, avvocati e politici scomodi.

Come già accennato, il 1984 fu anche l’anno in cui veniva scoperto il complesso di

Tranquilandia. “La più grande operazione mai realizzata al mondo contro la droga”302

condusse al sequestro di 10 tonnellate di cocaina. Il suddetto laboratorio venne dichiarato

di appartenenza dei fratelli Ochoa e di Pablo Escobar; la responsabilità della sua protezione

venne invece attribuita alle FARC. In quegli stessi giorni l’ambasciatore statunitense a

Bogotà, Lewis Tambs, sostenne che le FARC erano in possesso di numerose coltivazioni

di cocaina della foresta colombiana e lanciò la teoria della “narcoguerriglia”303, basata

sulle strette relazioni esistenti tra narcotrafficanti e gruppi radicali di sinistra. Tali

connessioni vennero immediatamente confermate dal Ministro della Difesa colombiano, il

generale Gustavo Matamaros D’Costa.304

Come abbiamo visto nel capitoletto dedicato allo sviluppo del fenomeno paramilitare, in

realtà, buona parte dei narcotrafficanti aveva ampiamente dimostrato di essere fortemente

ostile nei confronti delle forze di sinistra del paese, tanto da stipulare salde alleanze con i

gruppi paramilitari. È vero anche che un’altra parte dei narcos era rimasta inizialmente

lontana da questi estremismi apprezzando alcune posizioni dei guerriglieri, quali il forte

301 Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico enColombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,1991.302 El Espectador, 22 marzo 1984, 25 marzo 1984, La Repubblica, 21 marzo 1984.303 Poco tempo dopo, lo stesso Tambs venne indagato per legami intrattenuti con la CIA, accusatadi finanziare i contras nicaraguesi attraverso il traffico di armi e droga. (Pecaut D., Midiendofuerzas. Planeta, Bogotà, 2003, pag. 52)304 Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico enColombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,1991.

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risentimento anti-gringos e la strenua opposizione al trattato di estradizione, considerato

atto lesivo della sovranità nazionale. Soprattutto, l’alleanza strategica con le forze

guerrigliere diffusissime nelle aree rurali di recente colonizzazione, corrispondenti alle

aree di maggiore coltivazione della foglia di coca, era di vitale importanza per gli affari dei

narcos. Mentre questi beneficiavano delle risorse di queste terre e sfruttavano i loro spazi

impervi e sperduti nella foresta amazzonica per l’istallazione dei laboratori di raffinazione,

l’alleanza pragmatica con i gruppi guerriglieri alleggeriva di fatti il loro lavoro, poiché essi

commissionavano la protezione e il controllo della terra coltivata a foglia di coca ai gruppi

insurrezionali. “Si trattava, in questo caso, di una forma di delegazione che risparmiava

costi politici” (necessari ad esempio per il mantenimento di un’organizzazione stabile che

svolgesse lo stesso compito in un territorio determinato), “priva inoltre di grossi rischi.”305

Tale alleanza durò però poco. Secondo Guido Piccoli,306 agli attacchi provenienti dal

potere giudiziario colombiano e soprattutto da quello statunitense i narcos risposero con

determinazione, optando per le alleanze più convenienti, quale quella coi gruppi

paramilitari cui fornire aiuto per l’eliminazione del “nemico interno”.

Il trovarsi a fianco di alleati così diversi non stupisce se si considera che “l’azione dei

narcos è sostanzialmente diretta alla difesa dei propri interessi economici; le loro modalità

d’azione sono pertanto fondamentalmente pragmatiche e non possono essere attribuite ad

un orientamento politico permanente.”307

Parallelamente, si è già visto come l’investimento di gran parte dei loro profitti

nell’acquisto di terre aveva contribuito ad avvicinare sempre più i loro interessi a quelli dei

grandi proprietari, di cui oramai condividevano anche le idee politiche conservatrici. La

difesa della proprietà e la continuità del processo di accumulazione delle ricchezze del

paese erano i due assi portanti su cui venne impiantata una vera e propria “controriforma

agraria”, per la messa in atto della quale i narcos “cercarono e, in molte zone del paese,

trovarono il supporto entusiastico delle unità locali dell’esercito.”308

Secondo Orejula Javier Luis “si è speculato molto attorno alla teoria della narcoguerriglia,

senza che siano mai esistite prove determinanti di questa relazione. Se sia esistita o

esistano queste connessioni, esse possiedono un carattere meramente strategico e

305 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 168.306 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003.307 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 159.308 Jorge Orlando Melo, The drug trade, politics and the economy: the colombian experience, in E.Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug trade. St. Martin’s Press,New York, 1998, pag. 79.

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congiunturale per entrambe le parti”.309 Ad ogni modo, le relazioni tra narcotrafficanti e

gruppi paramilitari, “il narcoparamilitarismo messo alla luce dalle indagini del DAS”310, è

una prova, secondo Orejula, del fatto che le relazioni strategico-funzionali tra

narcotrafficanti e guerriglieri fossero estremamente deboli in quegli anni.

“Fu soprattutto nel Magdalena Medio che prese forma una vasta e indubbia alleanza

antisovversiva”.311 Il narcotrafficante Rodriguez Gacha, stretto alleato di Escobar, si

distinse come leader di quella che si rivelò una guerra aperta contro la guerriglia

colombiana e tutti i suoi simpatizzanti. Nel frattempo, l’allora presidente conservatore

Betancur si batteva per portare avanti quel processo di pace che aveva condotto

all’abbandono delle armi di alcuni gruppi insurrezionali minori e alla tregua accettata dalle

FARC nel 1984, in seguito alla creazione nel Dipartimento del Meta, ad un centinaio di

chilometri da Bogotà, di una zona smilitarizzata chiamata la “Casa Verde”. Anche se la

tregua si ruppe a causa degli avvenimenti del Palazzo di Giustizia, Betancur ottenne un

successo ulteriore: la costituzione nel 1986 di quello che doveva essere lo strumento

attraverso cui facilitare il passaggio dei membri delle FARC dall’insurrezione armata

all’opposizione politica legale, l’Unión Patriotica. I suoi membri divennero presto i

bersagli preferiti della nuova fase della guerra sucia appena cominciata nel paese. Nei soli

primi cinque anni di vita del movimento vennero massacrati ben 3000 sostenitori (in media

una persona al giorno).312

Dopo l’assassinio nel 1987 del candidato presidenziale Pardo Leal, militante del Partito

Comunista sostenuto dall’Unión Patriotica, le FARC passarono al contrattacco contro tutte

le forze coinvolte nella guerra sucia, narcos inclusi. I mezzi utilizzati comprendevano

attacchi militari, sequestri ed appropriazione dei beni per la cui protezione erano stati

assoldati dai trafficanti di droga. “Da allora in poi, i gruppi politici collegati alle forze

guerrigliere, furono le vittime di un’intensa campagna di sterminio, largamente coordinata

e promossa dai trafficanti di droga, ma che ha sempre contato sul supporto più o meno

segreto dei membri dei corpi di sicurezza dello Stato, in particolar modo dell’esercito.”313

La situazione precipitò nel 1989 con l’omicidio del candidato liberale alla presidenza Luis

309 Orejula Javier Luis, Narcotráfico y politica en la decade de los ochenta. Narcotráfico enColombia. Dimensiones politicas, económicas, juridicas e internacionales. Tercer Mundo, Bogotá,1991, pag. 224.310 Ibidem.311 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 106.312 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003.313 Jorge Orlando Melo, The drug trade, politics and the economy: the colombian experience, in E.Joyce e C. Malamud editores, Latin America and the multinational drug trade. St. Martin’s Press,New York, 1998, pag. 81.

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Carlos Galàn, assassinato nella periferia di Bogotà. Erede del movimento di

democratizzazione Carlos Lleras Restrepo degli anni ’70, leader del movimento del Nuovo

Liberalismo negli anni ’80, Galàn era finalmente riuscito a conquistare il consenso politico

della classe media, oltre che quello degli strati popolari. “La sua morte paralizzò la

nazione. L’evento sembrò essere il segnale dell’ultimo atto di decomposizione della

Colombia come sistema civile.”314

Gli anni della “lotta alla droga” (1989-2002).

La decade degli anni ’90 è stata caratterizzata dall’internazionalizzazione accelerata del

conflitto colombiano, a seguito della nuova congiuntura nazionale ed internazionale. I suoi

vincoli con il problema della droga e la violazione dei diritti umani hanno fatto sì che il

conflitto uscisse dalle campagne colombiane, avvicinandosi ai centri di potere urbani, e

destasse un’attenzione mai avuta sul piano internazionale.

Con la caduta dell’Unione Sovietica le priorità dell’agenda statunitense ed internazionale

cambiarono: la difesa dei diritti umani e della democrazia divennero il loro nucleo centrale.

Fu allora che il tema della “lotta alla droga” entrò ufficialmente tra gli obbiettivi della

maggior parte degli organismi internazionali. Il traffico e il consumo di droga divennero

questioni presentate per la prima volta come parte di un fenomeno transnazionale, le cui

responsabilità dovevano essere condivise a livello globale. Il direttore del Fondo delle

Nazioni Unite per il Controllo dell’Abuso delle Droghe, Giuseppe di Gennaro, affermava

in un’intervista rilasciata nel 1991: “Solo opponendo alla transnazionalità dell’attacco la

transnazionalità della reazione è possibile sperare in un reale successo. […] Criminalità

organizzata dei narcotrafficanti significa oggi una struttura articolata di un vero e proprio

potere internazionale che è servito da istituzioni bancarie, società finanziarie e che dispone

dei più qualificati consulenti e di emissari di grandi capacità e prestigio.”315

Nel 1990 una Sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dedicata

interamente al problema droga, si espresse a favore della creazione di un nuovo organismo

314 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002, pag. 336.315 Roberto Maurizio (a cura di), Armonizzare le leggi per costruire una strategia comune. InCooperazione, n. 102, gennaio 1991, Fratelli Palombi editori, pag. 44-45.

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atto a garantire una lotta più capillare contro la dimensione internazionale del problema.

Nasceva l’United Nations International Drug Control Programme (UNIDCP), “la cui

novità principale consisteva nell’interdipendenza delle sue funzioni” e nelle sue possibilità

di creare nuovi collegamenti per “mettere a confronto diversi aspetti del fenomeno droga

(controllo della domanda e dell’offerta)”.316 Gli interessi statunitensi però, hanno fatto si

che “l’internazionalizzazione del problema della droga abbia continuato a consistere, in

sostanza, nell’imposizione di una politica repressiva contro l’offerta, ad opera degli Stati

Uniti.”317

Di diversa natura erano le motivazioni che portarono il tema della droga al centro della

politica statunitense alla fine degli anni ’80. Elemento di non poca importanza fu il fatto

che gli Stati Uniti costituivano il mercato principale delle sostanze illegali prodotte dai tre

maggiori produttori di droga in America Latina (Colombia, Perù, Bolivia). Come

sottolineano Angel Rebasa e Peter Chalk318, affrontare il problema di una domanda in

costante crescita dalla fine degli anni ’70 in poi, produce alti costi sociali che finiscono per

gravare in modo non indifferente sulla spesa pubblica. D’altro canto però, le

preoccupazioni riguardo la spesa pubblica non sembrarono essere altrettanto determinanti

per il Congresso statunitense, che non esitò a mettere a disposizione molte delle proprie

forze di sicurezza (CIA e DEA) per la cattura dei capi del cartello di Medellìn, né si tirò

indietro quando approvò il “più ampio spiegamento di forze armate americane dai tempi

del Vietnam”319, ossia la cosiddetta Operazione giusta causa, per la cattura del generale

Antonio Noriega.

“La strategia della guerra alla droga” adottata dagli Stati Uniti “definiva il problema

soprattutto in termini di offerta di narcotici […]. Essa assegnava agli eserciti dei paesi

produttori delle sostanze illegali la maggior parte del lavoro per la soppressione

dell’offerta.”320 In Colombia, la suddetta strategia subì qualche modifica. In seguito al

fallimento dell’esercito nella cattura di Pablo Escobar, gli Stati Uniti avviarono e

finanziarono la riforma del corpo di polizia colombiano, che da allora divenne il principale

strumento utilizzato nella lotta contro i narcotrafficanti. Gli Stati Uniti si impegnarono

316 Savona U. Nasce un nuovo organismo delle Nazioni Unite. In Cooperazione, n. 102, gennaio1991, Fratelli Palombi editori, pag. 48.317 Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto deEstudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia,Planeta, Bogotà, 2001, pag. 17.318 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001.319 Giordano Giancarlo, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999, pag.289.

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inoltre ad aiutare la Colombia nella sua lotta alla droga sostenendo altre due importanti

campagne: quella a favore dell’estradizione e quella riguardante i programmi di

desertificazione, attraverso la fumigazione delle terre coltivate a marijuana, coca e

papavero.

Si è già visto come a fine anni ‘80 la reazione dei narcotrafficanti provocata dalla

questione dell’estradizione fu di tale portata da generare una vera e propria guerra nelle

grandi città colombiane. La crisi dell’ordine pubblico terminò solo con la decisione

dell’Assemblea Costituente del 1991, pronunciatasi a favore dell’incostituzionalità di tale

provvedimento. La battaglia si concluse nel 1997 con una vittoria degli Stati Uniti: la

norma venne reintrodotta attraverso una legge di revisione costituzionale promossa dal

presidente Samper che, “a causa della sua estrema vulnerabilità, non riusciva ad opporre

resistenza alle rivendicazioni degli Stati Uniti”.321 A fine anni ‘90 però, la reazione dei

narcotrafficanti non è stata quella di ricorrere alle armi del terrorismo urbano. Come

vedremo più avanti, gli anni ’90 sono stati decisivi per alcuni cambiamenti avvenuti in

seno al sistema del narcotraffico. Tra questi Palacios e Safford annoverano il superamento

della logica di repressione.322

Per quanto riguarda la campagna di fumigazione, ad occuparsene è stata ed è la polizia

anti-narcotici colombiana “finanziata ed addestrata dagli Stati Uniti”323: dal 1978 si è

assistito alla distruzione dei campi coltivati a marijuana, coca e papavero attraverso

l’emissioni aerea di diversi erbicidi. Dal 1986 il più usato è il glifosfato: la versione in

commercio più venduta di questo prodotto si chiama Roundup e viene fabbricata dalla

Monsanto, un’industria biotecnlogica statunitense. Il Roundup sembra provocare grossi

problemi di salute alle popolazioni contadine, quali: nausea, vertigine, problemi respiratori,

disturbi alimentari e aumento della pressione del sangue. A correre il rischio di questi

disturbi non sono solo i contadini direttamente esposti agli erbicidi utilizzati, poiché tali

sostanze chimiche avvelenano anche le falde acquifere, gli animali e le altre piante che ne

vengono a contatto. Questa situazione ha fatto si che le popolazioni colpite dalle

fumigazioni abbiano abbandonato le loro terre per spostarsi sempre più nell’interno della

foresta vergine delle Amazzoni, dove la mancanza di mezzi di comunicazione e le

320 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002, pag. 339.321 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 172.322 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002, pag. 340.323 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 136.

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difficoltà del territorio fanno si che la cocaina e l’eroina rimangano l’unico prodotto

economicamente vantaggioso da coltivare.

Nonostante negli anni ’90 la quantità di terra colpita dalle fumigazioni sia cresciuta, la

quantità prodotta di cocaina ed eroina è aumenta. Oltre a quello che Grace Livingstone

chiama “effetto palloncino”324, ossia lo spostamento forzato dei contadini appena descritto,

la campagna di fumigazioni ha difatti stimolato i coltivatori a produrre erbe con un più

elevato contenuto di sostanze psicotrope. Inoltre, mentre in Colombia la produzione di

sostanze illegali ha subito un’impennata, in Perù e in Bolivia, paesi in cui il programma di

fumigazioni non è stato applicato con la stessa intensità, la produzione è nettamente

diminuita. Fenomeno questo che per Grace Livingstone325 si spiega solo alla luce della

sconfitta dei grandi cartelli colombiani, che assicuravano i traffici con i paesi vicini.

Pertanto, dalla prima metà degli anni ’90 i nuovi trafficanti hanno diretto i loro acquisti

quasi esclusivamente verso i produttori locali. In questa scelta, aggiungono Rebasa e Peter

Chalk326, ha sicuramente contribuito il successo della strategia del “ponte aereo” promossa

dal presidente Clinton, diretta ad intercettare gli aerei che trasportavano la pasta di coca

dalla Bolivia e dal Perù alla Colombia.

Ad ogni modo, molte sono le perplessità riguardo la politica degli Stati Uniti di fronte al

problema droga. Quello che non convince è, in primo luogo, la sottovalutazione di tutti gli

altri aspetti della “complessa catena planetaria del narcotraffico, come il consumo, la

vendita di precursori chimici necessari alla raffinazione delle sostanze, lo sfruttamento di

denaro illegale nei circuiti finanziari mondiali e le reti di contrabbando di armi, per porre

un interesse unilaterale nella lotta contro l’offerta.”327 In secondo luogo, come il caso

contragate328 ha ampiamente dimostrato, la crociata contro la droga può essere

strumentalmente utilizzata per il perseguimento dei fini geopolitici statunitensi in America

Latina. Essa può giustificare un maggior coinvolgimento di Washington negli affari interni

di ognuna di queste nazioni, nel momento in cui gli Stati Uniti lo ritengano più opportuno.

Infine, attraverso il finanziamento della lotta alla droga “le agenzie statunitensi

antinarcotici ricevono una quantità ingente di risorse che consente di mantenere il loro

324 Ibidem, pag. 144.325 Ibidem.326 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001.327 Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto deEstudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia,Planeta, Bogotà, 2001, pag. 18.328 Secondo quanto emerso dal contragate, alcuni funzionari dell’amministrazione Reagan, tra cuilo stesso ambasciatore statunitense a Bogotà Tambs, sono stati accusati di aver appoggiato alcuninoti narcotrafficanti appartenenti alle contras nicaraguesi in funzione anti Noriega. Ibidem.

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bilancio e di ottenere guadagni vantaggiosi. Questo spiegherebbe le motivazioni per cui gli

Stati Uniti perseguano mete irraggiungibili con mezzi inappropriati e perché essi persistano

nella loro fallimentare strategia antinarcotici.”329

Tali finanziamenti hanno subito un forte incremento nel 2000 con l’approvazione da parte

del Congresso statunitense del cosiddetto Plan Colombia, promosso dal governo Pastrana.

Sin dalla sua campagna elettorale, il filo conduttore del programma di governo del

conservatore Pastrana (1998-2002) è stato il processo di pace e “l’internazionalizzazione

della pace per la disinternazionalizzazione del conflitto.”330 Poco dopo la sua elezione si

giunse alla prima formulazione del Plan Colombia, contenuta nel Plan Nacional de

Desarrollo 1998-2002 del nuovo governo. In esso si faceva riferimento alle cause

oggettive e soggettive della violenza e del conflitto colombiano, tra le quali la povertà, la

mancanza di democrazia, la disuguaglianza economica e sociale; allo stesso tempo, si

faceva riferimento alla relazione esistente tra il conflitto e la produzione e il commercio

delle sostanze illegali. L’obbiettivo centrale del piano sembrava essere la creazione delle

condizioni economiche, sociali ed ambientali necessarie allo sviluppo di una pace

integrale, attraverso la creazione di strumenti partecipativi. Come sottolinea Soccorro

Ramirez331, solo questa versione del Plan Colombia è passata al vaglio dell’opinione

pubblica e del Congresso colombiano. In seguito sono state formulate altre tre versioni,

differenti a seconda degli organismi internazionali e delle amministrazioni straniere a cui

esso è stato presentato. Mentre “la seconda e la quarta versione si riferiscono agli stessi

temi, anche se con ordine di priorità ed accento diversi”332, e non differiscono a loro volta

dal nucleo centrale della prima versione, la terza formulazione del 1999, chiamata anche

US Aid Package e frutto del lavoro congiunto di tecnici colombiani e statunitensi, centra il

Piano sulla lotta contro il narcotraffico. “Tutte le misure destinate a superare la crisi

economica e fiscale appaiono orientate ad evitare che altri colombiani si vincolino alla

produzione ed esportazione di droghe, piuttosto che a creare le condizioni sociali ed

economiche per favorire pace.”333 L’obbiettivo centrale sembra limitarsi all’eliminazione

dei “vincoli stretti tra i trafficanti di droga e i gruppi armati al margine della legge, che

329 Ibidem, pag. 109-110.330 Punto 5 del primo capitolo del Piano, Presidencia de la Republica, Departamento Nacional dePlaneaciòn, Plan Nacional de Desarrollo. Bases 1998-2002. Bogotà, 1998.331 Soccorro Ramirez, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Instituto deEstudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional de Colombia,Planeta, Bogotà, 2001.332 Ibidem, pag. 89. Tali versioni sono state presentate rispettivamente: nel 1999 all’incontrosvoltosi a Rio de Janero, a cui hanno preso parte funzionari provenienti dall’Unione Europea,dall’America Latina e dal Caribe; nel 2000 ad assemblee svoltesi con le autorità europee egiapponesi.

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hanno obbligato le Forze Armate ad impegnarsi in uno sforzo forte e deciso nella lotta

integrale e coerente contro questa minaccia.”334 Su un totale di 7.500 milioni di dollari

previsti per il finanziamento del piano, l’apporto degli Stati Uniti ammonta a 1.600 milioni

di dollari, mentre quello delle amministrazioni del resto del mondo è di 1.046 milioni e

quello proveniente dall’insieme degli organismi internazioni è di 2.646 milioni. Gli Stati

Uniti rappresentano il paese straniero che contribuisce in modo maggiore alla realizzazione

del piano, a cui va aggiunto l’immenso peso politico che essi esercitano all’interno dei

maggiori organismi internazionali. Anche se l’obbiettivo dichiarato dell’intervento USA è

la lotta al narcotraffico, molti in America Latina vi intravedono “un mezzo utilizzato

contro i governi latinoamericani che si oppongono fermamente all’apertura selvaggia ai

prodotti e capitali nordamericani.”335

L’ambiguità del Plan Colombia e dei dibattiti attorno ad esso è conseguenza della

coesistenza di diverse formulazioni del piano. In definitiva, esso può essere visto come

l’atto finale del processo di internazionalizzazione del conflitto colombiano, già avviato

dagli inizi degli anni ’90. Tale processo è stato favorito, da un lato, dalle preoccupazioni

crescenti della classe politica colombiana in relazione alle minacce provenienti dai narcos

ed alla crescita inarrestabile delle forze armate illegali (guerriglia e paramilitari); dall’altro,

dai cambiamenti avvenuti nella congiuntura internazionale e nei piani della politica estera

statunitense.

L’applicazione del modello neoliberista in Colombia

L’applicazione del modello neoliberista ha accresciuto il sottosviluppo, la fame e la

dipendenza alimentare della nazione, costringendola in un circolo vizioso di

sottosviluppo–guerra-sottosviluppo.

In Colombia il dispiegamento totale della cosiddetta “politica di apertura” è cominciato

con una decade di ritardo rispetto al resto del continente sudamericano. Fu il presidente

Barco a lanciare il Programma per la Modernizzazione dell’Economia Colombiana

(PMEC) nel 1990. In cambio, il paese ottenne l’autorizzazione ad accedere al cosiddetto

credito “Challenger” promosso dalla Banca Mondiale. “Il Programma non rappresentò

altro che la riproposizione sul piano interno degli interventi di stabilizzazione e

aggiustamento strutturale prescritti dal Fondo Monetario internazionale nella decade

333 Ibidem, pag. 85.334 Plan Colombia, Plan para la Paz, la prosperidad y el fortalecimiento del Estado, settembre1999, pag. 30-31.

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precedente: completa apertura dell’economia al mercato, al capitale e agli investimenti

privati internazionali, dolorosi tagli alla spesa pubblica, l’eliminazione dei sussidi sociali,

la privatizzazione delle imprese statali e delle banche che erano state acquistate durante

una crisi finanziaria all’inizio degli anni ’80 (il Banco Tequendama, il Banco del

Comercio, il Bancolombia, il Banco de los Trabajadores).”336 Il risultante flusso di capitali

in entrata non è stato però investito in attività produttrici e stimolatrici della crescita

dell’occupazione, bensì si è centrato nelle attività prettamente speculative, nel settore delle

costruzioni o nell’acquisto di beni immobili, come le estese proprietà agricole riconvertite

al pascolo.

Con il successivo governo Gaviria (1990-1994) vennero varate le riforme che hanno avuto

le conseguenze più immediate nella vita di milioni di lavoratori colombiani. In particolare,

la “legge 50” ha sancito l’eliminazione del pagamento degli straordinari, ha modificato le

politiche di contrattazione a svantaggio dei lavoratori (limitando anche il diritto allo

sciopero), ha generalizzato l’impiego temporaneo e a tempo parziale. Inoltre, essa ha

legittimato una nuova tipologia di contratti cosiddetti “contratti verbali”, diffusissimi nei

settori del commercio, delle costruzioni e dell’agricoltura. Tali contratti non prevedono

l’iscrizione ad alcun sistema di previdenza sociale, né orari di lavoro e incarichi stabiliti, né

il rispetto di parametri salariali previsti a norma di legge. Secondo una stima del

Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica (DANE), nel 2000 il 46,6% degli

occupati salariati non contava su un contratto di lavoro scritto.337

Nel 1993 venne approvata la “legge 100” su proposta dell’allora senatore Alvaro Uribe

Velez, nota come “Riforma della Salute e della Sicurezza Sociale”, nel quadro del processo

di decentramento e trasferimento ai municipi della gestione della spesa dei servizi di base.

“Il nuovo sistema introdotto è in linea con i principi delle politiche neoliberiste, la cui

spina dorsale si basa sull’indebolimento del ruolo dello Stato come fornitore dei servizi

sociali e sulla privatizzazione delle imprese pubbliche. In conseguenza, si ricorre sempre

più agli sforzi degli individui e delle comunità per fornire questi servizi in modo da

alleggerire il potere centrale nell’adempimento delle proprie responsabilità.”338

Contemporaneamente, riguardo al settore pensionistico, i governi hanno cercato di favorire

in tutti i modi il versamento dei contributi lavorativi a favore di fondi privati: Questo

335 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004.336 Ahumada Consuelo, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana. El AncoraEditores, Bogotà, 1998, pag. 13.337 DANE, Encuesta de hogares. Bogotà, 2000.

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trasferimento di capitali, dalle strutture pubbliche a quelle private, ha contribuito

largamente a prosciugare le casse statali.

Nonostante simili riforme sociali ed economiche, a conclusione di una missione in

Colombia, nel 1995 il Fondo Monetario Internazionale denunciava “i pericoli imminenti

legati allo squilibrio delle finanze pubbliche e dell’aumento del costo della vita” e insisteva

sulla “necessità urgente” di frenare la crescita della spesa e degli investimenti statali e di

aumentare le tariffe dei servizi del settore pubblico, in particolare dell’elettricità e dei

telefoni. L’FMI propose inoltre l’ulteriore aumento dei trasferimenti di fondi statali agli

enti locali, per aumentare le loro responsabilità in tema di organizzazione e gestione dei

servizi relativi alla salute, all’educazione e alle politiche sociali.339 Furono i successivi

governi Samper (1994-98) e Pastrana (1998-2002) a preoccuparsi dell’attuazione di queste

indicazioni, accelerando la crisi economica e aumentando la distanza tra i diversi settori

sociali. Nel 1999 Pastrana sottoscrisse il cosiddetto Acuerdo de Facilitades Extendidas. Si

trattava di un programma di aggiustamento macroeconomico da realizzare in tre anni, che

mirava alla riduzione del decifit fiscale e delle spese sociali, al raggiungimento

dell’equilibrio delle finanze delle Stato e all’implementazione di una politica fortemente

recessiva, al fine di assicurare il pagamento del debito estero. Si diede così avvio alle

cosiddette “riforme di seconda generazione”, basate sulla razionalizzazione della spesa

delle entità territoriali, il congelamento dei salari e nuove misure restrittive sul piano

tributario e pensionistico.

Gli autori di una ricerca del CINEP di Bogotà sulle “Politiche sociali in Colombia nel

periodo 1980-2000” sostengono che: “La trasformazione radicale della struttura economica

– conseguenza dell’errata politica di liberalizzazione commerciale e cambiaria applicata

negli anni ’90 – ha avuto un’incidenza così negativa sul benessere della popolazione al

punto di annullare i successi che erano stati conseguiti nel decennio precedente. L’apertura

economica e la politica monetaria e cambiaria che l’hanno resa possibile, hanno generato

una dinamica perversa, che si è evidenziata con il deterioramento della produzione, la

perdita della competitività e il peggioramento dei principali indicatori sociali.”340

Il Plan Nacional de Desarrollo per il quadriennio 1998-2002 impegnava il governo a

“stimolare la partecipazione dei privati nei settori degli acquedotti e delle fognature, nella

concessione dell’amministrazione delle reti viarie, degli aeroporti regionali, delle piccole

338 Ahumada Consuelo, El modelo neoliberal y su impacto en la sociedad colombiana. El AncoraEditores, Bogotà, 1998, pag. 241.339 Ibidem, pag. 22.340 AA. VV., Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002, pag. 106.

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centrali idroelettriche, delle reti di distribuzione, dei fiumi, dei canali navigabili e dei porti

della rete fluviale nazionale, nella prestazione dei servizi di telecomunicazione”.341

L’apertura dell’economia ai capitali e ai prodotti stranieri (in buona parte di provenienza

statunitense) ha reso sempre più profondo il processo di deindustrializzazione

dell’economia colombiana a favore di una relativa terziarizzazione. Solo nel periodo tra il

1990-1995 la partecipazione del settore industriale sul PIL si è ridotta dal 18,7% al

16,2%.342 La competitività dell’industria nazionale si è progressivamente deteriorata

perché, come sostiene Suárez Montoya, “gli imprenditori colombiani non competono con

l’estero sulla base della produttività ma solo attraverso una profonda riduzione dei

salari.”343 Pertanto, “tagliati i salari e la manodopera impiegata, gli industriali hanno

convertito la loro produzione alle esportazioni che non sono altro che l’assemblaggio o la

confezione di beni importati; produzione che non aggiunge maggior valore aggregato e che

priva l’intero comparto industriale di una politica che risponda agli obbiettivi nazionali

dello sviluppo e dell’occupazione, per sottoporlo agli interessi e alle finalità delle maggiori

imprese transnazionali.”344

Con l’apertura neoliberista è stato definitivamente abbandonato il modello di produzione

nazionale dei beni di base, di sostituzione delle importazioni di beni intermedi con prodotti

locali. In Colombia e nel resto dei paesi dell’America Latina gli anni ’90 sono stati

pertanto caratterizzati dalla cosiddetta “riprimarizzazione” del settore delle esportazioni.

Nel 1997, il 63,2% delle esportazioni colombiane aveva origine dal settore primario

rappresentato da caffè, fiori, banane, idrocarburi, carbone, ferro, oro, smeraldi e petrolio.345

Il nuovo trend delle esportazioni assieme al decifit della bilancia commerciale sono tra le

cause principali dell’indebitamento della Colombia. Se nel 1990 il debito estero

ammontava a 14.966 milioni di dollari, nel 1997 aveva raggiunto i 29.454 milioni di

dollari. Nel 2001 esso era ulteriormente cresciuto raggiungendo la cifra di 49.000 milioni

di dollari.346 Parallelamente alla crescita del debito estero si è registrata la vertiginosa

crescita degli interessi che il paese deve pagare annualmente per il suddetto debito: a fine

341 Presidencia de la Repùblica, Departamento Nacional de Planeaciòn, Cambio para construir lapaz. Plan Nacional de Desarrollo 1999-2002. Tercer Mundo Editores, Bogtà, 1998, pag. 80.342 Yepes A., Quien se beneficia del ajuste, la guerra y el libre mercato? Paper, Bogotà, 2002.343 Suarez Montoya A., Modelo del FMI. Economia colombiana 1999-2000. Ediciones Aurora,Bogotà, 2002 pag. 89.344 Palacio Sarmento E., Como construir una nueva organización económica. Editorial EscuelaColombiana de Ingenieria, Bogotà, 2000, pag. 88.345 AA. VV., Politicas sociales en Colombia 1980-2000. CINEP, Bogotà, 2002, pag. 67-68.346 Controlería general de la República,Colombia: entre la exclusión y el desarrollo. Bogotà, 2000.

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2000 i servizi del debito hanno rappresentato il 36,2% dell’intero bilancio statale; l’anno

successivo avevano già raggiunto il 41%.347

L’applicazione del modello di sviluppo neoliberista ha avuto i suoi effetti più gravi

sull’agricoltura e sul mondo rurale, contribuendo ad accrescere la dipendenza alimentare

del paese dai maggiori produttori internazionali. Lo smantellamento dei diversi sistemi di

protezione delle produzioni tipiche nazionali, dei sussidi e dei sostegni a favore degli

agricoltori, la forte riduzione dei dazi doganali per i prodotti d’importazione dal 38% al

12%, hanno fortemente ridotto il peso dell’agricoltura nell’economia nazionale, che è

passata dal 40% nel 1950 al 12% odierno.348 Il conseguente processo di fuga dalle

campagne ha determinato la perdita, secondo il Ministero dell’Economia, di un milione di

ettari coltivabili, cioè il 25% dell’intera area coltivabile del paese.349 Inoltre, mentre si

riducono le aree delle coltivazioni transitorie, destinate all’alimentazione della popolazione

(fagioli, mais, riso, patate), crescono invece quelle destinante alle culture permanenti, ossia

ai prodotti destinati all’esportazione, e caratterizzate dalla monocultura delle cosiddette

“coltivazioni tropicali” (palma africana, canna da zucchero, banane e tabacco). Nel corso

degli anni ‘90 le aree coltivate a cereali e oleaginose si sono ridotte di 760.446 ettari, ossia

del 37,4%; mentre, nello stesso periodo, la superficie delle coltivazioni permanenti è

aumentata di 290.000 ettari.350

Il processo di impoverimento della terra destinata all’agricoltura ha raggiunto dimensioni

tali che, su 18,3 milioni di ettari potenziali, solo 4,4 milioni sono attualmente coltivati: il

resto è destinato a pascolo per gli allevamenti estensivi.351

Questo processo di “rilatifondizzazione”352 del territorio colombiano, che sembra

presentare tutte le caratteristiche di una controriforma agraria, è una delle cause principali

del lungo conflitto sociale che ha interessato le aree rurali del paese. Secondo Hector

Mondragòn, all’origine di tale processo sono riconoscibili un insieme di fenomeni politici

ed economici. In primo luogo, l’espansione di gruppi paramilitari. Essa ha di fatti costretto

le popolazioni locali ad abbandonare la propria terra, favorendo così i processi di

concentrazione della proprietà terriera a vantaggio dei narcotrafficanti, degli allevatori,

degli speculatori e degli stessi capi paramilitari. In secondo luogo, come si è già visto,

347 Portafolio, 3 agosto 2000, pag. 32.348 El editorial agrario, luglio-settembre 1999, pag. 10.349 Ibidem.350 Balcazar A., Las transformaciones agrícolas en la décade de los noventa. Misión Rural,Bogotà, 1998, pag. 6.351 Semana, La tierra del olvido, 7 gennaio 2002, pag. 28-29.352 Mondragòn Hector, Relatifundaciòn y megaproyectos en Colombia, pag. 3,www.gratisweb.com/ciclocrisis.

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l’economia del narcotraffico ha prodotto una nuova tipologia di acquirenti di terra. La loro

entrata nel mercato d’acquisto ha contribuito a provocare, da un lato, un aumento del costo

del denaro e del credito che a sua volta ha favorito le speculazioni; dall’altro, il fallimento

economico dei piccoli e medi coltivatori, rifugiatisi nelle zone di colonizzazione per cause

economiche o per fuggire alla violenza. Infine, l’apertura economica ha aumentato le

importazioni di prodotti alimentari del 700%, provocando una drastica riduzione dell’area

nazionale coltivata. La fine degli investimenti pubblici nel settore agricolo, degli incentivi

statali alle esportazioni e dell’intervento pubblico nella commercializzazione di beni e

servizi agricoli sono misure adottate in accordo alle imposizioni delle organizzazioni

finanziarie internazionali e del maggior partner economico: gli Stati Uniti. Il fine raggiunto

è stato quello di rendere i maggiori prodotti agroindustriali colombiani più competitivi sul

mercato internazionale ma, dall’altra, questo ha contribuito all’ulteriore accumulazione

della terra. Pertanto, secondo Mondragón, il nodo dell’ingiustizia imperialistica delle

potenze occidentali sta in questo: mentre esse impongono ai paesi terzi l’adozione di

modelli di sviluppo che eliminano qualsiasi incentivo a favore dei produttori locali,

mantengono sussidi elevatissimi per gli agricoltori che vivono dentro i loro confini.353

Risultato di questa accumulazione senza limiti della terra è sintetizzabile in un solo dato: in

Colombia solo l’1,8% dei proprietari agrari possiede il 53% della terra.354

La ristrutturazione del narcotraffico.

Per catturare i capi del cartello di Medellìn e porre un freno alla “guerra allo Stato”355

scatenata dai narcos a fine anni ’80 le autorità colombiane e statunitensi si avvalsero non

solo del contributo della DEA, della CIA e dei corpi di sicurezza colombiani, ma anche

della collaborazione degli uomini del cartello di Cali e di alcuni gruppi paramilitari ad esso

legati.356 Fu così che nel 1989 venne ucciso Gonzalo Rogriguez Gacha, mentre Pablo

Escobar si consegnò alle autorità nel 1991. Per alcuni anni Don Pablo continuò a

manovrare il suo impero criminale da una prigione in cui riuscì a non farsi mancare nulla,

grazie alla collaborazione delle forze militari colombiane. La complicità dell’esercito fu

tale da rendergli addirittura possibile la fuga, avvenuta nel 1992. Fu in seguito a questo

episodio, in cui la credibilità dell’esercito subì un durissimo colpo a livello internazionale,

353 Ibidem.354 Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003, pag. 89.355 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 83.356 Patiño Otto, Las verdaderas intenciones de los paramilitares. Observatorio de paz, Intermedio,Bogotà, 2002.

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che Washington decise di procedere nella riforma del corpo di polizia colombiano. Gli

inseguimenti continuarono fino al 1993 quando Pablo Escobar venne ucciso. Tra il 1995 e

il 1996 anche il cartello rivale venne smantellato: alcuni dei suoi capi vennero uccisi, altri,

come i fratelli Orejula, finirono in carcere dopo aver definito le condizioni del loro

“assoggettamento alla giustizia”.357

Negli anni a seguire il sistema del narcotraffico colombiano si sottopose ad un processo di

ristrutturazione che gli permise non solo di mantenere in vita le sue attività, ma addirittura

di accrescerle. Se nel 1995 le coltivazioni di coca corrispondevano a 50.900 ettari, nel

2000 avevano raggiunto la cifra di 136.200 ettari.358

Nel loro libro preparato per la Forze Aeree degli Stati Uniti Angel Rebasa e Peter Chalk

sostengono che da allora in avanti il sistema del narcotraffico colombiano è stato

caratterizzato da un’organizzazione più “diffusa.”359 A partire dalla seconda metà degli

anni ’90 il mercato della droga ha cominciato ad essere controllato da cellule di dimensioni

minori, dotate di una maggiore autonomia e comunicanti tra loro attraverso i nuovi mezzi

di comunicazione (Internet e telefoni cellulari). I rapporti di potere della nuova criminalità

organizzata colombiana, che continua a controllare una grossa fetta del mercato mondiale

delle sostanze illegali (secondo le cifre del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nel 1999

la Colombia produceva l’80% della produzione globale di cocaina360), si snodano secondo

una logica di tipo orizzontale. I piccoli gruppi che la costituiscono affidano molte delle

attività legate al traffico a specialisti del settore, i quali si offrono per delle collaborazioni,

anziché entrar a far parte integrante della struttura.

“L’effetto immediato della passata repressione è stata la disorganizzazione dei grandi

network. Per fare di necessità virtù, queste grandi organizzazioni hanno rapidamente

realizzato che le strutture decentralizzate sono molto meno vulnerabili ed hanno quindi

iniziato il processo di trasformazione per adattarsi alla nuova situazione.”361

L’operazione Millenium messa in atto dalle autorità statunitensi e colombiane conclusasi

nel 1999 con lo smantellamento del gruppo di Alejandro Bernal è stata determinante,

secondo questi due analisti, per cogliere i cambiamenti appena descritti. Essa ha di fatti

357 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 172.358 Fonte: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, International Narcotics Control Strategy Report,1996 e 2000, Bureau for International Narcotics and Law.359 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 14.360 Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Bureau for International Narcotics and Law,International Narcotics Control Strategy Report, 1999. Washington D.C., 2000.

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messo in luce che questo gruppo non costituisce “un’entità unica e isolata, ma appare

piuttosto un’organizzazione enorme, alimentata da molte altre cellule più piccole,

contrattate a tempo determinato per delle singole operazioni.”362 Questo è quanto emerge

dalle dichiarazioni di un ufficiale della polizia antinarcotici colombiana a conclusione

dell’operazione: “stimiamo ci siano diverse centinaia di piccoli cartelli operanti secondo

una modalità atomizzata. Alcuni di questi gruppi confluivano nell’organizzazione che

abbiamo smantellato, ma ci sono diverse altre organizzazioni che non abbiamo ancora

identificato, grandi come quella di Bernal, la cui forza è derivata dalla collaborazione di

organizzazioni più piccole”.363

Daniel Pecaut sostiene invece che gli adattamenti dei grandi cartelli del passato alla nuova

situazione non siano stati di così ampio respiro. Secondo le sue considerazioni, anche se

con un “profilo più basso, le grandi organizzazioni di Cali e Medellìn possiedono ancora

molte ramificazioni; quella del Norte del Valle, ad esempio, è più forte che mai”.364 Tale

diversità di vedute è facilmente spiegabile se si prende in considerazione la teoria del

sociologo francese secondo cui “il termine cartello è di per sé discutibile”365 se applicato al

sistema del narcotraffico colombiano, anche nella decade degli anni ’80, in quanto “esso

implica una coordinazione che esiste solo parzialmente nella realtà colombiana”.366 La

logica di funzionamento dei cartelli si è sempre avvicinata a quella di un’impresa

economica, piuttosto che ad un’organizzazione politica con un controllo stabile su un

territorio determinato: “questi cartelli erano, soprattutto, centrali di commercializzazione

che si appoggiavano ad una molteplicità di collaboratori relativamente autonomi”.367 Gli

uomini da loro assoldati in modo diretto, scelti in base a vincoli di tipo familiari o di

amicizia, hanno sempre rappresentato un numero limitato in proporzione alla grandezza del

loro raggio d’azione. La particolarità del tessuto sociale di un “paese di colonizzazione non

controllata”368 in cui sono emerse le reti dei narcotrafficanti, ha garantito loro la

disponibilità di “numerosi circoli concentrici di persone che intrattenevano con loro un

qualche tipo di relazione: quelli che ricevevano da loro l’appoggio finanziario (come

numerosi poliziotti di Cali a fine anni ’80); quelli che portavano a termine per loro

361 Geopolitical Drug Watch, A drug primer for the late 1990s. Nella rivista Current History, n.97/618, 1998, pag. 151.362 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 15-16.363 New drug cartels hold tech advantage, Washington Post, 15 novembre 1999.364 Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003, pag. 157.365 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 158.366 Ibidem.367 Ibidem.368 Ibidem, pag. 163.

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eventuali contratti (come i sicari di Medellìn) o quelli che beneficiavano, in maggiore o

minor misura, della generosità dei loro capi.”369 È per questo che in Colombia i cartelli

“non hanno mai avuto la necessità di assumere una struttura generale di protezione, né un

controllo territoriale stabile, né un sistema di regole orientate ad organizzare la vita

collettiva”.370

Quando il potere acquisito dai narcotrafficanti è arrivato a far vacillare l’intero sistema

delle istituzioni statali a fine anni ’80 la tolleranza implicita del governo nei confronti di

tali organizzazioni illegali ha lasciato il posto a politiche di repressione. Ancora una volta,

la “razionalità fondata nella difesa dei loro interessi si è imposta sopra qualsiasi altra

logica: La frammentazione delle reti ha costituito la risposta più adeguata per proteggersi

contro le misure di repressione.”371 Anche per Pecaut il processo di segmentazione che ne

è derivato ha concesso ai capi secondari di acquistare una maggiore autonomia,

determinando lo sviluppo di nuclei di organizzazione criminali di più modeste dimensioni,

in grado di controllare la produzione delle sostanze illegali, attraverso piccoli laboratori

mobili, e la distribuzione delle stesse nella propria fetta di mercato. Ciò non toglie però che

queste cellule facciano riferimento a centrali molto più grandi.

La nuova configurazione del sistema del narcotraffico sembra aver tratto molti spunti

dall’organizzazione di quello che era il cartello colombiano minore nella decade degli anni

’80, quello controllato da Gilberto Rodriguez Orejula. Con la sua personale scelta di non

costituire mai una sfida al potere costituto scendendo direttamente in campo politico,

preferendo utilizzare i soldi alle armi per il perseguimento dei propri interessi,

diversificando in misura più ampia i propri investimenti372 e mettendo in piedi un potere

fondato su cellule separate rette da una ferrea disciplina, Orejula ha fornito il “modello da

seguire per i futuri signori della droga colombiani”.373 Quello che per Guido Piccoli

rappresenta il vero cambiamento occorso dalla metà degli anni ’90 è la scomparsa delle

“megastrutture dotate di imponenti apparati militari”.374 Da allora in avanti i

narcotrafficanti hanno ritenuto più vantaggioso optare per una più netta divisione dei

compiti con i gruppi paramilitari. In particolare, i fratelli Castaño si sono affermati come

369 Ibidem, pag. 166.370 Ibidem, pag. 167. Tale funzione di protezione, capace di supplire ad una mancanza di reciprocafiducia, è quella che secondo Dino Gambetta caratterizza invece il sistema mafioso siciliano. VediD. Gambetta, The sicilian mafia. The business of private protection. Cambridge, HarvardUniversity Press, 1993. 371 Ibidem, pag. 168.372 Oltre ad imporsi nel settore agricolo ed edilizio, Orejula cercò da subito di estendere il suopotere e la sua influenza nel settore finanziario.373 Piccoli Guido, Pablo e gli altri. Trafficanti di morte. Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 227.374 Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003, pag. 106.

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interlocutori tra i due nuclei di potere, garantendo ai narcotrafficanti la massima sicurezza

dei loro interessi e delle loro proprietà senza confusioni di ruolo, rivelatesi dannose per

entrambe le organizzazioni criminali. Se l’uso delle armi da parte dei narcotrafficanti

aveva risvegliato una reazione frontale del potere statale trasformando le loro

organizzazioni in facili bersagli delle autorità, la nuova politica di repressione messa in atto

dal governo aveva determinato conseguenze ancor più dure per i gruppi paramilitari. Sotto

le pressioni USA e in seguito all’omicidio di Galàn, durante il governo Barco la linea della

guerra frontale al narcoterrorismo fu diretta contro tutte le sue manifestazioni,

paramilitarismo compreso. Il fenomeno paramilitare colombiano attraversò quindi la sua

prima grande crisi, in cui si determinò la “fine dell’egemonia del gruppo di Puerto Boyacà

come base dei gruppi di autodifesa che, protetti dal decreto legislativo 3398375 del 1965 del

presidente Guillermo Leon Valencia, erano sorti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli

anni ’80.”376 Lo smantellamento del gruppo egemonico, avvenuto tra il 1989 e il 1992,

risentì gravemente della morte di Rodriguez Gacha, narcotrafficante a capo del gruppo.

L’inarrestabile crescita del fenomeno paramilitare.

In pochissimo tempo le forze paramilitari riuscirono a riorganizzarsi grazie al sostegno

immutato dei tre alleati d’eccezione che ne avevano permesso l’inarrestabile crescita nel

corso dell’ultimo ventennio: i grandi latifondisti, i narcotrafficanti e le Forze Armate locali

e nazionali.

Nel 1994 molti gruppi regionali confluirono nell’organizzazione fondata da Fidel Castaño

a fine anni ’80, le Autodifensas Campesinas de Cordobà y Urabà (ACCU). Grazie ad una

serie di massacri e assassini selettivi a danno delle forze civili di sinistra di questi due

dipartimenti, confinanti con la regione panamense, l’ACCU si era affermata come uno

degli “squadroni della morte” più violenti e pericolosi del paese. In quell’anno il capo di

tale organizzazione morì e il suo posto venne preso dal fratello minore Carlos, le cui

aspirazioni a creare una forza di portata nazionale ebbero ben presto modo di realizzarsi.

Fu così che nel 1997 l’organizzazione assunse il nuovo nome di Autodifensas Unidas de

Colombia (AUC). Il fine dichiarato da tale organizzazione è quello di ristabilire il controllo

e l’ordine nel paese e di eliminare i gruppi insurrezionali armati. Come afferma Jenny

Pearce, si tratta di “una forza militare brutale e potente, autonoma rispetto all’esercito

colombiano, che ne condivide però gli obbiettivi e gli fornisce gran parte del supporto

375 Decreto che tre anni più tardi venne formalizzato con la legge n. 48, che autorizzava il governoa creare pattuglie civili e a rifornirle di armi di uso esclusivo dell’esercito.376 Patiño Otto, pag. 11.

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effettivo.”377 Nel 2001 Carlos Castaño, spinto dalla volontà di affermare la propria

organizzazione come un soggetto politico nazionale, ha abbandonato la carica di

comandante militare autoproclamandosi capo del “consiglio d’amministrazione politico.”

Salvatore Mancuso ha assunto la carica di capo militare delle AUC. Fino a questo

momento le AUC non hanno ancora fondato alcun partito politico vero e proprio,

preferendo sostenere a livello locale dei candidati compatibili con i loro interessi. “La

strategia e i mezzi utilizzati dalle AUC rispecchiano quelli della guerriglia. Le AUC stanno

cercando di estendere il loro controllo a livello locale ed esercitare influenza politica

attraverso il controllo o l’intimidazione degli ufficiali locali. La loro strategia consiste nel

competere per il controllo delle aree di produzione di sostanze illegali, dove la guerriglia

incontra le sue maggiori fonti di finanziamento”.378

In relazione ad alcune dichiarazioni di Castaño, pare che la ricerca di fedeli alleati tra le

elite politiche dominanti sia arrivata al piano nazionale. L’attuale presidente Alvaro Uribe

è stato da lui dichiarato come “l’uomo più vicino alla filosofia delle AUC”379. Sempre con

le parole di Castaño, “la base sociale delle AUC lo considera come il proprio candidato

politico.”380 Tale vicinanza è stata denunciata durante la campagna politica del 2002 anche

dai gruppi d’opposizione di Uribe, che si sono spesso riferiti a lui come il “candidato dei

paramilitari”.381

Nel settembre del 2002 gli Stati Uniti hanno avanzato la richiesta di estradizione di Carlos

Castaño, con l’imputazione di collusioni col narcotraffico. Il successivo annuncio di

Castaño di avviare una ristrutturazione della sua organizzazione al fine di eliminare le

componenti più vicine ai narcotrafficanti non è valsa a far cadere la richiesta di

estradizione.

I primi anni ’90 furono caratterizzati anche dalla nascita delle Cooperativas comunitarias

de vigilancia rural (Convivir), promosse dal presidente Samper. Proposte come “strumenti

di difesa civile”, finanziate dai privati, armate e coordinate da polizia ed esercito, le

Convivir sembravano una fotocopia dei gruppi di autodifesa contadina creati vent’anni

377 Pearce Jenny, nell’introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs,democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 11.378 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 55.379 Aranguren Molina M., Mi confesión. Carlos Castaño revela sus secretos. Editorial OvejaNegra, Colombia, 2001, pag. 177.380 Ibidem.381 Mondragòn Hector, dalla sua esposizione durante il seminario El conflicto social colombiano:una mirada historica tenutosi a Barcellona il 10-11 dicembre 2004; Livingstone Grace, InsideColombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 220.

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prima dalla legge 48. “Le Convivir […] furono deliberatamente create per evitare le

sembianze dei gruppi paramilitari illegali.”382 Con esse il governo voleva promuovere la

partecipazione della popolazione civile nella battaglia contro le organizzazioni sovversive,

senza conferire loro un assetto di milizia. Oltre a svolgere funzioni di intelligence, i loro

membri vennero autorizzati ad utilizzare armi secondarie. Nella seconda metà degli anni

’90 lo Stato colombiano si pronunciò a favore della loro messa al bando: fu allora che

molti loro membri confluirono nelle AUC. Secondo i dati messi a disposizione dal

Ministro della Difesa colombiano nel 2001 le AUC contavano 10.600 unità.383

Secondo Alfredo Rangel384 la sottovalutazione del problema paramilitare da parte dello

Stato ha contribuito all’espansione progressiva del fenomeno. Se inizialmente questi

gruppi erano nati da esigenze di carattere difensivo a sostegno dei diritti di proprietà, ben

presto le loro azioni si iscrissero in una più ampia strategia d’attacco per il controllo

territoriale, rivolta contro i gruppi guerriglieri e i loro simpatizzanti. Per Rangel “gruppi

paramilitari colombiani rispondono ad un progetto controinsurrezionale di carattere

civile”385. Man mano che il loro potere si è espanso, grazie principalmente ai finanziamenti

dei narcos, le loro pretese sono cresciute tanto che, a partire dagli anni ’80, hanno

cominciato a rivendicare il diritto di essere riconosciuti come soggetti politici e a

pretendere di svolgere un ruolo di arbitro nel processo di pace tra lo Stato e i gruppi

guerriglieri. Per Gary Leech, è stato il massiccio intervento statunitense, giustificato in

nome della “lotta alla droga”, ad “esacerbare la situazione di per sé disastrosa”386. Per lo

studioso la crescita del fenomeno paramilitare colombiano non può prescindere dal

significativo ruolo svolto nell’addestramento degli “squadroni della morte” e nella

modernizzazione delle loro tecniche di combattimento, ad opera dell’Istituto per la

Cooperazione alla Sicurezza dell’Emisfero Occidentale dell’Esercito degli Stati Uniti,

creatore e finanziatore delle School of Americas (SOA). A tal riguardo John Green387 non

mette in dubbio la partecipazione statunitense, ma sottolinea che molti “squadroni della

382 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 54.383 Echeverry J. C., Manejo de riesgos del Estado: violencia, secuestro y seguridad personal.Departamento Nacional de Planeación. www.dnp.gov.co/03_PROD/PRESEN/0p_dir.htm. 384 Rangel A. S., Guerra insurgente. Conflictos en Malasia, Perù, Filipinas, El Salvador yColombia. Intermedio, Bogotà, 2001.385 Ibidem, pag. 412.386 Leech Gary, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion.Information Network of the Americas, New York, 2002, pag. 2-3.387 Green John, Guerrillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos and gringos: the unhappyprospects for Peace and democracy in Colombia. Nella rivista Latin American Research Review,vol. 40, n. 2, Giugno 2005.

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morte” colombiani hanno goduto di vari decreti a loro favore, se non di veri e propri

finanziamenti, da parte di numerosi governi colombiani fin dagli anni ’40. Nella sua opera

Leech enfatizza come ogni passo avanti fatto nella “lotta alla droga” abbia contribuito

“all’emergere di una nuova, più efficiente ed oscura organizzazione”388. Egli non esita a

mettere in relazione l’avanzata del processo di globalizzazione in Colombia con la guerra

sucia e l’attitudine dei gruppi paramilitari a riconoscere come bersagli primari gli attivisti

non governativi e i leader sindacali. Il tutto a beneficio degli interessi delle corporazioni

statunitensi.

Considerazioni condivise anche da Nazih Richani, secondo cui all’origine dell’attuale

forza dei gruppi paramilitari colombiani sta la “terribile alleanza”389 tra narcotrafficanti,

grandi proprietari terrieri, multinazionali, gruppi industriali e rappresentanti dello Stato

colombiano, suggellata nel 1983 nel Magdalena Medio con la formazione delle ACCU.

Sulla base di queste già collaudate collaborazioni, tre differenti formazioni paramiliari

(quella legata alla mafia sviluppatasi sulle ricchezze derivanti dal traffico di smeraldi,

quella legata alle reti dei narcotrafficanti, quella legata alle elite latifondiste) “confluirono

negli anni ’90 sotto una leadership unica e con un progetto politico conservatore a sostegno

delle Forze Armate dello Stato”.390 Da allora “i massacri sono diventati uno strumento

effettivo nel processo di concentrazione della terra.”391

La guerriglia.

La gravità della crisi istituzionale in cui si ritrovò il paese a fine anni ’80 condusse le elite

politiche a ritenere opportuno rifondare lo Stato sulla base di un sistema più partecipativo e

decentralizzato, più orientato alla giustizia sociale, più trasparente e meno corrotto.

Alle consultazioni elettorali indette nel 1990 per la nomina dei delegati dell’Assemblea

costituente si registrò, però, il più basso tasso di affluenza dal 1958, anno della

restaurazione del sistema costituzionale: ben il 74% degli aventi diritto al voto non

parteciparono alle consultazioni.392 Sulla base di questo dato è pertanto possibile mettere in

discussione la base legale dell’Assemblea.

388 Leech Gary, Killing peace: Colombia’s conflict and the failure of U.S. intervantion.Information Network of the Americas, New York, 2002, pag. 43.389 Richani Nazih, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.Albany, SUNY Press, 2002, pag. 102.390 Ibidem, pag. 104.391 Ibidem, pag. 120.392 Palacios M. & Safford F., Colombia: fragmented land, divided society. Oxford UniversityPress, 2002.

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Il nuovo testo costituzionale affermava per la prima volta principi fondamentali quali la

garanzia e il rispetto dei diritti umani, il riconoscimento della pluralità etnica della

popolazione colombiana, il rispetto ambientale e il necessario avvio di processi di

democratizzazione e decentralizzazione del potere. Essa si appellava alla società

colombiana perché si compromettesse in un processo di riconciliazione, tale da permettere

l’incorporazione delle bande armate illegali nel tessuto sociale nazionale.

Contemporaneamente, il testo costituzionale indeboliva il potere del Congresso a

vantaggio del presidente, dell’esecutivo e delle municipalità. Al presidente venivano

riconosciute ampie prerogative nella vita economica della nazione, nelle relazioni

internazionali, nella riorganizzazione dell’amministrazione pubblica e del sistema

giudiziario. Forti poteri venivano assicurati all’Esecutivo nella programmazione

economica, nelle politiche fiscali, nell’elaborazione del bilancio nazionale e nella gestione

del debito e del commercio estero. Le autorità locali vennero rafforzate attraverso la

decentralizzazione del fisco: misura questa che ha accentuato nel paese la polarizzazione

tra aree povere e ricche. Inoltre, l’introduzione dell’elezione diretta dei sindaci e di un

differente calendario elettorale sul piano locale hanno formalizzato quel processo di

“frammentazione politica”393 avviatosi, dalla fine degli anni ‘70, in seguito alla progressiva

sostituzione dei leader del Fronte Nazionale con una nuova classe politica più legata agli

interessi locali e regionali. Rispetto al testo costituzionale del 1958, infine, la nuova

costituzione limitava le condizioni in cui poter dichiarare lo stato d’emergenza, “ma non

affrontò la delicata questione del ruolo delle Forze Armate in un paese democratico”.394

La partecipazione alla competizione elettorale per la formazione dell’Assemblea

costituente aperta alla nuova coalizione denominata Acciòn Democratica-M19, guidata

dall’ex guerrigliero Antonio Navarro Wolf, doveva essere la prova delle buone intenzioni

dell’elite politica. La formazione di tale coalizione era stata possibile grazie agli accordi di

pace firmati nel 1989 dal presidente Barco e dalla rappresentanza dei militanti dell’M19 e

dell’EPL. In seguito all’offerta di abbandonare le armi da parte della Coordinadora

Guerrillera Símon Bolívar (CGSB), negli ultimi mesi della presidenza Barco, anche i

vertici militari concessero una tregua. Lo stesso giorno delle consultazioni elettorali del

1990 però, l’esercito attaccò senza successo la Casa Verde, sede centrale riconosciuta delle

FARC, situata in corrispondenza del Dipartimento del Meta, ricominciando la guerra

contro le due formazioni ancora attive: le FARC e l’ELN. Quest’iniziativa militare voleva

393 Ibidem, pag. 338.

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mostrare il dissenso dell’esercito alle proclamazioni di pace del neoeletto presidente

Gaviria (1990-1994).

Nel 1994 l’ELN uscì dalla Coordinadora Guerrillera Símon Bolívar: le tensioni tra le due

formazioni guerrigliere erano giunte ad un punto di non ritorno. Anche negli anni in cui

condivisero l’esperienza della CGSB, i due gruppi erano rimasti di fatto distinti. Oltre alla

differente base sociale e alla diversa tipologia del territorio sotto il loro controllo395, i

militanti dell’ELN si erano differenziati per aver sempre rifiutato di trarre vantaggio dalla

produzione e dal traffico di sostanze illegali. La posizione dell’ELN su questo tema è stata

determinata non solo dalla scarsa presenza dell’organizzazione in territori coltivati a coca,

ma anche dalla visione politica molto ideologica del gruppo, fortemente permeato dalle

idee e dai valori cristiani.396 Al contrario, il carattere ideologico delle FARC aveva

dimostrato di essere meno radicato tra la sua base sociale rurale, legata ad una razionalità

molto più pragmatica e quindi adattabile alle circostanze imposte dalla logica della guerra.

Anche se la sua organizzazione interna si è sempre distinta per essere autoritaria e

gerarchica, come spesso accade alle organizzazioni politiche i cui membri hanno

un’origine popolare397, gli ambigui rapporti che hanno da sempre caratterizzato le relazioni

tra la dirigenza delle FARC e del Partito Comunista ha reso possibile una maggiore

dinamicità dell’organizzazione, soprattutto “a seguito del cambiamento della natura della

guerra – consolidamento narcotraffico e caduta dell’Unione Sovietica – che ha permesso

alle FARC di acquistare una sempre più grande autonomia rispetto al Partito Comunista,

fino ad arrivare all’indipendenza totale.”398

A partire dal 1994 le tensioni tra i due gruppi si svilupparono attorno alle diverse strategie

d’azione adottate: “se le FARC si concentrarono sulla crescita militare, l’ELN preferì

394 Ibidem, pag. 337.395 La base sociale delle FARC è sempre stata di origine rurale, forte soprattutto in corrispondenzadelle zone di recente colonizzazione. L’unica occasione in cui ha goduto di un apporto decisivo trale componenti urbane è stata durante la seconda metà degli anni ’80. Grazie a questo ampiosostegno e in seguito al processo di pace avviato da Betancur fu possibile la creazione dell’UniònPatriotica. Al contrario, la base sociale dell’ELN è sempre stata di origine urbana: dapprima legataagli ambienti intellettuali ed universitari, in seguito si è allargata tra i settori più disagiati dellacittà. 396 Corporación Observatorio para la Paz, Las verdaderas intenciones dell’ELN. Intermedio,Bogotà, 2001; Rangel A., La dinámica y la perspectiva de la confrontación armada. Nell’opera:Casa de América, Democrazia y paz, Madrid, 2002. 397 Panebianco A., Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il Mulino,Bologna, 1982. 398 Guiterrez F., Prologo dell’opera di Ferro Medina G. e Uribe Ramón G., El orden de la guerra.Las FARC-EP entre la organización y la política. Centro Editorial Javeriano, Bogotà, 2002, pag.14

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tentare di aprire un dialogo con la società civile”.399 Il ricorso alla tassazione sulla

produzione e sul traffico della droga da parte delle FARC aveva difatti aumentato

visibilmente le forze sul campo degli uomini di Marulanda, che dalla metà degli anni ’90

dimostrarono di essere in grado di attaccare su multipli fronti con colonne di più di 1000

uomini, dotati di armi moderne. Si stima che il numero dei combattenti delle FARC sia

passato da 3.600 unità nel 1986 a 16.000-20.000 unità nel 2001400; anche il numero dei

militanti dell’ELN è aumentato rispetto al 1986 (in cui si contavano appena 800 uomini)

ma, dopo aver raggiunto il massimo di 5.000 unità nel 1995, esso è tornato ad abbassarsi

oscillando tra 3.500 e 4.500 unità nel 2001.401

Forse mossa dalla consapevolezza di una capacità militare ben più ridotta, la dirigenza

dell’ELN promosse allora la nascita di un forum, in cui vennero invitati i rappresentanti di

diversi settori per partecipare al dibattito sulle riforme sociali ed economiche necessarie

allo sviluppo della nazione.

Per la ripresa del dialogo tra governo e guerriglia si dovette attendere l’elezione del

conservatore Pastrana (1998-2002): sia le FARC che l’ELN rifiutarono difatti con

decisione di scendere al tavolo delle trattative con il presidente Samper, la cui vicinanza ai

narcos, e di conseguenza ai paramilitari, aveva messo in serio dubbio la credibilità politica.

Fu così che nel 1998, davanti agli occhi increduli dell’intera nazione, ancora in piena

campagna elettorale si svolse lo storico incontro trasmesso in TV tra Pastrana e il leader

indiscusso delle FARC, Manuel Marulanda, in una località sconosciuta della foresta

amazzonica colombiana. Per qualche mese molti membri della società civile crederono

davvero nella possibilità della fine del conflitto.

Il mese successivo l’ELN organizzò un meeting in Germania a cui parteciparono la Chiesa,

alcuni sindacati e alcune ONG. Oltre alla discussione sulle necessarie riforme da attuare a

lungo termine nella nazione colombiana, l’ELN rivendicava la concessione di una zona

smilitarizzata, dove la garanzia del mantenimento della tregua fosse affidata a delle forze

internazionali. La debolezza militare del gruppo però, fece sì che il governo decidesse di

scendere a trattative solo nel 1999, in seguito al dirottamento di un aereo commerciale

399 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Marcela Lòpez Levy,London, 2003, pag. 212.400 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 26; fonte: Rangel A. Colombia: Guerraen el fin de siglo, Tercer Mundo Editores, Bogotà 1998. I dati messi a disposizione dal Ministrodella Difesa per il 2001 riportano la cifra di 16.600 unità.401 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 26; fonte: Rangel A. Colombia: Guerraen el fin de siglo, Tercer Mundo Editores, Bogotà 1998. I dati messi a disposizione dal Ministrodella Difesa per il 2001 riportano la cifra di 4.500 unità.

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dell’Avianca in cui si trovavano 56 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio, e della messa

sotto sequestro per una settimana di un’intera congregazione di una Chiesa di Cali. La zona

scelta dall’ELN corrispondeva a due municipalità, situate in quella che era da sempre stata

la roccaforte dell’organizzazione e che, dalla seconda metà degli anni ’80, si era rivelata

come zona strategica per la presenza del petrolio: si trattava dei dipartimenti di Arauca,

Santander e Casanare, a nord-est del paese. Non a caso, nell’ultimo ventennio la presenza

delle forze paramilitari era cresciuta in maniera progressiva in questi territori, a conferma

dell’aumentato loro valore strategico. Il valore degli interessi in gioco era così alto, che

ancor prima dell’annuncio ufficiale dei propositi dell’ELN, vennero organizzate numerose

proteste di massa e la zona smilitarizzata non venne mai creata. Nel 2002

l’amministrazione Pastrana bloccò definitivamente le trattative avviate.

Anche il fallimento delle trattative con le FARC non tardò ad arrivare, grazie alla

collaborazione di entrambe le parti in causa. Da parte loro, per tutta la durata del processo

di pace le FARC continuarono ad avanzare militarmente, riuscendo ad assicurarsi il totale

controllo di un’aerea delle dimensioni di 42.000 chilometri quadrati, in corrispondenza dei

Dipartimenti del Meta e del Caquetà, attorno alla “zona smilitarizzata” concessa da

Pastrana nel novembre del 1998. Quest’area, liberata dalla presenza dell’esercito, avrebbe

dovuto costituire il luogo neutrale in cui permettere lo svolgimento delle trattative di pace.

Di fatto le FARC utilizzarono il territorio per “rafforzare la propria capacità militare,

espandere la propria influenza territoriale e continuare le operazioni di sequestro e di

estorsione contro la popolazione civile.”402 Il dialogo con Pastrana fu quindi intervallato da

lunghi periodi di stallo: senza il raggiungimento di una tregua sul campo di battaglia, le

FARC hanno continuato a rappresentare una minaccia armata concreta. Secondo Angel

Rangel, dato che le condizioni imposte dalle FARC durante le trattative con il governo

Pastrana riguardavano cambiamenti sociali a lungo termine, realizzabili attraverso una

serie di riforme costituzionali, misure legislative ed esecutive riguardanti il campo agrario,

economico, fiscale e politico- sociale, il persistere della minaccia armata su tutta questa

serie di decisioni governative avrebbe conferito alle FARC una “prerogativa di co-governo

nazionale”.403 Per Rangel, il successo delle FARC ha dipeso dalla capacità dei suoi leader

di imporre la tregua come un oggetto di negoziazione, facendola dipendere dal

compimento, da parte del governo, di specifiche condizioni. Il tutto ha consentito ai

membri del gruppo guerrigliero di apparire agli occhi di alcuni come i “difensori della

402 Pearce Jenny, nell’introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs,democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 13.403 Ibidem.

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pace, di fronte ad un governo che le FARC avrebbero segnalato come complice delle forze

paramilitari ed asservito alla politica statunitense.”404

Quanto alla prima accusa, non bisogna dimenticare che nonostante la battaglia contro le

forze paramilitari fosse una delle priorità assolute del governo Pastrana405, l’accanimento

delle forze armate era evidentemente diretto contro le forze guerrigliere. Tra il 1997 e il

1999, ad esempio, il numero dei paramilitari uccisi o catturati ha rappresentato

rispettivamente l’1,6% e il 12,63% del totale delle loro forze; mentre, per quanto riguarda

le forze guerrigliere, questi dati hanno sfiorato il 10,37% e il 14,72%.406 L’elevata

sproporzione tra il numero dei paramilitari e quello dei guerriglieri uccisi, non dimostra

trattamenti di favore riservati ai paras ma, secondo il Ministro della Difesa dei Diritti

Umani colombiano, essa va ricondotta all’attitudine dei guerriglieri di preferire in misura

maggiore il confronto diretto con le Forze Armate. Ad ogni modo, durante tutto il processo

di pace, le forze paramilitari hanno continuato a crescere in modo ininterrotto aumentando

considerevolmente la loro zona di controllo.407

Per quanto concerne la seconda accusa mossa dalle FARC al governo Pastrana, i

cambiamenti ottenuti da questa amministrazione riguardo le relazioni con gli Stati Uniti

furono di tale portata che Grace Livingstone ha addirittura affermato: “Pastrana cambiò

l’immagine della Colombia, da nazione pariah a nazione con la quale Stati Uniti e Unione

Europea si felicitavano di collaborare”.408 A soli due mesi dalla sua inaugurazione come

presidente, Pastrana fu ricevuto alla Casa Bianca dall’allora presidente Bill Clinton:

l’importanza di questo incontro sta nel fatto che erano trascorsi ben 23 anni dall’ultima

visita ufficiale di un presidente colombiano a Washington. Nel 1999 Pastrana ottenne la

certificazione degli Stati Uniti riguardo l’impegno governativo nella lotta anti-droga. Lo

stesso anno il presidente liberale presentò il suo Plan de Desarrollo, contenente, come si è

visto, la prima formulazione del Plan Colombia, che dopo un anno di discussioni ed

incontri con diversi membri dell’amministrazione degli Stati Uniti, finì per assumere le

vesti di un piano militare orientato contro il traffico di sostanze illegali.409

404 Ibidem, pag. 231.405 Le forze paramiliatri erano state dichiarate illegali per la prima volta da Barco nel 1989; nel1993 il governo tornò a legalizzare la “sicurezza privata” e le “cooperative di vigilanza”permettendo la nascita delle Convivir; nel 1999, infine, per volontà del governo Pastrana taliorganizzazioni vennero nuovamente dichiarate illegali.406 Rebasa A. e Chalk P., Colombian labyrinth.The synergy of drugs and insurgency and itsimplications for regional stability. Rand, USA, 2001, pag. 57.407 Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà, 2003.408 Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau,London, 2003, pag. 86.409 Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional deColombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà, 2001;

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Ad ogni modo, una volta fallito il processo di pace, le FARC hanno cominciato ad essere

viste progressivamente come la causa della guerra e della violenza: tra i vari soggetti

coinvolti nelle trattative di pace “sono state le FARC a rimetterci di più dal punto di vista

politico”.410 L’organizzazione vive oggi un momento in cui gode della massima

potenzialità militare e della minima legittimità politica tra la popolazione civile, soprattutto

tra quella parte delle classi medie che dalla fine anni ’70 la aveva sostenuta o

semplicemente aveva simpatizzato per le sue cause e i suoi progetti politico-sociali. Il

processo di istituzionalizzazione, inteso come tensione tra gli interessi riproduttivi

dell’organizzazione e i fini per i quali essa fu creata411, ha reso possibile il processo di

adattamento delle FARC alla logica della guerra attuale, nella quale “quello che è in gioco

non è fondamentalmente l’ideologia, ma il potere.”412

I cambiamenti avvenuti nella natura del conflitto armato hanno accresciuto le violazioni

dei diritti umani e del Diritto Umanitario Internazionale da parte di tutti gli attori coinvolti

nel combattimento. In particolare, per quanto riguarda le forze guerrigliere, queste

violazioni riguardano: il reclutamento dei minori di diciotto anni; l’utilizzo indiscriminato

contro la popolazione civile di pipette a gas piene di dinamite; l’uso di mine antipersona; la

pratica diffusa del sequestro di persone.413

L’utilizzo del terrore contro la popolazione civile da parte di ogni attore armato

(guerriglieri, paras, Forze Armate) rappresenta il mezzo indispensabile per ottenere quel

“consenso” necessario al controllo dei territori conquistati, senza il quale non è possibile

sopravvivere in una guerra a bassa intensità come quella attuale. Forti dei mezzi economici

di cui dispongono grazie al consolidamento dell’economia del narcotraffico e alla

conseguente internazionalizzazione del conflitto, le parti coinvolte perseguono i loro fini

militari ma sono costrette a ricorrere sempre più al terrore perché tali fini si allontanano in

misura crescente dalle rivendicazioni sociali ed economiche delle popolazioni locali.

Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs, democracy and war. Latin American Bureau, London,2003; Mondragón H., “Plan Colombia”: para mantener el status quo.www.gratiswb.com/ciclocrisis; Pecaut Daniel, Midiendo fuerzas. Planeta Colombiana, Bogotà,2003; Piccoli Guido, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli Editore, Milano, 2003; SánchezRicardo, Crítica y alternativa. Las izquierdas en Colombia. Editorial la Rosa Roja, Bogotà, 2001. 410 Pearce Jenny, nell’Introduzione dell’opera di Livingstone Grace, Inside Colombia: drugs,democracy and war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 12.411 Panebianco A., Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il Mulino,Bologna, 1982. 412 Kirk Robin, More terribile than death: massacres, drugs and America’s war in Colombia.Pubblic Affairs, New York, 2003, pag. 16.413 Dominguez Gomez E., Verdades para la guerra y verdades para la historia. Nell’opera: Casade América, Democrazia y paz, Madrid, 2002.

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Grazie al consolidamento del narcotraffico, punto di partenza dell’estendersi della violenza

generalizzata e della totale disgregazione del tessuto sociale, in Colombia oggi si può

parlare di una “guerra contro la società.”414

TERZO CAPITOLO: IL PROCESSO DI PACE IN

COLOMBIA.

“Come sostituire il circolo vizioso discendente di violenza con il

circolo ascendente di rispetto mutuo?”415

Considerazioni sulla possibilità della pace in Colombia.

In seguito alla vittoria di Alvaro Velez Uribe alle lezioni presidenziali del 2002, le misure

adottate dallo Stato colombiano per affrontare il conflitto interno sembrano in parte

rispecchiare le raccomandazioni fatte da Alfred Rangel già allo scadere del mandato

elettorale di Pastrana. Per Rangel416, le difficoltà in cui si è imbattuto il processo di pace

avviato dal precedente governo sono state diretta conseguenza della debolezza militare

dello Stato colombiano, del tutto incapace, con le forze a disposizione, di controllare due

fenomeni oramai alla deriva. L’autore si riferisce:

1. al fatto che qualsiasi processo di negoziazione è destinato a fallire di fronte alle

dimensioni assunte, dalla seconda metà degli anni ’90 in poi, dalla potenza militare

delle FARC (da allora esse “non solo raggruppano la forza, ma sono in grado di

disperderla in maniera organizzata”417);

414 Pecaut Daniel, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 9-13.415 Citazione di Michael Ignatieff, riportata da Michael Frühling, direttore della sede dell’Ufficiodell’ONU per i Diritti Umani in Colombia, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias,pag. 9.416 Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. InDemocracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002.417 Ibidem, pag. 82.

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2. al fatto che la debolezza della risposta statale ha contribuito ad accrescere nella società

colombiana la base di appoggio del “progetto controinsurrezionale di carattere civile,

molto autonomo dallo Stato” 418: il paramilitarismo.

In questo contesto, lo Stato non può far altro che utilizzare la via della forza per dimostrare

alle FARC che la loro vittoria militare sullo Stato non è possibile. Parallelamente, è

necessario che lo stesso messaggio provenga chiaro dalla popolazione civile. Rangel è

molto deciso nel ribadire che “non ci sono alternative: se si desidera la pace bisogna

finanziare la guerra.”419 Le negoziazioni potranno aprirsi solo quando la forza militare a

disposizione di una delle due forze in campo, o le Forze Armate o la guerriglia, sarà

doppia rispetto a quella dell’avversario.

Malcolm Deas420 condivide il realismo delle tesi di Rangel, che apprezza molto quando fa

chiaro riferimento alle parole di Richard Nixon, secondo il quale “la distensione

accompagnata dalla forza di dissuasione è la condizione per il successo della pacificazione,

mentre la distensione senza tale forza è la strada sicura verso il fallimento.”421

La distanza tra la politica di Uribe e le raccomandazioni di Rangel si fa evidente in

relazione alla prudenza dell’autore riguardo l’opportunità dell’intervento degli Stati Uniti.

La critica di Rangel rivolta al tipo d’azione condotta dalle forze militari statunitensi è

totale. L’inadeguatezza del tipo di aiuto militare fornito da Washington è tale che Rangel

lo include tra gli elementi che contribuiscono a favorire il conflitto, anziché frenarlo: il

punto è che servirebbero meno elicotteri e maggiore professionalità delle forze armate, un

loro maggior attaccamento alla legge e migliori relazioni intrattenute con la popolazione

civile colombiana. Altrettanto importante per l’autore è la garanzia di indipendenza degli

aiuti statunitensi rispetto a qualsiasi tipo di imposizione strategica, economica o politica.

Infine, la classe politica colombiana deve impegnarsi ad assicurare che il ricorso agli aiuti

esterni sia temporaneo: la Colombia non deve dipendere da questo tipo di aiuti che, se

prolungati, “generano dipendenza e diminuiscono lo sforzo proprio, come con le droghe, si

comincia a richiederne in quantità sempre crescente fino a perdere la propria

autonomia”.422

Al contrario, l’unico punto comune che caratterizza i vari scenari, tra loro molto diversi,

contenuti nell’opera pubblicata nel 2001 dalla RAND Corporation per la Forza Aerea degli

418 Ibidem, pag. 83.419 Ibidem, pag. 90.420 Prologo del libro di Alfred Rangel, Guerreros y politicos. Intermedio, Bogotà, 2003. 421 Ibidem, pag. 14.422 Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. InDemocracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 89.

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Stati Uniti423, è la convinzione che gli aiuti militari statunitensi possano svolgere un ruolo

decisivo per aiutare lo Stato colombiano a trovare la via d’uscita dal conflitto interno. Per

Rebasa e Chalk questi aiuti devono essere sospesi solo nel caso in cui la situazione assuma

le forme di un “fujimorazo”424, ossia, se alla rottura totale delle negoziazioni segua il

dispiegamento di tutte le forze di repressione in mano allo Stato colombiano contro la

guerriglia. Per Rebasa e Chalk nel 2001 questo era uno scenario altamente improbabile,

perché fortemente associato alla possibilità di ricorrere a strumenti altamente lesivi dei

diritti umani. Basti pensare al caso del Perù, in cui la messa in atto di questa strategia si è

avvalsa dell’aiuto non indifferente di innumerevoli processi ai sospetti guerriglieri o ai loro

simpatizzanti ad opera dei servizi segreti. Per gli autori della Rand Corporation questa

possibilità potrebbe verificarsi nel caso in cui la fiducia della popolazione verso il processo

di pace si deteriorasse in modo crescente. L’iniziativa potrebbe partire dalle forze politiche

o da quelle militari. Ad ogni modo, il prezzo di una simile scelta sarebbe l’isolamento

internazionale.

A tre anni dall’elezione di Uribe, da alcuni membri della società colombiana e da una parte

della comunità internazionale provengono segnali preoccupanti sulla possibilità che questo

scenario si stia già verificando. Sotto l’attuale presidenza si è prodotto il passaggio da un

modello basato sul dialogo tra Stato e gruppi insurrezionali (non privo di difficoltà,

contraddizioni e crescita della tensione) ad un modello basato sull’aumento dell’intensità

della guerra, accompagnato dall’apertura degli spazi di dialogo tra governo e gruppi

paramilitari.

La prima preoccupazione riguarda i mezzi posti in atto dal governo per il raggiungimento

del controllo militare del territorio nazionale. Tra gli strumenti utilizzati, il principale è

rappresentato dal Programa de Seguridad Democratica, la cui logica si fonda sull’ampio

coinvolgimento della popolazione civile nelle questioni inerenti l’ordine pubblico,

attraverso un riconoscimento ed un rafforzamento dei compiti di intelligence da essa svolti.

Con la creazione delle figure di cooperantes e di informantes, tale strategia ha contribuito

ad offuscare la già labile distinzione tra popolazione civile e popolazione combattente.

Una simile politica, giustificata in nome del fatto che la popolazione civile costituisce il

maggiore bersaglio del conflitto interno, ricorda la vecchia dottrina di Seguridad

423 Angel Rebasa & Peter Chalk, Colombian labyrinth. RAND Corporation, Santa Monica, 2001.424 Ibidem, pag. 82.

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Nacional.425 Nel 2001 la Corte Costituzionale colombiana ha condannato la logica

ispiratrice di simile dottrina, sulla base del fatto che essa ostacola i compiti costituzionali

dello Stato inerenti la salvaguardia dei diritti umani e il rispetto del Diritto Internazionale

Umanitario. Secondo la Corte Costituzionale la logica semplificata di amico-nemico che

essa sottintende riduce l’autonomia della popolazione civile rispetto agli attori armati e

criminalizza qualsiasi altro tipo di opposizione politica.

In secondo luogo, i timori della comunità internazionale e di parte della società civile

colombiana riguardano la generale tendenza dell’attuale governo a ricorrere a vari mezzi

per il rafforzamento autoritario del potere del presidente: dall’utilizzo dello stato di

assedio, ai tentativi in atto di riforma costituzionale necessari a rendere possibile la

rielezione di Uribe ed ad istituzionalizzare alcune misure introdotte dal suo governo, tra cui

le detenzioni arbitrarie, le intercettazioni telefoniche, la violazione di domicilio senza

mandato giuridico, la concessione di funzioni di polizia giudiziaria alle Forze Armate.

Secondo Soraya Gutierrez, rappresentante del collettivo di avvocati Josè Alvear Restrepo,

anche il referendum plebiscitario tenutosi nel 2003 va considerato parte integrante di

quest’ampia strategia. Con esso Uribe mirava ad ottenere il consenso dei colombiani su

temi impopolari, cari alle èlites economiche tradizionali che lo sostengono, quali

l’aggiustamento della politica fiscale su base regressiva, il pagamento puntuale degli

accordi presi con la Banca Mondiale e l’approvazione delle misure adottate per ottenere i

mezzi necessari al finanziamento della guerra. Sulla base di queste iniziative politiche,

Guiterrez parla di un “processo di controriforma rispetto alla carta costituzionale del

1991”426, il cui effetto immediato è di favorire l’indebolimento dello Stato Democratico di

Diritto.

In terzo luogo, l’apertura del dialogo con i paramilitari desta non poche preoccupazioni.

La messa da parte del primo progetto governativo, che sembrava andare incontro a tutte le

richieste di impunità rivendicate dai paramilitari, è avvenuta solo in seguito alla

mobilitazione sociale in Colombia ed, in particolare, in seguito alle critiche provenienti

dalla comunità internazionale. Si è così giunti alla formulazione del progetto attuale che

riguarda la creazione di un sistema penale alternativo.427 Rispetto ad esso, numerose

425 Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Cohdes),Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo yDemocrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004426 Dal suo intervento durante la conferenza tenutasi a Barcellona tra il 14 ed il 16 di aprile 2005,riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 427 Maria Eugenia Sanchez, presidente della Casa de la mujer de Bogotà, membro della Alianza deOrganizaciones Sociales y Afines. Dal suo intervento durante la conferenza tenutasi a Barcellona

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rimangono le raccomandazioni dell’ONU e le critiche dell’Organizzazione degli Stati

Americani: entrambe le organizzazioni ritengono insufficienti le garanzie statali per il

rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario. Anche l’amministrazione

degli Stati Uniti vuole maggiori garanzie riguardo il rispetto del Diritto Internazionale

Umanitario e l’adempimento da parte del governo colombiano alle richieste di estradizione

di alcuni paramilitari coinvolti in questioni legate al narcotraffico.

Nel mezzo dell’offensiva militare, il governo mantiene la pretesa di dialogo con i gruppi

insurrezionali, nonostante si mostri deciso a negare l’origine politica delle loro

organizzazioni e a considerarle come semplici gruppi terroristici. Coerentemente con tale

prospettiva, la massima apertura del governo verso questi gruppi si limita alla discussione

sulle possibilità del loro reinserimento nella vita civile, senza prevedere alcun tipo di

accordo sulle riforme strutturali del paese.428 L’inevitabile radicalizzazione della loro

posizione viene utilizzata dal governo per giustificare la strategia militare adottata. Ne

consegue un ulteriore polarizzazione tra gli attori armati coinvolti.

Herbert Braun429 è uno dei numerosi autori che riconoscono nella degenerazione delle

pratiche di guerra avvenuta nel corso degli anni ’90 ad opera dei gruppi armati illegali una

delle ragioni principali della vittoria elettorale di Uribe. Per Braun, oggi la guerriglia

agisce in modo indiscriminato colpendo giornalisti, leader progressisti, bambini: le

convinzioni morali ancora chiaramente definite negli anni ’80 si sono arenate nella realtà

di una guerra prolungata, in cui l’utilizzo di pratiche lesive dei diritti umani è cresciuto in

modo esponenziale. Alla loro violenza si aggiunge quella delle forze paramilitari che

colpiscono qualsiasi voce pubblica indipendente. Il terrore diffusosi nella popolazione ha

alimentato e continua ad alimentare la generale sfiducia nelle pratiche convenzionali della

politica. È a causa di questo terrore che “poche persone di questi giorni contemplano

cambiamenti economici e sociali”.430

Anche Daniel Pecaut si allontana dalla visione clausewitziana di guerra per l’analisi dei

conflitti odierni e pone “gli attriti al centro delle strategie adattate”.431 Secondo l’autore,

tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale a favore dellaColombia: Pace e Diritti Umani? 428 Alvaro Villalarga, rappresentante del Consejo nacional de Paz. Dal suo intervento suSmobilitazione, disarmo ed inserimento: passato, presente e futuro, durante il seminario tenutasi aBarcellona tra il 14 ed il 16 di aprile 2005, riguardo il tema La cooperazione internazionale afavore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 429 Herbert Braun, Our guerrillas, our sidewalks: a journey into the violence of Colombia.Rowman and Littlefield Publishers, New York, 2003.430 Ibidem, pag. 255.431 Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12.

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nella grande maggioranza delle guerre civili di oggi i fenomeni di violenza producono

nuovi contesti, assai lontani da quelli iniziali che hanno contribuito a provocare lo scoppio

della guerra. Pertanto, i conflitti vanno compresi sulla base del loro carattere

progressivamente in evoluzione.

Rispetto ad altre guerre civili odierne, Pecaut ritiene che il conflitto colombiano presenti

similitudini e differenze. Da un lato, egli ritiene che i caratteri individuati da Mary

Kaldor432 come caratterizzanti le guerre civili del mondo post Guerra Fredda siano tutti

presenti nel conflitto colombiano. In primo luogo, la caduta delle ideologie ha comportato

confini meno precisi tra le parti in conflitto, per cui non è più opportuno riferirsi ad una

contrapposizione netta tra nemici-amici che attraversa l’intera popolazione. In secondo

luogo, la popolazione civile è diventata sempre più l’obbiettivo delle operazioni militari.

Questo rende sempre più difficile distinguere tra quella parte della popolazione che

appoggia attivamente i gruppi armati e quella che si trova in ostaggio dei combattenti.

Infine, gli obbiettivi dei gruppi armati non sono solo politici ma anche economici. La

conquista del potere è possibile solo attraverso il controllo delle risorse del paese, che

avviene attraverso la sottomissione dei poteri locali o l’instaurazione di logiche

protezionistiche di tipo mafioso.

Dall’altro lato, Pecaut ritiene che il termine di “guerra civile” non sia appropriato per il

conflitto colombiano e propone quello di “guerra contro la società”.433 Alla base di questa

proposta stanno due considerazioni. La prima fa riferimento al fatto che in Colombia non si

possa parlare di un totale collasso dello Stato, nonostante la sua assenza in molte zone del

paese. A questo si aggiunge il fatto che la popolazione colombiana non sia caratterizzata da

un “punto di riferimento centrale di divisione, come nel caso di una guerra civile, ma da

una disorganizzazione sociale più ampia che favorisce tutti i tipi di violenza”.434 Lo

sviluppo della solida ed estesa economia del narcotraffico rappresenta per Pecaut

l’elemento che ha reso possibile la generalizzazione e la depoliticizzazione della violenza

in Colombia. Questo rappresenta un ulteriore fattore di indebolimento istituzionale.

Pertanto, il processo di pacificazione non può limitarsi alla sola negoziazione tra gli attori

armati, ma deve includere un insieme di riforme strutturali che garantiscano una maggiore

partecipazione della popolazione colombiana nel potere politico ed economico. Tuttavia,

come abbiamo visto, il governo attuale sembra disposto a considerare un maggior grado di

432 Mary Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell’età globale. Carocci, Roma, 1999.433 Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12.434 Ibidem, pag. 14.

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partecipazione all’insieme della popolazione colombiana solo in riferimento al

mantenimento dell’ordine pubblico.

La crescente polarizzazione nella società colombiana e l’ulteriore accelerazione del

conflitto hanno contribuito a far slittare la situazione di alcune zone del paese nello stato di

guerra civile. Per Pecaut, esiste ancora un margine di incertezza sulla possibilità che questo

stato si generalizzi a tutto il territorio nazionale: “la debolezza politica della guerriglia

costituisce un freno”435. La mancanza di attori sociali forti evita un ulteriore movimento di

radicalizzazione, anche se l’attuale polarizzazione è stata sufficiente a creare la base di

consenso necessaria per assicurare la popolarità di Uribe, nonostante l’alto “rischio di

paramilitarizzazione”436 che la sua politica comporta. Per l’autore, la complessità della

situazione attuale e la dipendenza della strategia militare del governo Uribe dall’appoggio

statunitense rende molto difficile ogni sforzo di previsione. Ad ogni modo egli elenca tre

scenari possibili:

1. L’estensione del conflitto ai paesi confinanti per complicazioni politiche legate al

narcotraffico: la Colombia assicura difatti vie di uscita per il commercio di droga e la

possibilità di rifugio a merci o persone perseguibili dalla legge.

2. L’ulteriore degenerazione del conflitto potrebbe condurre al sorprendente

avvicinamento delle forze paramilitari e di quelle guerrigliere. La conclusione del processo

di negoziazione in corso tra paramilitari e governo potrebbe mettere in discussione la

coesione delle forze guerrigliere e determinare l’apertura di spazi di dialogo tra la

guerriglia e lo Stato colombiano. In questo caso, la vicinanza di interessi di quella parte dei

paramilitari e dei guerriglieri più connessa al narcotraffico, insieme alla somiglianza dei

loro modi di socializzazione, alla comune sfiducia verso l’autorità statale, verso le èlites

tradizionali colombiane e le elite statunitensi, potrebbe condurre ad avvicinamenti ulteriori.

D’altro canto, già ci sono stati dei passaggi dai gruppi guerriglieri ai gruppi paramilitari.

3. Alto è il rischio di atti terroristici da parte FARC verso altissime cariche governative.

Viceversa, i diversi interventi contenuti nell’opera pubblicata dalla Banca Mondiale437

sembrano condividere l’ottimismo dei curatori del libro, i quali insistono sul fatto che

“oggi c’è un’opportunità” per i colombiani di interrompere “il circolo della violenza, della

distruzione e della povertà”.438 Nonostante convengano sulle migliaia di morti e i milioni

435 Ibidem, pag. 201.436 Ibidem, pag. 202.437 M. Giugale, Olivier Lafourcade, Conie Luff, Colombia the economic foundation of peace. TheWorld Bank, Washington, 2003.438 Ibidem, pag. 1.

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di sfollati, il loro ottimismo si fonda sulla fede nella capacità di recupero di un popolo che

“ha reso possibile che il paese crescesse ininterrottamente ogni anno per le precedenti sette

decadi”.439 D’altro canto, riconoscono che “la sola prosperità materiale non ha messo fine e

non metterà fine alla guerra”.440 Pertanto, le raccomandazione per il prossimo futuro non

riguardano solamente il raggiungimento di una rapida crescita sostenibile, ma fanno

esplicitamente riferimento ad una maggiore distribuzione dei frutti tra tutti i colombiani.

Entrambe sono ritenute condizioni necessarie per la “costruzione di un governo di

qualità.”441

John Green442 si mostra scettico rispetto all’ottimismo degli autori del volume pubblicato

dalla Banca Mondiale e ritiene che la loro analisi non tenga sufficientemente conto delle

dinamiche politiche in gioco, né delle difficoltà di porre sotto controllo il potere economico

generato dal narcotraffico. Gli utili generati da questo commercio hanno irrorato l’intera

società concentrandosi, in particolare, nelle mani di tutti gli attori armati e, grazie alla

corruzione dilagante e il riciclaggio di denaro sporco nei circuiti finanziari, nelle mani

dell’elite politica ed economica. Ecco perché il narcotraffico è per Green ciò che alimenta

di più la degenerazione della guerra e la polarizzazione della società colombiana. Da un

lato, esso ha contribuito a far sì che tutti gli attori armati ricorressero alla strategia del

terrore per il controllo territoriale. Dall’altro, ha ulteriormente rafforzato il potere di quella

classe oligarchica già denunciata da Gaitàn alla fine della prima metà del XX secolo. Per

Green, oggi questo potere ha raggiunto un livello neppure sognato dai contemporanei di

Gaitàn, grazie alla messa in atto di strategie fortemente repressive che hanno impedito

molti cambiamenti politici. “Invece di rispondere alle rivendicazioni provenienti dalle

classi popolari, la classe al potere ha trovato più facile e conveniente tollerare la guerriglia

nelle zone rurali più disabitate e reprimere i movimenti popolari nelle città.”443 Riguardo il

tema della convenienza della guerra, Green abbraccia la teoria di Nazih Richani, il quale ha

denunciato per primo l’esistenza di un “comfortable impasse”444, ossia l’esistenza di una

politica economica positiva emersa attorno al conflitto armato colombiano in cui, non solo

439 Ibidem.440 Ibidem, pag. 2.441 Ibidem.442 W. John Green, Gueriillas, soldiers, paramilitaries, assassins, narcos, and gringos: theunhappy prospects for peace and democracy in Colombia. In Latin American Research Review,vol. 40, num. 2, Giugno 2005.443 Ibidem, pag. 148.444 Nazih Richani, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.SUNY Press, Albany, 2002, pag. 4.

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la classe dominante ma tutti gli attori coinvolti traggono il loro profitto dal mantenere una

guerra a bassa intensità.

In primo luogo Richani affronta la questione delle Forze Armate, la cui autonomia rispetto

alle forze politiche in riferimento alle questioni di sicurezza è rimasta grande sin dai tempi

della Violencia. Da allora, le Forze Armate hanno perseguito i propri interessi corporativi

che, per Richani, non sono sicuramente interessi di pace. Contemporaneamente, le

modalità d’azione della guerriglia, ossia la guerra a bassa intensità, è largamente tornata a

loro vantaggio. Pertanto, le Forze Armate non hanno fatto altro che limitarsi a difendere

alcune zone strategiche, lasciando mano libera alla guerriglia in altre parti del territorio. La

guerriglia ha così avuto modo di consolidare il proprio potere in molte zone rurali,

fornendo servizi alla popolazione civile locale ed amministrando la giustizia. In seguito

alla crescita del mercato della droga, alla guerriglia si è inoltre presentata la possibilità di

ingenti guadagni che le hanno permesso di diventare una potenza militare molto forte.

Secondo Richani gli interessi di gran parte delle forze paramilitari, convogliate nelle AUC

a metà degli anni ’90, coincidono con gli interessi di quella “terribile alleanza”445,

formatasi nel Magdalena Medio nel lontano 1983 tra narcos, latifondisti, multinazionali,

gruppi industriali e rappresentanti dello Stato colombiano, ossia tutte quelle componenti

sociali favorevoli ad un ulteriore concentrazione della terra. Se inizialmente “l’evidente

crescita degli omicidi che ha preso piede dopo il 1985”446 è stata funzionale

all’eliminazione della base di consenso della guerriglia, successivamente la diminuzione

del tasso degli omicidi registrata dalla metà degli anni ’90 in poi ha risposto alle “esigenze

di mantenimento del conflitto”.447

I benefici derivati alla classe dominante dalla diffusione di una simile violenza si

riferiscono al soffocamento sul nascere di qualsiasi tipo di politica populista ed alle

conseguenti possibilità di espansione del capitale negli anni della crescita, iniziata dalla

seconda guerra mondiale in poi. Tali benefici sono ancora più evidenti per quella che

Richani chiama “narcoborghesia”.448

Nonostante la cruda analisi, scrivendo in prossimità della fine del governo Pastrana e

dell’inizio del governo Uribe, ma soprattutto prima dei fatti dell’11 settembre, Richani

scorgeva nella Colombia e nel contesto internazionale di tre anni fa dei segnali che lo

portarono a credere che il tempo fosse “maturo”449 per porre fine al “sistema di guerra”450

445 Ibidem, pag. 102.446 Ibidem, pag. 127.447 Ibidem.448 Ibidem, pag. 143.449 Ibidem, pag. 154.

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colombiano. Per l’autore, gli effetti negativi del ricorso alla violenza erano diventati chiari

ad una parte cospicua dell’elite economica e politica, in particolare quella legata ai circuiti

internazionali.

Anche Jenny Pearce451 converge con Richani e la teoria del “comfortable impasse”452.

Premesso che le cause della violenza attuale in Colombia sono complesse e che non è

possibile parlare di colpe, secondo Pearce è invece doveroso individuare chi ha avuto più o

meno responsabilità nel favorire la violenza in atto. Secondo la sua analisi è stata la classe

dominante ad imboccare per prima il “comodo vicolo cieco” di cui parla Richani,

scegliendo di condurre una guerra controinsurrezionale non attraverso le Forze Armate

dello Stato (rimaste relativamente deboli rispetto al resto del continente) ma attraverso il

coinvolgimento della popolazione nelle questioni di garanzia dell’ordine pubblico fin dai

tempi della Violencia. Ponendo le basi per lo sviluppo e la crescita del fenomeno

paramilitare le scelte della classe dominante hanno portato, in tempi più recenti, alla morte

di molti attivisti sociali civili, per il semplice sospetto di essere simpatizzanti dei gruppi

armati di sinistra. Pearce parla di un vero e proprio “sabotaggio dall’alto”453 dei progetti di

riforma avanzati negli anni ’80: tutte le iniziative di quegli anni hanno “vacillato di fronte

alle difese dispiegate dal vecchio ordine”.454 Questo ha portato all’utilizzo della tortura,

dell’assassinio e delle desapareciones a danno di molti attivisti politici e sociali, la cui

unica colpa per Pearce è stata quella di aver mantenuto una posizione intellettualmente

ambigua rispetto alle forze armate di sinistra, anche se la loro grande maggioranza non ha

mai impugnato un’arma né ha mai pienamente fatto propria la logica d’azione dei gruppi

armati. Queste considerazioni non conducono Pearce a ritenere che l’attuale situazione in

Colombia sia spiegabile in termini di guerra civile, piuttosto per l’autore “la violenza è

stata incastonata negli spazi della socializzazione in cui tutti i colombiani sono nati e che

tutti i colombiani hanno contribuito a perpetuare”.455 Pertanto, egli condivide l’opinione di

quanti si sono riferiti al caso colombiano in termini di “violenza multipolare”.456 Rimane

invece dubbioso sull’opportunità della definizione di Pecaut di “guerra contro la

450 Ibidem, pag. 3.451 Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracyand war. Latin American Bureau, London, 2003.452 Nazih Richani, Sistems of violence: the political economy of war and peace in Colombia.SUNY Press, Albany, 2002, pag. 4.453 Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracyand war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 17, pag. 15.454 Ibidem.455 Ibidem, pag. 17.456 Ibidem.

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società”457, poiché tale definizione sembra far ricondurre tutti i problemi della violenza

colombiana agli attori armati. Invece, se è vero che gli “attori civili dotati di potere

(uomini e donne in misura diversa) e gli attori armati uomini devono riconoscere una larga

parte di responsabilità nel aver prodotto e riprodotto questi processi, ugualmente gli attori

civili privi del potere (uomini e donne in misura diversa) e gli attori armati di sesso

maschile privi di potere hanno contribuito alla perpetuazione di questi processi,

immergendo la violenza nella vita politica e trasformandola in qualcosa di convenzionale e

tollerato”.458

Senza voler in alcun modo mettere in dubbio la centralità delle questioni politiche “la

socializzazione dello spazio nazionale passa attraverso la socializzazione dello spazio della

famiglia459, degli spazi comunitari e della vita associativa”.460 Per l’autore è necessario

abbandonare le tradizionali visioni binarie che contrappongono il politico al sociale, la

guerra alla pace, il pubblico al privato e considerare invece “la violenza come un

continuum in cui la forma più organizzata, controllata dai gruppi armati, rappresenta solo

uno spettro di esso.”461 Da cui, emerge la necessità di appoggiare qualsiasi forma di azione

non- violenta. Per l’autore la pace in Colombia sarà possibile solo tramite una nuova

configurazione delle relazioni socio–politiche, la cui logica dovrà concentrarsi sulle

questioni legate alla partecipazione, alla tolleranza, al dibattito, alla concessione di potere

alle donne, alle classi emarginate, alle razze discriminate. Per questo Pearce non crede

nella possibilità di successo della politica autoritaria di Uribe, lontana dalla necessità di

creare un nuovo consenso normativo attorno al principio di non violenza, di giustizia

sociale e di democrazia. Ugualmente, l’intensificazione delle risposta autoritaria sotto

l’attuale amministrazione Bush non funzionerà, perché “una violenza imposta dall’alto e

proveniente dall’estero ignora gli sforzi di chi in Colombia cerca di mantenere aperti

quegli spazi civili di opposizione necessari a cambiare un ordine che di per sé genera

violenza.”462

457 Daniel Pecaut, Guerra contra la sociedad. Planeta Colombiana, Bogotà, 2001, pag. 12.458 Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracyand war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 17.459 Riguardo al tema, Pearce sottolinea l’importanza del compito svolto di recente dalle femministecolombiane, impegnate a mettere in luce il fatto che la violenza perpetrata a danno delle donnecolombiane e del loro corpo si sia dispiegata a partire dallo spazio familiare. Il loro lavoro haportato a considerare che, nonostante il minor tasso di morte tra le donne, anch’esse sono soggettea drammi della stessa intensità. Basti pensare alle difficoltà conseguenti le migrazioni forzate equelle da affrontare per mandare avanti la propria famiglia e la comunità in condizioni di guerra.460 Jenny Pearce, prefazione del libro di Grace Livingstone, Inside Colombia. Drugs, democracyand war. Latin American Bureau, London, 2003, pag. 21.461 Ibidem.462 Ibidem, pag. 23.

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L’analisi del CODHES, un’organizzazione non governativa per i Diritti Umani e le

Migrazioni Forzate463, è molto dura circa la situazione attuale della Colombia: l’aumento

dell’intensità della guerra negli anni della presidenza Uribe sta contribuendo

all’eliminazione di ogni spazio politico a favore di una risoluzione negoziata del conflitto,

mentre cresce la sfiducia sociale nella possibilità di convivenza pacifica.

Anche se il governo in carica, guidato da una prospettiva di breve termine, punta sulla

diminuzione di alcuni indici come dimostrazione del successo della sua politica autoritaria

basata sui programmi di Seguridad Democratica, secondo l’organizzazione la diminuzione

del tasso di omicidi politici e del numero dei massacri di massa sono dati che vanno letti

valutando le trasformazioni in atto delle strategie dei gruppi armati. In particolare bisogna

tenere conto che oggi la diminuzione dei massacri collettivi ad opera dei paramilitari è

accompagnata dall’aumento degli omicidi selettivi a danno dei leader dei movimenti

sociali e comunitari. Questo non è l’unico dato in aumento: in questi tre anni è cresciuto il

numero delle esecuzioni extragiuridiche e degli omicidi intenzionali di persone protette

perpetrate dagli agenti statali e parastatali, delle desapariciones, delle persone morte in

combattimento464, delle detenzioni arbitrarie465, dei colombiani rifugiati all’estero, dei

sequestri dei leader politici o comunitari ad opera della guerriglia, che tenta di utilizzare la

tattica dello scambio umanitario come mezzo per ottenere la libertà di guerriglieri catturati

e per screditare la politica di Seguridad Democratica di Uribe. Secondo il CODHES anche

il valore assoluto e relativo del fenomeno delle migrazioni forzate è aumentato. Infine,

463 Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes),Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo yDemocrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004.464 Secondo i dati del Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica, la media annualedel numero esecuzioni extragiuridiche e degli omicidi intenzionali di persone protette perpetratedagli agenti statali e parastatali commesse tra il 1990 ed il 2002 è di 1067, mentre quella del 2003è di 1140; delle desaparecios commesse tra il 1990 ed il 2002 è di 215, mentre quella del 2003 è di815; delle morti avvenute in combattimento tra il 1990 ed il 2002 è di 1336, mentre quella del2003 è di 1849. Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica, Cinep, ObservatorioDerechos Humanos y Derecho Humanitario della Coordinazione Colombia-Europa-Stati Uniti, Eltalante autoritario. Derechos civiles y politicos y DIH. In Plataforma Colombiana DerechosHumanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà,2004, pag. 179.465 Secondo i dati del Banco de Datos de Derechos Humaos y Violencia Politica il tasso didetenzioni arbitrarie è cresciuto del 129% tra il 2002 ed il 2003. Consultoria para los DerechosHumanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes), Profundizaciòn de la guerra. In PlataformaColombiana Derechos Humanos, Desarrollo y Democrazia, Relecciòn: el embrujo continua.Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 165.

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sono diventati più numerosi gli atti istituzionali rivolti a giustificare le violazioni dei diritti

umani a nome della politica di sicurezza.466

Oggi alcune zone del paese sono diventate veri e propri “laboratori di guerra”467, in cui la

vita quotidiana è scandita da uccisioni selettive e sistematiche, restrizioni alla mobilità di

uomini e prodotti alimentari, minacce di autorità locali e fuga delle forze politiche locali.

Contemporaneamente, il CODHES legge nel presente dei segnali che inducono a pensare

ad una possibilità di cambiamento a livello nazionale ed internazionale, a favore del

rafforzamento della lotta per i diritti umani e per la democrazia e a favore della ricerca di

vie alternative a quella della forza per la risoluzione dei conflitti mondiali. Da un lato,

riconosce l’importanza di alcune dinamiche di resistenza di guerra che hanno interessato

delle zone regionali della Colombia, come i processi costituenti nel Nariño, nel Cauca, nel

Tolima, in Antioquia; i laboratori di pace nell’Oriente Antinoqueño e nel Bolivar; i

movimenti sociali attivi organizzati dalle popolazioni indigene e dalle donne; le

mobilitazioni per diritti umani e per la pace. Contemporaneamente, il fallimento di Uribe al

referendum popolare del 2003, iniziativa politica avanzata dalla sua stessa coalizione di

governo, potrebbe essere interpretato come un primo segnale che la popolarità del

presidente si stia incrinando. Dall’altro, riconosce il fallimento a livello internazionale

della dottrina della guerra preventiva unilaterale promossa dall’amministrazione Bush.

Se davvero in futuro si riaprisse uno spazio per la negoziazione tra lo Stato colombiano e la

guerriglia, utilissime sarebbero le considerazioni di Marco Palacios. Anche per questo

autore “Non c’è una via di uscita militare al conflitto armato, prima o poi l’uscita dovrà

essere di tipo politico”.468 Poiché il problema principale del paese non è la pace ma il

rafforzamento dello stato democratico Palacios critica la logica soggiacente i processi di

pace avviati in passato in Colombia. Tra le maggiori carenze egli individua:

1. La “discontinuità”469 con il passato: tutti i governi che si susseguono sembrano guidati

dall’idea che è necessario ricominciare tutto da capo, con una nuova metodologia, una

nuova retorica, una nuova prospettiva.

2. L’incoerenza e la frammentazione delle strategie adottate dovuta alla frammentazione

dei poteri pubblici.

466 Consultoria para los Derechos Humanos y el Desplazamiento Forzado (Codhes),Profundizaciòn de la guerra. In Plataforma Colombiana Derechos Humanos, Desarrollo yDemocrazia, Relecciòn: el embrujo continua. Camillo Borrero, Bogotà, 2004, pag. 171-172.467 Ibidem, pag. 171.468 Marco Palacios, El labirinto de las negociaciones. In Democracia y Paz. A. Monsalve & E.Domínguez, Madrid, 2002, pag. 67.469 Ibidem, pag. 71.

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3. La frammentazione tra le organizzazioni guerrigliere, ognuna delle quali è impegnata

ad accrescere la propria forza politica.

4. Il carattere prolungato dei processi, che rischiano di diventare eterni perché funzionali

allo status quo.

Palacios denuncia il fatto che in passato i processi di pace sono stati più volte utilizzati

“affinché non si discutesse su temi importanti, quali le questioni di politica economica, gli

scandali di corruzione politica ed amministrativa, le crisi sociali, i deficit allarmanti di

educazione pubblica, il deterioramento del capitale umano, la fuga di centinaia di migliaia

di professionisti dal paese.”470 Al contrario, tali processi dovrebbe affrontare questioni

legate alla deposizione delle armi, al reinserimento dei guerriglieri nella vita politica,

familiare, lavorativa e privata affinché essi tornino ad essere dei cittadini a tutti gli effetti.

Di questo nessuno parla, nemmeno la guerriglia che nei dodici punti presentati al

precedente governo si è limitata ad elencare una serie di obbiettivi che possiedono solo una

valenza astratta.

L’adozione di una strategia di negoziazione adeguata con i gruppi armati è fondamentale

anche per il direttore della sede colombiana dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani,

Michael Frühling.471 Esso rappresenta difatti uno dei quattro campi in cui deve articolarsi

quella “risposta integrale dello Stato”472, che il carattere pluridimensionale del conflitto

interno impone. Tale risposta deve sempre tener conto del Diritto Internazionale

Umanitario, dei diritti umani e del Diritto Penale Internazionale. In particolare, le

raccomandazioni delle Nazioni Unite riguardano l’attuale processo di negoziazione che il

governo Uribe ha aperto con i paramilitari. Frühling non si stanca di ribadire che “la

tensione tra la negoziazione e l’impunità deve risolversi senza apportare alla popolazione

colombiana un ultimo danno: quello cioè di rinunciare, nel supposto nome della pace o

della democrazia, a quanto le spetta”473, ossia al compimento di un processo di verità,

giustizia e riparazione. Affinché lo Stato colombiano porti a termine le negoziazioni senza

venire meno ai suoi doveri costituzionali ed internazionali, Frühling raccomanda la

creazione di una Commissione di Chiarimento, extragiuridica, imparziale ed

470 Ibidem, pag. 76.471 Michael Frühling, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias.472 Ibidem, pag. 1. Gli altri tre campi individuati sono: 1) quello politico-democratico dello Stato diDiritto (necessaria è la cooperazione di tutte le forze civili democratiche, opposizione compresa);2) quello relativo alle politiche economiche, sociali ed umanitarie (incluso una politica contro laproduzione, il traffico ed il consumo di droga); 3) politica militare.473 Ibidem, pag. 3.

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indipendente.474 Il compimento di un simile processo è essenziale perché “non esiste

nessuna riconciliazione giusta e duratura che non soddisfi la necessità della giustizia; il

perdono è, senza dubbio, un fattore importante della riconciliazione, però suppone, come

atto privato, che la vittima conosca l’autore delle violazioni e che questo abbia avuto la

possibilità di riconoscere quanto commesso e di manifestare il suo pentimento.” D’altro

canto, Frühling ritiene legittimo che all’interno di un processo di negoziazione di pace uno

Stato adotti un sistema penale alternativo applicabile ai membri dei gruppi armati illegali,

allo scopo di facilitare la loro integrazione nella vita civile del paese e di creare delle

condizioni che favoriscano la convivenza pacifica tra i membri della comunità. Tuttavia,

questo sistema deve essere pensato e messo in atto in pieno accordo dei diritti fondamentali

delle vittime: “lo Stato deve dare le garanzie adeguate contro l’utilizzo della

riconciliazione e del perdono come mezzi per fomentare l’impunità”.475 Pertanto, le norme

adottate per la reintroduzione dei membri dei gruppi armati illegali nel corpo sociale

devono avere carattere obbligatorio, devono garantire la messa in atto di azioni individuali

di restituzione delle ricchezze ottenute attraverso l’uso della violenza e devono prevedere il

pagamento di indennità per i danni commessi.

Utili suggerimenti per la comprensione dei fallimenti dei processi di pace avviati in passato

in Colombia provengono anche dall’equipe di ricerca del Centro di Investigazione per la

Pace (CIP). In particolare, Maria Rudas e Claudia Clavijo476 ritengono indispensabile il

verificarsi di alcune condizioni prima dell’avvio della negoziazione, che stabiliscano chi

saranno i partecipanti, come si porteranno a termine le negoziazioni con i differenti gruppi

armati, quali sono le condizioni che ogni parte considera irrinunciabili, come si stabilirà

l’agenda, quali saranno i meccanismi di finanziamento ed i tempi del processo. La

mancanza di questi elementi sta all’origine del fallimento del processo di pace avviato da

Pastrana. L’accordo necessario per l’elaborazione di queste condizioni basilari è possibile

in seguito alla “percezione comune della situazione di punto morto”477 a livello militare tra

gli attori coinvolti nel conflitto. In nome di tale percezione e del riconoscimento del

474 I compiti di una simile commissione dovrebbero riguardare: l’investigazione sulla condotta dicoloro che hanno commesso violazioni del DIH e dei diritti umani, individuali o di massa; ladeterminazione dei fattori oggettivi e soggettivi che hanno creato le condizioni in cui tali lesionisono avvenute; l’esame dei fattori che hanno permesso la loro impunità fino a questo momento;l’analisi dei meccanismi statali grazie ai quali queste violazioni sono potute avvenire;l’identificazione delle vittime; l’identificazione degli organismi e delle entità coinvolte nellacommessa di tali violazioni; la conservazione delle prove; l’emissione di raccomandazioni chepossano limitare l’impunità.475 Michael Frühling, www.hchr.org.co/publico/pronunciamentos/ponencias, pag. 8.476 Maria Rudas & Claudia Clavijo, Consideraciones claves en el diseño de las negociaciones depaz: reflexiones para el caso colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003.477 Ibidem, pag. 110.

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nemico è possibile dare avvio alla costruzione di fiducia tra gli avversari ed ai necessari

cambiamenti nella struttura interna delle parti, tali da rendere percorribili le proposte di

negoziazione. Secondo le autrici, oggi tale percezione è ancora lontana.

Sulla via dell’internazionalizzazione della pace colombiana

Aldilà della condivisione delle speranze del CODHES riguardo l’imminenza di un forte

cambiamento politico a livello nazionale ed internazionale in grado di riaprire il cammino

della negoziazione, personalmente convergo con le parole di Marco Palacios: “non c’è una

via di uscita militare al conflitto armato, prima o poi l’uscita dovrà essere di tipo

politico”.478

Dopo un’accurata ricostruzione storica dei fatti degli ultimi sessant’anni della storia del

paese, necessaria alla comprensione della complessità dell’odierno conflitto armato

colombiano, ritengo che il lavoro più utile che si possa fare oggi consista nell’individuare i

possibili mezzi attraverso cui facilitare l’imbocco della strada del dialogo. Dialogo che non

conduca alla sola firma di un trattato di negoziazione per la cessazione delle ostilità (pur

essendo questa una tappa fondamentale e neppure di facile raggiungimento del processo di

pace), ma che miri a sradicare le cause che hanno generato un sistema politico, economico

e sociale che si regge sulla disuguaglianza e l’esclusione. Affinché il dialogo permetta

l’avvio di un processo di pace duraturo ed integrale, preludendo l’inizio di una nuova vita

nazionale, ritengo indispensabile proseguire nel rafforzamento della società civile, tanto

dalla prospettiva nazionale come da quella internazionale, per garantire un suo reale

coinvolgimento nel processo di pace. Difatti la partecipazione della società civile è

elemento fondamentale per dare legittimità all’intero processo: senza un suo adeguato

coinvolgimento lo Stato invierebbe all’intera società un messaggio pericoloso, ossia che

l’unico mezzo per accedere al potere è il ricorso alla violenza.479

Nessuno ritiene che si tratti di un progetto di facile e rapida soluzione. Nelle pagine

precedenti mi sono ampiamente soffermata a porre in evidenza le enormi difficoltà che la

tipologia del conflitto colombiano pone su questo tema. In un contesto in cui la

popolazione civile rappresenta il bersaglio principale degli attori armati, evidenti sono le

difficoltà inerenti alla sua mobilitazione ed organizzazione. Sia dal punto di vista morale

478 Marco Palacios, El labirinto de las negociaciones. In Democracia y Paz. A. Monsalve & E.Domínguez, Madrid, 2002, pag. 67.

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ed etico che da quello della governabilità mondiale la degenerazione del conflitto pone

urgenti interrogativi alla comunità internazionale su come rendere i cittadini colombiani

protagonisti del processo di pace. In particolare, nelle pagine a seguire si discuterà sulle

potenzialità d’azione della società civile globale a favore della pace in Colombia, fermo

restando che la riuscita di questo processo sarà possibile solo in seguito alla maturazione di

una volontà politica dello Stato colombiano e della sua classe dirigente diretta a generare

una proposta che renda possibile la fine delle ostilità e l’avvio di una serie di politiche che

risolvano la crisi economica sociale ed umanitaria del paese.

Il coinvolgimento della comunità internazionale.

Prima di indagare su quello che dovrebbe essere l’obbiettivo e l’utilità dell’intervento della

comunità internazionale nel sostenere il processo di pace colombiano, vorrei soffermarmi

sulle motivazioni che hanno indotto di recente la comunità internazionale a rivolgere una

maggiore attenzione al caso. Come si è visto nel capitolo precedente, negli ultimi

venticinque anni alcuni caratteri del conflitto interno hanno prodotto delle ripercussioni

non indifferenti sul piano mondiale, conducendo ad un’internazionalizzazione crescente

del conflitto colombiano, tra cui: le dimensioni raggiunte dal fenomeno del narcotraffico,

la partecipazione dei gruppi armati colombiani al traffico internazionale di armi, la

sistematica violazione dei diritti umani e del Diritto Internazionale Umanitario, gli effetti

sul piano delle migrazioni internazionali dell’incessante fenomeno di sfollamento della

popolazione colombiana dalle campagne. Si è anche visto come alla luce di questi

fenomeni alla fine degli anni ‘90 il presidente Pastrana seppe adoperare la sua arte

diplomatica affinché sul piano mondiale si cominciasse a pensare che il problema

dell’internazionalizzazione del conflitto colombiano potesse essere affrontato solo

attraverso l’“internazionalizzazione della pace”.480

Posto che il punto di partenza per l’azione internazionale deve essere la comprensione del

conflitto in atto, tale comprensione non può prescindere dalla considerazione che l’origine

del conflitto colombiano è politica. Anche il realismo di Rangel non può che considerare

che il conflitto odierno è un “problema non risolto di integrazione nazionale di un paese

479 Catherine Barnes, Conciliation Resources. Owning the process. Pubblic Partecipation in PeaceMaking, ACCORD; Enrique Alvarez, The Grand National Dialogue and the Oslo consultations:creating a peace agenda, ACCORD, Issue 13, 2002. 480 Instituto de Estudios Políticos y Relaciones Internacionales (IEPRI), Universidad Nacional deColombia, El Plan Colombia y la internacionalización del conflicto. Planeta, Bogotà, 2001, pag.76.

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escluso, ossia del paese rurale che non è mai riuscito a raggiungere i benefici dello

sviluppo e della modernizzazione del resto della nazione”.481 Questo non significa non

riconoscere che le attuali dinamiche del conflitto hanno condotto i gruppi insurrezionali ad

utilizzare il potere militare in modo indiscriminato col solo obbiettivo di guadagnare una

posizione di vantaggio a livello militare e politico rispetto all’avversario. Nemmeno,

significa negare che il narcotraffico sia il miglior “combustibile”482 del conflitto interno.

Piuttosto, riconoscere l’origine politica del conflitto conduce a porre in evidenza che il

conflitto interno colombiano è nato come uno scontro tra Stato e società, in cui la

legittimità dello Stato è una questione di fondo.

Il recupero della legittimità statale, sia a livello nazionale che a livello internazionale, deve

basarsi sul rispetto della legalità e sulla garanzia dei diritti umani, tanto civili e politici che

economici, sociali e culturali.483 Pertanto, il rafforzamento di cui lo Stato colombiano ha

bisogno è prima di tutto di tipo istituzionale: questo rafforzamento deve essere diretto a

tutelare la società civile e ad assicurarle la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano

nel processo di pace. Solo una maggiore governabilità democratica può sfuggire

all’inganno di soluzioni temporanee e parziali, generatrici di conflitti più profondi. Ecco

perché le importanti riforme introdotte sul piano politico dalla Costituzione del 1991 non

hanno risolto il conflitto, dimostrando che “non solo siamo di fronte ad un problema che

riguarda l’accesso al potere dei settori marginali, ma che si tratta di un problema di

conformazione e di esercizio del potere politico.”484

La reazione della comunità internazionale agli appelli di Pastrana e a quelli dell’attuale

presidente Uribe non è affatto omogenea: gli Stati Uniti e l’Unione Europea si trovano ai

due poli opposti. “Mentre la politica statunitense pone l’accento sulla produzione della

foglia di coca ed i suoi effetti sul finanziamento degli attori armati al margine della legge,

l’Unione Europea dà enfasi agli aspetti sociali ed umanitari del conflitto”.485

Conseguentemente, da un lato assistiamo all’aumento del coinvolgimento statunitense nel

conflitto attraverso una crescita degli aiuti finanziari a sostegno delle Forze Armate

colombiane tramite il Plan Colombia, cui si aggiunge un aumento della presenza sul

481 Alfred Rangel, Las dinámicas y las perspectivas de la confrontación armada en el país. InDemocracia y Paz, A. Monsalve & E. Domínguez, Madrid, 2002, pag. 81.482 Maria Rudas & Claudia Clavijo, La comunidad internacional y la resoluciòn del conflictoarmado colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003, pag. 127.483 Alejo Vargas Velazquez, Los desafios del proximo Gobierno colombiano, El Espectador, 16giugno, 2002.484 Maria Rudas & Claudia Clavijo, La comunidad internacional y la resoluciòn del conflictoarmado colombiano. In Papeles de questiones internacionales n. 83, 2003, pag. 128.

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territorio di agenti dei corpi di sicurezza privati statunitensi. Dall’altro, nonostante gli

eventi dell’11 settembre e la linea dura del presidente Uribe, l’Unione Europea sembra

rimanere ferma nel sostenere che l’obbiettivo della sua politica nei confronti della

Colombia rimane quello di facilitare una soluzione negoziata del conflitto, attraverso il

finanziamento di programmi sociali ed istituzionali finalizzati al rafforzamento dello Stato

di Diritto. L’Unione Europea si propone pertanto di appoggiare tutti gli sforzi

precedentemente avviati per la ricerca della pace, di intervenire per eliminare le cause del

conflitto, di somministrare aiuti umanitari alle vittime e di seguire con maggiore attenzione

la situazione umanitaria in Colombia.486 Tuttavia, nonostante le differenze qui accennate,

oggi entrambe le potenze condividono lo stesso atteggiamento che, aldilà del

riconoscimento più o meno esplicito della dimensione politica del conflitto, rimane fermo

riguardo l’inclusione dei gruppi insurrezionali colombiani nella lista dei gruppi terroristici

internazionali. Inoltre, nessuna delle due potenze ha adottato serie misure per limitare il

commercio illegale di armi o quello legale dei precursori chimici necessari alla

raffinazione della cocaina.

La mobilitazione della comunità internazionale non si è limitata ad interessare l’insieme

degli stati nazionali ma, attorno alle le istanze provenienti da vari attori della società civile

colombiana si è mobilitato un numero crescente di attori della società civile globale, con

l’intento di porre all’attenzione internazionale le dinamiche perverse e lesive dei diritti

fondamentali dell’uomo messe in atto da uno Stato dimostratosi ampiamente incapace di

garantire l’ordine sociale all’interno di un insieme di regole condivise. Questo fenomeno si

spiega alla luce di un insieme di processi legati alla globalizzazione (quali l’annullamento

tecnologico delle distanze, la conseguente “multilocalizzazione delle biografie”487,

l’espansione dei canali di comunicazione e d’azione) che dopo la fine della Guerra Fredda

hanno condotto ad una ridefinizione delle reti associative già individuate da

Hirschmann488, a metà degli anni ’80, come un importante risorsa per la democratizzazione

e lo sviluppo.

La società civile globale.

485Ibidem, pag. 131.486 Risoluzione del Parlamento Europeo del febbraio del 2002; messaggio del commissario delleRelazioni Estere dell’Unione Europea, Chris Patten durante il Forum dell’Unione Europea tenutosia Bogotà il 12-13 maggio 2003; intervento di Aude Maio Coliche, membro della CommissioneEuropea, durante la conferenza tenutasi a Barcellona il 14-16 di aprile 2005, riguardo il tema Lacooperazione internazionale a favore della Colombia: Pace e Diritti Umani? 487 Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 97.

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Molti autori si sono espressi circa la nuova potenzialità politica della società civile globale

e le sua possibile funzione di democratizzazione. Secondo Ulrich Beck i processi di

globalizzazione hanno aperto le porte alla “società mondiale, intesa come nascita della

possibilità di potere, spazi d’azione, di vita e di percezione del sociale che spezzano e

scompigliano la concezione ortodossa nazional-statale della politica e della società.” 489

Ciò ha determinato una trasformazione della società civile in seguito all’inserimento dei

suoi attori in reti o piattaforme transnazionali di diversa tipologia, alla globalizzazione

delle reti informative, alla crescita ed al rafforzamento delle organizzazioni transnazionali,

i cui attori agiscono in più luoghi, superando i confini nazionali, ed i cui membri

appartengono a più nazioni. Pertanto, oggi viviamo in un contesto assolutamente nuovo,

segnato dalla fine di un epoca in cui le relazioni internazionali erano dominate dagli Stati

nazionali e dall’inizio di una nuova epoca in cui la politica mondiale si sviluppa secondo

una pluralità di centri in cui, accanto agli Stati nazionali ed al capitale, si muovono anche

le organizzazioni internazionali e la società civile globale. Per Beck490 il simbolo adatto a

raffigurare la nuova realtà emergente è Lilliput, il paese immaginato da Jonathan Swift, nel

quale il gigante Gulliver (ossia la globalizzazione dominante) si ritrova immobilizzato dai

suoi piccoli abitanti che hanno saputo ricorrere ad una fitta rete di sottilissimi legacci.

Il linguaggio di Falk è più diretto: anche per lui la società civile globale emergente

rappresenta contemporaneamente una sfida non solo rispetto al tradizionale sistema degli

stati-nazione, ma anche rispetto alla “globalizzazione dall’alto”491 messa in atto dalle forze

del mercato. Questo concetto nuovo può venire inteso come una sorta di movimento di

“globalizzazione dal basso”492 che si pone in modo conflittuale contro le tendenze perverse

della globalizzazione che tendono a dar forma ad un sistema mondiale in cui i processi

decisionali sono difficilmente visibili e controllabili. Gli editori dell’annuario Global Civil

Society del Centre for Civil Society e del Centre for the Studies of Global Governance

della London School of Economics and Political Science, Helmut Anheier, Marlies Glasius

e Mary Kaldor493 insistono anche loro sulla possibile funzione di democratizzazione della

società civile globale sui processi di globalizzaizione in atto. Inoltre sottolineano la

possibile aspirazione normativa del concetto, che suggerisce l’esistenza di una coscienza

488 Albert Hirschmann, Ascesa e declino dell’economia dello sviluppo e altri saggi. Rosenberg &Sallier, Torino, 1983.489 Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 87.490 Ibidem, pag. 95.491 Ricard Falk, Law in an emerging global village: a post westphalian perspective. ARDSLEY,New York, 1998, pag.7.492 Ibibem.

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globale in fieri rispetto a cui prende forma il pensiero e l’azione dei soggetti della società

civile globale.

Anche Marc Nerfin si spende per esaltare il nuovo potenziale di quello che egli definisce il

“terzo sistema”. Nella sua analisi egli identifica la società civile con il cittadino che si

distingue dal principe (il potere governativo) e dal mercante (il potere economico) e che

rappresenta un potere diverso, autonomamente conquistato dalla gente. “Qualcuno tra il

popolo ne prende coscienza, si associa, agisce con gli atri e diviene così cittadino”.494

Secondo Anheier495 oggi le società civili nazionali continuano in misura diversa a rimanere

legate ai contesti nazionali in cui si sono formate, ma allo stesso tempo si situano in un

nuovo spazio globale che non si limita ad essere una somma delle sue componenti,

piuttosto si tratta di uno spazio che contribuisce a ridefinirle ed a sovradeterminarle.

Per spiegare le interconnessioni complesse tra spazio nazionale e globale Beck ricorre

ancora una volta ad un’immagine simbolica. Mentre “i lavoratori, i sindacati, i governi

giocano ancora a filetto, i gruppi industriali transnazionali giocano a scacchi. In questo

modo una pedina per il filetto nelle mani dei gruppi industriali può diventare un cavallo

che dà improvvisamente scacco matto all’attonito re nazional-statale.”496

La globalizzazione è un fenomeno complesso attraversato da spinte contraddittorie. La

messa in crisi del primato statale nella promozione della crescita economica e

dell’integrazione sociale non è accompagnata solo da spinte universalizzanti, che tendono

ad esautorare lo Stato di alcune funzioni che confluiscono in uno spazio sovradeterminato;

contemporaneamente, esso è soggetto a spinte centrifughe che determinano un processo di

decentramento a favore di nuove identità subnazionali. L’interconnessione complessa degli

spazi locali e delle reti internazionali ha portato molti autori contemporanei a parlare di

glocalizzazione. Il termine allude ad un complesso processo che non vede il locale ed il

globale contrapporsi ed escludersi a vicenda, ma che conduce ad una valorizzazione e

“rilocalizzazione delle culture locali nel nuovo contesto globale”.497 Per Pieterse “la

493 Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor (a cura di), Global Civil Society 2001. OxfordUniversity Press, Oxford, 2001.494 Marc Nerfin, Né principe, mè mercante: cittadino. Un’introduzione al terzo sistema. Citato inA.Tarozzi, (a cura di), Visioni di uno sviluppo diverso. Gruppo Abele, Torino, 1990, pag. 136-137. 495 Helmut Anheier, Marlies Glasius e Mary Kaldor (a cura di), Global Civil Society 2001. OxfordUniversity Press, Oxford, 2001.496 Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci, Roma, 1999, pag. 88.497 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,Torino, 2004, pag. 48.

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peculiarità di ogni luogo risulta dal fatto che esso sta nel centro di una peculiare miscela tra

rapporti sociali transnazionali e locali.”498

L’idea politica di società civile globale passa attraverso la reinvenzione della società civile

avvenuta negli anni ’70 ed ’80 contemporaneamente in America Latina e nell’Europa

Orientale.499

A metà degli anni ’80 Guillermo O’Donnell e Philippe Schmitter500 parlano di rinascita

della società civile descrivendo i processi di mobilitazione degli attori sociali e politici e di

allargamento della sfera pubblica che hanno segnato l’uscita dagli autoritarismi nel

contenente latino.

Per Michael Ignatieff501 il recupero del termine nell’Europa Orientale avviene in termini di

estraniamento e distanziamento dall’ideologia del regime, rivelandosi utile mezzo di

resistenza all’autoritarismo e strumento di transizione democratica.

Il recupero del termine nell’Europa Orientale viene guardato con interesse da altre parti del

mondo, specie dall’Occidente, investito anch’esso da un insieme di trasformazioni che lo

avrebbero condotto alla società postindustriale. La diffusione crescente di idee quali

l’autonomia personale, l’organizzazione dal basso e lo spazio privato in Occidente stavano

contribuendo in quegli stessi anni ad allentare i legami comunitari ed a creare nuove forme

di organizzazione, mentre il ruolo dello Stato come unico regolatore dell’ordine e

promotore della crescita economica e dell’integrazione sociale veniva sempre più messo in

discussione.

La trasformazione delle comunicazioni ha contribuito in modo decisivo ad erodere i

confini nazionali della società civile.502 In quegli anni l’interconnettività crescente permise

il nascere di “isole di impegno civile”503 sia in America Latina che in Europa Orientale. I

movimenti pacifisti europei e nordamericani, eredi dei movimenti sociali degli anni ’70, si

mobilitarono stabilendo un numero crescente di contatti con gruppi ed individui di quei

continenti, nel tentativo di garantire loro solidarietà e forme di protezione. Grazie a quello

498 J. N. Pieterse, Der Melange-Effect. Citato in U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Carocci,Roma, 1999, pag. 87.499 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004; Vanna Ianni, Lasocietà civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan, Torino, 2004; MaggieBlack, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004.500 Guillermo O’Donnell & Philippe Schmitter, Latin America. John Hopkins University Press,London, 1986.501 Michael Ignatieff, Blood and belonging. Paperback, London, 1994.502 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.503 Ibidem, pag. 5.

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che Margaret Kekk e Katheryn Sikkink hanno definito “effetto boomerang”504 i gruppi di

società civile aggirarono lo Stato e si appellarono a network ed istituzioni transnazionali o

a Stati stranieri per far sì che le loro richieste tornassero nel paese d’origine con una

maggiore forza. Il successo di questa mobilitazione globale è stata inoltre possibile grazie

al terreno favorevole creato dagli accordi politici e giuridici che le grandi potenze stavano

siglando, come ad esempio gli accordi di Helsinky del 1975, la cui portata fu decisiva per

aprire spazi di autonomia in Europa dell’Est ed altrove.

In seguito alla fine della Guerra Fredda e la caduta del socialismo reale la nozione di

società civile ha raggiunto le restanti aeree geografiche, ossia l’Asia, l’Africa ed il Medio

Oriente.505 Da allora secondo Mary Kaldor “al posto di forme verticali di società civile a

base territoriale assistiamo all’affermazione di reti orizzontali transnazionali e globali,

civili come incivili.”506

Così come lo spettro di significati del concetto di società civile è ampio e passa da una

visione che comprende ogni spazio esterno allo Stato, compreso il mercato, ad una più

delimitata che identifica la società civile con l’insieme delle organizzazioni sociali che

occupano lo spazio intermedio esistente tra Stato e mercato, anche lo spettro di significati

del concetto di società civile globale è ugualmente esteso e differenziato. Martin Shaw ha

tentato di fare un elenco completo delle diverse categorie in cui suddividere gli infiniti

soggetti della società civile: “organizzazioni formali che collegano istituzioni nazionali

(partiti, chiese, sindacati, ordini professionali, corpi educativi, media, etc.); collegamenti di

reti informali e movimenti (per esempio di donne, gay, gruppi pacifisti e movimenti);

organizzazioni globali (per esempio Amnesty International, Greenpeace, Medici senza

Frontiere) con uno specifico orientamento globale, iscritti globali, e scopi globali”.507 Le

tematiche affrontate sono di varia natura, spesso affrontate in modo univoco. Gli obbiettivi

sono immediati o di più lunga durata.

Per Vanna Ianni508 con il termine di società civile globale si allude ad un insieme

eterogeneo di soggetti che includono organizzazioni non governative con una forte

504 Margaret Keck & Katheryn Sikkink, Activists beyond borders: advocacy networks ininternational politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998, pag. 11.505 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,Torino, 2004.506 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 6.507 Martin Shaw, Global society and international relations. Polity Press, Cambridge, 1994, pag.650.508 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,Torino, 2004.

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vocazione internazionale, movimenti sociali, reti formali ed informali, associazioni di

diversa tipologia.

Per quanto concerne la modalità d’azione seguita dai diversi soggetti della società civile

globale Jan Aart Scholte propone un utile griglia che scompone nel seguente modo: “a)

affronta tematiche transnazionali; b) comporta comunicazioni transfrontaliere; c) è dotata

di un’organizzazione di dimensioni globali; d) lavora sulla base di una concezione di

solidarietà sovraterritoriale.”509 Per l’autore, la sola presenza di una delle quattro

componenti è sufficiente per classificare una attore globale, mentre la presenza di più di

uno degli elementi comporta un grado di globalizzazione maggiore.

Mary Kaldor510 schematizza le diverse posizioni assunte dai teorici partecipanti al dibattito

inerente l’inclusività della società civile globale individuando cinque differenti versioni del

concetto, due delle quali attingono da versioni passate mentre le altre tre sono

contemporanee.

La prima versione identifica l’idea di società civile come una sfera di diritto, ovvero di una

comunità politica pacificata fondata sul consenso implicito od esplicito degli individui.

Nell’ideale di Kant i confini di questa comunità politica si estendono al mondo intero: per

lui il concetto di società civile universale afferisce ad una legalità cosmopolitica, garantita

da un insieme di trattati ed istituzioni internazionali.

La seconda versione si sviluppa attorno all’idea hegeliana e marxiana di società borghese,

ovvero di società di mercato contrapposta allo Stato. Trasposta su un piano globale la

società civile è considerata una sorta di processo di globalizzazione dal basso che

comprende tutti i movimenti globali che avvengono al di sotto o al di fuori dello Stato e

delle istituzioni politiche internazionali, tra cui anche le imprese transnazionali,

l’investimento estero e le reti finanziarie mondiali. John Keane511, ad esempio, è uno di

quegli autori che include nella società civile globale gli attori economici con finalità di

lucro.

La terza versione è quella detta postmarxista e corrisponde alla visione degli attivisti

odierni che si rifà all’accezione espressa dai movimenti di opposizione dell’Europa

Centrale degli anni ’70 e ’80. Presupponendo il primato della legge e del potere statale,

essa insiste sulla redistribuzione democratica di questo potere. La società civile coincide in

questo caso con l’attivismo civico e le forme di autorganizzazione degli spazi al di fuori

dei circuiti politici formali dirette ad accrescere l’autonomia e la partecipazione dei

509 J. A. Scholte, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000.510 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.511 John Keane, Global civil society? Cambridge University Press, Cambridge, 2003.

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cittadini. La società civile globale fa riferimento all’esistenza di una sfera pubblica globale

nella quale abitano reti associative transnazionali che ricorrono ai media internazionali ed a

strumenti di comunicazione non strumentali per attirare l’attenzione mondiale sulle loro

campagne e sulle “nuove religioni civiche”512 globali, quali i diritti umani o

l’ambientalismo.

Secondo la versione neoliberista la società civile corrisponde ad alla vita associativa che

non solo mette in discussione il potere dello Stato, ma cerca di sostituirsi ad esso

assumendo sue funzioni proprie. Nella sua trasposizione globale essa è “l’equivalente

sociale o politico della globalizzazione intesa come globalizzazione economica,

liberalizzazione, privatizzazione, deregulation ed aumento della mobilità di beni e capitali.

In assenza di uno Stato globale, un esercito di ONG svolgono le funzioni necessarie per

facilitare la strada della globalizzazione economica.”513

La loro attività è rivolta a fornire aiuto umanitario alle popolazioni vittime di crisi politiche

ed economiche, nell’intento di limitare i danni provocati dalla globlaizzazione. “Il lavoro

delle organizzazioni più riformiste si sviluppa sulla base di un numero sempre crescente di

rapporti di parternariato con le imprese, sulla lenta crescita di progetti di microeconomia,

sui progetti per l’aiuto allo sviluppo.”514 In generale, la loro attività è rivolta

all’implementazione di iniziative di democracy-bulding finanziate a livello pubblico e

privato nell’intento di affermare la sovranità della legge ed il rispetto dei diritti umani su

scala globale.

Infine, nella versione postmoderna il termine società civile globale si scinde in un insieme

di società civili globali formatesi a partire dalla “diffusione globale dei terreni di

contestazione”515: secondo questa visione, lo spazio mondiale è abitato da una pluralità di

reti organizzate su scala globale che non include solo i soggetti dell’attivismo civico, ma

anche le reti sviluppatesi sulla base di identità religiose, etniche o nazionali. A tutt’oggi

rimane molto dibattuta la possibilità di inclusione nel concetto di società civile globale

anche di quei gruppi che giustificano il ricorso alla violenza. Scholte516, ad esempio è uno

di quegli autori che considera le reti criminali, i gruppi razzisti, ultranazionalisti e

fondamentalisti membri della società civile globale.

512 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 9.513 Ibidem.514 Tuerry Pech & Marc Olivier Padis, Le multinazionali del cuore. Feltrinelli, Milano, 2004, pag.85.515 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 10.516 J. A. Scholte, Globalisation: a critical introduction. Mcmillan, London, 2000.

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La società civile come mezzo e fine della nuova nozione di sviluppo.

Il potenziale politico di queste trasformazioni trova un suo primo riscontro nella nuova

concezione di sviluppo umano sostenibile che si afferma in modo progressivo nel corso

degli anni ’90 attraverso una serie di incontri, vertici e conferenze internazionali e che

segna l’entrata della società civile contemporaneamente come fine e mezzo della modalità

decentrata della cooperazione allo sviluppo.

Secondo Vanna Ianni517, all’origine della messa in discussione delle politiche di sviluppo

fino ad allora adottate dagli Stati nazionali, sia in riferimento agli obbiettivi raggiunti che

alla metodologia utilizzata, vanno identificati gli effetti della crisi dello Stato e della

conseguente affermazione della società civile nella sua dimensione nazionale e globale,

insieme agli effetti generati dall’aumento delle insicurezze provocate da un numero

crescente di conflitti, dai danni all’ambiente e dall’aumento dell’esclusione sociale sul

piano globale. Il nuovo approccio si articola su di un insieme di concetti strettamente

connessi: lo sviluppo umano, sostenibile, partecipativo. In primo luogo, la nuova visione

colloca l’uomo come fine in sé al centro, secondo la nota posizione kantiana a cui fanno

espressamente richiamo i Rapporti del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite

elaborati negli anni ’90. Al riguardo, il Rapporto sullo sviluppo umano 5 afferma

esplicitamente che «è bene ricordare l’ammonimento di Immanuel Kant “a trattare

l’umanità come un fine, mai come un semplice mezzo.” La qualità della vita umana è un

fine.»518 In secondo luogo, si afferma il concetto di sostenibilità, ossia della necessità di

fare un uso delle risorse terrestri tale da rispettare l’ecosistema e non privare le generazioni

future delle stesse opportunità di scelta di oggi. Per alcuni autori, tra cui Ignacy Sachs519,

tale concetto contiene degli aspetti economici, sociali, culturali, ecologici, geografici. Con

esso non si allude solo alla preservazione delle risorse naturali della terra, ma anche ad una

crescita economica accompagnata da una maggiore equità sociale, una più equilibrata

distribuzione degli spazi abitati e processi di modernizzazione rispettosi della diversità dei

singoli contesti culturali.

In terzo luogo, la partecipazione diventa sia fine che strumento della modalità decentrata

della cooperazione allo sviluppo. La nozione di sviluppo si afferma come un processo

procedente dal basso, che apre nuovi spazi d’intervento alla società civile ed alle autorità

locali. Il riconoscimento della pluralità di soggetti e la politica di decentramento dei poteri

517 Vanna Ianni, La cooperazione decentrata allo sviluppo. Rosenberg & Sallier, Torino, 1999.518 Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Rapporto sullo sviluppo umano 5. Nuoveinsicurezze. Rosenberg & Sallier, Torino, 1994, pag. 27.519 Ignacy Sachs, Un modello di sviluppo alternativo per il Brasile. EMI, Bologna, 1993.

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vengono presentati come metodi privilegiati per la promozione dello sviluppo umano

sostenibile. Come componente fondamentale della partecipazione si afferma la nozione di

empowerment, cioè di possibilità di accesso dei gruppi più deboli e marginali non solo alle

risorse, ma anche e soprattutto ai momenti decisionali riguardanti questioni che si

rivolgono all’intera collettività. “La partecipazione è intesa come capacità di

concertazione, di dialogo e negoziato, tra soggetti diversi locali, nazionali, internazionali,

pubblici e privati.”520

Le conferenze tenutesi nel corso degli anni ’90 vanno considerate, secondo Vanna Ianni521,

parte di un unico processo, nel quale si afferma l’universalità dei diritti dell’uomo, pur

cercando di coniugare tale universalità con il rispetto delle particolarità culturali e delle

diversità di esperienze storiche. Queste conferenze mostrano un’attenzione crescente per le

relazioni di partenariato, che progressivamente subiscono un processo di estensione e di

trasformazione qualitativa. “La nozione di partner passa ad includere non solo i rapporti di

cooperazione nord-sud e sud-sud, ma anche e significativamente quelli tra stato e società

civile e, all’interno di quest’ultima, tra i soggetti diversi che la compongono.”522 Il

rafforzamento del partenariato con la società civile ed il rafforzamento della società civile

attraverso lo sviluppo delle sue capacità vengono considerati fattori decisivi per il

superamento della dipendenza dagli aiuti che indebolisce la sostenibilità delle politiche di

sviluppo. Uno degli elementi distintivi della modalità decentrata della cooperazione allo

sviluppo diviene pertanto il territorio, definito come “spazio di radicamento delle politiche

e degli attori dello sviluppo: esso corrisponde ad un livello intermedio di decentramento

politico-amministrativo, tale da essere sufficientemente piccolo da permettere dei processi

di partecipazione effettivi, e sufficientemente grande da avere le necessarie risorse per

avviare uno sviluppo locale”523, indissociabilmente legato a quello nazionale ed

internazionale. Anche se si considera che questo approccio comporta l’avvio di processi di

più lunga durata si ritiene che l’arricchimento finale sarà sicuramente maggiore di quello

ottenuto dalle vecchie politiche di sviluppo, poiché con esso si potrà disporre del

contributo dei saperi locali, garantire una maggiore efficacia degli interventi, alimentare il

senso di ownership, ossia il senso di appartenenza nei confronti dei processi intrapresi,

assicurando un maggior grado di governabilità democratica.

520 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,Torino, 2004, pag. 90.521 Vanna Ianni, La cooperazione decentrata allo sviluppo. Rosenberg & Sallier, Torino, 1999.522 Ibidem, pag. 39.523 Undp/Unops, Oms, Idndr, Cooperazione italiana, la sfida dello sviluppo sociale. Roma, 1995,pag. 11.

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Molti sono coloro che denunciano il fatto che gran parte degli impegni assunti dalla

comunità internazionale è rimasto confinato nel piano della retorica. “Questi obbiettivi non

sono ancora stati realmente all’attenzione internazionale e, anche nel caso in cui

occasionalmente o parzialmente lo sono stati, si è scoperto che esiste una drammatica

mancanza di strumenti metodologici ed operativi per tradurre in pratica con coerenza

questa nuova volontà politica.”524

“Questi concetti si aggirano in punta di piedi ai margini della vera politica dello sviluppo,

quella del controllo delle risorse, della distribuzione delle terre, dell’emarginazione, della

sicurezza e del potere decisionale.”525 Per Maggie Black la potenzialità delle nuove

partnership tra governi e soggetti della società civile per l’implementazione di forme di

sviluppo alternative non ha modo di esprimersi perché quando queste collaborazioni si

scontrano con i forti interessi della classe dominate di un paese le forze della società civile

vengono screditate, viene messa in discussione la loro legittimità e capacità d’intervento.

La partecipazione viene intesa da molti non come mezzo di riorganizzazione del potere,

quanto come concetto che presenta “utili caratteristiche di gestione, amministrazione e di

rientro dei costi”.526 I concetti di partnership e di co-sviluppo dovrebbero implicare la

negoziazione degli obbiettivi, mentre nella realtà si suppone la loro condivisione.

Alcuni membri dell’Institute of Development Studies del Sussex527 ritengono che la

distanza tra principi enunciati e sottoscritti dagli Stati nazionali e le pratiche attuate si

allarga sempre di più in questi anni. Mentre il concetto di empowerment richiede una

messa in discussione degli assetti di potere esistenti, nella pratica di gran parte degli

interventi questo aspetto non viene preso in considerazione. Anche la messa in atto del

principio di ownership vacilla nel momento in cui i governi nazionali e le agenzie dello

sviluppo operanti a livello internazionle utilizzano tutto il loro potere politico ed

economico per definire le strategie ed i metodi d’intervento.

In alcune circostanze si è riusciti a far sì che l’assistenza sanitaria di base e la pubblica

istruzione beneficiassero i gruppi più emarginati. Tuttavia, in società fortemente ingiuste in

cui l’esercizio del potere è prerogativa di una ristretta elite, l’intento di assicurare un

maggior grado di governabilità democratica si è limitato a garantire che le strutture già

esistenti agissero in modo più responsabile ed efficace in relazione ai costi, rispettando

524 Ibidem, pag. 4.525 Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004, pag. 125.526 Ibidem.527 Institute of Development Studies of Sussex, Policy Briefing august 2001, www.ids.ac.uk/ids.

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alcune norme politiche e sociali. Solo di rado il controllo delle risorse viene affidato alla

popolazione dando loro la possibilità di modificare le strutture che la circondano. Se ciò

accade si tratta di questioni di portata ridotta, come quella inerente l’eliminazione dei

rifiuti, ma mai di questioni riguardanti la proprietà della terra o la risoluzione di conflitti.528

Vanna Ianni ammette che il nuovo quadro entro cui opera la comunità internazionale può

assumere caratteristiche di slogan, impoverendo di significato sia il linguaggio della

cooperazione che gli studi sullo sviluppo e sulla società civile. “La nozione di società

civile, in particolare, si estende, si riduce e si trasforma secondo i contenuti ad essa

attribuiti dai diversi donatori”.529 Tuttavia, questa vaghezza può dimostrarsi un terreno

fertile per il confronto-scontro di strategie diverse, in cui convivono e si alimentano

contrapposizioni che progressivamente “vanno generando – al di sotto del guscio degli

obbiettivi condivisi nelle dichiarazioni ma distintamente intesi – sensibilità ed elementi

concettuali comuni.”530

Per Mary Kaldor531 l’idea politica di società civile e la sua portata globale non

rappresentano una panacea di tutti i mali, piuttosto, la prospettiva che aprono deve essere

intesa come un processo, come un “orizzonte”532 entro cui l’umanità opera per affermare

diverse pratiche di emancipazione, politica ed economica.

Maggie Black533 riconosce che negli ultimi dieci anni sono stati fatti passi importanti ed

utili per attribuire un nuovo significato al termine dello sviluppo, spostando l’attenzione

non solo sui valori di partecipazione, ma anche sulla centralità dei diritti dell’uomo, intesi

secondo un’accezione più ampia di quella che per decenni li ha confinati nell’ambito dei

diritti civili e politici. In modo progressivo, dalla fine degli anni ’80 in poi, l’accento si è

spostato sulla componente sociale ed economica dei diritti umani, in seguito alla presa di

coscienza che “solo in questo modo si sarebbero potute mettere in discussione le

disuguaglianze perpetrate dalle dinamiche di sviluppo in atto.”534 Gli attivisti ed i

movimenti costituiti dalle vittime hanno così cominciato a ricorrere in modo crescente alla

legge nelle loro campagne di trasformazione della realtà, anche perché le istanze dei diritti

umani godono di un importante vantaggio rispetto a quelle centrate sul benessere: il

consenso che riescono a mobilitare attorno ad alcune questioni è molto più ampio.

528 Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Poverty Report 2000.529 Vanna Ianni, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo. Harmattan,Torino, 2004, pag. 94.530 Ibidem.531 Mary Kaldor, L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004.532 Thomas Dietz, International ethics and Euroean integragion: federal state or network horizon?In Alternatives, n.22, 1997.533 Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004.

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L’autrice non risparmia però critiche rivolte all’inefficienza di un sistema giuridico

internazionale che fino ad oggi ha previsto un’unica arma a disposizione dei comitati di

controllo, ossia l’ammonizione rivolta agli Stati, mentre la possibilità di costituire un

tribunale internazionale per giudicare sui crimini contro l’umanità viene limitata a pochi

casi eclatanti. Manca un codice penale internazionale che preveda come crimini la guerra e

le violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati, così come mancano giurisdizioni

internazionali abilitate a sanzionare gli uni e le altre. Ad ogni modo, anche Maggie Black

converge sulla valenza positiva assunta dall’aumento della complessità del concetto di

sviluppo e della molteplicità degli aspetti che oggi lo riguardano. Difatti per l’autrice “è

più probabile che la povertà e lo sfruttamento si riducano maggiormente attraverso una

molteplicità di sforzi che tramite una grandiosa teoria o un nuovo insieme di risoluzioni di

portata globale.”535

Il caso-studio: la Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in

Colombia.

La tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia si costituisce a Barcellona nel

2002, anche se la dichiarazione di intenti risale al febbraio dell’anno successivo. Essa

nasce in seguito all’escalation del conflitto colombiano degli ultimi anni e si propone di

costruire uno spazio di concertazione tra i differenti attori sociali ed istituzionali operanti

in Catalogna, impegnati a sostenere una soluzione politica del conflitto armato e la difesa

dei diritti umani in Colombia.

Il coordinamento è formato da un insieme di soggetti di varia natura che appartengono alla

sfera istituzionale e a quella sociale includendo amministrazioni comunali, provinciali,

regionali, ONG, organizzazioni sociali, sindacati, università.

La Tavola non possiede lo statuto di entità giuridica, ma costituisce uno spazio d’incontro

informale adatto alla confrontazione di soggetti differenti disposti a sedersi allo stesso

tavolo, poiché convinti che la propria capacità d’intervento in Colombia possa accrescere

enormemente attraverso la collaborazione di entità potenzialmente complementari. Al di là

delle diversità, tutti i partecipanti al coordinamento regionale si trovano d’accordo nel

ritenere che il processo di pace in Colombia potrà condurre ad una pace integrale e

duratura solo se lo Stato colombiano, ossia il principale garante del rispetto dei diritti

534 Ibidem, pag. 128.535 Maggie Black, La cooperazione allo sviluppo internazionale. Carocci, Roma, 2004, pag. 135.

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171

umani nel proprio territorio, si impegnerà ad assicurare la messa in atto di un processo di

verità, giustizia e riparazione. Inoltre, i diversi soggetti della Tavola sono convinti che per

porre termine al conflitto interno colombiano sia assolutamente necessario che la comunità

internazionale riconosca ed assuma le proprie corresponsabilità in riferimento ai fattori di

internazionalizzazione del conflitto colombiano. Fermo restando che la trasformazione

sociale, politica ed economica di cui ha bisogno il paese deve avere come protagonista la

società colombiana, i componenti della Tavola si trovano d’accordo nel riconoscere che in

un mondo caratterizzato da un’economia sempre più interdipendente, la maggioranza delle

decisioni che riguardano il benessere della popolazione colombiana vengono prese in

centri decisionali molto lontani dalla Colombia: essi fanno riferimento alla domanda di

droga, al traffico di armi, alla politica economica e finanziaria (aggiustamento strutturale,

debito estero, liberalizzazione del commercio ed investimenti transnazionali), così come

alle politiche di immigrazione. Riferendosi al contesto macroregionale più prossimo allo

Stato spagnolo di cui la Catalogna fa parte, i soggetti della Tavola ritengono indispensabile

che l’Unione Europea porti avanti una politica che in nessun modo approfondisca la

polarizzazione crescente della società colombiana.536

Le iniziative principali che questo coordinamento regionale porta avanti sono riconducibili

a progetti di informazione e di dibattito pubblico finalizzati ad aumentare il grado di

conoscenza presso la popolazione catalana di quanto avviene in Colombia, sia in

riferimento alle iniziative di pace portate avanti dalla società civile colombiana, sia in

riferimento alle operazioni militari perpetrate dai diversi attori armati. Il fine è quello di

costruire un discorso propositivo che stimoli l’opinione pubblica catalana ad impegnarsi a

collaborare per la trasformazione del conflitto colombiano e di esercitare una pressione

politica a diversi livelli (catalano, spagnolo, europeo e colombiano) per favorire la pace e il

rispetto dei diritti umani in Colombia.

I diversi soggetti che ne fanno parte sono impegnati a loro volta in progetti di varia natura:

a partire da progetti di cooperazione decentrata volti ad individuare e a sostenere quelle

controparti colombiane che si ritiene possano svolgere un ruolo importante nella

trasformazione del conflitto a livello locale e regionale, per arrivare a progetti miranti a

fornire rifugio politico a rappresentanti della società colombiana, sindacalisti o giornalisti

in pericolo di vita.

La volontà di coordinare le attività di differenti attori sociali ed istituzionali non si limita al

solo territorio catalano, ma tra i propositi del coordinamento regionale si riconosce anche

536 Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia

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la volontà di cercare la collaborazione e l’armonizzazione del proprio operato con quello

condotto da altri spazi di coordinamento regionali.

Il contesto catalano.

Qui di seguito si cercherà di illustrare quali possono essere le ragioni che spiegano la

costituzione di un simile coordinamento regionale nel territorio catalano: i quesiti cui si

cercherà di rispondere si riferiscono al motivo per il quale in Catalogna la sensibilità verso

il caso colombiano è così alta e quali caratteristiche del territorio catalano hanno facilitato

la formazione della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia.

Innanzitutto, l’attenzione rivolta dalla comunità catalana alla situazione colombiana può

essere spiegata sulla base dei dati riguardanti i flussi di immigrazione. Fermo restando che

la precisione dei dati raccolti non può che essere viziata da una realtà in cui molti

immigrati sono costretti alla clandestinità, uno sguardo alle cifre riportate dall’Istituto di

Statistica della Catalogna (IDESCAT) e dall’Istituto Nazionale di Statistica di Spagna

(INE) rimane assai utile per capire che la comunità colombiana di immigrati è una delle

più numerose sia a livello catalano che spagnolo. Secondo l’INE la percentuale del numero

di colombiani al primo gennaio del 2004 sul totale degli immigrati censiti in Catalogna è di

5,8%: la comunità è pertanto la terza in termini di grandezza dopo quella marocchina e

quella ecuadoriana. Per quanto riguarda il territorio spagnolo la percentuale sale al 8,2%

anche se la posizione occupata rimane la stessa, ossia il numero dei colombiani in Spagna

rimane comunque inferiore a quello dei marocchini e degli ecuadoriani.537 Secondo i dati

riportati dall’IDESCAT la percentuale di colombiani residenti in Catalogna al primo

gennaio del 2004 rappresenta il 4,04% del totale degli immigrati residenti. La comunità

colombiana si situa al quinto posto in ordine di grandezza dopo la comunità marocchina,

ecuadoriana, peruviana e cinese. Di particolare interesse è inoltre il fatto che rispetto al

primo gennaio del 2000 il numero dei colombiani residenti in Catalogna è aumentato

dell’81,9%.538

Per la costituzione della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia la

presenza sul territorio della cattedra UNESCO per la Pace ed i Diritti Umani, presso la

Scuola di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona è stata estremamente rilevante.

Tale cattedra si è costituita agli inizi del 1997 in seguito ad un accordo tra l’UNESCO, il

contenuta nell’appendice.537 Fonte: Instituto Nacional de Estadistica INE, www.ine.es/inebase.538 Fonte: Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali. Osservatorio permanente sull’immigrazione,www.idescat.es.

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Governo della Catalogna e l’Università. Il compito che è stato affidato alla cattedra è

quello di lavorare su temi legati al disarmo, alla trasformazione di conflitti e alla cultura

della pace.

Oltre ai programmi di docenza e di ricerca il nucleo centrale dell’attività svolta dalla

cattedra è costituito dall’iniziativa “Unità di Allerta”. Avvalendosi di un equipe

interdisciplinare che analizza giorno per giorno la situazione in tutti i paesi del mondo dalla

prospettiva della corsa agli armamenti, dello sviluppo, dei diritti umani e dei conflitti,

attraverso questo programma la cattedra elabora una relazione annuale, trimestrale e

settimanale descrittiva della situazione dei paesi in guerra che viene distribuita sul web539.

Negli ultimi anni l’“Unità di Allerta” si è inoltre occupata della campagna “Addio alle

Armi” promossa da Greenpeace, Amnesty International, Medici senza Frontiere ed

Intermon-Oxfam. In quest’occasione l’Università ha svolto un importante ruolo di

coordinazione tra le diverse ONG coinvolte nella campagna.

La cattedra aspira ad arrivare a svolgere un ruolo strategico nella “diplomazia cittadina”540

necessaria alla trasformazione dei conflitti. I suoi collaboratori sono convinti che

l’istituzione universitaria possieda alcune caratteristiche che le permettono di convertirsi in

un referente importante per gli attori in conflitto e gli attori sociali ed istituzionali coinvolti

in situazioni di guerra. L’idea di base è che, potenzialmente, l’Università può fornire degli

spazi e dei momenti di riflessione in grado di facilitare l’avvicinamento tra attori in

disputa. Per Alicia Barbero541 il ruolo dell’istituzione universitaria è molto importante

anche sotto un altro punto di vista: essa ha la possibilità di accedere a dei canali di

finanziamento pubblici che possono essere dirottati nel finanziamento di progetti finalizzati

ad accrescere i ponti esistenti tra società civili nazionali di differenti paesi. In sintesi,

secondo la prospettiva dei collaboratoti della cattedra dell’UNESCO, operante all’interno

della Scuola di Pace, l’Università possiede i mezzi per realizzare quelle condizioni

necessarie affinché si materializzino fondi o, più in generale, terreni favorevoli per la

nascita di nuove alleanze tra soggetti sociali ed istituzionali, locali, nazionali ed

internazionali. Simbolicamente il ruolo potenziale dell’istituzione universitaria somiglia a

quello di una “badante che si occupa di un bambino: una volta cresciuto il bambino la

badante se ne va’.”542

539 Vedi il sito della Escuela de Pau: www.esoladepau.org.540 Kristian Herbolheimer, La Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 1.541 Alicia Barbero e Kristian Herbolheimer sono i due principali componenti di quella partedell’equipe della cattedra dell’UNESCO che lavora al programma colombiano.542 Intervista ad alicia Barbero, pag. 3.

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In riferimento al caso colombiano, dall’ottobre del 2000 la cattedra ha promosso il

programma chiamato “Colombia: internazionalizzare la pace”, la cui funzione non consiste

tanto nell’investigare ulteriormente sulle cause del conflitto in atto, quanto nel contribuire

in modo diretto nella costruzione di pace. Alla luce della limitata incidenza delle

numerose iniziative europee promosse in appoggio alla pace, ai diritti umani e allo

sviluppo in Colombia e del profondo scetticismo che attraversa l’opinione pubblica

europea, dovuto alla complessità del conflitto e alla difficoltà di identificarsi con uno degli

attori coinvolti, i collaboratori della cattedra si sono impegnati in parallelo su cinque fronti.

In primo luogo, la cattedra ha promosso il consolidamento e la nascita di alleanze già

avviate o potenziali, sia sul piano sociale che su quello istituzionale, al fine di rendere

complementare e quindi più efficace l’azione di differenti soggetti catalani già operanti in

Colombia. Mosso dalla convinzione che spesso esistono attori internazionali con un ruolo

potenziale maggiore di quello esercitato in un dato momento, come per esempio i comuni,

le regioni, le scuole ed i collettivi di colombiani immigrati, e che il compito dell’istituzione

universitaria sia quello di aiutare nell’identificazione di obbiettivi comuni pur

riconoscendo le necessarie differenze, l’equipe della cattedra si è adoperata affinché la

Tavola Catalana per la Pace e per i Diritti Umani in Colombia divenisse una realtà. Insieme

alla ONG catalana Cooperaciò i collaboratori della cattedra si sono occupati di prendere i

primi contatti con altre ONG ed amministrazioni pubbliche del territorio catalano per

invitarle a prendere parte al progetto della Tavola e a condividere quel “minimo comune

denominatore necessario all’azione congiunta del coordinamento”.543

In secondo luogo, la cattedra UNESCO si è preoccupata di “armare un discorso

propositivo”544, capace di avvalersi dell’utilizzo di tutti i mezzi di comunicazione per

spiegare nella maniera più chiara e completa possibile all’opinione pubblica catalana,

spagnola ed europea quello che avviene nel paese colombiano. Difatti, sulla base di una

conoscenza dei fatti adeguatamente approfondita è possibile ottenere una maggiore risposta

dalla società civile occidentale alle proposte di azione di solidarietà. La Colombia è stata

così uno dei primi paesi su cui si è applicato il programma “Unità di Allerta.” Gli studi

condotti sul paese sono stati inoltre pubblicati in riviste specializzate. Infine, per

coinvolgere in modo più diretto la popolazione locale sul tema colombiano l’Università si

è impegnata a promuovere e coordinare quello che è l’evento più importante che

annualmente viene organizzato dalla Tavola: le così dette “Giornate Aperte”, ossia un

543 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 1. Si riferisce ai principi condivisi nella Dichiarazione diintenti.544 Kristian Herbolheimer, La Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 3.

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insieme di conferenze e seminari aperti al pubblico in cui di anno in anno si affrontano

tematiche cruciali diverse inerenti il conflitto interno colombiano.

In terzo luogo, la cattedra si è impegnata nell’elaborazione di proposte di politiche

municipali di costruzione di pace per tutte quelle amministrazioni catalane interessate a

sostenere programmi di sensibilizzazione, programmi di cittadinanza per la popolazione

immigrata ed azioni di solidarietà diretta con alcuni municipi colombiani. In armonia con i

principi alla base della cooperazione decentrata allo sviluppo che insistono sulla necessità

di incrementare la partecipazione della popolazione locale alle politiche di sviluppo poste

in atto ed il suo senso di appartenenza nei confronti dei processi avviati, l’equipe della

cattedra dell’UNESCO ritiene difatti che il Comune sia il livello di amministrazione

pubblica più vicina al cittadino e pertanto anche il più adatto a canalizzare la solidarietà

della popolazione. Gli sforzi fatti in tal senso si sono concretizzati con l’adesione del Fons

Català de Cooperaciò al Desenvolupment alla Tavola fin dalla sua costituzione.

In quarto luogo, la cattedra ha voluto che la sua opera di divulgazione delle informazioni

non si centrasse solo sulle operazioni di guerra perpetrate dagli attori armati e sulle ragioni

che motivano la loro azione di guerra, ma soprattutto sulle iniziative di pace provenienti

dalla società civile colombiana. La strada che conduce ad una soluzione negoziata del

conflitto passa attraverso il rafforzamento delle misure atte a garantire una maggiore

protezione della popolazione civile colombiana, affinché le resistenze della popolazione di

fronte alle opzioni di allearsi a uno degli attori armati o di abbandonare la propria casa e la

propria terra siano sempre più numerose. Sulla base di queste convinzioni l’idea ispiratrice

della prima edizione delle “Giornate Aperte” ha riguardato il tentativo di avvicinare la

popolazione catalana ad una nuova prospettiva del conflitto che scaturisse dai resoconti e

dalle proposte di costruzione di pace provenienti da alcuni esponenti della società civile

colombiana.

Infine, alla luce del fatto che “davanti a problemi globali è possibile procedere solo con

risposte globali”545, l’equipe della cattedra ha ritenuto opportuno rafforzare tutti i mezzi a

disposizione della Tavola per esercitare una pressione politica diretta a ridurre l’enorme

gap esistente tra le azioni intraprese da alcuni governi occidentali e le dichiarazioni

rilasciate dai suoi rappresentanti. La cattedra dell’UNESCO ritiene difatti che l’Unione

Europea e i suoi Stati membri debbano riconoscere pubblicamente le proprie

corresponsabilità in relazione ai fattori di internazionalizzazione del conflitto colombiano

e, a partire da lì, elaborare strategie specifiche per limitare l’incidenza di questi fattori. Una

545 Ibidem, pag. 4.

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delle ragioni principali che ha mosso l’istituzione universitaria a dare vita alla Tavola è

stata la convinzione che in questo modo fosse possibile dare vita ad una vera e propria

“lobby”546 in grado di esercitare una maggiore pressione politica a livello catalano,

spagnolo, europeo e colombiano. A livello locale l’incidenza politica cresce grazie alle

nuove dinamiche della cooperazione internazionale decentrata: coinvolgendo nella Tavola

attori istituzionali quali ad esempio il Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment, che

amministra i fondi che 270 comuni catalani hanno deciso di destinare a programmi di

sviluppo e cooperazione, i paesi donanti finiscono per “assumere nella propria agenda

politica gli obbiettivi delle agende dei paesi beneficiari degli aiuti, al fine di ottenere un

risvolto politico sulla scena locale.”547 L’incidenza politica a livello statale e

macroregionale è invece cresciuta nella misura in cui il numero di rappresentati politici di

organismi internazionali, di istituzioni europee, spagnole e colombiane invitati alle

“Giornate Aperte” è aumentato enormemente nelle edizioni del 2004 e 2005.

Infine, la situazione estremamente favorevole che vive la cooperazione decentralizzata sul

territorio spagnolo ha sicuramente contribuito a creare un terreno fertile capace di

stimolare la nascita di coordinamenti regionali di questo tipo. Gli aiuti alla cooperazione

internazionale delle Comunità Autonome e delle entità locali hanno subito un progressivo

aumento a partire dalla seconda metà degli anni ’80 in seguito a due ordini di fattori. In

primo luogo, la conquista di un numero crescente di strumenti di autogoverno a favore

delle entità autonome e locali in seguito al processo di decentralizzazione politica ed

amministrativa dello Stato spagnolo. In secondo luogo, la crescente sensibilizzazione

sociale in riferimento alle istanze di solidarietà internazionale ha aumentato la pressione

politica sulle entità amministrative più vicine ai cittadini per un impegno più attivo in

questo ambito. Nel corso della seconda metà degli anni ’90 il tasso di crescita dei

contributi messi a disposizione dalle amministrazioni decentralizzate ha addirittura

superato il tasso di crescita dell’ammontare totale degli aiuti destinati alla cooperazione

internazionale da parte del governo centrale. Si tratta di un’esperienza che non ha eguali

sul piano internazionale.548 In queste ultime due decadi sono inoltre nati dei Fondi di

Cooperazione e Solidarietà in molte delle Comunità Autonome di Spagna. Si tratta di

organismi senza animo di lucro in cui si riuniscono comuni ed altre istituzioni pubbliche e

private per la gestione congiunta di fondi economici destinati allo sviluppo dei paesi più

546 Intervista a Nuria Camps, pag. 4.547 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 4.548 Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, 2ª jornada estatal de cooperaciòn descentralizada.Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2001.

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poveri. Ognuno di loro ha origini ed identità proprie, legate al territorio in cui si sono

costituiti. Dal 1995 sono tutti raggruppati nella Confederazione di Fondi di Cooperazione e

Solidarietà. In particolare, il Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment è un

organismo di carattere misto in cui sono confluite istituzioni pubbliche (comuni, giunte

provinciali e la giunta regionale della Generalitat) ed entità cittadine (associazioni,

collettivi ed imprese più sensibili a queste tematiche) che vanta diversi primati: oltre ad

essere il più longevo (si è formato nel 1986) è sempre stato il primo in riferimento al

numero di istituzioni pubbliche associate e all’importo dei mezzi amministrati, come si

vede dai dati delle tabelle a seguito, secondo quanto riportato dal Fons Català de

Cooperaciò al Desenvolupment.549

Tabella 1. Istituzioni pubbliche associate e mezzi amministrati in migliaia di euro per ogni

Fondo nel 2002.

Confederazi

one di fondi

di

Cooperazion

e e

Solidarietà

Anno difondazione

Istituzioni pubbliche

associate

Mezzi economici

amministrati

Fondo

Catalano

1986 258 3.945

Fondo Basco 1988 78 1.081

Fondo

Valenziano

1992 88 1.031

Fondo

Maiorca

1993 57 2.212

Fondo

Minorca

1993 10 924

Fondo

Galiziano

1997 64 325

549 Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, Realidad de los Fondos de Cooperaciòn 2001-2003.Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2003.

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Fondo Pitiùs 1999 5 796

Fondo

Andaluso

2000 39 371

F.

Estremadura

2002 52 -

TOTALE651 10.685

Tabella 2. Evoluzione del numero di soci dei Fondi di Cooperazione e Solidarietà 1996-

2003.

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Tabella 3. Evoluzione dei mezzi amministrati dai Fondi di Cooperazione e Solidarietà

1996-2003.

Descrizione dell’iniziativa.

La Tavola Catalana per la Pace e i Diritti umani in Colombia è un coordinamento regionale

di carattere misto, che si avvale della partecipazione di attori istituzionali e sociali.550

Essa presenta un’organizzazione di tipo reticolare: i soggetti che ne fanno parte godono

degli stessi diritti e degli stessi doveri e tutti lavorano “affinché le decisioni siano le più

condivise possibili”.551 All’interno del coordinamento coesistono tre livelli di

organizzazione. Il primo livello è quello dell’Assemblea Plenaria, ossia un organo

decisionale formato da un rappresentante di ciascuno dei componenti partecipanti alla

Tavola, che si riunisce una volta al mese. La logica interna dell’Assemblea “non è

modellata sulla base della teoria democratica, viceversa ogni membro esercita il diritto di

veto.”552 Pertanto, le decisioni vengono prese per consenso unanime. Affianco

550 Per l’elenco completo dei soggetti partecipanti vedi la Dichiarazione di intenti contenuta inappendice.551 Intervista a Lola Crespo, pag. 2.552 Ibidem.

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all’Assemblea Plenaria lavora la segreteria tecnica, un organo amministrativo responsabile

dell’implementazione dell’agenda stabilita in Assemblea. La segreteria è composta di una

o due unità. Non ci sono delle attività di esclusiva competenza della segreteria: la sua

funzione è quella di “organizzare e canalizzare”553. Gran parte del lavoro viene svolto dai

diversi componenti della Tavola che partecipano secondo la propria disponibilità,

specializzazione ed interesse. Tutto quello che non viene svolto dall’insieme dei membri

della Tavola viene svolto dalla segreteria: “il tutto avviene in modo molto spontaneo”.554

Infine, c’è il Comitato Operativo formato anch’esso da un rappresentante di ogni

componente membro del coordinamento, che si occupa dell’organizzazione delle “Giornate

Aperte”.

Non esiste un rappresentante unico della Tavola: quando di tanto in tanto si presentano

situazioni che richiedono la presenza di un portavoce per l’intero coordinamento, come la

partecipazione a riunioni politiche ufficiali, in Assemblea Plenaria si procede alla

designazione della persona che per capacità e competenze si ritiene sia la più adatta a

seconda della tipologia dell’incontro.

La comunicazione tra i diversi soggetti avviene in modo diretto, ma poiché l’Assemblea si

riunisce una sola volta al mese, in caso di urgenze si ricorre alla comunicazione elettronica

per informare tutti i componenti della Tavola e per trovare un accordo su come agire.

Come già accennato, la Tavola non possiede lo statuto di entità giuridica, pertanto non

amministra fondi propri. I finanziamenti attraverso cui viene garantita l’esistenza stessa del

coordinamento provengono dalla donazione annuale che i suoi membri sono tenuti a

versare. Per ogni categoria di soggetti la segreteria tecnica avanza una proposta;

successivamente, i componenti della Tavola mettono a disposizione una somma di denaro

corrispondente alla loro grandezza e capacità economica. Questi fondi vengono utilizzati

per coprire le spese d’ufficio, eventuali viaggi e per ricompensare il lavoro di quanti

prendono attivamente parte ai lavori di coordinazione. I finanziamenti necessari al

pagamento della persona che lavora per un anno nella veste di segretario tecnico

costituiscono la spesa più elevata: fino ad ora, questi fondi sono stati ottenuti attraverso la

partecipazione di uno dei membri della Tavola al bando aperto dall’Agenzia Catalana di

Cooperazione allo Sviluppo. Questo significa che l’ottenimento di questi fondi non è

automatico e che in futuro la procedura seguita potrebbe variare. Il finanziamento della

Tavola da parte della Generalitat non avviene in modo diretto proprio perché essa non

possiede uno statuto giuridico proprio. Anche il resto delle iniziative promosse dalla

553 Intervista a Alicia Barbero, pag. 4.

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181

Tavola vengono finanziate attraverso fondi pubblici: l’accesso a questi finanziamenti può

essere messo a disposizione da uno o più componenti del coordinamento tra i cui compiti

figura l’amministrazione di fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, come il caso

del Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupment o, come nel caso appena citato

riguardante il finanziamento della segreteria tecnica, dalla partecipazione di uno o più

soggetti della Tavola a bandi indetti dalla Generalitat.

L’obbiettivo principale della Tavola è, con le parole della segretaria tecnica Lola Crespo,

“quello di far arrivare al governo della Catalogna e di Spagna e, in minor parte, ad alcuni

parlamentari che lavorano nell’Unione Europea con i quali il coordinamento mantiene

delle relazioni, le rivendicazioni della società civile colombiana organizzata che preme per

una soluzione politica del conflitto e per la protezione dei diritti umani.”555 La Tavola fa

proprie queste rivendicazioni e si adopera affinché esse assumano una forza maggiore sul

piano catalano, spagnolo, internazionale e quindi colombiano. Tali rivendicazioni fanno

tutte riferimento al compimento delle raccomandazioni della sede colombiana dell’Ufficio

dell’ONU per i Diritti Umani. Lo spazio pubblico designato alla loro affermazione è

offerto dalle così dette “Giornate Aperte”, ossia l’iniziativa maggiore e più importante

organizzata dal coordinamento che ha luogo annualmente nella città di Barcellona. Dal

2003 la Tavola promuove tre giorni di dibattito pubblico attorno a tematiche specifiche

riguardanti il conflitto interno colombiano. Queste giornate sono nate con l’intenzione di

contribuire allo sforzo fatto dalla Tavola di costruire un discorso propositivo che induca

l’opinione pubblica catalana e tutti gli agenti sociali, politici, di governo, locali, spagnoli,

colombiani ed internazionali a lavorare insieme per la trasformazione del conflitto

colombiano. Il fatto che per l’apertura dell’evento e lo svolgimento degli incontri del

primo giorno venga utilizzato il palazzo della Generalitat conferma l’attenzione rivolta

all’evento da parte delle istituzioni catalane ed il carattere politico che i promotori delle

giornate conferiscono a tale dibattito pubblico. Nel 2003 il proposito delle “Giornate

Aperte” fu quello di avvicinare la società catalana ad una nuova prospettiva del conflitto,

informando ed analizzando le sue cause e condizioni attraverso alcuni protagonisti della

società civile colombiana e le loro proposte per la costruzione della pace, nel tentativo di

uscire dalle visioni offerte dagli attori armati. Le giornate di quell’anno ebbero per titolo

“La società colombiana e la costruzione di pace”. Nelle giornate dell’anno seguente,

intitolate “Colombia: un vicolo cieco con via di uscita”, si approfittò dell’opportunità di

presentare la “Relazione Nazionale di Sviluppo Umano, Colombia 2003” appena

554 Intervista a Lola Crespo, pag. 3.

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pubblicata dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo: si tratta della prima

relazione di sviluppo umano del mondo centrata su di un paese attraversato da un conflitto

armato interno, messa in risalto per il suo sforzo di avanzare proposte concrete, elaborate a

partire da un ampio processo di partecipazione di diversi settori sociali e politici per

contribuire alla superazione del conflitto. Quest’anno infine, la Tavola Catalana per la Pace

e i Diritti Umani ha cercato di offrire uno spazio di riflessione sul ruolo che la

cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi paesi membri, può avere in

paesi in conflitto armato come la Colombia: di rafforzamento delle istituzioni

democratiche, protezione dei diritti umani e ricerca di una soluzione politica o, al contrario,

di favorire il prolungarsi ed intensificarsi del conflitto.

Le iniziative promosse singolarmente dai diversi componenti della Tavola sono molteplici

e di varia natura. Si è visto che il fronte principale su cui lavora il soggetto fondatore della

Tavola, la Scuola di Pace dell’Università Autonoma di Barcellona, è ad esempio orientato

contemporaneamente sul tentativo di fornire e diffondere un numero sempre maggiore di

strumenti di analisi del conflitto e del processo di pace in Colombia e sul proposito di

sostenere un numero crescente di reti di soggetti che lavorano in relazione al caso

colombiano. Riguardo a quest’ultimo punto, il suo impegno non si esaurisce nell’appoggio

offerto alla Tavola Catalana nei lavori di pianificazione e divulgazione delle sue iniziative,

ma si estende ad ambiti più ampi. Difatti, la Scuola di Pace è impegnata

nell’accompagnamento internazionale di altre due reti. Da un lato, tale accompagnamento

si rivolge alle organizzazioni locali, nazionali ed internazionali mobilitate attorno ai diritti

delle donne in Colombia; dall’altro, riguarda un gruppo di comuni colombiani impegnati in

azioni di resistenza alla guerra e in iniziative civili di pace, in parte sostenute da un gruppo

di comuni catalani. In questi ultimi due anni, tale accompagnamento è riuscito a

concretizzarsi nel finanziamento di due borse di durata annuale, grazie a cui dei

rappresentanti della società civile colombiana attivi in questi due campi hanno avuto modo

di lavorare sul territorio catalano per sensibilizzare la popolazione locale rispetto a quanto

viene fatto dalle istituzioni o dai gruppi associativi di cui essi fanno parte. Quest’ultimo

anno le due borse sono state offerte ad una rappresentante del movimento Ruta Pacifica de

las Mujeres Colombianas e a un rappresentante della campagna Governabilidad

participativa desde los municipios.

La Ruta Pacifica rappresenta una parte dell’ampio movimento sociale delle donne

colombiane. Essa è sorta nel 1996 sulla base di un accordo nazionale di differenti

555 Ibidem, pag. 3.

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183

organizzazioni unite allo scopo di dare una maggiore visibilità alla drammatica situazione

in cui vivono le donne colombiane in corrispondenza delle zone del conflitto armato a

cause delle azioni commesse da paramilitari, guerriglieri e membri dell’esercito

colombiano. Con questo scopo, dal 1996 sono state organizzate una serie di manifestazioni

in corrispondenza di quelle che la Ruta Pacifica chiama “zone focali”556 del paese. Queste

mobilitazioni culminano nella giornata del 25 novembre, giornata nazionale della non

violenza contro le donne. La Ruta Pacifica raccoglie più di 350 organizzazioni di donne

attive in diverse parti del paese; al suo interno, anche la presenza di donne che aderiscono

al movimento in forma individuale è alta: approssimativamente la Ruta Pacifica è formata

da 3500 donne. Non si tratta solo di un movimento di denuncia, ma le sue varie

componenti si dedicano anche all’elaborazione di una serie di proposte per sostenere una

soluzione politica del conflitto, tutte accomunate dalla convinzione che “la via militare non

rappresenti una soluzione possibile di un conflitto così prolungato.”557 L’ obbiettivo del

movimento è quello di contribuire alla “costruzione di relazioni etiche che permettano di

valorizzare il tessuto sociale e la diversità delle iniziative provenienti da tutti i soggetti

sociali che condividono la via del pacifismo.”558

Alla campagna Governabilidad participativa desde los municipios aderiscono invece un

numero crescente di comuni colombiani, alcuni dei quali si sono costituiti collettivamente

come Assemblea Municipale Costituente. Il loro intento è quello di opporsi alle dinamiche

del conflitto e al ricorso alle pratiche di violenza ad opera di tutti i gruppi armati contro la

popolazione civile. Ispirandosi ai principi di non violenza e a quelli contenuti nella

Costituzione del 1991 l’azione di questi comuni insiste sull’urgenza di procedere

nell’implementazione di alcuni importanti principi e diritti sanciti dal testo costituzionale.

Il rispetto dei principi alla base dello Stato di Diritto ed il riconoscimento della Repubblica

Unita di Colombia come forma Stato fondato sulla democrazia partecipativa e pluralista e

su di un ordinamento amministrativo decentralizzato, che riconosce alti gradi di autonomia

alle sue entità territoriali, sono i principi base a cui questi patti costituzionali si rifanno. Il

progetto chiamato Assemblea Municipale Costituente è partito dal Comune del Tarso, nel

Dipartimento di Antioquia, il 28 gennaio del 2001. Con esso la comunità locale si è

svincolata da tutti gli attori armati presenti sul luogo dichiarandosi “Municipio di Pace” e

ha posto le basi per l’avvio di un processo atto a modificare il sistema di governo del

municipio. Se prima il modello si fondava sui principi di democrazia rappresentativa oggi

556 Intervista a Monica Valencia, pag. 1557 Ibidem, pag. 2.558 Ibidem.

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esso si ispira ai principi di democrazia partecipativa, grazie a tre importanti strumenti: la

convocazione di un’assemblea annuale aperta a tutta la popolazione del Comune che

nomina un gruppo di 150 suoi delegati rappresentanti dei diversi settori sociali che

lavorano a fianco del sindaco nell’implementazione del Piano di Sviluppo, nelle sue parti

più tecniche; la partecipazione diretta della comunità nell’implementazione del Piano di

Sviluppo; il compito di valutazione e controllo svolto dalla comunità sull’operato del

sindaco rispetto al Piano di Sviluppo grazie a cui, in nome del patto costituente, il sindaco

sarà costretto ad abbandonare la sua carica nel caso la popolazione esprimesse un giudizio

insoddisfacente. Considerati i successi ottenuti dal Municipio del Tarso in riferimento alla

convivenza pacifica raggiunta, all’unità della popolazione garantita grazie ad un previo

processo di perdono ed inclusione di tutte le parti sociali e ai bilanci positivi ottenuti dai

processi produttivi avviati, il modello è stato imitato dal governatore del Dipartimento di

Antioquia, Guillermo Gaviria Correa che l’11 agosto del 2003 ha costituito l’Assemblea

Costituente di Antioquia. Ogni Comune del dipartimento è pertanto chiamato ad elaborare

una propria agenda di governo; successivamente, tutti i documenti elaborati a livello

comunale confluiscono a livello regionale.559 Alcuni Comuni colombiani che hanno

partecipato alla nascita delle Assemblee Municipali Costituenti in corrispondenza del

Dipartimento di Antioquia sono i beneficiari dei fondi amministrati dal Fons Català de

Cooperaciò al Desenvolupment. L’obbiettivo di questa fondazione è quello di “dare vita ad

una relazione stabile e durevole nel tempo tra popolo e popolo, costruendo un ponte tra i

comuni catalani e quelli dei paesi beneficiari.”560 Le attività di cooperazione decentrata

finanziate dal Fondo sono dirette a promuovere la crescita di questo movimento attraverso

il rafforzamento di queste amministrazioni con il finanziamento, ad esempio, di progetti

produttivi capaci “di creare nuove possibilità di lavoro e ridurre di conseguenza la

partecipazione della popolazione colombiana al conflitto armato.”561 Il successo maggiore

raggiunto dal Fondo è di aver fatto sì che più di cento municipi catalani siano riusciti a

mettere in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite, decidendo di destinare lo 0,7%

del loro bilancio alla cooperazione internazionale.562 Allo stesso tempo il Fondo è

impegnato nel sostegno di alcune iniziative promosse dalle Brigate Internazionali di Pace,

una ONG internazionale che concentra i propri sforzi su iniziative di accompagnamento di

559 Oscar de Jesus Hurtado, sindaco del Municipio del Tarso, Municipio de Tarso. Comunidad yterritorio de paz en Assemblea Costituyente. In Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo,Encuentro de municipalismo en America del sur., Barcellona, 2004.560 Intervista a Nuria Camps, pag. 3561 Ibidem, pag. 2.562 Ibidem, pag. 3.

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persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra; da Amnesty

International, la cui attività è rivolta a fornire protezione a persone perseguitate per motivi

politici, garantendo loro i mezzi necessari ad uscire dal paese e rimanere in una situazione

di sicurezza per periodi di tempo determinati.

La protezione della vita di persone colombiane perseguitate, nella fattispecie sindacalisti, è

da sempre stato uno degli ambiti attorno a cui si è mobilitata la Fondazione Pau y

Solidarietat, ossia un comitato operaio per la cooperazione e la solidarietà nato in seno al

sindacato spagnolo CCOO. I contatti tra il sindacato spagnolo ed i sindacati colombiani

della CUT e la USO sono antecedenti l’adesione della CCOO alla Tavola Catalana. Queste

relazioni sono state intessute nel corso degli ultimi dieci anni, periodo in cui il sindacato

spagnolo ha tentato di fornire il suo pieno appoggio politico alla CUT e la USO, ogni volta

che esse lo richiedevano: per esempio, per la presentazione ai vari Governi colombiani di

carte di denuncia delle violazioni dei diritti umani subite dai loro leader o lavoratori iscritti.

Da un anno a questa parte la fondazione Pau y Solidarietat è impegnata nella realizzazione

del suo primo progetto di cooperazione decentrata nella regione del Valle, la zona attorno a

Cali. Il progetto è già stato approvato dalla Generalitat ma non è ancora stato avviato:

comincerà entro la fine dell’anno in corso e durerà un anno, anche se l’intenzione è quella

di rinnovarlo ed ampliarlo. Esso si occuperà della formazione di un gruppo di sindacalisti

appartenenti alla CUT attorno a tematiche legate alla salute lavorativa. Per Alonso

Ceferino il “compito primario della fondazione consiste nel sensibilizzare ed informare la

popolazione catalana e spagnola su quanto sta accadendo in Colombia, cercando di far

chiarezza sulle caratteristiche di un conflitto che si prolunga oramai da così tanto

tempo.”563 Fino ad ora la fondazione ha ricevuto e finanziato la visita di numerosi

sindacalisti colombiani, in particolar modo di rappresentanti di lavoratori dell’agenzia

telefonica nazionale della Colombia (ossia Telecom Spagna), di compagnie petrolifere e di

imprese tessili. L’obbiettivo della loro visita in Catalogna è quello di denunciare la

situazione critica del movimento sindacalista colombiano, sia dal punto di vista dei diritti

dei lavoratori sia per quanto concerne il bassissimo livello di sicurezza in cui sono costretti

a lavorare i leader sindacali. La Colombia è il paese con il più alto numero di morti

violente tra sindacalisti: solo nel 2001 sono stati assassinati 223 sindacalisti, ovvero il 90%

dei sindacalisti uccisi nello stesso periodo nel mondo.564

563 Intervista ad Alonso Ceferino, pag. 2.564 Guido Piccoli, Colombia il paese dell’eccesso. Feltrinelli, Milano, 2003, pag. 14.

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Limiti e possibilità.

La Tavola Catalana per la Pace e i diritti Umani in Colombia presenta naturalmente dei

vantaggi e degli svantaggi. Tra le sue forti potenzialità, in primo luogo sta la

partecipazione istituzionale catalana, aspetto che la complessità di un simile conflitto così

prolungato negli anni rivela assolutamente positivo ed importante. Per Alicia Barbero esso

“eleva il peso politico dell’accompagnamento fornito dalla Tavola alle iniziative civili di

pace provenienti dalla popolazione colombiana.”565 Anche Nuria Camps considera la

Tavola uno “spazio interessante come piattaforma di incidenza politica, sia a livello locale

che nazionale: a livello nazionale, soprattutto in seguito al cambio di Governo, si sono

aperti nuovi spazi di collaborazione estremamente interessanti.”566

L’informalità che contraddistingue la Tavola rappresenta uno dei suoi vantaggi maggiori,

in quanto permette che la coordinazione delle attività venga di volta in volta assunta da chi

si trova nella situazione migliore per poterlo fare. Considerazione condivisa da Nuria

Camps e dal sindacalista Alonso Ceferino, per il quale l’assenza di obblighi determinati

“rende molto aperta la partecipazione alla Tavola a qualsiasi organizzazione che lo

desideri.”567 L’orizzontalità assicura inoltre l’uguaglianza e lo stesso diritto d’intervento a

tutti i partecipanti del coordinamento.

Lola Crespo invece individua nell’elevata operatività del coordinamento il suo maggior

vantaggio. Tale operatività è resa possibile dal pragmatismo, la competenza e l’interesse

dimostrati dalle persone che ne fanno parte. Questo ha permesso al coordinamento di

raggiungere importanti successi sia dal punto di vista dell’alto profilo politico delle attività

realizzate, sia riguardo l’aumento della conoscenza della situazione colombiana in

Catalogna tra la società civile e nelle amministrazioni. L’orizzontalità del coordinamento

limita in parte questa operatività, in particolare la segretaria tecnica della Tavola riscontra

non poche difficoltà nella produzione di documenti scritti a causa della necessaria loro

approvazione all’unanimità da parte di tutti i suoi membri.

Il non avere una struttura rende più complesso e meno agile il processo decisionale del

coordinamento anche secondo Alonso Ceferino. Nelle situazioni di emergenza la segreteria

tecnica finisce per assumere delle responsabilità e dei compiti che non le appartengono. Per

Ceferino questo costituisce in realtà uno svantaggio per la persona che svolge il lavoro di

segretaria, mentre assicura l’operatività della Tavola che ne beneficia.

565 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5.566 Intervista a Nuria Camps, pag. 4.

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Per Alicia Barbero l’operatività del coordinamento è invece in parte limitata dalla stessa

presenza istituzionale: “la limitazione del tempo dedicato al caso colombiano da parte della

maggior parte dei soggetti istituzionali della Tavola rappresenta il limite maggiore

all’avanzamento dell’analisi collettiva del coordinamento in relazione ad un conflitto così

complicato.”568

Il dibattito aperto dalle “Giornate Aperte” del 2005 riguardo il ruolo che

può svolgere la cooperazione internazionale, dell’Unione Europea e dei

suoi Stati membri, in un paese in conflitto armato come quello

colombiano

In queste giornate svoltesi a Barcellona nel mese di aprile dell’anno in corso numerosi e

diversi esponenti di istituzioni ed organizzazioni sociali catalane ed internazionali, così

come numerosi rappresentanti istituzionali e della società civile provenienti dalla Colombia

hanno avuto modo di confrontarsi sul tema della cooperazione europea in Colombia.

La presentazione della politica che ispira la partecipazione dell’Unione Europea al

processo di pace in Colombia è stata affidata a Dusan Chrenek, membro del Consiglio

dell’Unione Europea il quale non ha mancato di precisare che la politica dell’intera

comunità internazionale in relazione a questo paese è guidata dal processo intavolato nel

luglio del 2003 nella città di Londra.

In quell’occasione fu il Governo colombiano a stimolare l’apertura di una “Tavola di

donanti” in cui presentò una serie di proposte di cooperazione internazionale, sulla base

delle quali i diversi paesi membri del G-24 offrirono il loro appoggio economico: gli

accordi presi hanno carattere vincolante per il Governo colombiano e per i paesi donatori.

In quell’occasione, tutti i paesi partecipanti convennero sul carattere multilaterale del

processo di pace colombiano, riconoscendo il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite e

della comunità internazionale nella soluzione della crisi umanitaria generata dal conflitto

interno colombiano, che affonda le sue radici nella povertà, nell’esclusione sociale e

nell’impunità. Venne sottolineata la necessità di intervenire promuovendo una soluzione

negoziata del conflitto armato interno, in un contesto di garanzie democratiche e sulla base

di un quadro giuridico capace di stabilire rigorosi criteri di verità, giustizia e riparazione.

Gli accordi di cooperazione siglati in quell’occasione vennero presentati come diretti a

sostegno di uno sviluppo equo ed inclusivo, caratterizzato da una serie di misure atte a

567 Intervista ad Alonso Ceferino, pag. 4.568 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5.

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produrre dei cambiamenti strutturali e non immediati. Contemporaneamente gli Stati del

G-24 si espressero a favore della creazione di una serie di meccanismi di controllo in grado

di vigilare sull’adempimento delle raccomandazioni provenienti dall’Ufficio dell’ONU per

i Diritti Umani e per il Diritto Internazionale Umanitario da parte del Governo colombiano.

Tale ademppimento venne considerato parte integrante del quadro politico di riferimento di

tutte le politiche di cooperazione presenti e future promosse da tutti i paesi firmatari degli

accordi presi. In particolare l’Unione Europea sottolineò il fatto che tali raccomandazioni

non possono essere considerate un ostacolo al processo di pace, bensì sono uno strumento

utile a rafforzare lo Stato di Diritto in Colombia. La seconda fase di questo processo ha

portato allo svolgimento di un secondo incontro tenutosi nella città colombiana di

Cartagena nel febbraio di quest’anno, in cui gli Stati partecipanti si sono espressi sullo

stato di avanzamento delle politiche intraprese ed in cui il Governo di Uribe ha cercato di

riconfermare gli aiuti promessi dai paesi donatori nel 2003.

Secondo quanto affermato da Dusan Chrenek l’Unione Europea riconosce ed esprime forti

preoccupazioni riguardo la grave crisi umanitaria presente in Colombia; condanna tutte le

pratiche di violenza perpetrate a danno della popolazione civile da parte di tutti i gruppi

armati illegali e per questo ha inserito nella lista dei terroristi internazionali sia i gruppi

guerriglieri delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC), sia l’Esercito di

Liberazione Nazionale (ELN), sia i gruppi paramilitari raggruppati nei gruppi di

Autodifesa Unita di Colombia (AUC). Per questo motivo appoggia pienamente il lavoro

svolto dall’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani e dichiara di sostenere l’operato dello

Stato colombiano solo nella misura in cui dimostri di rispettare le raccomandazioni

provenienti da questo organismo delle Nazioni Unite. A tutt’oggi l’Unione Europea rimane

ferma nel ritenere che la ricerca di una soluzione negoziata al conflitto rappresenti la strada

migliore per risolvere i gravi problemi di cui soffre il paese e, per questo, attribuisce una

grande importanza al ruolo della società civile colombiana: si rallegra pertanto della

volontà dimostrata a Cartagena dall’insieme della società civile colombiana di voler

partecipare attivamente nella ricerca di una soluzione pacifica del conflitto.

Contemporaneamente, in linea alle opinioni espresse dai restanti paesi del G-24

partecipanti alle riunioni di Cartagena, riconosce gli sforzi realizzati ed i successi raggiunti

dal Governo Uribe, facendo riferimento alla sua disposizione ad impegnarsi

nell’applicazione delle raccomandazioni delle Nazioni Unite e nella lotta al narcotraffico

ed al terrorismo, all’avvio del processo di reinserimento delle forze paramilitari alla vita

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civile e alla diminuzione del numero dei sequestri e dei massacri perpetrati a danno della

popolazione civile.

Monica Girarldo Valencia569, rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta

pacifica de las Mujeres Colombianas, tiene a sottolineare il fatto che a Cartagena il

presidente Uribe abbia negato, di fronte ai rappresentanti dei paesi del G-24, l’esistenza del

conflitto armato e di una crisi umanitaria, riferendosi alla situazione colombiana solo in

termini di violenza come prodotto del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”, nel

tentativo di svincolare la concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In

risposta a questo atteggiamento la società civile colombiana ha intensificato la propria

mobilitazione avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità

internazionale delle ONG, che a loro volta hanno fatto pressione sui propri governi. Il

risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto

dall’Unione Europea, dalla Gran Bretagna e dal Canada si riconoscesse l’esistenza del

conflitto armato colombiano e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per

risolvere la situazione di crisi umanitaria ed adempire alle raccomandazioni dell’Ufficio

dell’ONU per i Diritti Umani. Per Monica Valencia questo è stato un atto importante agli

occhi della popolazione civile colombiana: così facendo, i suddetti paesi occidentali

firmatari della dichiarazione finale hanno dimostrato la volontà di non concedere carta

bianca allo Stato colombiano, riconoscendo in esso uno dei responsabili delle violazioni

dei diritti umani, per l’insufficienza d’intervento dimostrata in situazioni drammatiche

come quella vissuta dai 2 milioni di sfollati e dalle comunità “confinate.”

Nell’intervento di Dusan Chrenek durante le “Giornate Aperte” di Barcellona la strategia

dell’Unione Europea in riferimento alle trattative di pace presenti e future avviate in

Colombia è stata definita in termini di un “compromesso graduale”570 che si articola in

quattro fasi. Il sostegno fornito nella prima fase, ossia quella attuale, si limita al campo

morale. Quando lo Stato colombiano darà vita ad un quadro giuridico di riferimento sulla

base del quale si apriranno delle trattative di pace con tutti i gruppi armati senza venire

meno ai suoi compromessi internazionali, e nel momento in cui i gruppi armati illegali

dichiareranno il cessate il fuoco, allora il coinvolgimento politico dell’Unione Europea

nelle trattative aumenterà vigorosamente, per esempio attraverso l’invio di una missione

diplomatica della UE a Bogotà. L’Unione Europea mette a disposizione un “pacchetto

finanziario per la pace” nel momento in cui si avvierà il processo di smobilitazione,

569 Intervista a Monica Girarlo Valencia in appendice.570 Intervento di Dusan Chrenek, La politica dell’Unione Europea in relazione alla Colombia,“Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.

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disarmo e reinserimento nella vita civile di tutti i gruppi armati e dopo che tutte le parti

sociali coinvolte nel narcotraffico si saranno impegnate a porre fine alla produzione e al

commercio di droga. Infine, l’Unione Europea si mostra disposta a togliere dalla lista

internazionale dei terroristi esclusivamente quei gruppi armati colombiani che abbiano

cessato tutte le ostilità e si siano compromessi in modo irreversibile nel processo di pace.

Aude Maio-Coliche, membro della Commissione Europea e Desk Officer per la Colombia,

si è occupata della presentazione delle relazioni bilaterali esistenti tra l’Unione Europea e

la Colombia. Tali relazioni ebbero inizio nel 1976 con il finanziamento di progetti di ONG

attraverso il bilancio comunitario; a partire dal 1984 iniziò a strutturarsi una politica di

cooperazione più ampia e dal 1990 i fondi destinati a questa cooperazione cominciarono ad

essere significativi: 87 milioni di ecus vennero stanziati tra il 1990 e il 1994. La risposta

della UE alla politica estera colombiana degli ultimi anni ‘90 centrata sulla ricerca della

pace, il rispetto dei diritti umani, la lotta alla droga, la protezione della biodiversità e la

ricerca di un appoggio internazionale per sostenere il difficile processo di pace è stata

immediata: l’Unione Europea ha svolto un ruolo attivo nei tre incontri internazionali del

Gruppo di appoggio al processo di pace colombiano che ebbero luogo tra il 2000 e il 2001.

Durante questi incontri l’Unione approvò il “Peace Package”, stanziando 330 milioni di

euro per gli anni 2001-2006. Questo pacchetto di aiuti si suddivide in due componenti

principali: 105 milioni di euro sono stati destinati ai così detti “Laboratori di Pace” con lo

scopo di intervenire in aree riguardanti lo sviluppo sociale ed economico, lo sviluppo

alternativo, la riforma del settore giuridico e la promozione dei diritti umani. I restanti 225

milioni di euro sono stati destinati agli aiuti di emergenza: la loro amministrazione è stata

affidata al Dipartimento di Aiuti Umanitari della UE per far fronte alle necessità dei due

milioni di persone sfollate, al cofinanziamento di progetti di ONG, alla protezione

dell’ambiente.

Il programma dei “Laboratori di Pace” si è materializzato nel febbraio del 2002 con la

sottoscrizione di un accordo specifico tra la UE e la Repubblica di Colombia. Con le parole

di Maio-Coliche, il loro obbiettivo era “consolidare, in un numero determinato di Comuni,

un insieme articolato di processi partecipativi a sostegno di programmi di sviluppo

sostenibile, della convivenza cittadina e del rafforzamento istituzionale, allo scopo di

realizzare un’alternativa socio-economica, culturale e politica nel Magdalena Medio.”571

Nella regione del Magdalena Medio vennero scelti 29 Comuni: la scelta ricadde sulla

571 Intervento di Aude Maio-Coliche, I Laboratori di Pace nell’ambito delle relazioni politiche e dicooperazione tra l’Unione Europea e la Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile2005.

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popolazione di questo territorio in quanto si tratta di una zona in cui il tasso di conflittualità

tra i gruppi armati è molto elevato ed in cui le rivendicazioni della popolazione civile a

favore di una soluzione pacifica del conflitto sono altrettanto forti. La durata del

programma è di otto anni ed il suo costo complessivo è di 42,2 milioni di euro, dei quali la

UE finanzierà 34 milioni mentre i restanti fondi sono stati messi a disposizione dal

Governo colombiano. In seguito, è stata avviata l’implementazione di un secondo

Laboratorio nelle regioni del Norte di Santander, nell’Oriente Antinoqueño e nell’Alto

Patia, che beneficerà altri 62 comuni. Anche in questo caso la maggioranza dei fondi

proviene dalla UE (33 milioni su 41,4 milioni di euro complessivi) mentre la restante parte

proviene dalle casse dello Stato colombiano. Infine, il finanziamento di un terzo

Laboratorio, che concluderà i fondi disponibili per il periodo 2001-2006, è stato già deciso:

in questo momento la Commissione Europea sta identificando le sue caratteristiche e l’area

in cui verrà svolto. Le entità responsabili del Programma sono la Commissione Europea

per la UE e l’Agenzia Colombiana di Cooperazione Internazionale per il Governo

colombiano, le quali si sono occupate della selezione delle organizzazioni locali cui

affidare l’implementazione e l’esecuzione del Programma. Secondo Aude Maio-Coliche le

opportunità offerte al paese colombiano da questi Laboratori sono importanti in quanto essi

rappresentano uno strumento atto a creare delle “aree di cultura di pace”572 attraverso

progetti di sviluppo alternativo finalizzati a liberare queste terre dalla coltivazione della

foglia di coca, attraverso mezzi pacifici e rispettosi dei diritti umani e del Diritto

Internazionale Umanitario. Con essi l’Unione Europea ha modo di dare visibilità alle sue

attività di appoggio al processo di pace colombiano nel rispetto delle raccomandazioni

provenienti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani attraverso la presenza

diretta sul campo, che avvicina le istituzioni europee alla popolazione locale, affinché gli

aiuti offerti si avvicinino il più possibile alle reali esigenze della popolazione colombiana.

Nel dibattito aperto dalla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia

durante queste giornate di riflessione e discussione sono emerse alcune importanti critiche

riguardanti i Laboratori di Pace. In particolare, le preoccupazioni maggiori espresse da

alcuni esponenti della società civile colombiana, catalana e di altri paesi dell’Unione

Europea presenti al dibattito pubblico riguardano i criteri adottati per la selezione dei

territori scelti per l’implementazione della seconda e terza fase dei Laboratori di Pace, i

quali sono stati recentemente interessati da un aumento della presenza delle forze

paramilitari e da una crescita del fenomeno di sfollamento delle popolazioni locali.

572 Ibidem.

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Josè Luis Campo, rappresentante della Piattaforma delle Organizzazioni Europee per lo

Sviluppo in Colombia, ad esempio ha affermato di non comprendere perché la scelta non

abbia privilegiato altre zone del paese caratterizzate da una forte mobilitazione della

società civile a favore della costruzione di processi di pace e del rafforzamento del tessuto

sociale ed istituzionale, così come è avvenuto per il primo Laboratorio; né si spiega

“perché l’Unione Europea non abbia promosso un dibattito pubblico sulle lezioni apprese

(punti di forza, limiti, etc.) dalla prima fase, così come è stato reclamato in varie

occasioni.”573 Secondo Luis Campo molte sono le incoerenze della politica europea che, da

un lato, manifesta la volontà di favorire lo sviluppo locale delle zone adibite

all’implementazione dei Laboratori di Pace, dall’altro permette che le zone scelte per la

seconda e terza fase di questo progetto siano soggette alla fumigazione dei campi, azione

che danneggia non solo le terre coltivate con la foglia di coca, ma anche i restanti campi

destinati alla produzione di cacao. Campo ribadisce l’importanza e la necessità di

assicurare una politica di cooperazione europea che si contraddistingui da altre politiche di

cooperazione come quelle sostenute dagli Stati Uniti d’America improntate sulla base del

Plan Colombia: se tale differenza rimane limitata al piano della retorica si corre il rischio

che l’Unione Europea legittimi politiche rispetto alle quali ha espresso di non essere

d’accordo. Campo sostiene inoltre che altrettanto evidenti sono le incompatibilità tra i

principi sottostanti i Laboratori di Pace e la Politica di Sicurezza Democratica adottata

dall’attuale Governo colombiano, concepita sulla base della “negazione dell’esistenza di

un conflitto armato che affonda le sue radici in un conflitto sociale e sulla riduzione della

crisi umanitaria all’effetto dell’azione terrorista e del narcotraffico.”574 La Piattaforma

delle Organizzazioni Europee per lo Sviluppo in Colombia guarda con estrema

preoccupazione alle iniziative del Governo Uribe, che si propongono di utilizzare i fondi

destinati al finanziamento dei Programmi Regionali per lo Sviluppo e la Pace e dei

Laboratori di Pace per l’implementazione di progetti quali quello delle famiglie di

guardaboschi. Secondo le dichiarazioni ufficiali del Governo colombiano, confermate tra

l’altro nell’intervento alle “Giornate Aperte” di Barcellona tenuto dall’ambasciatrice

colombiana in Spagna, Noemi Sanin, quello delle famiglie di guardaboschi è un progetto

teso a stimolare l’abbandono delle armi e il reinserimento individuale alla vita civile di

membri dei gruppi paramilitari attraverso l’offerta di un’occupazione utile anche dal punto

di vista della salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità. Le obiezioni rivolte a questo

573 Intervento di Josè Luis Campo, I laboratori di Pace nel quadro della politica di cooperazionein Colombia: un assegno in bianco?, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.574 Ibidem.

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programma riguardano, in primo luogo, il pericolo di far prevalere l’impunità in assenza di

un adeguato quadro giuridico di riferimento che garantisca il regolare svolgimento di un

processo di verità, giustizia e riparazione; in secondo luogo, il timore che

l’implementazione di un simile progetto potrebbe essere utilizzata come una strategia volta

ad assicurare il controllo territoriale a favore di quei gruppi armati che si pretende

smobilitare proprio attraverso questo progetto.

Queste preoccupazioni sono condivise dalla rappresentante dell’Alleanza delle

Organizzazioni Sociali Colombiane, Maria Eugenia Sanchez, che inquadra questi timori in

una cornice più ampia delineata da una Politica di Sicurezza, asse portante del Piano

Nazionale di Sviluppo del Governo Uribe, che “attenta alla Costituzione del paese e

contravviene ai principi riconosciuti dal Diritto Internazionale in difesa dei diritti umani. In

questa politica, la popolazione non viene considerata come un soggetto di diritto, né come

destinataria di protezione da parte dello Stato, bensì come uno strumento di guerra.”575

Difatti, un punto fondamentale di questa politica è il non riconoscimento della distinzione

tra combattenti e popolazione civile. Secondo la Sanchez, in questo contesto aumentano le

preoccupazioni inerenti l’atteggiamento ostile dimostrato dal Governo Uribe nei confronti

delle ONG e di altre organizzazioni sociali e popolari: in più di un’occasione, misure

repressive quali la persecuzione e l’incarceramento arbitrario sono state dirette contro

alcuni dei loro leader e membri. Nel mese di luglio del 2003, nel documento Una coaliciòn

mundial por la paz il Governo si è impegnato a “impedire la deformazione della realtà del

paese di fronte all’opinione pubblica mondiale”.576 Ugualmente, preoccupano le

affermazioni del Governo contenute nel documento riguardante la Politica di Sicurezza e la

Difesa in cui si dichiara che “è interesse del Governo e delle ONG evitare l’abuso delle

capacità di queste organizzazioni da parte delle persone al margine della legge, come già

avvenuto in alcune circostanze.”577 Secondo Sanchez, “queste affermazioni, in un contesto

di conflitto e in un ambiente di persecuzione quale quello esistente in Colombia,

contribuiscono ad accrescere i rischi derivanti da una politica di Governo diretta a

dequalificare l’operato delle organizzazioni sociali, popolari e per i diritti umani a causa

575 Intervento di Maria Eugenia Sanchez, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.576 Documento presentato dal Governo colombiano agli incontri preparatori della “Tavola deidonanti” di Londra, tenutasi il 25 luglio del 2003 e convocata su richiesta del Programma delleNazioni Unite per lo Sviluppo.577 Presidenza della Repubblica di Colombia, Ministero della Difesa Nazionale, Politica deDefensa y de Seguridad Democratica. Bogotà, 2003, pragrafo 19, pag. 18.

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delle loro analisi della realtà e delle loro denuncie riguardanti le violazioni dei diritti umani

e del Diritto Internazionale Umanitario.”578

Al riguardo, anche Monica Girarlo Valencia579 denuncia le difficoltà di operare delle ONG

colombiane ed internazionali. In un progetto di legge che non ha ancora ottenuto la

maggioranza parlamentare il Governo si propone di centralizzare gli aiuti alla

cooperazione destinati al rafforzamento dei diritti umani. L’idea consiste in far sì che

questi fondi entrino nelle casse dello Stato, dalle quali poi verrebbero successivamente

ripartiti a favore delle diverse ONG che operano in questo campo. La risposta immediata

delle ONG internazionali presenti sul territorio colombiano è stata quella di minacciare

l’abbandono del paese, nel caso in cui la legge fosse stata approvata. In seguito, il governo

Uribe ha tentato di introdurre dei meccanismi di controllo sull’operato delle organizzazioni

sociali colombiane, interrogandole sulle loro fonti di informazione e sulle modalità in base

alle quali elaborano i loro documenti: con queste misure il governo ha cercato di limitare il

protagonismo delle organizzazioni della società civile. Successivamente, ha istaurato altri

meccanismi di controllo anche sulle ONG internazionali. Per esempio, ha preteso la

consegna dei loro bilanci mensili al Governo Nazionale e ha deciso la chiusura di alcune

organizzazioni i cui bilanci superavano determinate soglie. Contro la resistenza opposta da

alcune di queste organizzazioni a presentare la documentazione richiesta è stato fissato il

pagamento di una multa così alta da mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza.

Tornando al tema delle opportunità e dei limiti dei Laboratori di Pace, la Tavola Catalana

per la Pace e i Diritti Umani in Colombia ha chiamato ad intervenire nel dibattito pubblico

delle “Giornate Aperte” di Barcellona il direttore del Programa de Desarrollo y Paz del

Magdalena Medio (PDMM), ossia l’organizzazione sociale colombiana cui è stata affidata

l’implementazione delle attività del primo Laboratorio di Pace: Padre de Roux. È

importante sottolineare che il PDMM è un programma che esiste da molto tempo prima

l’avvio delle attività inerenti il Laboratorio di Pace del Magdalena Medio e la sua lunga

vita conferma la vivacità della società civile colombiana anche in corrispondenza dei

territori in cui le tensioni tra le diverse parti in conflitto sono molto alte. Questo progetto

ebbe inizio nel 1995 in seguito alla volontà del Comitato per i Diritti Umani creato dalla

USO, ossia il sindacato dell’impresa petrolifera ECOPETROL, che volle condurre

un’indagine sui problemi sociali della città petrolifera di Barrancabermeja e dei suoi

578 Intervento di Maria Eugenia Sanchez, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.579 Intervista a Monica Girarlo Valencia contenuta in appendice.

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dintorni. Lo scopo era quello di mettere in luce le “dinamiche perverse”580 capaci di

determinare un altissimo livello di povertà in una delle zone più ricche del paese per

risorse naturali e i “necessari cambiamenti strutturali, senza i quali era evidente che non

sarebbe stato possibile convertire la regione in un territorio di pace, nel rispetto della

dignità e della giustizia sociale della sua popolazione.”581 Fu così che si arrivò

all’elaborazione di una Proposta Municipale per ognuno dei Comuni del territorio del

Magdalena Medio con l’intento di coinvolgere tutte le parti sociali, senza distinzioni di

ogni sorta, nella convinzione che la pace e lo sviluppo umano sostenibile per la

popolazione del territorio dovesse scaturire dalle proposte delle comunità locali.

Inizialmente, il PDMM trovò come suo punto di forza l’autonomia della popolazione civile

e la sua indipendenza dalle istituzioni statali, ma il lavoro di ogni giorno mise in evidenza

che il “garante principale delle condizioni necessarie a vivere una vita dignitosa era lo

Stato e che, per questa ragione, bisognava lavorare con lo Stato alla ricerca delle

trasformazioni che a livello istituzionale erano richieste affinché si compissero gli

obbiettivi per i quali un popolo sovrano lo aveva costituito.”582 Durante il biennio 2000-

2001 due missioni europee visitarono la Colombia e in quell’occasione i delegati della UE

ebbero modo di conoscere la realtà del PDMM, che scelsero come controparte locale per la

messa in atto del primo Laboratorio di Pace, in quanto “trovarono in esso quelle

caratteristiche attraverso cui la cooperazione europea in Colombia voleva

contraddistinguersi”.583 Padre de Roux affronta inoltre alcune delle critiche emerse nel

dibattito. In risposta a chi afferma che i Laboratori di Pace altro non sono che il risultato di

accordi tra Governi e che per questo non è possibile per l’Unione Europea soddisfare le

reali esigenze delle comunità, egli difende fermamente il valore di una politica di

cooperazione del tutto lontana dalla politica nordamericana che invece sembra non

dimostrare affatto alcuna volontà di avvicinarsi alle rivendicazioni della popolazione

locale. Secondo Padre de Roux è naturale che i Governi coinvolti in queste politiche

(quello europeo e quello colombiano) perseguano, in parte, interessi propri e crede che le

comunità del Magdalena Medio siano perfettamente consce di questo. “La sfida per i

processi cittadini regionali consiste nell’accettare che questi interessi esistono e nel

tentativo di difendere, nelle discussioni della politica reale, l’autonomia di questi processi

cercando di mantenere in vita la lotta per la giustizia, per la pace, per l’affermazione della

580 Intervento di Padre de Rouux, Il Programma di Sviluppo e Pace del Magdalena Medio. PrimoLaboratorio di Pace in Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.581 Ibidem.582 Ibidem.583 Ibidem.

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sovranità popolare e per porre le basi della convivenza e delle istituzioni che

desideriamo.”584 A chi denuncia il fatto che i Laboratori sono stati messi in atto in territori

caratterizzati dalla presenza delle forze paramilitari, dal dispiegamento delle politiche di

Sicurezza Democratica e dalla lotta controinsurrezionale, Padre de Roux risponde che sono

proprio questi i territori in cui intervenire, in cui le comunità hanno deciso di rimanere

nonostante le enormi difficoltà: “è rimanendo nei territori dove alte sono le tensioni e il

pericolo che si possono vedere le cose con maggiore chiarezza e incontrare le possibili vie

d’uscita, non fuggendo, né abbandonando la propria casa, né nella distanza delle ONG di

Bogotà, né nei seminari di discussione degli Stati Uniti o dell’Europa, né nell’autismo

degli accademici o nell’ideologia dei politici (senza disconoscere l’enorme appoggio che

forniscono tutti questi gruppi dal di fuori delle regioni critiche).”585 Secondo de Roux

l’esistenza del PDMM e del Laboratorio di Pace nel Magdalena Medio hanno evitato che

la zona cadesse completamente nelle mani delle forze paramilitari e hanno garantito la

sopravvivenza del movimento popolare e cittadino. Alla luce di queste considerazioni e del

riconoscimento che l’intolleranza e la violenza diffusa nella società colombiana e nel

Magdalena Medio aumentano le possibilità di avere delle perdite umane tra chi lavora a

sostegno del processo di pace, Padre de Roux considera assolutamente necessario che

l’aiuto dell’Unione Europea sia incondizionato. In particolare, considera indispensabile

l’appoggio della UE per ottenere la smobilitazione del Blocco Centrale Bolivar; la ricerca

di un cammino di pace con l’ELN; un chiarimento sulle trattative avviate tra il Governo di

Uribe e le forze paramilitari che sembrano parlare molto di questioni inerenti il disarmo e

troppo poco di pace e risoluzione delle cause profonde del conflitto.

L’opinione di Libio Pachelor, rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca,

ossia una delle organizzazioni sociali che partecipa all’implementazione del secondo

Laboratorio di Pace, è molto più critica in relazione al cofinanziamento dei Laboratori da

parte dello Stato colombiano. Il giudizio complessivo dei Laboratori è, anche in questo

caso, molto positivo: si riconosce difatti che essi rappresentano importanti spazi di dialogo

che “permettono di pensare e ripensare nuove strategie per la risoluzione del conflitto e, la

cosa più importante, è che consentono di affrontare la questione non solo come movimento

indigeno ma come processo di unità con altri settori della società civile che soffrono le

stesse conseguenze della guerra.”586 Pachelor non manca però di soffermarsi sui limiti dei

Laboratori. In primo luogo, è importante riconoscere che le tensioni che vivono questi

584 Ibidem.585 Ibidem.586 Intervento di Libio Palechor, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.

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territori e che fungono da combustibile del conflitto in atto non sono legate esclusivamente

al fuoco e alle violenze dei guerriglieri, dei paramilitari e dell’esercito colombiano, ma

anche a “problemi legati alla difesa della cultura indigena, all’ingerenza di politiche

internazionali come il neoliberismo e le sue strategie di globalizzazione che concorrono a

mettere in pericolo le ricchezze naturali del territorio colombiano in seguito ad un loro

eccessivo sfruttamento”.587 Nessun Laboratorio di Pace sarà in grado di risolvere queste

problematiche nella loro interezza e complessità, ma queste politiche di sviluppo centrate

sull’“investimento sociale”588 rappresentano un buon inizio poiché solo con questo tipo di

investimenti sarà possibile trovare delle soluzioni all’attuale crisi umanitaria. Pertanto, il

basso tasso di spesa sociale e l’alto tasso di spesa militare che caratterizzano la politica

dell’attuale Governo sono considerati da Pachelor come ostacoli enormi per il

raggiungimento di una risoluzione duratura del conflitto colombiano. In secondo luogo,

l’altro grosso limite dei Laboratori è rappresentato dal loro cofinanziamento da parte dello

Stato colombiano: difatti l’amministrazione di questi fondi risponde ad un programma di

Governo che, per il rappresentante del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, al

momento attuale sembra essere del tutto incompatibile con la politica sottostante i

Laboratori. Secondo Palechor oggi “non esiste un cofinanziamento, bensì due programmi

opposti, uno dell’Unione Europea e l’altro del Governo Nazionale colombiano.”589 Per

Pachelor non si tratta di una questione di importanza marginale, tanto che egli afferma che

se il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca fosse stato tempestivamente informato della

partecipazione di fondi statali nell’implementazione dei Laboratori di Pace, sicuramente il

Consiglio avrebbe rifiutato di prendere parte alle attività dei Laboratori.

Dal pubblico presente alle “Giornate Aperte” di Barcellona sono emerse altre critiche

riguardanti la strategia di cooperazione europea, non strettamente attinenti i Laboratori di

Pace. Innanzitutto è stata denunciata la mancanza di adeguati controlli che impediscano la

vendita illegale di armi ai gruppi armati colombiani attraverso organizzazioni criminali

operanti in Europa; allo stesso tempo è stata denunciata l’inesistenza di una dura presa di

posizione dell’Unione nei confronti di quegli Stati Europei che continuano a vendere armi

al Governo colombiano e ad esportare i precursori chimici necessari alla raffinazione della

cocaina. È indicativo il fatto che nessuno di questi precursori venga prodotto all’interno del

territorio colombiano. L’Unione dovrebbe quindi garantire maggiori controlli sulle attività

delle imprese europee o a partecipazione europea presenti in Colombia o in strette relazioni

587 Ibidem.588 Ibidem.589 Ibidem.

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commerciali con il paese. È stata inoltre ribadita la necessità che la UE adotti dei

meccanismi di vigilanza più efficaci sui fondi destinati alla cooperazione internazionale,

sia che si tratti di rapporti di cooperazione bilaterali sia nel caso di politiche di

cooperazione decentrata. In un conflitto armato come quello colombiano, l’arrivo di questi

fondi in mano di attori interessati al proseguimento delle ostilità (guerriglieri, paramilitari,

esercito colombiano) non fa che aggravare la crisi umanitaria che colpisce il paese.

Rispetto a questo pericolo, da un lato è stata denunciata l’esistenza di ONG ed

organizzazioni sociali formate da gruppi armati, soprattutto ad opera dei gruppi

paramilitari. Dall’altro, l’Unione Europea è stata invitata a tenere nella giusta

considerazione la storia di un paese in cui le organizzazioni sindacali e sociali ed i partiti

politi di opposizione, quali l’Uniòn Patriotica, sono stati vittime della persecuzione e del

genocidio dei suoi leader per via di “errori” commessi in passato dall’esercito colombiano.

Alla luce di questi eventi molte sono le perplessità di coloro che si interrogano sul come sia

possibile che oggi l’Unione Europea consideri il Governo colombiano una vittima del

conflitto ed un beneficiario degli aiuti, anziché un attore del conflitto. L’Unione Europea è

stata criticata per aver firmato alcuni documenti elaborati nelle riunioni di Londra e

Cartagena, in cui sono stati riconosciuti dei passi avanti fatti dal Governo Uribe: non si

comprende quali siano questi successi ottenuti da Uribe visto che le violazioni dei diritti

umani, le desapariciones e le detenzioni di massa continuano, mentre il Governo ha

dimostrato di essere incapace di promuovere la realizzazione di un effettivo processo di

verità, giustizia e riparazione. Pertanto, la UE è stata invitata a privilegiare la cooperazione

decentrata rispetto alla cooperazione bilaterale. Infine, alcuni hanno parlato di una

contraddizione profonda nella politica dell’UE in relazione al processo di pace in

Colombia: l’incoerenza e l’ambiguità dell’atteggiamento europeo emerge dalla volontà di

promuovere una soluzione dialogata del conflitto in atto, mentre allo stesso tempo ferma è

la posizione del Consiglio Europeo nel considerare gli attori del conflitto come terroristi

con cui non è possibile istaurare nessuna forma di dialogo.

Per Liliana Uribe590, rappresentante della Coordinazione Colombia - Europa - Stati Uniti,

la caratterizzazione del conflitto colombiano in chiave terrorista genera diversi ostacoli per

la risoluzione pacifica del conflitto. Liliana Uribe ritiene inefficace concentrare gli sforzi

sulla lotta antiterrorista e antidroga, poiché in questo modo si attaccano le conseguenze e

non le cause del conflitto armato colombiano: nessuna pace sarà mai possibile nel paese se

590 Intervento di Liliana Uribe, Retos en materia de derechos humanos de la cooperaciòn de laUniòn Europea en Colombia, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.

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non si affrontano questioni fondamentali come il problema agrario legato alla

concentrazione della terra nelle mani di una ristretta minoranza.

Per Michael Frühling591, direttore dell’Ufficio dell’ONU per i Diritti Umani, è di estrema

importanza che il Governo colombiano riconosca il conflitto armato interno e le sue origini

politiche. Altrettanto importante è che la cooperazione internazionale sia orientata al

rafforzamento delle istituzioni democratiche: il rispetto dei diritti umani e del Diritto

Internazionale Umanitario devono fungere da guida di tutte le attività intraprese.

Per Eugenia Maria Sanchez592 la cooperazione internazionale deve essere diretta al

superamento della crisi umanitaria, al rafforzamento dello Stato di Diritto, del tessuto

sociale e delle iniziative volte all’educazione alla pace. Tutte le attività di cooperazione

internazionale devono essere dirette a generare processi che tolgano terreno alla guerra e

devono inserirsi all’interno di un quadro giuridico capace di garantire adeguati criteri di

verità, giustizia e riparazione.

Per Ignacio Leòn593, membro della Coordinazione degli Aiuti Umanitari alle Nazioni

Unite, è opportuno che tutti gli agenti di cooperazione condividano un’agenda comune in

cui il rispetto dei diritti umani, economici e sociali sia alla base di tutte le politiche di

cooperazione ed in cui si riconosca che la risposta alla crisi umanitaria in Colombia debba

essere neutrale ed imparziale, così come stabilito dall’Assemblea Generale dell’ONU.

Leòn denuncia il fatto che tra gli enti cooperanti della UE manca un dialogo capace di

assicurare non solo la comunanza di intenti ma anche l’effettiva armonizzazione degli

sforzi intrapresi. Ad ogni modo Leòn ci tiene a ribadire che l’operato delle organizzazioni

internazionali può essere solo un complemento dell’azione dello Stato colombiano, che

rimane il maggiore responsabile del rispetto dei diritti umani e del Diritto Internazionale

Umanitario all’interno del proprio territorio.

Con l’intento di delineare le vie lungo cui è necessario procedere per la risoluzione del

conflitto colombiano, nel suo intervento Teresa Muñoz594, direttrice del Banco de Buenas

Practicas para superar el conflicto del PNUD, fa riferimento al contenuto della relazione

sullo sviluppo umano in Colombia, intitolata Colombia: callejòn con salida?, redatta nel

2003 dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite. In esso il conflitto armato è

riconosciuto come l’ostacolo maggiore per lo sviluppo umano ed investire nello sviluppo

591 Intervento di Michael Frühling, Los derechos humanos y el Derecho InternacionalHumanitario son guìas ùtiles para la superaciòn del conflicto armado en Colombia y para lapolitica de cooperaciòn internacional, “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005. 592 Intervento di Maria Eugenia Sanchez alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.593 Intervento Ignaco Leòn alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.594 Intervento di Teresa Muñoz alle “Giornate Aperte” di Barcellona, 14-15 aprile 2005.

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umano è considerata l’opzione migliore per porre fine al conflitto. L’estrema complessità

di quest’ultimo richiede l’adozione di un’insieme di misure congiunte che intervengono sul

piano politico (per garantire l’esercizio legittimo del potere politico), sul piano militare

(per rafforzare il binomio sicurezza-giustizia ed aumentare le azioni che rinvigoriscono le

relazioni democratiche tra cittadinanza e Stato), sul piano economico-finanziario (con

azioni miranti a diminuire i profitti di coloro che sono legati al narcotraffico, allo scopo di

denarcotizzare il conflitto), sul piano sociale (con azioni in grado di aumentare le opzioni

di coloro che possono essere attratti dall’ingresso in gruppi armati irregolari e con

iniziative miranti a mediare i conflitti sociali, soprattutto in relazioni alle questioni

lavorative e agrarie, di estremo interesse dei gruppi armati, allo scopo di aumentare gli

spazi di espressione pacifica della protesta popolare e della lotta sociale), sul piano del

potere territoriale (a favore di una maggiore trasparenza nella gestione pubblica e per un

rafforzamento della democrazia locale), sul paino dello sviluppo umano (garantendo una

maggiore protezione ed attenzione delle persone colpite dal conflitto armato, attraverso

azioni dirette ad umanizzare il conflitto e rafforzare la giustizia penale).

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CONCLUSIONI.

La conoscenza diretta della Tavola Catalana per la Pace e i Dititti Umani in Colombia è

avvenuta quest’anno, durante i mesi in cui mi trovavo nella cittá di Barcellona per svolgere

uno stage di lavoro finanziato dalla borsa europea “Leonardo”. La mia personale

esperienza lavorativa non si è svolta all’interno del coordinamento, ma in un’agenzia di

consulenza catalana che opera nel campo della cooperazione internazionale, all’interno

della quale ho avuto modo di occuparmi di alcuni progetti di sviluppo inerenti il paese

colombiano. In particolare, il mio compito consisteva nel visionare alcuni di questi progetti

elaborati da una serie di istituzioni pubbliche del Dipartimento colombiano di Antioquia ed

adattarli alle regole previste dai bandi di concorso indetti per l’assegnazione di aiuti alla

cooperazione in Spagna e Italia, sia a livello regionale che nazionale. In pratica,

quest’agenzia di consulenza si prefigge lo scopo di svolgere un ruolo di intermediazione

tra i soggetti istituzionali e sociali che si occupano di cooperazione internazionale in

Colombia, Spagna ed Italia. Le difficoltà incontrate non sono state poche: in particolare,

hanno riguardato la ricerca di quelle controparti spagnole o italiane necessarie alla

partecipazione a questi concorsi. Anche se molti dei soggetti istituzionali e sociali contatti

hanno dimostrato dell’interesse riguardo i progetti di sviluppo loro proposti, nei cinque

mesi di tirocinio solo in un unico caso la disponibilitá offerta per un’effettiva

collaboarzione ha rappresentao un obbiettivo raggiunto, nonostante l’impegno personale e

quello dei miei colleghi. A mio parere, la spiegazione di questo fallimento riguarda la

scarsa fiducia che quest’agenzia di consulenza è in grado di suscitare nei soggetti con cui si

propone di collaboare, in relazione al modo in cui essa opera. In primo luogo, ritengo che

le piccole dimensioni che la caratterizzano dovrebbero essere compensate da una fitta rete

di rapporti da tessere primariamente nel territorio catalano, secondariamente anche a livelli

piú estesi. In secondo luogo, credo sia opportuno che in questa rete di rapporti vengano

inclusi non solo soggetti privati, ma anche pubblici. Nella mia breve esperienza lavorativa

ho avuto modo di rilevare che il carattere privato dell’agenzia presso cui operavo era di

sovente la causa del rifiuto della collaborazione richiesta. Al contrario, la presenza

pubblica funge da garanzia di controlli. Personalmente considero queste preoccupazioni

giuste e reali, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione con paesi in conflitto, dove

forte è il rischio che i finanziamenti arrivino nelle mani di soggetti legati agli attori armati,

contribuendo a prolungare il conflitto.

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La mia insoddisfazione per il lavoro svolto presso questa agenzia di consulenza e il mio

interesse crescente per il caso colombiano (grazie anche alla conoscenza personale di molti

immigrati colombiani a Barcellona) sono stati gli stimoli che mi hanno spinto a ricercare

nel territorio catalano altre esperienze che si iscrivessero entro il campo

dell’internazionalizzazione della pace colombiana: è così che mi sono imbattuta nella

Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia. Sulla base della precedente

esperienza lavorativa, della conoscenza personale di alcune persone che lavorano presso la

Tavola Catalana, della partecipazione ad alcune loro iniziative e della friuzione di alcuni

servizi informativi da loro offerti ho maturato un giudizio complessivo di gran lunga

migliore sul coordinamento catalano presentato in questo elaborato.

La rete catalana fornisce un buon esempio di internazionalizzazione della pace colombiana

per i motivi esposti qui di seguito. Innanzittuto, essa ha dimostrato di essere in grado di

coniugare l’universalitá di intenti e la localizzazione della partecipazione. In riferimento

all’universalitá di intenti, si è visto come le sue rivendicazioni facciano espressamente

riferimento a quelle provenienti dalla società civile colombiana e al compimento delle

raccomandazioni dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Per quanto concerne

la localizzazione della partecipazione, l’adesione che essa è riuscita a generare nel

territorio è ampia e diversificata grazie alla propria struttura reticolare a base locale. Il

coordinamento costituisce uno spazio d’incontro informale adatto al confronto di soggetti

differenti disposti a sedersi allo stesso tavolo, poiché convinti che la propria capacità

d’intervento in Colombia possa accrescere enormemente attraverso la collaborazione di

entità potenzialmente complementari. Nell’azione del coordinamento la dimensione locale

rappresenta il luogo di partenza e di arrivo delle strategie di intervento proposte e

realizzate. Questa caratteristica è ancor più importante se si pensa alla specificità della

situazione spagnola e colombiana. Da un lato, si è visto come a partire dalla seconda metà

degli anni ’90 il tasso di crescita degli aiuti destinati alla cooperazione allo sviluppo messi

a disposizione dalle amministrazioni decentralizzate ha superato il tasso di crescita

dell’ammontare totale degli aiuti destinati allo stesso fine da parte del Governo centrale di

Spagna. Dall’altro, il fatto che le comunitá locali colombiane siano al centro delle politiche

di intervento è quanto piú opportuno alla luce dei cambiamenti avvenuti nella decade

passata sia all’interno delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico (in cui ha

prevalso la disorganizzazione dei grandi network a favore di strutture di potere piú

decentralizzate), sia nelle modalità d’azione dei gruppi armati illegali (rivolta a cooptare e

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controllare i poteri locali), sia nell’organizzazione del potere statale (le cui funzioni e

risorse vengono delegate in misura crescente alle amministrazioni locali).

In secondo luogo, il carattere misto della Tavola ha fatto in modo che essa divenisse una

vera e propria “lobby”595 in grado di esercitare una pressione politica a livello catalano,

spagnolo, europeo e colombiano. La partecipazione istituzionale catalana, aspetto che la

complessità di un simile conflitto così prolungato negli anni rivela assolutamente positivo

ed importante, ha difatti “elevato il peso politico dell’accompagnamento fornito dal

coordinamento regionale alle iniziative civili di pace provenienti dalla popolazione

colombiana.”596 A livello locale, l’incidenza politica è cresciuta grazie alla presenza di due

soggetti istituzionali: la Cattedra dell’UNESCO, operante presso la Scuola di Cultura di

Pace dell’Università Autonoma di Barcellona, ed il Fondo Catalano di Cooperazione allo

Sviluppo.

Si è visto come il ruolo dell’istituzione universitaria sia stato fondamentale per la nascita

ed il consolidamento della Tavola. L’Università Autonoma di Barcellona ha dimostrato un

forte impegno per realizzare quelle condizioni necessarie affinché si materializzassero

fondi e terreni favorevoli per la nascita di nuove alleanze tra soggetti impegnati a

promuovere il processo di pace colombiano. Un simile coinvolgimento dell’Università è

stato possibile in nome della convinzione che l’istituzione universitaria possa fornire degli

spazi e dei momenti di riflessione tali da permetterle di convertirsi in un referente

importante per gli attori in conflitto ed i soggetti istituzionali e sociali coinvolti in

situazioni di guerra, nell’identificazione di obbiettivi comuni e nel riconoscimento e nel

rispetto delle differenze.

Gli sforzi del Fondo Catalano per la Cooperazione allo Sviluppo si sono rivolti a far sì che

più di cento Comuni catalani mettessero in pratica le raccomandazioni delle Nazioni Unite,

decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale. La

partecipazione del Fondo Catalano alla Tavola ha quindi fortemente contribuito a far sì che

l’amministrazione catalana assumesse nella propria agenda politica le rivendicazioni di

pace della società civile colombiana non solo in nome di valori di solidarietà, ma, più

concretamente, anche per ottenere un risvolto politico sulla scena locale.

L’incidenza politica a livello statale e macroregionale è invece cresciuta nella misura in cui

è aumentata la presenza di rappresentati politici di organismi internazionali, di istituzioni

di governo europee, spagnole e colombiane ai dibattiti pubblici organizzati annualmente

595 Intervista a Nuria Camps, pag. 4.596 Intervista ad Alicia Barbero, pag. 5.

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dalla Tavola allo scopo di contribuire ad “armare un discorso propositivo”597, capace di

avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione per spiegare nella maniera più chiara e completa

possibile all’opinione pubblica catalana, spagnola ed europea quello che avviene in

Colombia.

Confido che la Tavola Catalana per la pace e i Diritti Umani in Colombia prosegua sulla

via intrapresa e che i suoi successi possano produrre effetti emulativi anche altrove. Il

processo di internazionalizzazione della pace colombiana ha bisogno che queste esperienze

si moltiplichino e si integrino nel tempo. Gli effetti concreti che possono essere raggiunti

sono abilmente illustrati da due metafore.

La prima è quella dell’“effetto boomerang”598, concetto utilizzato da Margareth Keck e

Katheryn Sikkink per spiegare il fenomeno per il quale dei gruppi locali di società civile,

bloccati a livello nazionale, aggirano lo Stato e si appellano a reti transnazionali per

indurre Stati stranieri ed istituzioni internazionali ad intervenire e sbloccare la situazione

nazionale. Come un boomerang, le loro richieste tornano al luogo d’origine con una forza

maggiore. Dall’intervista fatta a Monica Girarlo Valencia, rappresentante del movimento

di donne Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas, questo è quanto è avvenuto

quest’anno durante gli incontri di Cartagena. Qui, di fronte ai rappresentanti dei paesi del

G-24, il presidente Uribe ha negato l’esistenza del conflitto armato e di una crisi

umanitaria riferendosi alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto

del terrorismo e di “situazioni umanitarie critiche”, nel tentativo di svincolare la

concessione degli aiuti dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo

atteggiamento la società civile colombiana ha intensificato la propria mobilitazione

avviando una campagna internazionale sostenuta ampiamente dalla comunità

internazionale nel suo insieme, che ha esercitato forti pressioni sui propri governi. Il

risultato di tale mobilitazione congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto da

alcuni paesi (l’Unione Europea, la Gran Bretagna e il Canada) si riconoscesse l’esistenza

del conflitto armato e l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la

situazione di crisi umanitaria ed adempire alle raccomandazioni dell’Ufficio dell’ONU per

i Diritti Umani.

597 Kristian Herbolzheimer, la Universidad como tejidora de paz, www.escolapau.org, pag. 3598 Margaret Keck & Katheryn Sikkink, Activists beyond borders: advocacy networks ininternational politics. Cornell University Press, Ithaca, 1998, pag. 11.

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La seconda metafora è quella del “doppio effetto boomerang”599, con la quale Mary Kaldor

si riferisce al fatto che i successi ottenuti da queste iniziative possono contribuire di

rimando a rafforzare gli strumenti d’intervento internazionali che, a loro volta, potranno

essere utilizzati per altre campagne locali.

Inutile dire che le difficoltà di questo processo sono numerose e sempre nuove: anche per

piccoli successi è necessario disporre di elevate capacità e risorse. Ad ogni modo, si ritiene

che le potenzialità del concetto di società civile globale e della nuova nozione di sviluppo

umano sostenibile siano assolutamente importanti quanto meno per l’approccio che

propongono. Tale approccio si fonda sull’idea che la povertà, l’esclusione e lo sfruttamento

siano problemi risolvibili attraverso una molteplicità di sforzi, piuttosto che tramite una

grandiosa teoria di portata globale. L’obbiettivo che questa ricerca voleva raggiungere è

quello di contribuire a far luce sui possibili canali di comunicazione e cooperazione tra

società civili appartenenti a contesti nazionali diversi, ma sempre più vicine in seguito al

loro inserimento in un contesto mondiale caratterizzato da dinamiche e problematiche tra

loro interdipendenti. In quest’ottica, anche questo elaborato rappresenta un contributo

piccolo, ma concreto affinché, anche a Bologna, cresca l’attenzione rivolta al paese

colombiano, al conflitto armato interno e alle iniziative di pace che provengono dalla sua

società civile.

599 Kaldor M., L’Altra Potenza. Università Bocconi Editore, Milano, 2004, pag. 105.

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APPENDICE.

Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti

Umani in Colombia.600

L’escalation del conflitto colombiano ha fatto sì che la preoccupazione per il futuro della

Colombia crescesse tra le istituzioni e le associazioni catalane, che hanno cominciato ad

interrogarsi sul come si possa intervenire dalla Catalogna nella trasformazione del conflitto

colombiano. Le entità che formano parte della Tavola Catalana per la Pace e i Diritti

Umani in Colombia condividono l’idea che la propria capacità d’intervento in Colombia

sarà superiore nella misura in cui si riuscirà a costruire uno spazio di concertazione tra i

differenti attori sociali ed istituzionali della Catalogna. Questo spazio deve permettere di:

_ scambiare i diversi punti di vista per costruire un’analisi ed una proposta di azione

concertata;

_ cercare la complementarietà delle azioni intraprese da ogni entità della Tavola;

_ identificare in modo congiunto le controparti sociali ed istituzionali colombiane alle quali

si desidera dare appoggio;

_ mettere in comune i criteri di priorità dell’azione in Colombia;

_ elaborare una strategia di comunicazione finalizzata ad incrementare la mobilitazione

della società catalana per la pace in Colombia;

_ invitare tutti quegli attori sociali ed istituzionali catalani (ONG, organizzazioni sociali,

amministrazioni, sindacati, università, scuole, etc.) che lavorano o possono iniziare a

lavorare per la pace e i diritti umani in Colombia a prendere parte alla Tavola.

Le entità che partecipano alla Tavola Catalana per la Pace e i Diritti Umani in Colombia

condividono alcuni principi basilari, tra cui la convinzione che:

600 La tavola per la Pace e i Diritti Umani in Colombia è formata da: Comune di Barcellona,Comune di Lleida, Comune di Sant Cugat del Valles, Comune di Santa Pau, AssociazioneCatalana per la Pace, Associazione Catalana per l’Aiuto ai Rifugiati, Commissione Catalanad’Aiuto ai Rifugiati CEAR, Consiglio Nazionale della Gioventù della Catalogna, Cooperaciò,Entredobles, Federazione Catalana di ONG per lo Sviluppo, Fondo Catalano di Cooperazione alloSviluppo, Fondazione Josep Comaposda, Fondazione Pace e Solidarietà- CCOO, Fondazione perla Pace, Giustizia e Pace, Intermon-Oxfam, Movimento per la Pace, Pagesos Solidaris, Provinciadi Barcellona, Regione Autonoma della Catalogna, Scuola di Cultura di Pace dell’UniversitàAutonoma di Barcellona. Osservatori: Brigate internazionali di Pace- Catalogna, Comitatocatalano ACNUR.

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_ in Colombia è possibile conseguire una vera pace duratura solo attraverso una soluzione

politica del conflitto che si basi sulla messa in atto di un processo di verità, giustizia e

riparazione;

_ lo Stato colombiano è il principale responsabile del controllo del rispetto dei diritti umani

dentro il suo territorio;

_ attraverso la Tavola non si fornisce alcun appoggio diretto a nessun attore armato;

_ la trasformazione sociale, politica, economica che necessita il paese deve avere come

protagonista la società colombiana;

_ la comunità internazionale deve assumere le proprie corresponsabilità per quanto

riguarda i fattori di internazionalizzazione del conflitto;

_ in Europa è necessario vigilare affinché la polarizzazione crescente che caratterizza la

società colombiana non si riproduca.

Al di là di questa generica dichiarazione di intenti si individuano alcuni obbiettivi concreti

primari su cui lavorare:

_ proteggere la popolazione civile colombiana;

_ individuare le controparti colombiane riteniamo possano svolgere un ruolo importante

nella trasformazione del conflitto a livello locale e regionale;

_ esercitare una pressione politica a diversi livelli (catalano, spagnolo, europeo e

colombiano) per favorire la pace e il rispetto dei diritti umani in Colombia;

_ promuovere il consolidamento di strumenti a disposizione dei municipi della Catalogna

per sostenere i processi di pace in Colombia;

_ costruire un discorso propositivo che stimoli l’opinione pubblica catalana a lavorare per

la trasformazione del conflitto colombiano;

_ cercare la complementarietà con altri spazi di coordinamento.

Barcellona, febbraio 2003

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INTERVISTE.

Intervista alla segretaria esecutiva della “Taula Catalana per la Pau i els

Drets Humans a Colòmbia”.

Giorno dell’intervista: 16.02.2005

Nome della persona intervistata: Lola Crespo, segretaria tecnica della Tavola Catalana per

la Pace e i Diritti Umani in Colombia.

Riguardo al coordinamento.

1. Identificazione del coordinamento: a) Quando è nato

b) Per soddisfare quali esigenze

c) Quali sono i soggetti che ne fanno parte.

La tavola è nata nel 2002, ma la dichiarazione di intenti risale al febbraio del 2003.

Le motivazioni che hanno portato alla sua fondazione sono di due tipi: da un lato, la

volontà di aumentare le conoscenze sulla situazione colombiana in Catalogna; dall’altro,

quella di rafforzare le diverse iniziative delle varie organizzazioni ed amministrazioni già

impegnate per la Colombia. L’idea di fondo è che la coordinazione del lavoro di soggetti

diversi contribuisce ad ottenere una maggiore influenza politica in relazione al tema

colombiano.

Un’influenza politica maggiore a che livello?

Un’influenza maggiore rispetto alla Regione della Catalogna, al Governo centrale spagnolo

ed all’Unione Europea. L’operato di un simile coordinamento, i cui soggetti condividono

gli stessi principi e lavorano per il raggiungimento degli stessi fini, si diversifica molto da

quello di un’organizzazione o amministrazione che opera in modo isolato.

I soggetti partecipanti sono tutti quelli riportati nella dichiarazione dei principi ?

Tutti quelli e qualcuno di più. Quell’elenco non comprende il Municipio di Santa Pau, né il

Movimento per la Pace, l’Associazione Catalana per l’Aiuto ai Rifugiati, le Brigate

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Internazionali di Pace e il Comitato Catalano per l’ACNUR. Gli ultimi due non sono

membri effettivi, ma osservatori.

2. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo

interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale?

Si lavora affinché le decisioni siano le più condivise possibili. Esse vengono prese

attraverso l’Assemblea Plenaria. Ve ne sono alcune quasi automatiche, per le quali non

serve neppure consultarsi: con esse si procede direttamente ad informare tutti i componenti

della tavola via Internet. Per il resto, si ricorre all’Assemblea Plenaria, ossia un organo

decisionale formato da un rappresentante di ciascuno dei componenti della tavola.

Normalmente le decisioni vengono prese per consenso unanime: fino ad ora non abbiamo

mai votato. Se c’è qualcuno che è molto contrario all’iniziativa, al progetto di cui si sta

discutendo, allora il tutto si blocca e quell’iniziativa non potrà essere svolta. Ugualmente,

se si deve firmare un documento che, per intero o per una sua parte, è contrario al mandato

di un componete della tavola, quel documento non viene firmato. La logica interna al

coordinamento non è modellata sulla base della teoria democratica, viceversa ogni membro

esercita il diritto di veto.

Affianco all’Assemblea Plenaria c’è una segreteria tecnica che ha il compito di mettere in

atto quanto deciso. Questo non significa che ci siano delle attività esclusivamente attribuite

alla segreteria tecnica. Nella realizzazione di tutte le attività della tavola che hanno

un’incidenza politica possono partecipare tutti i suoi componenti, dalle amministrazioni,

alle associazioni, alle ONG.

Per esempio, l’organizzazione delle giornate che si svolgono annualmente, a cui

partecipano vari esponenti delle amministrazioni pubbliche e della società civile

colombiana, catalana ed internazionale, è affidata alla segreteria tecnica; accanto ad essa

c’è, però, un comitato che ha funzioni amministrative e decisionali.

In sintesi, nel coordinamento coesistono tre livelli: l’Assemblea Plenaria, che si riunisce

una volta al mese; il comitato operativo formato da un rappresentante per ogni suo

componente, creato per l’organizzazione delle giornate annuali, ossia l’evento più

importante della tavola; infine, la segreteria tecnica. In questo momento la segreteria è

formata da due persone: una si occupa del lavoro che viene svolto normalmente da questa

struttura, mentre l’altra si concentra sull’organizzazione delle giornate.

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Dove si celebreranno le giornate? La partecipazione ad esse è aperta al pubblico?

Le giornate quest’anno si svolgeranno dal 14 al 16 aprile. Stiamo ancora definendo lo

spazio, sicuramente l’evento si svolgerà nella città di Barcellona. È possibile che gli

incontri del primo giorno si svolgeranno in uno spazio istituzionale, come l’anno passato,

in cui l’apertura ha avuto luogo nella sede della Regione, ossia il palazzo della Generalitat.

Per quanto riguarda la partecipazione essa è aperta a tutto il mondo.

3. C’è un rappresentante unico della Tavola? Se si, come è stato eletto?

No, non c’è un rappresentante unico. Di tanto in tanto accade che qualche situazione ne

richieda la presenza: per esempio, la partecipazione ad una riunione ufficiale. A quel

punto, nell’Assemblea Plenaria si decide chi assumerà le vesti di rappresentante della

Tavola. La scelta viene fatta in base alle capacità e competenze delle singole persone che

lavorano nel coordinamento e a seconda della tipologia dell’incontro.

4. Come si distribuiscono i compiti tra i diversi componenti della Tavola? Tutti i soggetti

partecipano in forma uguale o a seconda della loro disponibilità e della loro

specializzazione?

Secondo la loro disponibilità, specializzazione ed interesse. È tutto molto libero in questo

senso. Tutto quello che non viene svolto dall’insieme dei membri della tavola, viene svolto

dalla segreteria tecnica. Gran parte del lavoro viene svolto dai componenti della tavola, ma

il tutto avviene in modo spontaneo. Nell’Assemblea Plenaria si stabilisce l’agenda da

seguire. Successivamente si decide chi si occuperà di una cosa e chi di un’altra. Ripeto, è

tutto molto spontaneo e dettato dalle capacità e dall’interesse personale di ognuno.

5. Quali sono le linee programmatiche, le priorità e i comuni criteri d’azione della

Tavola?

Il fine del nostro lavoro è quello di far arrivare al governo della Catalogna e di Spagna e, in

minor parte, ad alcuni parlamentari che lavorano nell’Unione Europea con cui siamo in

contatto, le rivendicazioni della società civile colombiana organizzata, che preme per una

soluzione politica del conflitto e per la protezione dei diritti umani. Inoltre, la Tavola

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lavora congiuntamente con altre coordinamenti europei che lavorano contro l’impunità e

l’applicazione del Diritto Internazionale Umanitario in Colombia.

Tutte le nostre rivendicazioni fanno riferimento al compimento delle raccomandazioni

dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.

Per quanto riguarda i comuni principi che regolano il nostro operato essi sono raccolti nella

nostra dichiarazione di intenti del 2003.

6. Quali sono i progetti proposti dalla Tavola per la promozione del processo di pace in

Colombia?

Come accennato, l’evento più importante è quello delle giornate, che organizziamo

annualmente.

Il primo anno, le conferenze tenutesi hanno voluto contribuire alla visibilizzazione dei

movimenti sociali colombiani attivi per la costruzione della pace. In quell’occasione

ospitammo rappresentanti istituzionali, membri del movimento delle donne, del

movimento indigeno, delle organizzazioni sindacali, persone operanti non solo sul piano

politico, ma anche su quello culturale.

L’anno seguente abbiamo presentato la relazione del 2003 del Programma delle Nazioni

Unite per lo Sviluppo, intitolata Colombia: vicolo cieco senza uscita?, ed invitammo

l’equipe che ha lavorato per la sua stesura.

Quest’anno riguarderà la politica europea verso la Colombia, ossia si cercare di gettare uno

sguardo su quanto sta facendo l’Unione Europea a favore del processo di pace in

Colombia, alla promozione e alla protezione dei diritti umani: in che misura sta

contribuendo al raggiungimento di questi propositi o se, al contrario, non lo sta facendo.

Ogni quanto prepara questo genere di relazione il PNUD?

Questo tipo di relazione viene pubblicato occasionalmente. L’equipe del PNUD considera

ogni sua relazione come un lavoro aperto. Difatti nella regione si continua a lavorare, ad

osservare. La prossima loro pubblicazione è prevista per la metà dell’anno in corso.

7. La Tavola catalana si definisce come un agente di cooperazione decentralizzata?

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La tavola catalana non possiede lo statuto di entità giuridica e pertanto non amministra

fondi. Di conseguenza, non siamo impegnati nella realizzazione di nessun progetto di

cooperazione, né abbiamo nulla a che vedere con questo. La tavola è fondamentalmente un

coordinamento regionale mirante ad ottenere una maggiore incidenza politica sul territorio

catalano, attraverso la divulgazione delle iniziative di pace nella società catalana,

utilizzando tutti i mezzi di comunicazione. Come Tavola non possediamo alcuna

controparte con cui cooperare per la realizzazione di progetti di cooperazione. Ciò non

toglie che all’interno della Tavola ci siano dei soggetti che portano avanti questo tipo di

progetti per conto proprio. Per esempio, le diverse amministrazioni municipali catalane

raggruppate nel Fondo Catalano di Cooperazione allo Sviluppo.

8. Caratteri positivi e negativi della Tavola: svantaggi e vantaggi. In che aspetti potrebbe

migliorare? Come?

Tra i vantaggi figurano sicuramente l’elevata operatività e la possibilità di realizzare

attività con un profilo politico molto alto.

Fin dal principio la Tavola ha dimostrato di essere operativa, poiché a tutti i suoi membri è

costato molto poco trovare dei punti d’incontro. Questo ha reso molto spontaneo il

processo decisionale del coordinamento. Credo che questa spontaneità ed operatività

dipendano soprattutto dal tipo di persone che ne fanno parte, dal loro pragmatismo e dal

loro impegno.

Questa operatività avrebbe potuto essere ancora più elevata in alcune occasioni, ma

l’essenza stessa della Tavola (ossia la coordinazione di numerosi soggetti, la diffusione

delle informazioni tra tutti i suoi membri e la necessaria approvazione degli stessi su

qualsiasi decisione presa) lo ha impedito.

La Tavola potrebbe migliorare sotto diversi aspetti. Prima di passare a questo tema vorrei

esporre gli obbiettivi raggiunti. In primo luogo, si è ottenuta una maggiore conoscenza

della situazione colombiana in Catalogna, sia tra le amministrazioni che tra la società

civile; questo ha fatto sì che il livello di preoccupazione e di attenzione sul conflitto armato

colombiano sia molto accresciuto. Attraverso le giornate che annualmente organizziamo da

tre anni si è riusciti a far maggiore chiarezza sulle cause del conflitto interno armato

colombiano.

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Una delle carenze maggiori consiste nella difficoltà di produrre dei documenti scritti

riguardo le attività portate avanti. La necessità di passare al vaglio dell’opinione di tutti i

suoi membri può portare a questo tipo di inconveniente, soprattutto se si considera che la

Tavola è ancora in processo di formazione. Alludo alle motivazioni per le quali poco fa le

ho spiegato il perché io non possa rispondere alle domande della seconda parte della sua

intervista, riguardante il conflitto colombiano nella fattispecie. Una volta risposto alle tue

domande, dovrei passarle al vaglio di tutti i membri della tavola e sarebbe un lavoro lungo

e faticoso riuscire a dare delle risposte che comprendano tutte le opinioni presenti nel

coordinamento.

9. Da dove provengono i mezzi economici e umani della Tavola?

Come dicevo prima, la Tavola non amministra denaro in quanto non possiede alcuna

personalità giuridica.

Quanto ai fondi attraverso cui si sostenta la Tavola essi provengono da una donazione

annuale dei membri che ne fanno parte, diversa a seconda della natura dei componenti. Per

ogni categoria di soggetti, la segreteria esecutiva fa una proposta, dopodiché i diversi

membri offrono quanto possono in base ai loro bilanci, alla loro grandezza e capacità

economica.

Questi fondi vengono utilizzati per coprire le spese d’ufficio, di eventuali viaggi e per

ricompensare il lavoro del rappresentante di ogni soggetto della Tavola che prende

attivamente parte ai lavori di coordinazione. La persona che lavora per un anno nella veste

di segretario tecnico lo fa grazie ai finanziamenti ottenuti attraverso l’approvazione di un

progetto presentato da uno dei membri della Tavola. La sua retribuzione rappresenta la

spesa più alta. Di anno in anno, a rotazione, una delle entità della tavola partecipa al bando

aperto dall’Agenzia Catalana di Cooperazione allo Sviluppo. Pertanto, ottenere questi

fondi non è automatico: per adesso è stata questa la procedura seguita, ma non è detto che

lo sarà per sempre. L’amministrazione catalana non finanzia la Tavola in modo diretto

proprio perché essa non possiede uno statuto giuridico ben definito.

Per quanto riguarda le giornate che organizziamo annualmente, esse vengono finanziate

grazie all’apporto di alcune amministrazioni pubbliche partecipanti al coordinamento: di

anno in anno possano cambiare.

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10. Oltre alla Tavola catalana per la Colombia, in Europa ci sono altri coordinamenti

regionali simili: che tipo di relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero

essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare?

Le relazioni in verità sono molto poche, se non nulle. Conosciamo un poco alcune

coordinazioni regionali che hanno partecipato ad un seminario sulla cooperazione

decentralizzata in Colombia organizzato nel 2003 dal Fondo Catalano di Cooperazione allo

Sviluppo.

Poi conosciamo alcune coordinamenti che fanno parte dell’Oficina de Derecho

Internacional Acciòn Colombia (OIDACO), che è la controparte europea della

coordinazione colombiana Coordinaciòn Colombia/Europa/Estados Unidos. OIDACO è

costituita da coordinazioni nazionali di agenti di cooperazione che lavorano per la

protezione dei diritti umani in Colombia. Essa è presente in Gran Bretagna, Francia,

Belgio, Germania, Svizzera, Irlanda. In Spagna ancora no: sul territorio spagnolo operano

delle ONG che ne fanno parte, ma ancora manca una coordinazione forte tra loro, che ad

ogni modo sta crescendo nel tempo. Noi siamo un suo osservatore ed alcune delle nostre

azioni le abbiamo organizzate in modo congiunto con OIDACO, ma non ne facciamo parte

a tutti gli effetti perché la Tavola è costituita non solo da agenti di cooperazione ma anche

da amministrazioni pubbliche.

I nostri principi cardine sono: la risoluzione politica del conflitto armato e il rispetto delle

raccomandazioni delle Nazioni Unite. Per quanto concerne i comuni criteri da adottare

dalle diverse coordinazioni europee credo che più l’azione sarà coordinata più potrà essere

efficace.

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Intervista alla rappresentante di un componente della “Taula Catalana

per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: Escola de cultura de Pau i

Càtedra UNESCO sobre Pau i Drets Humans, presso l’Università

Autonoma di Barcellona

Data dell’intervista: 25.02.2005

Nome della persona intervistata: Alicia Barbero, Responsabile del Programma “Colombia

internazionalizzare la pace”, Scuola di Pace, UAB.

Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione.

1. Da quanto tempo l’Università fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a

farne parte? Per soddisfare quale esigenze?

In realtà il processo è stato contrario: l’Università Autonoma di Barcellona è uno tra i

fondatori del coordinamento catalano. Il programma sulla Colombia è iniziato attorno al

2000. Uno degli obbietti della Escola de cultura de Pau era aumentare il numero degli

attori catalani coinvolti nell’accompagnamento internazionale delle iniziative di pace a

favore della Colombia e, contemporaneamente, far sì che le attività portate avanti dai pochi

soggetti catalani già mobilitati attorno a questo tema si armonizzassero. Insieme alla ONG

Cooperaciò ci occupammo quindi di prendere i primi contatti con altre ONG ed

amministrazioni pubbliche del territorio catalano per invitarle a prendere parte al nostro

progetto.

In questi anni abbiamo notato che il lavoro di accompagnamento internazionale a sostegno

della pace in Colombia ha incontrato molti ostacoli e difficoltà, tanto che a volte si è

arenato. Secondo la nostra visione questo è successo perché la prospettiva adottata da molti

coordinamenti che operano attorno al caso colombiano ha spesso preferito mettere in

risalto le differenze delle diverse posizioni coinvolte nel processo di pace. Quello che

invece tenta di fare il coordinamento catalano è porre sulla tavola il minimo denominatore

comune che ci permetta di operare. Fu così che arrivammo alla redazione della

Dichiarazione di intenti del coordinamento, i cui principi stanno alla base di tutto il nostro

lavoro.

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2. Quali sono le iniziative promosse dall’Università?

Quello che tenta di fare la Escola de cultura de Pau è molto semplice è può essere

sintetizzato in questo modo: il nostro obbiettivo è quello di contribuire

all’internazionalizzazione della pace colombiana; a questo scopo lavoriamo per mettere in

contatto diversi soggetti che lavorano a sostegno di iniziative internazionali di pace e ci

preoccupiamo affinché quelli operanti sul territorio catalano si complimentino uno con

l’altro.

Più in concreto, in primo luogo ci occupiamo di elaborare una serie di documenti

attraverso cui informiamo sulla situazione del conflitto e, soprattutto, diamo visibilità alle

diverse iniziative civili di pace colombiane. I documenti elaborati sono disponibili in

Internet sul sito della scuola e vengono redatti settimanalmente e ogni tre mesi: si tratta del

Colombia Semanal e El Boletìn Trimestral. Inoltre, ci occupiamo della redazione di altri

documenti destinati alla pubblicazione su riviste specializzate.

In secondo luogo, appoggiamo reti di soggetti che lavorano in relazione al caso

colombiano. Da un lato, tentiamo di stimolare il lavoro della “Taula Catalana per la Pau i

els Drets Humans a Colombia”; dall’altra, ci occupiamo della sensibilizzazione della

popolazione catalana sul tema colombiano. Con l’aiuto delle ONG Cooperacciò ed

Amnesty International cerchiamo di fornire sempre nuovi elementi di analisi sul caso

colombiano dal punto di vista dell’internazionalizzazione della pace, sulla base dei quali

indirizzare il lavoro degli altri attori. Il nostro sostegno alla Tavola consiste quindi in un

aiuto ai lavori di pianificazione e di diffusione delle informazioni riguardo al lavoro svolto.

Contemporaneamente, siamo impegnati nell’accompagnamento internazionale di altre due

“reti”, ovvero noi le chiamiamo così ma si tratta di reti solo dal punto di vista informale.

Tale accompagnamento è rivolto alle organizzazioni mobilitate attorno ai diritti delle

donne in Colombia e alle iniziative civili di pace provenienti da alcuni municipi

colombiani, in contatto con alcuni municipi catalani. Riguardo a queste ultime due

tematiche, quello che abbiamo fatto è stato elaborare una strategia che si è concretizzata

nel programma di due borse offerte a rappresentanti colombiani operanti in questi due

ambiti. Questo è il secondo anno che siamo riusciti ad offrire queste due borse.

Quest’anno, una è stata offerta ad una rappresentante della Ruta Pacifica de las mujeres

colombianas e l’altra ad un rappresentante della Governabilidad participativa desde los

municipios.

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3. In che modo è stata garantita l’implementazione (mezzi economici, risorse umane) di

queste iniziative?

Per l’elaborazione di documenti e la loro diffusione i mezzi provengono dal bilancio

dell’Università o da altre istituzioni che ce li commissionano. Per esempio, al momento

stiamo lavorando attorno ad un documento sul movimento di donne colombiane finanziato

dalla ONG catalana Justicia y Pau.

Anche il nostro lavoro di appoggio alla “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a

Colòmbia” viene finanziato in parte dall’Università, ossia dai fondi che questa riceve dalla

Generalitat.

Riguardo al finanziamento delle due borse annuali l’iter è stato un poco più complicato.

Per esempio, prima di arrivare alla borsa concessa per due anni a due rappresentanti della

Ruta pacifica de las mujeres il nostro lavoro ha consisto nel metterci in contatto con

diverse organizzazioni impegnate su questo fronte in Colombia e in Catalunya. Una volta

stabilita una fitta rete di relazioni con le promotrici di diverse iniziative civili di pace,

abbiamo organizzato un seminario sul tema qui a Barcellona, al quale hanno partecipato

membri di amministrazioni pubbliche e numerose ONG operanti a livello catalano,

colombiano ed internazionale. Al momento sono alte le probabilità che questi fondi siano

riconfermati negli anni a venire: grazie ad essi oggi esiste realmente un movimento

internazionale di donne fatto dall’insieme delle organizzazioni che lavorano per la difesa

dei diritti delle donne colombiane.

Per quanto riguarda l’altra borsa a favore del rafforzamento delle iniziative civili di pace di

alcuni municipi colombiani, la realizzazione del progetto si è avvalsa del sostegno del Fons

Català e della Deputaciò di Barcellona, ossia i primi soggetti con cui abbiamo cominciato

a lavorare attorno al tema. Dopo la loro partecipazione alla prima edizione delle giornate

del 2003 sulle diverse iniziative di pace provenienti dalla popolazione civile colombiana,

durante le quali ospitammo alcuni rappresentanti delle municipalità colombiane interessate

all’iniziativa, vennero avviate le prime relazioni tra amministrazioni locali catalane e

colombiane. I rapporti si consolidarono in maniera più stabile e continuativa nel tempo

anche attraverso questa borsa.

I fondi delle borse provengono dalla Generalitat, dal Fons Català e dalla Deputaciò.

Quello che noi cerchiamo di fare come Università e Escola de cultura de Pau è realizzare

le condizioni necessarie affinché si materializzino questi fondi. Simbolicamente il nostro

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lavoro somiglia a quello di una badante che si occupa di un bambino: una volta cresciuto il

bambino la badante se ne va’.

4. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare

sul territorio?

Le due persone che in questo ufficio dell’UNESCO si occupano del caso colombiano

siamo io e Kristian Herbolzheimer. Sia io che Kristian abbiamo vissuto in Colombia per

due anni, dove torniamo regolarmente per periodi di tempo più o meno lunghi. Kristian in

particolare vive lì per almeno sei mesi l’anno. Viaggiamo entrambi per nostro conto. Le

nostre attività sul territorio sono finalizzate al mantenimento delle relazioni intrattenute

con numerosi attori colombiani, operanti a diversi livelli: università, sindacati, municipi,

ONG, ecc., a seconda del tema attorno cui stiamo lavorando.

5. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al

passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio

degli Stati nazionali?

La crescita dell’interesse e della diversità dei soggetti operanti su temi quali lo sviluppo dei

paesi del Sud del mondo è molto importante in quanto contribuisce ad allargare il raggio

d’azione della cooperazione, ossia ad aumentare le possibilità che le diverse iniziative

proposte vengano approvate.

Naturalmente il buon finanziamento della cooperazione dipende oggi, così come ieri, dal

tipo di progetti finanziati. Inoltre, nessuno nega che oggi esistano rischi legati al minor

controllo.

Dall’altra, le enormi possibilità derivanti dalla decentralizzazione della cooperazione sono

innegabili, al meno dal punto di vista teorico. Il maggior grado di informalità che oggi la

caratterizza può, di fatti, facilitare il processo per il quale le esigenze della popolazione

civile del Sud siano captate in modo più efficace e reale dalla molteplicità degli attori che

oggi operano in questo campo, sia nel Nord che nel Sud. La capillarità dei campi d’azione

di questi attori fa in modo che la sensibilizzazione della popolazione del Nord attorno a

queste tematiche sia maggiore. Pertanto, la possibilità d’incisione del locale sull’agenda

mondiale diviene oggi un fatto reale. Questo perché le nuove dinamiche della cooperazione

non permettono solo che diversi attori del Nord finanzino un maggior numero di progetti

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nel Sud, ma anche che i paesi donanti assumano nella propria agenda politica gli obbiettivi

delle agende dei paesi beneficiari, al fine di ottenere un risvolto politico sulla scena locale

d’appartenenza.

Riguardo al coordinamento.

3. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo

interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale?

La dinamica di funzionamento è di tipo orizzontale. C’è una segreteria tecnica che

organizza e canalizza, ma le decisioni vengono prese all’unanimità all’interno

dell’Assemblea Plenaria che si riunisce mensilmente. Nel caso di un’urgenza si utilizza la

comunicazione elettronica per informare tutti i componenti della Tavola e per trovare un

accordo su come agire.

La distribuzione dei compiti tra i soggetti partecipanti alla tavola avviene in modo

spontaneo, ossia secondo il loro interesse e la loro disponibilità.

4. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa

potrebbe migliorare?

Tenuto conto della difficoltà d’azione nella situazione colombiana, credo che la

partecipazione istituzionale catalana sia un aspetto assolutamente positivo della Tavola, in

quanto eleva il peso politico dell’accompagnamento alle iniziative civili di pace

provenienti dalla popolazione colombiana.

Contemporaneamente anche i limiti, più che le difficoltà, risiedono nella stessa

partecipazione istituzionale. Esclusi noi, gli altri soggetti istituzionali partecipanti operano

allo stesso tempo in cinque o sei paesi. Pertanto la partecipazione alla Tavola corrisponde

per loro ad un lavoro extra. La conseguente limitazione del tempo dedicato al caso

colombiano da parte di molti componenti della Tavola rappresenta quindi il limite

maggiore all’avanzamento dell’analisi collettiva del coordinamento in relazione ad un

conflitto complicato, che richiederebbe una maggiore operatività.

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5. Oltre alla Tavola catalana per la Colombia, in Europa ci sono altri coordinamenti

regionali simili: che tipo di relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero

essere i criteri comuni d’azione adottati o da adottare?

Credo che tra i diversi coordinamenti regionali operanti sul piano europeo attorno al tema

colombiano esistano delle relazioni adeguate, capaci cioè di permettere la nascita di

collaborazioni e di assicurare contemporaneamente la giusta autonomia ad ognuno. Mi

riferisco ad esempio al lavoro svolto da OIDACO, dal Cono Sur e dalle Brigate

Internazionali di Pace. Noi della “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a

Colombia” intratteniamo rapporti stabili con tutti e tre queste organizzazioni.

Chiaramente esistono altri coordinamenti, più o meno diversi dal nostro, che abbiamo

incontrato e contattato solo occasionalmente. Questo è il caso ad esempio di Swippcool, un

coordinamento svizzero molto simile alla Tavola catalana per le sue finalità d’incidenza

politica sul piano locale e internazionale, ma maggiormente orientato nella realizzazione di

progetti di cooperazione sul territorio colombiano. Ugualmente, solo di tanto in tanto

abbiamo intrattenuto relazioni con il coordinamento italiano della Regione Lombardia, che

ha approfondito in modo più specifico la prospettiva delle municipalità, per il

rafforzamento del potere e della governabilità locale in Colombia.

Riguardo il processo di pace colombiano.

1. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero

essere?

Il conflitto colombiano è molto complesso: non è solo un conflitto armato, bensì un

conflitto economico, sociale, culturale e armato.

La situazione di un conflitto armato è simile ad una piramide. Semplificando, potremmo

dire che il vertice è rappresentato dal governo, la guerriglia e le forze paramilitari, ossia gli

attori armati coinvolti nella confrontazione diretta; seguono gli attori intermedi, quali le

municipalità, i sindacati, le imprese e gli attori internazionali; infine, c’è la base, il resto

della popolazione. Una negoziazione pura e dura implica evidentemente che si raggiunga

un accordo tra gli attori direttamente coinvolti nei combattimenti: quindi le forze nazionali

di sicurezza, la guerriglia e le forze paramilitari. Affinché ci sia un processo di pace

integrale, mi riferisco cioè ad una costruzione di pace che provenga dalla base della società

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e che passi per tutti i successivi livelli, è necessario generare delle condizioni che passino

attraverso uno sviluppo sostenibile, per l’inclusione del differente, per il cambiamento

dell’atteggiamento degli attori intermedi ed internazionali che stanno alimentando la guerra

e la povertà.

Tutti questi attori dovrebbero essere coinvolti.

2. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia?

Per l’accordo di pace tra gli attori primari le maggiori difficoltà sono: la grande sfiducia

maturata in modo reciproco nel processo storico degli ultimi 60 anni; la non partecipazione

della società civile organizzata; l’esistenza di fonti d’ingresso che alimentano la guerra,

connessi al conflitto economico internazionale.

Lo Stato colombiano dovrebbe cercare di generare le condizioni necessarie perché tutti gli

attori primari si siedano simultaneamente al tavolo delle trattative. Questo avverrà solo

dopo che il governo si deciderà ad avviare cambiamenti strutturali di ampio raggio nella

politica interna del paese e dopo che anche gli attori armati si decideranno a modificare il

loro atteggiamento. Inoltre, affinché vengano create queste condizioni, è necessario che ci

sia un cambio anche nella politica estera del governo, soprattutto per quanto riguarda le sue

strette connessioni con gli Stati Uniti.

3. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi

maggiori per la risoluzione del paramilitarismo?

In primo luogo, il governo colombiano; in secondo luogo, tutti gli attori nazionali ed

internazionali che lo stanno finanziando in modo diretto e tutti gli attori che, alimentando il

commercio internazionale di droga, lo finanziano in modo indiretto .

E per la risoluzione del narcotraffico?

Da un lato, tutti gli attori nazionali ed internazionali che finanziano il paramilitarismo;

dall’altro, lo Stato colombiano che porta avanti una politica di guerra.

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4. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della

società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e

come potrebbero migliorare.

Ci sono movimenti legati alla difesa dei diritti umani e movimenti legati al tema della pace.

Nonostante l’alto tasso di violenza che comporta un conflitto di così lunga durata, la

Colombia è uno dei paesi in cui più forti e grandi sono i movimenti sociali.

Le difficoltà della loro azione sono legate alle divergenze esistenti tra le sue componenti,

così diverse tra loro che molte volte risulta difficile giungere a degli accordi. Difficoltà

ancora maggiori sono determinate dal protagonismo che gli attori primari del conflitto

hanno nelle negoziazioni e nelle trattative di pace, a svantaggio del resto dei movimenti.

La Tavola di Cartagena ha fornito recentemente una dimostrazione della forza e della

vastità della società civile colombiana mobilitata nella difesa dei diritti umani e della pace.

Forza che è stata possibile esprimere grazie ad un accordo raggiunto da vari suoi esponenti:

dalla chiesa, alle imprese, ai difensori dei diritti umani, etc.

5. Analisi della politica portata avanti dallo Stato colombiano riguardo al processo di

pace durante l’attuale Governo del presidente Uribe. Individuare quali sono le maggiori

carenze e difetti.

La politica dell’attuale presidente Uribe non potrebbe essere più lontana dal creare quelle

condizioni di cui parlavo prima necessarie ad avviare il processo di pace. Di fatti, essa si

rifiuta in tutti i modi di riconoscere l’esistenza del conflitto armato e delle sue cause,

preferendo riferirsi ad esso in termini di violenza e di terrorismo contro cui opporre la sola

forza bellica.

6. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana

dell’attuale presidenza Bush?

L’atteggiamento dell’attuale amministrazione Bush appoggia pienamente la strategia

militare di Uribe, sostenendola finanziariamente attraverso il Plan Colombia e il Plan

Patriota. Questa sua posizione, insieme all’accanimento mostrato riguardo la domanda di

estradizione di alcuni criminali legati non solo al narcotraffico ma anche alla guerriglia,

mette in serie difficoltà il processo delle negoziazioni. Infine, evidente è l’interesse degli

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Stati Uniti per il controllo del territorio e delle risorse colombiane, a causa della posizione

geografica strategica del paese rispetto al resto del continente sudamericano, su cui gli Stati

Uniti mantengono forti ambizioni di controllo economico. Contemporaneamente però, la

politica di Bush ha dimostrato una chiara posizione rispetto al processo di negoziazione

avviato dal Governo colombiano con i paramilitari, per il quale il Governo statunitense ha

preteso chiari segnali che dimostrassero la volontà del Governo colombiano di non far

prevalere l’impunità.

7. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana?

L’atteggiamento dell’Unione Europea verso la Colombia è estremamente ambiguo. Solo

per fare un esempio, l’Unione ha condannato più volte la vendita di armi in Colombia ma

non ha preso nessun provvedimento chiaro che facesse desistere i suoi Stati membri dal

continuare commerci d’armi già avviati.

L’atteggiamento dell’Unione dovrebbe essere diretta al compimento di differenti strategie:

innanzitutto dovrebbe rivolgersi al taglio dei circuiti che finanziano la guerra, adottando

misure contro il riciclaggio di denaro di dubbia provenienza; dovrebbe togliere la

guerriglia dalla lista dei terroristi; operare affinché la cooperazione europea sia realmente

promotrice dello sviluppo sostenibile. Infine, dovrebbe essere molto più propositiva

nell’agenda mondiale affinché si generino le condizioni necessarie all’avvio del processo

di pace: la sua posizione dovrebbe assumere contorni più definiti per contrastare quella

degli Stati Uniti.

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Intervista alla rappresentante di un componente della “Taula Catalana

per la Pau i els Drets Humans a Colómbia”: il Fons Català de Cooperació

al Desenvolupament .

Data dell’intervista: 23.02.2005

Nome della persona intervistata: Nuria Camps, direttrice del Fondo Catalano di

Cooperazione allo Sviluppo.

Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione.

6. Da quanto tempo la fondazione fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a

farne parte? Per soddisfare quale esigenze?

Il Fondo Catalano è una rete costituita da più di 270 municipi che desiderano svolgere

attività di cooperazione internazionale in modo congiunto. Il fondo esiste da diciotto anni.

Quando è nata l’idea di costituire la “Taula Catalana per la Pau i els Drets Humans a

Colómbia” il fondo ha ritenuto necessaria la propria presenza nella tavola fin dal principio.

Dal punto di vista strategico l’azione del fondo in America Latina si è sempre basata

sull’idea che il sostegno al processo di pace sia il prerequisito fondamentale per qualsiasi

politica di cooperazione allo sviluppo: questa è stata la nostra posizione davanti al processo

di pace in Guatemala, del Salvador, del Nicaragua. Negli ultimi anni abbiamo lavorato sul

caso colombiano, in riferimento al quale riteniamo che la ricerca del dialogo tra le parti

costituisca la priorità assoluta per l’uscita dal conflitto.

Il nostro impegno in Colombia è iniziato molto prima della nascita della tavola catalana e

anche dopo essere entrati a far parte di questo coordinamento regionale, il nostro intervento

in Colombia ha continuato ad essere gestito direttamente dal Fondo. I vantaggi apportati

dalla tavola non si riferiscono ad un aumento della nostra presenza in Colombia; piuttosto,

la tavola ha permesso di approfondire la riflessione sulla situazione colombiana qui in

Catalunya, di sensibilizzare in misura maggiore la popolazione catalana e di ottenere una

maggiore incidenza a livello politico, sia sul piano regionale, nazionale ed europeo.

7. Da quanto tempo la fondazione si interessa al processo di pace in Colombia? Quali

sono le iniziative promosse dalla fondazione?

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Il nostro interesse per il caso colombiano risale a molti anni fa. In un primo momento il

fondo ha sostenuto in modo diretto alcuni gruppi colombiani attivi per la difesa dei diritti

umani; successivamente ha finanziato dei progetti attraverso le Brigate Internazionali di

Pace, concentrando i propri sforzi su iniziative di intermediazione ed accompagnamento di

persone sfollate ed in pericolo di vita. Più recentemente abbiamo avuto modo di conoscere

la realtà di alcuni municipi colombiani costituitisi collettivamente come Assemblea

Costituente. Con tale iniziativa i municipi aderenti si oppongono alle dinamiche del

conflitto e alle pratiche di violenza perpetrate da tutti i gruppi armati a danno della

popolazione civile. Condividendo la posizione assunta da questi municipi, stiamo

finanziando dei progetti a sostegno del comune di Tarso, di Caramanta e di altri comuni

situati in corrispondenza del Dipatimento di Antioquia, volti a rafforzare queste

amministrazioni ed a promuovere la crescita di questo movimento.

Alla base della politica ispiratrice del fondo sta la convinzione che la risoluzione del

conflitto passa attraverso la formazione di condizioni di sviluppo. Per questo, in

corrispondenza di queste zone finanziamo anche progetti produttivi, al fine di creare nuove

possibilità di lavoro e ridurre, di conseguenza, la partecipazione della popolazione

colombiana al conflitto armato.

Infine, in alcune occasioni sosteniamo delle iniziative di Amnesty International, la cui

attività è centrata nel fornire protezione a persone perseguitate, garantendo loro i mezzi

necessari ad uscire dal paese e rimanere in una situazione di sicurezza per periodi di tempo

determinati.

8. In che modo viene garantito il finanziamento delle iniziative e la loro sostenibilità nel

tempo?

Il sostentamento delle iniziative proviene interamente dalle risorse messe a disposizione

dai 270 municipi catalani che hanno deciso di destinare parte delle loro entrate al

finanziamento di progetti di cooperazione internazionale. È proprio grazie all’unione degli

sforzi di un così gran numero di municipi che il fondo riesce a sostenere economicamente

le sue controparti in modo continuativo nel tempo: può capitare che i progetti sostenuti

cambino, ma quello che il fondo si propone è di garantire alle sue controparti lo stesso

appoggio per lunghi periodi di tempo.

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9. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare

sul territorio? Quali sono le maggiori difficoltà incontrate?

Noi non ci occupiamo dell’implementazione dei progetti che sosteniamo, né della loro

ideazione: queste sono funzioni svolte dalle diverse controparti con cui lavoriamo sul

territorio colombiano. Come fondo ci preoccupiamo di fornire i mezzi economici necessari

per la loro messa in atto.

Quanto alle maggiori difficoltà incontrate nella nostra attività di sostentamento alle varie

iniziative di pace, esse sono dovute alla complessità stessa del conflitto colombiano, in cui

risulta molto difficile identificare i ruoli svolti dai diversi attori coinvolti nella violenza.

10. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al

passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio

degli stati nazionali?

Oggi si cerca di dare spazio ad una cooperazione più orizzontale, che riconosca come

propri soggetti attivi i popoli del Sud del mondo: sono le loro comunità che sono tenute ad

elaborare le diverse proposte, curando i progetti realizzati dalla fase di pianificazione a

quella di implementazione. Per comunità del Sud si intende non solo l’insieme delle sue

istituzioni, ma la collettività locale in senso ampio del termine.

L’idea è quella di dare vita ad una relazione stabile e durevole nel tempo tra popolo e

popolo, costruendo un ponte tra le municipalità catalane e quelle dei paesi beneficiari dei

fondi messi a disposizione. Il successo del fondo è quello di aver fatto si che più di cento

municipi catalani siano riusciti a mettere in pratica le raccomandazioni delle Nazioni

Unite, decidendo di destinare lo 0,7% del loro bilancio alla cooperazione internazionale.

Le risorse della cooperazione catalana sostengono progetti presentati dalla stessa Agenzia

per la Cooperazione della Generalitat, dalle ONG locali, dalle municipalità e ONG dei

paesi beneficiari. Una volta selezionate le proposte, i fondi vengono trasmessi alle

controparti vincitrici che decideranno in prima persona come gestire le risorse messe loro a

disposizione per la realizzazione dei progetti presentati.

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Riguardo al coordinamento.

6. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo

interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale?

La tavola ha un’organizzazione orizzontale e informale. Di fatto non esiste a livello

giuridico, bensì come spazio comune che mette in contatto diversi soggetti: dalle ONG, ai

sindacati, alle amministrazioni pubbliche locali operanti a diversi livelli. In essa sono

presenti il Governo della Catalunya, la Provincia di Barcellona, diversi comuni (tra cui

quello di Barcellona) e il Fons Catalá come rete di municipi.

Il fine è quello di esercitare un’incidenza politica forte, di creare una lobby. Attraverso le

giornate che si organizzano annualmente i diversi componenti della tavola scambiano idee

e si confrontano su diverse tematiche affrontate.

7. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa

potrebbe migliorare?

La tavola è uno spazio interessante come piattaforma di incidenza politica, sia a livello

locale che nazionale. A livello nazionale si sono aperti nuovi spazi interessanti da quando

nel paese si è avuto un cambio di governo: l’attuale amministrazione è di fatti molto più

vicina alle nostre posizioni e le nostre tesi rispetto a quella precedente.

L’informalità che contraddistingue la tavola è uno dei suoi maggiori vantaggi: questa

informalità permette che la coordinazione della tavola e delle sue iniziative venga di volta

in volta assunta da chiunque lo desideri. Per questo motivo ritengo che una sua

istituzionalizzazione, ossia la sua trasformazione in un’organizzazione con uno statuto

giuridico a sé, un proprio bilancio, una chiara suddivisione degli incarichi, non

comporterebbe alcun progresso. La forma attuale della tavola non presenta alcuna

mancanza o difetto di funzionamento.

8. Oltre al coordinamento catalano, in Europa, esistono altri coordinamenti regionali

mobilitati attorno al caso colombiano. Quali sono o quali dovrebbero essere i loro criteri

comuni d’azione?

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Sarebbe utile che questi coordinamenti regionali si impegnassero affinché ci fosse una

conoscenza tra loro sempre più ampia ed articolata. Un maggior confronto e un maggior

numero di collaborazioni aiuterebbe a tessere una rete sempre più fitta sulla quale potrebbe

consolidarsi una posizione europea più chiara e definita rispetto alla situazione in

Colombia. Allo stesso tempo questo accrescerebbe il potere d’incidenza politica

dell’Unione Europea in riferimento al tema colombiano sul piano internazionale.

Nuria Camps non ha voluto rispondere alle successive domande riguardanti la situazione

colombiana più nello specifico, giustificandosi con un malessere. Nonostante fossi riuscita

a strapparle la promessa di rispondere al resto dell’intervista via mail, non ho mai

ricevuto alcuna sua risposta.

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Intervista al rappresentante di un componente della “Taula Catalana per

la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”: la Fondazione Pau y Solidarietat

della Confederazione operaia catalana (CCOO)

Data dell’intervista: 17.02.2005

Nome della persona intervistata: Alonso Ceferino, sindacalista responsabile del programma

dedicato alla Colombia all’interno del comitato operaio Pau y Solidarietat.

Riguardo alla fondazione ed alla sua attività di cooperazione.

11. Da quanto tempo la fondazione fa parte del coordinamento? In che modo è entrata a

farne parte? Per soddisfare quale esigenze?

La fondazione Pau y Solidarietat è un comitato operaio per la Cooperazione e la

Solidarietà con i paesi del terzo mondo. Essa è membro della tavola catalana per la Pace e i

Diritti Umani in Colombia dalla fondazione del coordinamento. La tavola si è costituita nel

febbraio del 2003, ma prima di essa in Catalunya sono sorti altri comitati di solidarietà

mobilitati attorno al problema colombiano, costituiti da organizzazione sociali, sindacali,

politiche, ONG, etc. Con la costituzione della tavola anche le istituzioni pubbliche sono

entrate a far parte di questo coordinamento già esistente, a cui noi partecipiamo da 8-10

anni.

12. Da quanto tempo la fondazione si interessa al processo di pace in Colombia? Quali

sono le iniziative promosse dalla fondazione?

La fondazione si interessa al processo di pace colombiano da sicuramente più di dieci anni,

visto che il conflitto risale a tempi molto più lontani. I contatti con alcune delle

organizzazioni sindacali colombiane, quali la CUT e la USO, risalgono a tempi più lontani.

Queste relazioni sono state intessute nel tempo attraverso diverse collaborazioni. A

seconda di quanto ci è stato chiesto nei diversi momenti, abbiamo di volta in volta

sostenuto queste organizzazioni fornendo loro aiuti concreti, permettendogli, ad esempio,

di compiere delle visite qui in Catalunya; altre volte, abbiamo fornito loro il nostro

appoggio politico, per esempio, per la presentazione ai governi colombiani di Carte di

denuncia da loro realizzate.

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A livello catalano, la fondazione è impegnata nella realizzazione di un progetto di

cooperazione nella regione del Valle, attorno a Cali. Di fatto si tratta del primo progetto di

cooperazione che realizziamo. Il progetto è già stato approvato dalla Generalitat, ma non è

ancora stato avviato: comincerà entro la fine dell’anno in corso. Esso si occuperà della

formazione di un gruppo di sindacalisti appartenenti alla CUT, attorno a tematiche legate

alla salute lavorativa. Le modalità ed i caratteri specifici del progetto sono stati elaborati in

Colombia: sono stati i membri della CUT a rivolgersi a noi perché li aiutassimo a dare al

progetto la forma tecnica necessaria per potere partecipare ai bandi di finanziamento

catalani. Il progetto approvato durerà un anno; ad ogni modo contiamo di rinnovarlo ed

ampliarlo.

A livello nazionale si stanno finanziando altri progetti che riguardano interventi di varia

natura: dalla ricostruzione di uffici sindacali, alla fornitura di equipe informatici e di

materiale da stampa, al sostegno per popolazioni sfollate, incluso emigranti costretti ad

uscire dal paese.

Ad ogni modo, sia a livello locale che nazionale, riteniamo che il nostro compito primario

consista nel sensibilizzare ed informare la popolazione catalana e spagnola su quanto sta

accadendo in Colombia, cercare di far chiarezza sulle caratteristiche di un conflitto che si

prolunga oramai da così tanto tempo. Nessuno di noi pretende fornire soluzioni al conflitto:

riteniamo che questo competa alla popolazione colombiana. Da cui, consideriamo

necessario sostenere e divulgare qualsiasi iniziativa proveniente dalla popolazione civile

colombiana mirante alla risoluzione politica del conflitto. In particolare, condividiamo

appieno le tematiche attorno a cui sta lavorando la CUT e altri sindacalisti colombiani.

13. In che modo è stata garantita l’implementazione (mezzi economici, risorse umane) di

queste iniziative?

Finanziariamente il progetto verrà sostenuto dalla Generalitat della Catalunya. Per quanto

concerne le risorse umane, per la maggior parte sarà la CUT locale a fornirle. Naturalmente

se avessero bisogno di un qualche supporto - supervisori, insegnanti o materiale didattico -

ci preoccuperemo di inviare loro quanto richiesto.

14. Qualche vostro componente ha avuto la possibilità di recarsi in Colombia ed operare

sul territorio?

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Come fondazione Pau y Solidarietat non siamo ancora stati in Colombia: come le dicevo

prima, questo che realizzeremo l’anno che viene è il nostro primo progetto di

cooperazione. Fino ad ora abbiamo ricevuto diverse visite da sindacalisti colombiani:

dell’agenzia telefonica nazionale della Colombia (ossia Telecom Spagna), di compagnie

petrolifere, di imprese tessili. Abbiamo accolto queste persone venute qui per tenere

conferenze e denunciare quanto sta accadendo nel loro paese.

15. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al

passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio

degli stati nazionali?

Non so se si possa dire che la cooperazione realizzata secondo modalità decentrate sia più

o meno efficace rispetto a quella realizzata nel passato da stato a stato. Sicuramente, quello

che si può dire è che la cooperazione di oggi, capace di collegare tra loro le diverse

comunità, è più democratica e plurale. Queste caratteristiche derivano dal fatto che la

modalità d’azione decentrata consente di arrivare a beneficiare una maggior varietà di

soggetti, rivolgendosi non solo alle amministrazioni pubbliche locali ma anche alle

numerose ONG che operano in Colombia su tematiche molto diverse tra loro: dal tema di

genere, a quello legato al mondo agrario, a quello sindacale, a quello indigeno, a quello

ambientale. Credo che questo garantisca una maggiore pluralità e ricchezza rispetto al

passato in cui la cooperazione internazionale era affidata e totalmente gestita dai governi

dei paesi donatori e dei paesi beneficiari. Naturalmente, il suo orientamento era molto più

influenzato dalla tipologia e dall’ideologia dei governi in carica.

Riguardo al coordinamento.

9. Di che tipo di coordinamento si tratta: ovvero, come vengono prese le decisioni al suo

interno? Esiste un’organizzazione verticale o orizzontale? Esiste un rappresentante unico

della tavola? Come viene scelto?

La tavola ha una struttura orizzontale. La parola “struttura” non è adeguata: non abbiamo

di fatti nemmeno un presidente. Si tratta di un punto d’incontro tra diversi soggetti che si

sono riuniti per parlare e discutere sulle possibili modalità d’intervento a sostegno della

popolazione colombina. È vero che esiste una segreteria, ma le decisioni all’interno della

tavola si prendono sempre per consenso di tutti i partecipanti.

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10. Caratteri positivi e negativi del coordinamento: vantaggi e svantaggi. In che cosa

potrebbe migliorare?

Il non avere una struttura rende più complesso e lento il processo decisionale. Questo

significa ad esempio che la sua produzione di documenti scritti sia molto difficile.

Dovendo tutto dipendere dal consenso unanime dei suoi componenti, il coordinamento è

poco agile, poco operativo in relazione al tempo. In una situazione d’urgenza quello che

normalmente accade è che il gruppo di ONG che ha avuto le prime informazioni riguardo a

fatti concreti informa la segretaria, che in linea teorica possiede solo compiti

amministrativi, nessuna responsabilità politica. La ristrettezza dei tempi di una simili

situazione però, fa sì che la segretaria assuma delle responsabilità e dei compiti non

propriamente suoi. Questo a svantaggio della persona che svolge il lavoro di segretaria e a

vantaggio della tavola, che altrimenti non opererebbe.

I vantaggi derivanti dall’inesistenza di un’organizzazione verticale permette però che

nessuno predomini sugli altri: tutti i partecipanti della tavola sono uguali, tutti hanno

potenzialmente lo stesso diritto d’intervento. Contemporaneamente, non ci sono obblighi di

alcun tipo: ognuno può partecipare secondo la propria disponibilità ed interesse. Questo

rende molto aperta la partecipazione alla tavola a qualsiasi organizzazione che lo desideri.

11. Oltre al coordinamento catalano, in Europa, esistono altri coordinamenti regionali:

che relazioni esistono tra voi? Quali sono o quali dovrebbero essere i criteri comuni

d’azione adottati o da adottare dai diversi coordinamenti regionali europei?

Per quanto riguarda il nostro coordinamento regionale ci sono stati contatti ed occasioni

che ci hanno reso possibile la conoscenza di alcuni coordinamenti simili operanti in altre

zone d’Europa, ma non ci sono relazioni che ci legano a loro stabilmente nel tempo. Ad

ogni modo dei coordinamenti a livello europeo ci sono: per esempio, mi riferisco ad

OIDACO, con la quale abbiamo collaborato senza farne direttamente parte; oppure, ad

alcuni coordinamenti europei tra associazioni e soggetti istituzionali di matrice cristiana,

con cui abbiamo lavorato bene.

Per quanto concerne dei possibili criteri comuni da raccomandare a questi coordinamenti,

sicuramente ci si può riferire all’apertura necessaria degli stessi verso soggetti istituzionali

e non, appartenenti a qualsiasi orientamento politico. In questo la tavola catalana riesce

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molto bene: la varietà politica dei suoi componenti è molto ampia e ciò non costituisce un

problema per nessuno. Tutti hanno modo di sentirsi a proprio agio. Credo che questo

dipenda dalla drammaticità della situazione di violenza vissuta dalla popolazione

colombiana: di fronte alla gravità della situazione tutti dimostrano un’elevata disponibilità

a sedersi sullo stesso tavolo e a confrontarsi.

Riguardo il processo di pace colombiano.

8. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero

essere?

Gli attori da coinvolgere nel processo di pace sono tutti: perché un processo di pace sia

efficace è necessario coinvolgere l’intera cittadinanza colombiana, dal governo,

all’esercito, ai partiti politici, alle organizzazioni sindacali, etc. Non bisogna escludere

nessuno.

9. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia?

La domanda è troppo ampia e la risposta è complessa. Ad ogni modo questa complessità

dipende soprattutto dalla lunga durata del conflitto che ha largamente contribuito ad

approfondire le distanze tra le posizioni dei diversi soggetti coinvolti. Poi c’è la mancanza

di democrazia reale. Nonostante nel paese non ci siano stati periodi di dittatura, se non un

breve governo militare negli anni ‘50, lo svolgimento di elezioni per la scelta dei

governanti non è stato sufficiente ad assicurare la democrazia, perché queste elezioni si

sono svolte in modo irregolare. In una situazione di guerra, quale è quella colombiana, non

è possibile garantire ai cittadini la libera espressione delle proprie opinioni senza che essi

rischino di mettere in pericolo la propria vita.

10. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi

maggiori per la risoluzione del fenomeno del narcotraffico? E del fenomeno del

paramilitarismo?

Il narcotraffico è solo un problema del paese. Molti credono che risolvendo le questioni

legate al narcotraffico tutti i problemi del paese trovino una soluzione: questa è una visione

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errata. Ci sono problemi strutturali della società colombiana che sono indice della

mancanza di democrazia nel paese e che contemporaneamente alimentano il narcotraffico,

come ad esempio l’elevato tasso di disoccupazione. I sindacalisti colombiani sono

consapevoli che la situazione economica del paese non facilita affatto l’avanzamento

democratico della nazione. Quindi, se si vuole incidere sulla diminuzione del fenomeno del

narcotraffico bisogna intervenire con misure atte a diminuire il tasso di disoccupazione,

rafforzare gli strumenti di democrazia reale, garantire il rispetto dei diritti umani, risolvere

la questione agraria fornendo soluzioni diverse ai contadini coltivatori di coca.

Quanto all’esistenza di bande paramilitari che agiscono nell’assoluta impunità, questo è un

problema la cui responsabilità va attribuita ai diversi governi che si sono susseguiti in

Colombia. Non ci sono altri responsabili visto che la crescita e il consolidamento di queste

gruppi è imputabile ad un cattivo funzionamento di alcune sue istituzioni chiavi, dalle

forze di sicurezza ai rappresentanti del potere giuridico.

11. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della

società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e

come potrebbero migliorare.

L’attività politica colombiana è limitata da condizioni molto precarie e grosse difficoltà

determinate dallo stato di guerra del paese. I sindacati non possono esercitare appieno la

loro attività, così come le organizzazioni di donne e tutte le altre organizzazioni mobilitate

attorno ad altre tematiche: finché la situazione non cambierà il loro operato rimarrà

limitato.

12. Analisi della politica portata avanti dallo stato colombiano riguardo al processo di

pace durante l’attuale governo del presidente Uribe. Individuare quali sono le maggiori

carenze e difetti.

Quando Uribe arrivò al governo e durante la sua campagna elettorale promise di porre fine

alla violenza nel paese. La questione è che non spiegò chiaramente quale era la violenza

cui si riferiva: quella dei paramilitari, dei narcotrafficanti, dei guerriglieri, del capitalismo

selvaggio, dei latifondisti o delle corporazioni multinazionali. Col passare del tempo, è

stato chiaro che la violenza cui si riferiva era una sola: quella dei guerriglieri, per

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combattere i quali ha ottenuto l’appoggio incondizionato del governo degli Stati Uniti.

Dato che il suo mandato si era concentrato nel perseguimento della sicurezza nazionale,

ritengo che il suo mandato possa essere considerato solo un grosso fallimento. Nel paese

continuano ad esserci omicidi, popolazioni contadine costrette ad abbandonare le loro

terre, violenza nelle fabbriche, nelle città. Se le statistiche mostrano una diminuzione del

tasso di omicidi, contemporaneamente esse mostrano che il numero degli omicidi selettivi

è aumentato. Ciò significa che è cresciuto il numero di uccisioni a danno di dirigenti

sindacali, leader politici, leader dei movimenti contadini, delle comunità indigene: si sta

cercando di eliminare l’opposizione alla politica del governo di Uribe tagliando le “teste

pensanti” del paese.

13. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana

dell’attuale presidenza Bush?

Credo che la Colombia sia uno degli ultimi stati dell’America Latina su cui

l’amministrazione statunitense possa esercitare una profonda influenza. Nell’ultimo

periodo abbiamo visto come nel continente sudamericano siano sorti dei governi ostili alla

politica statunitense, a partire dal governo di Chavez in Venezuela, che gode della più

ampia legittimità politica nel continente; del governo di Lula in Brasile, del governo

dell’Ecuador e dell’Uruguay, di quello dell’Argentina.

Inoltre la Colombia è l’unico paese del continente nel quale ci sia ancora una situazione di

guerra, per cui tutta l’aggressività, tutti gli investimenti degli Stati Uniti diretti

nell’industria bellica sono confluiti in Colombia. L’aumento della presenza militare

statunitense in Colombia e soprattutto nelle zone di confine con il Venezuela potrebbe

essere estremamente pericoloso.

14. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana?

Credo che la politica europea dovrebbe essere più chiara, più lontana e distante da quella

statunitense. Penso che dovrebbe sostenere in modo più efficace il rafforzamento

democratico e il rispetto dei diritti umani. Ritengo che attualmente l’Unione Europea non

agisca nel pieno delle sue potenzialità ma con molta paura e indugio, rimanendo troppo

condizionata dall’atteggiamento degli Stati Uniti e dalla opinioni espresse dei suoi

governanti. Di fatto essa interviene solo con programmi umanitari e di solidarietà, quando

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invece dovrebbe aumentare il proprio sostegno economico per interventi miranti al rispetto

dei diritti umani, politici, sindacali, alla costruzione di un paese realmente democratico.

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Intervista ad una rappresentante della Ruta Pacifica de las Mujeres,

ospite a Barcellona grazie ad un progetto finanziato dalla “Taula

Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colòmbia”:

Data dell’intervista: 23.02.2005

Nome della persona intervistata: Monica Valencia Giraldo, rappresentante della Ruta

pacifica de las Mujeres Colombianas.

Monica Valencia è una rappresentante del movimento colombiano di donne Ruta pacifica

de las Mujeres, ospite in Catalunya per un anno grazie a dei fondi ottenuti dalla Taula

Catalana per la Pau i els Drets Humans a Colombia e messi a disposizione dalla

Generalitat. Il progetto di questa borsa è stato presentato all’Agenzia di Cooperazione

Catalana attraverso la ONG catalana Cooperacciò, membro del coordinamento. È il

secondo anno consecutivo che la Ruta Pacifica ha potuto beneficiare di questa borsa. Il fine

della borsa è quello di far conoscere l’esistenza del movimento di donne colombiane, la

drammatica situazione in cui sono confinate, le loro rivendicazioni e le iniziative che

portano avanti in Colombia.

Riguardo al movimento Ruta pacifica de las mujeres

1. Quando è nato il movimento?

La Ruta Pacifica rappresenta una parte dell’ampio movimento sociale delle donne

colombiane. Essa è sorta nel 1996 sulla base di un accordo nazionale di differenti

organizzazioni che si sono unite per dare una maggiore visibilità alla drammatica

situazione in cui vivono le donne colombiane in corrispondenza delle zone del conflitto

armato.

2. Qual è la sua composizione?

La Ruta Pacifica raccoglie oggi più di 350 organizzazioni di donne attive in diverse parti

del paese; al suo interno cospicua è anche la presenza di donne che aderiscono al

movimento in forma individuale. In modo approssimativo la Ruta Pacifica è formata da

3500 donne. La sua presenza è dislocata in quelli che noi definiamo le “zone focali” del

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paese, che attualmente corrispondono a nove grandi città colombiane. Ad ognuno di essi

corrisponde una sede regionale.

3. Quali sono le sue dinamiche di funzionamento? È un movimento orizzontale o

verticale?

Si tratta di un movimento circolare: nello spazio più esterno ci sono i coordinamenti

regionali che raccolgono le diverse organizzazioni sparse nel territorio regionale; in quello

più interno c’è il coordinamento nazionale, formato da una rappresentante per ogni sede

regionale e coordinato da una segretaria esecutiva.

4. Quali sono i principi condivisi dall’insieme delle organizzazioni presenti nella Ruta

Pacifica?

La Ruta Pacifica nasce dalla volontà di rendere visibili i danni del conflitto armato

provocati da tutti gli attori coinvolti nel combattimento, in sostanza: la guerriglia, i

paramilitari e l’esercito colombiano. Non si tratta solo di un movimento di denuncia: le sue

varie componenti hanno elaborato una serie di proposte per sostenere una soluzione

politica del conflitto, tutte accomunate da quello che è il nostro principio fondante, ossia la

scelta della via pacifica. Gli altri principi basilari condivisi sono quelli della non violenza,

della resistenza civile, dell’antimilitarismo. Tutte le sue componenti operano nella

convinzione che la via militare non rappresenti una soluzione possibile di un conflitto così

prolungato. L’ obbiettivo del movimento è quello di contribuire alla costruzione di

relazioni etiche che permettano di valorizzare il tessuto sociale e la diversità delle

iniziative provenienti da tutti i soggetti sociali che condividono la via del pacifismo.

5. Quali sono state e quali sono le iniziative del movimento?

Per la difesa di queste idee sono anni che organizziamo una serie di manifestazioni che

culminano nella giornata del 25 novembre, che corrisponde alla giornata nazionale della

non violenza. In quest’occasione i temi affrontati non sono legati ovviamente solo alla

pace, ma anche e soprattutto alla guerra. Di fatti uno dei nostri obbiettivi è quello di

rendere visibili le differenti manifestazioni del conflitto che interessano le diverse zone del

paese.

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La nostra mobilitazione è iniziata nel 1996 nella zona dell’Urabà, nel nord-est del paese,

nelle vicinanze del confine con Panama. Si tratta di una zona dove in passato la presenza

delle forze guerrigliere era molto elevata: sia delle FARC, che dell’ELN, che dell’EPL.

Attorno al 1996 cominciarono ad esserci delle tensioni tra le FARC e l’EPL. Qualche anno

prima invece, tra il 1994-95, la zona fu interessata da un rafforzamento delle truppe di

autodifesa, ossia eserciti privati assoldati dai grandi latifondisti e industriali, nelle zone

dove lo stato non riesce a garantire un controllo sufficiente del territorio. Il paramilitarismo

è un fenomeno che ha cominciato a manifestarsi a partire dagli anni ’80 e rappresenta un

mezzo con cui gli industriali e i latifondisti hanno scelto di difendere i propri interessi e

proprietà, messi in pericolo dalle azioni predatorie dei gruppi guerriglieri. La zona

dell’Urabà rappresenta un territorio strategicamente molto importante per la propria

posizione geografica: sia per il commercio internazionale di armi e di sostanze illegali, ma

anche per essere destinatario di un immenso progetto statunitense, quello legato alla

costruzione del canale interoceanico. Infine, questa regione inizia ad essere interessata

anche dall’avvio di progetti di sostituzione delle coltivazioni preesistenti: quella che è stata

per molto tempo una zona bananiera, oggi viene coltivata sempre più intensamente con la

palma, destinata al commercio internazionale. Una delle caratteristiche dell’attuale

conflitto armato è di fatti quello di consistere in una disputa per il controllo di territori

strategici dal punto di vista economico e geopolitico. Sono territori in cui si concentrano

molte delle risorse del paese o in corrispondenza dei quali dovrebbero essere avviati grandi

progetti internazionali. Si tratta pertanto di terre dall’elevato valore economico, soprattutto

per investitori stranieri: statunitensi in primo luogo, ma anche europei e giapponesi.

In seguito abbiamo proseguito la mobilitazione in altre regioni: per due anni siamo state

nella città di Barrancabermeja, nel Magdalena Medio; poi nella città costiera di Cartagena.

Nel 2002, in corrispondenza della fine dell’amministrazione Pastrana, organizzammo una

grossa mobilitazione nella citta di Bogotà, insieme a Iniciativas de mujeres por la Paz,

Iniciativas nacionales de mujeres, Iniciativas Nacionales de Consertaciòn, Organizaciòn

Feminil Popular de Barranca. In quell’occasione riuscimmo a radunare più di 50.000

donne colombiane. La finalità di questa mobilitazione era di elaborare un’agenda politica

da presentare alla nuova amministrazione. Il suo punto centrale consisteva

nell’affermazione della necessità di una soluzione politica del conflitto armato. L’agenda

conteneva inoltre: una denuncia della violenza generalizzata tra tutti gli attori armati contro

le donne (esercito incluso); l’affermazione della necessità del rispetto dei Diritti Umani e

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del Diritto Umano Internazionale; la rivendicazione di una maggior partecipazione delle

donne nella formulazione dell’agenda politica della nazione.

Nel 2003 scegliemmo la regione a sud del paese, confinante con il Brasile, Ecuador e Perù,

il Putumayo. Questa è una delle aree maggiormente interessate dalla messa in atto del Plan

Colombia. Questo piano d’intervento mirante alla soluzione del conflitto e caratterizzato da

una forte componente militarista è stato elaborato dal governo colombiano e statunitense.

La sua implementazione è stata possibile grazie ad un forte appoggio proveniente

dell’amministrazione statunitense, che lo ha interpretato come strumento della sua lotta

anti-droga. Pertanto, essere una delle zone maggiormente interessate dai fondi messi a

disposizione del piano significa, in concreto, essere colpiti da un intenso programma di

fumigazioni. Il prodotto chimico utilizzato nelle fumigazioni è il glifosfato, che produce

seri danni all’ambiente e alla popolazione che ne viene a contatto. Questo prodotto non

brucia solo le piante di coca e papavero sulle quale viene gettato dagli aerei, ma contamina

anche il resto dei prodotti coltivati nelle vicinanze, a danno della popolazione contadina

che non riesce a produrre nemmeno i prodotti necessari alla sopravvivenza. Ricerche svolte

sul territorio interessato hanno dimostrato che questo agente chimico, infiltrandosi nelle

falde acquifere, è capace di rendere improduttiva la terra colpita e quelle delle vicinanze in

modo definitivo. Nel 2003 la Ruta Pacifica decise di organizzare diverse manifestazioni

nel territorio del Putumayo per far conoscere tutti questi aspetti che si celano dietro il

conflitto.

Ogni anno scegliamo di andare in una regione differente perché, come accennato prima, il

conflitto ha caratteri e manifestazioni diverse a seconda dei differenti territori del paese.

Quest’anno andremo in Chocò, una regione molto ricca in biodiversità. Poiché essa

corrisponde ad una delle zone più piovose del mondo, il suo valore economico è molto

elevato essendo il territorio ideale per qualsiasi tipo di progetto idroelettrico. Inoltre, la

zona del Chocò è di grossa importanza strategica anche perché dovrebbe essere

attraversato dal canale interoceanico. In corrispondenza di questa zona, per l’aumento

dell’intensità del conflitto, si sono registrati i tassi più elevati di abbandono forzato delle

terre da parte di numerose comunità e del conseguente appropriamento illegale delle stesse

da parte dei diversi attori armati. Alto è anche il numero di comunità costrette

all’isolamento: quelle comunità che si rifiutano di abbandonare la loro terra vengono

confinate in piccole zone estremamente controllate dalle bande armate: la possibilità di

uscire ed entrare da queste zone viene limitata non solo alle persone ma anche a qualsiasi

prodotto agricolo o medicamento. Queste pratiche di appropriazione illegale e di

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confinamento vengono messe in atto non solo dai guerriglieri e dai paramilitari, ma anche

dallo stesso esercito colombiano: esse rappresentano un modo efficace di controllare le

migrazioni delle comunità e di utilizzare alcune di loro come scudi umani.

Le nostre mobilitazioni hanno lo scopo primario di mostrare cosa significa per le comunità

locali vivere in una situazione di conflitto, con particolare riguardo alle violenze vissute

dalle donne. Da un lato, esse sono oggetto di violenze psico-sociali determinate dal clima

di terrore che si istaura nel conflitto; dall’altro, sono vittime di forme di schiavitù sessuale

e domestica, del controllo della loro vita affettiva e del loro corpo, anche per quanto

riguarda il suo lato meramente estetico (abbigliamento, etc.). Tutte queste violenze fanno si

che il corpo della donna rappresenti un bottino di guerra, in particolare la riappropriazione

dell’immagine della donna viene utilizzata simbolicamente come dimostrazione di forza di

fronte all’avversario.

6. In che modo, secondo lei, la cooperazione decentralizzata si differenzia rispetto al

passato e ai vecchi strumenti d’intervento della cooperazione centralizzata, patrimonio

degli stati nazionali? Sul territorio è possibile notare cambiamenti visibili rispetto al

passato?

Personalmente non opero nella cooperazione internazionale.

Ad ogni modo, rispetto al tema posso riferirle circa alcuni tentativi fatti da Uribe per

l’approvazione di un suo progetto di legge che ancora non ha ottenuto la maggioranza in

Parlamento. Con esso il governo si propone di centralizzare gli aiuti alla cooperazione

destinati al rafforzamento dei diritti umani. L’idea consiste in far sì che questi fondi entrino

nelle casse dello Stato, dalle quali poi verrebbero successivamente ripartiti a favore delle

diverse organizzazioni non governative che operano in questo campo. La risposta

immediata delle organizzazioni internazionali presenti sul territorio colombiano è stata

quella di minacciare l’abbandono del paese, nel caso in cui la legge fosse stata approvata.

In seguito, il governo Uribe ha tentato di introdurre dei meccanismi di controllo

sull’operato delle organizzazioni sociali colombiane, interrogandole sulle loro fonti di

informazione e sulle modalità in base alle quali elaborano i loro documenti: con queste

misure il Governo ha cercato di limitare il protagonismo delle organizzazioni della società

civile. Successivamente, ha istaurato altri meccanismi di controllo anche sulle

organizzazioni internazionali. Per esempio, ha preteso la consegna dei loro bilanci mensili

e ha deciso la chiusura di alcune organizzazioni i cui bilanci superavano determinate

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soglie. Contro la resistenza opposta da alcune di queste organizzazioni, che si sono rifiutate

di presentare la documentazione richiesta, è stato fissato il pagamento di una multa così

alta da mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza.

Riguardo il processo di pace colombiano.

15. Quali sono gli attori coinvolti nel processo di pace colombiano? Quali dovrebbero

essere?

Il processo di negoziazione dovrebbe coinvolgere tutti gli attori armati. Fino a questo

momento lo stato colombiano ha cercato diverse volte di avviare dei processi di

negoziazione, ma i fallimenti ottenuti sono stati determinati dalla metodologia adottata. La

scelta della classe politica al governo è sempre stata quella di convocare i diversi attori

armati in momenti differenti, presentando loro proposte tra loro molto distanti. Secondo

noi, l’unica soluzione consiste nel far sedere tutti gli attori coinvolti nel conflitto sullo

stesso tavolo delle trattative.

Questa è una delle ragioni per le quali non condividiamo il modo in cui lo stato

colombiano sta affrontando il processo di negoziazione con le forze paramilitari. Inoltre, a

parte la consegna delle armi, questo processo non è affiancato da un quadro giuridico

appropriato, che definisca in modo chiaro quali sono le condizioni del processo e in che

modo verrà garantita la giustizia e la verità riguardo a quanto accaduto sessanta anni di

guerra. Di fatti, lo stato non ha presentato alcuna agenda politica da adottare dopo la

consegna delle armi, finalizzata al reinserimento degli ex combattenti nella vita civile.

Visto e considerato che le forze paramilitari possiedono oggi un forte potere politico,

economico e sociale, la consegna delle armi non garantisce che il disegno paramilitare

venga effettivamente fermato. Oggi le loro aspirazioni tendono ad essere di carattere

prevalentemente politico, piuttosto che militare.

16. Quali sono le maggiori difficoltà per raggiungere la pace in Colombia?

Le difficoltà maggiori sono quelle legate alla messa in atto di un processo di pace

realmente sostenibile nel tempo. È necessario apportare cambiamenti strutturali nella

società colombiana: economici, politici, sociali e culturali. Per questo, uno dei primi passi

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dovrebbe essere l’apertura di processi di negoziazione supportati da un chiaro quadro

giuridico che garantisca la giustizia, la verità e la riparazione.

17. Quali sono i soggetti istituzionali, politici, sociali che dovrebbero apportare gli sforzi

maggiori per la risoluzione del fenomeno del narcotraffico?

L’economia illegale della droga ha permeato tutta la società e le sue classi: dagli

industriali, ai politici, alle classi povere che forniscono eserciti di sicari a loro servizio, a

tutti i gruppi armati.

Lo stato colombiano ha cominciato a lottare contro il narcotraffico solo sotto la pressione

degli Stati Uniti: la politica portata avanti è stata una politica fondata sulla forza, mirante

alla distruzione delle grandi strutture dei narcotrafficanti (cartello di Medellìn e di Cali) e

alla distruzione delle terre che forniscono il commercio della sua materia prima. La

strategia adottata non ha tenuto conto del fatto che l’economia del narcotraffico ha

permeato la società così in profondità che il sistema non ha mostrato grosse difficoltà a

riprodursi ed adattarsi alla nuova situazione di attacco frontale. Per sconfiggere il

fenomeno bisogna quindi tenere conto che chi controlla le fila di questo commercio si

riproduce con facilità, che dietro le quinte ci sono anche le forze paramilitari, non solo

quelle guerrigliere.

La strategia statale continua ad attaccare gli ultimi anelli della catena: mi riferisco ai

piccoli coltivatori di coca e papavero che traggono un profitto economico minimale,

sufficiente solo per garantire la loro sopravvivenza; oppure, alle numerose donne arrestate

per piccole quantità di droga. Quali sono invece gli strumenti adottati contro i grandi

produttori e trafficanti di droga? Come si stanno attaccando le fondamenta di questa

economia immensa che ha permeato anche gli strati di potere più elevati? Non bisogna

dimenticare che sono numerosissime le industrie e le imprese nazionali alimentate dal

denaro proveniente dal narcotraffico.

Simili critiche possono essere rivolte al governo statunitense, che ritiene che il problema

possa essere risolto concentrando tutte le forze sulla limitazione dell’offerta proveniente

dai paesi produttori, senza tener conto che il commercio internazionale di droga è

alimentato, in primo luogo, dalla domanda, proveniente in gran parte dai paesi occidentali,

Stati Uniti in testa. Perché gli Stati Uniti non si agiscono, ad esempio, contro la produzione

e l’esportazione dei prodotti chimici necessari alla raffinazione delle droghe, visto e

considerato che la maggior parte di questi prodotti viene proviene dal loro paese?

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Che tipo di ruolo svolgono le donne in questo commercio?

Si è riscontrato che nelle zone ad alta intensità del conflitto le donne godono di una

maggiore facilità di movimento rispetto agli uomini, sospettati di appartenere ad uno o

all’altro gruppo armato. Per questo motivo, nelle comunità di queste zone sono loro ad

occuparsi della commercializzazione di tutti i prodotti agricoli. Questo mette le donne in

una situazione di maggiore esposizione di fronte alla violenza dei gruppi armati. La

commercializzazione di coca o pasta di coca invece, è ancora concentrata nelle mani degli

uomini delle comunità, anche se lentamente sta coinvolgendo in misura sempre maggiore

l’intera famiglia.

E del paramilitarismo?

Il paramilitarismo è un fenomeno che è sorto e si è consolidato fino alle sue dimensioni

attuali (si parla di 10.000-15.000 unità) grazie alla complicità dello stato centrale e alla

permissività delle forze di sicurezza dipartimentali e locali, nonostante lo stato non

riconosca nessuna responsabilità o connessione esistente tra le forze armate e quelle

paramilitari. In realtà, molti sono stati i casi denunciati dalla popolazione civile riguardo le

collaborazioni tra membri delle forze armate e paramilitari. Lo stato colombiano ha invece

sempre negato con forza la teoria della strategia di stato, attribuendo tutte le responsabilità

del fenomeno al comportamento individuale di alcuni generali. Ad ogni modo, il

paramilitarismo ha da sempre rappresentato una forza armata che non si è mai opposta al

potere statale e che, al contrario, ha sempre riconosciuto la legittimità della sua autorità.

L’obbiettivo di questa forza in armi è ottenere il controllo dell’ordine pubblico. Per il

raggiungimento di questo obbiettivo, le forze paramilitari hanno da sempre sposato una

strategia in linea a quella adottata dallo stato colombiano: la via militare. Infine, non

bisogna dimenticare che in passato, di fronte all’inefficienza e alle ristrettezze numeriche

dell’esercito, fu lo stato ad affidare alle forze paramilitari il compito di assicurarsi il

controllo di quelle terre di frontiera, che avrebbero poi dovuto essere riconsegnate

all’autorità centrale.

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Perché lo stato colombiano non ha direttamente investito le proprie risorse nelle forze di

sicurezza già esistenti per assicurare allo stato il monopolio della forza in tutto il

territorio della nazione?

Da un lato, le forze di sicurezza sono state impegnate per anni nella guerra condotta contro

le forze guerrigliere del paese: questo ha naturalmente limitato la disponibilità degli

effettivi. Dall’altra, lo stato ha trovato nelle forze paramilitari lo strumento migliore per

poter compiere ogni genere di azione senza dover risponderne in modo diretto.

Ad ogni modo, il punto centrale della questione è la mancata presa di coscienza da parte

delle istituzioni statali che il controllo del territorio non si esaurisce nella sola presenza

militare. Quello che dobbiamo domandare alla classe politica è perché i governi

colombiani non hanno pensato di investire in altre istituzioni statali che assicurassero in

modo più efficiente e democratico la propria presenza sul territorio nazionale ed un

consenso nazionale più ampio. Mi riferisco, ad esempio, a strutture sanitarie o educative.

Pertanto, per rispondere alla sua domanda iniziale, credo che il soggetto istituzionale

tenuto ad apportare lo sforzo maggiore per la risoluzione del fenomeno paramilitare altro

non possa essere che lo stato stesso. Come accennato prima, tale sforzo non deve però

limitarsi al raggiungimento della sola consegna di armi. Lo stato colombiano deve

assicurare lo smantellamento dell’intero apparato paramilitare, soprattutto nella sua

componente economica e politica. Questo significa garantire i mezzi giuridici necessari

affinché prevalga la giustizia e non l’impunità. Solo attraverso la restituzione delle terre ai

legittimi proprietari si assicurerà la riparazione dei danni subiti dalla popolazione civile e,

contemporaneamente, lo smantellamento del potere economico paramilitare. Infine, solo

riconoscendo pubblicamente tutte le connessioni tra forze di sicurezza statali, forze

paramilitari e forze politiche, si potranno porre le basi necessarie per avviare un vero

processo di riconciliazione, sulla base del quale ricostruire l’intero tessuto sociale

nazionale. In particolare, per noi è importante che in queste aule di tribunale venga data la

giusta visibilità a tutti i crimini commessi a danno delle donne

18. Analisi dei movimenti sociali e politici attivi oggi per la costruzione di pace della

società colombiana. Caratteri negativi e positivi. Quali sono le carenze più evidenti e

come potrebbero migliorare.

In modo molto sintetico elencherei:

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a. Il movimento di donne, all’interno del quale si trovano organizzazione attive per la

difesa dei diritti umani, l’avanzamento del processo di pace, la visibilizzazione degli effetti

della guerra a danno delle donne;

b. Il movimento per la pace;

c. Il movimento per la difesa dei diritti umani e il rispetto del Diritto Internazionale

Umanitario;

d. Il movimento indigeno, che negli ultimi anni ha acquisito molta forza soprattutto in

risposta alla politica di Seguridad Democratica di Uribe. Questa politica prevede

l’estensione della presenza militare in tutto il territorio nazionale, attraverso il

coinvolgimento della popolazione civile: con un programma che ha portato

all’organizzazione di un milione di “vigilanti” e di “reti di informatori”, il governo ha

coinvolto parte della popolazione civile nello svolgimento di operazioni di intelligenza,

offrendo laute ricompense a tutti coloro che offrono informazioni ai corpi di sicurezza

dello stato. In seguito, ha completato questa politica militarista con la creazione dei

cosiddetti “soldati-contadini”, a cui sono state consegnate armi dell’esercito. Questo ha

portato a detenzioni arbitrarie ed, in alcuni casi, a detenzioni di massa per il recupero di

informazioni. La popolazione indigena ha saputo mettere in atto una strategia di pressione

a proprio favore contro questo tipo di politica, rivendicando l’autonomia territoriale e

giuridica dei propri territori.

In seno alla società colombiana esistono molteplici differenze: questo di per sé non

rappresenta una difficoltà ma, nel momento in cui forti rimangono le divisioni determinate

dalle appartenenze politiche, è difficile trovare i necessari punti in comune sulla base dei

quali rafforzare l’azione dei diversi movimenti sociali.

Per quanto riguarda il movimento di donne, per il momento le carenze più evidenti non

sono interne al movimento, piuttosto, riguardano la scena politica nel suo complesso:

nonostante le rivendicazioni delle donne comincino ad essere sempre più ascoltate in seno

alla società colombiana, la sordità dello stato non accenna a migliorare. Questo perché le

nostre domande fanno riferimento all’apertura di spazi politici e perché quello che

mettiamo alla luce sono i danni provocati dalla guerra.

La stessa strenua resistenza dello stato e della classe politica dominante non riguarda solo

il movimento delle donne, ma tutti i movimenti provenienti dalla società civile che

appoggiano una politica di pace. Tutti i processi di negoziazione avviati dallo stato si sono

sempre rivolti esclusivamente agli attori armati, guerriglieri o paramilitari. Al contrario, lo

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stato continua a negare l’apertura di qualsiasi spazio di concertazione verso la società

civile.

Nel 2003 il governo colombiano stimolò l’apertura di una “Tavola di donanti” che si tenne

nella città di Londra. In quest’occasione il governo presentò una serie di proposte di

cooperazione internazionale, sulla base delle quali i diversi paesi donatori offrirono il loro

appoggio economico. La società civile colombiana si mobilitò affinché l’utilizzo degli aiuti

messi a disposizione dall’Unione Europea fosse condizionato al rispetto dei diritti umani e

al riconoscimento da parte dello stato colombiano delle proprie responsabilità, in

riferimento alle valutazioni negative riguardo a questa tematica provenienti dalla sede di

Bogotà dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite.

Nel 2005 si è tenuta un secondo incontro nella città colombiana di Cartagena, in cui il

governo di Uribe ha cercato di rendere effettivi gli aiuti promessi l’anno precedente dalle

potenze occidentali. Di fronte ai rappresentanti dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del

Canada Uribe ha negato l’esistenza del conflitto armato e la crisi umanitaria, riferendosi

alla situazione colombiana solo in termini di violenza come prodotto del terrorismo e di

“situazioni umanitarie critiche”. Inoltre, ha tentato di svincolare la concessione degli aiuti

dal tema del rispetto dei diritti umani. In risposta a questo atteggiamento la società civile

colombiana ha continuato nella sua mobilitazione avviando una campagna internazionale

sostenuta ampiamente dalla comunità internazionale delle organizzazioni non governative,

che a loro volta hanno fatto pressione sui propri governi. Il risultato di tale mobilitazione

congiunta ha fatto sì che nel documento finale sottoscritto dall’Unione Europea, dalla Gran

Bretagna e dal Canada si riconoscesse l’esistenza del conflitto armato colombiano e

l’insufficienza dell’intervento dello Stato colombiano per risolvere la situazione di crisi

umanitaria e adempire alle raccomandazioni dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite.

Agli occhi della popolazione civile colombiana questo è stato un atto importante: così

facendo, i paesi occidentali firmatari della dichiarazione finale non hanno concesso carta

bianca allo Stato colombiano, riconoscendo in esso uno dei responsabili delle violazioni

dei diritti umani, a causa dell’insufficienza d’intervento dimostrata in situazioni

drammatiche come quella vissuta dai 2 milioni di sfollati e dalle comunità “confinate.”

19. Analisi della politica portata avanti dallo stato colombiano riguardo al processo di

pace durante il passato governo Pastrana e l’attuale governo Uribe. Individuare quali

sono le maggiori carenze e difetti.

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Pastrana ebbe il merito di avviare un processo di negoziazione con le FARC, dopo quasi un

decennio in cui lo stato si era rifiutato di riconoscere nella guerriglia un soggetto politico.

Le trattative fallirono prima ancora che si arrivasse alla discussione dei punti focali

dell’agenda, ossia le riforme sociali, politiche ed economiche. Il processo di negoziazione

si arenò sulla discussione attorno alle condizioni preliminari, ossia le condizioni

riguardanti la zona sgombrata dalle forze dello stato e lasciata al controllo delle FARC e

l’impegno dello stato nel risolvere la questione del paramilitarismo, per garantire la vita e

il rispetto dei diritti umani dei guerriglieri disposti ad abbandonare le armi e delle comunità

loro sostenitrici.

Dal canto suo, Uribe non ha promosso l’avvio di alcun tipo di negoziazione con nessuno

degli attori armati. Da un lato, non considera affatto la guerriglia come un soggetto politico

con il quale poter aprire un dialogo. Dall’altro, come già accennato, sta procedendo nella

smobilitazione delle forze paramilitari limitandosi alla sola consegna delle armi.

Quello di cui ha bisogno il paese è una politica di negoziazione basata su una metodologia

capace di confrontarsi con tutti gli attori armati. Allo stesso tempo, nella definizione di

questa politica lo stato colombiano deve tenere conto delle rivendicazioni provenienti dalla

società civile.

20. Qual è l’atteggiamento degli Stati Uniti in relazione alla situazione colombiana

dell’attuale presidenza Bush?

L’atteggiamento del governo degli Stati Uniti si fonda sulla convinzione che la guerriglia

rappresenta una grave minaccia per la stabilità colombiana. In riferimento al tema del

paramilitarismo, il governo Bush ha espresso alcune riserve sulla condotta del governo

colombiano, affermando che lo stato non sta fornendo sufficienti garanzie perché il

processo avviato non si limiti ad essere solo una smobilitazione. Poiché gli interessi

economici e politici degli Stati Uniti in Colombia sono molto forti, è probabile che il

governo di Uribe si mostri accondiscendente verso le sue raccomandazioni, permettendo

così il rafforzamento di un sistema politico più favorevole agli Stati Uniti. La posizione

assunta da Uribe riguardo alla scelta di riferirsi al conflitto in termini di terrorismo e non di

conflitto armato, è evidentemente in linea con la politica assunta dagli Stati Uniti in seguito

agli avvenimenti dell’11 settembre 2001. Molte sono le implicazioni derivanti dal cambiare

la prospettiva di un conflitto armato interno; la più grave consiste nel non riconoscere allo

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stato il ruolo attivo avuto nel conflitto e nel mostrarlo all’opinione pubblica nazionale e

mondiale unicamente nelle vesti di una vittima, il cui dovere militare è la strenua difesa

della democrazia. Al contrario, l’esistenza stessa di un conflitto interno indica che esistono

profonde disfunzioni e disagi legati a condizioni socio-politiche da riformare. Parlare di

terrorismo nega le ragioni del conflitto armato, nega la sua storia e le ragioni politiche ed

economiche che hanno causato la nascita dei gruppi armati. Questa strategia potrebbe

essere risultato della volontà del governo statunitense che si adopera per raggiungere una

maggiore stabilità colombiana, a patto che essa sia consona ai propri interessi.

21. Qual è l’atteggiamento dell’Unione Europea in relazione alla situazione colombiana?

In base a quanto si è potuto vedere negli incontri di Londra e Cartagena l’atteggiamento

dell’Unione Europea è ambiguo. Nonostante le dichiarazioni, l’Unione non si è espressa in

modo esplicito contro la prosecuzione della guerra colombiana e fino ad ora non ha

garantito l’effettivo blocco degli aiuti provenienti dai suoi paesi membri.

La posizione assunta a Cartagena è stata importante anche perché in quell’occasione Uribe

cercava l’appoggio politico e finanziario al piano di smobilitazione avviato con le forze

paramilitari. La popolazione civile si è mobilitata affinché venisse riconosciuto necessario

non solo l’adempimento delle raccomandazioni dell’Alto Commissionato delle Nazioni

Unite riguardo al rispetto dei diritti umani, ma anche riguardo la necessità della definizione

di una chiaro quadro giuridico di riferimento, sulla base del quale procedere nello

smantellamento dell’intero apparato paramilitare e nell’instaurazione di un tribunale di

Verità, Giustizia e Riparazione. Pertanto, è necessario che l’Unione Europea prosegua

nella direzione intrapresa a Cartagena, prendendo i provvedimenti necessari per assicurare

che i suoi stati membri vincolino effettivamente la concessione degli aiuti all’adempimento

di tali condizioni.

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V. IANNI, La cooperazione decentrata allo sviluppo umano. Rosenberg & Sellier, Torino,

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V. IANNI, La società civile nella cooperazione internazionale allo sviluppo: approcci

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Rosenberg & Sallier, Torino, 1983.

T. PECH & M. O. PADIS, Le multinazionali del cuore: le organizzazioni non governative

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Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, Rapporto sullo sviluppo umano 5. Nuove

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Sulla cooperazione catalana in Colombia:

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Cooperaciòn Municipal al Desarrollo, 2ª jornada estatal de cooperaciòn descentralizada.

Confederacion de Fondos de Cooperaciòn y Solidariedad, Barcelona, 2001.

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Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupament, Memoria 2003. Fons Català de

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Siti web sull’argomento:

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Tavola per la Pace e i Diritti Umani in Colombia

Altro materiale sull’argomento:

Dichiarazione di intenti della Tavola Catalana per la Pace ed i Diritti Umani in Colombia.

Febbraio 2003, Barcellona.

Interviste ai rappresentanti di cinque organizzazioni partecipanti alla Tavola Catalana per

la Pace e i Diritti Umani in Colombia.

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Sulla cooperazione europea in Colombia:

Documento presentato dal Governo colombiano agli incontri preparatori della “Tavola dei

donanti” di Londra, tenutasi il 25 luglio del 2003 e convocata su richiesta del Programma

delle Nazioni Unite per lo Sviluppo.

Seminari tenutisi durante le “Giornate Aperte dedicate al tema: Il ruolo della cooperazione

internazionale, dell’Unione Europea e dei suoi paesi membri, in paesi in conflitto armato

come la Colombia”, Barcellona, 14-16 aprile, 2005.

Altri libri:

R. BATES, Politica internacional y economica abierta. Tercer Mundo, Bogotà, 1999.

W. A. BROWN e O. REDVERSE, American Foreign assistence. The Brookings

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J. CHILD, The Inter-American Military System. The American University, Ph.D.

dissertation, 1978.

C. CLAUSEWITZ, Della guerra. Mondatori, Milano, 1997.

Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Bureau for International Narcotics and Law,

International Narcotics Control Strategy Report, 1999. Washington D.C., 2000.

G. GARCIA MARQUEZ, Cent’anni di solitudine. Mondadori, Milano, 1998.

G. GARCIA MARQUEZ, Vivere per raccontarla. Mondadori, Milano, 2000.

G. GIORDANO, La politica estera degli Stati Uniti. Franco Angeli, Milano, 1999.

D. C. NORTH, Institutions, Institutional Change and Economic Performance. Cambridge

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A. PANEBIANCO, Modelli di partito. Organizzazione di potere nei partiti politici. Il

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J. E. ROBLEDO, Www.neoliberalismo.com, El Ancora Editores, Bogotà, 2000.

O. RODRIGUEZ, La teoria del subdesarrollo de la CEPAL. Siglo XXI Editores, quinta

edizione, Bogotà, 1986.

A. SEN, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia. Mondatori,

Milano, 2000.

G. TOMASI DE LAMPEDUSA, Il gattopardo. Decima edizione, febbraio 1992,

Feltrinelli, Milano.

Altri siti web:

_ www.ine.es/inebase.

Istituto Nazionale di Statistica di Spagna (INE)

_ www.idescat.es.

Istituto di Statistica della Catalogna (IDESCAT)