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    Premessa del 1962

    PARTE PRIMA

    Le torme della grande epica considerate in rapporto alla coesioneinterna ovvero alla problematicit della civilt nel suo insieme

    1. Civilt conchiuseLa struttura della grecitIl suo sviluppo considerato sotto il rispetto della filosofia della storiaIl cristianesimo

    2. Ilproblema di una filosofia della storia delle forme

    Princpi generaliLa tragediaLe forme epiche

    3. Epopea e romanzoVerso e prosa come mezzi espressiviTotalit spontanee e costruiteIl mondo delle concrezioni oggettiveIl tipo delleroe

    4. La forma interna del romanzoLa sua astrazione di fondo e i pericoli che ne derivanoIl carattere dinamico della sua essenzaLironia come principio formaleLa struttura contingente del mondo del romanzo e la forma biograficaLa rappresentabilit del mondo del romanzo e i mezzi da essa impiegatiLestensione interna del romanzo

    5. Ilsignificato del romanzo e la sua condizionalit in rapporto alla filosofiadella storia

    Il romanzo e il suo orientamento emotivoIl demonicoLa posizione del romanzo in seno alla filosofia della storiaLironia come mistica

    PARTE SECONDA

    Saggio di una tipologia della forma del romanzo

    1. L idealismo astratto

    I due tipi principali Don ChisciotteIl suo rapporto allepica cavallerescaLeredit di Don Chisciotte:

    a) La tragedia dellidealismo astratto

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    b) Il romanzo umoristico moderno e la sua problematicaBalzac

    Pietro il fortunato di Pontoppidan

    2. Il romanticismo della disillusioneIl problema del romanticismo della d isillusione e il suo significato per la forma delromanzoI tentativi di soluzione di Jacobsen e GonarovLEducation sentimentale e il problema del tempo nel romanzoSguardo retrospettivo sul problema del tempo nel romanzo dellidealismo astratto

    3. Wilhelm Meisters Lehrjahre come tentativo di una sintesiIl problemaLidea della comunit sociale e le forme della sua figurazioneIl mondo del romanzo pedagogico e la romantizzazione della realtNovalisLa soluzione tentata da Goethe e il trascendimento del romanzo a epopea

    4. Tolstoj e il superamento delle forme sociali della vitaLa polemica figurata contro la convenzioneIl concetto di natura di Tolstoj e le sue conseguenze problematicheper la forma del romanzoLa duplice posizione di Tolstoj nella filosofia della storia delle formeepiche: sguardo su Dostoevskij

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    TEORIA DEL ROMANZO

    a J. A. Grabenko

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    PREMESSA DEL 1962

    Questo studio stato abbozzato nellestate del 1914 e stesonellinverno 1914-15. Usc per la prima volta nel 1916, nellaZeitschrift fr sthetik und Allgemeine Kunstwissenschaft di MaxDessoir e in volume presso P. Cassirer (Berlino, 1920).

    Lo scoppio della guerra del 1914 leffetto prodotto dalla posizioneinterventista della socialdemocrazia sullintellighenzia di sinistra fuloccasione che ne determin la nascita. La mia posizione radicale siesprimeva in un veemente, globale e, specie allinizio, poco articolatorifiuto della guerra, in particolar modo dellentusiasmo chelaccompagnava. Ricordo un colloquio con Marianne Weber nel tardoautunno del 1914. Cerc di contrastare la mia resistenza riferendosingoli, concreti atti di eroismo. Mi limitai a ribattere: Tanto meglio,tanto peggio. Cercando a quel tempo di razionalizzare la miaposizione sentimentale, giunsi pressa poco alla seguenteconclusione: le potenze centrali avrebbero presumibilmente battuto laRussia, il che poteva condurre al crollo dello zarismo: benissimo.Sembrava daltronde abbastanza verosimile che le potenzeoccidentali avrebbero avuto la meglio sulla Germania; se questoavesse determinato il tramonto degli Hohenzollern e degli Asburgo, la

    cosa mi andava altrettanto bene. E tuttavia sorgeva il problema: chi ciavrebbe salvato dalla civilizzazione occidentale? (Consideravo laprospettiva della vittoria finale della Germania dallora come qualcosadi opprimente.)

    In questo stato danimo cresceva il primo abbozzo della Teoria delromanzo. Inizialmente avevo pensato a una catena di dialoghi: ungruppo di giovani si isola di fronte alla psicosi della guerra allamaniera dei narratori di novelle del Decamerone di fronte alla peste; iloro dialoghi, improntati a una reciproca intesa, avrebbero esplicitatogrado a grado i problemi trattati nel libro, fino a gettare uno sguardosul mondo di Dostoevskij. A un ripensamento pi attento questo piano

    fu abbandonato e la Teoria del romanzo assunse la sua attualeconfigurazione. Essa crebbe cos in un clima di permanentedisperazione sulle sorti del mondo. Solo lanno 1917 mi port larisposta alle questioni che fino allora mi erano parse insolubili.

    Ovviamente si pu considerare questo scritto anche solo in base aisuoi contenuti oggettivi, indipendentemente dalle condizioni interioriche lo hanno occasionato. Ma credo sia importante, per agevolarne lagiusta comprensione, ripercorrere storicamente, a quasi cinquedecenni di distanza, latmosfera che ne propizi la genesi.

    Sia chiaro: il rifiuto della guerra, e con essa della societ borghese

    di allora, era puramente utopico; a quel tempo non vedevo

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    mediazioni, neppure nellottica del pensiero pi astratto, tra laposizione soggettiva e la realt oggettiva. Ma ci ebbe anzituttolimportante conseguenza metodologica di affrancarmi senza residuidal bisogno di sottoporre a verifica critica la mia Weltanschauung, le

    modalit del mio lavoro scientifico, e cos via. Vivevo allora latransizione da Kant a Hegel senza tuttavia mutare alcunch nel miorapporto alle cosiddette metodiche delle scienze dello spirito; talerapporto si fondava essenzialmente sulle impressioni giovanili cheavevo ricavato dai lavori di Dilthey, Simmel e Max Weber. Di fatto, laTeoria del romanzo un tipico prodotto di quella tendenza che facapo alle scienze delle spirito. Max Dvork, che conobbipersonalmente a Vienna nel 1920, mi disse: Considero questoperail testo pi importante nellambito delle scienze dello spirito.

    Oggi non pi difficile come allora rilevare con chiarezza i limitimetodologici delle scienze dello spirito. A ben vedere si pu valutarecorrettamente anche il loro diritto storicamente relativo a opporsi,tanto nel trattamento delle figure e delle connessioni storiche, quantonel dominio effettivo dello spirito (logica, estetica ecc.), alla grettasuperficialit del positivismo neokantiano o di altra ispirazione. Pensoad esempio al fascino esercitato dal diltheyano Das Erlebnis und dieDichtung (Lipsia 1905), un libro che per molti aspetti poteva apparirecome una terra incognita. Questa terra ci sembr allora un universo dipensiero che rendeva possibili sintesi grandiose, vale a dire teoretichee storiche. Ignoravamo quanto poco un tal metodo costituisse uneffettivo superamento del positivismo, e quanto poco quelle sintesi

    potessero contare su un fondamento oggettivo. (A noi, che eravamo ipi giovani, sfugg allora la circostanza che uomini di talentopotessero raggiungere i loro risultati pi convincenti non tanto graziea questo metodo, bens malgrado esso.) Partendo da pochi elementicolti per lo pi intuitivamente entro una data tendenza o un datoperiodo, si trattava di plasmare concetti sinteticamente universali, daiquali si discendeva poi deduttivamente fino ai singoli fenomeni,ritenendo di pervenire in tal modo a una superiore visione dinsieme.

    Questo era anche il metodo della Teoria del romanzo. Solo qualcheesempio al riguardo. Nella tipologia della forma del romanzo gioca unruolo decisivo unalternativa concettuale: ossia se lanima del

    personaggio principale risulti, in rapporto alla realt, troppo stretta otroppo larga. Questa bipartizione, massimamente astratta, tuttalpi in grado di delucidare alcuni momenti del Don Chisciotte, unromanzo rappresentativo del primo tipo di situazione. Ma essa daltra parte troppo generica per includere, sul piano del pensiero,tutta la ricchezza storica ed estetica anche di questo solo romanzo.Cos ad altri scrittori facenti capo a questo stesso tipo, come Balzac oPontoppidan, veniva imposta una deformante camicia di forzaconcettuale. Identica sorte viene riservata allaltro tipo. Questadeformazione, derivante dalle sintesi astratte delle scienze dellospirito, emerge in modo ancor pi caratteristico in Tolstoj. Di fatto

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    lepilogo di Guerra e pace chiude in termini puramente ideali [ideel]ilperiodo delle guerre napoleoniche: nello sviluppo di taluni personaggiesso mostra le ombre gettate dalla sollevazione decabrista del 1825.Ma lautore della Teoria del romanzo si attiene con tanta ostinazione

    allo schema dellEducation sentimentale, che vi individua solamenteuna cheta atmosfera da stanza dei bambini, una sconsolatezza piprofonda della chiusa del pi problematico dei romanzi delladisillusione. Esempi del genere potrebbero cumularsi a volont. A noibasta qui richiamare lattenzione sul fatto che romanzieri comeDefoe, Fielding o Stendhal non trovano alcun posto entro lo schema diquella costruzione, e che lautore della Teoria del romanzo rovescia,con sintetico arbitrio, il significato di autori come Balzac e Flaubert,

    Tolstoj e Dostoevskij.Per mettere correttamente in luce i limiti delle sintesi astratte

    operate dalle scienze dello spirito era necessario almeno accennare aqueste distorsioni. Ci naturalmente non significa che allautore dellaTeoria del romanzo fosse preclusa in via di principio la possibilit discoprire interessanti connessioni. Mi limiter nuovamente allesempiopi rimarchevole: lanalisi del ruolo del tempo nellEducationsentimentale. Ma anche qui, in rapporto allopera concreta, lanalisi responsabile di unastrazione inammissibile. La scoperta di unaRecherche du temps perdu troverebbe semmai una suagiustificazione oggettiva nellultima parte del romanzo (dopo ilfallimento definitivo della rivoluzione del 1848). tuttavia indubbioche vi si formuli sulla base della bergsoniana dure la nuova

    funzione del tempo nel romanzo. Un fatto tanto pi significativo inquanto in Germania Proust non viene conosciuto prima del 1920 elUlisse di Joyce solo nel 1922, mentre la Montagna incantata di

    Thomas Mann esce nel 1924.In definitiva la Teoria del romanzo rappresenta in modo tipico le

    scienze dello spirito, senza peraltro proiettarsi oltre i loro limitimetodologici. Malgrado ci il suo successo Thomas Mann e MaxWeber vanno annoverati tra i suoi lettori benevoli non fu del tuttocasuale. Per quanto affondi le sue radici nel dominio delle scienzedello spirito, questo libro d ricetto, entro i limiti indicati, adeterminate tendenze che in seguito si sono rivelate importanti. Si

    gi notato che lautore della Teoria del romanzo era diventatohegeliano. I primi e pi importanti esponenti del metodo delle scienzedello spirito si situavano su un terreno kantiano, del resto non deltutto epurato da residui positivisti; soprattutto il caso di Dilthey. Equasi sempre i tentativi di superare il piatto razionalismo positivistaimplicavano un accostamento allirrazionalismo; ci vale in primoluogo per Simmel, ma anche per lo stesso Dilthey. La Hegel-Renaissance, com noto, era iniziata qualche anno prima delloscoppio della guerra. Ci che in essa valeva la pena di prendere inconsiderazione era limitato prevalentemente allambito della logica oal concedo generale di scienza. A mio avviso la Teoria del romanzo

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    la prima opera ispirala alle scienze dello spirito in cui i risultati dellafilosofia hegeliana vengono concretamente impiegati in seno aproblematiche di tipo estetico. La prima parte, a carattere generale, sipone essenzialmente sotto il segno di Hegel; cos nel confronto tra

    le specie di totalit nellepica e nel dramma, oltrech nella concezionefilosofico-storica relativa allomogeneit e allantiteticit tra epopea eromanzo. Ma in realt lautore della Teoria del romanzo non eraaffatto un hegeliano rigoroso e ortodosso. Le analisi di Goethe eSchiller, la concezione goethiana della tarda maturit (la nozione deldemonico), le teorie estetiche del giovane Friedrich Schlegel e diSolger (lironia intesa come moderno mezzo di figurazione)completano e concretizzano i lineamenti generali del sistemahegeliano.

    La storicizzazione delle categorie estetiche rappresentaprobabilmente un aspetto ancor pi importante delleredithegeliana. Il rinnovamento hegeliano consegue infatti i suoi risultatipi significativi nellambito estetico. Kantiani comeRickert e la sua scuola spalancano un abisso metodologico tra i valoriintemporali e la loro realizzazione storica. Lo stesso Dilthey nonconcepisce questa contrapposizione in termini cos rigidi e nei suoischizzi metodologici sulla storia della filosofia non si spinge oltrelenunciazione di una tipologia metastorica delle filosofie, la cuiattuazione avviene poi storicamente, secondo variazioni concrete. Insingole analisi estetiche egli riesce talvolta a trovare una nuovametodologia, ma ci avviene in certo modo per nefas,ovvero senza

    alcuna consapevolezza. Questo conservativismo filosofico trova il suofondamento dottrinale nellatteggiamento storicamente epoliticamente conservatore dei principali esponenti delle scienze dellospirito, un atteggiamento che sul versante concettuale rimanda aRanke e che dunque si pone in netto contrasto con levoluzionedialettica che anima lo spirit del mondo in Hegel. Naturalmenteesiste anche un relativismo storico di marca positivista, e propriodurante la guerra Spengler lo ha innestato su alcune tendenze dellescienze dello spirito: si trattava di storicizzare in modo radicale tuttele categorie, negando recisamente ogni valore sovrastorico, sia essoestetico, etico o logico. Ma in tal modo egli annullava anche lunit del

    processo storico; da ultimo lestremo dinamismo storico si rovescianella stasi, nellannullamento finale della storia stessa, nellacircolazione, sempre conclusa e poi riattivata, di cerchie di civiltinternamente autonome unpendantsecessionista a Ranke.

    Lautore della Teoria del romanzo non si spinge cos lontano.Oggetto della sua indagine era una dialettica universale dei generifondata e radicata storicamente nellessenza delle categorieestetiche, nellessenza delle forme letterarie; una la le dialetticadoveva tendere a una connessione tra categorie e storia pi intima diquanto non lavesse potuta riscontrare nello stesso Hegel; lautore

    cercava di cogliere speculativa mente la persistenza nel mutamento,

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    linterna trasformazione che ha luogo nellimmutabile validitdellessenza. Spesso per, e proprio in contesti decisivi, il suo metodorimane troppo astratto, avulso dalle concrete realt storico-sociali. Diconseguenza, come si rilev, esso porta troppo frequentemente a

    costruzioni arbitrarie. Solo un decennio e mezzo piti tardi giovviamente sul terreno del marxismo mi riusc di trovare unasoluzione. Quando insieme a M.A. Lifschitz, in opposizione allasociologia volgare di svariata estrazione in auge nel periodostaliniano, cercammo di riesumare e perfezionare la genuina esteticadi Marx, pervenimmo a un metodo realmente storico-sistematico. Sianellimpostazione che nellattuazione la Teoria del romanzo sipresentava come un tentativo fallito; eppure, almeno nelle sueintenzioni, si approssimava a una via duscita con un vigore superiorea quello dei suoi contemporanei.

    Dalleredit hegeliana deriva inoltre la problematica estetica delpresente, ossia lo sfociare, sotto il profilo filosofico-storico,dellevoluzione in una sorta di revocazione [Aufhebung] di queiprincpi estetici che hanno finora caratterizzato il corso dellarte. Magi in Hegel larte diventa problematica per questo semplice motivo:che il mondo della prosa, come egli definisce esteticamente questacondizione, propriamente il momento in cui lo spirito consegue sestesso nel pensiero e nella prassi socio-statale. Sicch larte diventaproblematica proprio perch la realt perde ogni problematicit.Affatto opposta la concezione formalmente simile della Teoria delromanzo: la problematica della forma del romanzo qui limmagine

    riflessa di un mondo fuori dai suoi cardini. Perci la prosa della vita solo un sintomo fra i tanti del fatto che la realt offre dora in poi unterreno sfavorevole per larte; donde la liquidazione artistica di quelleforme conchiuse e totali emananti da una totalit dellessere in scompiuta, di quei mondi di forme in s perfettamente immanenti ilproblema centrale della forma del romanzo. E questo non per ragioniartistiche, ma filosofico-storiche: Non c pi alcuna spontaneatotalit dellessere afferma lautore della Teoria del romanzo conriferimento alla realt del presente. Qualche anno dopo GottfriedBenn esprime cos questo stato di cose: la realt non esisteva pi,rimaneva la sua smorfia (Bekenntnis zum Expressionismus, in

    Deutsche Zukunft, 5 novembre 1933; ora in Gesammelte Werke,acura di D. Wellershoff, Wiesbaden 1959, voi. 1, p. 245). Ancheammesso che la Teoria del romanzo si dimostri in senso ontologicopi critica e riflessiva del poeta espressionista, resta tuttavia il fattoche entrambi esprimono un analogo sentimento della vita eanalogamente reagiscono al loro presente. Cos il dibattito degli anni

    Trenta su espressionismo e realismo fu allorigine di una situazione unpo grottesca: Ernst Bloch polemizzava contro il marxista GyrgyLukcs in nome della Teoria del romanzo.

    evidente che questo contrasto della Teoria del romanzo con il suo

    vettore metodologico generale, cio con Hegel, sia in primo luogo di

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    carattere sociale e non estetico-filosofico. Al riguardo forsesufficiente ricordare quanto si detto allinizio sulla posizionedellautore nei confronti della guerra. Aggiungiamo inoltre che la suaconcezione della realt sociale era allora profondamente influenzata

    da Sorel. Questo spiega perch nella Teoria del romanzo il presentenon fosse caratterizzato in termini hegeliani, bens, al modo di Fichte,come lepoca della compiuta iniquit. Questa visione pessimisticadel presente, dintonazione etica, non contrassegna tuttavia alcunmovimento a ritroso da Hegel a Fichte, ma piuttosto unakierkegaardizzazione della dialettica storica hegeliana. Per lautoredella Teoria del romanzo Kierkegaard ha sempre giocato un ruoloimportante. Molto tempo prima che diventasse di gran moda, egli hatrattato saggisticamente il nesso tra vita e pensiero in Kierkegaard(Das Zerschellen der Form am Leben: Sren Kierkegaard und RegineOlsen,scritto nel 1909, uscito in Germania nella raccolta Die Seeleund die Formen, Berlino 1911). E negli anni heidelberghesiimmediatamente precedenti la guerra egli lavor a uno studio sullacritica kierkegaardiana a Hegel, che peraltro non fu mai completato.Se qui si fa menzione di questi fatti non per ragioni biografiche, maper richiamare lattenzione su una tendenza del pensiero tedesco chein seguito avrebbe avuto gran peso. Linflusso diretto di Kierkegaardinveste, com noto, le filosofie dellesistenza di Heidegger e Jaspers,come pure il movimento di opposizione pi o meno aperta a Hegel.Daltra parte non va dimenticato che la stessa Hegel-Renaissancetrasse energico alimento dallaccostamento di Hegel

    allirrazionalismo. Questa tendenza gi visibile nelle ricerchediltheyane sul giovane Hegel (1905) e riceve una chiaraconfigurazione nellaffermazione di Kroner, secondo cui Hegel statoil pi grande irrazionalista della storia della filosofia (1924). Qui non ancora comprovabile un influsso kierkegaardiano diretto. Ma nelcorso degli anni Venti esso ovunque latente, ed anzi cresce fino afarsi tangibilmente presente, al punto che persino gli studi sulgiovane Marx patiscono un processo di gradualekierkegaardizzazione. Scrive infatti Karl Lowith (1941) : Essi [Marx eKierkegaard, G.L.] appaiono tanto distanti tra loro, quantostrettamente imparentali nel comune attacco sferrato allesistente e

    nellanaloga Iorinazione hegeliana. ( superfluo ricordare quanto unatale tendenza sia diffusa nellattuale filosofia francese.)

    Le basi socio-filosofiche di queste teorie sono rintracciabilinellatteggiamento politicamente e filosoficamente ambiguodellanticapitalismo romantico. Originariamente ad esempio nelgiovane Carlyle o in Cobbett si trattava di una critica effettiva delleatrocit e dellanticulturalismo connaturati al nascente capitalismo, etalvolta persino della prefigurazione di una sua critica sociale, come inPast and Present di Carlyle. Questo atteggiamento portgradatamente a una specie di apologetica dellarretratezza sociale epolitica dellimpero degli Hohenzollern. Apparentemente anche uno

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    scritto cos importante come le Betrachtungen eines Unpolitischen(1918) di Thomas Mann si muove su questa linea. Ma la successivaevoluzione di Thomas Mann giustifica gi negli anni Venti il modo incui egli stesso caratterizza questopera: Si tratta di un

    combattimento di ripiegamento in grande stile lultimo, estremocombattimento di una borghesia romantico-tedesca condotto nellapiena coscienza della sua inutilit..., financo nella certezzadellinsania e della miseria spirituali che si annidano nella simpatiacon quanti sono votati alla morte.

    Di tali stati danimo lautore della Teoria del romanzo non ebbealcun sentore, e ci malgrado il fatto che nei suoi esordi filosoficifacesse capo a Hegel, Goethe e al romanticismo. Diversamente da

    Thomas Mann, la sua opposizione allincultura capitalistica noncontiene alcuna simpatia per la miseria tedesca e i suoi odierniresidui. Il carattere della Teoria del romanzo non conservativo maesplosivo. Esso di fatto siede su un utopismo estremamente ingenuoe del tutto pretestuoso: sulla speranza che dalla dissoluzione delcapitalismo, e segnatamente dalla dissoluzione di quelle categoriesocio-economiche inerti e ostili alla vita con cui esso vieneidentificato, possa scaturire unesistenza genuina e conformeallumana dignit. Il fatto poi che il libro culmini con le analisidedicate a Tolstoj e con lo sguardo su Dostoevskij, il quale non hascritto alcun romanzo, mostra con chiarezza che si confidavaespressamente in un nuovo mondo e non in una nuova formaletteraria. Si ha certo tutto il diritto di irridere a questo rozzo

    utopismo, ma esso diede allora espressione a una effettiva correntespirituale. noto del resto che negli anni Venti la tendenza a risolvereil mondo economico in termini puramente sociali assume un caratteresempre pi marcatamente reazionario. Ma al tempo della stesuradella Teoria del romanzo si trattava ancora di pensieri indistinti,presenti in forma puramente embrionale. Anche qui pu bastare unesempio. Se Hilterding, il celeberrimo economista della SecondaInternazionale, nel suo Finanzkapital (1909) pot scrivere riguardoalla societ comunista: La natura dello scambio accidentale e nonpu essere oggetto di una considerazione teoretico-economica. Essonon analizzabile teoricamente e si pu comprenderlo solo in senso

    psicologico; se si pensa inoltre alle utopie consideraterivoluzionarie degli ultimi anni di guerra e del periodoimmediatamente successivo, allora, senza per questo mitigare innessun modo la critica alla sua infondatezza teoretica, lutopia dellaTeoria del romanzo pu essere valutata in modo storicamente equo.

    Daltra parte proprio una critica siffatta si presta a illustrarecorrettamente unaltra particolarit della Teoria del romanzo, unaspetto che fa di questo libro qualcosa di nuovo nel panorama dellaletteratura tedesca. (Il fenomeno di cui stiamo per occuparci era ginoto ai francesi da gran tempo.) In breve: la concezione del mondo

    dellautore della Teoria del romanzo nasceva dalla fusione di unetica

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    di sinistra con una teoria della conoscenza (ontologia ecc.) didestra. Per quanto la Germania guglielmina disponesse ili unaletteratura di opposizione, essa poggiava pur sempre sulle tradizioniilluministiche, e per lo pi, com naturale, sui suoi epigoni pi

    Macchi; questo port a un rifiuto indiscriminato delle tradizionitedesche pi significative sul piano letterario e teoretico. (Il socialistaFranz Mehring costituisce, sotto questo rispetto, una rara eccezione.)La Teoria del romanzo, per quanto mi sia dato valutare nel suocomplesso questa costellazione di problemi, il primo libro tedesco incui unetica di sinistra, improntata a una percezione radicale dellarivoluzione, procedeva di pari passo con uninterpretazionetradizionale e assolutamente convenzionale della realt. Ginellideologia degli anni Venti questo atteggiamento gioca un ruolo lacui importanza progressivamente si accresce. Si pensi ai libri di ErnstBloch, Geist der Utopie (1918, 1923) e Thomas Mnzer als Theologeder Revolution (1921), a Walter Benjamin e anche agli inizi di TheodorW. Adorno ecc. La guerra spirituale contro lhitlerismo ne rafforzaulteriormente il significato: sono in molti a tentare di mobilitare partendo da unetica di sinistra Nietzsche e persino Bismarck qualiforze progressive in opposizione alla reazione fascista. (Osservo soloincidentalmente che oggi la Francia, dove questo orientamento hapreso piede assai prima che in Germania, ha in Sartre uno dei suoirappresentanti pi influenti. Qui ovviamente non possiamo trattare imotivi sociali che spiegano la precocit di questo fenomeno e ilperdurare della sua efficacia.) Solo dopo la vittoria su Hitler, solo dopo

    la restaurazione e il miracolo economico questetica di sinistra potuta sparire dalla scena tedesca cedendo il foro dellattualit a unconformismo dallapparenza anticonformista. Una parte considerevoledella migliore intellighenzia tedesca, fra cui lo stesso Adorno, hapreso alloggio come scrissi in una mia critica a Schopenhauer presso il Grand Hotel dellAbisso, un bellHotel, fornito di ognicomfort, sullorlo dellabisso, del nulla e dellinsensato. E la visionegiornaliera dellabisso, tra produzioni artistiche e pasti goduti negliagi, pu solo accrescere la gioia procurata da questo raffinatocomfort (Die Zerstrung der Vernunft,Neuwied 1962, p. 219). Sefino ad oggi Ernst Bloch ha confidato senza cedimenti nella sua sintesi

    tra unetica di sinistra e una gnoseologia di destra (cfr. per esempioPhilosophische Grundfrage I, Zur Ontologie des Noch-Nicht-Seins,Francoforte 1961), ci fa onore al suo carattere, ma non pumitigare linattualit del suo atteggiamento teoretico. vero che nelmondo occidentale (compresa la Bundesrepublik) fermenta un effettivomovimento di feconda e progressiva opposizione, ma essa non ha pi niente a chevedere con laccostamento di unetica di sinistra a una gnoseologia di destra.

    Chi dunque legga oggi la Teoria del romanzo con lintento di conoscere in profonditla preistoria delle importanti ideologie degli anni Venti e Trenta, potr trarregiovamento da questo inquadramento critico. Ma se prender in mano il libro alloscopo di orientarsi, esso non far che accrescere il suo disorientamento. ArnoldZweig, allepoca giovane scrittore, lesse la Teoria del romanzo proprio con questoscopo; il suo sano istinto lo indusse giustamente a un drastico rifiuto.

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    Budapest, luglio 1962

    PARTE PRIMA

    LE FORME DELLA GRANDE EPICA CONSIDERATE IN RAPPORTOALLA COESIONE INTERNA OVVERO ALLA PROBLEMATICIT

    DELLA CIVILT NEL SUO INSIEME

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    CAPITOLO PRIMO

    Tempi beati quelli in cui il firmamento a tracciare la mappadelle vie accessibili e da battere, rischiarandole alla luce dellestelle. Tutto nuovo in essi e per familiare avventuroso einsieme avito. Vasto il mondo e tuttavia non pi della propriacasa, giacch il fuoco, che brucia nellanima, divide la sostanzacon le stelle; un taglio preciso separa il mondo dallio, la luce dalfuoco, eppure esso non tale da renderli per sempre stranieri; ilfuoco, infatti, dogni luce lanima, e ogni fuoco di luce siriveste. Cos, ogni atto dellanima prende senso e pregnanza da

    questa duplicit: compiuto nel senso e compiuto per i sensi: epregno perch lanima, durante lazione, riposa in se stessa; ed pregno perch latto si stacca dallanima e, divenutoautosufficiente, cerca un centro suo proprio e traccia attorno as un circolo conchiuso. Filosofia propriamente nostalgia,dice Novalis limpulso a sentirsi dovunque a casa propria.Dunque la filosofia, sia come forma della vita che come formadeterminante della poesia e del suo contenuto, sempre unsintomo dello strappo tra linterno e lesterno, un segno delladifferenza essenziale tra lio e il mondo, dellincongruenza tralanima e il fare. Per questo i tempi beati non hanno filosofia,oppure, il che lo stesso, tutti gli uomini vivono in essi dafilosofi, depositari dei fini utopistici di tutte le filosofie. Forse cheil compito della vera filosofia non consiste nel tracciare quellamappa originaria? E qual il problema del luogo trascendentale,se non quello di fissare la correlazione tra i moti rampollantidallinteriorit pi fonda e una forma ad essi sconosciuta maassegnatagli fin dalleternit, una forma che inviluppa tali motiin una simbolica redentrice? Si percorre allora con passione lavia prestabilita dalla ragione, la via che conduce alla compiutaegoit, e nella follia trovano espressione i segni enigmatici, ma

    svelabili, di una potenza trascendente altrimenti condannata alsilenzio. Di fatto non esiste ancora uninteriorit, poich difronte allanima non v ancora esteriorit alcuna, nessunaalterit. A misura che lanima va in cerca davventure e ad essesi consegna, il vero strazio della ricerca e gli effettivi pericolidella scoperta le rimangono ignoti: questanima non mette maiin gioco se stessa; non sa ancora di potersi perdere e non lasfiora il pensiero di doversi cercare. E let universale dellepos.Qui non una vita sicura o spassionata a donare a uomini egesta i tratti di unaspra gaiezza (tutto accade con la stessamestizia e insensatezza dallinizio dei tempi, solo i canti

    consolatori suonano pi acuti o pi opachi), bens la conformit

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    degli atti alle istanze interiori dellanima: volont di grandezza,di espansione, dinterezza. Quando lanima non sa ancora diabissi interiori che linvoglino alla caduta o la traggano adaltezze impraticabili; quando la divinit che domina il mondo

    distribuisce i doni incogniti e arbitrari del destino e si paradinanzi alluomo, inconcepibile eppur nota e vicina, come usa ilpadre di fronte al bambino, allora ad ogni atto corrisponde unacconcio panneggio dellanima. Essere e destino, avventura eperfezione, vita ed essenza, diventano concetti identici. Sicchla risposta da cui prende forma lepos rivolta a questadomanda: come pu la vita farsi essenziale? Linimitabilit diOmero, la sua irraggiungibilit e a rigore solo i suoi poemi sonoepici , siede sul fatto che egli ha trovato la risposta prima che ilcammino dello spirito nella storia rendesse esplicita la domanda.

    Qui, chi lo voglia, pu affrontare il mistero della grecit: la suaperfezione per noi inconcepibile e la sua insuperabile estraneit:il Greco conosce solo risposte, non domande, solo soluzioni(sebbene enigmatiche), nessun enigma solo forme, nessuncaos. Egli traccia il cerchio delle forme figurali ancora al di quadel paradosso e raggiunge la perfezione proprio attraverso ciche il paradosso, divenuto attuale, avrebbe tradotto insuperficialit. Quando si parla dei Greci si confonde sempre lafilosofia della storia con lestetica, la psicologia con lametafisica, e si inventa un qualche nesso tra le loro forme e lanostra epoca. Le anime belle cercano dietro queste maschere

    silenziose, ammutolite per sempre, i momenti culminanti unici,guizzanti, inafferrabili di una quiete onirica, ma essedimenticano che il pregio di quei momenti consiste nella lorofuggevolezza, dimenticano che proprio ci che le induce a cercarriparo presso i Greci costituisce la loro grandezza e profondit.Spiriti pi profondi, che si sforzano dispessire il fluire delsangue in acciaio purpureo, di foggiarlo a guisa di corazza, dimodo che le ferite rimangano celate in eterno e il loro eroicoatteggiarsi diventi paradigma del reale, venturo eroismo, esempre ne risvegli di nuovo, paragonano la fragilit della lorocapacit figurativa allarmonia greca e i propri dolori, da cui

    sono scaturite le loro forme, a certi strazi immaginari che lapurezza greca dovrebbe sedare. Elevando in modocaparbiamente solipsistico la perfezione della forma a funzionedella devastazione interiore, costoro vogliono sentire attraversole immagini dei Greci la voce dun tormento che di tantosoverchia in intensit il loro, di quanto larte greca supera quellaa cui essi danno forma. Ma qui in questione un completorivolgimento della topografia trascendentale dello spirito, laquale pu essere ben descritta nella sua essenza e nelle sueconseguenze, correttamente esplicata e compresa nella suaimportanza metafisica, e tuttavia risulter sempre impossibile

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    trovare una psicologia ad essa pertinente, dotata cio dianaloghe capacit empatiche o anche solo puramente cognitive.Giacch ogni comprensione psicologica presuppone gi unassetto determinato dei luoghi trascendentali e funziona

    unicamente nellambito del suo dominio. Anzich nutrire lapretesa di comprendere la grecit su queste basi il che, alla finfine, equivale a porre indirettamente la domanda: comepotremmo, noi, produrre tali forme? Ovvero: come cicomporteremmo, se potessimo disporre di quelle forme? ,sarebbe pi fruttuoso interrogarsi sulla topografiatrascendentale dello spirito greco, la quale ha reso possibili, anzinecessarie, queste forme, e che essenzialmente diversa dallanostra.

    Dicevamo: il Greco possiede le risposte prima ancora di porrele domande. Questo un altro dato da non intendersipsicologicamente, bens (tuttal pi) nel senso di una psicologiatrascendentale. Ci significa che nellimpianto strutturale finale,ossia nel dispositivo che condiziona ogni esperienza vissuta nellasua immediatezza, con le relative figurazioni, non si dannodifferenze qualitative dunque irrevocabili e superabili, per cosdire, solo con un salto tra i luoghi trascendentali e tra questi eil soggetto che vi si relaziona a priori; ci significa inoltre chelascesa alle sommit e la discesa nellabisso dellinsensatoavviene per adeguazione, vale a dire, nel peggiore dei casi,mediante un processo graduale e variamente modulato. Lo

    spirito si muove in questa regione ancestrale accettando inmodo insieme passivo e visionario un senso preesistente. Ilmondo del senso palpabile e perspicuo: si tratta soltanto dirinvenire in esso il luogo adatto allUno. Latto di errare puriferirsi qui solo a un eccesso ovvero a un difetto, a unamancanza di misura o a un giudizio insufficiente. Sapere, infatti,significa soltanto togliere i veli che offuscano lo sguardo; creare disegnare entit ad un tempo visibili ed eterne; la virt cognizione compiuta delle vie da percorrere, e lestraneit delsenso dipende solo dalleccessiva distanza del senso. E unmondo omogeneo, e anche la frattura tra luomo e il mondo, tra

    lio e il tu, non pu turbarne la compattezza. Lanima, come ognialtro membro di questa ritmica, dimora in mezzo al mondo; iconfini fissati dai suoi profili non differiscono, nellessenza, daicontorni delle cose: essa traccia linee decise e sicure, ma nonscinde che in modo relativo; scinde solo in rapporto e in funzionedi un sistema in s omogeneo, caratterizzato da un equilibrioadeguato. E ci perch luomo non un essere isolato,depositario esclusivo, tra le formazioni riflessive, dellasostanzialit: le sue relazioni con gli altri, e le concrezioni che nederivano, possiedono addirittura sostanza pari alla sua, anziesse ne sono pi veracemente ricolme, in quanto pi

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    universalmente, pi filosoficamente prossime e affini allapatria originaria: amore, famiglia, Stato. Per un uomo siffatto ildovere solo una questione pedagogica, unespressione dellaprossimit alla patria non ancora raggiunta; il dovere, cio, non

    esprime ancora quellunica e irrevocabile relazione allasostanza. Del resto, questo tipo umano non trova in se stessonulla che lo costringa improrogabilmente al salto: egli contaminato dalla distanza della materia dalla sostanza, e dovrpurif icarsene mediante la maggiore sostanzialit insitanellelevazione immateriale; c unampia strada davanti a lui,ma nessun abisso dentro di lui.Tali confini cingono necessariamente un mondo concluso.

    Potenze minacciose e incomprensibili possono allacciarsi oltre ilcerchio che le costellazioni del senso presente e immanentedescrivono attorno al cosmo immediatamente esperibile eplasmabile, ci nondimeno esse non riescono a sopprimere lapresenza del senso; possono annientare la vita, ma giammaiturbare lessere; possono gettare nere ombre sul mondomodellato, ma finiranno anchesse assorbite nelle forme,accentuandone pi crudamente i contrasti. La vita metafisica deiGreci si svolge entro un cerchio pi piccolo del nostro: sicchnon potremmo mai trasferirci in esso plasticamente; per megliodire: quella compiutezza circolare, da cui trae origine lessenzatrascendentale che caratterizza la loro vita, per noi spezzata;non potremmo pi respirare in un mondo conchiuso. Abbiamo

    inventato la produttivit dello spirito: ecco perch gli archetipihanno perduto per noi, in modo irreparabile, la loro trasparenzaoggettiva, ecco perch il nostro pensiero percorre ora la viainfinita di una approssimazione mai pienamente adempiuta.Abbiamo inventato larte di creare le figure: cos, a tutto ci chele nostre mani abbandonano per stanchezza e disperazione,mancher sempre quel tocco finale che ne decide lacompiutezza. Abbiamo trovato in noi stessi lunica, verasostanza: di qui la necessit di spalancare incolmabili voraginitra il conoscere e il fare, tra lanima e le concrezioni sociali, tralio e il mondo, lasciando disperdere in termini puramente

    riflessivi ogni sostanzialit posta di l dallabisso; cos, infine, lanostra essenza ha dovuto imporcisi a guisa di postulato,scavando tra noi e noi stessi un abisso ancor pi fondo espaventevole. Il nostro mondo diventato infinitamente grandee ad ogni angolo pi ricco di doni e di pericoli che non quellogreco, ma proprio questa nostra ricchezza a revocare il sensoportante e positivo della vita dei Greci la totalit. Intesa comeil prius formativo di ogni singolo fenomeno, la totalit sta asignificare che qualcosa di conchiuso pu essere compiuto;compiuto in quanto tutto vi accade, nulla ne escluso o accennaa una superiore esteriorit; compiuto in quanto ogni cosa vi

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    matura nella propria compiutezza, e, nellatto di acquisire sestessa, si salda allinsieme. Totalit dellessere possibile solodove tutto sia gi omogeneo prima di essere accerchiato dalleforme; dove le forme non esercitano alcuna costrizione, ma si

    danno come il venire alla coscienza, come laffiorare insuperficie di quanto sopiva, al modo di una nostalgia indistinta,nel cavo della plasmabilit; dove il sapere virt e la virt felicit dove la bellezza rende visibile il senso del mondo.

    Questo il mondo della filosofia greca. Ma questo pensiero sisvilupp quando gi la sostanza cominciava a sbiadire. Se infattinon esiste, in senso stretto, unestetica greca, dato che lametafisica ha anticipato ogni elemento estetico, per lo stessomotivo la Grecia non conobbe alcun vero contrasto tra la storia ela filosofia della storia: i Greci percorrono nella storia tutti glistadi corrispondenti alle grandi forme a priori; la loro storiadellarte unestetica genetico-metafisica, lo svolgimento dellacivilt una filosofia della storia. In questo percorso, la sostanzapassa dallassoluta immanenza naturale di Omero allassoluta,ma tangibile e intelligibile, trascendenza di Platone. Gli stadi diquesto percorso, che si staccano nettamente e seccamente lunodallaltro (la grecit mostra qui di non conoscere alcunatransizione) e ne depongono il senso come entro geroglificieterni, sono le grandi forme, le forme paradigmatiche eintemporali del mondo figurato: epos, tragedia e filosofia. Ilmondo dellepos risponde alla domanda: come pu la vita farsi

    ricca dessenza? Ma la risposta a questa domanda matura soloallorch la sostanza ammicchi gi da remote lontananze. Soloquando la tragedia organizza le sue figurazioni per risponderealla domanda: come lessenza pu farsi plasticamente vivente?,solo allora ci si rende conto che la vita, qualunque essa sia (eogni dovere revoca la vita), ha smarrito limmanenzadellessenza. Nel plasmante destino e nelleroe che creandositrova se stesso, la pura essenza si sveglia alla vita e la vitacome tale, posta di fronte alla realt di questunica veraessenza, sprofonda nel non essere; stato raggiunto, al di ldella vita, un culmine dellessere, la cui straripante, sgargiante

    pienezza fa s che al confronto la vita comune non possa valerenemmeno come termine di contrasto. Anche questa esistenzadellessenza non nasce dal bisogno, non nasce da un problema:la nascita di Pallade il prototipo che presiede alla genesi delleforme greche. E come la realt dellessenza si libera della vitacol partorire altra vita, tradendo con ci stesso la perdita dellapropria immanenza plastica, cos questo sostrato problematicodella tragedia diventa visibile e si fa problema in primo luogonella filosofia: solo quando lessenza, divenuta affatto estraneaalla vita, si fa realt assolutamente unica e trascendente,quando lo sviluppo figurativo della filosofia ha palesato anche

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    nel destino della tragedia larbitrio crudo e insensatodellempiria, smascherando nella passione delleroe la grettezzapriva di slanci e individuando nel suo stesso compiersi lalimitatezza dun soggetto casuale, solo allora appare la risposta

    rivolta allessere; ma questessere non si d pi, nella tragedia,come mera evidenza spontanea, bens come portento, comelesile ponte delliride che saldamente oscilla sopra voraginisenza fondo. Leroe della tragedia rileva il vivente uomoomerico, lo illumina e lo trasfigura sottraendogli la fiaccola che sul punto di estinguersi, infiammandola di una luce nuova.Luomo nuovo di Platone, il saggio dotato di conoscenza attiva esguardo suscitatore dessenze, non si limita a smascherareleroe, ma impregna di luce vivida loscuro pericolo che costui havinto e, superandolo, lo trasfigura. Ma il saggio lultimo tipoumano e il suo mondo lultima figurazione della vita concessaallo spirito greco. Il chiarimento degli interrogativi cheimprontano e sostengono la visione platonica non ha pi datoaltri frutti: nel volgere dei tempi il mondo si grecizzato, maproprio per questo lo spirito greco sempre meno greco; senzaposa vi affluiscono nuovi problemi (e anche soluzioni), malaccento inconfondibilmente greco del persempre scomparso. La parola dordine, che lo spirito venturopronuncer con la stessa intonazione fatale, suona: follia deiGreci.

    E fu davvero la follia a colpire i Greci! Il firmamento kantiano

    non splende che nella notte oscura della conoscenza pura; anessuno dei viandanti solitari e nel mondo nuovo essereuomini significa essere soli esso rischiara il sentiero. La luceinteriore dona a stento al passo successivo levidenza dellasicurezza o almeno la sua parvenza. Dallinterno non raggia pialcuna luce a illuminare il mondo degli accadimenti e il loroviluppo divenuto estraneo allanima. E poich il soggetto divenuto a se stesso apparenza, ossia oggetto [Objekt],chi pusapere se la convenienza dellatto e dellessenza soggettiva,questunico segnavia residuo, colga realmente lessenza; secodesta sua intima e affatto peculiare essenzialit gli stia di

    fronte solo quale infinita pretesa a un cielo immaginario deldover-essere; se tale essenzialit debba sortire da questo abissoinsondabile che il soggetto stesso alberga in s, dato chechiamiamo essenza solo ci che emerge da una vertigine di cuinessuno mai potr saggiare ed esplorare il fondo? Larte, questarealt visionaria del mondo a noi conforme, diventata con cistesso autonoma: non pi copia, poich tutti i suoi modellisono sprofondati. Larte una totalit creatrice solo perchlunit naturale delle sfere metafisiche si lacerata per sempre.

    Qui non deve e non pu prodursi alcuna filosofia della storiache indaghi sulla metamorfosi intervenuta nella costruzione dei

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    luoghi trascendentali. Questa non la sede per affrontare laquestione se sia il nostro procedere (ascensivo o discensivo: lostesso) la ragione del cambiamento, o se invece furono altrepotenze a esiliare gli di della Grecia. E non dobbiamo nemmeno

    delineare in modo allusivo lintero percorso che conduce allanostra realt: la forza di seduzione che emanava ancora dallamorta grecit, il suo accecante bagliore luciferino che sempretornato a distendere loblio sulle crepe irrimediabili del mondo,ci ha fatto sognare dinedite ma ognora sfaldantisi unit, poichqueste contraddicevano alla nuova essenza del mondo. Dallachiesa si form cos una nuova polis,e quel modo paradossale incui lanima, perduta in peccati senza salvezza, si ancoravaallassurda eppur certa redenzione, divent quasi un platonicorifulgere del cielo nel seno della realt terrena; del salto, infine,si fece la scalea di terrestri e celesti gerarchie. Con Giotto eDante, con Wolfram e Pisano, con Tommaso e Francesco il mondo tornad essere pregno e perspicuo torn alla totalit: labisso perdette ilpericolo connesso alle profondit reali, ma quella oscurit compatta, senzarimetterci nulla della sua energia nero-brillante, si mut in pura superficie,inserendosi liquidamente in una conchiusa unit di colori; nel compiutosistema ritmico del mondo linvocazione disperata alla redenzione ricadde indissonanza, rendendo possibile un equilibrio nuovo, ma non meno cromaticoe compiuto di quello greco, un equilibrio fatto dintensit variabili,eterogenee. Il carattere incomprensibile, eternamente irraggiungibile delmondo redento savvicinava cos fino a lontananze visibili. Sensibilmentepresente diveniva il Giudizio Universale, pura articolazione di unarmoniadelle sfere pensata gi in atto; la sua vera essenza, che trasmuta il mondo

    in una ferita filottetica sanabile dai soli paracleti, fu dimenticata. Ne sortuna nuova, paradossale grecit: lestetica ridiventava metafisica.Per la prima volta, ma anche per lultima. Smembrata quellunit, non si

    d pi alcuna spontanea totalit dellessere. Certo, le fonti di quelle acqueche hanno spezzato lantica unit si sono esaurite, ma quei loro alveiineluttabilmente inariditi hanno scavato dirupi eterni sul volto del mondo.Oramai ogni resurrezione della grecit equivale alla costruzione diunestetica pi o meno consapevolmente ipostatizzata e identificata conlunica metafisica; la volont di colpire e annientare lessenza di tutto ciche si trova al di l del dominio dellarte, il tentativo di dimenticare chelarte solo una delle molte sfere, che il disfarsi del mondo e la suainadeguatezza contano tra i presupposti della sua esistenza e dellacoscienza che essa ne trae. Questa sostanziale ipertensione dellarte

    tuttavia destinata a opprimere e sovraccaricare anche le sue forme. Essedevono produrre da sole ci che un tempo si accettava come un semplicedato di fatto; cos, le forme devono prima di tutto provvedere a stabilire lecondizioni su cui basare la loro stessa efficacia aprioristica, procacciandoper forza propria sia loggetto che il suo contesto ambientale. Non si d pi,per le forme, una total it inclusiva: sicch non rimane ad esse cherestringere drasticamente i l campo del f igurabile, e persino, ondeappropriarsene, vanif icarlo; oppure corre loro l obbligo di provarepolemicamente lirrealizzabilit delloggetto necessario e insieme lintimanullit delloggetto solamente possibile; ma in tal modo il fragile assetto delmondo si estende anche al dominio delle forme.

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    CAPITOLO SECONDO

    Questi mutamenti in seno allorientazione dei puntitrascendentali sottomettono le forme artistiche a una dialetticafilosofico-storica che tuttavia si attaglia alle forme in modi chedifferiscono a seconda della patria aprioristica dei singoli generi.Pu accadere che la trasformazione riguardi solo loggetto e lecondizioni della sua figurazione, lasciando inviolato il nessodecisivo che legittima la forma alla sua esistenzatrascendentale; in tal caso si registrano mere variazioni di forma,che pur divergendo in tutti i particolari tecnici, tuttavia non

    sovvertono il principio originario della figurazione. Ma anchepossibile che a sollecitare direttamente il cambiamentointervenga lonnivalente principium stilisationis, rendendopertanto necessaria la corrispondenza tra le diverse formeartistiche e questa volont estetica orientata in senso filosofico-storico. Non si tratta di un cambiamento della disposizioneemotiva, al quale farebbe seguito la creazione di nuovi generi;siffatte forme artistiche hanno gi fatto la loro comparsa nelcorso dellevoluzione dello spirito greco, ad esempio quando laproblematizzazione delleroe e del destino diede vita al drammasenza tragedia di Euripide. Domina in tali drammi, come base

    dellimpulso a creare, la piena corrispondenza tra laprioristicaindigenza del soggetto, il suo dolore metafisico e il luogo dellaforma, ossia quel luogo prestabilito ab eterno su cui ricade lattofigurativo nella sua compiutezza. Ma il principio creativo deigeneri, che qui in questione, non richiede alcun cambiamentoin seno alla disposizione emotiva; essa deve rimanere anziimmutata, al fine di attingere un obiettivo nuovo,essenzialmente diverso dai precedenti. Ci significa che bisognaconsiderare sciolto anche lantico parallelismo tra la strutturatrascendentale della soggettivit figuratrice e le forme

    apprestate nel mondo esteriorizzato; significa che i fondamentiultimi dellatto figurativo hanno perso la loro patria.Il romanticismo tedesco ha posto in stretta relazione i concetti

    di romanzo e di romantico, senza peraltro chiarire mai fino infondo la natura di questo nesso. E ci a buon diritto, dato che laforma del romanzo esprime, come nessunaltra, lo spaesamentotrascendentale. Il convergere in ununica direzione della storia edella filosofia della storia ebbe per la grecit la conseguenza disuscitare i modi dellarte solo quando sulla meridiana dellospirito si pot leggere con precisione il giungere della loro ora,per quanto ognuno di essi dovette poi scomparire, quando gli

    archetipi del loro essere cessarono di sostare allorizzonte. Dopo

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    la grecit questa periodizzazione filosofica andata perduta. Igeneri sintrecciano qui in un groviglio inestricabile e diventano isegni della ricerca pura e spuria di obiettivi non pi dati in modochiaro e univoco; il sommarsi di essi sfocia nella totalit

    puramente storicizzata dellempiria, dove si cercano, edeventualmente si trovano, le condizioni empiriche (sociologiche)inerenti alle possibilit di sviluppo delle singole forme, ma doveil significato della periodicit, nel senso espresso dalla filosofiadella storia, non si concentra pi in nessun caso nei generidivenuti simboli e si pu meglio decifrare ed esplicare movendodai consuntivi dellepoca, anzich rintracciarlo in essi. Mamentre alla minima oscillazione delle connessioni trascendentalilimmanenza plastica del senso deve sprofondare senza rimedio,ecco invece che allessenza remota ed estranea alla vita datocoronarsi della propria esistenza sciogliendo i sussulti pi aspriin un velo che si stende leggero su questa stessa consacrazione,senza mai dissiparla del tutto. Con ci la tragedia, ancorchmutata, ha mantenuto inviolata la sua essenza nel nostro tempo,mentre lepopea ha dovuto scomparire cedendo il posto a unaforma del tutto nuova, il romanzo.

    Certo anche la completa trasformazione del concetto di vita edel suo rapporto allessenza ha modificato la tragedia. Ed cosadiversa se limmanenza plastica del senso dilegui concatastrofica chiarit, affidando allessenza un mondo puro esereno, o se invece a bandire questa immanenza dal cosmo sia

    un incantesimo che si espande per gradi; se linquieta nostalgiatesa al suo riapparire rimanga viva senza mai cedere alla lucidadisperazione; se bisogna supporre che quanto si perdutoattenda ansiosamente la parola risolutrice in ognuna di questeodierne apparenze cos tozze e contorte; in altri termini: selessenza non pu fabbricarsi un palcoscenico tragico coi tronchiabbattuti della foresta della vita, allora dovr appiccarvi il fuoco,svegliando a breve esistenza di fiamma tutti i resti inerti dunavita decaduta, o altrimenti dovr volgere le spalle, in segno diduro diniego, a tutto questo caos, riparando in una sfera astrattadi purissima essenzialit. E il rapporto che lessenza intrattiene

    con una vita in s priva di dramma a rendere necessaria laduplicit sti listica della nuova tragedia, i cui poli sonoShakespeare e Alfieri. La tragedia greca si situava oltrelopposizione tra la prossimit della vita e lastrazione, poich lapienezza non implicava per essa il problema della vicinanza allavita, n la trasparenza del dialogo comportava la revoca dellasua immediatezza. Qualunque caso o necessit di tipo storicoabbiano portato alla formazione del coro, il significato artisticodella tragedia questo: recare, di l da ogni vita, vitalit epienezza allessenza. Il coro pot dunque dar luogo a uno

    sfondo, adempiendo con ci a una semplice funzione connettiva,

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    simile allatmosfera marmorea tra le figure in rilievo; ma esso anche pieno di movimento e aderisce a tutti gli apparentiondeggiamenti di unazione che non nasce da uno schemaastratto, poich il coro pu accoglierla in s e restituirla,

    arricchita, al dramma. Il coro pu far risuonare in ampie parole ilsenso lirico dellintero dramma, pu accogliere in s, senza perquesto disfarsi, sia le voci flebili imposte allumana ragione dalcontraddittorio tragico, sia i canti dellalta sovrarazionalit deldestino. Nella tragedia greca il protagonista e il coro emergonodal medesimo fondale essenziale, essi sono del tutto omogeneitra loro e pertanto possono adempiere, senza smembrarelimpianto drammatico, a funzioni completamente distinte; ilcoro pu attrarre a s tutta la lirica della situazione e deldestino, rimettendo allattore lintera gamma delle parole e dellemovenze provenienti dalla denudata dialettica tragica; eppure, aseparare luno e laltro non saranno che morbide sfumature. Nil coro n lattore conoscono il pericolo di una vita fattasi vicinaal punto da far saltare la forma drammatica, e ci neppure comeremota possibilit: perci entrambi possono espandersi fino adattingere una pienezza non schematica, sebbene prescrittaaprioristicamente.

    La vita non scomparsa in modo organico dal nuovo dramma,piuttosto pu esserne stata bandita. Ma proprio un taleprovvedimento, messo in atto dai classicisti, comporta ilriconoscimento non soltanto dellessere, ma anche del potere di

    ci che viene proscritto. Esso presente in ogni parola e in ognigesto, i quali ingaggiano una gara densa dangosciosaautoesaltazione per tenersene lontani e incontaminati; ma ancora la vita, invisibile e ironica, a guidare lo spoglio ecalcolato rigore di una costruzione che frutto dastrattoapriorismo: a renderla concisa o contorta, trasparente o astrusa.Laltra tragedia consuma la vita. Presenta sulla scena i suoi eroial modo di uomini vivi, posti in mezzo a una massasemplicemente vivente, e sullonda di unazione resa confusa dalgravame della vita, la chiarezza del destino deve accendersi pergradi; i l suo fuoco deve ridurre in cenere tutto ci ch

    puramente umano, di modo che la vita insignificante del meroindividuo si disfaccia nel nulla; ma nel contempo gli affetti cheinformano lo spirito eroico devono bruciare di passioni tragiche erifonderle in eroi senza scorie. Con ci, leroismo diventatopolemico e problematico: essere eroi non pi la formadesistenza naturale in seno alla sfera dellessenza; leroismo piuttosto unautoelevazione sullelemento puramente umano, siaesso appartenente alla massa ovvero ai propri istinti. Il problemagerarchico della vita e dellessenza, che il dramma greco trattcome un apriori fornito di virt plasmatrici, e che pertanto nondivenne mai oggetto di un atto figurativo, si trova ad essere

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    invischiato nello stesso processo tragico; esso scinde il drammain due met affatto eterogenee, connesse luna allaltra solo dalreciproco negarsi ed escludersi: connessione polemica, dunque,e squilibrando proprio le basi di questo dramma

    intellettuallistica. Ma lampiezza prestabilita di questefondamenta, nonch il lungo itinerario che leroe devepercorrere allinterno della sua anima per ritrovarsi in quantoeroe, contraddicono alla snellezza che la forma impone allacostruzione drammatica e lavvicinano alle forme epiche; propriocome laccentuazione polemica delleroismo (anche nellatragedia astratta) ha come necessaria conseguenza lo sviluppodi una lirica soffocata da eccessivo lirismo.Tale lirica ha tuttavia anche unaltra sorgente, anchessa

    derivata dal rapporto alterato tra lessenza e la vita. Il tramontodi una vita latrice di senso ebbe per i Greci leffetto non gi diannullare, ma solo di trasporre in unaltra atmosfera la mutuavicinanza e la parentela degli uomini. Ci nonostante, ogni figuramantiene la stessa distanza dallonnireggente, dallessenza, sche le une sintrecciano alle altre con le radici pi profonde;tutte si comprendono tra loro, perch parlano la stessa lingua;confidano luna nellaltra e fossanche come nemici mortali perch tutte, in egual modo, convergono verso lo stesso centro,muovendosi al ritmo di unesistenza improntata alla medesimaessenza. Ma quando lessenza, come avviene nel nuovo dramma,riesce a manifestarsi e ad affermarsi solo dopo lagone con la

    vita per la supremazia gerarchica; quando ogni figura reca in sil senso di questa contesa quale presupposto della propriaesistenza o mobile elemento del suo essere, allora ognuna delledramatis person deve legarsi al destino natale in forza delproprio filo; deve originare da uno stato dinsopprimibilesolitudine e poi al frettarsi, frammezzo ad altri solitari, verso iltragico, definitivo isolamento; allora ogni parola tragica sispegner senza sortire alcun senso e lazione tragica non potrmai caricarsi di una risonanza adeguata. Ma sul piano deldramma, la solitudine alquanto paradossale: essa lautenticaessenza del tragico, giacch lanima, autocostituitasi nel segno

    del destino, pu avere fratelli celesti, ma nessun compagno diviaggio. La forma di espressione drammatica il dialogo presuppone tuttavia un elevato regime di comunanza tra questisolitari, e ci allo scopo di mantenere un impianto polifonico,ossia unimpronta realmente dialogica, drammatica. La linguadellassoluta solitudine lirica e predilige il monologo; neldialogo laspetto incognito dellanima del dramma viene allaluce con troppa forza e cos straborda, andando a gravaresullunivocit e sulla nettezza del discorso e della replica.Questa solitudine pi profonda di quella che imponeva laforma tragica, ovvero il rapporto al destino (la forma nella quale

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    hanno gi vissuto gli eroi greci): essa stessa deve farsi problemae porre al suo posto, approfondendolo e complicandolo, ilproblema tragico. Non possiamo assimilare questa solitudine allapura ebbrezza di unanima che, stretta dal destino, s sciolta in

    canto; vi in essa anche lo strazio della creatura che aspiraardentemente alla comunit ed condannata allisolamento.Questa solitudine congeda da s nuovi problemi tragici, tra cui ilvero e proprio problema della nuova tragedia la fiducia.Rivestita di vita ma colma di essenza, lanima del nuovo eroenon capir mai che la vita non necessariamente accoglie sotto ilsuo mantello anche la stessa essenzialit; essa sa diunuguaglianza estesa a tutti coloro che si sono ritrovati e nonpu persuadersi che un tale sapere non sia originato da questomondo, che lintima certezza che lo innerva non possa tuttaviaoffrire alcuna garanzia circa la sua pretesa di costituire la vita;questanima sa dellidea del suo S, la quale, animandola, le sirivela vivente; ci la induce a credere che questumano brulichioraccolto attorno a s non sia che unassurda farsa carnevalescadove, non appena lessenza pronuncia una parola, le mascherecadono e dei fratelli sconosciuti devono abbracciarsi a vicenda.

    Tutto questo le noto e lo cerca: ritrover se stessa comedestino, in solitudine. Ma allestasi di questa autoappropriazionesi mescola lafflizione, dai toni insieme accusatori ed elegiaci,per il modo in cui vi giunta: lanima delusa da una vitarivelatasi men che una caricatura di ci che la saggezza del

    destino le aveva annuncialo con s penetrante chiarezza, e dallacui fede essa aveva tratto la forza per imboccare da sola la suastrada, nelloscurit. Questa solitudine non solo drammatica,ma anche psicologica; essa infatti non forma soltanto lapriori ditutte le dramatis person ma regola al tempo stesso lesperienzaimmediata che trasforma luomo in eroe; da ultimo, se lapsicologia del dramma non devi restare allo stato di materiagrezza, allora potr esprimersi unicamente come lirismodellanima.

    La grande epica configura la totalit estensiva della vita; ildramma la totalit intensiva dellessenzialit. Con ci, posto che

    lessere abbia perduto quella totalit sensibilmente presente ecapace di organarsi in modo spontaneo, i l dramma pucomunque incontrare, nel suo apriorismo formale, un mondoforse problematico, ma ci nonostante in s definitivo eonnicomprensivo. Per la grande epica questo impossibile. Lagrandi epica considera ogni effettiva situazione mondana allastregua di un principio ultimo; sotto il rispetto decisivo edeterminante del suo fondamento trascendentale, essa empirica; a volte le riesce di accelerare il ritmo della vita, dicondurre ci che latente e ancora abbozzato a uno sboccoutopico ad essa immanente, ma giammai, partendo dalla forma,

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    potr vincere la vastit e la profondit, la pregnanzapragmatica, la ricchezza e lordinata disposizione insite nellavita storicamente articolata. Ogni tentativo di edificare unepicaveramente utopica destinato a naufragare, giacch esso dovr

    oltrepassare, oggettivamente o soggettivamente, il dominioempirico e quindi trascendere nellelemento drammatico o inquello lirico. E questo trascendimento non sar mai fruttuoso perlepica. Forse ci furono tempi singole favole conservanoframmenti di questi mondi scomparsi in cui ci che oggi siacquisisce solo per via utopica si offriva concretamente inimmagini visionarie, e gli epici di quei tempi non dovetteroabbandonare lempiria per rappresentare nel trascendentelunica realt esistente. S, costoro potevano considerarsisemplici narratori di avvenimenti, cos come i creatori assiri diquegli esseri ancestrali alati si ritenevano per certo e a ragione dei naturalisti. Ma gi in Omero il trascendente intessutoallesistenza terrena in guisa indissolubile, e la sua inimitabilitriposa proprio sulla riuscita integrale di quella immanenza.

    Il vincolo indissolubile con lesser qui e cos della realt,questa frontiera decisiva tra epica e dramma, unaconseguenza necessaria delloggetto dellepica: la vita. Mentreinfatti la semplice posizione del concetto di essenza conduce allatrascendenza, per cristallizzarvisi in un essere nuovo e superioreed esprimere in tal modo, attraverso la propria forma, un dover-essere che nella sua realt morfogenetica rimane indipendente

    dai dati contenutistici dellente come tale, il concetto di vita, percontro, nega un siffatto carattere di oggettivit allatrascendenza cos intercettata e coagulata. Grazie alla forzadelle forme, i mondi dellessenza si tendono oltre lesistenza, ele possibilit interne a questa forza ne improntano modi econtenuti. I mondi della vita si arrestano invece qui: le forme silimitano ad assumerli e a figurarli, a ricondurli al loro sensoinnato. Qui il ruolo delle forme non che quello svolto daSocrate nella nascita dei pensieri, ed esse non potranno maievocare niente, nella vita, che non vi fosse gi radicato. Ilcarattere da cui origina il dramma e questo solo un altro

    modo di esprimere la stessa situazione lio intelligibiledelluomo, quello dellepica lio empirico. Bandita dalla vita,lessenza trova asilo nella disperata intensit del dovere: questopu oggettivarsi nellio intelligibile sotto forma di psicologianormativa delleroe, mentre nellio empirico esso rimane unsemplice dovere. La sua forza di tipo puramente psicologico,come quella degli altri elementi dellanima; la definizione dellasua meta segue dei criteri empirici, come le altre aspirazionirese possibili dalluomo o dallambiente; i suoi contenuti sonostorici, come quelli prodotti dal corso dei tempi, e strapparli alterreno in cui sono cresciuti impossibile: potranno appassire,

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    ma giammai ridestarsi a una nuova, eterea esistenza. Il dovereuccide la vita, e leroe drammatico si cinge degli attributisimbolici di quella vita percettibilmente apparente solo perofficiare la cerimonia simbolica di una morte divenuta

    percettibile visione della trascendenza entificata. Per contro, gliuomini dellepica devono vivere, altrimenti lelemento di cuisono depositari, e che li avvolge e li colma, si smembra o siatrofizza. (Il dovere uccide la vita, e ogni concetto esprime undovere delloggetto: sicch il pensiero non pu mai pervenire auna effettiva defin/ione della vita, e forse questa la ragioneper cui la filosofia dellarte tanto pi adeguata alla tragediache allepica.) Il dovere uccide la vita, e un eroe dellepopea,costruito in base al dover-essere, sar sempre e soltanto lombradi un uomo che vive nella realt storica; ne sar lombra, mailarchetipo, e il mondo consegnatogli in termini di esperienzaimmediata e davventura non sar che un abbozzo rarefattodelleffettualit, mai il suo nocciolo e la sua essenza. Lastilizzazione utopica dellepica pu solo fabbricare distanze, maqueste distanze rimangono quelle tra empiria ed empiria, e lalontananza, col suo dolore e la sua altezza, ha il solo effetto divolgerne il tono in senso retorico; certo, essa pu attingere ifrutti pi belli di una lirica elegiaca, ma nella mera disposizionedelle distanze non si potr mai svegliare a vita attiva uncontenuto capace di oltrepassare lessere e farsi autocraticarealt. Che questa distanza accenni a muovere avanti ovvero

    indietro, che indichi lalto o il basso rispetto alla vita, in ognicaso non si tratta affatto della creazione di una nuova realt, masolo di un riflesso soggettivo di ci che gi esistente. Gli eroidi Virgilio conducono una fredda e pacata esistenza dombre,nutrita col sangue di un nobile fervore che ha sacrificato sestesso in nome di ci che dileguato per sempre. Del pari, lamonumentalit di Zola solo un monotono commuoversi difronte alla variegata ma dominabile ramificazione di un sistemadi categorie sociologiche, il quale presume di comprenderesenza residui la vita del suo presente.

    C una grande epica, ma il dramma non ha mai bisogno di questo

    attributo e deve affidarsi costantemente a se stesso. Il cosmo del dramma,infatti, di per s colmo di sostanza e da questa reso pregnante, non conoscealcun contrasto tra lintero e il dettaglio, alcuna contrapposizione traloccasione e il sintomo: per il dramma lesistenza fa tuttuno con la realtdel cosmo, esistere significa per esso cogliere lessenza, possederne latotalit. Ma col concetto di vita, tuttavia, non posta in pari tempo lanecessit della sua totalit; alla vita, infatti, pertiene tanto la relativaindipendenza, propria a ciascun vivente in s compiuto, rispetto ai vincoliche lo allontanano da questa condizione, come pure la relativa inevitabilit eindispensabilit di siffatti vincoli. Per cui si possono dare forme epiche, il cuioggetto non la totalit della vita, bens un dettaglio, una frazione vivadesistenza. Ma questo significa che per lepica il concetto di totalit nonnasce dalla virt generatrice delle forme, ossia non , come nel dramma, unconcetto trascendentale, ma un concetto di tipo empirico-metafisico, il

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    quale riunisce in s, senza soluzione di continuit, trascendenza eimmanenza. La cosa si spiega col fatto che a differenza del dramma, dove lasoggettivit figuratrice solo vista nella prospettiva dellopera unconcetto limite, una specie di generica coscienza, nellepica soggetto eoggetto non coincidono ed anzi convivono nellopera chiaramente e

    nettamente distinti; e poich da un oggetto empiricamente conformatosegue un soggetto figuratore di tipo empirico, questultimo non potr maiassurgere a fondamento e garanzia della totalit del mondo manifesto. Latotalit pu risultare con vera evidenza solo dalla capacit contenutisticadelloggetto: essa metasoggettiva, trascendente, una rivelazione e unagrazia. Soggetto dellepica sempre luomo empirico della vita, malarroganza creativa con la quale egli signoreggia la vita si trasforma, nellagrande epica, in umilt, in atteggiamento contemplativo, in muto stupore alcospetto di un senso che emana fulgore e che a lui, uomo semplice immersoin unesistenza comune, s reso visibile, nella vita stessa, in un modo cosinatteso e spontaneo.

    Il soggetto delle forme epiche minori si pone davanti al suo oggetto conpi spiccato spirito sovrano e autocratico. Ora e qui non pu prodursi, enon deve, neppure per accenni, un sistema delle forme epiche che ilnarratore osservi col freddo e superiore sti le del cronista l operastupefacente del caso, la quale, sconvolgendo le sorti degli uomini, appareloro insensata e distruttrice, mentre a noi lettori procura quel diletto chenasce dalla visione degli abissi; o che commosso elegga a unica realt unpiccolo angolo di mondo fiorente, ordinato giardino accerchiato dai caoticie sconfinati deserti della vita; o che infine, emozionato e rassegnato, lascirapprendere lirripetibile e profonda vicenda umana entro un destinosaldamente strutturato e oggettivato; ebbene, malgrado tutto ci sarsempre la sua soggettivit a staccare una parte dalla smisurata intimitdellaccadere universale e a conferirle una vita autonoma, onde lintero, dacui quella vita fu dedotta, rifulge interiormente solo quale sensazione e

    pensiero delledramatis person,

    come un telaio che continui a filareautomaticamente trame causali lacerate, come il riflesso, nel chiuso mondodellopera, di una realt a s stante. La pregnanza di queste forme epiche con ci di tipo soggettivo: il poeta ha trasposto una porzione di vita in unoscenario che ne marca e ne accentua il distacco dalla totalit della vita; delpari, scelta e delimitazione recano nellopera stessa il marchio che attesta laloro origine dalla volont e dal sapere del soggetto e la natura di questeforme pi o meno lirica. La relativa autosufficienza e capacit connettivache caratterizza gli esseri viventi e le loro altrettanto vive in sorganicamente costrutte combinazioni pu venir revocata, cio elevata aforma, qualora una posizione cosciente da parte del soggetto creatoredellopera metta in evidenza un senso, la cui linea immanente irraggiproprio dallesistenza isolata di questa porzione di vita. Figura e limite sono

    imposti dallatto formatore del soggetto: questa sovranit, che si esercitaattraverso il puno controllo sulla creazione delloggetto, la lirica peculiarealle forme epiche prive di totalit. Questa lirica rappresenta qui lultimaunit epica; essa non la volutt di un io che si isolato per porre se stessoal centro di una contemplazione libera da qualsiasi altro oggetto, n losciogliersi delloggetto nel flusso delle sensazioni e degli umori; questalirica, nata dalla norma e creatrice di forme, alla base dellesistenza diogni figurazione. Pure, assieme allimportanza e al peso di quel ritaglio divita, dovr crescere di pari passo limmediata, scrosciante energia di questalirica; lequilibrio dellopera dipende dallaccordo che si instaura tra ilsoggetto che compone e loggetto da lui esternato e con ci stessoinnalzato. Nella novella questa forma disolata singolarit e problematicitdella vita lelemento lirico deve restare rigorosamente celato dietro le

    linee severe di avvenimenti rilevati a colpi di scalpello: qui la lirica ancora

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    frutto di una scelta pura: larbitrio stridente di un caso insieme benefico emicidiale, che sprofonda senza fine e senza motivo nellabisso, pu esserebilanciato solo da una sua comprensione chiara e senza commenti,puramente oggettiva. Tra le forme darte varia, la novella la pi schietta: ilsenso ultimo dogni plasmare artistico vi si esprime come stato danimo,

    come senso sostanziale dellatto figurativo, ma proprio per questo, tuttavia,tali modi risultano astratti. Nellosservare linsensatezza nella sua nuditsenza attenuanti, i l potere avvincente di questo sguardo impavido edisperato le conferisce il crisma della forma: linsensatezza, proprio cometale, diventa figura: confermata, revocata e redenta dalla forma, diventataeterna. Cos, tra la novella e le forme epico-liriche non v che un salto.Appena la forma ha elevato alcunch fino al senso anche sotto il rispetto delcontenuto, esso diventato con ci significativo, sia pure in un sensorelativo; a questo punto, il soggetto, fattosi muto, deve lottare per le suestesse parole, le quali gettano un ponte tra il senso relativodellavvenimento figurato e lassoluto. Nellidillio questa lirica si fondeancora quasi completamente con i contorni degli uomini e delle cose; ma proprio lidillio a conferire a questi contorni la delicatezza e la levit dunaquieta segregazione, il beato distacco dalle tempeste che infurianoallesterno. Solo quando lidillio trascende a epopea, come nei grandi idillidi Goethe e di Hebbel, quando la vita intera, con tutti i suoi pericoli,bench smorzati e domati da remote lontananze, a prender parte attiva inseno allaccadere stesso, solo allora dovr risuonare la voce del poeta e lasua mano frapporre salvifiche distanze: non per questo, per, la vittoriosafelicit dei suoi eroi SJ volge nellindegno appagamento di quanti rifuggonocon vilt lestrema, pressante vicinanza di una miseria non gi dominata masemplicemente evitata; n pericoli e palpiti, dietro i quali opera la totalitdella vita, divengono smorti schemi, in cui lesultanza della salvezza eridotta a una farsa meschina. E questa lirica cresce e sgorga in limpida efluente espressione universale l dove laccadimento nella sua oggettivit

    epicamente obiettivata detentore e simbolo di un sentimento infinito; doveleroe unanima e la sua azione nostalgia chante-fable chiamai una voltaquesta forma, parlando di Ch.-L. Philippe;1 dove loggetto, ossialevento figurato, rimane e deve rimanere un che di sporadico,ma dove nellatto immediatamente vissuto, che accoglie eirraggia levento stesso, deposto il senso ultimo della vitaintera, la forza poetica latrice di senso e soggiogatrice di vita.Ma anche questa forza una forza lirica: la personalit stessadel poeta, la quale fa risuonare padroneggiando gliavvenimenti alla stregua di strumenti la propria spiegazione,consapevole e autoritaria, del senso del mondo, e tuttavia senza

    carpire agli eventi, che ne sono i custodi, il senso della parolasegreta; oggetto del figurare non la totalit della vita, ma ilmodo in cui il poeta, che calca il palcoscenico della figurazionenella sua grandezza di soggetto empirico come pure nei limitistretti della sua condizione creaturale , si pone di fronte aquesta totalit, vale a dire apprezzandola o rigettandola.

    Daltra parte, anche se il soggetto ha annullato loggetto,diventando per ci stesso signore incontrastato dellessere, nonper questo esso in grado di organizzare, a partire da s, la

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    G. Lukcs, Lanima e le forme, trad. it. di S. Bologna, SE, Milano 1991, p.162. [N.d.T.]

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    totalit della vita, la cui natura, conformemente al suo concetto, estensiva: e per quanto alto il soggetto si libri sopra i suoioggetti, ci che acquisir in tal guisa come possesso sovranosaranno sempre e comunque singoli oggetti, e da una tale

    somma non risulter mai una effettiva totalit. Ma anche questosoggetto umoristicamente elevato rimane un soggetto empirico,e la sua dinamica figurativa si risolve in una presa di posizionenei confronti di oggetti, che nondimeno gli sono essenzialmenteomogenei; similmente, il cerchio che egli traccia attorno a ciche, al modo di un mondo, ha selezionato e perfezionato, indicasoltanto i confini del soggetto, e non gi quelli di un cosmo chein qualche maniera si mostri in s completo. Lumorista haunanima assetata di una sostanzialit pi genuina di quella chepotrebbe offrirgli la vita; pertanto egli manda in frantumi formee limiti della fragile totalit vitale, onde attingere allunica verafonte della vita lio puro, dominatore del mondo. Ma nel crollodel mondo delloggetto, anche il soggetto divenuto frammento;a persistere il solo io, per quanto anche la sua esistenza sidisfi nellinsonstanziale autogenerazione di un mondo dimacerie. Questa soggettivit vuol figurarsi ogni cosa, ma,appunto per questo, pu riflettere solo il dettaglio.

    Ecco il paradosso della soggettivit della grande epica, il suoperdere per vincere: ogni soggettivit creatrice diventa lirica,e solo in quanto si dispone alla mera accettazione e umilmentesi trasforma in un puro organo atto ad accogliere il mondo, solo

    a questa condizione essa partecipa della grazia: della rivelazionedellintero. E il balzo dalla Vita nuova alla Divina Commedia, dalWerther al Wilhelm Meister; il salto spiccato da Cervantesallorch, meravigliando se stesso, diede voce allumorismouniversale del Don Chisciotte, mentre le voci magnificamentesonore di Sterne e Jean Paul non offrono che riflessi soggettivi diun segmento di mondo affatto soggettivo, dunque limitato,ristretto e arbitrario. Questo non un giudizio di valore, ma unapriori inteso a determinare un genere: considerata nella suainterezza, la vita non presenta in s alcun centro trascendentalee non tollera che una sua cellula possa vantare un dominio su di

    lei. Solo quel soggetto che, ben separato dalla vita e dallempiriada cui questa necessariamente affetta, troneggi sul verticepuro dellessenzialit quale depositario della sintesi trascendentile, solo quel soggetto sapr celare e custodire entro la suastruttura tutte le condizioni della totalit, tramutando cos i suoiconfini nei confini del mondo. Ma un tale soggetto non ha dirittodi cittadinanza in seno allepica: epica vita, immanenza,empiria, e il Paradiso di Dante pi affine allessenza della vitache non la i imboccante pienezza di Shakespeare.

    La forza sintetica propria alla sfera dellessenza prende corpo nellatotalit costruttiva del problema drammatico: c un elemento necessario

    che scaturisce dal problema stesso e che acquista esistenza, sia esso anima

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    o avvenimento, dai suoi rapporti col centro; la dialettica immanente aquesta unit conferisce ad ogni singola apparenza a seconda della suadistanza dal centro e della sua importanza rispetto al problema lessereche le spetta. Non possibile esprimere qui questo problema, perch in esso lidea concreta dellintero, e perch solo la consonanza di tutte le voci

    rapace di esaltare la ricchezza di contenuti che vi si cela. Ma sul piano dellavita, il problema unastrazione; nel nesso tra una figura e un problema,tutta la ricchezza vitale che caratterizza la prima destinata a perdersi, ecos ogni evento della sfera della vita deve atteggiarsi, in rapporto alproblema, in modo allegorico. Nelle Affinit elettive, che Hebbel a ragionedefiniva drammatiche, la superiore arte di Goethe ha un bellaccordare esoppesare ogni cosa in rapporto al problema centrale: n le animeconvogliate fin dapprincipio lungo gli stretti canali del problema godono diunesistenza reale, n lazione, perfettamente ritagliata sul problema,giunge a coronamento nellintero; sicch, per riempire i graziosi mainsufficienti ricettacoli di questo piccolo mondo, il poeta obbligato aintrodurvi elementi estranei, e quandanche i risultati fossero ovunque tantofelici, quanto quelli raggiunti in singoli momenti della parte pi esterna delritmo dellarrangiamento, ci nondimeno non potrebbe sortirne alcunatotalit. E la concentrazione drammatica del Nibelungenlied un felice erroreche Hebbel ha commesso pro domo sua: lo sforzo disperato di un grande poetavolto a salvare, in un mondo mutato, la franante unit epica di una materiarealmente epica. La figura sovrumana di Brunilde gi scaduta a unmiscuglio di donna e valchiria e Gunther, fiacco pretendente, perde vigore inun ruolo incerto e problematico; del pari, nella figura del cavaliere Sigfrido,luccisore di draghi, sopravvivono solo isolati motivi favolistici. La salvezza risolta qui in termini di fedelt e vendetta, il problema di Hagen e Crimilde.Ma si tratta di un tentativo disperato, condotto coi mezzi di unarte dimestiere: il tentativo di fabbricare con gli strumenti della composizione,della costruzione e dellorganizzazione ununit che ha perduto per sempre

    il suo carattere organico. Tentativo disperato, eroico naufragio. Infatti, possibile apprestare ununit, mai per una reale interezza. NellazionedellIliade senza inizio e senza fine un cosmo conchiuso fiorisce a vitaonnicomprensiva; dietro una facciata artificialmente membrata, lunit delNibelungenlied , frutto di manifesta composizione, nasconde vita e putrescenza,castelli e rovine.

    CAPITOLO TERZO

    Epopea e romanzo, le due obiettivazioni della grande epica, sidistinguono non per lorientamento che ispira latto figurativo,ma per il modo in cui la filosofia della storia connota i dati invista della figurazione. Il romanzo lepopea di unepoca in cuila totalit estensiva della vita cessa di offrirsi alla percezionesensibile e la viva immanenza del senso diventa problematica;unepoca in cui, tuttavia, persiste la disposizione emotiva allatotalit. Sarebbe superficiale e artificioso cercare i soli

    contrassegni decisivi di un genere nel verso e nella prosa. Tanto

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    per lepica come per la tragedia, il verso non lelementocostitutivo fondamentale, ma piuttosto un sintomo profondo, unacido che ne incide lintima essenza per manifestarla nel modopi appropriato e pi autentico. Il verso tragico aspro e severo,

    isolante e distanziarne. Esso avvolge gli eroi di tutta la profondasolitudine che giunge loro dalla forma, impedendo linsorgere dialtre situazioni che non siano quelle della lotta e delladistruzione; nella sua lirica pu risuonare la disperazione elebrezza che accompagnano leroe dallinizio alla fine del suocammino, pu scintillare lincommensurabilit dellabisso sulquale oscilla lessenza, ma giammai bench la prosa, talvolta,lammetta potr imporsi unintesa puramente umana e psichicatra le figure, n la disperazione si far mai elegia e lebrezzanostalgia delle proprie altitudini; l anima non potr maimisurare, cedendo a psicologica vanit, il proprio abisso, nammirarsi compiaciuta sullo specchio della sua profondit. Ilverso drammatico cos, allincirca, ne scrisse Schiller a Goethe smaschera tutte le trivialit dellinvenzione tragica, essopossiede un rigore e un peso specifici, in virt dei quali niente diquanto assomigli alla vita il che un altro modo di esprimerelelemento drammaticamente triviale pu sussistere: alla provadi forza offerta dalla lingua e dal contenuto, la disposizionetriviale dovr accusare il colpo e cedere il passo. Anche il versoepico spalanca distanze, ma nella sfera vitale le distanzesignificano beatitudine e levit, rilassano i vincoli che

    indegnamente avvinghiano uomini e cose, sollevano quellacupezza oppressiva che aderisce alla vita presa in s e per s, eche solo in taluni momenti felici si dirada, quegli stessi momentiche grazie alleffetto distanziante del verso epico dovrannodisporsi sullo stesso piano della vita. Qui, dunque, lefficacia delverso risulta invertita, proprio perch le sue conseguenzeimmediate estirpazione della trivialit e approssimazioneallessenza autentica sono identiche. Il triviale, infatti, pertienealla sfera della vita, allepica: la pesantezza per questultimaci che la levit era per la tragedia. La garanzia oggettiva che ilpieno distacco dallelemento vitale non si traduce in nessun caso

    in vuota astrazione dalla vita, bens in acquisto desistenza daparte dellessenza, data dal fatto che queste eteree figurazioniassumono e conservano una consistenza: una volta che il loroessere sia divenuto, di l da ogni confronto con la vita, picolmo, pi pregnante e pi importante dogni concepibilenostalgia di pienezza, appare allora tangibilmente evidente chela stilizzazione tragica giunta ad effetto; in tal modo ognilevit o scoloritura, quando ovviamente non sia connessa alconcetto di un meccanismo senza vita, dimostra che unadisposizione normativamente tragica non cera: in ogni finezza

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    psicologica e in ogni lirica levigatura delle singole invenzioni sirivela la trivialit dellopera.

    Ma per la vita pesantezza significa: latenza del senso,irretimento indissolubile entro insensati concatenamenti causali,

    stato di atrofia che deriva da una prossimit alla vita e da unadistanza dal cielo altrettanto sterili, necessit di perseverarenella mera, brutale materialit senza potersi sottrarre alle suecatene e rinunciando pertanto a tutto ci che, per le forzemigliori immanenti alla vita, rappresenta la meta costante diogni sforzo teso allaffrancamento; tutto questo, valutando inbase alla forma, non che trivialit. Il sussistere beato dellatotalit della vita sospeso allarmonia pi osi abilita del versoepico: il processo prepoetico, in base al quale tutta la vita trasformata in senso mitico, ha gi purificato lessere di ognitriviale pesantezza, e nei versi di Omero si schiudono le gemmedestinate a fiorire in questa primavera. Ma il verso puimprimere solo una lieve spinta alla fioritura, pu cingere dellacorona della libert solo quanto s sciolto da tutti i vincoli. Ora,se latto del poeta consiste nel riesumare il senso sepolto, se isuoi eroi devono anzitutto forzare le loro segrete e conquistare aprezzo di dure lotte o difficili peregrinazioni la patriaimmaginaria di unagognata libert dal gravame terrestre, allorala potenza del verso coprendo labisso con un tappeto di fiori non sar sufficiente a trasformare questo intervallo in unsentiero praticabile. Perch la levit della grande epica solo

    lutopia del momento storico nella sua concreta immanenza, elestasi plasmatrice che il verso conferisce ai suoi elementicostitutivi dovr strappare allepica tutto il suo potenzialeasoggettivo e totalizzante: deve mutarla in idillio o in giocolirico. Solo eliminando i ceppi che la trascinano verso il basso, lalevit della grande epica diventa valore e potenza creatrice direalt. La schiavit obliata nei bei giochi di una fantasiadivenuta libera o in quelle fughe rassegnate verso isole beate,non rilevabili sulla carta del mondo oppresso dalla trivialit, nonporter mai alla grande epica. In tempi ai quali non sia piconcessa tale levit, il verso bandito dalla grande epica,

    ovvero diventa improvvisamente e involontariamente lirico. Cos,solo alla prosa dato abbracciare, con pari vigore, il lauro e ildolore, la lotta e lincoronazione, il cammino e la consacrazione;solo la sciolta flessibilit e la compattezza aritmica della prosariesce a stringere insieme, con pari forza, le catene e la libert,la pesantezza ereditata e la conquistata levit di un mondo, ilcui senso ritrovato sirraggia adesso nellimmanenza. Non uncaso se la levit dolorosa della grande epica scaturita dalladissoluzione di una realt che nella prosa di Cervantes si sciogliein canto, laddove la danza serena del verso ariostesco rimanevaun gioco, una lirica; e non un caso se lepico Goethe ha fuso i

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    suoi idilli in versi, scegliendo invece la prosa del Meister peresprimere la totalit. Se nel mondo della distanza ogni versoepico diventa lirico i versi del Don Giovanni e dellOnegin siassociano qui a quelli dei grandi umoristi perch il verso ha

    la capacit di rendere manifesto quanto celato, e la distanzache il passo misurato della prosa copre artificiosamente,approssimandosi gradualmente al senso, si mostra ora nella suadileggiata e calpestata nudit, o come un sogno dimenticatonella rapida fuga dei versi.

    Anche i versi di Dante, pur essendo pi lirici di quelli di Omero,tuttavia non sono lirici: essi condensano lepopea unificandola altono della ballata. Nel mondo di Dante limmanenza del sensodella vita , s, presente e puntuale, ma nellaldil: la perfettaimmanenza del trascendente. Nel mondo della vita ordinaria ladistanza elev