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TEORIA DELL' IMPETO, MECCANICA NEWTONIANA E MECCANICA RELATIVISTICA : UNA SORPRENDENTE COESISTENZA NELLA FISICA DI FINE SECOLO XX°. Riassunto: Sulla base dei risultati di un test sulle teorie del moto somministrato a scolaresche delle scuole medie superiori e ad un gruppo di adulti colti e alla luce dell' analisi dell' impostazione metodologico-didattica oggi predominante nell' insegnamento della meccanica nei corsi di Fisica dell' istruzione secondaria superiore, si perviene alla conclusione che l' insegnamento della meccanica newtoniana non esce vincente nella competizione, sostenuta inconsapevolmente, con le teorie medievali dell' impeto possedute spontaneamente da studenti ed adulti colti,  perché esso in realtà non rompe con la tradizione assolutistica ed empirica del buon senso comune e non muta il paradigma culturale preesistente su Spazi e Tempi assoluti e sull' osservatore "assoluto". Si afferma l' opportunità di adeguare, sin dai primi approcci, una moderna didattica della Fisica ai principi della meccanica relativistica  ed alla consapevolezza epistemologica che il sapere scientifico procede non per accumulo, bensì    per ristrutturazioni  (Bellone 76)   "ed il nuovo risulta essere una pura negazione dell' antico" (Bitsakis, 92). Pertanto si sostiene la necessità di cominciare lo studio della Fisica procedendo dapprima ad una demolizione consapevole e radicale sia delle teorie sul moto prenewtoniane, sia delle concezioni tanto diffuse nella didattica circa il metodo induttivo-sperimentale, considerato come il metodo per antonomasia, per poi impostare immediatamente lo studio della meccanica in funzione di un' introduzione precoce delle idee relativistiche, anteponendo per questo scopo all' intera cinematica il principio d' inerzia del quale si propone una nuova enunciazione. PREMESSA.      Una didattica moderna della Fisica deve reggersi  su due gambe: una è il possesso di un quadro chiaro dell' epistemologia della disciplina, l' altra è la conoscenza della psicologia dell' apprendimento alla luce delle più recenti acquisizioni delle scienze cognitive. La testa  - cioè il sapere fisico - può poi camminare su queste gambe seguendo un percorso didattico che deve tenere 

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TEORIA DELL' IMPETO, MECCANICA NEWTONIANA E MECCANICA RELATIVISTICA : UNA SORPRENDENTE COESISTENZA NELLA FISICA DI FINE SECOLO XX°.

Riassunto: Sulla base dei risultati di un test sulle teorie del moto somministrato a scolaresche delle scuole medie superiori e ad un gruppo di adulti colti e alla luce dell'  analisi  dell'   impostazione metodologico­didattica oggi  predominante nell' insegnamento   della   meccanica   nei   corsi   di   Fisica   dell'   istruzione   secondaria superiore,   si   perviene   alla   conclusione   che   l'   insegnamento   della   meccanica newtoniana non esce vincente nella competizione, sostenuta inconsapevolmente, con  le  teorie medievali  dell'   impeto possedute spontaneamente da studenti  ed adulti colti,   perché esso in realtà non rompe con la tradizione assolutistica ed empirica del buon senso comune e non muta il paradigma culturale preesistente su Spazi e Tempi assoluti e sull' osservatore "assoluto". Si afferma l' opportunità di   adeguare,   sin   dai   primi   approcci,   una   moderna   didattica   della   Fisica   ai principi della meccanica relativistica  ed alla consapevolezza epistemologica che il sapere scientifico procede non per accumulo, bensì       per ristrutturazioni    (Bellone 76)     "ed il nuovo risulta essere una pura negazione dell' antico" (Bitsakis, 92). Pertanto si sostiene la necessità di cominciare lo studio della Fisica procedendo dapprima ad una demolizione consapevole e radicale sia delle teorie sul moto prenewtoniane, sia delle concezioni tanto diffuse nella didattica circa il metodo induttivo­sperimentale,   considerato  come  il  metodo per  antonomasia,  per  poi impostare   immediatamente   lo   studio   della   meccanica   in   funzione   di   un' introduzione precoce delle idee relativistiche, anteponendo per questo scopo all' intera   cinematica   il   principio   d'   inerzia   del   quale   si   propone   una   nuova enunciazione.

PREMESSA.  

       Una didattica moderna della Fisica deve reggersi   su due gambe: una è  il possesso di  un quadro chiaro dell'  epistemologia della  disciplina,   l'  altra è   la conoscenza   della   psicologia   dell'   apprendimento   alla   luce   delle   più   recenti acquisizioni  delle   scienze  cognitive.  La  testa     ­  cioè   il   sapere  fisico  ­  può  poi camminare su  queste  gambe seguendo un percorso  didattico  che deve  tenere 

conto delle possibilità offerte da quei determinati strumenti di locomozione e dei limiti   ad   essi   connaturati   (non   fare   il   passo   più   lungo   della   gamba...).   Una discussione   approfondita   di   questo   approccio   multidisciplinare   alla   didattica della   Fisica   sarà   oggetto   di   un   lavoro   dedicato,   in   preparazione,   dal   titolo provvisorio "La Nuova Fisica deve essere insegnata con una Nuova Didattica" che   sarà   inviato   successivamente.   Qui,   per   gli   scopi   di   questo   articolo,   è sufficiente assumere due importanti conclusioni, significativamente convergenti, tratte   dai   lavori   di   De   Bono   (72),   il   primo   a   proporre   nuovi   metodi   per   l' apprendimento innovativo (vedi "Imparare il futuro", 79), e di Chalmers (79, volume   di   rassegna),   sull'   epistemologia.  La   prima  è   che   le   modalità   di funzionamento della mente sono tali da portare alla formazione rapida di uno schema rigido  di   interpretazione  della   realtà   che   in   seguito  è     rinforzato  da percezioni selettive a scapito   di altri schemi susseguenti.  La seconda  è  che l' epistemologia ha raggiunto la consapevolezza che un certo tipo di teoria precede tutte le proposizioni osservative e che quindi la posizione epistemologica tanto diffusa   nella   didattica  della   fisica   secondo   la   quale   la   base   della   conoscenza scientifica sia costituita dalle osservazioni eseguite da un osservatore imparziale e  libero   da   pregiudizi    è   assurda   ed   insostenibile.   Queste   due   affermazioni   di principio forniscono un quadro teorico in base al quale si può prevedere: (i) che gli studenti cui ci rivolgiamo non sono delle "tabulae rasae" o, peggio ancora, dei   "buoni   selvaggi",   a   digiuno   di   ogni   impostazione   scientifica   nella osservazione della realtà, ma, anzi, sono, in modo naturale, degli scienziati cui dobbiamo il massimo rispetto, poiché la nostra mente, senza la necessità di un sistema di istruzione formale, possiede già una metodologia scientifica, cioè una grammatica ed una sintassi per mettere ordine nelle percezioni e ricavarne delle previsioni  per   il   futuro;   (ii)  che,  poiché  gli   schemi   teorici   interpretativi  delle esperienze percettive si formano molto precocemente ­ la mente non  aspetta la scuola!   ­   e   si   consolidano   autoalimentandosi   per   anni     a   causa   di   un atteggiamento   inconscio   di   rigetto   di   ogni   modello   contrastante   lo   schema stereotipato  formatosi   per   primo,    non  ci   sono   possibilità   di   successo  per  un insegnamento   della   Fisica   quale   è   quello   tradizionale:   formale,   limitato   nel tempo, molto "tardo" rispetto alla crescita mentale, soprattutto non consapevole di quali siano i paradigmi scientifici con cui deve confrontarsi e quindi all' oscuro dei  concetti  che si  debbano enfatizzare e  di  quelli  che si  debbano scientemente distruggere.  Si può quindi prevedere che, lasciata la scuola superiore, adulti di cultura superiore alla media che si laureino in settori culturali non strettamente scientifici   "ritornino"     agli   schemi   teorici   di   interpretazione   dei   moti   che 

possedevano da adolescenti. Questo "ritorno" sarà tanto più agevole, si prevede, quanto   più   il   paradigma   scientifico   che   la   scuola   sovrappone   a   quello preesistente entra meno in conflitto con quest' ultimo. Io sostengo che, per avere buone probabilità di successo nel sostituire permanentemente le teorie corrette sul   moto   a   quelle   precedenti   di   natura   prenewtoniana,   sia   necessario massimizzare lo "scontro" teorico fra i due schemi, quello "antico" e quello "il più  moderno",  rendendolo   il  più   esplicito  ed   il  più  "largo" possibile.  E'  per questo motivo che in questo articolo si pongono le basi per una ristrutturazione radicale dell' insegnamento d' approccio fondamentale della fisica, quello della meccanica, poiché quella del moto è la prima e più fondamentale esperienza e caratteristica  del mondo.

GLI SCOPI DI QUESTO LAVORO       La   scoperta   che   quattro   studenti   su   cinque,  prima   di   iniziare   un apprendimento sistematico e  formale  in fisica,  possiedono "naturalmente" un quadro teorico di tipo medievale sul moto dei corpi in situazioni molto semplici e familiari (Mc Closkey, 83) è il punto di partenza e non può essere liquidata come il prodotto ingenuo e primitivo di menti non ancora sviluppate. Al contrario, essa stimola un necessario approfondimento allo scopo di rendere esplicito il quadro teorico   posseduto   in   tutti   i   suoi   particolari   ed   in   tutta   la   sua   coerenza.   La comprensione epistemologica che il sapere scientifico non procede per accumulo bensì   per   ristrutturazioni   (Bellone,   76)   o   addirittura   negando   l'   "antico" (Bitsakis, 92), aggiunge ulteriore complessità al problema dell' interazione fra le teorie in competizione nelle menti degli alunni. In altre parole, la didattica dei moti  non può   essere   insegnata  a  degli   studenti  che  possiedono  la   teoria  dell' impeto prescindendo dalla conoscenza che il sapere che vogliamo far assimilare deve   confrontarsi   con  quel  determinato   sapere   precedente,   tutt'   altro   che remissivo e tutt' altro che rozzo nei suoi connotati teorici.    Le esigenze cui risponde questo articolo sono quindi le seguenti:1) precisare il complessivo quadro teorico sui moti posseduto dalla maggior parte degli  studenti  prima di  iniziare i  corsi  di  Fisica delle Scuole Medie Superiori (SMS), mettendone in evidenza la non banalità e la coerenza con il paradigma socioculturale più diffuso; 

2)     spiegare   la   formazione   di   questo   quadro   teorico   fuorviante,   come conseguenza   naturale   delle   modalità   percettive   degli   studenti   e   del   contesto socioculturale in cui gli studenti sviluppano le loro idee sulla realtà;3) indagare negli studenti effetti e conseguenze della competizione fra vecchia e "nuova"   teoria   dei   moti   (quella   newtoniana),   così   come   è   tradizionalmente insegnata, cioè senza porsi palesemente in contrasto con il vecchio modello, anzi adeguandovisi per certi aspetti (assolutezza dei moti);4) indagare negli adulti acculturati il risultato conclusivo di questa competizione, allo scopo di trarre indicazioni sull' efficacia dell' attuale didattica dei moti. Il quadro teorico delineato nella premessa consente già di prevedere il risultato di quest'   indagine:   non   può   esservi   competizione   seria   fra   anni   ed   anni   di esperienze interpretate sulla base della teoria medievale dell' impeto e qualche ora   di   insegnamento   teorico   di   tipo   dichiarativo;   pertanto   si   prevede   una clamorosa   sconfitta   delle   idee   newtoniane   sul   moto,   anche   perché   esse   non riescono   ad   essere,   almeno   nel   modo   tradizionale   con   cui   sono   presentate, veramente rivoluzionarie rispetto alla teoria precedente;5) proporre un radicale cambiamento della didattica dei moti al fine di sostenere con     buone   probabilità   di   successo   una   competizione   vittoriosa   rispetto   allo schema medievale;6) inserire tale radicale cambiamento di impostazione didattica in un contesto più vasto di altrettanto radicale cambiamento del paradigma epistemologico sul "metodo" della fisica, privando l' esperienza del suo valore euristico a favore dell' argomentazione teorico­matematica.

LA   "DOTAZIONE"   NATURALE   DELLE   TEORIE   SUL   MOTO:   UN PRODOTTO   DELLE   MODALITÀ   PERCETTIVE   E   DEI CONDIZIONAMENTI CULTURALI.

       Uno studio scientifico dei principi fisici di funzionamento del mondo viene iniziato nel nostro Paese nei corsi di Scuola Media Superiore (SMS) a 14 anni di età nell' istruzione tecnica e professionale o a 16/17 anni nell' istruzione liceale. Si tratta   di   età   già   molto   "avanzate"   ai   fini   dell'   apprendimento   di   metodi   e contenuti della scienza. Il lavoro pionieristico di De Bono (72) già sottolineava l' importanza   di   un   approccio   corretto   e   precoce   nell'   apprendimento   per   l' esistenza di meccanismi simili all' "imprinting" che condizionano in modo molto 

profondo gli sviluppi successivi alla "prima impressione" conoscitiva su di un determinato argomento. La mancata consapevolezza di quanto siano "tarde" le età   scolastiche,   ha   causato   una   scarsa   preoccupazione   di   determinare   quali conoscenze   dei   principi   fisici   del   funzionamento   del   mondo   possiedano   gli studenti  di codeste età,  dando per scontato che, poiché  nei curricoli  scolastici dell' obbligo non esiste un percorso specifico di fisica, gli studenti non possano avere acquisito teorie fisiche che nessuno ha loro insegnato. Infatti, tutti i libri di testo ed  i  programmi delle SMS in fisica partono da zero,   immaginando uno studente "tabula rasa". In realtà nei  programmi ministeriali della Scuola Media (SM) alla voce "scienze sperimentali", si elencano, fra gli altri, obiettivi molto ambiziosi:­­ "imparare a conoscere strutture e meccanismi di funzionamento della natura"­­  "scoprire   l'   importanza di   formulare   ipotesi,  non solo  per  spiegare   fatti  e fenomeni, ma anche per organizzare correttamente l' osservazione".       Questi obiettivi, se raggiunti, significherebbero che l' alunno possiede già l' idea di legge fisica (per il primo) e di metodo scientifico (il secondo), almeno nell' accezione   più   tradizionale   del   termine.   Tutto   ciò   rende   particolarmente interessante una verifica dell' inquadramento teorico in fisica che, almeno nelle intenzioni,   l'   alunno   dovrebbe   già   possedere   prima   di   iniziare   le   SMS.   Ad ulteriore motivo di curiosità si aggiunge la considerazione che lo studente di 14 anni,   o   ancora   di   più   quello   di   16/17   anni,   possiede   già   un   patrimonio   di esperienze,   di   percezioni   e   di   pregiudizi   sul   funzionamento   della   realtà   che potrebbero costituire di per sé  ­ ed indipendemente dall' insegnamento nelle SM ­ un quadro organico teoricamente determinato (Mc Closkey, 83). Se ne potrebbe dedurre che il  curricolo scolastico in fisica delle SMS si  innesta quindi  in un contesto complesso di interazioni già avvenute fra esperienze individuali ripetute e   consolidate   ed   un   primo   insegnamento   formalizzato.   Le   domande   che   ne seguono sono allora: qual è il risultato di questa interazione, e quale efficacia ha l' attuale modo di insegnare i fondamenti della fisica ­ la teoria dei moti ­  in un contesto di competizione non consapevole con delle teorie preesistenti?        E'   a   queste   due   prime   domande   che   mi   sono   proposto   di   rispondere sottoponendo sia alunni all' inizio dei loro studi superiori, sia studenti con uno o due anni  di   studi  compiuti,   sia  adulti   colti   (laureati  o  equivalenti)  ad alcune richieste appositamente formulate per saggiare le teorie sul moto di cui erano in possesso.    Il Test (fig. 1) è stato predisposto nella versione definitiva qui presentata con 7 richieste per l' inizio dell' anno sc. 93­94 ed usato anche per l' anno sc. in corso. 

Per l' anno ancora precedente era stato formulato in versione più limitata, simile nell' impianto alle domande poste nelle indagini di Mc Closkey (83). Le richieste di questo Test più "primitivo" sono comunque assimilabili  alle richieste 1, 3, 6 e 7 del questionario attuale.       Le tabelle 1 e 2 riassumono la statistica relativa all' esperimento effettuato negli   ultimi   tre   anni   scolastici,   informando   sulla   composizione   del   campione esaminato e sulle percentuali di risposte errate.

TABELLA  N.  1

Liceo Classico anno scol.  94/95 classe iniz.  17  anni n. alunni: 22

Numero quesito

     1              2       3       4       5       6      7

%   ris. errate

    68      73      59       0      59      41/46       68

Liceo Classico anno scol.  94/95 classe term. 18 anni n. alunni: 24

Numero quesito

      1       2       3      4      5      6      7

%   ris. errate

     29      46       8     0/4      58    46/92     58

Liceo Scientifico anni   scol.     92/93, 93/94 e 94/95 (2 cl)

classi   iniziali,   14 anni

n. alunni: 24, 25 e 27/25 (2 classi)

numero quesito

     1       2       3      4      5      6      7

%   ris. errate *

     75      ­­­      50      ­­­      ­­­      92      79

idem *      68      64      60       0      64    68/80      68idem *      93      85      78       0      59    50/63      78idem       80      88      56     24/32       76      76      81

Liceo Scientifico anno scol.  94/95 classe iniz.le 16 a. n. alunni: 21

numero quesito

     1      2      3      4      5      6      7

%   ris. errate

     81      52      62      24        48 o (72)        

   48/100     62

Liceo Scientifico anno scol.  92/93 classe sec. 15 anni (1 anno seguito) 

n. alunni: 19

numero quesito

     1      2      3      4      5      6     7

%   ris. errate *

    63      68     ­­­      21      89      84     89

Liceo Scientifico anno scol.  92/93 classe   terza,   16   a. (2 anni seguiti)

n. alunni 26

numero quesito

     1      2      3      4      5      6     7

%   ris. errate *

    46      ­­­        38      ­­­     ­­­    38/69      31

Adulti laureati età media dal diploma di SMS:   23 anni

n. adulti esaminati: 22

numero quesito

     1      2      3      4      5      6     7

%   ris. errate

    73     73          36           0      59     77     45

DIDASCALIA   TABELLA N. 1.   Le classi marcate con l' asterisco sono classi dell' Autore. Si tratta di classi sperimentali del P.N.I. che iniziano i corsi di Fisica in prima Liceo Scientifico e li proseguono fino in quinta a tre ore la settimana. L' Autore ha assunto questa cattedra e le classi relative nell' anno scolastico 92­93 per la prima volta. Le classi seconda e terza hanno quindi avuto altri insegnanti di Fisica nei periodi precedenti. La classe iniziale di 16 anni è una classe normale che inizia i corsi di fisica in terza Liceo Scientifico. Le classi del Liceo Classico sono   una   seconda   e   una   terza   Liceo   (2   e   3   ore   settimanali   di   fisica, rispettivamente). Il doppio dato per il quesito 6 si riferisce rispettivamente alle traiettorie ed all' angolo di massima gittata. Il dato in parentesi nel quesito 5 comprende come errate le risposte corrette dovute ad una teoria errata, in base alle giustificazioni degli alunni stessi. Il gruppo di adulti cui trattasi è costituito dai colleghi d' Istituto dell' Autore, che si sono gentilmente prestati, seguendo le stesse istruzioni date ai ragazzi, per rispondere al test. 

       

TABELLA  N.  2

Alunni esaminati nelle classi iniziali.

Per fasce di età: 14  anni 16  anni 17  anni        Totali101  alunni 21  alunni 22  alunni 144  alunni4  classi 1  classe 1  classe 6  classiPer tipo di Liceo: Scientifico:  122 alunni Classico:  22  alunni

Alunni esaminati con un corso annuale di fisica seguito. Per fasce di età e tipo di Liceo:  15  anni 18  anni              TotaliLiceo   Scientifico:     19 alunni

Liceo   Classico:     24 alunni

                 43

    

Alunni esaminati con due corsi annuali di fisica seguiti.

Liceo Scientifico età:  16  anni n. alunni:  26 Totale:   26

Totale alunni esaminati, distinti per fasce di età: 

        14        15        16        17        18 Totale gen.       101        19        47         22        24         213 

Adulti esaminati, distinti per tipo di diploma secondario e per tipo di laurea.

dipl. sec.  class. 13 magis. 4 L. Sci.  3 ITC  1 sconos.  1 Tot.   22laurea lettere  12 l. str.   3 ISEF     2 Filos.    3 Ps. Ped. 2 Tot.   22

DIDASCALIA   TABELLA   N. 2. Gli adulti esaminati si sono auto selezionati, poiché hanno risposto al test solo coloro che lo hanno voluto su 63 colleghi di discipline non scientifiche che erano stati invitati dal Preside della Scuola dell' Autore a rispondere. Il test era anonimo e le uniche informazioni richieste per la elaborazione era l' anno di conseguimento del diploma secondario, oltre che il tipo. Ne è risultata un' anzianità media di diploma di 23 anni.

Come si vede dalle tabelle, scorporando i dati per fasce di età, si ottiene il 79% di risposte errate a 14 anni, l' 81% a 16 anni ed il 68% a 17 anni al Liceo Classico, con un anno di studi filosofici alle spalle.       Non escono dalle SM senza sapere, ma con un sapere errato! E' questa una prima importante deduzione.       Gli alunni con un anno di studio si differenziano nettamente a seconda dell' età, a causa della ben diversa esperienza scolastica esistente fra un alunno che ha solo terminato il  primo anno di studi superiori e l'  alunno che è  arrivato all' ultimo anno del Liceo Classico. Se poniamo in grafico (FIG. n. 2) i risultati in rapporto all' età ed agli anni di studio, inserendo anche il gruppo degli adulti colti  esaminati,  appare molto evidente  ­  anche solo  in riferimento alla  prima domanda del test ­ il tipo di risposte alle due domande in precedenza formulate.

classi iniziali 1 anno di studio 2 anni di studio adulti0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

classi iniziali 1 anno di studio 2 anni di studio adulti

 

DIDASCALIA  FIGURA  N.  2.  In ordinata vi è la percentuale di risposte errate alla  prima domanda del   test.  Le  tre colonne del  primo gruppo si  riferiscono rispettivamente   alle tre diverse età  delle classi   iniziali:  14,  16 e 17 anni, con quest' ultima che ha già svolto un anno di studi di filosofia. Le due colonne del secondo gruppo si riferiscono ad età molto diverse, rispettivamente 15 e 18 anni, con quest' ultima che ha già svolto due anni di studio della filosofia. La colonna isolata del terzo gruppo si riferisce all' età di 16 anni, ma con nessun corso di filosofia svolto. Appare evidente che due anni di studio della fisica a 16 anni e senza   l'   "aiuto"   della   filosofia   hanno   una  minore  efficacia   nel   produrre   un miglioramento delle risposte di quanto non si realizzi con un solo anno di fisica ma a 18 anni e con due anni di studi filosofici. In tutto il grafico  solo  la prima colonna   del   primo   gruppo   si   riferisce   ad   un   campione   di   quattro   classi esaminate, mentre tutte le altre colonne del grafico illustrano i dati di una sola classe.

       Esempi di risposte errate alla prima domanda sono mostrati nella FIG. 3.

RIFLESSIONI SUGGERITE DAI DATI.Le   percentuali   di   risposte   errate   alle   altre   domande   sono   molto   simili   e suggeriscono le seguenti considerazioni:1)  Prima di iniziare uno studio sistematico della Fisica a 14 anni, come a 16 dopo un biennio normale di studi superiori, quattro studenti su cinque osservano il moto   e   ne   prevedono   gli   sviluppi   sulla   base   di   teorie   medievali   di   tipo prenewtoniano, assimilabili alla cosiddetta teoria dell' "impeto".2)  Tale altissima percentuale di risposte errate è in pieno accordo ­ al di là dell' oceano! ­ con le risposte a domande analoghe date al gruppo di Mc Closkey per la realtà statunitense e per simili fasce di età. 3)  Il campione di popolazione esaminato non è un campione scelto a caso, ma è costituito  da  studenti  di   famiglie   che  hanno  scelto   studi   liceali,  quindi  di  un livello culturale superiore alla media, o addirittura, per gli  alunni delle classi dell' Autore, si tratta di un campione di studenti fortemente interessati e motivati ad   uno   studio   scientifico   della   realtà,   avendo   scelto   corsi   ad   indirizzo sperimentale scientifico di un Liceo scientifico!   E' legittimo pertanto aspettarsi che all' interno di un campione scelto totalmente a caso, tali percentuali possano essere  ancora più   elevate,  dimostrando che  la  quasi   totalità  delle  persone ha esperienza e ragiona sulla realtà dei moti  con le stesse modalità di pensiero di alcuni secoli fa! 4)     Gli   alunni   del   Liceo   Classico   ottengono   risultati   lievemente   migliori, beneficiando, a mio parere, più che della generica circostanza di una maggiore età, di un anno di insegnamento, o anche due nella classe terminale, dei corsi di filosofia, nei quali si tratta della teoria dei moti.5)  E' impressionante che l' effetto di tali studi venga totalmente perso nel tempo, come si  osserva  dal  grafico  della  FIG.  2  riferito  agli  adulti   laureati  che  non hanno poi compiuto studi scientifici all' Università: tali laureati, ad una ventina d'   anni   di   distanza   dal   diploma   secondario,   pur   potendosi   considerare nettamente   più   colti   della   media   della   popolazione,   risultano  rispondere sostanzialmente nello stesso modo dei ragazzi di 14­16 anni che non hanno svolto alcuno studio formale di fisica!            Questi risultati testimoniano la piena sconfitta di metodi e contenuti dell' insegnamento   della   fisica   nell'   istruzione   classica,   scientifica   e   magistrale, proprio   quella   che   dovrebbe   fornire   un   insegnamento   formativo,   cioè   non nozionistico e quindi durevole nel   tempo. Accade  invece che 3 adulti  colti  su quattro,   laureati   in   discipline   non   scientifiche,   possiedano   teorie   di   tipo prenewtoniano sui moti più elementari e familiari, il livello più fondamentale di 

uno studio fisico della realtà. Se poi   comprendiamo la laurea in filosofia ed il diploma ISEF fra quelle che hanno attinenza con la scienza e quindi escludiamo tali laureati dal campione, la percentuale di risposte errate alla prima domanda del test sale dal 73 al 93%!           Come è  possibile che capiti, e perché,  che adulti laureati nel pieno della maturità culturale rispondano sulla teoria dei moti non solo come dei ragazzi d' oggi adolescenti, ma anche come la popolazione colta del Cinquecento? Un esame approfondito delle motivazioni delle risposte fornisce un quadro   preciso delle teorie possedute da alunni ed adulti e permette anche di interpretare e spiegare tutti   i  risultati  del   test  qui esposti,  con conseguenze di  notevole portata sulla didattica della Fisica.

LE TEORIE  SUI  MOTI NATURALMENTE POSSEDUTE, O RIESUMATE, DA STUDENTI  ED  ADULTI  COLTI.

          Il quadro teorico che emerge dalle risposte errate si basa su due principi o postulati fondamentali:Primo Principio: Il Moto è assoluto.Secondo  principio:   Il  Moto  è   sempre   causato  da  una   forza agente non equilibrata.       Discutiamoli, dimostrando la loro esistenza nelle menti di studenti ed adulti attraverso le giustificazioni date alle risposte errate al test.     1) Vi è l' assunzione di un punto di vista assoluto nell' osservazione dei moti e dei fenomeni in generale: in nessun caso nelle risposte  dei 144 alunni ed dei 22 adulti esaminati si parla di moti o traiettorie relative rispetto ad un determinato e definito osservatore.  Non si  può  neanche parlare di un disconoscimento del concetto di sistema di riferimento, ma di una totale ignoranza della sua esistenza. L' osservatore è completamente tolemaico: il proprio sistema di riferimento non è uno dei sistemi equivalenti dai quali si può osservare l' Universo, ma è "il" sistema di riferimento "centro" di tutte le osservazioni significative. L' insieme di osservazioni   e   misure   viene   descritto   ed   interpretato   come   un   complesso   di osservazioni  e  misure  assolute,  sulle  quali  quindi  ogni  altro  osservatore  deve essere d' accordo in qualsiasi punto dello spazio si trovi e, soprattutto, qualsiasi condizione  di  moto   relativo  abbia   rispetto   all'   osservatore   stesso.    Il   famoso astrofisico Arthur S. Eddington nel 1920 (Prefazione al proprio "Spazio, Tempo e  Gravitazione")   scriveva:  "   Con  la   sua  Teoria  della   Relatività,   Einstein  ha 

provocato   una   rivoluzione   di   pensiero   nella   Fisica.   Il   risultato   cui   perviene consiste   essenzialmente   in   questo:   egli   è   riuscito   a   chiarire,   molto   più completamente   di   quanto   non   sia   mai   stato   fatto   finora,    la   funzione   dell' osservatore e quella della natura esterna nelle cose che vediamo....  Ora, però, risulta   evidente   che   le   correzioni   apportate   per   tenere   conto   del     moto     dell'    osservatore sono state finora troppo approssimative;"  La sottolineatura è di chi scrive, il corsivo per la parola "moto" è di Eddington. A 75 anni di distanza tali idee non sono ancora entrate nella cultura scolastica.        Nelle risposte errate, infatti, al quesito 5 (stesso fenomeno osservato da due diversi sistemi di riferimento ­ SRI ­ ): "arriva prima a terra la pietra lasciata dalla persona ferma", le giustificazioni fornite sono inequivocabili:­ "perché la sua traiettoria è meno lunga"­ "  "    " dovrà percorrere un tragitto minore rispetto all' altra"­ "  "  "   per percorrere la traiettoria perpendicolare ci vuole meno tempo"­ "  "  "   l' altra ha una traiettoria più lunga a causa dell' inerzia"­ "  "  "   deve compiere un percorso più breve"­ "  "  "   dovrà percorrere meno strada"­ "  "  "   descriverà una traiettoria più corta (retta a 90°) rispetto al terreno"­ "   "   "     tocca terra prima quella (pietra) che deve compiere il cammino più breve"­ "  "  "   avrà una caduta perpendicolare e non perderà il tempo di una curva"­ "   "   "     l' altra (pietra), essendo in movimento, deve fare un percorso curvo, impegnando più tempo"               Queste  risposte  testimoniano una chiarissima concezione di  uno Spazio Assoluto sul cui palcoscenico si svolgono moti che sono essi stessi assoluti nella loro   forma e  nei   loro  accadimenti.   Questa   concezione   è   ancora   più   evidente quando, in alcune "sofisticate" risposte al quesito 5, viene fornita la previsione esatta sulla base della teoria sbagliata: (i) "Il tempo impiegato ( a cadere) è lo stesso perché le pietre (quella lasciata da ferma e quella in movimento) compiono sempre una traiettoria perpendicolare al terreno" (vedi FIG. 4),  oppure: (ii) "La pietra   in   moto   ha   più  forza,  quella   ferma   ha   meno   strada   e   le   due   cose   si compensano". In queste risposte si evidenzia una identificazione   fra l' idea di forza e quella di velocità  estremamente dannosa per la comprensione dei moti  e che   ha   la   sua   origine,   oltre   che   nel   secondo   principio   errato   della   teoria posseduta,   dall'   "abuso"   della   statica   come   approccio   elementare   alla   fisica. 

Ritorneremo in seguito, nell' ambito della discussione sul secondo principio, su questo punto.          La prima  (i)  di  queste  risposte  "sofisticate" ha generato  molte  risposte corrette alla domanda n. 5  (si confronti sempre la FIG. 1, con le domande e le istruzione   del   test)   sulla   base   di   una   teoria   sbagliata   che   assegna   la   stessa traiettoria   assoluta   alle   due   pietre,  a   prescindere   da   uno   loro   precedente condizione di moto,   nonostante la circostanza che la domanda n. 4 fosse stata posta proprio per attirare l' attenzione sulla diversità fra le situazioni di moto relativo o non dell' uomo con la pietra.   La ragione per cui venga assegnata la stessa   traiettoria   assoluta   è   probabilmente   bene   espressa   dalla   seguente giustificazione:   "Cadono assieme (le due pietre)  perché,  nel  momento in cui  la     persona   le   lascia   andare,   partono   dalla   stessa   posizione   ferma"  ,   nella   quale appare evidente l' esistenza dell' altro principio teorico posseduto dagli studenti che spiega il complesso delle risposte errate: la ignoranza del principio d' inerzia, cioè   della   caratteristica   naturale   e   spontanea   dei   moti,   la   caratteristica   più "primitiva",   insieme alla  relatività,  dei  moti   stessi  e  che  viene  ignorata  nella didattica tradizionale che svolge tutta la cinematica senza parlarne. E' evidente che  lo  studente presuppone che  la pietra,   lasciata dalla  mano, non possa più partecipare del moto dell' uomo in quanto "portata" dalla mano e quindi si trovi "assolutamente"   ferma.     Poiché   la   pietra,   poi,  non  è   "lanciata",   ma   è   solo "lasciata",  nessun  "impeto"  o   forza   di  movimento  viene  ad  essa   impressa   e pertanto, da sola, essa sarà in quiete assoluta!             Quando invece l' attenzione dell' alunno non è sul "lasciata", piuttosto che sul "lanciata", allora è normale ­ sempre per una ristretta minoranza di alunni ­ pensare che la pietra possa proseguire il moto, MA NON PER INERZIA ,   bensì con una forza che lo sostiene:  "Arriva prima (a terra nella caduta, dom. 5) la pietra che cammina,  dato che questa pietra ha in sé anche la forza presente nel  movimento dell' uomo".          Questa concezione di uno Spazio e di un Tempo assoluti, nonché del valore assoluto   delle   stesse   semplici   descrizioni   cinematiche   dei   moti,  è   sostenuta   e confermata, oltre che da un' esperienza superficiale del mondo ­ del tipo, per intenderci,  del  "credo a ciò  che vedo" ­   ,  anche da un contesto culturale sia sociale,   sia   scolastico,   in   cui   i   messaggi   a   favore   di   un   sistema   di   pensiero privilegiato ­ il nostro, l' Occidentale, ­ sono di gran lunga quelli dominanti.   Il termine "relativo" non è  quasi mai associato al concetto di moto neanche nei libri     di   testo   scolastici,   men   che   meno   nella   divulgazione   o   nei   discorsi quotidiani.

             Le   trattazioni   introduttive  al  moto non enfatizzano   i  due  aspetti  più importanti e fondamentali per una corretta descrizione scientifica dei moti: (i) il concetto di  SISTEMA DI RIFERIMENTO    come punto d'   inizio    ­   l'  unico ­ significativo dell' osservazione scientifica, e (ii) l' idea che qualsiasi tipo di moto è sempre   descritto   relativamente   ad   un   determinato   osservatore,   cioè   che  IL MOTO É RELATIVO .  Gli approcci più diffusi nei testi di fisica consistono nell' iniziare o con la Statica (a) o con la Cinematica (b). L' approccio (a), caldeggiato anche in alcuni ambienti universitari, è di gran lunga il peggiore agli effetti della comprensione del moto e delle velocità, per tre ragioni: (i) perché si studia la condizione di quiete ­ che è relativa ­ dei corpi nel nostro SR senza specificare che è solo una nostra   descrizione di una quiete non assoluta, presentandola   come   frutto   dell'   azione   e   della   reazione   di   due   forze   che   si presentano in coppia (esempio di un corpo appoggiato su di un tavolo) e che producono un equilibrio  che si   traduce  in un assenza,  che  viene  interpretata come assoluta, di moto.  Nella mente degli alunni è così formata l' associazione: forze che si equilibrano = quiete assoluta, forza non equilibrata = moto assoluto, pertanto formulano la legge: "il moto per sussistere ha bisogno di una forza non equilibrata;(ii) introducendo le forze come vettori prima del concetto di velocità, si ottiene il risultato che quando si discutono i moti, i vettori che rappresentano le velocità vengono confusi con le forze ­ per assimilazione del concetto di vettore ­ e questo rafforza il collegamento errato del punto precedente che presuppone una forza per poter avere una velocità;(iii) infine, ma di questo si parlerà più diffusamente in un successivo articolo in preparazione, iniziando con la Statica, si effettua una pessima modellizzazione della realtà fisica e della struttura della disciplina, poiché si inizia lo studio non dai caratteri essenziali dell' una e dell' altra ­ il perpetuo dinamismo, l' eterno trasformarsi   ­   ma   da   aspetti   relativi,   contingenti   e   grossolani   come   è   la condizione di quiete relativa per un particolare SR.           L' approccio (b) è perlomeno più rispettoso della qualità essenziale della Realtà ­ il movimento ­, ma nella quasi totalità dei casi non sottolinea il carattere di   relatività   della   nostra   descrizione   dei   moti,   anzi   tende   a   dimenticarla, omettendo di trattare le trasformazioni delle velocità fra un SR ed un altro (moti nelle correnti d' aria o d' acqua) ed il calcolo delle velocità relative o, addirittura, definendo moto "composto" ­ come se questa fosse una sua natura assoluta ­ la caduta di un oggetto che partecipa del moto relativo di un altro SR, classico il caso   della   bomba   sganciata   dall'   aereo!   Superflua   e   fuorviante   è   tutta   l' 

attenzione   dedicata  all'   attrito  dell'   aria,   mentre  nelle   menti   di   quasi   tutti   i discenti   si   forma   l'   idea   che   la   traiettoria   parabolica   ­   risultato   del   moto "composto" ­ sia una traiettoria assoluta e non solo una traiettoria relativa all' osservatore   a   terra,   che   è   invece   concepito   come   lo   Scienziato   in   posizione Assoluta   e   privilegiata   nel   registrare   il   comportamento   della   Natura.  Si  "spaccia" l' idea che ciò che lo scienziato osserva nel suo laboratorio sia ciò che  succede in assoluto. E' questo un punto cruciale dell' impostazione didattica, che sarà oggetto dell' articolo che seguirà sull' esigenza di una radicale rivoluzione di metodo e di contenuti nella didattica della Fisica.            Il  risultato  di   tali  errori  di   impostazione didattica  ­  evidenti  anche nel linguaggio, vedi l' uso di   "composizione dei moti", al posto di "trasformazione dei moti" ­ è che, per quanto tutti i testi contengano le fotografie stroboscopiche, prese   dal   PSSC,   sulle   palline   che   cadono   "assieme",   descrivendo   traiettorie perpendicolari o paraboliche, il 60% ed anche oltre di alunni con alle spalle uno o più  anni  di  corso  o di  adulti   laureati  ritenga che debba arrivare  prima  la pallina che cade da ferma PERCHÉ HA MENO SPAZIO DA PERCORRERE.  E' evidente che la traiettoria parabolica è ritenuta una traiettoria "composta" da un moto orizzontale rettilineo uniforme (RU) e da un moto verticale di caduta, come   "recitano"   tutti   i   testi,   ma   altrettanto   chiaramente   la  traiettoria   è presentata  come un "fatto" oggettivo  valido per  tutti  gli  osservatori,  cioè  un "evento",   invece che solo una descrizione relativa dello  stesso.  Si   induce una completa confusione fra la misura di grandezze relative, come lo Spazio ed il Tempo, che determinano perciò traiettorie del moto relative, e l' evento "caduta alla superficie della Terra", che è invece qualcosa che accade indipendentemente dal   SR   e   quindi   qualcosa   di   assoluto.   In   altre   parole   le   traiettorie   vengono "spacciate" per elementi assoluti del moto, come se fossero leggi della Fisica che valgono per ogni SR.

       2)  Il secondo postulato fondamentale, che abbinato al primo spiega tutte le risposte errate fornite sia dagli studenti "iniziali", sia da quelli che hanno già uno o due anni di studio alle spalle, sia dagli adulti, consiste nell' assumere che il  moto di un corpo possa esistere solo se causato da una forza  agente su quel corpo.        A prima vista sembra molto sorprendente che alunni di 14­16 anni e adulti colti  esibiscano (alla fine del XX°  secolo!),  senza certamente averne mai fatto oggetto di studio, la medesima teoria dell' impeto "in vigore" nel Medioevo nell' interpretare   le   situazioni  più   semplici   e   familiari  dei  moti.  Pensandoci  bene, 

invece che sorprendente potrebbe   essere considerato "naturale", cioè frutto di modalità percettive che sono rimaste sicuramente le stesse e di condizionamenti culturali che    anch' essi     devono essere rimasti sostanzialmente gli stessi da allora!    Questa mia interpretazione permette anche di spiegare come sia possibile che gli alunni   riproducano  figure   identiche  alle   stampe   medievali   nel   descrivere   le traiettorie dei moti dei proiettili (FIG. 5). Le figure tracciate dagli adulti, per quanto più  rozze, non sono molto diverse. Le traiettorie disegnate hanno una loro precisa struttura e non a caso sono perfettamente identiche a quella della stampa medievale  che  illustra   la   teoria dell'   impeto.  Gli  alunni  che  le  hanno disegnate   l'  hanno  fatto   senza  conoscere   l'  evoluzione   storica  delle   teorie  sul moto, ma col solo intento di accordare il disegno con la propria precisa teoria del  moto.  Solo, l' hanno fatto quasi nel 2000, invece che nel Cinquecento!             Sul   fatto   che   le   modalità   percettive   siano   rimaste   le   stesse,   perché determinate dalla fisiologia, siamo tutti facilmente d' accordo. I condizionamenti culturali   hanno,   a   mio   parere,   agito   su   tre   fronti:   (i)   nel   Cinquecento   non sapevamo quasi nulla di modalità percettive, ma oggi ne sappiamo molto di più, senza però  che questa consapevolezza dei  limiti   intrinseci  della percezione,  in questo   caso   visiva,   arrivi   alla   coscienza   degli   studenti,   poiché   di   ciò,   per   il condizionamento   culturale   che   presuppone   che   i   nostri   sensi   siano   dei registratori  asettici  di  una realtà  oggettiva "là   fuori",  non si  parla  in nessun contesto  di   istruzione   scolastica;   (ii)   il   secondo  condizionamento  è  molto  più sottile e riguarda la tendenza, tipica della cultura occidentale,  ad assolutizzare la propria visione del mondo,   la propria cultura ed il proprio sistema di valori, compensando   così   la   "perdita"   del   sistema   tolemaico;   (iii)   un   terzo condizionamento   culturale   consiste   nella   "pretesa"   ossessiva   di   "oggettività" insita   nel   metodo   scientifico   tradizionalmente   inteso,   che   veicola   anche   il messaggio implicito che l' osservatore non debba contare assolutamente nulla in  una metodologia scientifica,  perché   introdurrebbe  l'  elemento  della  soggettività,  tanto aborrito dalla scienza!  Così, a forza di trascurare l' osservatore, si è portati a dimenticarsi completamente della sua esistenza imprenscindibile e del fatto che è lui che definisce il SR e quindi la base dell' osservazione scientifica!! 

         Tutti questi condizionamenti culturali sono ben evidenti nella formulazione tradizionale  con cui il principio d' inerzia viene espresso in quasi tutti i libri di testo di fisica:  UN CORPO PERSEVERA NEL SUO STATO DI QUIETE       O DI MOTO  RETTILINEO  UNIFORME  FIN   TANTO   CHE  NON  INTERVIENE UNA FORZA A MODIFICARE TALE STATO. 

         Non esito a dire che la parte sottolineata ed in corsivo è la più sbagliata, se così   si   può   dire,   di   tale   formulazione,   che   contiene   numerosi   elementi   di confusione e di incongruenza. Innanzitutto la sottolineatura della distinzione fra stato di quiete o di moto RU fa presupporre che valga la pena di distinguerli perché c' è qualcosa di  intrinsecamente diverso in essi, il che non è vero. Allora perché   distinguerli?     A   ciò   si   aggiunga   l'   ulteriore   confusione   dovuta   alla circostanza che l'   idea di quiete non può  che essere relativa ad un unico SR, mentre lo stato con V = costante è giudicato tale, ovviamente con valori diversi di V, da tutti i SRI, quindi è assoluto. Se fosse ben presente la consapevolezza che il moto è  relativo,  non ci  sarebbe alcun bisogno di  parlare  in  modo particolare  dello stato di quiete, rilevato da un solo osservatore, mentre sarebbe ben chiaro che   quel   corpo   che   appare   a   noi   in   quiete   è   in   questo   stesso   punto spaziotemporale partecipe  del  moto relativo  del  SR in cui  si   trova rispetto a qualsiasi altro osservatore in   condizioni di moto relativo diverse dalle nostre! Mentre noi camminiamo fianco a fianco con un amico chiacchierando, non c' è alcun  dubbio   che   lui   si   trovi   in  quiete   rispetto  a  noi,  perché   altrimenti  non potremmo continuare a parlargli, mentre è altrettanto vero che per una persona seduta in una panchina del parco egli si sta muovendo ben concretamente.  Che senso ha, in una legge fisica così importante, parlare di uno stato di quiete, senza neanche   aggiungere   l'   aggettivo   "relativa",   che   almeno   limiterebbe   i   danni? Questa   formulazione   fa   pensare   che   la   condizione   di   moto   non   sia   poi   così naturale che tutti i corpi possano possederla; anzi, se uno la possiede, allora la mantiene, ma se non la possiede (come se potesse non possederla), allora ci vuole una forza per metterlo in moto!!   E' questo il punto cruciale: poiché da questa espressione del principio d' inerzia si capisce che se un corpo è in quiete, allora ci vuole una forza per metterlo in moto, ne consegue, nella mente degli alunni, ma anche in quella degli adulti, che il moto in senso assoluto debba essere causato da  una forza! Mentre in realtà il moto di quel corpo esiste già per tutti gli osservatori  dell'   universo,   tranne   me!!   NON   c'   è   la   consapevolezza   che   il   moto,   sempre  relativo,   è   una   condizione   NATURALE   posseduta   da   TUTTI   i   corpi,   nessuno  escluso, anche quelli che sono "fermi" nel mio SR!           Tutto quanto sopra dimostra che il  principio d'  inerzia, formulato nell' ambito  ancora  di  una  meccanica  newtoniana  quasi   totalmente  assolutistica   e quindi non rivoluzionaria rispetto alle teorie precedenti,  non ha alcuna speranza di rimpiazzare nella mente degli studenti e degli adulti colti il secondo principio da loro posseduto nella forma " Il moto è sempre causato da una forza agente non   equilibrata".   Questo,   sia   perchè   nella   sua   formulazione   maldestra   il 

principio d' inerzia non sembra portare alcun elemento veramente nuovo per la comprensione dei moti, sia perchè, quando è presente una soluzione adeguata, la naturale   rigidità   degli   schemi   di   pensiero   si   oppone   ad   un   cambiamento immotivato   (De   Bono),   sia   infine   perchè   l'   esperienza   quotidiana   rinforza comunque il vecchio schema.  

LE  "SPIEGAZIONI"  DEGLI  ALUNNI.       

La   dimostrazione   che   hanno   agito   nelle   menti   degli   alunni   i   meccanismi   di pensiero descritti,  è   fornita dalle   motivazioni    fornite per giustificare le loro risposte errate:a) "Dal momento in cui la pietra si stacca dalla mano, il moto della persona non ha più   effetti   su  di   lei".  Cioè   il  moto,  per  permanere,  deve  avere  una causa visibile e poiché l' oggetto  non  è "lanciato", ma "lasciato", non ha in sé alcun "impeto"   o   forza   che   spieghi   come   il   moto   possa   permanere.   Il   moto   è identificato con la velocità ed essa, e quindi il moto,   sussiste per effetto di una forza, quella che ai tempi medievali era chiamata impeto, come spiegano nel caso dei  proiettili:  b)  "Quando  la   forza data  dallo  sparo   (dom.  6)  diminuirà,   essi cominceranno a scendere"; c) "Poiché la persona è in movimento [considerato assoluto],   la  pietra  arriva  al   suolo   (dom.  2)  dietro  all'  uomo che  continua  a camminare" [perché essa non è più "portata", cioè causata nel suo moto, dall' uomo].             Questa   forza   associata   al   moto   è   talmente   connessa   alla   velocità   da giustificare anche i moti rotatori: (d) "l' oggetto,  grazie alla forza datagli dalla  rotazione, (dom. 7) proseguirà il suo moto rotatorio finché la forza si esaurirà", o (e)  "descriverà  una spirale  per effetto del  precedente moto rotatorio [si  vede bene che è l' impeto che si esaurisce]. L' omologazione del principio che solo una forza può giustificare il moto e "sostenerlo" è particolarmente evidente in : (f) "Durante il volo i proiettili sono spinti dall' inerzia". E' questa la sconfitta che la teoria corretta subisce nello scontro con la teoria dell' impeto: il nome, il concetto di inerzia, evidentemente mal spiegato, è solo il sostituto moderno del termine medievale "impeto", è solo un altro nome per lo stesso concetto!           Questa totale confusione fra qualità del moto, come la velocità, e la causa dello stesso in termini di forza è ben illustrata nelle spiegazioni del moto di lancio verso l' alto, in cui il punto di massima altezza è descritto come: (g) "punto in cui la forza impressa alla pietra viene superata dalla forza di gravità", ed il moto di salita e discesa è visto come un tiro alla fune, una specie di tira e molla fra forze

  (colpa dell' approccio con la statica): (h) "tornerà verso terra quando la forza gravitazionale supererà la forza di lancio", o salirà: (i) "fino a quando la forza di gravità  non vince la forza di spinta". E' evidente il ruolo fortemente negativo svolto dalle trattazioni di statica precedenti lo studio del moto: in esse si parla tanto del fatto che la quiete, interpretata come assoluta, è dovuta all' equilibrio di forze, che il punto di momentanea quiete nel moto uniformemente accelerato di caduta è descritto dai ragazzi come un punto di equilibrio fra le due forze, quella di spinta e quella di gravità. Sentiamo ancora gli alunni: (l) "il proiettile continua   la   sua   traiettoria   per   forza   d'   inerzia,   finché   questa   non   viene contrastata dalla forza di gravità". Non è una questione solo di linguaggio: è qui chiaro che il moto esiste perché c' è una forza che ne è la causa, è responsabile, una forza che deve poi fare i conti con quella di gravità e che tende a consumarsi, equiparando il  concetto di impeto a quello di forza d' inerzia.  Le "spiegazioni" sono   esaurienti:   (m)   "Per   un   certo   periodo   avrà   una   spinta   sufficiente   per contrastare e  vincere la  forza di  gravità  e  quindi andare verso  l'  alto  [totale identificazione di velocità con forza: se il moto è diretto verso l' alto, vuol dire che ho vinto il tiro alla fune con la forza di gravità; questo è ciò che si ottiene svolgendo la statica prima dei moti]; quando questa spinta sarà pari alla forza di gravità la pietra sarà ferma. E quando la spinta sarà minore, la pietra inizierà la ricaduta". Si consideri il disegno dell' alunno (FIG. 6) e la sua didascalia: (n) "Forza che c' è nei tre momenti per muovere il sasso". Più chiaro di così!      Anche le traiettorie medievali dei proiettili sono ben spiegate dagli alunni: (o) "Il proiettile riceverà  una spinta per cui fino ad un certo punto formerà  una linea retta [ci vuole una "spinta" duratura per produrre e mantenere un moto in linea retta] e dopo [quando la spinta si è  esaurita] inizierà  a fare una caduta verso il basso". Nella caduta di confronto fra la pietra "ferma" e quella in moto relativo,   l'   identificazione   fra   forza   e   velocità   è   massimamente   esplicito:   (p) "Questa diversità di forze è appunto dimostrata dalla diversità di velocità"; (q) "Sul sasso agisce la forza di movimento (inerzia) impressagli dalla persona che cammina".   Questo   spiega   la   stravaganza   delle   traiettorie   semicurve:   (r) "Durante l' ascensione (dom. 2) è presente la forza impressa dal movimento della persona, nella discesa, no" (FIG. 7). Ancora per le traiettorie dei proiettili dei cannoni: (s) "Quando la forza­peso supererà la forza con cui è stato lanciato, che man mano diminuisce, inizierà a scendere in senso verticale". Dopo due anni di corso di Fisica: (t) "Sul masso agiscono  due  forze, una d' inerzia che lo porta avanti,   e  una  verso   il  basso.  La  composizione   delle  due   forze   sarà   un  moto parabolico [ancora perfetta identità fra velocità e forza]"; altre risposte:

(u) "la spinta verso l' alto della pietra man mano decresce"; (v) "La pietra cadrà perpendicolare al suolo perché l' uomo non l' ha lanciata";(w) "la forza impressa alla pietra al momento del lancio va via via perdendosi fino ad un momento di equilibrio, in cui uguaglia la forza di gravità, dopo di che la pietra inizia a cadere, dato che la forza di gravità prende il sopravvento"(x) "arriva prima la pietra che cammina, dato che questa pietra ha in sé anche la forza presente nel movimento dell' uomo"(y) "i proiettili sono soggetti a due forze, quella impressa dal cannone e quella di gravità.            Appare superfluo continuare con altre esempi di risposte che esprimono il medesimo concetto e che sono molto numerose. E' quanto mai evidente che l' impeto medievale è stato sostituito nelle menti degli alunni dall' idea di "forza d' inerzia", espressione molto infelice che compare così diffusamente da far pensare che essa sia disinvoltamente usata anche in contesti scolastici.           Oltre  che dalla confusionaria definizione che ne viene data, il concetto d' inerzia è  ulteriormente  inquinato dalla   trattazione di  moti  rispetto a SR non inerziali,   trattazione   in   cui   compaiono   le   cosiddette   forze   inerziali,   chiamate anche apparenti o fittizie, rafforzando l' idea che forza ed inerzia costituiscano la  medesima giustificazione o causa del moto.            Come   in   precedenza,   le   spiegazioni   degli   alunni   costituiscono   l' incontrovertibile   testimonianza   dei   guasti   prodotti   dal   fondamentale fraintendimento riguardante l' inerzia. Quest' idea della forza che deve essere sempre   presente   per   giustificare   il   moto   vale   ovviamente   anche   per   il   moto circolare, indagato con l' ultima richiesta del test: (z)  "la traiettoria sarà   leggermente curva e si  scaglierà   (sic!)  verso  l'  esterno causa  la   forza centrifuga,   sarà   curva perché   conserverà  ancora  la  spinta  del moto curvilineo" (FIG. 8).            E' molto interessante l' interpretazione che si può dare di questa ed altre seguenti   risposte.   Invece   che   descrivere   la   situazione  dopo   il   taglio   come  un ritorno al moto libero, spontaneo e naturale per la rimozione di un vincolo, gli alunni sentono di dover giustificare il moto rettilineo successivo al taglio nella settima domanda come dovuto  ad  una   forza  non più   equilibrata   che   infatti, ancora suggerendo l' immagine di un ipotetico tiro alla fune, agisce per molti di loro lungo il raggio  ­ si vedano le figure (FIG. 9) ­ provocando, appunto, un moto "centrifugo"   nel   senso   letterale   del   termine.   Gli   alunni   sono   quindi   nel linguaggio   più   rigorosi   di   buona   parte   dei   testi   scolastici.   I   ragazzi   dicono: "spinto dalla forza centrifuga", è un' espressione quanto mai chiara, pare quasi 

di vederla, questa forza che "spinge" all' infuori ed allora non è permesso ridere degli alunni che disegnano le figure presentate, perché non l' hanno inventato loro   l'   infelice   termine   "forza   centrifuga"   per   denominare   qualcosa   che   in Natura non esiste.       "Spiegare" dovrebbe voler dire rendere le cose più semplici, senza alterare la verità. Einstein disse: "Everything should be made as simple as possible, but not simpler", ogni cosa dovrebbe essere spiegata nel modo più semplice possibile, ma non troppo semplice. Ne segue che alterare la verità e per giunta rendere le cose ancora più complicate è il massimo della inefficienza didattica e tale palma spetta senz' altro all' uso delle cosiddette "forze inerziali" nello spiegare la Fisica. Gli alunni infatti scrivono: "Staccandosi il filo, la forza centrifuga prevale su quella centripeta".  Dopo due anni  di  Fisica:  "La forza centrifuga è  bilanciata dalla forza   esercitata   dal   filo,   quando   viene   tagliato   non   c'   è   più   niente   che   si opponga". Ancora: "Il sasso è spinto da una forza centrifuga verso l' esterno "; e: "dopo il taglio è un moto centrifugo". E' fin troppo chiaro che in questo contesto teorico  è  poi  molto difficile  spiegare  agli  alunni   la   traiettoria   tangenziale  del corpo libero!           Tale ansia di descrivere le situazioni in termini di forze contrastanti fra di loro a coppie è frutto, probabilmente, dell' enfasi data nella scuola dell' obbligo alla   statica   come   approccio   fondamentale   alla   Fisica.   E'   un   errore   didattico colossale.   Tale   approccio   è   quello   che   più   rafforza   l'   identificazione   quiete assoluta   =   forze   equilibrantesi   a   coppie   e   moto   assoluto   =   forze   non   più equilibrate. Perciò favorisce il permanere del pregiudizio sul moto possibile solo se causato da una forza non equilibrata. 

CONSEGUENZE DELL' INTERPRETAZIONE DELLE RISPOSTE.

           L'   insegnamento  estemporaneo  della   fisica  nella   scuola  dell'  obbligo,   i messaggi socioculturali, l' esperienza percettiva individuale concorrono,  assieme ai meccanismi naturali di funzionamento della mente (De Bono), a generare nei discenti una teoria logicamente coerente ed organica del moto dei corpi, valida per le situazioni più comuni e familiari e molto difficilmente falsificabile. Tale teoria è sostanzialmente identica a quella medievale dell' impeto, ed è condivisa anche dagli adulti colti del nostro tempo. Essa si fonda su due pilastri largamente confermati dalle esperienze percettive:

1)   Il  moto  dei   corpi  è   assoluto   (e  pertanto  non  c'   è   bisogno  di   un  SR o  di ricordarsi che c' è un osservatore);2) Il moto ha bisogno di una causa, chiamata forza, per essere giustificato (quindi quando un corpo si muove, non importa come, è perché possiede un' intrinseca forza o spinta che lo sostiene nel moto).           Come "contorno" si possono accompagnare alcuni corollari. Quando c' è equilibrio fra forze non c' è moto, così come se non c' è nessuna forza. Durante il moto, le forze si "consumano" nel contrasto con altre forze, generando la quiete ­ supposta assoluta naturalmente ­ quando si esauriscono completamente. Le forze si identificano con le velocità e sono tutte assolute. Più forze agenti in direzioni diverse danno luogo ad una forza "composta" e portano a "moti composti", con confusione completa fra forze e velocità.  Tutti devono essere d' accordo su tutto ciò   che   osservano   nei  moti,   traiettorie   e  velocità   sono  assolute,   così   come   la quiete.            I postulati epistemologici di questa teorie sono: "Ciò che vedo è ciò che è", abbinato a  "Credo solo a ciò  che vedo". Naturalmente nessun progresso nella fisica dell' ultimo secolo è avvenuto applicando questi principi.       Questa teoria è molto economica e piena di senso comune (che è quello strato di   pregiudizi   che   si   deposita   nella   mente   fino   ai   diciotto   anni,   come   disse Einstein)  e quasi infalsificabile perché confortata, oltre che dalla propria annosa esperienza individuale, anche dalle conferme  del contesto socioculturale, in cui si generano   le   stesse   osservazioni   sul   mondo   perché   identico   è   il   paradigma culturale, cioè lo schema interpretativo, con cui   si raccolgono e si classificano i dati.  Il  risultato di tutto ciò  è  detto poi essere il  frutto dell'  "oggettività" del metodo scientifico. Tale teoria è rafforzata dalla coerenza rispetto ad alcuni miti ­ o luoghi comuni ­ molto diffusi anche negli ambienti scientifici. Il primo di essi è che   la  scienza sia  un'   impresa  tanto più  affidabile,  quanto più  prescinde dal soggetto, dalla soggettività, per occuparsi dell' oggetto (lo fa a tal punto che ha dimenticato che l' osservazione scientifica ha senso solo se riferita al soggetto, che ne costituisce il fondamento e punto di partenza).  Nello stesso tempo, e questo è un   secondo   mito,   il   soggetto   è   gratificato   dalla   circostanza   che   ciò   che   lui afferma, stabilisce, misura e descrive è una verità assoluta per tutto l' Universo: la fame di verità assolute è soddisfatta, nel modo peggiore, sin dalle prime misure di laboratorio. Il Laboratorio, infatti, secondo questo moderno mito, è una specie di  "sancta santorum": quello  che si  misura e  si   stabilisce  in esso,  con tutti   i crismi  ed  i  rigori  dell'  "oggettività" scientifica,  è  verità  assoluta  per  tutti  gli osservatori   dell'   Universo.   Si   pensi   solo   alla   mistificazione   del   magnetismo, 

presentato ancora oggi come un campo assoluto, invece che un semplice effetto relativistico del campo elettrico.      E' bene quindi comprendere che il costrutto teorico appena descritto non può essere trattato alla stregua di una concezione infantile ed ingenua, visto che è la concezione   posseduta   ­   sopravvissuta   attraverso   i   secoli   ­   ancora   oggi   dalla maggior parte delle persone, così come era prima di Galileo e Newton.   In ogni epoca culturale la nostra mente è naturalmente portata,  da un' esperienza non consapevole   dei   propri   limiti   percettivi,  a   costruirsi   una   tale   teoria   del funzionamento del mondo fisico. Non vediamo forse noi tutti i vari oggetti star fermi, a meno che non li si spinga, continuando a farlo se vogliamo mantenere il moto? Una cultura che ancora oggi sottolinea le basi sperimentali della fisica non fa   altro   che   confinare   tale   scienza   alla   sua   prima   infanzia,   ignorando   le rivoluzioni   dell'   adolescenza   (la   relatività)   e   dell'   età   adulta   (la   meccanica ondulatoria),   per   non   parlare   del   raggiungimento   della   maturità   (le   grandi unificazioni); è   logico quindi che gli  studenti possiedano le teorie della prima infanzia della fisica e che ad esse ritornino in età  adulta, dopo l' infarinatura goffa ed ancora prerelativistica ricevuta nella scuola che insegna ancora solo la meccanica   newtoniana.   Il   successo   della   teoria   medievale   dell'   impeto   nella competizione con  la  meccanica  newtoniana è  dimostrato non solo dal  grafico delle percentuali di risposte errate dopo uno o due anni di studio ed in età adulta, ma in modo ben più eclatante dai disegni degli studenti e degli adulti riportati in questo lavoro.      L' approccio didattico tradizionale alla meccanica newtoniana sottovaluta la presenza di teorie consolidate nelle menti dei discenti, quando non le ignora del tutto, credendo di avere a che fare ­ e questo è un altro mito dell' epistemologia induttivista che ha l' effetto di rafforzare il permanere delle vecchie teorie ­ con uno studente modello di  scienziato induttivista­sperimentale,  "tabula rasa" di fronte alla "realtà esterna", scevro e libero da ogni pregiudizio e preconcetto.      A tutto ciò si aggiungano le caratteristiche di funzionamento della mente. E' qui adottato il modello di De Bono. In base a tale modello la mente possiede un naturale   schematismo   conservatore   ed   è   quindi   estremamente   sensibile   alla sequenzialità  "giusta" nell' apprendimento. Perciò la mente tende a rafforzare i percorsi di pensiero del passato ed a tralasciare le "novità" contrastanti, se esse non vengono grandemente enfatizzate. Di tutto ciò la didattica tradizionale pare all' oscuro e ne conseguono una serie di errori.       Mi riferisco in particolare: (i) alla scarsa o pressoché nulla enfasi che viene posta   nella   totalità   dei   libri   di   testo   sul   concetto   di   Sistema   di   Riferimento 

Inerziale (SRI), come unico punto d' inizio di un' osservazione scientifica degna di questo nome; (ii) la scarsa o pressoché nulla enfasi data di conseguenza aulla relatività  dei moti,  di  ciò  essendo responsabile anche la scelta di  insegnare la meccanica   newtoniana   nella   quale   sopravvivono   vari   elementi   della   fisica medievale: per Newton lo Spazio ed il Tempo sono ancora assoluti palcoscenici degli eventi, l' inerzia è definita in modo tautologico e connessa strettamente alle forze che sono esse stesse assolute, contribuendo tutto ciò alla confusione fra i concetti di inerzia, forza e velocità. Nella didattica tradizionale, quando non si commette l' errore fatale di cominciare dalla statica e dagli equilibri delle forze, tutta la cinematica dei moti viene svolta senza mai parlare del principio d' inerzia,  quindi senza la percezione che la condizione di moto stazionario, oltre che essere relativa, è naturale e spontanea e non ha bisogno di cause per essere giustificata. Quindi, proprio i  due principi più   in contrasto con le false teorie preesistenti vengono sottovalutati, posposti o addirittura vengono presentati in modo infelice ­  come per esempio nella  trattazione dei  moti  composti  ­   tale da rafforzare  i pregiudizi sul moto assoluto.       Potrebbe sembrare fin troppo banale scoprire che gli studenti imparano poco dai corsi scolastici e che poi quel poco venga anche rapidamente dimenticato. In questo caso però, non si tratta solo di nozioni, ma di atteggiamenti mentali verso il   mondo   di   cui   tutti   facciamo   parte   che   hanno   profonde   conseguenze   sulle coscienze individuali dei futuri cittadini. In più c' è un forte problema di finalità della scuola, perché questo è un caso in cui gli studenti vengono "disimparati" dalla   scuola   stessa   che   fallisce   nel   suo   obiettivo   più   importante   ­  il  decondizionamento  ­.   Voglio   dire   che   non   dovrebbe   proprio   capitare   che   gli alunni si facciano delle idee sbagliate sul mondo con la complicità della scuola stessa che poi non è più in grado di produrre una conoscenza corretta e stabile nel tempo.            Lo scopo di questo lavoro non si riduce solo alla scoperta che la cultura scientifica diffusa fra la popolazione anche colta è ancora di tipo medievale. Si vuole soprattutto spiegare perché sia logicamente così e nel contempo suggerire in   base   ad   un   preciso   modello   teorico   di   apprendimento   e   ad   una   nuova concezione del sapere fisico nel suo complesso, il modo di superare con successo l' enorme "gap" culturale fra le due culture, quella scientifica e quella umanistica.      

CIÒ CHE SI È STABILITO E CIÒ CHE SI SUGGERISCE.             1) Mediante il test ­ che non è  una banale richiesta di cosa si ricordi, bensì una richiesta di espressione delle proprie teorie sul funzionamento del mondo ­ si è stabilito che gli studenti "resistono" al tentativo di insegnare loro la meccanica newtoniana,  perché   possiedono   una   valida   teoria   alternativa   preesistente  (De Bono); si è anche stabilito che adulti colti (laureati in discipline non scientifiche) ragionano sul mondo fisico in termini medievali ed alla stessa stregua dei 14­16enni   che   devono   ancora   iniziare   uno   studio   scientifico   della   realtà.   Così, mentre   la   visione   scientifica   del   mondo   è   andata   ben   oltre   una   visione newtoniana, la cultura "non scientifica" della fine del XX° secolo è di stampo prenewtoniano, determinando il "gap" culturale più vasto e profondo di tutta la storia   umana.   Una   lacerazione   tale   che   potremmo   definire   schizofrenica   la società che la vive.           2) Le ragioni della "sconfitta" non sono, come spesso si sente dire per altri contesti,   dovute   genericamente   ad   una   didattica   noiosa,   libresca,   scolastica, arida, ripetitiva, astratta, ma  della mancata consapevolezza che le nuove teorie  (che   poi   sono   modestamente   solo   quelle   newtoniane)   debbono   entrare   in  competizione nelle menti  degli  studenti  con forti  e  consolidate  teorie precedenti, quelle   che   potremmo   chiamare   dell'   "impeto   assoluto".   Mai   un   progetto didattico è stato elaborato in funzione della necessità di dover distruggere prima i   condizionamenti  del  discente.  Tale  è   invece   la  nuova  esigenza   suggerita  da questo lavoro.             3)   La   didattica   tradizionale   della   Fisica   obbedisce   più   o   meno consapevolmente ad un vecchio paradigma epistemologico: quello secondo cui il sapere   scientifico   progredirebbe   per   accumulo   di   conoscenze,   mattone   su mattone,  per   successivi   approfondimenti,   con  nuove   teorie   che   ­   si  dipinge   ­ inglobano indolorosamente le vecchie come propri casi particolari e limitati, ma senza crisi e stravolgimenti nella concezione della struttura della Realtà.  Tale paradigma viene assunto anche per  l'  ontogenesi   individuale delle conoscenze scientifiche degli alunni, sui quali si  immagina comunque di poter aggiungere mattoni   su   mattoni   senza   problemi   di   "innesto"   e   quindi   senza   porsi   la problematica   di   eventuali   ristrutturazioni   radicali   del   sapere.   Una   moderna epistemologia è da tempo (Bellone, Chalmers) giunta a conclusioni opposte sul progredire  del   sapere   scientifico:  esso  avviene  tramite  crisi   e  ristrutturazioni profonde, durante le quali i vecchi paradigmi vengono scientemente distrutti e sostituiti  "ed il nuovo risulta essere una pura negazione dell' antico" (Bitsakis). 

Non si tratta certo di cambiare la formula fisica da usare (si vede scrivere:"... secondo il formalismo relativistico...", come se si trattassa solo di cambiare la forma  della   formula!),  ma,  molto  più   profondamente,  di   cambiare  mentalità sullo Spazio ed il Tempo, per esempio.   Una didattica consapevole di ciò deve quindi determinare le strategie utili ad individuare i contorni esatti dei vecchi paradigmi ­ come il test qui presentato ­ per poi procedere alla loro demolizione esplicita, prima di costruire il nuovo paradigma.      4) La didattica tradizionale della Fisica "pensa" l' alunno scienziato secondo il   proprio   modello   di   scienziato   adulto   elaborato   all'   interno   del   vecchio paradigma epistemologico dell'   induttivismo ingenuo. Ancora oggi  la maggior parte dei libri di testo parla della Fisica come della "scienza sperimentale" per antonomasia.   Quindi   immagina   che   la   moderna   ricerca   in   Fisica   agisca sostanzialmente   con   la   stessa   metodologia   galileiana.   Le   rivoluzioni metodologiche avviate ancora dai tempi di Maxwell e Bolztmann e proseguite da Einstein e da tutta la Fisica di questo secolo rimangono purtroppo estranee al mondo   scolastico.   In   un   prossimo   lavoro   questi   aspetti   strettamente epistemologici   che   influenzano   profondamente   le   scelte   didattiche   saranno dettagliatamente discussi. Per gli scopi di questo lavoro è sufficiente ricordare che   secondo   l'   induttivismo più   o  meno  ingenuo   (e  quello   scolastico  è  molto ingenuo)     lo   scienziato   opera   come   un   osservatore   obiettivo   completamente scevro da pregiudizi e preconcetti (Chalmers, op. cit. pag. 21) e nell' ambito del medesimo paradigma la didattica tradizionale considera l' alunno una specie di "tabula rasa", con una disponibilità   totale  nei  confronti  delle  formalizzazioni teoriche   che   gli   vengono   presentate   con   anche   l'   implicita   presunzione   che nessuna precedente idea prescientifica, proprio perché tale, possa poi competere con le argomentazioni scientifiche. La concezione induttivista della scienza è oggi un programma degenerato (espressione di Lakatos) e come tale abbandonato, ma è  ancora quello che informa ­ cioè  dà la forma ­ alla didattica della fisica attualmente   predominante.   In   conseguenza   di   tale   errore   epistemologico, nessuna particolare enfasi è posta nel confrontarsi, nell' entrare esplicitamente in competizione   con   le   teorie   medievali   sull'   impeto   e   sul   moto   assoluto   che poggiano   su   solide   basi   sperimentali  e   che   proprio   per   questo   sono macroscopicamente errate.        5) E' proprio la mancata enfasi data alla relatività dei moti ed all' importanza fondamentale e di valore cinematico del principio d' inerzia che mette la teoria newtoniana   in   condizioni  di   sudditanza  rispetto  alla   forza   con  cui   i  principi opposti ­ il moto è assoluto e causato da forze ­ sono affermati nell' esperienza 

degli alunni e degli adulti nella vita post­ scolastica.  Ad indebolire ulteriormente l'  efficacia didattica ed il  potere di convinzione della "nuova" (si fa per dire, perché tale non è la meccanica newtoniana) teoria contribuisce in modo decisivo il   mito   della   "sperimentalità"   della   scienza   fisica,   cioè   il   mito   del   metodo induttivo­sperimentale come "il" metodo per eccellenza, con cui avverrebbero le scoperte scientifiche e quindi quello sul quale si deve fondare una didattica della Fisica.   Ecco   perciò   che   la   didattica   tradizionale   enfatizza   il   valore   dell' esperienza e dell'  osservazione nello stabilire  la conoscenza scientifica  ed è    ­  ironia della sorte! ­ precisamente ciò  che fanno gli  alunni e gli  adulti  colti  per  costruire   il   loro   sistema  organico   e   coerente  di   un  mondo  fisico   fatto   di  moti  assoluti e causati da forze!   Le risultanze del test effettuato costituiscono anche un' esercitazione pratica  di epistemologia che verifica la confutazione del  valore euristico   del   metodo   induttivista.   Esse   illustrano   la   seguente   frase:"   le proposizioni osservative sono permeate di teoria e quindi fallibili" (Chalmers, op. cit. pag. 45). L' induttivista non è consapevole di ciò, come non lo è dei limiti intrinseci della percezione attraverso i sensi o attraverso gli strumenti, nonché dell' infondatezza logica del principio d' induzione.   Si deve essere coscienti del fatto che ai postulati epistemologici del vecchio paradigma si devono sostituire quelli del nuovo pradigma che sostengo:  "si vede solo quel che si è preparati a  vedere" e che "il peggior scienziato è colui che crede solo a ciò che vede". Tutto ciò   spiega   splendidamente,   fra   l'   altro,   come sei   gruppi   su   sette  composti  di quattro studenti, dopo quattro ore di lavoro di laboratorio in cui sono stati liberi di organizzarsi secondo le loro idee, hanno concluso che doveva arrivare a terra per prima la pallina caduta da ferma perché: "ha da percorrere meno spazio"!      6) Le risultanze del test suggeriscono fortemente che sia un errore didattico iniziare un approccio formale alla fisica con la Statica, mentre l' essenza della realtà  è   il  perpetuo movimento,  dinamismo e mutamento di  ogni  suo aspetto fenomenico. Ne deriva una resistente confusione fra le idee di forza e velocità, (associate nelle menti degli alunni dalla comune rappresentazione vettoriale) che compromette   irrimediabilmente   la   comprensione   dei   moti.   ugualmente costituisce grave errore didattico introdurre nelle trattazioni dinamiche le forze inerziali   per   le   quali   non   esiste   corrispettivo   fisico   e   che   costituiscono   un pericoloso rafforzativo omogeneo alla teoria del moto assoluto e "sostenuto dall' impeto".            7)  E'  questa   il  più   importante   suggerimento.  Non vi  è  dubbio  che   sia necessario ristrutturare dalle fondamenta il curricolo didattico tradizionale della Fisica. Ciò sarà oggetto di un ampio successivo lavoro. Ma un aspetto merita una 

prima notevole anticipazione. Abbiamo detto che la competizione con la vecchia teoria deve essere massimamente enfatizzata ed estremizzata per avere speranza di   rimpiazzare     il   vecchio   paradigma   sui   moti   ­   assoluti   e   causati   da   forze (impeto)   ­   con   il   nuovo   paradigma   che   potremmo   chiamare   finalmente   e totalmente   relativistico.  Solo   con   Einstein   la   meccanica   diviene   veramente  relativistica   e   "rompe"   con   la   tradizione   assolutistica   che   pervade   anche   la  meccanica newtoniana. E' quindi logico dedurre la necessità di operare "un salto quantico",   una   specie   di   "transizione   proibita"   (solo   per   la   tradizione conservatrice) e passare a presentare una meccanica totalmente relativistica sin dall' inizio, propedeutica ad un' introduzione quanto mai precoce della relatività speciale einsteniana. A fondamento di tale rivoluzione si propone un nuovo ruolo per il principio d' inerzia, che viene "scorporato" dalla dinamica per diventare il primo articolo della  Costituzione dell'  Universo,  cioè   la  prima legge assoluta, invariante per ogni SRI dell' Universo, da presentare all' inizio dello studio  della cinematica con una nuova formulazione non ambigua. La formulazione proposta è la seguente:

  "Il  Moto è  Relativo all'  osservatore e,  nella sua forma più semplice, che è  quella con velocità  costante, è  assolutamente incausato, cioè spontaneo e naturale".                  

       Questa è la prima legge di Natura assoluta che gli alunni devono imparare. Dovrebbero essere evidenti i vantaggi didattici di tale nuova espressione. Viene posto l' accento sulla relatività del moto sin dal primo approccio allo studio dei moti, soprattutto sul fatto che ciò che sembra essere in quiete, lo è solo perché si trova   nel   nostro   stesso   sistema   di   riferimento,   mentre   per   qualsiasi   altro osservatore che identifichi un SRI, cioè un sistema in cui risulta soddisfatto tale principio, quegli stessi oggetti sono in moto rettilineo uniforme e, affrancati da ogni contatto fisico con il SR originale, continuano nel loro moto naturale, moto che   gode   della   completa     simmetria   temporale,   l'   unico   tipo   di   moto "stazionario"!    In questa formulazione manca ogni riferimento alle forze,  sia perché  per   tutta   la  descrizione  cinematica  dei  moti  non  ce  n'  è  bisogno,   sia perché   sappiamo   che   tale   concetto   non   è   più   fondamentale   in   una   visione moderna  della  disciplina.  Ricordiamo che   Einstein  ha   rivoluzionato   l'   intera fisica su basi puramente cinematiche. Corrispondente deve essere la rivoluzione 

della didattica della fisica. Di ciò parleremo diffusamente nel prossimo lavoro, in cui si costruirà il nuovo paradigma di cui al punto 3 di queste conclusioni.      8) E' sin troppo ovvio e banale che si suggerisca di ripetere l' esperienza del test, sia con gruppi di adulti colti, sia con le classi che iniziano l' iter scolastico scientifico, sia con le classi che hanno svolto un solo anno di corso. Il test deve svolgersi secondo le istruzioni riportate nella FIG. 1 che lo rappresenta.       9) La situazione qui delineata dell' insegnamento attuale della fisica potrebbe essere sintetizzata dal seguente aforisma che giustifica il titolo di questo lavoro:" Gli studenti che entrano nelle scuole e gli adulti che ne sono  usciti  ragionano con la teoria medievale dell' impeto, la scuola insegna la meccanica newtoniana, mentre la Natura funziona con la meccanica relativistica! ".         Si ringraziano per la gentile collaborazione le colleghe docenti di Fisica che hanno proposto il test nelle loro classi: Miriam Ronchetti e Annabella Manessier, nello stesso mio Liceo, e Fernanda De Rigo nelle sue due classi al Liceo Classico di Lecco. Si ringraziano altresì i colleghi della mia scuola ­ rimasti anonimi ­ che si   sono   gentilmente   prestati   a   rispondere   allo   stesso   test   somministrato   agli studenti.

                                                                RODOLFO  DAMIANI

BIBLIOGRAFIA.    

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