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TEOLOGIA MORALE FONDAMENTALE [bacteo1014] 1. INTRODUZIONE 1.1 Veritatis Splendor. Unica enciclica di morale fondamentale. Ragione n. 1. È una risposta negativa per correggere certi errori (pars destruens). - Perché una enciclica? Magistero ordinario/straordinario (bolla di annuncio, catechesi, lettere ed esortazioni apostoliche, encicliche) o solenne (definizione dogmatica e documenti conciliari). - Perché “circa alcune questioni fondamentali”? Sulla responsabilità dei pastori è la prima volta che si espongono con ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, perchè è la prima volta che si è creata una nuova situazione entro la stessa comunità cristiana dove si mette in dicussione tutto il patrimonio morale. - Perché indirizzata soltanto ai vescovi? L’enciclica è una “circolare”, è per tutti. Ma questi problemi si danno nei seminari e nelle facoltà teoloogiche. “Dissonanza fra posizione della Chiesa e insegnamenti dati nei seminari” [4]. Importanza della sana dottrina su problemi controversi fra gli studiosi [5]. - Perché un documento così difficile? È un documento tecnico, per specialisti, per rispondere allo stesso livello di linguaggio tecnico di coloro che ponevano il problema. Ragione n. 2. Alla risposta positiva (pars construens) del Concilio Vatican II che vede in Cristo la risposta alla domanda morale, intende rilanciare il rinnovamernto richiesto sulla formazione sacerdotale dal CV II nel documento Optatam totius (16). I padri conciliari volevano un documento conciliare su formazione sacerdotale e intellettuale, con un particolare rinnovamento della teologia morale, perchè la formazione si basi più sulla Scrittura e abbia Cristo al centro. 4 cardini di rinnovamento della teologia: - Sacra Scrittura, Cristo al centro, Carità (Cap.1) - Esposizione più scientifica, illustrando l’obbligo dei fedeli di apportare i frutti per la vita del mondo. Non basta essere buoni cristiani, ma testimoniare nella società e nell’apostolato. L’enciclica rilancia questo rinnovamento che era stato fermato (Cap.2) - È in gioco la sopravvivenza della società. Senza un bene o un male oggettivo non è possibile la vita sociale (Cap.3) Motivi interni: correggere e rilanciare il rinnovamento. Motivi esterni: è in gioco la sopravvivenza della società. Se il bene e il male è relativo sono possibili tutti gli abusi al livello sociale. 1.2. Dimensioni della crisi v. Appunti del Professore È in crisi il soggetto, la soggettivizzazione della morale, della coscienza. Manca il destinatario morale. Non è il problema di “come” comunicare ma il fatto che non c’è il destinatario. Il soggetto non capisce per la mancanza di radici culturali (concetti di libertà e di amore), così diverse che non si riceve il messaggio. Non è un rifiuto della morale cristiana ma semplicemente non la si capisce. Radici della crisi della teologia e della vita morale dei cristiani: 1. FIL Separazione fra la libertà e la verità (Cap.II): gli errori sui diversi temi di teologia morale nascono dalla separazione fra libertà e verità, che mancano l’unione entra in gioco un’etica emotivista. 2. TEO Separazione fra la fede e la morale [fra la fede e la vita] (Cap.III): una cosa è cosa credo (dogmi), altra è come vivo (io decido in coscienza cosa fare, senza discernimento). 3. FIL/TEO Separazione fra la fede e la ragione. 1.3 La vicenda della teologia morale cattolica v. Appunti del Professore Trento istituisce i seminari. Prima di allora la formazione era erogata attraverso omelie e catechesi.

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TEOLOGIA MORALE FONDAMENTALE [bacteo1014]

1. INTRODUZIONE

1.1 Veritatis Splendor. Unica enciclica di morale fondamentale.

Ragione n. 1. È una risposta negativa per correggere certi errori (pars destruens).

- Perché una enciclica? Magistero ordinario/straordinario (bolla di annuncio, catechesi, lettere ed esortazioni apostoliche, encicliche) o solenne (definizione dogmatica e documenti conciliari).

- Perché “circa alcune questioni fondamentali”? Sulla responsabilità dei pastori è la prima volta che si espongono con ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, perchè è la prima volta che si è creata una nuova situazione entro la stessa comunità cristiana dove si mette in dicussione tutto il patrimonio morale.

- Perché indirizzata soltanto ai vescovi? L’enciclica è una “circolare”, è per tutti. Ma questi problemi si danno nei seminari e nelle facoltà teoloogiche. “Dissonanza fra posizione della Chiesa e insegnamenti dati nei seminari” [4]. Importanza della sana dottrina su problemi controversi fra gli studiosi [5].

- Perché un documento così difficile? È un documento tecnico, per specialisti, per rispondere allo stesso livello di linguaggio tecnico di coloro che ponevano il problema.

Ragione n. 2. Alla risposta positiva (pars construens) del Concilio Vatican II che vede in Cristo la risposta alla domanda morale, intende rilanciare il rinnovamernto richiesto sulla formazione sacerdotale dal CV II nel documento Optatam totius (16). I padri conciliari volevano un documento conciliare su formazione sacerdotale e intellettuale, con un particolare rinnovamento della teologia morale, perchè la formazione si basi più sulla Scrittura e abbia Cristo al centro.

4 cardini di rinnovamento della teologia:

- Sacra Scrittura, Cristo al centro, Carità (Cap.1) - Esposizione più scientifica, illustrando l’obbligo dei fedeli di apportare i frutti per la vita del mondo. Non

basta essere buoni cristiani, ma testimoniare nella società e nell’apostolato. L’enciclica rilancia questo rinnovamento che era stato fermato (Cap.2)

- È in gioco la sopravvivenza della società. Senza un bene o un male oggettivo non è possibile la vita sociale (Cap.3)

Motivi interni: correggere e rilanciare il rinnovamento. Motivi esterni: è in gioco la sopravvivenza della società. Se il bene e il male è relativo sono possibili tutti gli abusi al livello sociale.

1.2. Dimensioni della crisi v. Appunti del Professore

È in crisi il soggetto, la soggettivizzazione della morale, della coscienza. Manca il destinatario morale. Non è il problema di “come” comunicare ma il fatto che non c’è il destinatario. Il soggetto non capisce per la mancanza di radici culturali (concetti di libertà e di amore), così diverse che non si riceve il messaggio. Non è un rifiuto della morale cristiana ma semplicemente non la si capisce.

Radici della crisi della teologia e della vita morale dei cristiani:

1. FIL Separazione fra la libertà e la verità (Cap.II): gli errori sui diversi temi di teologia morale nascono dalla separazione fra libertà e verità, che mancano l’unione entra in gioco un’etica emotivista.

2. TEO Separazione fra la fede e la morale [fra la fede e la vita] (Cap.III): una cosa è cosa credo (dogmi), altra è come vivo (io decido in coscienza cosa fare, senza discernimento).

3. FIL/TEO Separazione fra la fede e la ragione.

1.3 La vicenda della teologia morale cattolica v. Appunti del Professore

Trento istituisce i seminari. Prima di allora la formazione era erogata attraverso omelie e catechesi.

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1.4 Autori

Romano Guardini: condanna la slealtà del volere usufruire dei frutti senza l’albero del cristianesimo. Il concetto di dignità della persona e lo stesso di persona sono concetti cristiani, l’uguaglianza, la fraternità. La laicizzazione dei valori cristiani è un “doppio gioco”. I frutti del cristianesimo cominciano a marcire se vengono a mancare le radici, ma quello che abbiamo più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Senza Cristo non è morale cristiana.

McIntyre: Dopo la virtù. Abbiamo perso il contesto originario dei concetti etici. “Felicità” non è più il concetto di eudaimonia originario: è un concetto romantico di sentimento, mentre quello originale era pienezza di vita, compimento, sviluppo delle capacità secondo il modo di essere. Il concetto di peccato, di legge, dal concetto di ordinamento razionale per il bene della comunità è passato a un concetto di divieto fine a se stesso. Prudenza da saggezza morale che implica il rischio e il sacrificio passa a cautela, non azione. Agire in coscienza passa dalla concezione del “sapere comune”, condividere con gli altri il senso della realtà, passa a concetto individualista. Bisogna quindi ricostituire il contesto. “Tabù”: sembra “non se ne parla”, ma vuol dire “non sappiamo perché”.

La domanda morale cristiana è molto più ampia del kantiano “cosa devo fare”. È la domanda del “come devo vivere”, qual è il tipo di persona che devo essere, il tipo di vita che devo vivere. L’obbligo è il concetto centrale della morale quando si stacca dagli affetti, dall’amore. Non si tratta di “dovere”, ma di agire “per amore”, per una virtù interiore. Il bene morale, se è bene, obbliga attirando. L’essenza del bene è attirare. Quanto meno virtù, più si percepisce il bene morale come obbligo e meno come un bene. Quanto meno amore, più obbligo.

In un’etica della persona si parte dal soggetto che agisce: “come devo vivere io”. La morale del giudice di Hobbes è in terza persona. Una morale delle virtù permette di vedere l’importanza della comunità, nella morale cristiana è la comunità cristiana della Chiesa. Impariamo le virtù come riceviamo la fede, tramite la Chiesa.

1.5. Linee di rinnovamento della morale.

Bisogna riunire libertà e verità, fede e morale (vita), perché senza la fede la morale diventa legalismo. La morale è una conseguenza della fede, senza di essa la morale sarebbe solo il compimento di obblighi. Vita cristiana e vita morale nella fede si identificano. La morale unita alla fede diventa quindi parte della buona notizia, della vita in Cristo. La morale smette di essere qualcosa di individualistico e diventa morale comunitaria, della Chiesa, prolungamento di Cristo, sua contemporaneità fra di noi.

VS: Cap. 1 (6-27): 1. 6-14; 2. 15-21 (1-3, 84-87, 115); 3. 22-24 (11, 102-105, 106-108); 4. 25-27. [+ Pinkaers] I. Cap. 1 (9.03 - 10%), Cap. 2-4 (6.04 - 30%), Cap. 5-10 (giugno - 60%) + Colom/Rodriguez

2. NATURA, OGGETTO E METODO

2.1. Rapporto tra fede e vita (morale).

La teologia morale è teologia (scienza della fede, conoscenza dalle ultime cause, Dio e la sua rivelazione). Tradizione: trasmissione viva, compiuta dallo Spirito Santo attraverso i i diversi canali del magistero (dottrina), dei santi (vita), della liturgia (culto). La domanda su Dio non è da “specialisti”, ha bisogno non dell’esperto ma del testimone. I santi sono la maggioranza mediante i quali noi ci orientiamo.

Il metodo teologico: fede (fides quaerens intellectum) e ragione. Partendo dalla fede rifletto su di essa per capire e credere di più: crede ut iintellegas (comincio con credere per capire qualcosa del mistero) e intellege ut credas. L’oggetto della teologia morale è umano, la vita cristiana e le conseguenze per la vita cristiana di essere in Cristo (non è l’oggetto di fede come nelle altre discipline teologiche). Comprendiamo la morale dal CCC: la morale è la vita che nasce dalla fede (ex fide, non secundum fidem). La vita morale cristiana è fede che si fa vita, per cui non si può separare la fede (livello trascendentale) dalla vita (livello categoriale). La fede comprende la morale e la morale è espressione e conseguenza della fede. Ogni incontro con una persona richiede una risposta morale (lo è anche l’indifferenza), così la rivelazione di Dio richiede una risposta (d’amore), un dialogo con Dio nella vita. Non posso credere che Gesù è il Figlio di Dio incarnato e che questo non abbia conseguenze per la mia vita. Cristianesimo: odòs (cammino), “modo di vita” (CEI: “dottrina”). Non è filosofia ma seguire una persona.

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2.2. Rapporto tra teologia morale e scienze.

Metodo scientifico (riduce la realtà alla parte osservata in quanto misurabile, rischiando di considerare la realtà con solo ciò che è quantificabile): si osserva la realtà, si sperimenta, si formano ipotesi e forse diventanno leggi. Prescindono dal soggetto che fa la scienza. Epistemologia mediante formulazione di ipotesi, sempre relativa. Sembrerebbe quindi che tutta la conoscenza è ipotetica e falsificabile. Ogni scienza è legittima solo quanto sta nel suo campo, oltre il quale eccedono le sue capacità. Le scienze sono utili finché stanno nel proprio campo. Imperativo tecnologico: idea per cui è moralmente legittimo fare tutto ciò che la tecnologia permette di fare. Ci sono limiti morali in ogni genere di azioni.

Cautela verso il metodo scientifico di riduzione della realtà su ciò che vuole studiare quando lo si estende agli altri ambiti della realtà (riduzionismo scientifico) o della conoscenza (relativismo epistemologico) come se tutto fosse relativo e non ci fossero verità per l’assolutizzazione del metodo ipotetico-deduttivo. Altra cautela è contro la tentazione del potersi fare che diventa doversi fare, senza limiti morali (imperativo tecnologico). Le pratiche scientifiche sono atti umani e ogni atto umano ha contenuto e limiti morali. L’autonomia valida rispetta le leggi proprie di ogni scienza, quella illegittima nega ogni dipendenza della realtà con Dio (e dunque la Rivelazione). I martiri, obbligati a fare qualcosa che in coscienza non potevano fare, danno testimonianza di vita morale.

Conclusioni per la teologia morale: come usare le scienze senza che invadano o soppiantino un ragionamento teologico morale corretto?

- Essere aperta, non rifiutare il risultato delle scienze (dissociazione di personalità). - Filtrare e integrare le conoscenze scientifiche in una sana antropologia filosofica (visione umanista). - Assumere le scienze come descrittive della realtà, non normative (giudizio morale). - Le scienze moderne prescindono dal soggetto, non la teologia morale (non solo teoria, ma prassi).

È oggetto materiale della TM la vita cristiana e formalmente alla luce della rivelazione con l’aiuto della ragione, il suo metodo proprio la ragione (pratica!?) illuminata dalla fede.

C. Caffarra, Viventi in Cristo. Vita cristiana è la vita cristologica, trinitaria, vita in Cristo per la volontà del Padre.

3. LA SACRA SCRITTURA E LA TEOLOGIA MORALE.

3.1. Introduzione.

La risposta al peso di tante situazioni difficili di vita morale, per alcuni è stata quella di dividere la vita morale in due livelli: trascendentale e categoriale (B. Haring, J. Fuchs SJ). L’atto umano non è necessariamente cristiano, ma è cristiano quando lo si fa per amore di Dio, per cui a livello categoriale corrispondono le azioni concrete (o categorie di azioni), mentre a livello trascendentale appartengono le motivazioni profonde, gli atteggiamenti. A livello categoriale non ci sarebbe pertanto una specificità necessariamente cristiana ma semplicemente umana. Se è umana dipende solo dalla ragione, pertanto solo razionale e quindi autonoma “in contesto cristiano”.

Altri parlano di morale intramondana e mondana per le azioni nel mondo. Il bene e il male morale si potrebbe dire solo a livello trascendentale, delle motivazioni, e delle azioni a livello di “giusto e sbagliato”, di “correttezza”, giudicando le conseguenze delle azioni (consequenzialismo) o la loro proporzione di beni o mali “premorali” (ontici, metafisici: tutti i beni o mali che non sono morali), facendone il bilancio (proporzionalismo) in una etica teleologica (non dei fini ultimi in senso tomista ma nel fine delle azioni). La Sacra Scrittura e il Magistero che rimangono a livello trascendentale ci potrebbero offrire quindi solo delle motivazioni, senza dirci cosa fare in concreto (che dipenderebbe solo dalla ragione), considerati pertanto a livello di semplici opinioni. La Scrittura, nel darci indicazioni concrete, sarebbero “storicamente datate”, ovvero dei ”paradigmi” (modelli di pensiero). S. Paolo sarebbe un modello di come usare la nostra ragione per determinare quali siano le norme morali nel nostro contesto attuale. Dovremmo imitare Gesù nel modo di ragionare, determinando secondo ragione ciò che è bene e male nelle situazioni concrete (il Verbo di Dio si fa carne senza offrirci niente di nuovo). La salvezza non si giocherebbe a livello delle azioni concrete ma delle motivazioni profonde: cadono le azioni intrinsecamente immorali (azioni immorali senza eccezioni) e morali assolute, dipendendo dalle intenzioni e dalle conseguenze.

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La coscienza autonoma, creativa (delle norme morali nelle circostanze cambianti) fa l’uomo indipendente nello stabilire il bene e il male. Del peccato nascerebbe la nuova categoria: il peccato mortale a livello trascendentale (intenzione esplicita di andare contro Dio) e il peccato grave a livello categoriale. Ciò mette in discussione tutti i fondamenti della teologia fondamentale. Solo a livello trascendentale, non categoriale, esisterebbe una morale specificamente cristiana. La Scrittura sarebbe una sintesi del meglio della saggezza del tempo (manca il concetto di “ispirazione” introdotto dalla Dei verbum e tutta la teologia del Concilio Vaticano II, successivo a queste idee). Il livello categoriale (verità a livello umano) non sarebbe “rivelato” ma solo quello trascendentale (livello di fede), ma il problema consiste nella separazione di fede e ragione, le due ali che abbiamo per ragigungere la verità.

Crisi dei fondamenti: la distinzione fra livello trascendentale e categoriale (categorie, tipi di azione) cambia il modo di valutare le azioni morali (secondo le conseguenze), cambia la coscienza (diventa creativa: mi do norme secondo le circostanze), cambia la legge naturale (storica) e l’opzione fondamentale al solo piano trascendentale (il peccato non è mortale ma grave). La Scrittura non servirebbe quindi per il rinnovamento della teologia morale (dà motivazioni, paradigmi e modelli di pensiero a cui ispirarci senza copiare la soluzione: per le norme concrete quelle bibliche sono datate, non servono per l’oggi).

3.2. Giudizio critico (pars destruens).

- Vantaggio apparente di questa concezione della morale: sembra accontentare tutti, a livello categoriale non esisterebbe una morale cristiana, ma solo a livello trascendentale e solo per i cristiani.

- Errore metodologico: cerca di elaborare una teologia morale basandosi in casi limite che comunque non hanno bisogno di livelli morali trascendentali. Coscienza erronea: è di chi sbaglia nel giudizio di coscienza. Moralità e sua dimensione oggettiva (peccato materiale, secondo la moralità delle azioni in se stesse) e soggettiva (peccato formale, prendendo in considerazione la persona e le circostanze).

- Contraddizione interna: il sistema in se stesso non è coerente. Come si può parlare di morale autonoma quando nell’ordine categoriale (dipendendo solo dalla ragione) non c’è moralità? A livello trascendentale la morale non è autonoma, dipendendo dalla Sacrittura e dal Magistero.

- Dualismo antropologico a livello filosofico, razionale: si separa la persona (livello trascendentale) dalle proprie azioni (livello categoriale), separazione che non esiste nella vita reale (sì la distinzione). Le azioni dipendono dalla persona e influiscono su di essa determinandone gli abiti (virtù, modo di essere) e così formandone e sviluppandone le virtù (scelta del modo di essere: ogni mia scelta mi trasforma).

- Dualismo antropoliogico a livello teologico: Suarez sottolineava la gratuità della grazia di Dio che sceglie di farci suoi figli al crearci, non a livello puramente naturale ma in vista di Cristo, destinati a partecipare la natura soprannaturale di Dio, redenti e divinizzati. Si può distinguere speculativamente, ma non si può separare nella vita la fede dalla ragione come la carità dalla volontà umana puramente naturale. Le virtù sono princìpi, punti di partenza delle azioni buone, virtuose. C’è una intrinseca relazione fra la salvezza e i nostri comportamenti umani in un’etica a partire dalla fede (ex fide: la fede che dà i natali a una vita).

3.3. Come leggere la Scrittura (pars costruens).

- Si considera rivelazione solo ciò che è trascendentale, ideale, e non umano e categoriale (validità storica). Le esigenze biblighe sarebbero ideali, non obblighi. Si riduce la morale a norme, precetti e proibizioni: volendo correggere la teologia morale dei manuali, si propone una morale di obbligo, minimalista.

- Leggere la Scrittura cominciando dalla Parola di Dio (non da categorie ad essa estranee).

- La Parola di Dio è tutta rivelata, in parole umane e in modo progressivo.

- Parenetica (separata dalla dogmatica): “esortazione”, ma anche “insegnamento” (paraclesi).

- Fede e ragione: leggere la Scrittura con ragione e ragionare su tutto ciò che è rivelato.

- Metodo dell’insieme (vs. del residuo): la comprensenza di elementi AT e NT va vista nell’insieme che dà la differenza, perché escludendo quello che compare nell’AT, di cristiano rimane poco.

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3.4. Divisione generale: Alleanza, comandamenti e legge dell’amore.

- Il Decalogo.

Primato dell’alleanza che genera la Legge: il Decalogo (Es19 Dio enuncia l’Alleanza, Es20 Decalogo, Es20-23 Prescrizioni, Es24 Alleanza) è in funzione dell’Alleanza per l’offerta della comunione di vita in cui è Dio il protagonismo che fa alleanza con Abramo senza condizioni, per puro dono.

Funzione della Legge: è il modo per partecipare della santità di Dio, il modo per vivere nell’Alleanza come imitazione di Dio e senza la quale diventa legalismo e moralismo, dove non si vive per amare Dio ma in quanto è obbligatorio (perdita del senso profondo). I comandamenti come constatazioni, non imperativi.

- Gesù e la Legge.

Evitare riduzionismi secondo cui si vede il Vangelo come manuale di morale (teologia liberale di Harnack) o si esagera la parte dogmatica tralasciando l’etica. L’insegnamento di Gesù, la predicazione del Regno di Dio, consiste nella sua persona, seguirlo e imitarlo. Parte del Regno è la vita morale come conseguenza della fede. C’è continuità nell’insegnamento di Gesù nelle due antitesi primarie (Gesù non corregge la Legge ma la porta in pienezza: interiorità e radicalità) e secondarie (Gesù corregge alcune parti della Legge permesse “per la durezza dei cuori”) e c’è anche novità (collegamento indissolubile dell’amore di Dio con l’amore del prossimo inteso come il farsi prossimi di tutti; comandamento nuovo inteso come imitazione di Gesù e dono, non imposizione, in quanto con il comandamento ci dà la capacità di viverlo).

- Paolo e la Legge.

Paolo si confronta con due tipi di morale, ebraica (deformata nel fariseismo: giustificazione per la Legge) e pagana (morale delle virtù umane che rischia di cadere nell’orgoglio e nell’autosufficienza), che cadono entrambe nell’ipocrisia (consapevoli di non potere, curiamo l’apparenza) e nelle aberrazioni (sforzo e scoraggiamento). Paolo propone una morale della grazia che implica la conversione di vita per assumere quanto di buono c’è anche umanamente. Paolo chiarisce che bisogna illuminare la coscienza con la verità (mangiare la carne sacrificata agli idoli sapendo che non esistono) e correggere la coscienza erronea dei deboli (non agire contro la propria coscienza anche se erronea: mangiare pensando che è male), agire nella carità (non mangiare carne se fa male a mio fratello, rinunciando a un diritto per amore del fratello). I problemi si risolvono non per un ragionamento autonomo ma per virtù cristiana. Il conflitto fra lo spirito e la Legge, S. Tommaso lo risolve con gli elementi secondari alla grazia che è il Vangelo scritto, sacramenti (per ricevere la grazia) e il Magistero come elementi esterni necessari.

4. Magistero e Teologia Morale

Il Magistero si rivolge ai vescovi con funzione di insegnare, far vedere quanto necessario imparare (segnalare verso la verità: la corrispondenza fra ciò che pensiamo e la realtà): la rivelazione. Compito del Magistero è anche trasmettere, interpretare, discernere, giudicare (autorevole per la missione), con funzione ministeriale (servizio alla coscienza) e carismatica (grazie gratis datae) con la garanzia dello Spirito Santo (pari dignità del Papa e di qualsiasi figlio di Dio nella diversità dei carismi).

È oggetto del Magistero tutto ciò che insegna in fide et moribus. La fede comprende la morale, parte necessaria per la salvezza (il livello categoriale dipendente dalla ragione autonoma non ha alcuna autorità sulla morale). Oggetto primario dell’insegnamento sono le verità formalmente rivelate, secondario sono quelle implicitamente rivelate in quanto sono necessarie per spiegare e difendere le verità formalmente rivelate. Modalità di esercizio del Magistero: ordinario o comune e straordinario o solenne.

Qualifica e valore: autenticità (per competenza) e infallibilità (per l’indefettibilità del dono di Gesù alla Chiesa) condizionata in questioni di fede morale (oggetto), a tutta la Chiesa (estensione) e in quanto verità irreformabili da ritenersi in modo definitivo (modo: natura del documento, frequenza dell’insegnamento, linguaggio [LG25]). L’infallibilità è sincronica quando concentrata in un dato momento e diacronica lungo il tempo, in docendo nel Magistero ordinario universale e in credendo nella fede dei fedeli (Newmann).

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Gradi o livelli di insegnamento.

- Verità insegnate come dogmi di fede (divinamente rivelate... formalmente o virtualmente appartenenti alla rivelazione), pena la excomunione latae sententiae (per il fatto stesso dell’eresia). Insegnamenti del Papa e del Concilio “ex-cathedra” o del Magistero ordinario universale.

- Verità da ritenersi in modo definitivo al fine di una piena comunione con la Chiesa.

- Insegnamenti che difendono o che spiegano i dogmi di fede e le verità da ritenersi in modo definitivo (ragionamenti teologici-filosofici), da cogliere con ossequio religioso (rispetto, pietà filiale, lealtà fondata sulla fede) anche se in disaccordo, da cui la posizione temeraria che richiede approfondimento.

- Insegnamenti o indicazioni/ordini di ordine prudenziale in materia contingente (non di fede o morale).

Autenticità: punto di partenza nell’accettazione della legittimità dell’ambasciatore a cui segue l’analisi di quanto viene insegnato, indicato, ordinato. I teologi spiegano la fede ma non la insegnano come il Magistero, in quanto la teologia non è regola ma scienza della fede. Hanno ruoli diversi ma complementari.

Il dissenso è il presunto diritto di dissentire pubblicamente dal Magistero. Magistero parallelo: insegnare a nome della Chiesa qualcosa che è contraria al Magistero della Chiesa.

5. L’azione morale e la persona.

La propensione a considerare l’atto umano come il solo atto fisico rende la moralità estrinseca all’azione e da qui nasce la tendenza proporzionalista (tecnica per calcolare i migliori risultati). Uccidere per legittima difesa: l’atto è la difesa, non l’uccisione. Habitus: modo di essere stabile (scolastica), abitudine (concezione moderna).

- Filosofia classica: diventiamo ciò che scegliamo di essere attraverso azioni e comportamenti.

o Atto umano (libero e cosciente) vs. atto dell’uomo (senza libertà, istintivo e amorale).

o Atto interno (elicitus, scelto) vs. esterno (imperatus, comandato).

o Fare (facere, produrre: campo tecnico) vs. agire (agere, comportamento: campo etico).

o Dimensione fisica (atto) e morale (oggetto intenzionale) delle azioni.

- Metafisica dell’azione umana (distinzione degli elementi per giudicare la moralità delle azioni):

Ciascun elemento ha un peso morale (moralità intrinseca), posto l’oggetto intenzionale “più importante” in quanto determina la specie dell’azione e permette di catalogarla. Segue la finalità, il motivo, pertanto l’oggetto intenzionale costituisce il mezzo per il suo raggiungimento in una serie di circostanze precise fra le quali si danno anche le conseguenze. Il peso morale delle circostanze le può rendere più rilevanti dell’oggetto intenzionale al giudizio morale generale dell’azione.

Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defecto: l’azione è buona quando lo è in ciascuno degli elementi, ma è cattiva quando anche un solo elemento si configura in quanto male morale. Secondo il principio di non contraddizione non si puà volere il bene e il male allo stesso tempo, per cui accettando il male morale di oggetto e circostanze anche lo scopo dell’agente si rivela diverso, per cui non cerco il bene dell’altro ma evito il male per me (De Finance).

Differenza fra il volere di un fine ulteriore e il desiderare: esiste un’unica azione dove si vuole raggiungere un fine ulteriore: non esistono mezzi senza fine ulteriore e vs. in quanto sono parte della stessa azione, dello stesso atto del volere (non posso volere andare a Plutone perchè non c’è modo per arrivarci: non esiste il mezzo, l’azione). Non si può volere l’impossibile per se stesso o per me. Posso solo desiderarlo (senza passare all’azione: non diventa intenzione). Non esiste volere in senso pieno se non esiste l’azione.

La moralità consiste nell’adesione della volontà al bene o al male morale come lo percepisce la ragione.

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o Oggetto: atto umano intenzionale (intenzione prossima intrinseca all’azione). Oggetto dell’atto non è l’azione fisica, ma dipende dall’agente (M. Rhonheimer: l’oggettività della soggettività) che nel fine prossimo determina il tipo di azione, la sua specie (non nelle finalità aggiuntive). Il fine prossimo è costitutivo dell’azione, le dà l’essenza.

Che cosa voglio fare nel far questo?

Fin qui è una questione metafisica, non morale (per cui bisogna vedere fine e circostanze e anche le conseguenze delle circostanze, la cui coscienza può cambiare lo stesso oggetto intenzionale). Si tratta dell’azione in se stessa: opus rationis (S. Tommaso). Il finis operis (oggetto intenzionale) è già un finis operantis (fine prossimo dell’agente).

o Fine: intenzione ulteriore o motivo, finalità del soggetto.

Finalità o scopo per il quale si compie l’azione. Non è costitutiva secondo l’essenza dell’azione (non ne determina il tipo), ma riguarda il movente (carità, vendetta, arricchimento o nutrimento a motivo di un furto) che dà inizio all’azione (S. Tommaso “è il primo nell’intenzione e l’ultimo nell’esecuzione”, motiva a compiere l’azione, è il suo motore).

Perché voglio far questo?

Fine ulteriore (progetto) e fine prossimo (scelto) possono coincidire nell’azione fine a se stessa (ha senso in se stessa), ma mai il fine ulteriore può cambiare l’essenza dell’azione.

Evitare i due scogli (Scilla e Cariddi): materialismo o fisicismo dell’azione (concepire l’azione come azione fisica) e soggettivismo dell’intenzione ulteriore (farla diventare oggetto intenzionale).

Bene pratico: azione che mi attira (Etica niomachea / Tommaso: ciascuno è attirato da un tipo di azione secondo il tipo di persona che è... “le nostre tentazioni ci mostrano le nostre debolezze”). Bene morale: valore morale intrinseco all’azione.

o Circostanze: condizioni che stanno intorno all’azione (senza cambiare l’oggetto dell’azione).

Se una circostanza cambia l’oggetto intenzionale è perché ne fa parte (è parte della definizione di adulterio il soggetto con cui si compie l’azione sessuale).

Chi compie l’azione? Come, quando e dove? Quanto (intensità)?

Il proporzionalismo giudica “solo” secondo le circostanze, ma “anche” le circostanze convergono nel giudizio morale e possono essere determinanti. Prudenza: perfeziona la ragione del soggetto.

In ordine all’intenzione e fine ultimo ... S. TOMMASO

1. Atti della ragione: semplice apprensione dell’essere 2. Atti della volontà: semplice volizione (tendenza generale) 3. Giudizio sul fine da raggiungere 4. Intentio (proposito: tendere verso il fine ulteriore) 5. Consilium (deliberazione personale) 6. Consensum (acconsentire ai mezzi utili al proposito.. O.I) 7. Iudicium (giudizio/sentenza) 8. Electio (scegliere/decidere di metterli in atto.. O.I)

In ordine all’esecuzione ... (desiderare: fra 2 e 3.. ma è già peccato..)

9. Imperium (comando della ragione: fallo) 10. Usus (azione concreta.. O.I) 11. Usus passivus 12. Fruitio (rattristarsi o godere dell’azione)

Voglio raggiungere un obiettivo / Cerco i mezzi (azioni concrete) / Acconsento ad alcune azioni (tentazioni di pensiero) / Giudico e scelgo (o meno, per cui ci sono buone intenzioni senza decisione) / Eseguo e ne godo o me ne rattristo...

Le azioni sono principalmente interne (azioni della volontà) e solo alcune di esse si manifestano in azioni concrete e poiché la moralità consiste nell’adesione della volontà al bene/male come lo conosciamo per la ragione (intendere, acconsentire e decidere), è principalmente negtli atti interni che matura il soggetto morale (il nucleo della moralità è nella volontà).

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A ogni azione intrinsecamente immorale corrisponde una norma morale assoluta, sempre negativa in quanto obbliga sempre e in ogni circostanza, senza eccezione perché immorale per se stessa nell’oggetto intenzionale. Le norme morali positive concrete obbligano sempre ma non in ogni circostanza.

La moralità delle azioni consiste nella “adesione della volontà al bene o al male come lo percepisce la ragione”: radice della moralità è il volere (atti interni presenti in ogni azione: acconsentire, scegliere, godere o rattristarsi), per cui anche le omissioni hanno moralità, in quanto si sceglie volontariamente l’omissione.

Desiderare, volere, oggetto intenzionale e fine ulteriore. “Desiderare” non è un atto interno collegato all’azione in S. Tommaso perché sì atto interno (ha moralità) ma non corrisponde a un’azione (per cui mezzi e intenzione). L’oggetto intenzionale, l’azione in se stessa, è sempre un mezzo in ordine al fine ulteriore. Se non ci sono mezzi per raggiungere un fine, non è possibile volerlo. Nel “proposito” c’è l’intenzione (la persona cerca i mezzi adatti), mentre il “desiderio” fine a se stesso non porta all’azione. Oggetto intenzionale e fine ulteriore hanno un nesso intrinseco, per cui un fine buono non può mai giustificare mezzi immorali, perché oggetto e fine sono parte dello stesso volere (nel fondo non si cerca il bene in se stesso ma qualcos’altro che non è il bene).

Si giudica un’azione nel contesto e alla luce della virtù corrispondente. Sottrarre cibo per fame non è rubare, lo sembra ma l’azione non comporta ingiustizia contro il ragionevole consenso del proprietario. La legittima difesa non è uccidere se è minima violenza necessaria: l’azione comporta il difendersi, non l’aggredire. La menzogna causa una ingiustizia quando l’altra persona ha diritto a conoscere la verità: le parole possono non corrispondere alla realtà ma non è menzogna se non si produce ingiustizia con un leso diritto legittimo.

Responsabilità: (I) di cosa sono responsabile e (II) fino a che punto?

Essere responsabile: “dover rispondere” di ciò che si è liberamente compiuto come padroni delle proprie azioni, di quanto vogliamo come fini, mezzi (oggetto intenzionale) e circostanze. Le azioni morali ricevono la loro specie morale secondo ciò che si intende, per cui il principio del doppio effetto o “volontario indiretto” o “in causa”.

Principi (o modi di organizzare il pensiero) per analizzare la moralità delle azioni in casi difficili:

- Di che cosa sono responsabile?

o Imputabilità (P. Gury, sj) della responsabilità di un effetto negativo causato involontariamente:

i. Prevedibilità dell’effetto negativo: conoscevo le possibili conseguenze. ii. Evitabilità dell’effetto negativo: potevo evitare. iii. Obbligo morale di non realizzare l’azione: dovevo evitare.

o Non imputabilità (principio formale speculare) del doppio effetto. Analisi: gli elementi di adesione della volontà secondo ragione nelle condizioni del doppio effetto sono (1) l’azione buona in sè (oggetto intenzionale e conseguenze delle circostanze non sono intrinsecamente immorali), (2) l’effetto positivo dell’azione e non dell’effetto negativo che costituirebbe l’oggetto intenzionale (l’effetto positivo deve derivare direttamente dall’azione), (3) l’intenzione ulteriore deve essere solo il raggiungimento dell’effetto positivo (l’effetto negativo non deve esserne parte), (4) deve essere moralmente ragionevole agire, al giudizio della prudenza (saggezza morale che perfeziona la ragione pratica nel discernimento delle circostane attuali), in caso di conseguenze negative e date le ragioni proporzionatamente gravi di giustizia (doveri propri) e carità (verso il prossimo), (5) deve essere ultima ratio l’azione che ha un duplice effetto negativo (unica e ultima possibilità, per cui il duplice effetto negativo è inevitabile e non costituisce l’oggetto intenzionale occulto). Tutte le azioni umane hanno effetti secondari che non implicano l’adesione della volontà la quale a sua volta determina l’oggetto intenzionale.

Il proporzionalismo riduce l’analisi dell’azione in quanto azione intenzionale al solo aspetto fisico che produce effetti fisici e quindi contempla la sola quarta condizione: analisi delle conseguienze e proporzioni di effetti positivi e negativi (ma non si può prevedere il futuro in senso assoluto).

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o Cooperazione al male (doppio effetto nell’assistenza di altri nel compiere un’azione immorale).

i. Cooperazione formale: quando chi collabora è d’accordo con il male che l’altro compirà (se ne condivide l’intenzione immorale, adesione al male).

ii. Cooperazione materiale: non intenzionale.

1. Diretta o indiretta, immediata o mediata. Si aiuta l’altro a compiere l’azione o se ne proporzionano i mezzi.

2. Prossima o remota. La cooperazione diretta è sempre prossima, quella indiretta può essere prossima (proporzione dei mezzi) o remota.

3. Necessaria o innecessaria. Impossibilità di compiere l’azione senza il mio aiuto, per cui dipende dalla mia decisione la realizzazione dell’azione.

Quanto più diretta, prossima e necessaria è la cooperazione al male, più gravi devono essere le ragioni perché sia moralmente lecita secondo le condizioni.

iii. Cooperazione come doppio effetto: azione volontaria positiva, effetto materiale negativo.

1. L’azione buona in se stessa o non intrinsecamente immorale: l’azione fisica non ha per oggetto intenzionale la cooperazione formale.

2. L’effetto positivo non è prodotto direttamente dall’effetto negativo che rimane indipendente dalla volontà e azione propria (il fine non giustifica i mezzi).

3. L’intenzione ulteriore non è voluta (scelta e volontà di agire, a malincuore).

4. Ragioni proporzionatamente gravi al giudizio prudente di retta ragione conforme a giustizia e carità impongono la cooperazione materiale.

5. Ultima ratio: non c’è alternativa alla cooperazione materiale.

Regola d’oro: “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Condizioni complementari: tentazione di passare a una cooperazione formale e scandalo (si compissero le cinque condizioni ma rimanesse lo scandalo – influenzare al peccato – ne potrebbe derivare motivo sufficiente per evitare la cooperazione al male).

o Pricipio del male minore (+ Principio di totalità o principio terapeutico).

i. Scegliere un male morale, sia maggiore o minore, è moralmente illecito.

ii. Tollerare un male morale è moralmente lecito (soffrire, sopportare, non autorizzare) se impedirlo causerà mali più gravi in considerazione a beni superiori.

iii. Consigliare un male morale è moralmente lecito se si può convincere un altro a rinunciare a una parte del male che ha intenzione di compiere.

Caso: polizia di frontiera, narcos avvisa un agente di lasciar passare un camion minacciandone la famiglia (moralmente lecito dipendendo dal tipo di droga). Verifica dell’adesione al male:

▪ Cooperazione materiale, non formale (l’agente è minacciato, per cui non vuole il male). ▪ Tipo di cooperazione (per conseguire l’effetto positivo di salvare la famiglia):

• indiretta (non coopera direttamente al fatto che le persone si droghino),

• remota (il lasciapassare non è prossimo alla tossicodipendenza),

• necessaria (è difficile che passi la droga se l’agente non coopera). ▪ Condizioni del doppio effetto (volontà dell’oggetto, dell’effetto negativo e del fine):

• l’azione intenzionale non è intrinsecamente immorale (lasciar passare un camion),

• l’effetto positivo è indipendente da quello negativo (famiglia salva),

• l’intenzione ulteriore dell’agente è per l’effetto positivo e non per il negativo,

• ragioni proporzionatamente più gravi (tossicodipendenza vs. strage familiare),

• ultima ratio (rinunciare al lavoro non mette al sicuro la famiglia in modo certo).

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Proporzionalismo: riduzione dell’azione intenzionale al solo aspetto fisico.

Descrizione intenzionale, non solo materiale (anche se l’azione intenzionale può coincidere con quella fisica: il lancio di bombe atomiche ha come oggetto intenzionale causare più danni possibile in numero di vite umane). Errore: le azioni non sarebbero buone o cattive intrinsecamente ma giuste o sbagliate secondo la proporzione di beni o mali premorali o sono le conseguenze da valutare.

Caso: un chiosco a Roma è minacciato di perdere il lavoro se non mette in vista riviste pornografiche.

1. Valutazione dell’azione F/M: è cooperazione materiale. 2. Valutazione delle ragioni Tipo: è diretta, prossima, necessaria. 3. Valutazione degli effetti Doppio effetto: L’ogg.intenzionale non è intrinsecamente immorale per sé

L’effetto “+” non deriva da quello “-“ ma dall’azione L’intenzione ulteriore è “+”, l’effetto “-“ non è voluto

[Ambiguità/compolessità perché opinabile →] Ragioni proporzionatamente gravi per cooperare Ultima ratio: non c’è altro mezzo per mantenere la famiglia

Fisicismo: dato solo l’aspetto fisico, esterno dell’azione (“uccidere”), relegando l’aspetto interno dell’intenzione ulteriore (“per difendermi”) al livello trascendentale che ne determinerebbe la moralità, si darebbe un sistema morale essenzialmente utilitarista nel suo proporzionalismo, il fatto che “funziona”. Non è un sistema a-morale, ma solo un sistema per valutare le azioni umane che a livello categoriale non avrebbero alcun valore morale, non esistendo azioni intrinsecamente immorali o incorrette perché ciò dipenderebbe dalle circostanze e dalle conseguenze. Non ci sarebbero pertanto norme morali assolute, avendo valore le norme morali ut in pluribus, nella maggior parte dei casi, in genere, con le dovute eccezioni secondo circostanze e conseguenze.

6. Sentimenti e passioni

L’uomo è costituito da una dimensione razionale del conoscere (ragione) e del tendere verso (volontà) e un’altra sensibile del conoscere (sensi esterni/interni) e del tendere verso (appetito sensibile, concupiscibile e irascibile). Sentimenti, emozioni (sentimenti forti e stati d’animo) e passioni sono le diverse risposte dell’appetito sensibile secondo il bene dei sensi, gradevole o spiacevole. I bisogni naturali determinano tendenze naturali legate alla ragione (Dio, verità), vita (mangiare, bere, possedere), alla società (accettazione sociale), buone finché ordinate. La soddisfazione dei bisogni da parte del mondo suscita una reazione affettiva, sentimenti intesi come reazioni, movimenti spontanei della sensibilità e della volontà, passioni innescate dalla risposta che il mondo dà ai nostri bisogni e tendenze naturali.

Classificazione formale (non tematica), riguardo al bene e al male in sé.

Appetito concupiscibile del bene piacevole In sé Ancora non posseduto Posseduto

Bene amore/attrazione desiderio piacere Male avversione/disgusto fuga tristezza

L’avversione è l’amore contrariato, il desiderio è l’amore che tende, il piacere è l’amore che assapora il bene posseduto, la tristezza è l’amore che ha perduto il suo bene.

Appetito irascibile del bene arduo

Bene (sentimenti di lotta) ira/collera Possibile speranza (già è piacere) Impossibile scoraggiamento (già è piacere) Male (sentimenti di resistenza) Possibile audacia (vincere il male) Impossibile timore

Quando il bene è importante o l’ostacolo è grande, l’ira e la collera sono prodotti da un sentimento molto forte quando il male si fa presente. La compassione mescola tristezza per il male di qualcuno e il desiderio di aiutare.

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Sentimenti e passioni: non sono razionali, ma reazioni normali e necessarie per la vita umana (Gesù piange, si adira, gioisce), non sono da combattere ma sono energie di cui Dio ci ha dotato per una vita più umana:

- per fare il bene in modo più completo, coinvolgendo tutta la persona (aiutare con desiderio e piacere, con amore) - per percepire meglio il bene e il male (per connaturalità, per amore).

La virtù della carità conforma la sensibilità umana in modo tale che si percepisca il bene da fare. Il sentimento non può essere criterio di giudizio e volontà, in quanto gradevole, perché può non essere conforme alla ragione. Le passioni non vanno represse ma canalizzate, educate. Il desiderio, il godere, l’audacia sono energie messe al servizio del bene mediante le virtù teologali (direttamente) e morali (indirettamente). L’unica passione che non è possibile educare perché negativa in sé è la disperazione (scoraggiamento), impossibile da redimere mediante la grazia ma da combattere con l’incoraggiamento. La tristezza può essere educata ma non è un sentimento in cui si possa vivere a lungo perché di per sé paralizza. Condizioni per la moralità delle passioni:

- Volontarietà: nella misura in cui interviene la volontà aderisco o meno al sentimento “secondo ragione”.

- Oggetto: per cui il sentimento è nobile o meno.

- Misura: la quantità o intensità segnalata dalla retta ragione tramite le virtù (ordine).

- Unità e influsso reciproco: c’è un flusso vicendevole fra la dimensione razionale e sensibile. Le passioni possono essere antecedenti, concomitanti o conseguenti al momento in cui percepiamo qualcosa con la ragione. Possiamo suscitare da noi stessi sentimenti e passioni.

- Amore: radice di tutte le azioni umane è l’amore nella dimensione sensibile, la volontà in quella razionale. Ogni reazione è una risposta di amore (ordinato o meno) come tendenza verso ciò che percepiamo come un bene. Tutta la vita cristiana consiste nell’imparare ad amare. La possessione del bene porta gioia (se la vita cristiana porta un peso con sé, c’è qualcosa che non va) per l’ordinamento delle tendenze naturali mediante le virtù nonostante non potremo mai integrare perfettamente sensibilità e razionalità. Amare Dio o chiunque altro è amore di risposta, per cui è necessario fare l’esperienza di essere amati per amare, risonanza affettiva e cambiamento prodotto dalla percezione di un bene in modo da tendere ad esso.

7. Virtù

Ager sequitur esse: le azioni dipendono dall’essere in senso metafisico e morale, per il fatto che siamo esseri dotati di facoltà (ragione e volontà, sensi e sensibilità) per cui la qualità e perfezione delle nostre azioni dipende dalla perfezione delle nostre facoltà. Le virtù sono modi di essere, qualità stabili della persona che facilitano una eccellenza dell’agire morale per essere un certo tipo di persone, cristiani.

Le virtù sono perfezioni della persona in qualcuna delle sue facoltà. La carità perfeziona la persona perché pone in essa l’amore di Dio. La fede perfeziona la ragione che vede e pensa le cose come le vede e pensa Dio stesso. La prudenza in quanto percezione di ciò che è bene in concreto secondo le circostanze perfeziona la conoscenza, la ragione. La giustizia in quanto amore del prossimo come di se stesso perfeziona la volontà. La fortezza e la temperanza mettono ordine nell’appetito concupiscibile.

Le virtù soprannaturali (infuse), teologali e morali. Se la grazia eleva tutta la persona e quindi anche la ragione e la volontà come la sensibilità perfezionandole, anche le virtù morali possono avere origine soprannaturale in quanto infuse (questione disputata). La divinizzazione, deificazione dell’uomo per opera della grazia in quanto Dio ci fa partecipi della sua natura, divinizzando l’essere divinizza anche le facoltà umane. È cristificazione per il fatto che siamo creati in Cristo e in vista di Cristo, figli di Dio in Cristo, per cui ogni virtù è tale al modo di Cristo.

Le virtù morali (termine medio relativo a noi, regolato dalla retta ragione): habitus elettivo, modi di essere stabili che si acquisiscono nella ripetizione volontaria, libera e cosciente, in modo che le azioni umane ci trasformino. Le virtù umane non si perdono con un atto contrario anche in materia grave, ma è necessario il lento cammino contrario. Le virtù soprannaturali si perdono con la grazia nel peccato mortale. Danno capacità ma non facilità, dipendente dall’esercizio di azioni virtuose. Nelle virtù umane capacità e facilità sono unite.

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Le virtù sono abiti elettivi: agire sapendo ciò che è bene scegliendolo interiormente perché è il bene e in modo fermo e perseverante. Perfezionano la libertà liberata e incline al bene in quanto scelto nel modo giusto. Abiti elettivi che consistono in un termine medio relativo a noi (la giusta misura fra due eccessi secondo le circostanze individuali) regolato dalla retta ragione nella forma in cui lo regolerebbe l’uomo veramente prudente.

Bisogno delle virtù morali: (perfezionano la persona perché le tendenze siano ordinate)

(1) insufficienza delle nostre facoltà per tendere al bene secondo la ragione (anzicché alle cose piacevoli),

(2) molteplicità e complessità delle circostanze e situazioni (nuove e imprevedibili),

(3) diversità delle condizioni della persona,

(4) disordine e disarmonia interiore dovuta al peccato originale, passioni non soggette alla ragione, egoismo della volontà, oscuramento dell’intelligenza.

- Dimensione intenzionale e cognitivo-affettiva (amare il bene e tendere a esso):

o La virtù conduce ad avere l’intenzione di un fine retto, virtuoso.

o ...rimuove gli ostacoli e il disordine degli appetiti sensibili

o ...necessita di cuore puro per potere fare il bene

o ...tendendo al bene, lo riconosce affettivamente, per connaturalità, per inclinazione (imparata per esperienza, non solo in modo teorico e speculativo)

o La conoscenza della ragione guidata dalla affettività è una conoscenza concreta

o La saggezza morale (prudenza) non giunge all’azione buona concreta...

▪ ...se non si tende al bene (volere il bene per me) ▪ ...se non si rimuovono gli ostacoli affettivi (passioni e volontà)

- Dimensione elettiva

o Prudenza:re rettamente i mezzi (azioni) per i fini virtuosi

o Verità pratica: conformità della ragione all’appetito retto (desideri del fine virtuoso)

▪ La ragione è retta se nella scelta dell’azione si conforma ai fini delle virtù morali (principi cognitivi delle virtù conosciuti in modo naturale)

▪ L’appetito è retto nell’azione concreta se si conforma al giudizio della ragione retta. ▪ Rispetto al fine, è retto in quanto alla misura di tale conformità.

o Appetito retto e ragione pratica sono in reciproca dipendenza (virtù morali e prudenza)

o Fini virtuosi e saggezza morale sottolineano l’unità e coerenza della ragione pratica nel loro stretto rapporto (connesisone con le virtù)

▪ La ragione che determina un fine è la stessa ragione che determina le azioni ionee (mezzi) per realizzarle quel fine (voluntas intendens, voluntas eligens)

Formazione delle virtù: ripetizione di atti (se contrari ad esse le diminuiscono e si possono perdere del tutto), comunità virtuosa, guarigione della natura attraverso la grazia.

Virtù e doni dello Spirito Santo. I doni sono anch’essi habitus, disposizioni permanenti, stabili, che perfezionano le virtù infuse per compiere il bene in modo eccellente, verso un certo comportamento virtuoso (andare a remi): renderci docili alle azioni dello Spirito Santo (vento che soffia sulle vele).

Quello delle virtù infuse è agire come Dio ma sempre un modo di agire umano, anche se per grazia. Nei doni dello Spirito Santo è un agire come Dio in senso pieno perché è lo Spirito che ci muove (gli animali sono mossi dagli istinti, l’uomo virtuoso da se stesso). Ciascun dono dello Spirito Santo perfeziona una delle virtù infuse. (libro: tradizione morale cattolica)

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8. Legge morale

Ogni legge (1) fa parte di un ordinamento razionale, ed è (2) promulgata (3) dall’autorità competente (4) per il bene comune (una legge immorale non ha forza di legge perché non è per il bene comune, bisogna disobbedirla), (5) ordinata alle virtù corrispondenti (le leggi civili sono ordinate alla formazione delle virtù civiche).

La legge eterna di Dio (il piano di salvezza di Dio) si rivela come legge divina nella Rivelazione [legge antica (AT) e come legge nuova (della grazia)]. Elemento principale della legge nuova è la grazia dello Spirito Santo. Poiché siamo incarnati abbiamo bisogno di elementi secondari ma non meno importanti, elementi esterni mediante i quali Dio ci aiuta a conservare la grazia (sacramenti, Vangelo). La legge naturale è tale per tutte le creature non razionali, e morale per le creature razionali. La legge positiva umana è poi quella civile ed ecclesiastica.

Dio rispetta il modo di essere di ogni creatura, a cui dà la capacità di guidare se stessa con la legge naturale, e per cui lascia all’uomo la libertà di organizzarsi e il modo di comportarsi per il bene con la legge morale naturale.

La grazia è legge per analogia (razionale, promulgata da Dio per il bene comune, ordinata alle virtù infuse). Così la stessa legge morale naturale è immutabile (perché ordinata al bene) fin nei suoi fondamenti biblici:

- Rm2, 14-15: “anche i pagani sanno distinguere il bene dal male”. - Mt19,4-9: “Mosé vi ha permesso ma nel principio non fu così” (piano originale di Dio).

Non cambiano i principi di legge morale naturale ma cambia (1) la loro applicazione (usura, prima in assoluto, poi in certi limiti secondo principi di giustizia), (2) la nostra conoscenza di essi, (3) la formulazione linguistica.

Principi delle virtù: tutti i principi della legge morale naturale enunziano il modo di vivere una virtù, nel suo fine (rubare è ingiusto in se stesso: il divieto enunzia ciò che la virtù della giustizia richiede in relazione al prossimo; mentire è ingiusto in relazione a dati contesti di giustizia della comunicazione). Un principio morale è il punto di partenza di un’azione virtuosa.

Inclinazioni naturali e principi morali: per la nostra affettività razionale (volontà) e sensibile (appetito sensibile, concupiscibile e irascibile), grazie alle inclinazioni naturali (verità/Dio, società, vita) conosciamo ciò che è bene per noi. Grazie poi ai principi morali conosciamo il modo ragionevole per accedervi e tramite le virtù tendiamo ad essi in modo ordinato. I principi della legge morale naturale sono il modo razionale di regolazione delle nostre azioni riguardo ai beni ( ci dicono come agire), le virtù regolano le inclinazioni naturali che ci portano all’azione.

Il primo principio della LMN è amare Dio sopra ogni cosa (conoscendolo, va amato) e il prossimo come se stessi (primo principio di giustizia). In secondo luogo, abbiamo i principi primi (più comuni) che indicano i fini generali delle virtù (fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te). Quindi i principi secondari prossimi (Decalogo) e remoti (più dettagliati) dove l’errore è già possibile per il peccato e le deviazioni della cultura.

Il rapporto fra principi e norme: le virtù generano, danno senso ai principi della LMN (rubare non ha senso alla luce della virtù della giustizia) in quanto principi delle virtù (punti di partenza), da cui seguono le norme morali come enunciazione linguistica dei principi della LMN (i principi li viviamo in quanto guidano la nostra azione, ma quando abbiamo difficoltà facciamo memoria di essi enunciandoli dopo un processo di riflessione). Conseguono a ciò il livello diretto dell’esperienza (principi della LMN: nell’agire viviamo i principi senza rendercene conto) e della sua riflessione (alla luce della scienza morale come abito della conoscenza, della sinderesi come abito dei primi principi pratici, della coscienza morale che applica tutto in un giudizio sulla moralità delle azioni) in senso di etica filosofica o di teologia morale.

Certi tipi di azione non rientrano nel campo della norma (non sono eccezioni) perché non rientrano nel campo della virtù (rubare per fame). La norma morale (contraccezione) ha senso per il principio di LMN (apertura alla vita) alla luce della virtù corrispondente (castità). I conflitti morali si risolvono alla luce delle virtù corrispondenti. La norma di mantenere le promesse che enuncia il principio di giustizia non ha senso in un contesto estraneo (se la promessa è una minaccia viola la virtù della giustizia riguardo alla vita). Il senso della norma è dato dalla virtù nel suo contesto. Non c’è conflitto di valori in linea di principio ma si risale alle virtù cardinali e teologali.

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9. Coscienza morale

I conflitti morali sono conflitti di coscienza che possono mnanifestare etiche scrupolose.

La coscienza come giudizio della nostra ragione in merito alla moralità delle nostre azioni ha un senso teologico complementare quello della coscienza come voce di Dio (cuore, intimità della persona). La coscienza erronea mostra che non tutto quello che abbiamo nel cuore è voce di Dio e che di solito Dio parla attraverso la nostra ragione, per discernere il bene e il male.

La formazione della coscienza avviene su due livelli: informando (il giudizio di coscienza parte sempre dai principi per cui guardo l’azione alla luce di un principio superiore perché la coscienza non ha luce propria ma è illuminata dalla luce della verità sul bene) e secondo virtù connaturate (la delicatezza di coscienza è amore di Dio), per cui quanto più virtuosi siamo meno abbiamo bisogno del giudizio di coscienza perché già tendiamo al bene in modo connaturale, spontaneo. Quanto meno virtuosi siamo più abbiamo bisogno dell’intervento della coscienza nel segnalarci la qualità morale delle nostre azioni. Per chi è virtuoso, l’importante è discernere “come” fare il bene. La prudenza, nella vita cristiana, è pertanto superiore alla coscienza che muove alla riflessione morale, in quanto regola il comportamento spontaneo.

Errore nell’uso del termine di coscienza: la coscienza è il giudizio della mia ragione sulla moralità delle mie azioni e non sulle azioni del prossimo. Non è possibile giudicare le azioni del prossimo secondo coscienza ma secondo ragione. Un’azione moralmente buona può essere sbagliata secondo prudenza ma non secondo coscienza.

Errore nell’uso della epikéia: applicata ai principi della LMN, alla luce dei quali giudica la coscienza, si applica la epikéia al giudizio di coscienza. Si applica solo alle leggi positive, in quanto eccezioni (non alla legge positiva ma secondo lo spirito della legge), quando il senso ultimo dell’esigenza della legge è andar contro la norma di legge presa alla lettera. È una sottospecie di giustizia che ci aiuta a capire qual è il aenso della legge positiva e vivere lo spirito della legge in circostanze in cui va violata in senso letterale. Non si può applicare alla legge evangelica perché mai ci potrà essere un’eccezione.

Tipi di coscienza: vera quando giudica secondo la verità, erronea quando sbaglia invincibilmente o vincibilmente. La persona non si rende conto di sbagliare e così non può uscire dall’errore. Quando per operazione diretta di Dio o per altre circostanze esterne vedo altri modi di procedere posso cominciare a sospettare di essere in errore e vincerlo uscendovi. La coscienza è giudizio sul bene, la moralità delle nostre azioni, per cui la coscienza erronea non deve essere seguita e devo cercare di vincere l’errore. Anche quando la coscienza è dubbiosa o perplessa è opportuno non agire prima di risolvere il dubbio o agire nel modo migloiore possibile e se qualunque possibilità è in sé sbagliata si tratta di un falso conflitto, spesso di scrupoli, perché Dio non chiede di compiere due cose allo stesso tempo ma di assolvere agli impegni più urgenti secondo il proprio stato di vita.

Amoris Laetitia: unico interprete legittimo è il suo autore (non vuole cambiare il can.915). Il documento è valido per la spiritualità del matrimonio e l’attenzione pastorale dei coniugi.

10. Peccato

nn.65-70 VS

Livelli trascendentali e categoriali: le motivazioni a livello trascendentale rendono impossibile il peccato mortale a livello ctaegoriale, che sarà solo grave o veniale, non mortale. Sorge una nuova categoria nel proporzionalismo, che nella dottrina cattolica non è ammessa. L’opzione fondamentale non si dà solo a livello trascendentale ma nell’unico livello che è la persona completa, non ci sono due livelli.

Peccati che non ammettono parvita di materia: non è corretta l’espressione. Ci sono due tipi di materia: materia grave che ammette parvità (divisibilità) o meno (non ci sono piccoli omicidi) e materia che di per sé è lieve e divisibile.