Tenda di Abramo 31

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VITA DI COMUNITÀ La tenda di Abramo Pasqua 2008 Periodico di informazione della Parrocchia di Olmi San Floriano TV. Numero 31

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Tenda di Abramo Pasqua 2008

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VITA DI COMUNITÀ

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La tenda di AbramoPasqua2008Periodico di informazione della Parrocchia di Olmi San Floriano TV.

Numero 31

Direttore: don Adelino Bortoluzzi

In redazione: Alessandra Dassie, Alessandro Barzan, Cristina De Matteis, Enrico Fattorello, Enrico Passador, Eva Gattel, Giovanna Marandino, Laura Susini, Luca Furlan, Marco Borriello, Marco Mungai, Mariasole Sartori, Paolo De Biasi, Sebiana Gaiotto.

Hanno collaborato: Alessandro e Chiara Caner, Alessandro Daniel, Alessio Mancino, Daniele Bortoluzzi, Daniele Coletto, Dario Porcellato, Elena Lorenzon, Elia Porcellato, Fabio Porcellato, Francesca Bianchin Rumignani, Lisa Bressan, Lorenzo e Jenny Barzan, Luca e Marzia Vogic, Luigi Polesello, Marco Mungai, Martina Busato, Mauro e Patrizia Bembo, Monica Lazzaretto, Nicola Bacchion, Rita Cadamuro, i ragazzi delle superiori di Olmi.

via Claudia Augusta, 231050 Olmi

T 0422 892260F 0422 893535

[email protected]@[email protected]

Stampa e fotolito: Europrint srl, via Gramsci 4, Quinto TV

Rinascere al coraggiodella fede

Di fronte a un uomo come Gesù, accusato ingiustamente e fatto morire, noi rea-giamo con rappresaglie e atti di terrorismo. Dio invece, pur avendo diritto ad agire così verso di noi, persone piene di limiti e di peccato, non lo fa, ma dona quella morte come un evento di risanamento illimitato e di salvezza universale.

Guardando l’icona della copertina, anche noi siamo chiamati a metterci in relazione con questo evento di guarigione dell’uomo, imparando dalle persone che vediamo lì accan-to a Gesù morto.

Qui troviamo Giuseppe d’Arimatea, un uomo ricco, membro del Sinedrio, e perciò responsabile della condanna e della morte di Gesù. Lui non appare mai prima della pas-sione. Appare solo qui, ed è un esempio forte di coraggio. Il coraggio di chi prende le distanze dal proprio gruppo e accoglie l’inedito nell’evento che lui stesso provoca. Egli, attraverso la morte di Gesù, intuisce l’atto del perdono che ricrea dal di dentro l’uomo. Il suo non è un gesto di pura pietà, ma di dissenso e di testimonianza di fede coraggiosa.Qui troviamo anche Nicodemo. Egli compare solo all’inizio del Vangelo di Giovanni, quando va a trovare Gesù, di notte. E sembrava sincero. Aveva addirittura elogiato Gesù. Poi però sparisce. Il clima intorno a Gesù doveva essere di un’ostilità tale che diveniva difficile pren-dere le distanze dal gruppo e dare così una testimonianza di fede.Infine troviamo le donne, con Maria, la madre di Gesù. Esse sono coloro che stanno ferme e guardano, senza mai perdere il contatto con Gesù, a differenza degli apostoli. Sono donne che Lo seguono fino in fondo, che continuano ad assisterLo con amore, che soffrono insieme cercando nel loro cuore le modalità di una nuova relazione con Lui.

L’icona presenta così gli ultimi atti, tragici, della vita di Gesù dentro queste relazioni significative. Lo fa per mettere in evidenza come la morte di Gesù segni la rinascita di molte persone e l’avvio di una nuova prospettiva di vita.È vero che i segni del corpo morto di Gesù continuano ad essere ben visibili nel nostro mondo e che talvolta sembrano toglierci ogni speranza, ma è certo che anche oggi non mancano persone, come quelle dell’icona, che sanno vedere al di là delle cose e che hanno il coraggio di compiere gesti autentici di fede.

Vi auguro che guardando in profondità questa icona possiate scoprire chi anche oggi sa stare accanto a Gesù, lasciandosi toccare il cuore dalla Sua infinita benevolenza e mise-ricordia.La morte di Gesù, accolta nella fede, possa suscitare in voi la rinascita del coraggio e del dissenso, della testimonianza, della fede e di legami autentici nelle vostre famiglie.

Buona Pasqua,

don Adelino

ALLA COMUNITÀ

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE

�La tenda di Abramo Pasqua 2008 -

Come avviene la trasmissione della fede tra generazioni diverse?È questo un grande interrogativo che investe direttamente adulti e

giovani, famiglie e parrocchie delle comuni-tà delle nostre terre.

Sembra che in una grande maggioranza di famiglie, anche di quelle dove i genitori sono credenti e praticanti, non avvenga più la trasmissione dell’esperienza della fede e perciò quando i bambini si avvicinano alle attività pastorali della parrocchia, faticano ad accogliere e fare proprie le esperienze proposte.

Non si può seminare su un terreno che non è stato preparato ad accogliere il seme; non si può sperare di far crescere una pianta se non ha ben salde le sue radici. E le nostre radici stanno nella tradizione cristiana, vis-suta e viva nella comunità. Per tradizione non s’intende una serie di gesti e riti vuoti di senso, ma sentiti vivi dentro di noi perché legati al nostro vissuto, alla nostra espe-rienza in famiglia e nella comunità.La tradizione cristiana acquista vita e signi-

ficato se non tramanda solo “dottrina”, ma il senso di una presenza, di un modo di condurre la vita; se tramanda, cioè, la storia della presenza di Gesù nella storia dell’uo-mo.Anche le più belle parole e riti più raffinati poco o nulla riescono a dire al nostro cuore se non si traducono in esempi di vita vissu-ta, divenendo così il terreno da cui il seme può trarre nutrimento.

Fra gli adulti c’è di sicuro chi ricorda il senso del sacro avvertito fin da bambini recitando il rosario con una grande fami-glia riunita attorno al tavolo alla sera alla luce del lume a petrolio. Di sicuro qualcuno può ricordare un piatto di minestra offerto da una mamma a un mendicante giunto a bussare alla porta mentre la famiglia era a tavola. E ancora c’è chi ricorda le preghiere e i segni di croce che la mamma aveva inse-gnato a fare quando, camminando per strada, si incontravano capitelli e croce-fissi. Infatti se il bambino ha già respirato in famiglia e nella comunità in cui vive lo spirito che anima la vita di un cristiano, più

Come seminare la fedese il terreno è sassoso?

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE

facilmente si avvierà lungo il cammino della catechesi/conoscenza.Appare perciò evidente che non si può pen-sare ad un’iniziazione alla fede senza recu-perare ciò che si è smarrito o perso del pas-sato e senza creare delle situazioni nuove e adatte ai tempi che favoriscano il sorgere di un sereno ambiente di fede in seno alla famiglia e alla comunità.

La parrocchia con la sua pastorale ci aiuta a conoscere le verità fondamentali della fede, verità che sembra urgente far conoscere non solo ai bambini, ma anche al mondo degli adulti e dei giovani.E di più: oggi dobbiamo riscoprire il senso che ha la vocazione ad essere cristiani: la fede non è qualcosa che si vive da soli, in una pura dimensione individuale, ma coin-volge anche la dimensione della responsa-bilità etica dei cristiani.Ne viene di conseguenza che la partecipa-zione alle celebrazioni sacramentali, a par-tire dalla messa festiva, rafforza e cementa l’aspetto comunitario.Non bisogna però dimenticare che tutto quanto detto sopra non è che la diretta con-seguenza dell’incontro personale con Gesù e quindi con Dio: senza questa relazione personale e viva con Dio, anche l’adesione alla fede, l’osservanza dei precetti morali e la partecipazione ai riti della comunità non acquistano il loro profondo senso propria-mente cristiano.E la preghiera personale, purché sia una vera relazione personale con Dio e con Gesù, potrà divenire nutrimento della nostra vita di fede.

Perché il cammino di fede possa essere davvero vivo e operante in ciascuno di noi, deve iniziare nell’ambito familiare, raffor-zarsi nella parrocchia permeando la nostra responsabilità etica come individui che ope-rano nella comunità.

La nostra comunità parrocchiale sta cer-cando di concretizzare ciò che diventa fon-damentale nella trasmissione della fede ai bambini, partendo innanzitutto da loro e dalle loro famiglie.La fede è spontanea nel bambino e lo coin-volge in tutta la sua corporeità, affettività ed emotività: la si può e la si deve educare. Ma è la famiglia il primo luogo dove è pos-sibile realizzare ciò. A questo proposito le emozioni spirituali e religiose dei genitori, il loro senso della vita e della provvidenza, la serenità diffusa e profonda, l’amore alla riflessione, la preghiera semplice e inten-sa, la partecipazione gioiosa alla liturgia, lasciano segni indelebili nella coscienza profonda e nell’inconscio dei figli.

Anche il Catechismo dei bambini sottolinea l’importanza di questa dimensione: I bambini sono capaci di meraviglia, di gioia e stupore. Guardano con curiosità la realtà che li circonda, pongono delle domande e attendono risposte. La loro curiosità e il loro bisogno di sicurezza li rendono attenti ai discorsi religiosi.Ci siamo resi conto come comunità edu-cante che la famiglia è il luogo principale al quale attingere e nel quale fare esperienza di fede. I genitori diventano i principali edu-catori alla fede, non gli unici, ma forse i più importanti.

Il catechismo non basta più. Esso non è più una scuola di dottrina, ma diventa il luogo, insieme all’eucarestia, di incontro con il Signore Gesù. È necessaria una collaborazione concreta con le famiglie, una loro partecipazione attiva nella trasmis-sione della fede.

Ecco perché riportiamo qui di seguito le testimonianze di alcune famiglie che stanno accompagnando i loro figli nell’importan-te cammino di preparazione alla Prima Comunione: si tratta di genitori che si stanno interrogando sul senso profondo di questo “rito” sia come famiglia sia come coppia.

di don Adelino e Laura Susini

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE

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Francesca Bianchin Rumignani, mamma di Virginia

Sto cercando di accompagnare mia figlia in questo cammino di prepara-zione alla Prima Comunione. Si tratta però di un cammino molto personale e coinvolgente. Sento il bisogno di “rifare un percorso di comunione” partendo da me come donna, come mamma. Non è scontato, è necessa-rio capire perché lo si fa. Ho sentito la necessità di ricominciare, di partire da me, di fare un cammino di fede. Oggi sono convinta che se uno crede in certi valori, deve prima metterli in pratica e poi trasmetterli.Quando ero piccola i miei genitori mi

mandavano a messa, ma non veniva-no con me. Ci tengo molto ad andare a messa la domenica e proprio per-ché sto facendo questo cammino di fede molto personale, non faccio la comunione finché non ne ho capito profondamente il senso, è anche que-sto secondo me, un modo per accom-pagnare mia figlia, arrivare insieme a fare la “prima comunione”.Quest’anno ci stiamo preparando come genitori dei bambini attraver-so degli incontri molto importanti e sento che c’è anche il desiderio di collaborare tra famiglie, di darsi una mano, di creare una rete. Don Adelino durante gli incontri ci mette a nostro agio, ci stimola molto, anche se non riusciamo ancora a comunicare molto tra di noi e ad esprimere i nostri pen-sieri.Per quanto riguarda la mia famiglia, la trasmissione della fede alle mie figlie spetta unicamente a me come mamma. Mio marito condivide questi valori, ma non partecipa attivamente, anche se un po’ alla volta si sta “scio-gliendo”. Io non lavoro.

Renzo e Jenny Barzan, papà e mamma di Sara

È necessaria una preparazione per-sonale per accompagnare i nostri figli alla Prima Comunione. In que-sto periodo ci stiamo preparando

anche al sacramento della Prima Confessione e io, come mamma, sono in crisi perché già per me stessa ho qualche difficoltà. E’ giusto però tra-smettere loro ciò che si sente.Più che spiegare bene le cose, per noi, ciò che conta, è l’esempio che si dà, come partecipare alla messa in maniera attiva e non solo da spettato-ri oppure spendere del tempo anche per le attività parrocchiali: sono esempi che resteranno ai nostri figli più di tante altre parole. Quello che stiamo vivendo con Sara è diverso rispetto a ciò che abbiamo vissuto con il nostro primo figlio: è la prima volta che anche noi genitori ci stiamo preparando a questo evento importante per lei. Il catechismo per i bambini diventa anche il catechi-

Non scuola di dottrina ma incontro con Gesù

Oggi sono convinta che se uno crede in certi valori, deve prima metterli in pratica e poi trasmetterli.

È necessaria una preparazione personale per accompagnare i nostri figli alla Prima Comunione.

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE

smo per gli adulti/genitori. La Prima Comunione non è più solo un evento “emotivo”, ma un momento significa-tivo e sereno per noi come genitori e per nostra figlia.

Mauro e Patrizia Bembo, genitori di Luca

Qualche anno fa abbiamo accompa-gnato alla Prima Comunione il nostro primo figlio, Andrea, ed è come se l’avessimo fatta anche noi quella Prima Comunione. Per noi come genitori partecipare al rito dell’Eucarestia è fondamentale: vedere che i nostri figli sono inseriti in una comunità ci fa gioire. Durante la messa i bambini si sentono gli attori principali e non si annoiano mai. Fa bene anche a noi genitori venire a messa: la nostra chiesa non è bella, ma l’eucarestia fa aprire il cuore, si respira gioia, comunione, si sente come se il… “cuore si apre”.In ambito famigliare cerchiamo di vivere l’esperienza di genitori attra-verso una semplice testimonianza: capita a volte che leggiamo insieme anche un brano del Vangelo, lo com-mentiamo e cerchiamo di riportarlo nelle nostre giornate.Io, come papà e come scout, cerco di educare i miei figli richiamandoli ogni giorno al giusto senso della vita: la semplicità, il cercare di voler bene a

tutti, il rispettare e il farsi rispettare. Con mia moglie cerchiamo di vivere la quotidianità nella maniera più serena e semplice.

Alessandro e Chiara Caner, genitori di Ilaria

Noi come genitori desideriamo essere vicini a nostra figlia, in particolare io come papà, perché ho vissuto la Prima Comunione senza i miei geni-tori, andavo a catechismo e a messa sempre da solo. Ci tengo molto ad accompagnare mia figlia a messa la domenica: è diventato per noi un rito molto importante. Alzarsi presto la domenica mattina non è poi così scontato, è una sfida. Ci sono domeni-che che preferiremmo “fare qualcosa altro”, ma il desiderare di andare a messa diventa uno stimolo ad alzar-ci presto, stare insieme comunque, prepararsi e fare tutti insieme una passeggiata fino alla chiesa. A me come papà è mancato molto tutto ciò e desidero farlo bene oggi, anche perché è mia figlia, per prima che non “intende” perdere né il catechismo né la messa della domenica.Io, invece come mamma, sento di non avere una grande sensibilità religiosa, ma ci tengo molto che mia figlia ce l’abbia perché ho percepito che chi ce l’ha è una persona felice e diventa un sostegno importante per tutta la vita.

Luca e Marzia Vogicgenitori di Sara

La nostra esperienza di accompagna-mento è stata per noi una scoperta “positiva”. Mio marito lavora molto, mentre io faccio il part-time, quindi il pomeriggio seguo i miei figli nelle varie attività settimanali.Né io né mio marito abbiamo mai avuto “esperienza di fede”, è questa la prima volta che ci avviciniamo… ad

una chiesa.Inizialmente eravamo un po’ scet-tici e frenati: nostro figlio andava al catechismo perché era un’attività che bisognava fare per prendere la Prima Comunione e perché lo facevano tutti i suoi compagni di classe. Per noi portarlo al catechismo il pomeriggio era come portarlo a basket, a musica, una delle tante attività pomeridiane che riempiono la giornata e che fanno fare a me, mamma, il taxi.Però c’era qualche cosa di diverso: nostro figlio tornava a casa con una “serenità” diversa e non frustrato. Da subito non ne abbiamo capito il moti-vo, anche perché lui continuava a dirci che si divertiva, che stava bene e che ci voleva tornare. Ci siamo chiesti come mai, cosa aveva poi di così tanto interessante e divertente quest’ora di catechismo, in fondo sarebbe potuto essere solo “pesante” prepararsi alla Prima Comunione.Un giorno ci ha portato a casa un avviso che invitava i genitori ad un incontro in parrocchia affinché anche noi ci preparassimo alla sua Prima Comunione: ci sembrava inutile andarci ma nostro figlio ci teneva molto. Siamo andati e siamo tornati a casa con la stessa “serenità” con cui tornava a casa lui dal catechismo e allora abbiamo capito qualcosa in più di noi come genitori, di nostro figlio e di quello che possiamo fare per lui. Da allora ci stiamo impegnando molto a condividere con lui alcuni momenti di semplice preghiera insieme, a dare un giusto significato alle cose che facciamo e soprattutto ad andare a messa. Quest’ultimo non è stato un gesto né automatico né immediato, ma necessario per fare bene questo cammino. E poi una cosa che ci è rimasta molto impressa, e che forse è questa che ci ha dato “il via”, è che siamo noi genitori a dover dare il buon esempio…

Leggiamo insiemeanche un brano del Vangelo, lo commentiamo e cerchiamo di riportarlo nelle nostre giornate.

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE

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Pochi ma buoni“Essere minoritari non significa essere insignificanti”, intervista ad Enzo Bianchi a cura di Jean-Marie Guénois in “La Croix” del 17 novembre 2007. Fondatore di una comunità monastica ecumenica in Italia, Fratel Enzo Bianchi non è preoccupato per il futuro del cristianesimo.

Lei osa affermare che la fine della cristianità è un’opportunità per il cristianesimo…

E lo confermo, poiché il cristianesimo ha vissuto fino ad ora un’ambiguità, quella di “essere” cristiani senza aver dovuto diven-tarlo, di essere praticanti senza veramen-te vivere un cammino di fede personale. Questa coincidenza tra la fede e la società non esiste più, e la nuova situazione di minoranza dei cristiani è un’opportunità per manifestare che la loro fede è vissuta nella libertà e per amore. La libertà e l’amore sono in effetti le condizioni della vita cristia-na. Non sono più il caso o la necessità.

Diventare minoranza può condurre ad una futura scomparsa: ciò non la preoccupa?

Essere minoritari non significa essere insi-gnificanti. Ci sono delle minoranze efficaci, che agiscono nella società perché il mes-saggio cristiano sia ascoltato. Bisogna quin-di stare attenti che questo statuto di mino-

ranza non porti ad un soffocamento, ma sia come il sale o la luce del mondo. Bisogna che la minoranza cristiana abbia la possi-bilità reale di esercitare una vera influenza evangelica nel cuore dell’umanità.

Minoritari, i cristiani devono cercare di avere influenza sulla società?

Non bisogna né avere l’ossessione dell’in-fluenza, né averne paura. La vera vita cri-stiana porta in sé un messaggio di umaniz-zazione. La spiritualità cristiana è, in fondo, un’arte di vivere umanamente. Se gli uomini percepiscono che i cristiani hanno una vita buona, vera e felice, si porranno la domanda sul fondamento di questa vita, e l’annuncio di Gesù Cristo diventerà quasi naturale. Si farà nel dialogo, senza imporsi.

La transizione tra un’epoca segnata da un cristianesimo dominante e questo nuovo statuto di minoranza è vissuta come un trauma da molti nella Chiesa. Da Lei no?

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È un passaggio doloroso e una prova, ma non bisogna aver paura, né temere. I nostri occhi fanno fatica a discernere e non biso-gna fidarsi delle statistiche, perché la fede non è misurabile. Nessuno, nella nostra società secolarizzata, è infatti capace di misurare l’influenza durevole del Vangelo quando tocca il cuore di un uomo.

Lei non è quindi preoccupato per il futuro?

Ho una grande fiducia, perché se noi cre-diamo che il cristianesimo è una forma di umanizzazione, allora gli uomini si interes-seranno al cristianesimo. Se ci fossero degli ostacoli nel processo di umanizzazione, ver-rebbero da noi e non dal mondo. Siamo noi che non siamo capaci di dire la nostra spe-ranza, di suscitare negli altri interesse con la nostra arte di vivere e di fare della nostra vita umana con il Cristo un vero capolavoro.

Lo statuto di minoranza può accompagnarsi ad un atteggiamento di chiusura all’interno della propria comunità confessionale con degli irrigidimenti: che cosa ne pensa?

Bisogna riconoscere che il dialogo, l’aper-tura agli altri, l’esercizio dell’alterità è diventato più difficile, perché suscitano diffidenza e attraversiamo una specie di inverno in tutte le religioni. Ma è un periodo che passerà. Se la Chiesa resiste alla mon-danità, se la Chiesa comprende che pregare Gesù Cristo per l’unità non è una moda, ma appartiene all’essenza stessa della vita cri-stiana, allora avremo una nuova primavera dell’ecumenismo, un tempo nuovo per il dialogo.

Lei è ottimista!

Ho veramente speranza. È un’ora che pas-serà. Ancora una volta, il Vangelo avrà la meglio su tutte queste contraddizioni.

Ma come evitare il peggio?

Siamo condannati alla dinamica della Pentecoste. Il cristianesimo è plurale. Deve imparare la diversità e non l’uniformità. E spero che la si troverà nel ministero di Pietro (quello del papa come vescovo di Roma), un ministero di unità che è necessa-rio per tutte le Chiese, come il Signore lo ha voluto. Il papa può infatti svolgere un ruolo perché si realizzi la comunione delle Chiese. Così fu durante il primo millennio del cri-stianesimo.Io soffro oggi per lo spirito ecumenico per-ché ci sono, nelle Chiese, delle persone che lavorano contro l’unità o che costruiscono una prassi difensiva. Non la vinceranno, perché lo spirito del Vangelo vincerà queste opposizioni. Ma diffidiamo del disprezzo per le altre culture: non è questo lo spirito cri-stiano. Cristo è stato capace di sedersi alla tavola dei peccatori, è addirittura morto tra due malfattori. La Chiesa è il suo corpo, non può avere una strada diversa da quella del suo Signore! Ma deve avere il coraggio di essere uno spazio di incontro e di ascolto di ogni uomo: allora il Vangelo potrà dilatarsi e raggiungere ogni uomo.

Il futuro dei cristiani passa anche attraverso un accresciuto dialogo con le altre religioni?

Bisogna essere molto chiari su questo punto. Non sono d’accordo quando si afferma che il cristianesimo è uno dei tre monoteismi. Il cristianesimo è un monotei-smo speciale, poiché la via che ci porta a Dio come comunione e Trinità, è un uomo. È attraverso l’umanità di Cristo che noi possiamo andare a Dio. Altra specificità, il cristianesimo ha stabilito tre rotture: tra il sangue e la famiglia, tra la terra e la patria, tra il tempio e la religione. Queste tre rotture impediscono ai cristiani di essere fondamentalisti, nazionalisti e uniformi… Certo, la verità resta una - è il Cristo! -, ma l’antropologia cristiana è plurale e deve assolutamente passare attraverso un’inter-pretazione umana. Una terza specificità cri-

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stiana consiste nel credere che ogni uomo è ad immagine e somiglianza di Dio. Anche se un uomo perde la sua somiglianza con Dio, conserva in sé la sua immagine e resta quindi sempre capace di fare il bene. A par-tire da queste specificità, e con questa capa-cità di ascolto, bisogna che noi conduciamo un dialogo per essere insieme ai fratelli. Il che non vuol dire avanzare nel dialogo inter-religioso con uno spirito irenico, ma condur-re questi dialoghi sul piano dell’umanità e su quello della ragione. Avendo il coraggio del confronto, e di chiedere sia all’islam che all’ebraismo di leggere i testi come parole umane dove si può trovare la Parola di Dio, senza lasciare spazio al fondamentalismo o a letture senza rapporto con la realtà.

Lei pensa che il futuro del cristianesimo possa essere oscurato dallo scontro di civiltà?

È sull’etica che avrà luogo lo scontro di civil-tà. In Italia, per esempio, vedo crescere un anticlericalismo che non era presente dieci anni fa, e si trasforma perfino in anticristia-nesimo.

Come evitarlo?

Bisogna creare uno stile di ascolto. I cristia-ni e in particolare i cattolici ascoltano troppo

poco. Senza ascolto, non c’è comunicazione e futuro comune. Solo un esercizio di ascol-to può condurre alla comunicazione, poi la comunicazione può portare alla comunione. La Chiesa, in ambito etico, vuole essere a servizio della dignità dell’uomo: com’è che passa talvolta per fondamentalista? Ci esprimiamo attraverso dei divieti, e non siamo quindi capiti. Dobbiamo parlare ai credenti e ai non cristiani con termini diversi da quelli della catechesi. Se presentiamo la legge naturale come l’abbecedario della qualità umana dell’uomo, potremo parteci-pare alla costruzione di un’etica mondiale.

Quale priorità vede per il futuro della Chiesa?

Per quanto riguarda la vita interna della Chiesa, c’è una parola che non abbiamo il coraggio di usare, è quella di “sinodali-tà”. La sinodalità consiste nel camminare insieme con le nostre differenze. La Chiesa, da parte sua, parla di collegialità, il che si riferisce ad una stessa appartenenza. Ora, la sinodalità è una necessità urgente per mostrare che la Chiesa è una comunio-ne nella diversità. Se la Chiesa non è una comunione in se stessa, non saprà essere in comunione con gli altri. E quando si fa un cammino senza gli altri si finisce per farlo contro gli altri.

PER SAPERNE DI PIU’

Enzo Bianchi Castel Boglione, Monferrato, (1943) è fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose. Direttore della rivista biblica “Parola, Spirito e Vita”, membro della redazione della rivista inter-nazionale “Concilium” ed autore di numerosi testi, tradotti in molte lingue, sulla spiritualità cristiana e sulla grande tradizione della Chiesa, scritti tenendo sempre conto del vasto e multiforme mondo di oggi. Collabora a “La Stampa”, “Avvenire”, “Luoghi dell’infinito” e, in Francia, a “La Croix”, “Panorama” e “La Vie”.

Tra i suoi libri ricordiamo: “Pregare la Parola” (1974), “Il radicalismo cristiano” (1980),“Vivere la morte” (1983), “Apocalisse di Giovanni” (1990), “Adamo, dove sei?” (1994), “Da forestiero” (1995), “Altrimenti” (1998), “Le parole della spiritualità, per un lessico della vita interiore” (1999), “Non siamo migliori” (2002), “Cristiani nella società” (2003), “Dare senso al tempo” (2003), “La differenza cristiana” (2006).

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE

EDUCATI A SUPERARE IL PADRE

Dalla famiglia etica… alla famiglia affettivaParlando con diversi genitori mi è capitato di sentire storie di “quotidiana arrendevolezza”: il bambino di un anno e mezzo la cui mamma non può fare la spesa perché lui “non ha voglia di uscire”; oppure... quello di 4 anni che mangia girando per casa in bici mentre la mamma lo rincorre col piatto; il bambino che deve prendere l’antibiotico e la mamma che chiede al farmacista: “Quale mi dà? Quello no, perché non gli piace” come se si fosse al ristorante... Nelle prossime pagine cercheremo di capire insieme il passaggio che le famiglie venete stanno attraversando; cercheremo di leggerne le criticità per trovare delle vie nuove da esplorare ed elaborare così, in modo nuovo, le intuizioni positive proposte dai diversi modelli famigliari.

EDUCATI A SUPERARE IL PADRE

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Stavamo dicendo: “storie di quotidiana arrendevolezza”.Sono casi limiti? Non credo, credo invece siano casi

emblematici di un diffuso “arrender-si” da parte dei genitori, alle pretese e ai puntigli del proprio figlio, impau-riti dalle reazioni di quest’ ultimo: pianti, grida, che sembra non si sia più in grado di gestire e contenere. Pietropolli Charmet in “I nuovi adole-scenti” interpreta molto bene questa tendenza familiare quando afferma: “Al posto dell’autorità c’è il consenso. Le relazioni all’interno della famiglia sono paritarie: le esigenze del bambi-no contano quanto quelle dell’adulto. Non si sente più tanto la differenza di generazione”. Mi pare abbia ragione.Siamo passati da un tipo di genitore che diceva al proprio figlio: “fai così perché lo dico io”, oppure: “fai così se no ti punisco”, o ancora: “finché vivi

in questa casa accetti queste regole” a un nuovo prototipo di genitore che dice: “fai così per farmi piacere” o “Fai così… così vivremo insieme felici e contenti”.

Dalla famiglia eticaÈ chiaro che ci siamo ormai lasciati alle spalle una famiglia per molti aspetti diversa da quella nuova che siamo andati a formare, della quale abbiamo però chiara memoria per-ché è stata la nostra, all’interno della quale siamo cresciuti, ci siamo spe-rimentati. Questa famiglia, oggi defi-nita come “etica”, era caratterizzata da relazioni genitori-figli più formali delle attuali, era orientata ad una responsabilizzazione precoce della prole, esprimeva una cultura educati-va basata più sulla capacità di regge-re e gestire la frustrazione che sulla soddisfazione immediata dei desideri.Era ancora caratterizzata da una

struttura gerarchica con un’autorità paterna ben solida, che spingeva gli adolescenti a guardarsi velocemente intorno alla ricerca di un’indipenden-za e di una libertà sessuale che la famiglia del passato non consenti-va: un “volgersi altrove” che spesso avveniva all’insegna della ribellione e dello scontro generazionale. In que-sta famiglia prevaleva la componente regolativa, normativa, erano evidenti le regole che andavano rispettate in famiglia e nella società, i confini, la confidenza, la differenza tra le gene-razioni, il sistema valoriale di riferi-mento, i ruoli differenziati del padre, della madre e le relative precedenze.

Alla famiglia affettivaOra siamo invece passati ad una famiglia “affettiva”, più piccola, for-mata mediamente da tre persone, dove il figlio voluto, spesso unico e quasi scelto, diventa l’oggetto di un

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superinvestimento da parte dei geni-tori. Questa nuova famiglia tende a rappresentare se stessa come luogo privilegiato di accudimento e prote-zione; suo scopo fondamentale diven-ta quello di fornire amore e sicurezza alla prole, soddisfacendone ogni biso-gno affettivo, economico e sociale.

La famiglia “affettiva” è governata da poche regole e norme, è più attenta a sostenere la crescita affettiva e relazionale del cucciolo d’uomo, il suo diritto ad essere se stesso, ad espri-mere la propria indole seguendo i propri ritmi interni di maturazione. È dunque una famiglia meno pre-scrittiva che aspira più a trasmettere armonia e sintonia che regole e prin-cipi, che cerca di farsi obbedire non per paura ma per amore. La sua prospettiva è quella di con-

tribuire a costruire dei figli “felici”, riducendo al massimo l’esperienza della frustrazione (che viene dai “no”, dai dinieghi e dai limiti fissati) e, possibilmente, anche del dolore. Una famiglia, questa contemporanea, che tende a caratterizzarsi per il tentativo di azzerare i livelli di conflittualità che possono sorgere al proprio interno.

Un cambio di orizzontiÈ importante sottolineare che sem-bra sia cambiato il fine ultimo che orienta l’azione educativa dei genitori; che non é più quello di crescere dei figli affinché possano diventare adulti autonomi e responsabili, capaci di prendersi a loro volta carico della generazione successiva, ma di cre-scere figli “felici”. Questa è la chiave di lettura che ci può orientare a leg-gere molti dei fenomeni attuali.

Nell’immaginario di diversi padri e madri sembra che il figlio vada asse-condato, messo nella condizione di poter esprimere liberamente tutte le parti di sé, anche a scapito della possibile convivenza sociale, della tolleranza e del necessario adatta-mento alle regole fondamentali del vivere assieme. Queste ultime, molto spesso, vengono demandate alla scuola, alle agenzie educative altre (parrocchia, scout, sport...) che si ritrovano a dover educare alla sociali-tà, alla vita con gli altri, al rispetto del contesto, delle cose e dell’ambiente partendo da una alfabetizzazione pri-maria, andando quasi ad incidere gli elementari della convivenza e della reciprocità su una tabula rasa. A volte sembra che, in queste nuove genera-zioni, esista l’io ma non sia elaborato il noi, esista il diritto ma non sia pensato il dovere, esista il possesso, ciò che è mio, ma non la capacità di condividere, di appartenere e fare parte. Esiste un pensiero egocentrico che mette il sé al centro del mondo, orbita attorno alla quale deve girare

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tutto il resto. Si fatica a dirottare l’io alla scoperta dell’altro, alla necessità della sua presenza, alla necessaria convivenza.

Non aver più il coraggio e la fermezza di porre e difendere alcune regole familiari e sociali non è un atto di emancipazione pedagogica, è una ingenuità, è una tecnica di evitamento del conflitto che dice molto dell’insi-curezza e della paura di chi educa. L’adulto deve fare l’adulto e con pon-deratezza deve saper stabilire i confi-ni, i limiti entro i quali potranno muo-versi, nelle diverse età, i piccoli che gli è dato di educare e crescere, non limiti rigidi e invalicabili, ma segnali “stradali” chiari da seguire per non perdersi nel cammino. La limitazio-ne del sé è un passaggio obbligato, è un’esperienza frustrante che va affrontata, che fa parte del patrimonio di ogni essere umano che ha sempre dovuto fare i conti con i “no” che gli sono stati intimati. Oggigiorno invece si tende a ridurre i no che fanno “sof-frire”, il no è infatti in apparente con-flitto sostanziale con l’obiettivo della felicità del figlio.

La scorciatoiaSpesso allora si sceglie la scorciatoia di rispondere non ai bisogni profondi del bambino ma alle sue richieste, ai suoi desideri immediati soprattutto se espressi con la forza e la tenacia di cui sono capaci i piccoli. Il bambi-no allora avrà l’ovetto Kinder o potrà stare a vedere la TV fino a tardi o potrà stare nel lettone, ma nessuno si sarà chiesto se questo è davvero il suo bene o solo la soddisfazione di un desiderio immediato, se alla lunga lo farà star bene, lo farà più felice.

Ogni modello familiare porta con sé limiti e risorse, non è mai esistito un modo di essere famiglia decisamente “utile” e “buono”: è stata ormai con-testata la famiglia “etica” e il padre

autoritario, sembra ripiegarsi su se stessa la famiglia “affettiva” e perde-re di riferimento il padre ridotto spes-so ad uno “sponsor”.

Una terza via da esplorareForse va esplorata una terza via, che sappia elaborare in modo nuovo le intuizioni positive proposte da questi modelli famigliari: recupero delle regole e dei valori fondamentali del vivere che non vanno rigidamente imposti ma vanno testimoniati e vis-suti assieme, in una relazione edu-cativa attenta e capace di rispondere in maniera non standardizzata alle diverse richieste dei figli e a permet-terne la possibile espressione e rea-lizzazione di sé.

L’utilità della famiglia deve essere vista in una prospettiva evolutiva: l’educazione che stiamo dando pre-para questi figli a vivere nel mondo? Ad orientarsi rispetto ad un progetto personale di vita? Ad accettare la fati-ca, a gestire la frustrazione? Saranno capaci a loro volta di prendersi cura delle generazioni future? Queste sono domande utili che possono guidare chi cerca, con non poche difficoltà, di crescere i propri figli. Forse allora un genitore non dirà più: “si fa così e basta” ma non cederà nemmeno la propria funzione chie-dendo: “tesoro, come vuoi che faccia-mo?” potrà invece dire: “Prova a fare così, sarai autonomo e starai bene con gli altri”.

di Lazzaretto Monica, Centro Studi Cooperativa G. Olivotti

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Che genere di insegnamento cerchi, e che cosa non rie-sci a comprendere?”“Vedete, padre, circa un

anno fa, durante la liturgia, mi capitò di sentire nella lettura dell’Aposto-lo questo comandamento: pregate incessantemente! Questo mi stupì molto, e non riuscii a comprendere come si potesse mettere in pratica questo comando. Iniziai allora a girare per le chiese per ascoltare prediche sulla preghiera, ma per quante ne ascoltassi non trovavo mai indicazioni su come pregare incessantemente”.“Sia ringraziato Iddio, caro fratello, ché ha voluto suscitare in te questa insopprimibile aspirazione alla cono-scenza dell’incessante preghiera inte-riore. Devi riconoscere in questo una chiamata divina e rasserenarti.Non ti sorprenda di non aver udito nulla sulla sostanza di questa pre-ghiera. Assai di rado i predicatori del nostro tempo ci spiegano chiaramen-te le questioni principali ed essenziali, vale a dire che cosa sia la preghiera e come si apprenda a pregare”.

In questo dialogo, occorso tra il pel-legrino e il suo padre spirituale nelle prime pagine dei Racconti di un pel-legrino russo, m’è sembrato di ritro-vare la mia condizione: desideroso di pregare, ma spesso confuso dalla difficoltà della pratica quotidiana e incerto su quale sia il metodo da seguire. I Racconti narrano il per-corso di fede di un pellegrino, itine-rante nella grande Russia del primo Ottocento: scoperta in sé la chiamata

alla preghiera continua, egli apprende da uno “starec” (ovvero un mistico russo) il metodo insegnato e praticato dai grandi Padri della Chiesa orienta-le. Comincia così un nuovo cammino spaziale e spirituale, segnato dalla ripetizione della preghiera di Gesù (“Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”) e dallo sbocciare di un sentimento interiore di pentimento e gratitudine.I Racconti sono uno dei testi più cele-bri della spiritualità russa: semplici e profondi al contempo, riescono ad incantare per la bellezza della nar-razione e ad offrire, a chiunque vi si accosti, un insegnamento su come vivere l’esperienza della preghiera e sperimentare in essa l’abbraccio di Dio.

di Fabio Porcellato

La recensione:i racconti di unpellegrino russo

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Dal dire al fareSui temi introdotti dalla dott.ssa Monica Lazzaretto, la comunità di Olmi sta lavorando con Guido Tallone secondo le varie fasce d’età: dai ragazzi delle superiori agli universitari, dai genitori dei ragazzi ai loro nonni. Qui di seguito riportiamo alcune sintesi di questo lavoro.

Nei mesi di Dicembre e Gennaio scorsi, novanta ragazzi di Olmi di San Biagio di Callalta (TV), dalla terza media alla quinta

superiore, accompagnati dai loro educatori, hanno ragionato sul ruolo delle pubblicità nella loro vita. Tale attività è stata sostenuta e promossa dalla Associazione Culturale MensanaX, nell’ambito del progetto Artificio: un progetto che è fucina di iniziative che sviluppano i desideri profondi dei ragazzi, perché imparino facendo, sviluppino rela-zioni e producano integrazione aiutandosi a crescere.

Dopo un primo incontro di discernimento, durante il quale sono state visionate più di cento pubblicità video e analizzati alcuni dati statistici estrapolati da studi a vario livello, i ragazzi si sono divisi in piccoli gruppi per redigere una lettera da inviare alla società Vodafone, i cui spot sono stati considerati dai ragazzi i meno veritieri e i più fuorvianti.

All’interno di ogni gruppetto, al quale par-tecipavano circa dieci giovani delle diverse età, è stata elaborata una parte della lettera

partendo da un brain storming e affinando in maniera democratica le varie idee emer-se. Ogni argomento è stato giustificato da chi l’aveva proposto, analizzato ed infine votato dai vari membri del gruppetto. In questo modo tutti hanno avuto la possibilità di esprimersi e la scelta degli argomenti da inserire nella lettera è stata condivisa.

Il risultato di questo lavoro di circa due mesi è il documento che viene riportato in seguito: una lettera che è stata inviata alla società Vodafone e ai principali quotidiani e riviste a tiratura nazionale.

Desideriamo, con la pubblicazione di questa lettera, far nascere un dibattito fra i giova-ni Italiani che, come i ragazzi di Artificio, hanno preso la consapevolezza di esse-re manipolati e plagiati dalle pubblicità. Speriamo di poter far nascere questa consa-pevolezza, ove non fosse già nata, ed inoltre speriamo di poter far sentire la voce di tanti adolescenti che, come i giovani di Artificio, sognano di cambiare la società in cui vivono.

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Ci presentiamo: siamo la fetta “morbida” della vostra utenza; un gruppo di stu-denti dellesuperiori di Olmi in provincia di Treviso, per una buona parte clienti della vostra azienda.

Questa lettera parte da una riflessione che abbiamo maturato pensando ai vostri spot, checi rassicurano del fatto che abbiamo “tutto intorno a noi”, che “potete risolvere i nostriproblemi” e che “la vita è adesso”. In questo modo abbiamo capito un paio di cose.Confusione, condizionamento, dipendenza, stordimento, sono tutti stati d’animo checiascuno di noi attraversa quando sceglie di spegnere la tv e riflettere. Coscienza è ciò chesfruttiamo per renderci conto che dinanzi alla pubblicità siamo tutti uguali e che il nostroatteggiamento si avvicina sempre di più a quello che gli uomini del marketing hannodeciso che dobbiamo assumere.La tv è un distributore di sogni, ma noi dobbiamo staccarci da questo distributore percapire quali sono i nostri reali bisogni e trovare il giusto compromesso tra aspirazioni enecessità.L’obiettivo dei pubblicitari è trovare il nostro punto debole, il nostro bisogno nascosto.Facendo leva sui nostri istinti e sulle nostre pulsioni cercano di conquistare i nostridesideri. Siamo diventati degli oggetti da esaminare per essere manipolati a vostropiacimento. Siamo visti come una categoria e non come persone razionali, siamo percepiticome target, bersagli; veniamo esaminati, scrutati e compresi nelle nostre abitudini, inostri gusti e ci catalogate in base a caratteristiche comuni, e se queste non vi vanno bene,fate di tutto per cercare di farcele cambiare. Basti pensare che di un’ora di programmitelevisivi, in media, il 25% del tempo è occupato da spot pubblicitari.Ma noi non ci stiamo! Sappiate che anche voi potreste essere analizzati e giudicati da noiattraverso le vostre pubblicità. La pubblicità ci riduce a comprare tutti le stesse cose, illudendoci di farci diventare tutti uguali, in realtà massificandoci. Spesso ci proponete qualcosa che non ha niente a che fare con i prodotti. L’intento occulto è creare un modo di

Cara Vodafone...

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pensare, ovviamente funzionale al consumo e al vostro arricchimento.Il vostro mero interesse sta nel farci acquistare i vostri prodotti, facendoci credere chesenza di questi non potremmo essere nessuno.Voi avete fatto in modo che il cellulare divenisse una necessità, e che ogni persona sentis-se il bisogno di averne uno. L’avete imposto come modello di appartenenza ad un grupposociale. Fra noi giovani il cellulare è diventato un mezzo di comunicazione di massa. Anchequando non possiamo vederci, dobbiamo comunque sentirci e comunicare in qualsiasiluogo e in qualsiasi ora.Oggi, però, questo mezzo è diventato una fonte di sfruttamento globale che c’induce aspendere per ottenere messaggi freddi e privi di personalità. Non siamo considerati comepersone, ma rappresentiamo semplicemente un numero di dieci cifre corrispondente alnostro recapito telefonico. Noi adolescenti, seppure con non poche difficoltà, dovremo cer-care da soli di crearci una nostra coscienza.

“Tutto intorno a te”. Perché? In questo modo ci fate credere che tutto sia a nostradisposizione, al nostro servizio, e che vada bene così!Noi facciamo parte del mondo e non possiamo restare passivi, dobbiamo partecipare inquesto mondo. Con il vostro messaggio voi non ci spingete a cambiare il mondo, perchétutto è intorno a noi, ed è perfetto così. Non è vero!Dobbiamo andare noi alla ricerca del mondo, dobbiamo intessere noi dei rapporti socialicostruttivi! Invece voi massificate i nostri modi di pensare, tenete ferme le nostre idee eplagiate i nostri stili di vita. Cercate di fare leva su di noi, sulle nostre difficoltà, perché noi adolescenti siamo la fascia di umanità più facile da convincere. Ci fate credere di avere la soluzione ai nostri problemi. Noi subiamo e non ci rendiamo conto di quello che sta acca-dendo: sembra che i nostri guai stiano svanendo e perciò siamo contenti e non parliamo.

“Life is Now”. Perché? In questo modo volete indurci a vivere adesso, ma per noi èdavvero così? Noi giovani, al contrario, ci preoccupiamo del futuro, viviamo guardando al futuro. Voi, con questo slogan, non ci fate nemmeno sognare il nostro futuro. E soffocate il nostro passato, il nostro spazio di riflessione e serbatoio di nuove energie.Costringendoci a vivere nel presente, ci togliete la possibilità di prenderci delleresponsabilità, e non ci permettete di pensare a come ci ritroveremo domani… Forseingannati?

Per concludere, abbiamo due proposte per voi. Meglio, un solo obiettivo e due leve perraggiungerlo. Quello che vogliamo è che voi ritorniate una parte degli investimenti chenoi, i vostri principali sponsor, abbiamo fatto in questi anni, finanziando progetti diformazione e iniziative culturali per tutti i giovani.Le leve che vi proponiamo di utilizzare sono queste: ridurre il numero di spot televisividel 5 % e reinvestire per noi tutti i soldi risparmiati; devolvere una percentuale dei soldiche ricevete dalle nostre ricariche.Invieremo questa lettera ad alcuni dei maggiori quotidiani italiani: crediamo di non esseregli unici in Italia a pensarla così, e facendo questo speriamo di riuscire ad aprire undibattito che coinvolga voi e tutti i giovani che condividono la nostra sensibilità.Sappiamo che questa lettera difficilmente riuscirà a cambiare la vostra politica ed il vostroatteggiamento aggressivo nei nostri confronti. Ma abbiamo voluto scriverla comunque: inuna società che pretende di spegnere i nostri cervelli e incatenare la nostra libertà,vogliamo imparare a esercitare la coscienza e a decidere del nostro futuro.

I ragazzi di Artificio

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Sabato 9 febbraio, nella serie di incontri che abbiamo pro-grammato con il dott. Guido Tallone, abbiamo incontrato il

gruppo di genitori che, dopo la prima serata per tutti, hanno deciso di par-tecipare attivamente ad un percorso di riflessione e di ricerca sull’educa-zione integrale dei propri figli.Vogliamo comunicare a tutti alcuni passaggi importanti emersi duran-te questa ricerca. Certamente non contengono tutta la ricchezza e la completezza della relazione e sono trascritti perché diventino motivo di dialogo in famiglia. La sintesi vera sarà quella che nascerà dalla rifles-sione fatta assieme.

Oggi noi genitori corriamo troppo. Non ci fermiamo. Non parliamo. Se riusciamo a fermarci, troviamo mille modi per non parlare e non pensare. Riflettere, ragionare, farci delle idee nostre ci fa paura. Ma tutti sappiamo che solo chi si ferma per

pensare, chi si fa domande, chi pro-getta, va avanti nella realtà e riesce a dare risposte adeguate ai propri figli. Di qui lo slogan: bisogna fermarci, dare tempo alla riflessione se voglia-mo andare avanti.

I nostri ragazzi hanno bisogno di genitori capaci di perdere tempo Genitori capaci di dedicare spazio alla costruzione di relazioni vere, sincere, fatte col cuore e costruite con grande caparbietà. Chi non è capace di stare in relazione con gli altri non sarà mai capace di costruire delle relazioni vere con i propri figli. Senza questa capacità non si dà trasmissione di valori e i nostri figli vengono lasciati in balia della televisione. Di qui lo slo-gan: i ragazzi hanno bisogno di adulti capaci di relazioni vere e sincere.

Noi genitori dobbiamo imparare il linguaggio dei ritiIl linguaggio per eccellenza che mette in relazione un figlio con i propri geni-

tori è quello simbolico che si esprime attraverso dei riti. Chi è sempre di corsa e non è capace di interrom-pere quello che sta facendo, non entrerà mai in relazione con i propri figli. I figli hanno bisogno di genitori che sappiano creare momenti reali di incontro con loro. Per far questo occorre non solo riflettere, ma anche crearci un metodo e organizzare in modo rituale dei gesti e dei momenti d’incontro. Di qui lo slogan: inventia-moci dei riti.

Nella pratica quotidiana tutto que-sto significa che ogni famiglia deve saper costruire degli eventi simbolici ripetitivi. Come? Inventando degli spazi d’incontro e di vita insieme: può essere l’uscita, la visita ad un museo, la camminata in montagna, la par-tecipazione alla messa domenicale, l’esperienza di qualche preghiera comune… La ripetizione di questi momenti crea le condizioni per un incontro più profondo.Tutto questo va fatto nella più grande

Genitori che si fermanoa pensare

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distensione. Quando viviamo que-ste esperienze simboliche assieme ai nostri figli, essi devono capire attraverso il nostro corpo, le nostre parole, i nostri gesti, i nostri sorrisi e le nostre mani che in quel momento abbiamo in mente solo loro.Siccome i nostri figli non riescono a fare domande dirette e talvolta sono impacciati o nella confusione interiore legata alla loro crescita, noi genitori dobbiamo cercare uno strumento per far nascere e creare il dialogo.

Ormai è acquisito da tanti che l’unico linguaggio che crea cambiamento e comunione è quello narrativo. È dalla narrazione che nascono le domande e le riflessioni. Di qui l’importanza ad esempio di sfruttare tutte le narrazio-ni per avviare con i nostri figli un dia-logo sui problemi che stanno vivendo.

Non è la consegna delle confidenze che fa crescere un figlio. Come un figlio non deve sapere tutto di suo papà o di sua mamma, così io non devo sapere tutto di lui. Entrambi però dobbiamo capire che su alcune cose possiamo accoglierci, ascoltarci e comprenderci. In conclusione, se c’è un’urgenza oggi è che i ragazzi hanno bisogno di persone che siano testimoni di una vita vera, fondata su significati alti e limpidi e la cui vita sia una vera narrazione.

Perché noi genitori possiamo chie-dere ai ragazzi cosa fanno, ma loro non possono fare altrettanto? Spesso i ragazzi sembrano chiederci: “Ma al di là del lavoro, voi cosa fate?”. Ecco perché dobbiamo dare valore alla cura delle relazioni, a regalarci del tempo solo per noi o per i nostri figli.

Una famiglia dove papà e mamma non sono centrati solo sul lavoro, ma sulla ricerca di un significato alto al loro vivere certamente saranno un faro luminoso di vita per i propri figli ed in forza di questi valori saranno capaci di proiettare su di loro uno sguardo fiducioso sul futuro.

Ecco perché la prossima proposta di Artificio è quella di vivere con i geni-tori una giornata senza i propri figli attraverso lo stare insieme, la visita a luoghi simbolici che aiutino a capire dove stanno i valori fondanti della nostra convivenza, con la preoccupa-zione che questa esperienza diventi capace di suscitare interrogativi nei nostri ragazzi, fonte di dialogo e di comunicazione in famiglia.

di Daniele Bortoluzzi

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Il giorno 8 febbraio 2008, presso la nuova sala Artificio della par-rocchia, Guido Tallone, vicepresi-dente del Gruppo Abele, sindaco

del comune di Rivoli, ha coinvolto i nonni di Olmi in una riflessione sul loro ruolo nell’educazione dei nipoti.

La riflessione di Tallone è partita dal-l’osservazione secondo cui educare è l’arte di costruire reti, di intrecciare risorse ed energia. Per questo moti-vo, di quel “noi” che educa fanno parte anche i nonni, i quali se da un lato hanno interrotto la propria funzione produttiva, dall’altro non devono interrompere la propria fun-zione sociale. I nonni sono, infatti, fonte indispensabile di saggezza, di coesione, di speranza, di rielaborata umanità, e i bambini che non hanno nonni sembrano saperlo, tanto che se li adottano con schietta disinvoltura!Ma come possono i nonni svolgere nel modo migliore il loro ruolo di educatori non solo dei propri nipo-ti, ma anche di quei bambini che li hanno adottati come nonni, e dunque non solo nelle proprie famiglie, ma in quella famiglia allargata che è la comunità?Innanzitutto, i nonni devono essere generosi di parole.I nipoti costituiscono una generazione abituata al valore dello sguardo, il che significa che sono ricchi di immagini, ma poveri di racconti, i nonni, al con-

trario, costituiscono una generazione capace di raccontare e di insegnare il valore dell’ascolto.Per i nonni, dunque, educare i nipoti significa ridare senso a quel vuoto di parole che è sovradimensionato dalle immagini, attraverso una parola autentica che è capace di scendere in profondità, perché è propria di chi ha saggezza e storia.In secondo luogo, i nonni devo-no togliere ai nipoti il televisore e costruire racconti.Non c’è infatti nessun televisore che superi la parola di un nonno e di una nonna che raccontano e spiegano il mondo. Le loro parole, intrise nell’in-fanzia e nell’adolescenza dei bambini di odori, d profumi, di colori, di suoni, diventano una dimensione di prote-zione narrativa, poiché educano alla relazione.In terzo luogo, i nonni devono offrire saggezza.La saggezza è fatta di tempo trascor-so insieme, e i nonni non solo devono trascorrere il tempo con i loro nipoti, ma devono ricordare ai propri figli tale valore, perché in esso consiste l’equilibrio della vita.In quarto luogo, i nonni devono parla-re delle cose alte, educare i nipoti al valore della spiritualità.Il nonno è colui che è capace di inse-gnare al nipote che la felicità non è data dal benessere, ma dallo stare insieme.

Il valore dei nonninella comunità

I nonni sono fonteindispensabile di:saggezzaascoltocoesionesperanzaumanità

I nipoti hanno bisogno di:raccontipazienzasaggezza

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I nonni, infatti, hanno vissuto il cam-biamento occorso negli anni intorno ai valori fondamentali della vita, per cui dal credere (cioè dall’adesione intellettuale di ciascuno a un “credo”), attraverso il fare (cioè attraverso le lotte del ’68 che rivendicavano una coerenza tra l’adesione intellettuale e l’azione), si è arrivati negli anni 80 e 90 allo stare bene (cioè allo stato in cui tutto è facile e a portata di mano). Per questo loro vissuto, i nonni sono in grado di aiutare i nipoti ad affron-tare anche la difficoltà di un even-tuale “tornare indietro” nel livello del benessere, recuperando e testimo-niando il valore della relazione, dello stare insieme, dell’essere comunità.In quinto luogo, i nonni devono resti-tuire l’ascolto.Dopo essere stati con i nipoti, quando i loro genitori vengono a prenderli, i nonni devono parlare dei loro nipoti, perché questi fanno attenzione non tanto a quanto si dice con loro, ma soprattutto a quanto si dice su di loro. E da questo ascolto che li riguarda i bambini e gli adolescenti costruiscono la loro individualità.

di Lisa Bressan

I nonni devono offrire:sponda, accoglienza, non curiosità ma ascolto

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Lupetti20 - 27 luglio › Pergo (Cortona)

4° - 5° elementare, 1°-2° media 20 - 27 luglio › Pienza

Reparto18 - 27 luglio › Montepulciano (SI)

3° media, 1° e 2° superiore20 - 27 luglio › Montepulciano (SI)

3° - 4° - 5° superiore1 - 8 agosto › Citerna e luoghi di San Francesco

Clan1 - 8 agosto › Citerna e luoghi di San Francesco

campi estivi

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La tenda di Abramo Pasqua 2008 - 2�

L’associazione Mensana X nel contesto del progetto ARTIFICIO vuole quest’anno iniziare una collaborazione con le famiglie offrendo loro uno spazio di attività nel tempo che va dalla fine della scuola all’inizio dei campi estivi. Lo chiameremo ESTATE INSIEME. Oltre all’attività del ricamo, storicamente proposto dalle nostre suore, vogliamo, attra-verso l’aiuto di tante figure educative, la possibilità ai bambini di giocare, fare i compiti, aprirsi al mondo dell’arte, della musica in un clima di gioia e di serenità. L’esperienza sarà rivolta ai bambini delle elementari e ai ragazzi delle medie. Vi sarà un’ambientazio-ne fantastica. Ogni bambino avrà il suo ruolo e organizzeremo anche delle uscite di una giornata insieme.Cercheremo di venire incontro alle varie esigenze delle famiglie con attività che copri-ranno anche parte del pomeriggio per chi ne avesse necessità. Saremo aiutati in questo progetto dal Dr. Guido Tallone e da vari esperti. A breve vi daremo i dettagli del programma, le date e tutte le informazioni necessarie.

estate insieme

Quest’anno, dal 5 al 12 Settembre, come conclusione del percorso di preghiera mensile organizzato assieme alle Parrocchie di Silea e di Roncade, è stato organizzato un pellegrinaggio in Terra Santa. È la terza volta che la nostra Parrocchia, guidata da don Chino Biscontin, visita i Luoghi Santi della vita terrena di Gesù.Di seguito riportiamo il programma del pellegrinaggio che si sviluppa dalla Galilea alla Giudea ripercor-

rendo i momenti più significativi della vita di Gesù Cristo.

Nella terra di Gesù

1° giorno Venezia - Tel Aviv. Visita al Monte Carmelo e viaggio verso Nazareth.

2° giorno Preghiera presso la Grotta dell’Annunciazione; visita alla Casa di San Giuseppe; visita al Santuario di Cana di Galilea e salita al monte Tabor. Visita al paese di Naim e rientro a Nazareth.

3° giorno Visita ai Santuari del Lago di Tiberiade, il Monte delle Beatitudini, Cafarnao e Tabgha. Nel pomeriggio attraversata del Lago di Tiberiade e rientro a Nazareth.

4° giorno Partenza per la Giudea. Visita del Campo dei Pastori, Basilica della Natività e del Caritas Baby Hospital a Betlemme. Proseguo del pellegrinaggio verso Gerusalemme.

5° giorno Preghiera a Betania, visita di Betfage e al Santuario dell’Ascensione. Nel pomeriggio Santuario del Padre Nostro, Dominus Flevit, Grotta del Getsemani, Tomba della Madonna e Santuario del Getsemani.

6° giorno Celebrazione della Messa al Cenacolino, visita del Muro Occidentale e della Spianata delle Moschee, Santuario della Dormizione di Maria e Cenacolo. Nel pomeriggio percorso della Via Crucis, Calvario e Santo Sepolcro.

7° giorno Ein Karim e preghiera al Santuario della Visitazione. Nel pomeriggio visita al sito di Qumran e rientro a Gerusalemme passando per Gerico.

8° giorno Celebrazione della S. Messa al S. Sepolcro e rientro a Venezia.

VITA DI COMUNITÀ

�1La tenda di Abramo Pasqua 2008 -

VITA DI COMUNITÀ

Sono passati ormai 11 anni da quando la nostra parrocchia ha dato vita all’esperienza degli incontri di preghiera

mensili, guidati dal teologo don Chino Biscontin. Un percorso scaturito dal-l’intuizione che la ricerca di Dio nella preghiera deve essere il centro e la linfa di una comunità cristiana. In tutti questi anni gli incontri sono stati un punto di riferimento non solo per molti parrocchiani di Olmi, ma anche per tante persone delle parrocchie vicine che hanno trovato in questi momenti una possibilità inedita per la propria ricerca di fede.

Da qui è nato il desiderio di rendere ancora più evidente questa comu-nione tra le comunità cristiane del nostro territorio. Desiderio che si è concretizzato nel coinvolgimento delle parrocchie di Roncade e Silea e nel-l’ideazione e nell’organizzazione degli incontri, che ora si svolgono a turno, di mese in mese, in una chiesa delle tre comunità, quasi come un piccolo pellegrinaggio.

Dopo circa un anno e mezzo, la pre-senza sempre più numerosa di perso-ne alle preghiere mensili è un segno che dà maggiore concretezza alla speranza di poter collaborare sempre di più tra diverse parrocchie.

Abbiamo chiesto a due parrocchiane,

una di Roncade e una di Silea, che collaborano alla preparazione degli incontri, cosa pensano di questa esperienza.

Paola di Silea racconta: «La preghiera mensile era già conosciuta a Silea, molti ci venivano già, per cui non eravamo particolarmente preoccupati di parteciparvi attivamente. Dopo il primo anno in cui siamo stati aiutati nella preparazione degli incontri, que-st’anno siamo più autonomi e il grup-po che se ne preoccupa ormai è affia-tato. La preghiera, con il susseguirsi di brani biblici, canti, con l’adorazione del Santissimo, ha una struttura che aiuta la partecipazione delle persone, anche di chi non è abituato a confron-ti, lectio ed altre esperienze del gene-re. È per certi versi “leggera”, pur avendo contenuti veramente profondi. Sono poche le occasioni come questa, per una persona, di approfondire la propria fede. Ormai nella nostra par-rocchia c’è un gruppo di “fedelissimi”, che partecipa a tutti gli incontri, non solo quando sono qui a Silea, ma anche nelle altre parrocchie. Nella nostra comunità, queste preghiere hanno aiutato una partecipazione collettiva dei vari gruppi parrocchiali, anche di quelli che solitamente vivono più “appartati”.»

Flavia di Roncade: «Un gruppo di nostri parrocchiani ha partecipato

per anni alla preghiera mensile ed è stato bello per la nostra parrocchia avere la possibilità di poter vivere più attivamente questi incontri. È una ricchezza per la nostra comunità poter vivere questi momenti assieme ad altre parrocchie, condividendo la nostra ricerca di fede e sostenendola a vicenda. Queste preghiere ci aiutano a vivere con maggiore partecipazione anche la messa domenicale e sono un passo concreto di maggiore comunio-ne tra parrocchie. Spero sia un punto di partenza per una collaborazione e un aiuto reciproco sempre più forte; trovo sia importante trovare modi di aprirsi alle esperienze delle comunità vicine alla nostra.»

di Alessandro Daniel

Guardare al di làdel proprio campanileL’esperienza di preghiera di Olmi, Silea e Roncade

Da quest’anno abbiamo iniziato una nuova avventura con i bambini di 4° e 5° elementare. Da gennaio il nostro appuntamento è ogni sabato pomeriggio dalle 15.30 alle 17.00.Ma cosa ci impegniamo a fare??Vogliamo trasmettere loro la bellezza dello stare assieme, vogliamo aiutarli a prendere coscienza delle loro emozioni sia quando sono soli sia quando sono in gruppo. Vogliamo dare loro delle opportunità di contatto con il mondo della cultura.Ovviamente gli strumenti che utilizziamo sono molto semplici ma indispensa-bili per dei bambini: il gioco, il divertimento e le risate!Ultimamente abbiamo coinvolto anche i bambini di 3° elementare, nella speranza che il nostro gruppo si faccia sempre più grande!

Bambini, vi aspettiamoooo!!!!!!

di Rita e Daniele

Fuochi d’artificio

FUOCHI D’ARTIFICIO

FUOCHI D’ARTIFICIO

La tenda di Abramo Pasqua 2008 - ��

C’era una volta un leone che viveva in Africa con tutti gli altri leoni. Questo leone era un leone buono e aveva sul

dorso le ali. Tutti gli altri leoni lo prendevano in giro perché era diverso da loro. “Guarda cosa mangia!” dicevano,

poiché il leone buono mangiava solo pastasciutta. Gli altri leoni invece mangiavano zebre e bestie sel-

vagge, qualche volta anche uomini. “Guarda quello, con le ali sul dorso!” dicevano e poi si sganasciavano dalle risate sbeffeggiandolo. Poi si voltavano e si mangiavano un grasso mercante Indù, facendo lap lap, lap con la lingua come enormi gatti. Il leone buono non ci faceva caso. Ripiegava in giù le ali e si sdraiava accanto a loro sotto un albero al riparo dal sole, chieden-do educatamente se poteva bere un Negroni o un Americano.Un giorno si rifiutò di mangiare otto bestie Masai e ciò fece arrabbiare moltissimo il branco. Gli si avvicinò minacciosa una delle leonesse, la più malvagia di tutte. Aveva il muso, i baffi e gli artigli sporchi di san-gue e un respiro fetido. La leonessa ruggì con rabbia “ Ma chi sei tu che ti credi tanto migliore di noi? Da dove vieni leone mangiapasta? E che cosa fai da queste parti?”

Il leone le rispose“ Io vengo da

Il leone buonoFUOCHI D’ARTIFICIO

��La tenda di Abramo Pasqua 2008 -

una città molto lontana. Là abita mio padre sulla torre dell’orologio e di fronte a lui stanno quattro cavalli di bronzo con un zoccolo sollevato perché hanno paura di lui. Là ci sono più palazzi di tutta l’Africa e gli uomi-ni vanno in giro a piedi o in barca, perché nessun cavallo vero osa entrare in città per paura di mio padre”.“ Sei un bugiardo! Una città così non esiste! Ti mangerò, ali e tutto!” esclamò la leonessa facendo un balzo verso di lui. Il leone si spaventò moltissimo, dispiegò le ali e si sollevò in aria. Volò in cer-chio sopra al branco, guardò in giù e pensò “Che selvaggi questi leoni!” Si abbassò in picchiata per dare un ultimo saluto. “Adios”, disse in spagnolo, poiché era un leone colto. Allora la leonessa si sollevò sulle zampe posteriori e cercò di afferrarlo ma fece cilecca e ricadde a terra. Tutti i leoni ruggirono e gli ringhiarono contro nel loro dialetto leonino. Poi volò sempre più in alto e si diresse verso Venezia.Scese giù in piazza e tutti furono felici di rivederlo. Volò sulla torre e diede due bacioni a suo padre. “Com’era l’Africa?” gli chiese. “ Molto selvaggia” rispose.“Vado all’Harry’s Bar a trovare i miei amici” disse il leone buono. “Salutami tutti e dì loro che prima o poi scenderò a regolare il conto” disse suo padre. “ Va bene, papà” disse il leone e scese giù planando e si incamminò a quattro zampe verso il bar. Dentro nulla era cambia-to. Lui invece si sentiva molto cambiato poiché era stato via a lungo. “Un Negroni, Signor Leone?” chiese il barista. “Non avete per caso un sandwich di mercan-te indù?” rispose in tono scherzoso il leone. “No, ma possiamo procurarglielo!” Sorrise. “Fammi allora un Martini molto secco”. “Con del gin Gordon” aggiunse. Si guardò di nuovo attorno e si rese conto che era tornato a casa e aveva viaggiato molto. Ed era contento.

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