Terre, acque, macchine - Geografie della bonifica in Italia tra Ottocento e Novecento

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DIABASIS DIABASIS TERRE, ACQUE, MACCHINE Federica Letizia Cavallo (Milano, 1973) è geografa e attualmente insegna Geografia, Geografia regionale e Geografia Culturale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra i suoi più recenti ambiti di indagine si segnalano, in particolare, i paesaggi anfibi e quelli di bonifica, ma si occupa anche di insularità e turismo in area mediterranea e pacifica. È coautrice di Dalle praterie vallive alla bonifica. Cartografia storica ed evoluzione del paesaggio nel Veneto Orientale dal ’500 ad oggi (a cura di Francesco Vallerani, 2008) e autrice di Isole al bivio. Minorca tra balearizzazione e valore territoriale (2007). L’alta densità di tecnologie e di capitali impiegati nella co- struzione del paesaggio agrario con l’avvento della bonifica idraulica meccanica costituisce una vera rivoluzione moder- na: mai forma più nitida (nella sua geometria) fu «cosciente- mente e sistematicamente» impressa. 12 PASSAGES 18,00 Nel corso del XIX e del XX secolo, porzioni considere- voli delle pianure italiane, soggette a impaludamen- ti, sono state trasformate da moderne operazioni di bonifica idraulica. A fronte di molteplici storie terri- toriali, gli spazi e i paesaggi interessati da questo processo presentano caratteri comuni, tali da susci- tare una riflessione geoculturale d’insieme. Il testo ragiona, dunque, sulla bonifica come dispositivo di costruzione e pianificazione del territorio, ma anche come impronta di modernità impressa sulle campa- gne, simboleggiata dalle macchine idrovore e dalle geometrie delle terre sottratte alle acque. Le ragioni economiche, socio-sanitarie e propagandistiche che hanno sostenuto una siffatta trasformazione vengo- no qui commisurate alle problematiche ambientali e territoriali a essa conseguenti. Perché solo alla luce di un giudizio storico complessivo è possibile gestire il presente e ripensare il futuro della bonifica moderna, senza disperderne il patrimonio tecnico, storico e memoriale. Federica Letizia Cavallo Terre, acque, macchine GEOGRAFIE DELLA BONIFICA IN ITALIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO Federica Letizia Cavallo

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Nel corso di XIX e XX secolo porzioni considerevoli delle pianure italiane soggette a impaludamenti sono state trasformate da moderne operazioni di bonifica idraulica. A fronte di molteplici storie territoriali, gli spazi e i paesaggi interessati da questo processo presentano caratteri comuni, tali da suscitare una rifl essione geoculturale d'insieme. Il testo ragiona dunque sulla bonifica come dispositivo di costruzione e pianificazione del territorio, ma anche come impronta di modernità impressa sulle campagne, simboleggiata dalle macchine idrovore e dalle geometrie delle terre sottratte alle acque.

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Federica Letizia Cavallo (Milano, 1973) è geografa e attualmente insegna Geografia, Geografia regionale e Geografia Culturale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra i suoi più recenti ambiti di indagine si segnalano, in particolare, i paesaggi anfibi e quelli di bonifica, ma si occupa anche di insularità e turismo in area mediterranea e pacifica. È coautrice di Dalle praterie vallive alla bonifica. Cartografia storica ed evoluzione del paesaggio nel Veneto Orientale dal ’500 ad oggi (a cura di Francesco Vallerani, 2008) e autrice di Isole al bivio. Minorca tra balearizzazione e valore territoriale (2007).

L’alta densità di tecnologie e di capitali impiegati nella co-struzione del paesaggio agrario con l’avvento della bonifica idraulica meccanica costituisce una vera rivoluzione moder-na: mai forma più nitida (nella sua geometria) fu «cosciente-mente e sistematicamente» impressa.

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€ 18,00

Nel corso del XIX e del XX secolo, porzioni considere-voli delle pianure italiane, soggette a impaludamen-ti, sono state trasformate da moderne operazioni di bonifica idraulica. A fronte di molteplici storie terri-toriali, gli spazi e i paesaggi interessati da questo processo presentano caratteri comuni, tali da susci-tare una riflessione geoculturale d’insieme. Il testo ragiona, dunque, sulla bonifica come dispositivo di costruzione e pianificazione del territorio, ma anche come impronta di modernità impressa sulle campa-gne, simboleggiata dalle macchine idrovore e dalle geometrie delle terre sottratte alle acque. Le ragioni economiche, socio-sanitarie e propagandistiche che hanno sostenuto una siffatta trasformazione vengo-no qui commisurate alle problematiche ambientali e territoriali a essa conseguenti. Perché solo alla luce di un giudizio storico complessivo è possibile gestire il presente e ripensare il futuro della bonifica moderna, senza disperderne il patrimonio tecnico, storico e memoriale.

Federica Letizia Cavallo

Terre, acque, macchineGEOGRAFIE DELLA BONIFICA IN ITALIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO

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Progetto di Massimo Quaini ed Eugenio Turri

Direzione Massimo Quaini

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In copertinaLa pianura della bonifica renana con il nodo idraulico di Vallesanta

(Ph.: Sergio Stignani, Archivio fotografico Bonifica Renana)

Progetto grafico e copertinaBosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-774-2

© 2011 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

www.diabasis.it

Il volume è pubblicato con il patrocinio del Consorzio di Bonifica Veneto Orientale e del Consorzio di Bonifica Veronese

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Terre, acque, macchineGeografie della bonifica in Italia

tra Ottocento e Novecento

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Federica Letizia Cavallo

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Alla cara memoria di Sr. Emanuele Stefani

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PrefazioneTerre basse o acque alte? Geografie mitiche, paesaggi nuovi e virtù dei vuoti, Francesco Vallerani

Una premessa e qualche ringraziamento

I. Quale bonifica e perchéI.1. Di che cosa parliamo quando parliamo di bonifica (almeno qui)I.2. Lo stato dell’arteI.3. Le ragioni di una scelta

II. Un dispositivo di pianificazione, costruzione e governo del territorioII.1. Ordine, controllo, confine. Le relazioni tra bonifica

e Stato modernoII.2. L’Ottocento. Campagne di fondazione tra bonifiche private

e Consorzi di proprietari II.3. Una nuova disciplina: la “ruralistica” fascista

II.3.1. Le città figlie della bonificaII.3.2. Pianificazione “integrale” o autoritaria?

Il caso emblematico dell’Agro PontinoII.3.3. Dal nesso bonifica-dittatura al totalitarismo territorialeII.3.4. Per concludere

III. Bonifica e modernitàIII.1. Bonifica idraulica meccanica: bonifica “moderna”

III.1.1. Qualche dubbio sull’essenza del modernoIII.1.2. Comparazioni geostoriche e gap di modernità

III.2. Suggestioni moderne: la mimesi della carta geografica

III.2.1. Il nesso tra carta e modernità

III.3. Suggestioni moderne: la macchina territorialeIII.3.1. Macchine premoderne e macchine moderneIII.3.2. Una megamacchina ibrida

Federica Letizia Cavallo

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IV. Le ragioni di un mutamento territorialeIV.1. La bonifica come impresa economica e produttivaIV.2. Il versante sociale della bonifica

IV.2.1. Tra ruralizzazione e propaganda

IV.3. La “strada maestra per la lotta alla malaria”IV.3.1. Bonifica morale e bonifica genetica

V. Bonificazione o “malificazione”? V.1. Le resistenze storiche alla bonifica

V.1.1. Generi di vita anfibi e opposizioni popolari

V.1.2. Bonifica e tramonto degli usi comunitari

V.1.3. Altri renitenti alla bonifica

V.2. La demonizzazione delle paludi V.3. La “scoperta” delle zone umide e la critica ambientalista

V.3.1. Lo strano caso dei pini e degli eucalipti

V.4. I demeriti della bonifica: errori territoriali o effetti collaterali?V.4.1. Responsabilità (e opportunità) della scienza applicata

al territorio

VI. Tra giudizio storico e prospettive futureVI.1. Rischio e riduzione della geodiversitàVI.2. Nuovi indirizzi per i territori di bonifica

VI.2.1. Debonificazione parziale o rinaturalizzazione reticolare?

VI.2.2. Tutela e valorizzazione di un patrimonio di modernità

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PrefazioneTerre basse o acque alte? Geografie mitiche, paesaggi nuovi e virtù dei vuoti

Francesco Vallerani

La questione della convivenza dei gruppi umani con gli elementi dell’idro-grafia è un tema tra i più vasti e articolati che coinvolgono i percorsi non solodelle discipline geostoriche, ma anche gli ambiti affrontati dall’antropologia edagli studi economici e sociali. Il diversificarsi morfologico delle terre emerseinclude al suo interno sia complesse direttrici di deflusso idrico superficiale, lacui distribuzione e portata si sono da sempre interconnesse con il progressivoconsolidarsi della presenza umana, che ampie porzioni di ambienti di origine al-luvionale, dalle modeste pendenze, in gran parte a ridosso di contesti litoranei,pur non mancando vaste depressioni in posizione continentale e a elevate quo-te altimetriche. Le ovvie funzioni vitali dell’acqua dolce sono quindi al centrodegli interessi delle comunità organizzate, che non tardano a individuare altreimportanti modalità d’uso dei corpi idrici, differenziati in base alle loro tipolo-gie fisionomiche e dinamiche. L’estendersi e il perfezionarsi delle competenzeagronomiche, con la conseguente intensificazione della distribuzione e organiz-zazione della maglia insediativa, hanno da subito stimolato l’elaborazione di stra-tegie efficaci per far fronte alle naturali condizioni dell’idrosfera sottoposta allediverse condizioni climatiche.

Nel nostro pianeta, gran parte degli attuali paesaggi di bonifica per prosciu-gamento sono localizzati lungo fasce costiere costituite da ampi depositi sedi-mentari, intersecate da aste fluviali che scorrono pigramente verso il livello delmare, che spesso si ramificano in varie direttrici ben prima dello sbocco finale,delimitando lagune, modificando l’andamento dei meandri, variando l’assettodei fondali e la quantità e distribuzione del trasporto solido, interagendo conl’azione delle maree e del moto ondoso, creando insomma quella straordinariavarietà delle morfologie sublitoranee che, ove non modificate e fissate dall’in-tervento umano, costituiscono tutt’oggi un indiscusso patrimonio di qualità am-bientale, rifugio di biodiversità, irrinunciabile opportunità per tener viva la co-scienza ecologica. In siffatti ambienti umidi si è consolidato, a partire dalle pri-me millenarie civilizzazioni idrauliche sviluppatesi dal Nilo al Gange, un profi-cuo apprendistato idraulico, da cui sono derivati interventi via via più comples-si e vistosi che hanno coinvolto, spesso con l’impiego dei prigionieri di guerraridotti in schiavitù, l’orditura naturale dei deflussi per meglio governare e diri-gere lo spagliarsi delle alluvioni necessarie alla fertilità dei suoli, le canalizzazio-

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ni per irrigare, i tagli di scoli e collettori per il drenaggio e le barriere o le argi-nature per difendere campi e città dall’esubero delle acque.

A questo riguardo, in chiunque si occupi di vicende idrauliche non mancamai l’inevitabile citazione del famoso saggio di Karl Wittfogel, pubblicato nel1957 e dedicato al dispotismo orientale, buon caposaldo storiografico che tornautile per leggere e interpretare sia eventi e ambienti così lontani nel tempo, che ifatti della locale realtà contemporanea. Anche Federica Letizia Cavallo, nel testoche fa seguito a questa breve introduzione, non esita a utilizzare tale riflessione,dimostrandone con chiarezza l’efficacia nell’analizzare i modi e i tempi della bo-nifica italiana tra Ottocento e Novecento, come quando paragona i “soldati sem-plici dell’armata idraulica” impiegati negli imperi fluviali dell’antichità all’eser-cito “degli scariolanti e dei badilanti della bonifica” nell’Italia postunitaria.

Ma spostandosi nel Nord Est italiano (che di fatto costituisce il contesto geo-grafico a cui viene dedicata maggiore attenzione in questo volume), la lezione diWittfogel lascia aperte delle possibilità per ulteriori precisazioni, riannodandosparse e sfumate testimonianze letterarie alla retorica di un edificio storiografi-co incerto, ma carico di suggestioni che ci conducono sul versante della crea-zione mitica. Si allude alla condizione pre-storica in cui versava la bassa pianu-ra delimitata dai lidi, lagune e paludi bagnate dall’alto Adriatico, dove il preva-lere delle condizioni anfibie consentiva un peculiare genere di vita a comunità dipescatori, di allevatori di cavalli, di naviganti che solcavano le aste terminali delvariabile ramificarsi di fiumi, lagune e paludi. Ad esempio, quanto narrato daTito Livio circa le origini di Padova antica, mostra infatti che la superiorità nau-tica, militare e organizzativa di Cleonimo, lo spartano che conduce le sue navi en-tro un’ampia laguna (identificabile con l’attuale laguna veneta) e attracca allafoce di un fiume profondo (il Brenta), può ben poco di fronte alla scarsa prati-cabilità dei luoghi rimasti allo stato naturale, cioè non trasformati da un sistemasociale ancora limitato alla semplice sussistenza. Le certezze del conquistatore,molto più a suo agio tra i porti, approdi e rotte assicurate dal “dispotismo” nau-tico della Magna Grecia, svaniscono quando volge le prue delle sue navi nel caosprimevo delle lagune e paludi costiere, un incerto confine tra terre, acque e bas-si fondali che gli impediscono di muoversi agevolmente verso l’entroterra. Talidifficoltà consentono alle popolazioni locali di avviare un rapido contrattacco abordo delle loro piccole barche a fondo piatto, adatte a superare i bassi fondali(fluviatiles naves planis alveis fabricatae).

Esiti ben più prestigiosi avrà la successiva evoluzione della scelta adattiva aicondizionamenti ambientali dei contesti palustri dell’alto Adriatico e questa si-tuazione offrirà il destro per avallare le teorie della corrente determinista postratzeliana, con la suggestiva elaborazione della challenge theory elaborata da El-lesworth Huntington agli inizi del Novecento, per cui l’affermarsi delle grandi ci-viltà si deve, come appunto nel caso di Venezia, non tanto alla presenza di terri-tori fertili e ricchi di risorse naturali quanto al prevalere di ostili condizioni am-

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bientali. Ma ben prima di questo “determinismo alla rovescia” di Huntington, ilsapersi muovere con sicurezza nell’articolato intersecarsi dei paesaggi anfibi,riuscire a trarre vantaggi economici da questa apparente condizione di margi-nalità, fondare un organismo sociale e politico autonomo, valorizzare al massi-mo le proprie potenzialità nella precarietà morfologica dell’ambiente lagunarecostituiscono i caratteri salienti del condiviso e ben strutturato mito geograficocha ammanterà le origini di Venezia.

Il suo insediarsi all’interno di una morfologia idraulica così dinamica e inbuona parte ancora integra rispetto alla realizzazione di rilevanti interventi daimporre con “dispotica” coercizione su meandri, barene, lidi e delta lagunari,necessitava infatti di una specifica cosmologia anfibia, in grado di esplicare i ca-ratteri evolutivi della geografia fisica, i cicli degli elementi primordiali (acqua eterra), il ruolo delle maree, il mescolarsi di acque dolci e salate. Una stabile pre-senza umana, e non solo in laguna, avvia un progressivo processo di sintesi trauomo e natura che produce peculiari narrazioni in cui si consolida non solo unaoggettiva immagine geografica, ma anche un condiviso patrimonio di significa-ti e rappresentazioni culturali.

E in effetti, quando Strabone accenna alla costa alto-adriatica, mostra unaattenta consapevolezza della complessità geomorfologica su cui agisce il più in-cisivo e dinamico dei quattro elementi empedoclei: l’acqua. Egli evoca quindila necessità di controllo e regolamentazione dei deflussi, dedicando particolareattenzione alle maree, evidenziando che la regione dei Veneti è stata trasforma-ta «mediante canali ed argini come nel Basso Egitto» e che esistono città «comeisole» e che quelle «nella terraferma hanno collegamenti fluviali degni di ammi-razione». Anche poco più a sud delle lagune venete una stabile e importante pre-senza antropica è costituita dalla «grande Ravenna, interamente costruita su pa-lafitte, percorsa da corsi d’acqua e attraversata da ponti e da barche», in cui si ce-lebra il mito urbano della salubrità, ottenuta grazie all’efficacia di uno stabilepotere politico che ha saputo “fare ordine” sulla base naturale, cioè riuscendo aseparare le acque dalla terra.

Se da un lato le cosmologie geografiche elogiano la comprensione e la capa-cità di fare ordine sugli elementi naturali e dotare così le città anfibie di portiprofondi, di canali navigabili, di estese banchine e di terreni solidificati per l’e-dilizia, nondimeno è vantaggioso il permanere di ampi settori allo stato natura-le. È questo il senso della descrizione dell’agro ravennate lasciataci da Procopiodi Cesarea, in cui la morfologia anfibia attorno alla città costituisce un baluardonaturale che «non è di facile accesso per le navi, né pare lo sia neppure per le mi-lizie di terra». È lo stesso autore che menziona la scelta strategica di utilizzarepercorsi sublitoranei, tra i lidi costieri e le paludi più interne. All’alba di Venezia,più che di una efficiente e articolata civiltà idraulica, possiamo dedurre dallefonti la presenza diffusa di modeste comunità anfibie, portatrici di saperi sem-plici, ma perfettamente adattati alle non facili morfologie paludose. È in questa

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fase storica che si elaborano specifiche competenze, che si accumulano adegua-te conoscenze che consentono la realizzazione di interventi minimi, ma efficaci.Si tratta di un patrimonio che riguarda la pesca, la navigazione, l’agricoltura, l’e-dilizia, l’alimentazione e di cui, nei secoli successivi, si potrà disporre di ricchedocumentazioni, trovando inoltre suggestive conferme e spunti per utili con-fronti anche nella recente ricerca etnografica svolta in consimili ambienti umidilungo le coste del mondo.

L’avvio della modernità nell’entroterra di Venezia sarà declinato dedicandoparticolare attenzione alla costruzione di un paesaggio idraulico più complesso,rispondente alle strategie di una potenza marinara che cerca di compensare lefrustrazioni mercantili e geopolitiche causate dall’espansione dell’impero Otto-mano. Ecco che lo sguardo verso la fisicità della conterminazione lagunare e del-la terraferma suggerisce di andare oltre la pura e semplice convivenza con le na-turali dinamiche idrauliche, rendendosi necessaria l’efficiente e definitiva sepa-razione delle acque dalle terre, tanto da imporre, verso la metà del XVI secolo, l’i-stituzione di uno specifico organismo tecnico per la redenzione dei Beni Inculti.Non a caso, Nicolò Zen, tra i primi a essere nominato Provveditore ai Beni In-culti, enuncia nel 1557 i ben noti principi su cui si basa la coeva scienza idraulica.Essi sono accomunati dalla regola fondamentale della “separazione”, e non solodelle acque dalla terra, ma anche dell’acqua dolce da quella salata e dei deflussicon torbide da quelli limpidi delle acque sorgive. Ne consegue una ben articola-ta retorica della bonifica, in cui neoplatonismo umanistico e attitudini contro-riformiste concorrono a equiparare la costruzione di nuove campagne alla crea-zione divina. Da questa visione emerge un esplicito elogio delle “arti meccani-che”, tra cui ovviamente l’ingegneria idraulica, per cui l’attività progettuale perl’espansione di nuove colture avvicina il tecnico all’attività del Creatore. È in que-sto ambito che il moto circolare rilevabile nella struttura del cosmo trova imme-diato riscontro, e non solo simbolico, nella rotazione che costituisce l’essenza del-l’agire meccanico, come si poteva facilmente constatare nella grande varietà diruote idrauliche o nel ruotare delle pale dei mulini utilizzati in quell’epoca nelleterre di bonifica, ovvero le machine, oggetti prodotti dall’ingegno umano per ren-dere operativa la capacità dell’uomo di intervenire sulla natura e a cui si è ampia-mente dedicata la trattatistica scientifica europea tra XVI e XVII secolo.

E nel titolo di questa importante monografia, Federica Cavallo include pro-prio il termine “macchina”, essenziale parola chiave a cui affidare il senso piùcompleto e profondo del suo percorso interpretativo fondato sul ruolo della bo-nifica come atto modernizzante. O meglio, come esito irrinunciabile di una ela-borata evoluzione delle “arti meccaniche”, che dal trionfo del positivismo ra-zionalista in avanti hanno visto perfezionarsi la loro capacità di trasformare labase naturale, amplificando gli effetti antropici su pertinenze geografiche sem-pre più vaste. Ecco che la bonifica meccanica, potenziata dal diffondersi della“vaporizzazione”, va ben oltre le pur lodevoli redenzioni della prima modernità

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che si affidava all’energia cinetica della gravità captata grazie all’attento studiodelle pendenze o a quella eolica. Nell’antitetica opposizione tra terra e acque, omeglio nel naturale interagire tra litosfera e idrosfera che può sintetizzarsi in unotra i protagonisti dei processi morfodinamici, ovvero il susseguirsi di erosione,trasporto e sedimentazione, si può riconoscere la sfida più rilevante che con-sente di definire il grado di modernizzazione di una comunità. Questo aspettocostituisce l’essenza del percorso geografico scelto dall’autrice, riuscendo a de-limitare il tema unificante all’interno della multiforme applicazione dei saperiingegneristici dalla metà del XIX secolo fino all’alluvione del 1966, sorta di limi-te temporale oltre il quale la coeva evoluzione dell’idea di natura ha reso di fat-to obsoleti e anacronistici i sempre meno euforici e entusiastici progetti di pro-sciugamento di aree umide.

Ed è su questo punto che Federica Cavallo chiarisce con stimolante efficaciail porsi inconciliabile di forti antinomie innescate dalle repentine trasformazio-ni territoriali apportate dal prosciugamento meccanico, con particolare riguar-do alle reazioni contro il definirsi di paesaggi nuovi, espresse non solo dai menoabbienti usufruttuari degli usi civici in ambienti palustri, ma anche da una nontrascurabile componente della possidenza terriera più conservatrice. L’irrisoltoconflitto tra l’idea di palude come opportunità di sussistenza e i progetti diun’ampia costruzione di territorialità ruralista evolve in due significative elabo-razioni culturali: la prima viene definita dall’autrice come “demonizzazione”delle zone umide, tipica della fase modernista culminante con le logiche dellabonifica integrale del primo dopoguerra, mentre la seconda, successiva, può es-sere identificata con la visione ecocentrica, animata dal fascino dei paesaggi al-lo stato naturale e nutrita di nuove istanze mosse dall’elaborata decostruzionedella fiducia nell’intensità tecnologica.

In questo allargato apprezzamento dei valori ambientali, ciò che ancora re-sta delle aree umide italiane può certamente essere incluso tra le pertinenze ter-ritoriali di elevata qualità, da tutelare non solo per l’intrinseco valore naturali-stico e di specificità paesaggistica, una sorta di preziosi relitti in grado di testi-moniare “tipi geografici” antecedenti all’odierna corsa al consumo di suolo, masoprattutto come occasione per avviare una consapevole opportunità di turismosostenibile e responsabile nei confronti di delicati biotopi umidi. Sono questi glianni in cui ci si sta finalmente rendendo conto dell’importanza sia dell’identitàanfibia di numerosi ambiti regionali, che del funzionamento della complessamaglia idrografica che li segmenta, sottoposta a un generalizzato e prolungatodissesto impietosamente evidenziato dalle recenti alluvioni. I fiumi, i canali, ifossi, le paludi erano elementi del paesaggio che quando non servivano all’irri-gazione, al prelievo scriteriato di inerti o al deflusso dei reflui fognari, non si è esi-tato a tombinare, a rettificare, a prosciugare, relegando gran parte delle sugge-stive pertinenze golenali all’agricoltura intensiva abusiva e all’altrettanto abusi-va edificazione di insediamenti produttivi, commerciali e residenziali.

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Considerando l’odierna “alluvione cementizia” (così Eugenio Turri defini-va la proliferazione urbana nelle campagne italiane), i tanto vituperati paesag-gi della bonifica, a causa soprattutto dell’intenso stravolgimento ecologico esociale di preesistenti “geodiversità”, offrono ancora l’indubbia virtù dei vuo-ti, con l’interfaccia terra acqua ancora disponibile per eventuali interventi diri-naturalizzazione, per restituire biodiversità, per recuperare le funzioni del-l’idrografia superficiale. È su questi vuoti che bisognerebbe vigilare con cura,indagando per tempo le strategie delle politiche agrarie comunitarie, al fine diimpedire ulteriori e perniciose espansioni della cementificazione, già evidentiin alcuni settori delle bonifiche a ridosso delle intasate urbanità lineari del tu-rismo balneare di massa dislocate tra Isonzo e Marecchia. Oggi l’idrografia del-la macroregione padana scorre infatti su territori sempre più impermeabilizza-ti dal cemento diffuso, con la conseguente riduzione della complessità sistemi-ca, geomorfologica, idraulica, naturalistica dei piccoli e grandi fiumi. I tempi dicorrivazione, cioè lo scorrere dell’acqua dai vari punti del bacino verso le reti diraccolta, sono stati abbreviati. In tal modo si è ridotta la capacità di ritenzionee di assorbimento dei suoli. La sicurezza idraulica rischia di essere vanificatadal frenetico consumo di suolo, dalle logiche egoistiche della rendita fondia-ria. Basterebbe adeguarsi alla direttiva quadro sulle acque, la n. 60 del 2000 del-la Comunità Europea, che punta al risanamento, protezione e ripristino degliambienti acquatici: in tal senso il buon stato ecologico dei fiumi, con la restitu-zione degli ambiti golenali e mantenendo le fasce di rispetto, potrebbe essere ilprimo passo verso una meno drammatica coesistenza con gli eventi meteoricipiù intensi, garantendo inoltre una più generale qualità ambientale di cui la cao-tica megalopoli padana ha sempre più bisogno. Il lavoro di Federica Cavallo siconclude con una condivisa e quasi empatica consonanza con l’odierna riabili-tazione etica e culturale dei patrimoni ambientali anfibi e dei contermini pae-saggi-visione costruiti dalle bonifiche, così necessaria in questi nostri tempi do-minati dalle grette e riduttive retoriche del “fare”, ad ogni costo, senza il purminimo rispetto della complessa polifonia di conoscenze, affetti e percezioniche si dibatte inascoltata in ogni ambiente.

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II. Un dispositivo di pianificazione, costruzione e governo del territorio

II.1. Ordine, controllo, confine. Le relazioni tra bonifica e Stato moderno

Ogni disegno complessivo di bonifica (che si contraddistingua in ragionedella scala, delle tecniche e degli impatti ambientali e territoriali) reca in sé l’im-pronta di un potere forte, di un’autorità ispirata da volontà di controllo e ge-stione del territorio o, perlomeno, rivela un tratto ordinatore e sistematore ingrado di agire profondamente sulle terre e sulle acque (e sulla loro separazione).

Non è un caso che vari autori1 abbiano evidenziato uno stretto legame tra bo-nifiche e Stato moderno. Quest’ultimo va correttamente inteso come entità ti-pologica storicamente e geograficamente determinata, sviluppatasi in Europatra il Cinquecento e l’Ottocento2:

una particolare forma di organizzazione coattiva, che tiene unito un gruppo sociale su undeterminato territorio […]. Esso generalmente viene caratterizzato da tre elementi: il po-tere sovrano, che dà sostanza all’autorità; il popolo, che nei diversi tempi storici ha ruolidiversi; e infine il territorio o meglio l’unità territoriale su cui esercita il proprio dominio(lo Stato ha un centro – la capitale – e ben precisi delimitati confini), donde la territoria-lità dell’azione politica3.

In tal senso, diviene fondamentale la piena conoscibilità al governo centraledel corpo territoriale dello Stato (che deve essere “trasparente” al potere politi-co, alla burocrazia, alla fiscalità, alla leva militare…) e la sua stabilizzazione al-l’interno di confini, sovente accreditati come “naturali” in quanto coincidenticon elementi orografici o idrografici, e concettualizzabili come lineari (il crina-le di una catena montuosa, il corso di un fiume): condizioni che mal si concilia-no con la presenza di zone umide o di vaste aree soggette a esondazioni, le cui to-pografie mutevoli e complesse costituiscono un elemento di indeterminatezza.«Come sarebbe stato possibile proteggere o anche solo definire una frontierache giacesse sott’acqua, foss’anche solo per metà dell’anno?»4.

Secondo Franco Farinelli, tra il Cinquecento e l’Ottocento (ma, a noi sembra,ancora nel Novecento, quantunque si manifesti la “crisi” dello Stato moderno),accanto a motivi economici, si riscontrano «ragioni più sottili che spingevanogli Stati europei a trasformare sistematicamente l’acqua e il fango in terraferma:“ordine, misura e disciplina” erano gli imperativi dei regimi assolutisti più o me-no illuminati»5. La compattezza fisica dello Stato, che dovrebbe fare da base e dacontraltare a quella socio-culturale, si fonda, infatti, sulla separazione netta tra

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le terre e le acque, entrambe conoscibili e cartografabili in maniera inequivoca-bile, nonché fatte oggetto di specifiche e differenti forme di gestione.

Ad esempio, David Blackbourn, in un recente saggio dedicato alla co stru -zione della Germania moderna, associa le bonifiche prussiane dell’Oderbruch6,avviate da Federico il Grande di Prussia, a una volontà quasi maniacale di “met-tere ordine” (proiezione e metafora dell’assolutismo illuminato) laddove pre-ponderava il substrato sfuggente delle paludi. Ma non vanno sottaciuti neppu-re aspetti più prosaici che inducevano lo Stato moderno a farsi bonificatore: in-fatti «gli acquitrini non bonificati resistevano ai rilievi catastali sui quali si fon-davano le tasse, impedivano la marcia dei soldati e costituivano un nascondiglioper elementi “devianti” come banditi e disertori»7.

Le zone umide, specie se soggette a modificazioni stagionali o interannualierano dunque un ostacolo alla fissazione di quei confini che, invece, gli Stati eu-ropei tendevano sempre più a stabilizzare militarmente: e spesso erano propriole regioni di confine, le aree periferiche o costiere, piuttosto che il “cuore” terri-toriale, a essere occupate da paludi o lagune8; come ha notato Teresa Isenburg,la stessa celebrazione dell’evento più importante nella storia dell’elaborazionedel concetto di bonifica in Italia, ovvero il Congresso dei bonificatori del 1922,si tenne a San Donà di Piave: certo perché il Veneto, per antica tradizione, si po-neva come la regione leader della bonifica (e il basso Piave era cruciale per le bo-nifiche meccaniche), ma anche per celebrare l’avvenuto ripristino delle bonifichedanneggiate nel corso del conflitto proprio in un luogo così carico di significatisimbolici e ancora fresco delle vicende della Grande Guerra9.

Blackbourn ricostruisce la dinamica, che potremmo riassumere nelle polaritàdi palude-frontiera/bonifica-confine, in particolare in relazione alla Prussia del-la seconda metà del Settecento: «Per uno Stato che si espandeva conquistandomilitarmente le piane paludose nordeuropee, confini e bonifica erano tutt’u-no»10. Non stupisce che le prime operazioni di bonifica venissero spesso affida-te all’esercito. Anche quando le bonifiche non riguardavano territori di recenteannessione, si trattava pur sempre di una possibilità di occupazione, produttivae insediativa, di “nuovi” territori: una vera “conquista”, per quanto interna. Ana-logamente, era affidato all’esercito il rilevamento topografico e la cartografazio-ne precisa delle aree impaludate, precondizione alla loro trasformazione. Delresto, «il progredire della scienza geografica è in larga misura dovuto a queglispaventosi, sciagurati eventi che sono le guerre. Perché esse spingono gli uomi-ni a conoscere in modo migliore le regioni che poi distruggono»11: guerra tra Sta-ti e guerra alle acque presentano non pochi intrecci e analogie12.

In Italia le bonifiche avevano rappresentato una proiezione sul terreno, unastabilizzazione del potere e una terra di conquista interna già per gli Stati preu-nitari: si pensi alla Repubblica di Venezia (bonifiche perilagunari, della Bassapadovana, del Delta Po), al Granducato di Toscana (bonifiche della Val di Chia-na13, dell’alta Maremma e della Maremma grossetana), al Regno di Napoli e suc-

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cessivamente al Regno delle Due Sicilie (scavo dei Regi Lagni e bonifica dell’A-gro Nolano e Terra di Lavoro, bonifica del Vallo di Diano), allo Stato Pontificio(bonifica della porzione romana della Val di Chiana, parziali prosciugamentidell’Agro Romano e delle Paludi Pontine14)15. Con l’unificazione della penisolaquesta tradizione venne raccolta, rilanciata e caricata di nuovo senso nel quadrodella costruzione dello Stato nazionale. Si tratta, dunque, di restringere la rela-zione bonifica-Stato moderno, declinando quest’ultimo nella sua variante otto-centesca: lo “Stato nazionale burocratico rappresentativo”16.

A proposito del Delta del Po (ma l’assunto si potrebbe facilmente estenderead altri territori anfibi), Marina Bertoncin nota che «il primo atto politico e for-te, con cui lo Stato italiano tenterà di rendersi visibile (…), sarà la bonifica, ri-sultato, peraltro, di un lungo e difficile tentativo di legittimazione sull’intero ter-ritorio nazionale»17: un “agire di terra” (per dirla con le parole dell’autrice), chefece seguito alla documentazione sullo stato del Paese (tramite le inchieste agra-rie, i rilevamenti statistici, i rapporti prefettizi…) e che emarginò progressiva-mente gli assetti produttivi e territoriali basati sulle acque. Se, con l’autrice, siinterpreta, in particolare, la storia del Delta come una dialettica tra logiche diacque e logiche di terra, se ne conclude che queste ultime abbiano sempre «tra-smesso funzioni […] di governo del territorio e di controllo»18. A maggior ra-gione in seno allo Stato unitario.

La “fissità”, la “stabilità” della terra, che nel Delta Po (come in molti altricontesti di bonifica) si è declinata nell’alleanza tra istituzioni nazionali e grandepossidenza agraria, rappresentava uno degli obiettivi dell’intervento statale: èstata questa variabile politica e gestionale, espressa nelle classiche forme di go-verno piuttosto che tramite la cosiddetta governance, a trasformare il terreno (ele acque) in “territorio”.

Contestualmente si rafforzava l’esigenza, di lungo corso, di mappare con esat-tezza le singole proprietà terriere, delimitate da confini lineari precisi, in un pro-cesso che vide l’erosione progressiva (fino alla sostanziale scomparsa, salvo par-ticolari eccezioni) di quegli ambiti territoriali appannaggio di usi civici di ascen-denza medievale o comunque consuetudinariamente usufruiti dalle comunità(foreste, pascoli e, appunto, zone umide): ciò in favore della piena proprietà e -sclu siva o, in alternativa, delle nuove logiche demaniali statali19. Così, nei conte-sti fluidi delle paludi, delle lagune, delle valli da pesca «lo Stato utilizza i pro-prietari per consolidare la sua stessa sovranità, oltre che la terra attraverso la bo-nifica»20. Tutto ciò è stato cruciale per lo Stato unitario italiano (variante otto-centesca dello Stato moderno nella citata forma burocratico-rappresentativa),che, per le peculiari premesse storico-sociali, si rivelava fragile. Una creaturaquantomai urgente di conferire contenuto civile a quell’Italia che Metternich ave-va liquidato come «una mera espressione geografica»21. Nell’edificazione statua-le italiana, le bonifiche, operative tanto al Nord quanto al Centro-Sud e nelle iso-le maggiori hanno dunque, avuto, nel bene e nel male, un ruolo fondamentale.

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III. Bonifica e modernità

III.1. Bonifica idraulica meccanica: bonifica “moderna”

La dicitura “bonifica idraulica meccanica otto e novencentesca” descrive, inmaniera formalmente corretta e precisa, il principale oggetto di questo testo;tuttavia, si potrebbe a buon diritto utilizzare come sinonimo il termine “bonifi-ca moderna”, non solo per ragioni di brevità. Innanzitutto perché, si è detto,non tutte le bonifiche realizzate nel corso dei secoli XIX e XX condividono il ri-corso alle idrovore, ma tutte recano impresso il segno dell’era delle macchine,tanto che è possibile riscontrare una concezione meccanicistica dell’interventoterritoriale, anche indipendentemente dall’impiego delle idrovore. Con ciò sicompie, tuttavia, il passaggio da una definizione meramente descrittiva e deno-tativa a una che porta con sé una nebulosa di connotazioni e narrative di riferi-mento. Una locuzione, quella appunto di “bonifica moderna”, che necessita diuna contestualizzazione geostorica specifica.

Con il termine “moderno” non ci si vuole qui riferire all’accezione della pe-riodizzazione storica convenzionale (che non è neppure univoca, peraltro1), nési vuole semplicemente indicare il carattere (relativamente) recente di questeprassi di bonifica rispetto alle più tradizionali opere di drenaggio realizzate neisecoli anteriori sul territorio italiano, e veneto in particolare. È stato osservatoche spesso «con l’aggettivo moderno si designa un nuovo regime, un’accelera-zione, una rottura, una rivoluzione del tempo», alludendo implicitamente a unalotta tra vincitori (i “moderni”) e vinti (gli “antichi”)2 e che «la storia della paro-la modernus […] è soprattutto la storia di questo spostamento di valore che por-ta a conferire al moderno, al novum, un primato assiologico sull’antico»3. In que-sta sede si intende considerare il complesso di elementi, ideali e stilistici, che, inun’opinione comune (specie ai teorici e agli analisti della postmodernità4) avreb-bero caratterizzato la rottura della cosiddetta “modernità”, intesa come com-plesso di valori e sensibilità occidentali (e fondamentalmente eurocentriche) ra-dicate soprattutto nel progetto illuministico settecentesco.

Gli elementi caratterizzanti la modernità, variamente problematizzati negliscritti di molti pensatori (in Italia si pensi a Gianni Vattimo), sono stati recente-mente riepilogati in un quadro sintetico da Gaetano Chiurazzi5. Alcuni di que-sti “pilastri della modernità” sono particolarmente significativi in relazione allaprassi territoriale della bonifica idraulica dei secoli XIX e XX. Anzitutto, la mo-

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dernità viene identificata con una concezione lineare del tempo e della storiaumana; quest’ultima è concepita come uno sviluppo incrementivo tendente aun progresso sostanzialmente illimitato. Il progresso è, in qualche modo, “ne-cessario e infinito” e il genere umano, promotore delle innovazioni, ne è l’arte-fice. Va da sé che la modernità si caratterizzi pure per un razionalismo estremo,fondato sul primato tecnico-scientifico. Di fronte alla scienza e alla tecnica ilmondo viene ridotto a oggetto, di conoscenza prima e di sfruttamento poi. L’am-biente (ma nella temperie culturale moderna si sarebbe piuttosto parlato di “na-tura”) è percepito come ambito di dominio, attuato proprio attraverso la tecno-logia. Analogamente centrali risultano il dominio e l’ordinamento razionale del-lo spazio (e del tempo)6.

La bonifica idraulica meccanica (la sua ratio, le sue modalità, così come i suoiesiti territoriali) appare, allora, come una perfetta incarnazione di questi princi-pi. Si tratta di un’innovazione, squisitamente tecnologica, che consente uno scar-to di segno differente (dopo il drenaggio per gravità, la bonifica per colmata na-turale e quella per colmata artificiale) nel progressivo cammino della bonifica-zione dei terreni. La scienza (in questo caso la fisica e, in particolare, l’idraulica)applicata consente un intervento di modificazione del mondo (finalizzato, in ul-tima analisi, alla massimizzazione dello sfruttamento economico), il quale, al-meno apparentemente, prescinde dalle logiche coevolutive uomo-ambiente.

In qualche modo, la bonifica è una sorta di riedizione moderna della topiariaopera dei latini: uno spazio allestito dall’uomo dove la natura è abilmente asser-vita, questa volta non più all’arte (come avveniva in epoca romana e poi nei giar-dini europei, tra XVI e XVIII secolo), ma alla tecnologia. Le finalità non sono piùestetico-contemplative (sebbene, come si vedrà più oltre, esista pure una “este-tica della bonifica”), ma economiche e socio-politiche: benché rimanga perce-pibile, nei testi e persino nei progetti dei bonificatori, un certo compiacimentovirtuosistico per l’opera in sé e per sé.

Nella “bonifica moderna” si ha una netta separazione tra terra e acqua, otte-nuta tramite interventi imponenti e invasivi di modificazione territoriale, e, inultima analisi, tramite il ricorso alla tecnologia che rende possibile il solleva-mento delle acque (come anche altre realizzazioni). In questo modo si persegue(e si ottiene) l’espulsione totale delle acque “in eccesso”, la cancellazione dellevarie forme naturali o seminaturali di commistione tra gli elementi e la disgiun-zione ordinata e meticolosa tra terre asciutte (che prevalgono) e acque relegatea funzioni controllate, tra le quali l’irrigazione razionale è senz’altro la principa-le. La sinergia con l’irrigazione è, infatti, alla base dell’idea di bonifica moderna7.

La comparsa delle idrovore costituisce, prima per le bonifiche retrocostierealto-adriatiche, successivamente per molti altri contesti disseminati lungo la pe-nisola italiana8, una cesura non solo quantitativa (grazie alle macchine idrovore,diventa possibile bonificare estensioni molto più vaste in tempi molto più brevi),ma essenzialmente qualitativa: non si tratta più di procedere per tentativi empi-

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rici (inserendosi nel solco di una lunga storia di tecniche sperimentali, più o me-no efficaci e più o meno durevoli, talvolta trasformatesi in procedure “tradizio-nali”), ma di realizzare in tempi rapidi e a “colpo sicuro” (almeno nelle aspetta-tive)9 un progetto che metta i suoli prosciugati a disposizione di uno sfrutta-mento agricolo sistematico e ottimizzato; in tale contesto anche l’insediamentodella forza lavoro diventa stabile e programmato10.

La lezione di Emilio Sereni vuole che ogni paesaggio agrario sia interpretatocome «la forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività agricole, co-scientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale»11. Tuttavia, que-sta constatazione generale acquista una pervasività “formale, oggettiva e inten-zionale” (per usare di nuovo parole di Sereni) di segno differente. L’alta densitàdi tecnologie, ma anche di capitali, impiegati nella costruzione del paesaggioagrario con l’avvento della bonifica idraulica meccanica costituisce una vera ri-voluzione moderna: mai forma più nitida (nella sua geometria) fu “cosciente-mente e sistematicamente” impressa.

Carlo Cattaneo, nel 1845 definiva l’agricoltura come costruzione di un terri-torio, di una “patria artificiale”12. Spesso tale costruzione è il risultato del seco-lare e progressivo accumularsi di singoli segni territoriali che, radicati nelle vo-cazioni ambientali, vanno formando (con fasi di accelerazione e altre di stagna-zione o regressione) un paesaggio agrario coerente. In altri casi, tuttavia, la co-struzione territoriale è una trasformazione repentina e unitaria, attuata attra-verso precise forme di pianificazione che tendono o aspirano a trasformare ra-dicalmente il substrato ambientale e le modalità di antropizzazione precedenti.Si configura, così, una dicotomia. Da un lato, il “costruire lento”, portandosi ap-presso, più o meno consapevolmente, l’eredità di quanto realizzato dalle gene-razioni passate (processo che non va appiattito in un immobilismo a-storico eche non esclude affatto modificazioni, anche sostanziali, del paesaggio eredita-to). Dall’altro, il costruire rapidamente e “liberamente” (cioè apparentementesenza limitazioni, senza restrizioni, bypassate grazie all’ausilio della tecnologia):uno scancellare, in nome del progresso, i tratti dei luoghi per disegnare nuovegeo grafie. Alla cadenza dei secoli subentra il ritmo delle macchine, la trasfor-mazione del territorio è governata da progetti sempre più ambiziosi, magari noncompletamente condivisibili (specie a posteriori), ma pur sempre “visioni” (coe-renti, almeno nella loro logica interna) di territori futuri. L’avvicendarsi dei “tem-pi brevi” ai “tempi lunghi” delle bonifiche antecedenti, è, come si è visto13, un di-scrimine storico essenziale anche per Lucio Gambi, ma, ancor più a monte, è undato evidente, percepibile dagli stessi testimoni di una bonifica che si fa «rottu-ra della consuetudine con i tempi lunghi della storia. […] Lino, raccoglitore, cidisse che la bonifica avvenne dalla mattina alla sera: perché fu un salto tempo-rale, un annullamento dei tempi, del passato e del divenire, del tutto radicale»14.

Tito Menzani si è espresso15 nei termini di due “culture bonificatorie diffe-renti”: l’una improntata all’armonia tra terra e acqua come «tema imprescindi-

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Terre acque macchine

ricognizione sulla bonifica italianatra Ottocento e Novecento

ad opera di Federica Letizia Cavalloviene stampato nel carattere

Simoncini Garamondsu carta Arcoprint delle cartiere Fedrigonidalla tipografia Grafitalia di Reggio Emilia

per conto di Diabasisnel mese di apriledell’anno duemila

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