Teologia della morale cristiana, recensione a un manuale ...

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Teologia della mor cristiana, recensione a un manuale di Paolo Carlotti. di Gianni Cioli • Il manuale di Carlotti, Teologia della morale cristiana (EDB, Bologna 2016), è un’opera che rende ragione della complessità della materia che affronta e che può risultare uno strumento efficace per consentire allo studente, con la mediazione di un docente, di individuare alcuni dei possibili percors interpretativi di questa complessità. Il primo capitolo del libro – con una scelta significativa operata per altro da altri manuali di teologia morale fondamentale recenti, come quello del 2013 di Cataldo Zuccaro – è dedicato alle tematiche della “Epistemologia e metodologia in teologia morale”, e mette bene in evidenza come la teologia morale si autocomprenda quale scienza interpretativa pratica che ha per oggetto, formale e materiale, la rivelazione cristiana e che si occupa dell’agire del credente in quanto partecipe di questa rivelazione. Si tratta di un capitolo denso e ricco, nel quale emergono, tra le altre, le questioni della necessa interdisciplinarietà, dei diversi possibili approcci filosofici, del rapporto col diritto, nonché dei diversi criteri di verità che possono essere presenti nella definizione dello statuto concettuale di verità morale: ad esempio, il criterio della coerenza sistemica, o del consenso, piuttosto che della corrispondenza dell’intelletto con l’oggetto.

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Teologia della moralecristiana, recensione a unmanuale di Paolo Carlotti.

di Gianni Cioli • Il manuale di Carlotti,Teologia della morale cristiana (EDB,Bologna 2016), è un’opera che rende ragionedella complessità della materia cheaffronta e che può risultare uno strumentoefficace per consentire allo studente, conla mediazione di un docente, di individuarealcuni dei possibili percorsiinterpretativi di questa complessità.

Il primo capitolo del libro – con una scelta significativaoperata per altro da altri manuali di teologia moralefondamentale recenti, come quello del 2013 di Cataldo Zuccaro– è dedicato alle tematiche della “Epistemologia e metodologiain teologia morale”, e mette bene in evidenza come la teologiamorale si autocomprenda quale scienza interpretativa praticache ha per oggetto, formale e materiale, la rivelazionecristiana e che si occupa dell’agire del credente in quantopartecipe di questa rivelazione.

Si tratta di un capitolo denso e ricco, nel quale emergono,tra le altre, le questioni della necessariainterdisciplinarietà, dei diversi possibili approccifilosofici, del rapporto col diritto, nonché dei diversicriteri di verità che possono essere presenti nelladefinizione dello statuto concettuale di verità morale: adesempio, il criterio della coerenza sistemica, o del consenso,piuttosto che della corrispondenza dell’intelletto conl’oggetto.

Precisata la prospettiva scientifica della teologia moralecome una scienza interpretativa pratica che muove dallarivelazione cristiana e che si occupa dell’agire umano inquanto partecipe di questa rivelazione, Carlotti sviluppa unasezione per così dire esperienziale e descrittiva del dato,sia antropologico che teologico, che costituisce la premessadi tutta la trattazione.

Il percorso descrittivo si articola nei capitoli secondo,terzo e quarto. Nel secondo, viene considerato in particolareil dato antropologico attraverso “La descrizione psicologicadell’esperienza morale” nel quale si mettono a confrontoalcuni modelli interpretavi della psicologia morale, a partireda quello cognitivista e costruttivista di Lawrence Kohlberg.Questa analisi è presumibilmente debitrice anche degli anni distudio alla Gregoriana che Carlotti ha condiviso con me –erano gli anni ’80 – quando vi insegnava, fra gli altri, padreBartolomew Kiely, sagace fautore del dialogo interdisciplinarefra psicologia e teologia morale.

Il terzo capitolo si concentra invece sul dato teologico apartire dalla rivelazione, attraverso la presentazione de “Ilmessaggio morale della Bibbia”. Qui colpisce la vastità delladocumentazione riportata, come pure la lucidità con cuivengono affrontate le problematiche ermeneutiche relative aigeneri letterari.

Nel quarto capitolo il percorso descrittivo si sviluppa nellaconsiderazione de “La vicenda storica della teologia morale”articolandosi in due sezioni: la prima è una presentazionemolto sintetica ma efficace della teologia morale fino alVaticano II; la seconda è piuttosto un’esegesi analitica delle

indicazioni conciliari presenti nel famoso testo di OT 16, cuivengono premesse considerazioni opportune sui criteriinterpretativi e sugli aspetti della recezione del concilio.Nella conclusione, si dedica un paragrafo alla dimensionepastorale della teologia morale in linea con gli intenticonciliari. Un particolare rilievo meritano le sottolineaturedate da Carlotti alla centralità della questione pedagogica eformativa e alla dimensione pastorale dell’insegnamento moraledi Papa Francesco: «È giunto il tempo, e sembra proprioquesto, il nostro tempo, – scrive Carlotti a proposito delcarisma di papa Francesco – in cui si tratta di aprire undialogo più intenso con l’esistenza concreta dei singoli, deipopoli e delle culture per incarnare la salvezza di Cristo neidilemmi reali dell’uomo e del cristiano e mostrare nuovamentela capacità di risposta di quella a questi» (p. 130).

A partire dal capitolo quinto, si sviluppa quella che possiamodefinire la sezione interpretativa del manuale. Questosviluppo interpretativo, che segue e completa quellodescrittivo dei primi quattro capitoli, va articolato, secondol’autore, a sua volta in due momenti: un momento speculativocui segue un momento pratico.

Il momento speculativo dello sviluppo interpretativo vieneaffrontato nel capitolo quinto che si intitola di “Elementi diantropologia”, dove vengono enucleati, appunto, una serie dielementi ritenuti costitutivi della persona umana, indicando,a mo’ di premessa, la categoria della storicità comecostitutivo antropologico chiave. La scelta di incentrare laproposta antropologica attorno alla categoria della storicitàmi è parsa particolarmente felice, e vi ho ravvisato ancorauna volta la possibile influenza di un altro comune maestrodella Gregoriana, Klaus Demmer, qui del resto espressamentecitato insieme ad altri autori.

Con il capitolo sesto Carlotti ci introduce nel momentopratico dello sviluppo interpretativo del suo manuale. Ilcapitolo si intitola “Lettura cristologica dell’antropologia

morale”. «In Cristo – sottolinea l’autore – Dio e l’uomo sonopienamente rivelati: Dio all’uomo e quindi l’uomo a sestesso». Il testo chiave di riferimento è evidentemente GS 22.«In questa rivelazione – afferma ancora Carlotti – per l’uomosi dischiudono sia l’ultima definitività del suo significato esia la reale abilitazione cristiana del suo agire. Qui èposta, in un unico e stesso movimento, l’inevitabilità delraccordo cristologico e il conseguente ritrovarsi dellateologia antropologica e della teologia morale» (p. 151).Vengono dunque esposti prima di tutto alcuni spunti dicristologia sistematica che servano da base per lo sviluppodel discorso sulla rilevanza cristologica della moralecristiana, ripercorrendo fra l’altro il noto dibattito fraetica della fede ed etica autonoma, soffermandosi poi sullaquestione dello specifico della morale cristiana, per giungereinfine a considerare la fondamentale tematica del rapporto framagistero ecclesiale e morale cristiana, mettendoparticolarmente in evidenza l’ecclesialità della moralecristiana.

Nel settimo capitolo, intitolato “L’interpretazione dellamoralità”, Carlotti intende appunto offrire un’interpretazionedella moralità nella sua oggettività a partire da unapresentazione e valutazione ordinata delle diverse lineeinterpretative che emergono attualmente nell’ambito dellamorale.

L’autore delinea tre approcci interpretativi di base dellamoralità, che non escludono tuttavia l’esistenza di paradigmimediani. Gli approcci interpretativi fondamentali possonoessere individuati a partire dal punto di osservazione delfenomeno etico, esterno o interno al soggetto agente. Così sipossono distinguere etiche di “terza persona”, caratterizzateda un punto di vista esterno al soggetto (è il caso dellateoria consequenzialità dell’agire); etiche di “secondapersona”, incentrate sulla dimensione relazionale dellapersona (come il personalismo di Levinas, ma anche l’etica

della situazione); e, infine, etiche di “prima persona”,caratterizzate dal punto di vista interno all’agente stesso.Fra quest’ultime, Carlotti considera l’etica trascendentale diderivazione kantina, con particolare attenzioneall’impostazione di Demmer e alla proposta di un’eticaesistenziale formale di Karl Rahner; l’approcciofenomenologico alla morale, con una particolare attenzionealla proposta di Giuseppe Angelini; e, infine, l’approccioetico che comprende la persona come soggetto moraleintenzionale, approccio tipico – secondo Carlotti – delpensiero scolastico in genere, e in modo particolare diTommaso d’Aquino, e secondo lui il più adeguato perinterpretare il significato della morale cristiana.

Nel corso del capitolo Carlotti assume e valorizza alcunefondamentali istanze della Veritatis splendor, e illustra conefficacia didattica e valuta con equilibrio tematichecontroverse della morale tradizionale, come la questionedell’intrisece malum in relazione alla tradizionaleconsiderazione delle fonti della moralità.

Nel capitolo ottavo l’accento è posto sulla soggettività delprocesso decisionale nell’esperienza morale, mettendo inevidenza come l’etica di prima persona (e in essa quellaintenzionale) risulta compatibile con due moduliinterpretativi, differenti ma complementari, quello dellavirtù (preferito da Carlotti) e quello della norma. Entrambi imoduli si posso articolare, con accentuazioni diverse, nelletematiche chiave delle virtù teologali e cardinali, dellalegge morale naturale, dell’opzione fondamentale e dellacoscienza morale. L’autore non ha timore di affrontare in mododiffuso e articolato queste tematiche, che sono ampiamentepresenti e dibattute nelle trattazioni teologiche e neipronunciamenti magisteriali recenti. Ho apprezzatoparticolarmente le pagine dedicate alle virtù, un vero eproprio piccolo trattato. Del resto l’autore aveva dedicatorecentemente al tema una breve monografia: La virtù e la sua

etica (2013).

L’ultimo capitolo, il nono, prende in considerazione il temade “La negatività morale”, ovvero del male morale, e la suaspecifica dimensione teologica, cioè il peccato, perconcludere in positivo con uno sguardo al tema dellaconversione.

Come si è detto all’inizio e come si sarà potuto constatare,il manuale di Carlotti è un’opera che rende ragione dellacomplessità della materia che affronta. La densità dellinguaggio che caratterizza lo stile di Carlotti, soprattuttoin questa sua ultima fatica, risulta a mio avviso unindicatore onesto della densità di un percorso che non può,oggi men che mai, permettersi scorciatoie semplificanti madeve accogliere la sfida della fatica del concetto.

A mio avviso già il titolo caratterizzato da un inconsuetogenitivo: “Teologia della morale cristiana”, anziché “Teologiamorale cristiana” o piuttosto “Teologia morale fondamentale”,è indicativo della volontà di offrire una riflessione sullariflessione, illustrando oggettivamente e criticamente, percosì dire, lo stato dell’arte del cantiere “teologia morale”alle prese con le nuove e antiche sfide.

L’Ambrogio Autperto diMassimo Bini

di Carlo Nardi • Massimo Bini, pretefiesolano, curò per la collana Bibliotecapatristica delle Dehoniane di Bologna unaedizione critica di due sermoni mariani adopera di Ambrogio Autperto (+784), abatedel monastero di San Vincenzo al Voltumonella prima età carolingia. Dei sermoniuno è Sulla purificazione e l’altroSull’assunzione della Vergine.L’introduzione, ben strutturata edocumentata, è sobria per quanto attieneai tempi, all’ambiente, alle idee. Bini

con finezza interpretativa offre una ricognizione dellaspiritualità e in specie della vasta teologia mariana. Egliricostruisce la tormentata vicenda umana, ecclesiastica epolitica di Autperto per soffermarsi sulla produzionemaggiore, il Commento all’Apocalisse, ed una minore con itesti morali, agiografici e omiletici, tra i quali appunto idue Sermoni mariani.

Con rilevante dottrina storica e letteraria il curatore simette sulle tracce di un percorso mariologico che dalle fontibibliche e patristiche, specialmente latine, si addentra nelcuore del medioevo. Proprio per effetto della meditazione diAutperto, dottrina e culto attinente alla Vergine Mariaconoscono svolte che percorreranno ampiamente il secondomillennio. Al contempo l’autore non dimentica la semplicità acui attinge per una rielaborazione. Tra gli ulteriori sviluppirispetto alla tradizione patristica si ravvisa in Autperto laconcezione della Madonna come “modello (typus) della Chiesasopra la Chiesa” nell’offrire il bambin Gesù al tempio invista della sua offerta sulla croce. Ne derivanol’intercessione universale ed efficace di Maria avvocata contratti di filiale confidenza nella contemplazione, nella lodee nella supplica. Don Massimo si sofferma su titoli marianiinaugurati da Autperto, titoli che ben esprimono la mariologiaè costituiscono un ‘germoglio’ di litanie, destinato a fiorire

nel medioevo di san Bernardo e fino alla devozione modema.

A Bini dobbiamo pertanto un testo critico che, oltre a quelloofferto dal Corpus Christianorum, è frutto della collazionedei codici dell’uno e l’altro sermone. Pertanto il testo dalui restituito offre molteplici apporti. Ancora. L’Autpertomariano che abbiamo tra le mani è dotato di riferimenti aiPadri della Chiesa, che contribuiscono a decodificare ilmolteplice e accattivante mondo immaginifico relativo aCristo, a Maria, alla Chiesa e ad ogni cristiano. L’anticomonaco, interprete attento e dotto, ci inoltra in un mondopregnante di risvolti teologici – penso alla curiosa immagineCristo noce -, e prepara una fiorente fortuna di motivimariani nei secoli successivi.

L’opera di don Bini, sotto l’auspicio dell’abate Autperto,offre pertanto al lettore studi rigorosi, di gustosemeditazioni e semplicemente di preghiere. Con la lettura dellibro saremo grati a don Massimo per averci piamenteilluminati e piamente incuriositi.

E per saper la storia? Si legga La Purificazione di Maria.Traduzione e commento, Istituto superiore di Scienze religioseBeato Ippolito Galantini. Classici 4 (Montespertoli (Firenze),Aleph Edizioni) gennaio 2008, con mia Presentazione (pp.7-10). Poi, martedì 19 febbraio 2008 nell’Aula Giuliotti dellaBiblioteca Bandiniana in Fiesole (Piazza Mino 1) fui invitatoa presentare il libro suddetto, e delle riflessioni midiventarono articoletti: Oltre le consegne dell’antico Fauno.San Valentino e dintorni, in Vivens homo 19 (2008), pp.81-111, e Candelora, purificazione, presentazione. Attorno a

un’omelia di Ambrogio Autperto, in Memoria Verbi. Saggi inonore di mons. Benito Marconcini a cura di L. Mazzinghi, B.Rossi e S. Tarocchi, in Vivens homo 21 (2010), pp. 255-265.Dopo la dissertazione dottorale in Patristica e Scienzepatristiche presso l’Augustinianum a Roma, relatore il prof.Manlio Simonetti, correlatore me medesimo, 30 gennaio 2012,nel 2015 apparvero i Sermoni mariani. Introduzione, testo,traduzione e commento, Bologna, Dehoniane (BibliotecaPatristica no 52 a cura del Centro di Studi Patristici,diretta da Carlo Nardi e Manlio Simonetti) 2015. Infinegiovedì 28 maggio nel 2015, ore 17 in Via dello Studio 1 inFirenze, nella serie delle Letture Patristiche 2014-2015 acura del Centro di Studi Patristici una conferenza: La Madredei credenti. Le omelie mariane di Ambrogio Autpertonell’edizione di Massimo Bini, con le considerazioni di ManlioSimonetti e Rocco Ronzani. È di lì a poco inviai Dai tempi diCarlo Magno l’abate Autperto ci, parla di Maria. La raccoltacurata da don Massimo Bini a Toscana Oggi – L’OsservatoreToscano, domenica 31 maggio 2015, p. 8. Intanto ManlioSimonetti scriveva: Nei sermoni mariani di Ambrogio AutpertoMagnifica donna, in L’Osservatore Romano, mercoledì 17 giugno2015.

Giovanna d’Arco a 100 annidalla canonizzazione: unadonna tra gli uomini

di Francesco Vermigli • Abbiamoun po’ di timore a parlare diGiovanna d’Arco a cento annidalla sua canonizzazione,avvenuta a Roma il 16 maggio1920, ad opera di papa BenedettoXV. Abbiamo timore, perché

scrivere di Giovanna d’Arco è un po’ come scoperchiare lastoria di Francia degli ultimi sei secoli. Ricordare la“Pulzella d’Orléans” significa infatti richiamare una vicenda– che ben presto è divenuta leggenda – fatta di speranzedisilluse e di tradimenti, di guerra e di tregue armate, dicastelli e di cattedrali, di visioni e di profezia, di patriada difendere, di popolo che si mobilita nel suo ricordo e dipartiti politici che l’hanno usata, di ideologie che se necontendono l’eredità, di cultura popolare e di arte che nehanno costruito l’immaginario. Davvero della storia diGiovanna è intrisa la memoria di un’intera nazione.

In un fermo immagine di uno dei primi film su di lei, di pocoanteriore alla sua canonizzazione, si legge qualcosa di assaiinteressante, che può essere inteso per noi come lo spunto perprovare a dire qualcosa su Giovanna. È un film muto americanodel 1916, diretto da Cecil B. DeMille e intitolato,significativamente, Joan the Woman: la cornice consiste nellastoria di un soldato inglese che tra le trincee in Franciadurante la Grande Guerra sogna la vita di Giovanna. In quelfermo immagine, vi si legge, in inglese, dopo meno di unminuto dall’inizio: «Fondato [il film] sulla vita di Giovannad’Arco, la ragazza patriota, che ha combattuto con gli uomini,è stata amata dagli uomini, è stata uccisa dagli uomini, enonostante questo ha mantenuto un cuore di donna». E perquanto la trama della vita raccontata nel film sia moltoarbitraria e a dir poco bizzarra, quelle poche parole possonodiventare per noi come la pista da percorrere per parlare diGiovanna; giovane donna della più profonda campagna francese,che prende la spada, sotto la spinta di alcune voci

misteriose, per la difesa della patria dall’esercito inglese.E fa tutto questo in un mondo di soli uomini.

Se vengono percorsi gli atti del processo che condurrà allasua condanna e al rogo il 30 maggio 1431, nella piazza delMercato Vecchio di Rouen, si rimane colpiti dall’insistenzacon cui gli interrogatori si avvolsero su una questione cheparrà marginale ai nostro occhi, ma che fu uno dei capi diimputazione più rilevanti ai fini della condanna: il fatto,cioè, che Giovanna vestisse abiti maschili, dal giorno in cuiaveva iniziato a guidare le truppe francesi sotto assedio aOrléans. In fondo, quel capo d’accusa ben rappresenta losconcerto che provocò fin dall’inizio di questa vicendal’arrivo di una donna giovanissima tra le truppe francesifedeli al Delfino di Francia, poi consacrato re a Reims, il 17luglio 1429; proprio sotto la spinta dei successi militari,indotti dalla fama che quella ragazzina aveva acquisito, tramoltissime resistenze, nell’esercito. Una donna, per di piùgiovanissima e appartenente ad una famiglia di contadini, sipone come guida e ispiratrice di un esercito e di un popolo;sotto la protezione di San Michele Arcangelo, di SantaCaterina e di Santa Margherita e a seguito della volontàdivina.

Questa è dunque la storia di una donna che vive e combatte eprega in un mondo di soli uomini: un mondo fatto di uominiincreduli e sempre assai sospettosi nei suoi confronti; di

uomini calunniatori e volgari; di uomini che hanno provato aviolentarla, o di uomini che l’hanno usata per ragioni dipotere, per poi finire con l’abbandonarla. Ma è anche unastoria di uomini che le hanno creduto dopo molti dubbi, diuomini che l’hanno seguita nelle sue follie belliche, chel’hanno soccorsa quando è rimasta ferita, che l’hanno difesain tribunale – denunciando, a rischio del carcere e dellalibertà, le scorrettezze del processo – che l’hanno confessatae assolta, che hanno avuto per lei ultimi gesti di pietà sullapira infame a Rouen. Uomini che infine l’hanno riabilitata,per volontà del papa Callisto III a venticinque anni dallamorte e in un contesto politico e militare ormai ribaltato.

Nella vicenda di Giovanna si aggrumano elementi diversissimi:l’origine umile ma dignitosa, la schiettezza della fede apertaagli influssi della spiritualità minoritica, l’indole decisa ebattagliera… eppure l’essere donna in un mondo di soli uomini,appare come l’aspetto forse più decisivo in un mondo e in unaChiesa che si chiedono ai nostri giorni che spazio abbia ladonna nella società e nella comunità dei credenti. In unamirabile catechesi proprio su Giovanna (link), Benedetto XVImostrava come vi siano stati momenti nella storia della Chiesae nella stessa storia della salvezza in cui le donne hannosvolto un ruolo decisivo e profetico: per semplificare,momenti in cui le donne hanno scelto con chiarezza il bene elo hanno additato a tutti. Come ha fatto Giovanna d’Arco tantosulle mura di Orléans sporche di sangue, quanto a Rouen;indicando a tutti anche nell’ultimo istante della sua vital’amore per Gesù, per la sua croce, per il suo Nome.

Il segreto pontificio e gliabusi su minori e personevulnerabili alla lucedell’Istruzione sulla«riservatezza delle cause»(17.12.2019)

di Francesco Romano • Il SantoPadre Francesco il 4 dicembre2019 ha stabilito di emanare il“Rescriptum ex audientia SS.MIcon cui si promulga l’Istruzionesulla riservatezza delle cause”,pubblicato il 17 dicembre 2019.

Parlando di “riservatezza” occorre precisare che a diversilivelli viene richiesto di custodire il segreto su cose di cuisi è venuti a conoscenza a diverso titolo che “se rivelate ose rivelate in tempo o in modo inopportuno, nuoccionoall’edificazione della Chiesa o sovvertono il bene pubblicooppure offendono i diritti inviolabili di privati o comunità”(cf. Communio et progressio, 121).

L’inviolabilità assoluta del segreto riguarda il sigillosacramentale a cui è tenuto il sacerdote confessore, senzaeccezione alcuna, anche a costo della sua stessa vita, pena lascomunica latae sententiae. Vi è poi il normale segretod’ufficio previsto dal can. 471, 2, oppure il segreto al qualesono tenuti i chierici per quanto sia stato loro confidato inragione del sacro ministero, ma anche chi svolge unaprofessione come medici, avvocati, magistrati ecc. In talsenso il diritto processuale canonico regola la capacità omeno di essere testimoni (cf. can. 1549) o chi può essere

esentato dal rispondere come testimone (cf. can. 1548).

Un’altra tipologia di segreto che ha motivato il recenteRescritto con le nuove norme sulla riservatezza delle cause, èil “segreto pontificio”. La materia coperta dal segretopontificio fu regolata da norme emanate con il Rescritto“Secreta continere” di Paolo VI il 4 febbraio 1974 che nelpreambolo recita: “in alcune questioni di maggior rilevanzaviene richiesto un particolare segreto, detto segretopontificio che deve essere custodito con grave obbligo”. Sitratta di uno speciale dovere di riservatezza, assunto con unaspeciale formula di giuramento, tutelata dalla legge canonicae imposta a una determinata categoria di persone come ivescovi e gli ufficiali di curia. Tra le materie coperte dalsegreto pontificio, così come è rimasto in vigore fino al 17dicembre 2019, prima della promulgazione dell’Istruzione sulla“riservatezza delle cause”, sono incluse le denunce di delitticontro la fede e i costumi, e di delitti perpetrati contro ilsacramento della penitenza. Nello specifico, sono soggette alsegreto pontificio le cause sottoposte al giudizio dellaCongregazione per la Dottrina della Fede per i delitti controla fede e i delitti più gravi commessi contro i costumiprevisti dal Motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela”del 21 maggio 2010 (il delitto contro il sesto comandamentodel Decalogo commesso da un chierico con un minore di diciottoanni e l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, afine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto iquattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo econ qualunque strumento) o nella celebrazione dei sacramenti.Il Motu proprio “Vos estis lux mundi”, senza fare riferimentoal segreto pontificio, mentre impone a chierici e consacratil’obbligo di denunciare le notizie di abusi sessuali su minoricommessi da chierici e consacrati, e uguali comportamenticommessi anche con adulti vulnerabili o con chiunque venissecostretto con abuso di autorità, violenza o minaccia, precisache la segnalazione non sarebbe stata considerata una

“violazione del segreto d’ufficio” (Art. 4 §1).Per superare i limiti impostidall’Istruzione “Secretacontinere” che regola il segretopontificio relativamente adenunce, processi e decisionigravi contro la morale,l’Istruzione sulla “riservatezza delle cause” (n. 1) modificala predetta Istruzione su due punti: A) facendo decadere ilsegreto pontifico di cui “all’Art.1 del Motu proprio “Vosestis lux mundi”(sub 1 §1a: abuso di autorità nel costringeread atti sessuali; abuso sessuale di minori o di personevulnerabili; utilizzo di materiale pornografico cherappresenti un minore; sub 1 §1b: occultamento di questecondotte in inchieste ecclesiastiche); B) “Normae degravioribus delictis” riservati al giudizio dellaCongregazione per la Dottrina della Fede, di cui al Motuproprio “Sacramentorum sanctitatis tutela”, di S. GiovanniPaolo II, del 30 aprile 2001, e successiva modifica del 21maggio 2010 di Benedetto XVI” (cf. “Rescritto ex audientia […]modifiche alle Normae de gravioribus delictis” del 17.12.2019,Art. 1: circa il reato da parte di un chierico di acquisizioneo detenzione o divulgazione, a fine di libidine, di immaginipornografiche l’età del minore è innalzata a diciotto anni).Tali condotte non sono più oggetto di segreto pontificio anchenel caso in cui venissero compiuti in concorso con altri reatiche pure siano oggetto di segreto pontificio (cf. “Rescrittoex audientia sulla riservatezza delle cause”, 17.12.2019, n.2). Il segreto pontificio nella materia di cui si trattadecade anche rispetto all’adempimento degli obblighi stabilitidalle leggi statali, compresi gli obblighi di segnalazione(cf. “Rescritto ex audientia sulla riservatezza delle cause”,17.12.2019, n. 4).L’Istruzione sulla “riservatezza delle cause”, nella suabrevità che consta di soli cinque numeri, eleminando ilsegreto pontificio su una materia complessa che vede coinvoltepersone e istituzioni nel compimento di reati gravissimi non

significa che abbia cancellato il segreto come tale.L’Istruzione richiama a due obblighi: a) “garantire lasicurezza, l’integrità e la riservatezza ai sensi dei canoni471, 2 CIC e 244 §2, 2 CCEO, al fine di tutelare la buonafama, l’immagine e la sfera privata di tutte le personecoinvolte” (n. 3); b) “Il segreto d’ufficio non ostaall’adempimento degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalleleggi statali, compresi gli eventuali obblighi disegnalazione, nonché all’esecuzione delle richieste esecutivedelle autorità giudiziarie civili” (n. 4).Il segreto d’ufficio regola il dovere di riservatezza al qualesono tenuti i vescovi, gli ufficiali di curia e quanti sonochiamati a collaborare per ragioni d’ufficio, soprattutto pertutelare il diritto alla buona fama delle persone previsto dalcan. 220, come veniva richiesto anche dal Motu proprio “Vosestis lux mundi” (Art. 2 §2).Quindi il segreto d’ufficio comporta l’obbligo dellariservatezza per quanto attiene ciò che è stato conosciuto inragione dell’ufficio svolto e che non deve essere condivisocon nessun’altro che sia estraneo alla trattazione dellacausa.

L’Istruzione sulla “riservatezza delle cause” regola altri dueambiti circa il diritto alla riservatezza. Il primo è dato daln. 4 in cui si ribadisce che il segreto d’ufficio noncostituisce ostacolo “all’adempimento degli obblighi previstidalle leggi statali per questi casi. Il secondo riguarda il n.5, relativamente alla persona che fa la segnalazione di esserestata offesa e ai testimoni non può essere imposto alcunvincolo di silenzio.

Nessun richiamo viene fatto in questa Istruzione al sigillosacramentale, proprio perché questo è evidente per ciò cheriguarda la sua integrità e intangibilità e di questo si eragià occupata anche la recente Nota della PenitenzieriaApostolica del 1° luglio 2019 sull’importanza del foro internoe l’inviolabilità del sigillo sacramentale.

In definitiva il Motu proprio “Vos estis lux mundi” avendoampliato l’ambito e le modalità della segnalazione dideterminati abusi sessuali, estendendola anche a membri degliIstituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica(Art. 3), sottolinea che una segnalazione fatta a normadell’Art. 3 non costituisce una violazione del segretod’ufficio (Art. 4), ma essendo rimasto in vigore il Rescritto“Secreta continere” circa l’obbligo di osservanza del segretopontificio, si rendeva necessaria una normativa ad hoc persuperare i limiti che da esso derivavano per quanto attienealla materia oggetto del Motu proprio “Sacramentorumsanctitatis tutela” e al Motu proprio “Vos estis lux mundi”.

Pertanto, potremmo dire che il Rescritto sulla “riservatezzadelle cause” (17.12.2019) è il punto di arrivo e dicompletamento del Motu proprio “Vos estis lux mundi”, della“Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del forointerno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale”(1.07.2019), del “Rescritto del S. Padre Francesco con cui siintroducono alcune modifiche alle Normae de gravioribusdelictis” (17.12.2019).

Per concludere è necessaria una parola di chiarezza rispetto anotizie generiche divulgate in diversi casi dalla Stampa. Nonè stato abolito il “segreto pontificio” come tale, ma è stataintrodotta una deroga all’Istruzione “Secreta continere” perquanto attiene alle materie descritte nell’Art. 1 del Motuproprio “Vos estis lux mundi” (abuso di autorità, violenza ominacce da parte di un chierico o di membri di Istituti divita consacrata o di Società di vita apostolica nelcostringere ad atti sessuali, abuso sessuale di minori o dipersone vulnerabili, occultamento di queste condotte ininchieste ecclesiastiche) che a quelle contenute nell’Art. 6del Motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” (reati diabuso sessuale con minori di diciotto anni o con soggettiincapaci; reati di acquisizione, o detenzione, o divulgazionea fine di libidine di immagini pornografiche da parte di un

chierico che abbiano per oggetto giovani al di sotto didiciotto anni). Per questi casi l’abolizione del segretopontificio non significa aver cancellato il normale segretod’ufficio, cioè l’obbligo di garantire la sicurezza,l’integrità e la riservatezza da parte di chi viene aconoscenza di notizie a motivo dell’ufficio svolto, come èstabilito dal can. 471, 2 del Codice di Diritto Canonico, chelederebbe non solo un principio morale, ma anche giuridico(cf. can. 220) “al fine di tutelare la buona fama, l’immaginee la sfera privata di tutte le persone coinvolte” (Rescrittosulla “riservatezza delle cause” n. 3). Il “segreto d’ufficio”tuttavia non osta agli obblighi stabiliti dalle leggi statalicirca questa materia (cf. “Rescritto sulla riservatezza dellecause” n. 4).

Don Giulio Facibeni, Giustotra le Nazioni e Venerabile

di Carlo Parenti • Voglio quicollegare due avvenimenti peraffrontare la tematicauniversale del bene contro ilmale:

1- il decreto firmato il 12 dicembre scorso da Papa Francescoche ha riconosciuto le virtù eroiche del fondatore dell’OperaMadonnina del Grappa, il Servo di Dio Giulio Facibeni, checosì è stato proclamato Venerabile. Il decreto è un atto delprocesso di beatificazione e il futuro riconoscimento di unmiracolo attribuito a don Facibeni potrebbe adesso consentire

di proclamarlo Beato.

2- il Giorno della Memoria, ricorrenza internazionalecelebrata il 27 gennaio di ogni anno per commemorare levittime dell’Olocausto, istituito dall’Assemblea generaledelle Nazioni Unite del 1º novembre 2005. Esso cade neglianniversari della liberazione dei sopravvissuti dal campo diconcentramento di Auschwitz. Questo del 2020 è il 75°anniversario.

Ebbene il legame tra i due eventi è giustificato dal fatto cheil Padre, come i suoi orfani appellavano don Giulio, è unGiusto tra le Nazioni per la sua opera a favore degli ebrei aFirenze durante l’olocausto. Il termine Giusti tra le nazioni(Righteous Among the nations, in ebraico: Chasidei UmotHaolam) indica i non ebrei che hanno rischiato la propria vitaper salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista, dallaShoah. Sono oltre 20.000 i Giusti nel mondo e 417 gli italianie l’elenco di questi è nel sito: storiaxxisecolo.it alla voce:deportazionegiusti.

Infatti don Facibeni nascose nella sua Opera molti ebreiricercati dai tedeschi insieme anche a patriotti, partigiani eclandestini.

Ne scrive lo stesso don Giulio [vedi: Enzo Collotti (a curadi), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI, 2 voll.(Roma: Carocci, 2007)] in una relazione sul passaggio delfronte inviata alla curia fiorentina il 19 gennaio 1945 :“dagli ultimi del 1943 fino alla liberazione [l’Opera] haricoverato e provveduto al mantenimento di dieci fanciulli,tre donne, tre giovani e due uomini ebrei”. Tra di essi visono i fratelli Cesare e Vittorio Sacerdoti, di due e cinqueanni, (accolti a Montecatini Terme) e Louis e Harry Goldman(di 18 e 16 anni) e Willy Hartmayer (di 16 anni), affidatialla cura di don Facibeni da don Leto Casini –altroindimenticabile Giusto- e della cui salvezza egli si occupa in

prima persona a Rifredi.

Ricorda Louis Goldman, in un libro da lui pubblicato negliStati Uniti [Goldman L., Friends for Life: The Story of aHolocaust Survivor and His Rescuers, 1993] e poi tradotto inItaliano [Louis Goldman, Amici per la vita ,Ed. SP44,Firenze,1983] che in primavera sarà nuovamente nelle librerie periniziativa dell’Opera Madonnina del Grappa, con prefazione didon Corso Guicciardini, successore del Padre:

«La fama delle buone azioni di Mons. Facibeni si era sparsafuori dell’orfanotrofio ed egli era stimato e rispettato intutta Firenze… Era impossibile non essere toccati dalla suaumiltà, gentilezza e salda fede nella Divina Provvidenza…Divenne una abitudine accompagnarlo nei suoi giri perl’orfanotrofio. Spesso egli mi invitava perfino nella suastanza a fare quattro chiacchiere… Il più delle voltechiacchieravamo toccando una ampia gamma di argomenti, laguerra naturalmente, sempre la guerra: sarebbe mai finita?…Parlavamo anche di argomenti più elevati: natura umana,filosofia, religione… Dalle sue finestre guardavo fuoriattraverso il cortile fino alla casetta dove vivevamo Willy edio. “Poveri ragazzi!” gli sentii sussurrare all’improvviso. Mivoltai e mi resi conto che mi guardava ma proprio allora lasua compassione lasciò il posto al sorriso: “Coraggio, sucoraggio”… La cosa più sorprendente era che il Padre, anchenella cordiale intimità dei nostri “téte a téte”, non fece maiil minimo sforzo per allontanarmi dal giudaismo e convertirmi…Mons. Facibeni, al contrario, fece tutto quello che poteva perrafforzarmi nella mia: “Mantieni la tua fede, le tuetradizioni… Anche se ora stai attraversando un difficile

periodo della tua vita non rinunciare mai alla tua fede”. Inuna occasione mi disse eccitato: “Ho qualcosa che vogliodarti”, e andò a cercarlo tra i molti libri lì nei suoiscaffali, lo trovò e me lo consegnò con ovvio piacere. Unpiccolo volume di grammatica della lingua ebraica. Fui toccatodal suo gesto, e alla vista dei caratteri familiari ne restaicommosso. Ma lui mi strinse al petto con un abbraccioaffettuoso.»

Per ulteriori notizie sull’azione di don Giulio Don Facibeninel soccorso agli Ebrei stranieri rifugiati a Firenze esull’aiuto dato a Louis e Harry Goldman e all’altrogiovinetto, Willy Hartmayer, si veda anche (Link). Inparticolare, per maggior sicurezza, Don Facibeni nascose i treragazzi in un piccolo edificio separato dall’Opera procurandoloro documenti falsi che li identificano come profughiitaliani di guerra provenienti da Nizza. I tre in realtà eranoscappati prima dalla Francia e poi dalla caserma-prigione sulLungarno Pecorari dove sono state rinchiuse le famiglie diEbrei stranieri arrestati durante la retata del 6 novembre1943, in attesa della deportazione ad Auschwitz.

In altra relazione redatta nel maggio 1945 da Eugenio Artom(rappresentante della comunità ebraica fiorentina nel periodobellico), risulta anche che “Mons. Giulio Facibeni, Parroco diRifredi” – assieme alla “Superiora del Monastero della Calza,quella del Monastero di San Ambrogio, [e] il Parroco di S.Francesco di Piazza Savonarola” – fu uno dei religiosiincaricati dai primi mesi del 1944 dal card. Elia Dalla Costadella “corresponsione materiale” di un sussidio individualemensile di L.150 corrisposto clandestinamente ad ebrei dallaDELASEM, che aiutò tanti ebrei fiorentini nascostisi incittà.[cfr il citato libro del Collotti]. DELASEM è l’acronimodi Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei, che èstata un’organizzazione di resistenza ebraica che operò inItalia tra il 1939 e il 1947 per la distribuzione di aiutieconomici agli ebrei internati o perseguitati, potendosi

avvalere anche del supporto di numerosi non ebrei.

Altri i Giusti che operarono a Firenze oltre il Padre e donLeto Casini: Il card. Elia dalla Costa, don Cipriano Ricotti,madre Maria Agnese Tribbioli, Mons. Giacomo Meneghello, GinoBartali e anche il lucchese don Arturo Paoli. Quanto alcardinale Dalla Costa così scrive lo Yad Vaschem diGerusalemme nella motivazione della nomina a Giusto: «per averofferto rifugio a oltre 110 ebrei italiani e 220 stranieri».

Come si legge nel Talmud: «Chi salva anche solo una vita,salva il mondo intero».

I Diari di De Gasperi1930-1943: la compromissionedella chiesa col fascismo ecol nazismo

di Giovanni Pallanti • La lettura deldiario di Alcide De Gasperi negli anni incui è stato in Vaticano è agghiacciante (Alcide De Gasperi Diario 1930 – 1943 acura di Maria Luisa Lucia Sergio;prefazione di Maria Romana De Gasperi Ed.Il Mulino 2018). Una lettura sconvolgenteperché in questo diario lungo tredici anniDe Gasperi annota di volta in volta gliavvenimenti più importanti e le reazioniche questi causavano in Vaticano. Il 28ottobre 1922 Mussolini arriva al potere

con la complicità del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e

l’arrendevolezza di una classe dirigente liberale inprogressivo disfacimento. Il primo governo Mussolini ebbel’appoggio anche del Partito Popolare Italiano di Don LuigiSturzo di cui De Gasperi era deputato. Dopo una brevecollaborazione il Congresso di Torino del PPI del 1923constatò la natura violenta e totalitaria del fascismo e ruppel’alleanza di governo. Sturzo fu costretto da Mussolini e dalCardinale Gasparri, segretario di stato di Pio XI, a lasciarela politica e l’Italia andando in esilio prima in Inghilterrae poi negli Stati Uniti. De Gasperi venne arrestato a Firenzel’11 marzo del 1927 e rinchiuso a Regina Coeli a Roma.Quando uscì dal carcere fu assunto in Vaticano comebibliotecario soprannumerario: un lavoro avventizio e malpagato. Il diario comincia da questa assunzione che lo mettein contatto con la Curia romana e i maggiori esponenti dellaChiesa Cattolica italiana e internazionale. De Gasperi nonveniva contattato per il lavoro che svolgeva ma per quello cheera stato nella politica austriaca e dopo la prima guerramondiale in quella italiana fino all’avvento del fascismo. DeGasperi annota tutto quello che di importante viene a sapere:il sostanziale isolamento del Papa Pio XI, il filo fascismo efilo nazismo del Cardinale Eugenio Pacelli, nuovo segretariodi Stato, la viltà di alcuni prelati che si adoperavano intutti i modi possibili per umiliarlo: in modo particolareMons. Giuseppe Monti segretario generale della esposizionedella stampa cattolica mondiale dove De Gasperi fu chiamato,dal conte Dalla Torre, a svolgere un lavoro come capo ufficiostampa perennemente criticato e contestato da Mons. Monti. Ivescovi cattolici italiani dopo che Mussolini firmò ilConcordato tra Stato Italiano e Vaticano, l’11 febbraio 1929,si schierarono quasi all’unanimità dalla parte del Duce delfascismo. In modo particolare si distinsero ilCardinale Alfredo Ildefonso Schuster Arcivescovo di Milano,l’arcivescovo di Napoli e un vescovo di Curia molto importantecome Mons. Pizzardo che non mancavano in ogni occasionereligiosa di svolgere prolusioni fascistissime con De Gasperiche si domandava: “ma come era possibile che dei cristiani,

dei vescovi chiudessero gli occhi di fronte al Fascismo,fenomeno politico anti democratico, totalitario eviolento”. Molti preti, tra cui don Giovanni Minzoni, edesponenti dell’Azione cattolica e del partito popolare furonouccisi e picchiati dai fascisti e fatti oggetto di violenterappresaglie come successe all’avvocato Giorgio Montinideputato del PPI e padre del futuro Papa San Paolo VI. Inmodo particolare e in manierapiù subdola il Cardinale Pacellifaceva tutto quanto eranecessario per accontentare ildittatore Mussolini purchénessuno mettesse in discussioneda parte fascista il Concordatodel 1929 con la ChiesaCattolica. Quando scoppiò la guerra di Etiopia nel 1935 ilPapa Pio XI si schierò duramente contro la guerra con unfamoso discorso di cui l'”Osservatore Romano” non riportòneppure un rigo per ordine di Pacelli e per la debolezza deldirettore Dalla Torre. De Gasperi nel suo diario fa intendereche l’iperclericalismo aveva una ragione molto precisanell’atteggiamento della Curia Romana: Il desiderio dellagerarchia cattolica in Vaticano e in Italia di spartirsi ilpotere con il fascismo diventando la seconda gamba del Regime,con tutti i privilegi che da questa condizione discendevano.In Vaticano c’erano pochissimi antifascisti tra questi :Giovanni Battista Montini, il suo collaboratore PadreBevilacqua che Montini Papa elevò alla dignità cardinalizia,il Cardinale francese Eugenio Tisserant e il Cardinale AlfredoOttaviani. Questi personaggi fecero quanto era nelle loropossibilità per agevolare la permanenza di De Gasperi inVaticano, presenza scomoda che molti cardinali, vescovi eprelati consideravano nefasta per il buon nome del Vaticanoagli occhi di Benito Mussolini. Anche Iginio Giordaniesponente del PPI e antifascista lavorava nella BibliotecaVaticana ma il fascismo voleva soprattutto, dopo la cacciatadi Sturzo, la testa di De Gasperi. Il Cardinale tedesco

Michael von Faulhaber in visita in Vaticano nel 1933, sidichiarò convinto che la Curia papale ( non il Papa ) fossesimpatizzante di Hitler in funzione anticomunista. Questa erala realtà della Chiesa in quegli anni.

Breve storia dello Statosociale

di Leonardo Salutati • Lo Statosociale, nato e consolidato inOccidente durante il XIX ed il XXsecolo di pari passo con la storiadella civiltà industriale, si fondasul principio di uguaglianzasostanziale da cui deriva lafinalità di ridurre

le disuguaglianze sociali. Per questo si propone di fornire edi garantire diritti e servizi sociali quali: assistenzasanitaria; pubblica istruzione; sussidi familiari; previdenzasociale; accesso alle risorse culturali; difesa dell’ambientenaturale. Servizi che gravano sui conti pubblici attraverso laspesa sociale finanziata in buona parte dal prelievo fiscale.

La sua origine ed evoluzione può essere colta in tre fasisuccessive. Una prima, elementare, forma di Stato sociale opiù precisamente di Stato assistenziale, venne introdottanel 1601 in Inghilterra con la promulgazione delle Leggi suiPoveri che, oltre a rivelare un evidente contenutofilantropico, originavano dalla considerazione che riducendoil tasso di povertà, si riducevano fenomeni negativi quali la

criminalità.

La seconda fase, risale alla prima rivoluzione industriale edalla legislazione inglese del 1834, che si estenderà inseguito al continente europeo tra il 1885 ed il 1915. Inquesto periodo sorsero forme assistenziali rivolte a minori,orfani, poveri e le prime assicurazioni sociali chegarantivano i lavoratori nei confronti di incidenti sullavoro, malattie e vecchiaia. Sempre in Inghilterra siistituirono successivamente le Case di lavoro e accoglienza,che si proponevano di combattere la disoccupazione e di tenerebasso il costo della manodopera (anche se di fatto lapermanenza in questi centri pubblici equivaleva alla perditadei diritti civili e politici in cambio del ricevimentodell’assistenza governativa).

La terza fase, la fase dell’attuale Stato del welfare, ovverouno Stato caratterizzato da un sistema normativo con il qualesi traducono in atti concreti le finalità dello Stato sociale,ha inizio nel 1942 quando, nel Regno Unito, si introdussero edefinirono i concetti di sanità pubblica e pensione socialeper i cittadini, sulla base del Rapporto Beveridge, chedettero vita ad una riorganizzazione sociale ad opera dellaburista Clement Attlee, divenuto Primo Ministro nel 1945.Nel 1948 la Svezia per prima introdusse la pensione popolarefondata sul diritto di nascita. Da questo momento in poiil Welfare State divenne sempre più diffuso affiancandosi aidiritti civili e politici acquisiti alla nascita. Nel periodoche va dagli anni cinquanta fino agli anni ottanta/novanta delsecolo scorso, la spesa pubblica crebbe notevolmente,specialmente nei Paesi che adottarono una forma di welfareuniversale, ma la situazione rimase tutto sommato sottocontrollo grazie alla contemporanea sostenuta crescita delprodotto interno lordo generalmente diffusa. Negli anniottanta/novanta, i sistemi di welfare entrarono però in forte

crisi per ragioni economiche, politiche, sociali e culturali.

Di fronte alla crisi dello Stato sociale e dei ceti medi,alcuni economisti hanno sostenuto la necessità di diminuire laspesa pubblica ed il prelievo fiscale, proponendo allo stessotempo nuove forme di socialità per rendere i servizi piùefficienti e meno costosi, affidando a questo fine, in tutto oin parte, a gestori privati servizi come le pensioni (fondipensione privati), la sanità e l’istruzione.

Tuttavia i problemi di giustizia ed equità sociale, nonché ilridotto ruolo dello Stato nella redistribuzione dellaricchezza, che deriverebbero da simili scelte, per molti altrieconomisti non sono affatto trascurabili, specie alla luce diquanto avvenuto a seguito della crisi economica del 2008.Infatti si ritiene che il modello basato sulle privatizzazionie sul primato assoluto del libero mercato, sia responsabiledel fatto che negli ultimi anni la ricchezza si siapolarizzata verso un numero sempre più ristretto di persone eche le differenze tra i ceti sociali, in termini di tenore divita e di disparità di reddito si siano drammaticamenteaccentuate. Altri ancora pensano che questi modelli,rispecchiati nelle politiche economiche neoliberiste, tendendoa mettere sempre più da parte lo Stato, possano condurre arealtà in cui lo Stato stesso perda la capacità di tutelare il

cittadino dalla furia predatoria dei liberi mercati.

A questo riguardo il Compendio della Dottrina Sociale dellaChiesa al n. 348 rivolge a tutti un forte richiamo, quandoinvita a considerare che: «Il libero mercato non può esseregiudicato prescindendo dai fini che persegue e dai valori chetrasmette a livello sociale. (…) L’utile individualedell’operatore economico, sebbene legittimo, non deve maidiventare l’unico obiettivo. Accanto ad esso, ne esiste unaltro, altrettanto fondamentale se non superiore, quellodell’utilità sociale, che deve trovare realizzazione non incontrasto, ma in coerenza con la logica di mercato. Quandosvolge le importanti funzioni sopra ricordate, il liberomercato diventa funzionale al bene comune e allo sviluppointegrale dell’uomo, mentre l’inversione del rapporto tramezzi e fini può farlo degenerare in una istituzione disumanae alienante, con ripercussioni incontrollabili».

Un testo inedito di san

Francesco o della primacomunità francescana e ilsenso e l’importanza dellapredicazione

di Dario Chiapetti • Nel 2007 lo studiosoJacques Delarun scoprì cinque frammenti ditesto, copiati in cinque manoscrittidiversi, che ipotizzò appartenere a unaVita di san Francesco, chiamata dallostudioso Leggenda umbra, avente per autoreTommaso da Celano, anteriore alla Vitaseconda, sempre dello stesso autore.Brevemente, essa sarebbe una sintesi dellaVita prima, anche questa di Tommaso daCelano, che prenderebbe a prestitomateriale della Vita di Giuliano da Spira

e della Leggenda del coro e che influenzerebbe la Leggenda deitre compagni e il Trattato dei miracoli. Il suo trattopeculiare è che presenta una visione positiva della figura difra Elia da Cortona, controverso successore di Francesco allaguida dell’Ordine. Sulla base di ciò, si ipotizza che ilpresente testo sia molto primitivo e si spiega il suo esserestato presto dimenticato, si ricordi anche come l’Ordine fecedistruggere nel 1266 tutte le Vite anteriori a quelle diBonaventura.

Nel 2014 si venne a conoscenza di un manoscritto privato,acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Francia che, per lascrittura, la messa in pagina e i testi, è stato datatoattorno al 1240, ossia molto prossimo al 1226, anno dellamorte di Francesco. Ebbene, esso contiene una Vita beatipatris nostri Francisci, che corrisponde precisamente allaLeggenda umbra e che è preceduta da una lettera dedicatoria

indirizzata proprio a fra Elia. Prima e dopo di essa sitrovano: la Regola composta da Francesco nel 1223 e inseritanella relativa bolla d’approvazione, Solet annuere di OnorioIII; una versione molto antica delle Ammonizioni; e altriscritti, come testimonianze della predicazione disant’Antonio. Tra la Regola e le Ammonizioni vi è un commentoal Padre nostro che il medievista Dominique Poirel ha ricevutol’incarico di studiare e che ora presenta al pubblico nellapresente edizione bilingue, preceduta da un’introduzione:Francesco d’Assisi, Commento al Padre nostro. Un testo finorasconosciuto del Poverello?, D. Poirel (ed.), San Paolo,Cinisello Balsamo (Mi) 2018, 94 pp., 12 euro.

Poiriel, nel suo studio, osserva, innanzitutto come il testopresenti errori che sono di copiatura, il che fa pensare alfatto che riporti tracce di un testo precedente. Dallo stilevivace e costruito sintatticamente, a volte in modo impreciso,si ipotizza ad una sorta di omelia o un sermone pronunciatooralmente. Oltre agli errori di copiatura, si osserva unaconsistente pervasività della lingua italiana e una scarsapadronanza del latino, aspetti, questi, attribuibili, nelcaso, più all’autore che al copista. Quindi, non si tratta,forse, della produzione di un istruito chierico ma di un semi-letterato e, probabilmente, di un discorso pronunciatooralmente e ricostruito poi sulla base dei ricordi di unascoltatore e di note prese al volo, come i repentini cambi di

argomento lasciano supporre.

Anche la struttura del testo è significativa. Esso si componedi otto sezioni, una iniziale commenta la formula introduttivadel Pater nel canone della messa, le successive trattano lesette richieste. Ogni sezione è, a sua volta, quadripartita.In ogni partizione vi è la voce di un personaggio: vi è quelladel “colto” – probabilmente non l’autore – che offre delleminute spiegazioni; quella del Padre, o, in un caso, di CristoCrocifisso, che biasima e rimprovera i peccatori perl’incoerenza tra la vita, da un lato, e la fede professata eil culto praticato, dall’altro; quella dei peccatori che sonocosì portati a riconoscere il loro peccato e a implorare lamisericordia divina; infine, quella del predicatore checommenta il dialogo e ne commenta gli aspetti salienti.

Ciò che attira l’attenzione è la grande vivacità del discorsoe la struttura dialogale che invita chi ascolta e chi legge ainserirvisi. Tale dialogo risulta intavolato da un Dio che,con profonda passione per l’uomo, mette questi davanti al suopeccato e, con sapiente fare pedagogico, lo conduce acomprendere la sua situazione, pentirsi e mendicaremisericordia, la quale prontamente viene concessa. Il testorisulta assai coinvolgente giacché, non da ultimo, dà vivavoce alle numerose citazioni scritturistiche che locostellano, segno di una frequentazione stretta tra ilpredicatore e la Bibbia.

Ma siamo in presenza di un testo di Francesco? 1- L’autoritàdata al discorso (trascritto e inserito nel manoscritto dopola Regola); 2- un certo rapporto intimo tra il suo autore e ilCrocifisso (il primo parla a nome del secondo); 3- la vivacitàdel tono (quasi un’azione teatrale); 4- la spiritualità cheesso rivela, non di un chierico ma di un penitente; 5- leaccuse agli uomini di blasfemia (frequenti in altri discorsidell’Assisiate); 6- il rimprovero “cavalleresco” messo inbocca a Cristo di essere stato abbandonato sul campo dibattaglia (si pensi ai due fallimentari tentativi dispedizione di Francesco o all’appartenenza nobiliare dei suoiprimi compagni); fanno pensare di sì.

Del resto, 1- il fatto che nel manoscritto il testo nonriporti il nome di Francesco; 2- che questo testo non compaianei diversi corpora degli Scritti del Poverello; 3- che ilcommento al Padre nostro in questi ultimi sia molto diversodal presente; 4- che il vocabolario usato appare, anch’esso,diverso dagli altri scritti di Francesco, così come lecitazioni bibliche; 5- e la presenza di due citazioni diAgostino (quando il Santo non cita mai altrove i Padri dellaChiesa); fa pensare di no.

Ad ogni modo – osserva Poirel – è vero che: 1- in moltimanoscritti le opere di Francesco non riportano sempre il suonome; 2- l’idea di raggruppare in un’opera omnia gli scrittidi Francesco è molto posteriore al presente testo, e la piùantica non riporta i testi più privati; 3- il commentotradizionale al Pater, per la sua prosa artistica, più di unchierico, porta a ritenere che faccia poco fede come terminecomparativo; 3- ogni scritto dell’Assisiate contiene una seriedi hapax (è noto che Francesco non scriveva da solo); 4- lecitazioni bibliche sono innumerevoli e non esistono versettiprivilegiati; 5- è verosimile che Francesco conoscesse inqualche modo Agostino, data la presenza di alcuni scritti diquest’ultimo nel breviario francescano derivato da quello diInnocenzo III che egli usava.

Il testo sembra proprio attribuibile a Francesco o ad uno deisuoi primi compagni. Ad ogni modo, aldilà di tale questione,esso riveste grande importanza. Questo commento inedito alPadre nostro fa entrare in contatto con la vitalità spiritualee la passione apostolica della prima comunità francescanatutta intenta alla predicazione, concepita non come «parole,parole, parole», ma come vita che si fa parola e parola che sifa accesso, per l’uomo, alla relazione con Dio e, per Dio,alla relazione con l’uomo; realtà – questa dell’uomomediatore, nella sua carne e parola, tra Dio e l’uomo – chesolo in un con-croce-fisso può verificarsi.

E tutto ciò risulta di grande provocazione anche per ipredicatori della Chiesa, anche oggi nuovamente sotto il segnodi Francesco.

Uomo tragico e uomo biblicodi Giovanni Campanella • Agli inizi diottobre 2019, la casa editriceMorcelliana ha pubblicato, all’internodella collana “Piccoli Fuochi”, unpiccolo ma interessante libriccinotascabile intitolato Uomo tragico, uomobiblico – Alle origini dell’antropologiaoccidentale. Il libretto delineasinteticamente ma con precisione alcunecruciali idee sull’uomo emerse in queiprimissimi laboratori di pensiero chefurono la Grecia antica e il popolo

ebraico e che incisero profondamente su tutta la successivaantropologia.

L’autore è Salvatore Natoli (Patti, 18 settembre 1942),filosofo e accademico italiano. Si è laureato in Filosofiapresso l’Università Cattolica di Milano, dove ha trascorso glianni di studio nel Collegio Augustinianum. Ha insegnato logicaalla Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Ca’Foscari di Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà diScienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano.Attualmente è professore ordinario di Filosofia teoreticapresso la Facoltà di scienze della formazione dell’Universitàdegli Studi di Milano-Bicocca.

Si potrebbe dire che l’operetta mette a confronto due sistemifondamentali della prima antropologia, aventi in comune laconsapevolezza della finitudine umana di fronteall’indomabile. Il modo di gestire il problema è tuttaviadiverso. Il primo scenario è ciò a cui l’autore si riferiscetrattando della cosiddetta “metafisica del tragico”, chepermea l’antica mitologia greca e sta a fondamento di opereceleberrime come i poemi omerici e le tragedie del teatro (unasu tutte l’Edipo re). Il secondo scenario è la “teologia delpatto”, che percorre tutta la Bibbia e che individua nellarelazione con Dio l’unico elemento stabile nel mondo (Natoliprende in considerazione soprattutto le figure di Giobbe e diQoèlet).

Nel mito greco, l’uomo è indifeso, in balia delle forze dellanatura: la vita è una lotta continua e la natura è lacerata elacerante. Nel dissidio interiore che testimonia la vicendadel sacrificio della figlia Ifigenia da parte di Agamennone epoi nella tragedia di Edipo (la massima espressione deltragico secondo Aristotele), si evidenziano non soltanto forzein contrasto al di fuori dell’uomo ma anche e soprattuttoall’interno dell’uomo: l’uomo stesso è enigma.

«Nel pensiero greco arcaico – e a seguire in quello dell’etàclassica – nessun uomo può modificare il suo destino e,tuttavia, può adattarsi a esso o meglio adattarselo. Ildestino, infatti, riguarda certo ciò che ci toccherà in

futuro, ma più ancora – come in Edipo – quel passato che ciprecede e, a suo modo, ci destina. Non si tratta di un passatoindividuale, ma di un’eredità sociale. È ciò che si dicequando si afferma che è il futuro che sta alle nostre spalle»(p. 27).

Per Israele, invece, non tutto è effimero, sfuggevole,magmatico, avverso: esiste un’unica stabile ancora di salvezzaal quale l’ebreo deve aggrapparsi per salvarsi dai vorticosiflutti della vita. È la relazione con Dio, da coltivarsiassecondando la sua volontà, inscritta nella Legge da lui dataal popolo. È un Dio unico, non legato, come gli dei di altremitologie, a particolari e circoscritti fenomeni della natura.È soprattutto un Dio non astratto, un Dio concreto che siimmerge concretamente nella vera storia del popolo: l’eventocruciale è la liberazione dall’Egitto. Natoli riprende alcuneosservazioni di Ouaknin, il quale nota che la parola Yehuda(«ebreo») è formata da cinque lettere (yod, he, waw, dalet,he), che sarebbero le quattro lettere del Tetragramma conl’aggiunta della lettera dalet, che rinvia al concetto di“porta”. La bella suggestione è che essere ebreo rinviaall’essere “porta verso Dio”. In Giobbe, è forse portata alleestreme conseguenze l’idea che solo la relazione con Diorimane e solo essa conta: tutto il resto è contorno. Lavicenda di Giobbe scardina la teologia della retribuzione,alla quale anche il personaggio di Qoèlet sembra ancoraavvinghiato e da ciò, sembrerebbe suggerire Natoli, deriva lasua malinconia.

L’invito alla relazione con Dio è in fondo anche un invito aduscire da sé perché solo l’uomo in uscita verso l’Altro e glialtri riesce a gattonare a tentoni verso un senso e unapienezza nell’apparente marasma che presenta il mondo.

Nel millenario della nascitadi San Gregorio VII Papa

di Andrea Drigani • Nell’anno 1020nasceva a Soana o Sovana, nel comune diSorano, Ildebrando che verrà elettopapa, nel 1073, scegliendo di chiamarsiGregorio VII. Il millenario di questanascita verrà, in particolare, ricordatodalla diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello con una serie di iniziativespirituali e culturali, tra le quali latraslazione della salma dalla cattedraledi Salerno, città nella quale GregorioVII morì nel 1085, alla cattedrale di

Soana, ove il 25 maggio, che il calendario liturgico assegnaalla sua memoria, avrà luogo una solenne celebrazioneeucaristica presieduta dal Cardinale Segretario di StatoPietro Parolin. Nel Martirologio Romano si legge: «SanGregorio VII, papa, che, portando il nome di Ildebrando,condusse dapprima la vita monastica e con la sua attivitàdiplomatica aiutò molto i pontefici del suo tempo nellariforma della Chiesa; salito alla cattedra di Pietro,rivendicò con grande autorità e forza d’animo la libertà dellaChiesa dal potere secolare e difese strenuamente la santitàdel sacerdozio». In questo breve ma efficacissimo testo sonocompendiati i tre elementi fondamentali dell’opera di SanGregorio VII: la riforma ecclesiastica, la rivendicazionedella libertà della Chiesa e la difesa della santità delsacerdozio. All’epoca di Ildebrando, per l’ambigua epericolosa confusione tra benefici ecclesiastici e beneficifeudali, soverchianti di interessi economici e politici senza

controllo, che conducevano al malaffare e alla corruzione,all’interno della Chiesa si era smarrito il senso della sualegge suprema: la «salus animarum». Da qui la necessità di unariforma («reformatio») per correggere la deformazione(«deformatio») che, a causa dei peccati, aveva deturpato esfigurato il volto della Chiesa. L’impegno per la riforma,costituirà un tema costante e continuo nella storia delcristianesimo, poiché gli uomini, compresi gli ecclesiastici,sono imperfetti e difettosi e non sempre sono capaci dicontenere le imperfezioni e i difetti, col rischio di gravi edannosi debordamenti. Ildebrando, divenuto monaco benedettino,prestò la sua attività di consulente, teologo e canonista,nonché come legato pontificio, soprattutto a Papa Leone IX ePapa Stefano IX, nella decisa contestazione teorica e praticaal concubinato del clero e alla simonia cioè al mercato delle«res sacrae», due piaghe che dilagavano nella compagineecclesiale, se non con l’approvazione, certamente con latolleranza e l’indifferenza dei più. Nel sinodo del 1074, ilprimo dopo la sua elezione al Pontificato Romano, Gregorio VIIrinnovò la scomunica contro i simoniaci e i chiericiconcubinari. La situazione era altresì aggravata dal pesantedominio delle autorità politiche laicali nella vita dellaChiesa, per questo Gregorio VII, nel 1075, decretò il divietodel conferimento degli uffici ecclesiastici da parte deilaici, e in special modo l’investitura dei vescovi che inGermania Enrico IV di Franconia, «rex romanorum», addiritturaconferiva mediante la consegna del pastorale e dell’anello.Contro questo decreto si scatenò Enrico IV, che tra l’altroprovvide alla nomina di Tedaldo ad arcivescovo di Milano,anche se la sede non era vacante. Gregorio VII minacciò EnricoIV di scomunica, se avesse continuato nella sua disobbedienza.Per tutta risposta il «rex romanorum» nel gennaio 1076 convocòa Worms una dieta nella quale ventisei vescovi proclamarono lacondanna e la deposizione di Gregorio VII. Il Papa, un mesedopo scomunicò Enrico IV, sciogliendo anche i sudditi dalgiuramento di fedeltà. Questa scomunica ebbe un’enormerisonanza e delle notevoli conseguenze, poiché i vassalli di

Enrico IV non erano più disponibili all’obbedienza nei suoiconfronti finchè non si fosse riconciliato col Papa ed avesseottenuto la remissione della scomunica. Perciò Enrico IV, nelgennaio 1077, si recò in modo umile e penitente a Canossa daGregorio VII, colà ospitato dalla contessa Matilde di Toscana,la quale assieme ad Adelaide di Susa e ad Ugo di Cluny,intercedette presso il Papa affinchè Enrico IV fosse assolto erientrasse nella comunione. E così avvenne. Questo atto digenerosità di Gregorio VII, che, come è stato osservato, fupiù da sacerdote che da capo politico, non fece demordereEnrico IV dai suoi intenti; infatti, dopo aver sconfitto ifeudatari ribelli, proseguì imperterrito nella sua azione.Gregorio VII, perciò, nel 1080 rinnovò la scomunica ad EnricoIV, il quale convocò aBressanone un sinodo di vescovicompiacenti che ancora una voltadichiararono la deposizione diGregorio VII ed elessero nellapersona dell’arcivescovo Vibertodi Ravenna un antipapa con ilnome di Clemente III. Enrico IVoccupò inoltre la città di Roma,nella quale ben tredici cardinali erano passati dalla parte diClemente III. Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, diCalabria e di Sicilia, intervenne con le sue milizie,preoccupato dalla incolumità fisica di Gregorio VII, e riuscìa far ritirare da Roma l’esercito di Enrico IV. Gli eccessidei soldati mercenari di Roberto il Guiscardo, costrinseroperò Gregorio VII ad abbandonare Roma e a recarsi a Salernodove morì pronunciando, ispirandosi al Salmo 44, la celebrefrase: «Dilexi iustitiam et odivi iniquitatem propterea moriorin esxilio» («Ho amato la giustizia e ho odiato l’iniquità,per questo muoio in esilio»). La sua morte, tuttavia, non fula sconfitta del ruolo del primato della Sede Apostolica,poiché i suoi successori, facendo tesoro della suatestimonianza e della sua opera, continueranno a promuovere ilconsolidamento dell’autorità giuridica e morale della Chiesa

romana di fronte all’autorità règia e imperiale. Nel registrodelle lettere di Gregorio VII fu reperita una serie di 27brevi formule presentate come «Dictatus Papae». E’ statoautorevolmente annotato (cfr. J. Gaudemet, Storia del dirittocanonico. Ecclesia e Civitas, Cinisello Balsamo (MI), 1998,pp. 348-360) che la loro natura e il loro oggetto restanoincerti: lo schema per un’allocuzione pontificia? La bozza perun documento sui diritti della Sede Apostolica? L’indice diuna collezione canonica? Il «Dictatus Papae» era un documentointerno alla Curia Romana non destinato a grande pubblicità,ma esprimeva chiaramente il pensiero teologico e canonico diGregorio VII. Mi pare assai significativo, a mo’ diconclusione, di riportare la colletta della sua memorialiturgica: «Dona alla tua Chiesa, Signore, lo spirito difortezza e l’ardore per la giustizia, che hai fattorisplendere nella vita del papa san Gregorio VII, perchérifiutando ogni compromesso ci dedichiamo con piena libertà alservizio del bene».

Il Concilio Vaticano IIraccontato da Mons. LuigiBettazzi

di Stefano Liccioli • Con il libro «Il mioconcilio Vaticano II» (EDB, 2019) Mons.Luigi Bettazzi ci regala un testo ricco diretroscena sul Concilio Vaticano II di cuiegli è l’ultimo vescovo italiano ancoravivente che vi ha preso parte. Bettazzi hapartecipato a tre sessioni del Concilio apartire da quell’ottobre del 1963 in cui fuconsacrato vescovo per poter svolgere ilservizio di ausiliare di Bologna il cuiarcivescovo era il Cardinal Giacomo Lercaro.La ricostruzione di Bettazzi non indugia

sull’aneddotica, ma i retroscena vengono richiamati per farcomprendere meglio le conclusioni ai cui è arrivato ilConcilio Vaticano II e per rendere più evidenti i processi chehanno portato all’approvazione delle quattro costituzioni o dialcuni dei documenti più importanti.

Pur nella brevità del testo, i lavori conciliari ci vengonorestituiti in presa diretta e sembra di respirare il clima diquei mesi e di quegli anni, un periodo fatto di momenticoncitati, di attese, gioie, speranze, delusioni sia tra ipartecipanti sia tra i fedeli di tutto il mondo.

Tra i passaggi del libro che ho trovato interessanti quello incui si precisa che Papa Paolo VI seguiva attentamente leassemblee conciliari pare con una televisione interna, masicuramente con le relazioni del segretario generale delconcilio Mons. Pericle Felici. Papa Montini non si limitò adessere uno spettatore, ma, racconta Bettazzi, non mancavad’intervenire soprattutto per venire incontro alla minoranzaal fine di giungere il più possibile vicino all’unanimitàdelle votazioni. Tra le richieste di Paolo VI quella diprecisare nel capitolo terzo della costituzione sulla Chiesa(la Lumen gentium) che il termine “collegio” non andava intesoin senso strettamente giuridico cioé «di un gruppo di eguali iquali abbiano demandato la loro potestà al loro presidente, ma

di un gruppo stabile la cui struttura ed autorità deve esserededotta dalla rivelazione.

L’autore ricorda poi che il “Centro di documentazione diBologna” (che aveva presenti a Roma, a supporto del CardinalLercaro, don Giuseppe Dossetti ed il Prof. Giuseppe Alberigo)sosteneva l’idea che il Concilio Vaticano II, insieme alPontefice, proclamasse santo Giovanni XXIII, prescindendo invia eccezionale dal regolare processo di canonizzazione.Bettazzi si fece portavoce di questa proposta in concilio,nonostante sapesse le resistenze di Paolo VI sull’argomentodovute, secondo il prelato, alla «sua prudenza nei confrontidella curia romana, molto esitante per contrarietà al suointerno».

Un passaggio del libro è dedicato alla “Chiesa dei poveri”.Sul tema l’autore riferisce che in una delle assembleeconciliari il suo Arcivescovo, il Cardinal Lercaro, prese laparola per affermare che, nella Chiesa, Cristo è presentenell’eucarestia, nella gerarchia e nei poveri. Proprio aLercaro Papa Montini aveva chiesto di preparargli delmateriale per un’enciclica sulla Chiesa dei poveri. Anni dopoarrivò la Populorum progressio (1967) che però fu piùun’enciclica sullo sviluppo dei popoli e della pace che sullaChiesa dei poveri. Durante i lavori del Concilio c’eracomunque tutto un gruppo di vescovi che si radunava alCollegio Belga molto attenti a questo tema come la “fraternitàdei piccoli monsignori” a cui lo stesso Bettazzi apparteneva.

Fu in questo clima che maturò il Patto delle Catacombe che siconcretizzò il 16 novembre 1965 alle Catacombe di Domitilla eche impegnava i sottoscrittori, inizialmente una quarantina divescovi tra cui anche Mons. Bettazzi, a vivere una vitasemplice nell’abitazione, nei mezzi di trasporto, nell’uso deititoli personali e negli stessi vestiti, a riservare una curaparticolare ai poveri ed a chi si dedica a loro. I presentis’impegneranno a far firmare il documento anche ai vescoviamici tanto che fu portato a Paolo VI con oltre cinquecentofirme.

L’ultima parte del testo è dedicata ad alcune riflessioni diBettazzi sul post-Concilio, sugli aspetti ancora da realizzareo da portare a compimento. Significative alcune osservazioni eprecisazioni fatte dall’autore. Una di queste riguarda ilconcetto di “tradizione” il cui senso profondo non è una meraconservazione, ma una trasmissione: tradizione deriva dalverbo latino “tradere” cioé “trasmettere” «le verità disempre, ma capite meglio ed espresse in modo adeguatoall’umanità di oggi». Conclude infine Bettazzi:«Le crisi dellaChiesa, che qualcuno si ostina ad attribuire al concilio, sonoinvece da addebitare alla minore accoglienza che gli abbiamodestinato, timorosi di dover abbandonare troppe nostreabitudini (che definivamo “tradizione”) e di doverci dedicareprima di tutto a rinnovare noi stessi, per poter poicontribuire a rinnovare il mondo».

Non dobbiamo però perdere la speranza, aggiungo io, se restanoancora degli aspetti da portare a compimento: padre Congaraffermava che ci vogliono cinquanta anni per poter comprenderepienamente un concilio.

Un anno dal Documento di AbuDhabi

di Alessandro Clemenzia •«Attestiamo anche l’importanzadel risveglio del sensoreligioso e della necessità dirianimarlo nei cuori delle nuovegenerazioni, tramitel’educazione sana e l’adesioneai valori morali e ai giustiinsegnamenti religiosi, per

fronteggiare le tendenze individualistiche, egoistiche,conflittuali, il radicalismo e l’estremismo cieco in tutte lesue forme e manifestazioni».

È ormai passato un anno da quando è uscito il Documento di AbuDhabi, firmato il 4 febbraio 2019 da Papa Francesco e dalGrande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. Nella citazione soprariportata emergono tre elementi fondamentali, che si ergonocome tre pilastri per il cammino comune del mondo islamico edi quello cristiano: l’importanza del risveglio del sensoreligioso; l’educazione delle nuove generazioni; il dover farfronte alle tendenze individualistiche e agli estremismicontemporanei.

Per realizzare sempre più quanto è scritto in questoDocumento, si legge ancora, «la Chiesa Cattolica e al-Azhar,attraverso la comune cooperazione, annunciano e promettono diportare questo Documento alle Autorità, ai Leader influenti,agli uomini di religione di tutto il mondo, alleorganizzazioni regionali e internazionali competenti, alleorganizzazioni della società civile, alle istituzionireligiose e ai leader del pensiero; e di impegnarsi neldiffondere i principi di questa Dichiarazione a tutti ilivelli regionali e internazionali, sollecitando a tradurli in

politiche, decisioni, testi legislativi, programmi di studio emateriali di comunicazione».

Ed è proprio alla luce di quanto è richiesto dal Documento, ein fedeltà allo spirito di coloro che lo hanno firmato, che aFirenze si è tenuto un convegno, il 30 gennaio 2020 nella salateatina del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira,intitolato “Fratellanza umana per la pace mondiale e laconvivenza comune”. Un appuntamento promosso dal Centro LaPira, dall’Istituto Universitario Sophia (Loppiano), dallaComunità Islamica di Firenze e Toscana e dalla FondazioneGiorgio La Pira. L’obiettivo dell’evento non è stato soltantoquello di fare memoria di un Documento di grande rilievo a unanno di distanza, ma quello – come ha spiegato il cardinaleGiuseppe Betori nel suo saluto iniziale – di dare vita a unpercorso verso un rapporto più strutturato tra il mondoislamico e quello cristiano nella città di Firenze.

L’incontro è stato introdotto e moderato da Haifa Alsakkaf,appartenente alla comunità islamica di Firenze e dottorandaall’Istituto Universitario Sophia, che ha accompagnato inumerosi uditori a entrare in rapporto con i relatori e con icontenuti da loro proposti. L’incontro era suddivisofondamentalmente in tre parti.

Nella prima è stata data la parola, per un saluto inizialeufficiale, all’Arcivescovo Metropolita di Firenze, ilcardinale Giuseppe Betori e all’Imam di Firenze, IzzeddinElzir, i quali hanno richiamato non solo alla centralità umanadella fratellanza e della riconciliazione, ma ancheall’importanza di offrire alle nuove generazioni un ruolofondamentale e da “protagoniste” nel vivere le relazioniinter-religiose all’interno di una cultura dell’unità. Altermine dei saluti è stato dato spazio a un momento solenne incui si è data lettura di una dichiarazione di amicizia tra ilmondo cristiano e quello islamico, alla presenza di numerosiesponenti delle diverse chiese e comunità cristiane, firmata

dall’Arcivescovo e dall’Imam.

Nel secondo momento dell’evento si è affrontato più da vicinoil Documento di Abu Dhabi, attraverso il contributo di trerelatori: Mons. Vittorio Ianari, docente di islamismo indiversi atenei romani, ha illustrato il percorso storico cheha portato alla stesura del Documento; il teologo Mons. PieroCoda, docente all’Istituto Universitario Sophia e membro dellaCommissione Teologica Internazionale, ha indicato ilsignificato più profondo e le prospettive che si aprono apartire dal Documento; infine, il prof. Mohamed Bamoshmoosh,responsabile del Centro culturale islamico di Firenze,mettendo in luce alcuni passaggi essenziali del Documento, hamostrato una possibile attualizzazione di essi a livellolocale.

Nella terza e ultima parte dell’evento hanno preso la parolaMaurizio Certini, direttore del Centro Internazionale StudentiGiorgio La Pira, e Mohamed Bamoshmoosh, della comunitàislamica fiorentina, e hanno presentato un possibile percorsoda attualizzare insieme, volto alla costituzione diun’amicizia più strutturata tra cristiani e musulmani. Tra glielementi sottolineati si può ricordare l’accento che è statoposto sulla natura culturale e sociale di questo cammino checi attende, nel solco dell’esperienza plurisecolaredell’umanesimo fiorentino; un cammino che vuole coinvolgeresoprattutto quelle persone che, nello studio e nell’esperienzadi vita, hanno già maturato personalmente e comunitariamenteil valore fecondo del dialogo. Si tratta, inoltre, di uncammino “dal basso”, che ha l’intento di arrivare a unastrutturazione di amicizie e relazioni che si sono già

largamente avviate negli ultimi decenni nella città diFirenze, favorendo in tal modo il “dialogo della vita”: bastipensare che la prima comunità islamica di Firenze è nataproprio nella sala teatina del centro La Pira, luogoall’interno del quale si è svolto l’evento, e al fatto chenell’Istituto Universitario Sophia sono iscritti, tra ilbiennio di specialistica e il terzo ciclo di dottorato, circa10 studenti islamici.

Questo convegno, che rappresenta veramente un punto di nonritorno, vuole avviare un processo di sensibilizzazione dellenuove generazioni, per renderle sempre più protagoniste inquest’amicizia inter-religiosa e inter-culturale. Per larealizzazione di questo fine si darà vita a incontri culturalie ad attività di ricerca che troveranno espressione in unapubblicazione periodica e attraverso azioni comuni dicarattere sociale.

P.S. Da questo link può essere visualizzato il documento:(link)

Cristo, l’ebreo di Nazareth:in margine ad un recentevolume

di Stefano Tarocchi • Scrive Paolo nellalettera ai Romani che «Cristo èdiventato servitore dei circoncisi –lett. “della circoncisione” – permostrare la fedeltà di Dio nel compierele promesse dei padri» (Rom 15, 8).Paolo si basa «sul dato che il Gesùstorico non è mai andato a predicarefuori dai confini di Israele». Ma è purvero che «Gesù era ed è stato ebreodall’inizio alla fine. È vissuto perIsraele, è stato servitore dei

circoncisi» (R. Penna).

L’apostolo già aveva scritto che «unico è il Dio chegiustificherà i circoncisi in virtù della fede e gliincirconcisi per mezzo della fede» (Rom 3,30). E, a propositodi Abramo, che egli «divenne padre di tutti i non circoncisiche credono, cosicché anche a loro venisse accreditata lagiustizia ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di quelliche non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anchesulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della suacirconcisione» (Rom 4,11-12).

San Paolo ha più di un titolo per pronunciare questeaffermazioni: fu infatti «circonciso all’età di otto giorni,della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figliodi Ebrei; quanto alla Legge, fariseo» (Fil 3,5).

È ciò che Gesù afferma di sé stesso, ad esempio, nel vangelodi Matteo: «non sono stato mandato se non alle pecore perdutedella casa d’Israele» (Mt 15,24). Per questa ragione, vienemesso in rilievo il mandato missionario successivo, che ha unevidente carattere universale: «andate dunque e fate discepolitutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlioe dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciòche vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni,fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20).

Perciò «non è sufficiente confessare che Gesù è vero uomo: èun’affermazione troppo generica. Uomo significa che lapersonalità di ognuno può essere definita dalle singoleculture che compongono le diversità. Ora Gesù non è solo unuomo, è un ebreo, un dato di realtà che va ha ribadito inmaniera forte: colui che chiamiamo Nostro Signore è un ebreo.L’incarnazione è umanizzazione ma è anche storicizzazione einculturazione» (R. Penna).

È la sensibilità che appartiene alle fondamenta della fedecristiana. Lo dice l’incipit del Vangelo di Matteo:«genealogia (lett. “libro delle origini”) di Gesù Cristofiglio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). E lo ripetono ilVangelo di Giovanni: «non dice la Scrittura: Dalla stirpe diDavide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà ilCristo?» (Gv 7,42), e la stessa Apocalisse: «Io sono la radicee la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap22,16).

In quest’ottica il P. Frédéric Manns, dell’ordine dei fratiminori, archeologo ed esegeta dello Studium BiblicumFranciscanum di Gerusalemme ha recentemente pubblicato unsaggio (L’ebreo di Nazaret. Indagine sulle radici delcristianesimo, Edizioni Terra Santa, Milano 2019) che muovedal punto di vista precedentemente messo in luce.

Il padre Manns si muove su linee concentriche: dapprimadelinea il quadro generale, a cominciare da un inquadramentodella «Galilea all’epoca di Gesù» e il contesto culturale di

quello spazio particolare della terra del Vangelo. Eccopertanto lo sguardo alla frequentazione di Gesù al cultosinagogale e l’adesione alla preghiera dello Shemà, laprofessione dell’unico Dio («ascolta, Israele: il Signore è ilnostro Dio, unico è il Signore»: Dt 6,4), e, infine, laconoscenza da parte di Gesù delle tradizioni targumiche –testimonianza di quando il popolo ebraico abbandonòprogressivamente l’ebraico a favore dell’aramaico come linguaparlata – , mettono in luce un orizzonte interpretativo suGesù, forse finito un po’ dimenticato.

Manns si interroga anche sul ruolo di Gesù sempre all’internodella sua ebraicità, come discepolo del Battista, oppure suquanto si possa essere avvicinato al movimento del fariseismo,nella sua duplice scuola, quella di Hillēl (60 a.C. – 7 d.C.) e quella di Shammai (50 a.C. – 30 d.C.), – il secondo sidistingue dal primo per un atteggiamento più rigorista –oppure al movimento tipicamente galilaico dei chassidim, i“pii”. Significativamente però Gesù non viene mai chiamatocosì nei Vangeli, bensì “giusto” («non avere a che fare conquel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbataper causa sua»: Mt 27,19; da notare che però Manns scrive:27,24).

Quest’analisi approfondita non può dimenticare anche leparabole, come del resto il modo di interpretare le Scritturedell’Antico Testamento. A proposito delle prime, così scriveManns: «il linguaggio parabolico è allusivo ed enigmatico: conle parabole Gesù non parla apertamente, Egli dice e non dice,svela e nasconde, manifesta e occulta… Gesù non fa seguirealle parabole la spiegazione: solo i discepoli la ricevono inprivato, nella casa. Non si possono quindi considerare leparabole di Gesù strumenti didattici geniali, quasi chefossero esempi semplici per condurre l’ascoltatore ad uninsegnamento dimostrato poi in termini più concettuali… Laparabola è un modo di esprimersi che utilizza esempi concretied è basata sul paragone tra due situazioni: una nota e una

non nota. Ha lo scopo di illustrare in modo chiaro concetticomplessi, favorendo una comprensione immediata ma purel’intento di consentire il passaggio degli ascoltatori da unmodo – per loro abituale – di capire ed interpretare le paroleespresse e gli eventi narrati a una profondità inaspettata».

Quanto sia attuale questo itinerario interpretativo, locomprendiamo facendo riferimento alla storia, e non solo, acominciare da quando nel settembre 1938 il papa Pio XI –Hitler era stato a Roma nel maggio precedente – pronunciò inVaticano il famoso e memorabile discorso in cui affermò che«l’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tuttisemiti». Come ha messo in luce qualche anno fa lo storicoGiovanni Sale, della Civiltà Cattolica, l’Osservatore Romanopubblicò il testo omettendo la parte riguardante gli ebrei ealtrettanto fece la stessa Civiltà Cattolica.

Di stretta, quanto inquietante, attualità invece, non tantodelle omissioni, ma il riapparire di scritte inquietanti sullecase dove abita una persona di origine (e/o di fede) ebraica.

Comprendere il Gesù della storia, e anche il Gesù della fede,significa poter leggere nel pieno senso del termine anchel’oggi del nostro esistere.

La proposta di Trump per ilMedio Oriente.

di Mario Alexis Portella • Ilpresidente Donald Trump harivelato il mese scorso un nuovopiano di pace per il MedioOriente. La soluzione proposta,respinta dai palestinesi, inestrema sintesi è questa: due

Stati, parte della Cisgiordania a Israele, Gerusalemme“capitale indivisa” e un tunnel per collegare Cisgiordania eGaza. Previsti inoltre investimenti per 50 miliardi di dollariper i palestinesi. Molti scorgono una certa ambiguità, se nonuna palese contraddizione, nelle parole di Trump: se da unlato il presidente Usa ha evocato la possibilità di unaGerusalemme Est come capitale del futuro Stato di Palestina,impegnandosi ad aprire proprio lì un’ambasciata statunitense,dall’altro ha ribadito come “Gerusalemme resta e resterà persempre la capitale indivisa di Israele”.Non voglio essere un pessimista, ma la proposta di Trump nonavrà successo, come quella presentata il luglio scorso dalconsigliere della Casa Bianca e genero del presidente Trump,Jared Kushner—essa proponeva di creare infrastrutturefinanziarie nel territorio palestinese, lungo la Cisgiordaniae la Striscia di Gaza, nonché il sostegno economico alle areevicine. Era destinata a fallire dal momento che né i governiisraeliano né quello palestinese hanno partecipato all’eventoin Arabia Saudita—questa volta, di nuovo, i palestinesi nonsono stati invitati ai preparativi.

Ci sono condizioni imposte ai palestinesi tra cui quella diporre fine alle attività letali di Hamas e l’incitamento allaviolenza contro Israele. Contestualmente, il presidenteamericano ha scandito: “Non chiederemo mai a Israele discendere a compromessi sulla sua sicurezza”, cioè Israelecontinuerà ad occupare i territori illecitamente annessi.

Dal canto suo il primo ministro Benjamin Netanyahu ha spiegatoche i rifugiati palestinesi della diaspora non avranno diritto

al ritorno, i palestinesi dovranno riconoscere Israele comeStato ebraico, e “verrà applicata la legge israeliana sullaValle del Giordano, su tutte le colonie in Cisgiordania e sututte le aree che il piano designa come parte di Israele”.

Occorre capire che la terra contesa tra israeliani epalestinesi è stata teatro di tensioni e violenze tra arabi edebrei sin dai tempi del mandato britannico, che fu dichiaratonel 1917, ponendo fine a 400 anni di dominio ottomano nellaregione. Con la Dichiarazione Balfour dell’occupante inglese,c’era la prospettiva reale di creare una “patria nazionale”per gli ebrei in Palestina, in seguito all’appello delprotagonista sionista Theodor Herzl.

Dopo la seconda guerra mondiale, con lo sterminio di seimilioni di ebrei da parte dei nazisti, l’Assemblea generaledelle Nazioni Unite approvò un piano di spartizione per laPalestina, con l’istituzione dello Stato israeliano nel 1949 eun altro per gli arabi; quest’ultimo non è mai statorealizzato. In ogni caso, il nuovo paese israeliano “importò”688.000 immigrati ebrei durante i primi tre anni, mentre650.000 ebrei vivevano già in Israele quando fu formalmentestabilito come uno stato indipendente e sovrano. Allo stessotempo, circa 750.000 palestinesi, oppure il 75 percento dellapopolazione palestinese, sono stati costretti a lasciare leloro case.

Le mappe del futuro stato

palestinese e dello stato diIsraele proposte da Trump

Un ostacolo per la pace è che Israele si rifiuta di lasciare iterritori acquisiti, tra cui le Alture del Golan che furonostrappate dai siriani nel 1967. Ma il problema odiernoriguarda l’occupazione della Città Santa, problema sorto aseguito della Guerra dei Sei Giorni (1967) vinta da Israele.All’origine di questo conflitto vi fu l’attacco ad Israele daparte della Giordania che occupò illegalmente il Murooccidentale e il quartiere ebraico di Gerusalemme, impedendoin tal modo ogni possibilità di accesso degli ebrei a questearee sante, così come all’Università e all’Ospedale. Nel 1950,la Giordania annesse i territori che aveva conquistato nellaguerra del 1948, cioè Gerusalemme orientale e Cisgiordania,dichiarandosi “Protettore” della Terra Santa. Gli unici paesiche riconobbero l’annessione di questi territori allaGiordania furono la Gran Bretagna e il Pakistan, mentre tuttele altre nazioni, inclusi gli stati arabi, la condannarono: laGran Bretagna, invero, riconobbe solo l’annessione dellaCisgiordania e non ha mai riconosciuto la sovranità giordana oisraeliana su alcun settore di Gerusalemme, visto chel’annessione della Giordania del 1950 e l’annessioneisraeliana di Gerusalemme Ovest erano considerate illecite.

Indubbiamente, è legittimo pensare che si arriverà aun’armonia politica tra gli israeliani ed i palestinesi(musulmani)—i palestinesi cristiani sono il 20% dei 13 milionidi palestinesi, ma il 70% vive al di fuori della Palestina edi Israele a causa delle persecuzioni islamiste.

A proposito, come dice Khaled Abu Toameh, un giornalistamusulmano che vive a Gerusalemme, i cristiani esprimonoinoltre una certa delusione per il disinteresse mostrato daparte della comunità internazionale—anche dal Vaticano e dallecomunità cristiane di tutto il mondo—per la mancanza diriconoscimento e sostegno della loro lotta per vivere come

esseri umani, ad esempio, i cristiani nella Striscia di Gazasono limitati di visitare le città sante, come Betlemme eGerusalemme per festeggiare il Natale, tasse quale chiesepalestinesi e alle loro proprietà nella città santa e in altrearee occupate, e vietandoli di sposarsi con gli ebrei, a menoche lui o lei non si convertano al giudaismo—il caso dellafiglia di Trump, Ivanka, quando si sposò con Jared Kushner, siconvertì alla religione ebraica.

Personalmente dubito che in futuro ci possa essere pace tratutti e due i popoli. Entrambi credono nel principio divendetta: “l’occhio per occhio.” Naturalmente, questo èqualcosa che la comunità internazionale non vuole ammettere.

Detto questo, se gli israeliani ed i palestinesi vogliono farela pace, la possono realizzare come la fecero il presidenteegiziano Anwar al-Sadat e il primo ministro israelianoMenachem Begin il 17 settembre 1978, con gli accordi di CampDavid in America. Entrambi sono stati in grado di incorporarel’insegnamento del perdono—come ci ha insegnato Gesù Cristo—emostrare al mondo che, siccome siamo stati creati secondol’immagine e la somiglianza di Dio, tra esseri umani ci deveessere un rispetto reciproco.

Dante e la «selva oscura»della nostra vita

di Antonio Lovascio • Il 2021 sarànuovamente l’anno di Dante. E tra i comunidella Penisola è già iniziata la corsa percelebrare i 700 anni dalla morte del SommoPoeta. Firenze – ne ha i titoli – sicandida ad ospitare il Museo della linguaitaliana, che integrerebbe la spintapropulsiva che già offre l’Accademia dellaCrusca: pur con la sua storia millenaria,la sua grande letteratura e

l’apprezzamento di milioni di persone nel mondo, un museo veroe proprio l’idioma nazionale ancora non ce l’ha.

Si prospetta, dunque, un florilegio di eventi. Ma soprattuttoè un’ occasione da non perdere per una rilettura ed unapprofondimento delle opere di Alighieri, un grande “profetadi speranza”: così l’ha definito Papa Francesco. Un“annunciatore” della liberazione per ogni uomo e donna. Dantepuò parlare ed essere d’esempio alla contemporaneità: “un uomoche, presa sul serio la propria esperienza, non fugge difronte al pericolo, al rischio di vivere, all’interrogativoche la vita porta con sé – per Dante la morte di Beatrice – mavi si getta dentro, si incammina nella ‘selva oscura’, e,attraverso il confronto con i testimoni della storia, recuperaun orizzonte alla vita, fino a cogliere il senso del tutto nelvolto di Cristo”.

Ecco perché la Chiesa ci invita a celebrarlo come il poetadella “possibilità di riscatto”, del “cambiamento profondo”,per il quale nessuna “natural burella” – nessuna umanadebolezza – potrà risultare così impraticabile da impedireall’uomo che lo vuole di riuscire “a riveder le stelle”.Considerando l’opera dantesca un elemento essenziale del suopatrimonio culturale e religioso, per il profondo rapporto conla Fede cristiana e con la riflessione teologica e filosoficasviluppatasi intorno alle verità della Fede. Lo si evincedalle parole di Bergoglio, ma – lo si ritrova nei documenti

magistrali dei suoi ultimi predecessori, richiamati in uncommento su “Avvenire” dal card. Gianfranco Ravasi. A partireda San Paolo VI, che più di mezzo secolo fa, chiudendo ilVaticano II, impresse nella sua Lettera Apostolica Altissimicantus quell’affermazione recisa: “Nostro è Dante! Nostro,vogliamo dire, della fede cattolica”, individuando nellaDivina Commedia un fine “pratico e trasformante”, poiché –affermò – l’opera “non si propone solo di essere poeticamentebella e moralmente buona, ma in alto grado di cambiareradicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza,dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dallacontemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificantedel paradiso”. Anche San Giovanni Paolo II ha fatto spessoriferimento alle opere dell’Alighieri, in particolare nellaprima Enciclica, Lumen fidei: attingendo a quell’immensopatrimonio di immagini, di simboli, di valori costituitodall’opera dantesca” quando per “descrivere la luce dellafede, luce da riscoprire e recuperare affinché illumini tuttal’esistenza umana, si è basato proprio sulle suggestive paroledel Vate fiorentino, che la rappresenta come “favilla, / chesi dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in mescintilla”. Pure il Papa Emerito Benedetto XVI non è menolegato a Dante degli altri Pontefici. Più volte, già dacardinale, ha ricordato e citato il sommo poeta. Scrivendodello “scandalo del cristianesimo”, cioè di Cristo Figlio diDio fattosi uomo, e quindi del significato dell’essere che varicercato non nel mondo delle idee, ma nel volto di un uomo,rammenta la concretezza di questo pensiero nella conclusionedella Divina Commedia.

Ora la Cultura contemporanea deve saper incontrare Dante echiedere a lui la guida verso la “dritta via”, spesso impeditadalla selva oscura, verso quello che egli ci indica come

“dilettoso monte/ ch’è principio e cagion di tutta gioia”. Ilcompito che ci attende – sottolineato dal card. GiuseppeBetori in una recente omelia celebrativa proclamata a Ravenna– “va oltre una riforma sociale, o, meglio, giunge a questaattraverso una critica della cultura dominante, per trovareorientamenti certi a una riforma della vita di ciascuno, a unrecupero personale e comunitario dell’umano, collocato suorizzonti di umiltà, condivisione, solidarietà, incontro,dedizione, trascendenza; ‘puro e disposto a salire a lestelle’”, come recita il 33° canto del Purgatorio.

L’anno prossimo, raccogliendo la sollecitazione di PapaFrancesco, onorando Dante Alighieri come già ci invitava afare Papa Montini, potremo arricchirci della sua esperienzaper attraversare le tante selve oscure ancora disseminatenella nostra terra e compiere felicemente il pellegrinaggionella storia, per giungere appunto alla méta sognata edesiderata da ogni uomo: ‘L’amor che move il sole e l’altrestelle’”.