Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

7

Click here to load reader

description

Contributo apparso in G. Acone et alii, Maestro, maestri, nuovi maestri, La Scuola, Brescia 2002, pp. 250-262.

Transcript of Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

Page 1: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

Tecnologie didattiche e bisogno di educazione: le ragioni del cuore Pier Cesare Rivoltella, Università Cattolica (in G. Acone et alii, Maestro, maestri, nuovi maestri, La Scuola, Brescia 2002, pp. 250-262). La questione della magistralità trova oggi nel paesaggio cambiato dei media e delle tecnologie di comunicazione un nuovo spazio per essere posta. Dal punto di vista dell’educazione, infatti, questo paesaggio pare disegnare una situazione del tutto inadeguata a riproporre tutta la densità del rapporto tra maestro e allievo. In molte analisi i media sono stati presentati come i protagonisti di un processo di socializzazione alternativo a quello delle agenzie formative tradizionali, che tende a spingere ai margini o addirittura a eliminare la figura dell’educatore1; la logica di apprendimento da essi promossa si iscrive nello spazio del loisir e pare inconciliabile con l’impegno e la fatica richiesti dalla scuola2; quanto alle tecnologie didattiche, esse paiono promuovere più l’autoistruzione dei soggetti che non una reale interazione educativa, ponendo fuori gioco lo spazio della soggettività. L’ipotesi che si profila, in sostanza, è quella di una dialettica inconciliabile: da una parte l’educazione, che passa per l’interazione vis à vis, la presenza, la relazione; dall’altra i media e le tecnologie, le cui parole d’ordine sono, invece, autoistruzione, distanza, soggettivismo. Ora, è innegabile che buona parte dell’offerta di e-learning disponibile sul mercato sia concepita esattamente in questi termini: pacchetti rigidi, pensati per l’autoapprendimento, senza spazio per l’interazione che non sia un help-desk per risolvere difficoltà di tipo tecnico. Si tratta di scelte dettate dal mercato stesso che impone di contenere i costi e di prevedere il massimo di flessibilità d’uso. E tuttavia occorre distinguere molto bene tra questo uso dei media e delle tecnologie didattiche e le loro strutturali possibilità. L’errore da non commettere è di credere che questo uso implichi determinate caratteristiche nelle tecnologie stesse: ma il fatto che si faccia un uso non interattivo di Internet, ad esempio, non comporta che Internet sia una tecnologia che strutturalmente rende impossibile l’interazione; sappiamo, anzi, che è vero il contrario. La questione centrale, allora, diviene quella del rapporto tra i media e le nuove tecnologie di comunicazione da una parte, e l’intenzionalità educativa e didattica che le sostiene dall’altra. Capirlo consente di rivalutare i media e le tecnologie come nuovo territorio per l’educazione, persino nel senso forte del rapporto magistrale. Nella mia attività di ricerca e di sperimentazione didattica degli ultimi due anni mi pare di poter trovare alcune indicazioni interessanti a questo proposito. Un dato fenomenologico Quanto alla ricerca, il riferimento è a un progetto biennale portato avanti e recentemente concluso con una équipe internazionale3 per indagare il rapporto che intercorre tra i preadolescenti e Internet. Per quanto riguarda il campione italiano, la ricerca ha sottoposto a questionario e intervista in profondità 586 ragazzi tra gli 11 e i 17 anni, adottando come linee-guida i tre grandi items messi a

1 S. MARTELLI, (a cura di), Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media, FrancoAngeli, Milano 1996. 2 G. JACQUINOT, Educazione e comunicazione: lo choc delle culture, in D. SALZANO, (a cura di), Comunicazione ed educazione. Incontro di due culture, Isola dei ragazzi, Napoli 2000, pp. 117-129. 3 Ne hanno fatto parte, oltre all’Università Cattolica, le Università di Montreal e Sherbrooke in Canada, di Huelva in Spagna, di Louvain-la-neuve in Belgio, di Coimbra in Portogallo, oltre al CLEMI (Centre de liaison de l’enseignement et des médias d’information) di Parigi e al CIMM (Centre d’initiation aux médias de masse). Il rapporto della parte italiana della ricerca è pubblicato in: P.C. RIVOLTELLA, (a cura di), I rag@zzi del Web. I preadolescenti e Internet: una ricerca, VeP, Milano 2001. Gli strumenti di ricerca, i dati grezzi di tutti e sette i paesi e i report delle interviste sono disponibili in Internet, URL: http://cepad/unicatt.it/Ricerche-01.

Page 2: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

fuoco insieme all’équipe internazionale: la rappresentazione, l’uso e l’appropriazione di Internet. In sostanza, quale idea ne hanno i ragazzi, che uso ne fanno, che spazio occupa nella loro vita. Per il nostro discorso in questa sede il dato più rilevante è costituito dal disagio degli insegnanti (non costituivano il focus della ricerca ma indirettamente si sono colte indicazioni preziose al loro riguardo) e dall’emergere di un forte bisogno di educazione da parte dei ragazzi. Il disagio degli insegnanti, oltre che essere chiaramente avvertibile (i ricercatori che hanno somministrato i questionari nelle classi lo hanno colto), trova riscontro in diversi punti della ricerca. Solo 26 ragazzi del campione ammettono di utilizzare Internet in scuola; quando viene chiesto loro che tipo di uso ne fanno (quando, per quale tipo di attività) non sanno rispondere. Dalle interviste si ricava che questa incertezza è dovuta al fatto che l’uso che si fa della Rete è quasi sempre extracurricolare: o riguarda un numero limitato di studenti nel post-scuola, o addirittura il singolo. Le rappresentazioni che i ragazzi hanno del rapporto con Internet dei loro insegnanti aiutano a completare il quadro. Un ragazzo di 14 anni dice: «Una parte dei miei insegnanti io lo so che non lo sa usare». E una ragazza di 17: «Forse sono un po’ all’antica. Loro si basano su quel libro di testo, sulle loro spiegazioni e non vanno oltre. Ti dicono: “Toh, studiati questo, studiati gli appunti” ma non è che si interessano ad altro». Lo scenario che emerge è, dunque, quello di una classe docente che, nonostante tutti i piani recenti del Ministero per l’introduzione delle tecnologie in scuola, fa fatica ad assimilare il cambiamento e a tradurlo in risorsa educativa. A questo disagio fa riscontro, da parte dei ragazzi, un forte bisogno di educazione. Un bisogno da intendersi nel senso più profondo e autentico del termine, non un bisogno emotivo superficiale (il “capriccio” di cui parla Colombo nel suo intervento, rimproverando all’educazione di essere troppo customer oriented importando tecniche e strategie dal marketing aziendale). Un diciassettenne ammette: «Io non mi ci vedo a studiare su Internet, io vedo di più il professore che ti aiuta, sa i tuoi problemi… mentre Internet non sa i tuoi problemi. Internet ti dà lo schema, non sa poi in quale difficoltà sei più portato e non ha neanche la capacità di aiutarti. Lui ti da le informazioni, è una macchina e basta». E un ragazzo di 14 anni: «… perché per fare lezione è importante anche il contatto visivo, perché devi avere una persona che guardi, non puoi farlo solo con le parole…». Si tratta di valutazioni spontanee, che forse tradiscono anche una scorretta concettualizzazione della rete come qualcosa di meccanico e di impersonale, ma che lasciano chiaramente intendere quali siano i bisogni del ragazzo: avere a che fare con una persona, che conosca i tuoi problemi, che possa aiutarti, che non risolva tutto solo e soltanto con le parole. In sintesi, si tratta di un duplice bisogno di affettività e personalizzazione, un bisogno che emerge forte a prescindere dall’adozione o meno di tecnologie didattiche. Questo stesso bisogno si può cogliere anche dall’interazione con gli studenti che hanno preso parte alla sperimentazione didattica dei corsi on line negli ultimi due anni accademici4. Il dato potrebbe essere letto in negativo come una riprova del fatto che le età evolutive sono ormai molto prossime o che l’adolescenza tende a prolungarsi ben dentro il tempo di una formazione universitaria che, di conseguenza, va sempre più licealizzandosi (confortando le pessimistiche previsioni di chi sospetta che con l’avvento delle lauree triennali le cose andranno anche peggio). Ma si può leggere anche in positivo, quale segno di come proprio dentro (e grazie) a un contesto didattico tecnologizzato il bisogno di educazione riemerga prepotentemente. E di che bisogno si tratta? Cosa chiedono gli studenti? Qual è il contenuto di quella richiesta di affettività e personalizzazione che abbiamo già

4 Si tratta dei corsi on line di Teoria e tecniche delle comunicazioni di massa (4° anno del corso di laurea in Scienze dell’educazione, indirizzo per Esperti nei processi formativi) e di Teoria dell’informazione (1° anno del corso di laurea in Lingue e letterature straniere). Questi corsi on line (si possono visitare in Internet, URL: http://www.Cattolica.it) non erano sostitutivi della didattica in presenza ma erano concepiti come momento integrato rispetto ad essa. I dati cui si fa riferimento sono relativi, in particolare, all’a.a. 2000-2001.

Page 3: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

registrato? Per usare le parole di Girard, mirabilmente evocato da Giuliano Minichiello nel suo intervento, potremmo dire che in gioco, qui, c’è un bisogno forte di mediazione del desiderio. Gli studenti chiedono al loro insegnante (maestro?) di farsi mediatore dei loro desideri. Vediamo in che senso. Educazione e mediazione del desiderio Nella prospettiva antropologica di René Girard5 il desiderio triangolare è la struttura che sta alla base tanto della letteratura romanzesca di fine ‘800 che della violenza essenziale che caratterizza i rapporti dell’uomo con i suoi simili. Da questo punto di vista Madame Bovary e il decimo comandamento rivelano lo stesso dispositivo: il personaggio di Flaubert «desidera pel tramite delle romantiche eroine che le riempiono la fantasia»6, essa cioè non desidera spontaneamente qualcosa, ma quello che pensa possano desiderare i suoi modelli; il decimo comandamento riconosce la presenza di questo tipo di desiderio (Girard lo chiama desiderio mimetico) alla base di tutti i rapporti umani, poiché «si basa su un altro che dà valore agli oggetti, su un terzo che è chi ci sta più vicino, il prossimo, appunto»7. Il desiderio è triangolare perché non collega il soggetto e il suo oggetto con una linea retta, ma passa attraverso un terzo soggetto che funziona per il primo da modello del suo desiderare: questo altro è il mediatore del mio desiderio perché di fatto io desidero ciò che lui desidera. Quando diciamo che il bisogno che proviene dagli studenti è un bisogno di mediazione del desiderio intendiamo dire che essi chiedono all’educatore di farsi modello del loro desiderare. Ma di quale desiderio chiedono la mediazione? In primo luogo, la mediazione del desiderio viene richiesta in ordine all’orientamento, si esprime nella domanda di aiuto nella scelta, di accompagnamento nella costruzione del loro curriculum e del loro futuro professionale. Lo si coglie bene nel lavoro di direzione delle tesi di laurea, cui la disponibilità dei servizi on line (come la posta elettronica) garantisce una possibilità di “filo diretto” costante con il docente altrimenti impossibile nella prospettiva “classica” del ricevimento in presenza. Infatti, in un’università di massa come è la nostra, il momento del ricevimento risulta mediamente iperaffollato e non consente al docente di prestare una giusta attenzione alle esigenze e alle richieste dello studente penalizzando quella logica di conduzione pedagogica che invece dovrebbe caratterizzare il rapporto tra studente e docente in questo particolare momento della sua vita universitaria. Riporto di seguito la mail di una studentessa al quarto anno del corso di laurea in Scienze dell’educazione che consente di cogliere bene il senso di quanto stiamo argomentando. Nello specifico si tratta di una studentessa che (come spesso capita) si è lasciata coinvolgere (troppo!) dal proprio stage fino a prolungarlo oltre misura rallentando il proprio ritmo di esame. A questa studentessa avevo raccomandato di discernere il momento della formazione iniziale da quello dell’esperienza professionale richiamandola a non farsi assorbire troppo precocemente dal secondo. Ecco la sua risposta: Buongiorno prof. Rivoltella. Volevo aggiornarla sull'avanzamento della mia tesi "La comunicazione efficace in azienda: dalla riunione tradizionale alla videoconference".

5 Il riferimento, in questo caso, è in particolare a due saggi fondamentali dello studioso francese: Mensogne romantique et verité romanesque, Bernard Grasset, Paris 1961 (tr.it., Menzogna romanzesca e verità romantica. Le mediazioni del desiderio nella letteratura e nella vita, Bompiani, Milano 1965); Je vois Satan tomber comme l’éclair, Grasset & Fasquelle, Paris 1999 (tr.it., Ho visto Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2001). 6 GIRARD, Verità romantica…, cit., p. 11. 7 GIRARD, Ho visto Satana…, cit., p. 26.

Page 4: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

Prima di tutto volevo informarla che ho seguito il suo consiglio: "sono stata attenta e invece che farmi assorbire completamente dal lavoro, ho dato più esami possibili: così da 8 che erano all'inizio della sessioni di giugno/luglio, sono scesa a 4". Grazie del consiglio!! Nel frattempo il progetto che sto seguendo in Bayer si è concluso nella sua prima fase di inserimento contenuti, sono arrivati i primi cd-rom e ho partecipato anche alla prima giornata di formazione aziendale sul progetto: il corso pilota. Con tutte queste evoluzioni, le idee sull'indice della tesi si fanno sempre più chiare: volevo infatti inviarle una bozza dell'indice e un commento riguardo il contenuto di ogni capitolo. Nel caso volesse discuterne prima della pausa vacanze, io sono disponibile. La ringrazio. A presto Rossella Un’altra mail consente di focalizzare l’attenzione su una seconda tipologia di mediazione del desiderio richiesta dagli studenti. In questo caso ci si colloca a un livello anche più profondo rispetto al precedente: il desiderio in gioco è quello di trovare un riferimento valoriale in un contesto che non ne pare concedere più. Emblematico è il fatto che sia una matricola a esprimere questo tipo di richiesta: infatti l’abbandono del contesto chiuso della classe e del rapporto personale con gli insegnanti tipico della scuola superiore può rendere molto problematico l’approccio al mondo dell’università, che rende lo studente sicuramente più libero e responsabile nella definizione dei suoi apprendimenti, ma di sicuro lo priva anche, di solito, di quel rapporto personale con la figura del docente che può risultare necessario al suo orientamento. Tutto questo è molto chiaro nel messaggio che riporto di seguito; un messaggio interessante anche perché costituisce una lucida testimonianza di come l’appropriazione che lo studente fa delle tecnologie didattiche non ne evidenzi il tratto spersonalizzante ma, al contrario, proprio l’estrema possibilità di personalizzazione (indicativo il fatto che la studentessa, in fondo alla mail, si firmi “debo”, con il nickname da lei adottato nel forum aperto all’interno del corso on line, a sottolineare il fatto che qualsiasi formalità accademica nel rapporto con il docente è superata o, quanto meno, lasciata da parte):

Gentile prof. Rivoltella,

sono una sua "assidua seguace" al primo anno di lingue. Il mio messaggio potrà sembrarle un po' anomalo, perché non è strettamente didattico. Ma mi sono ricordata di un suo intervento nel forum, in cui parlava della comunicazione virtuale come di un mezzo che accorcia le distanze. Sentivo il bisogno di un incoraggiamento. Ho pensato a lei perché la stimo molto, e durante l'anno è diventata una "guida" in questo caos iniziale, un punto di riferimento. Io sto attraversando una piccola crisi scolastica, anche se i miei risultati di questa prima sessione sono stati più che buoni. Ma forse è proprio quando provi grande passione per quello che fai che cominci ad avere paura. Questo è quello che mi succede: mi guardo intorno e vedo chi, con la metà dei miei sforzi, senza il mio coinvolgimento emotivo nello studio, ottiene i miei stessi risultati. Chiarisco immediatamente che non si tratta di competitività: sono felice se i miei compagni vanno bene, ma mi tormenta un po' l'idea che forse a volte il mio impegno esagerato, il mio mettere anima e corpo nelle cose non dia risultati diversi. Spesso il professore che ti interroga non sa nulla di te, e non vede tutto questo da un'espressione, o da un colloquio di mezz'ora. So che dovrò convivere con l'idea, ma mi chiedo invece se il problema è che non sono così "perspicace" come credevo…ho sempre pensato che l'impegno e l'interesse sono tutto nella formazione scolastica di una persona, e ora tutte le mie convinzioni vanno perdendosi come se niente fosse. Forse l'errore più grave è dare importanza al voto, ma finora studiavo senza pensare al voto e alla fine il voto mi dava ragione. Il suo corso mi ha aperto gli occhi, mi ha appassionato ulteriormente. E non ho voluto dare l'esame in questa sessione perché ci tengo talmente tanto, che voglio prepararlo al meglio che posso. Ed ora, che molte mie amiche hanno già dato l'esame con ottimi risultati, ho paura che per me non vada così. E più vado avanti, più questa paura si manifesta in tutte le cose. In sostanza, mi scusi l'espressione ma rende l'idea, mi sento più scema degli altri. Questo messaggio è un piccolo sfogo, e spero in lei, che ammiro molto, per un incoraggiamento, una "illuminazione" per rimettermi in pista…Colgo l'occasione per ringraziarla di tutto ciò che mi ha insegnato, e non mi riferisco solo ai contenuti del corso. Spero le faccia piacere sapere che è un insegnante di quelli che ricorderò tra i più importanti per me…

debo

Il terzo e ultimo bisogno (almeno stando a una rapida recensione fenomenologica) è quello che nell’educatore fa cercare al ragazzo, allo studente, un modello nell’accostamento critico al sapere. Il dato emerge chiarissimo sia dai ragazzi della ricerca che dagli studenti dei corsi on line.

Page 5: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

I ragazzi della ricerca, anche i più piccoli, sanno già tutto dal punto di vista tecnico, ma chiedono all’educatore competenze più alte che loro non possono avere: come selezionare le informazioni in Internet? Come verificare l’attendibilità delle fonti? Lo stesso tipo di intervento veniva richiesto anche dagli studenti dei corsi on line all’interno dei forum di discussione. A questo riguardo è emblematico che in occasione delle furiose polemiche sorte intorno a Satyricon di Daniele Luttazzi8, diversi studenti si siano rivolti direttamente al docente chiedendo chiavi interpretative al riguardo. Di fatto si presentava loro la possibilità di far interagire quello che avevano visto a lezione circa le teorie degli effetti dei media sul pubblico con un caso reale. Di fronte alla lettura più immediata (autorizzata dalla carta stampata) che riconduceva le scelte di Luttazzi al clima pre-elettorale e, quindi, alla contrapposizione destra-sinistra, gli studenti esprimono il bisogno di vedersi indicare altre ipotesi, intuiscono la possibilità di risalire oltre questo tipo di lettura e chiedono al docente di esercitare una funzione modellizzante per la loro conoscenza critica9. La mediazione “necessaria” e la responsabilità dell’educare Il mimetismo del desiderio, come osserva Girard, vive di una dialettica interna. Infatti, se da una parte esso è responsabile della violenza essenziale degli uomini (se desidero sempre ispirandomi al desiderio degli altri sarà inevitabile che finisca per desiderare ciò che loro stessi desiderano entrandovi in conflitto), dall’altra è ciò senza di cui l’uomo non potrebbe uscire dallo stato di animalità: «Non è solamente il loro desiderio che noi prendiamo in prestito da coloro che abbiamo scelto come modelli, ma un’intera serie di pregiudizi, preferenze e così via, e fra tutte queste cose il prestito più gravido di conseguenze, il desiderio, è proprio quello che di solito non viene percepito. La cultura che possiamo dire veramente nostra non è quella in cui siamo nati, è la cultura della quale imitiamo i modelli nell’età in cui la nostra capacità di assimilazione mimetica è più grande»10. Come si capisce, questo da una parte sottolinea come la mediazione del desiderio sia una necessità rilanciando quindi – anche nell’età della tecnologia – l’insostituibilità del maestro, ma dall’altra apre la questione relativa alla sua identità, ai suoi compiti, a ciò che non deve fare. Girard, in questa prospettiva, contrappone due tipi di maestro. Da una parte, indica in Cristo il modello perfetto della magistralità perché «Gesù non pretende di possedere un desiderio suo proprio, un desiderio “esclusivamente suo”. All’opposto di quel che facciamo noi, egli non ha la pretesa di “essere se stesso”, non si vanta di “non obbedire che al proprio desiderio”. Il suo unico scopo è divenire l’immagine perfetta di Dio»11. A differenza di Cristo «i nostri guru moderni (…) invitano tutti noi a fare il contrario di quello che essi fanno, o che perlomeno dicono di fare. Ognuno di loro domanda ai suoi discepoli di imitare in lui il grand’uomo che non ha bisogno di imitare nessuno»12. In sostanza, da una parte c’è il maestro che invita a imitare la sua stessa imitazione, dall’altra il maestro che invece si offre lui stesso come modello di imitazione. Girard è categorico al riguardo: il secondo tipo di maestro è un cattivo maestro perché imitandolo i suoi

8 Il corso a cui faccio riferimento è quello del 2000-2001. Durante lo svolgimento delle lezioni della parte istituzionale, che vertevano sulla questione del potere dei media sull’audience, il comico nel suo programma su RaiDue aveva suscitato grande eco nell’informazione e nell’opinione pubblica per le sue provocazioni e in particolare per avere rilanciato le ipotesi di connivenza tra Berlusconi e la mafia ospitando in studio il giornalista Marco Travaglio autore di un pamphlet sull’argomento. 9 La lettura cui si pervenne nel forum riguardo a Luttazzi fu di tipo squisitamente mediologico, non politico. Il comico non aveva voluto fare propaganda politica, ma dimostrare il potere della televisione. Un libro, già in libreria da tre mesi con scarso successo editoriale e senza che nessuno ne parli, viene presentato in televisione e nel giro di una settimana produce querele per il comico e il giornalista, interpellazioni parlamentari, segnalazioni all’Ufficio del garante e il saccheggio delle librerie con conseguente immediata ristampa del volume. 10 GIRARD, Ho visto Satana…, p. 36. 11 Ibi., p. 33. 12 Ibidem.

Page 6: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

discepoli non fanno altro che alimentare le illusioni che la loro ammirazione per il maestro proietta, «un’ammirazione tanto meno cosciente della sua natura mimetica quanto più è imitativa. Più noi siamo “orgogliosi” ed “egoisti”, più diventiamo servilmente soggetti ai modelli che ci sovrastano»13. Dei due modelli di maestro, solo il primo sottrae l’uomo alla logica della violenza, mentre il secondo finisce per alimentarla. La nostra opinione è che i due estremi vadano assunti come i margini di un terreno di oscillazione o, meglio, come i limiti di un cammino di perfezione. All’educatore non si può certo chiedere di indicare la strada verso quel desiderio solo imitando il quale la violenza è definitivamente sconfitta e di vivere in perfetta coerenza questo ruolo. Probabilmente c’è stato solo un Maestro in grado di fare questo. I maestri di questo mondo il desiderio lo mediano, spesso confondendo l’amore per l’allievo con il proprio narcisismo: Girard ha ragione su questo punto. La realtà del rapporto educativo è fatta di anche di transfert14 e occorre ricordare che per il maestro è difficile rinunciare alla innegabile gratificazione che gli proviene dal sapersi modello per i suoi discepoli. Una questione che ribadisce tutta la responsabilità dell’educare e rischia di paralizzare di fronte al compito. La via d’uscita – o quanto meno un consolante viatico al fare - viene indicato da Turoldo là dove, in una delle sue ultime omelie15, individua il misterioso paradosso di cui vive il cristiano in quanto testimone della Parola: … posso anche sentire la distanza fra quello che dico e quello che sono, è vero, ma intanto almeno diciamo quello che dovremmo essere… quando comparirò, almeno questo potrò dire al Signore: la tua Parola ho cercato di predicare, non sarò certo sempre riuscito a praticarla, ma almeno a predicarla, sì! In sostanza, dice Turoldo, per quanto inadatti, lasciamo un segno importante in chi ci incontra. Un’esperienza che ogni educatore ha fatto sicuramente, scoprendo di avere inciso in profondità proprio su coloro nei quali meno pensava di lasciare traccia. Professionalità e importanza del cuore Il percorso che abbiamo descritto ha messo in circolo la riflessione di Girard sul desiderio mimetico con le tecnologie didattiche. Il loro punto di incontro (e di innesco) è stato trovato nel carattere specifico di queste tecnologie – in particolare delle tecnologie di rete – e cioè nella loro forte interattività, nella possibilità che esse garantiscono di abbattere la distanza fisica dei soggetti creando una nuova prossimità. Sulla base di queste favorevoli condizioni comunicative la richiesta di una mediazione del proprio desiderio da parte dei soggetti si ribadisce nella duplice direzione dell’orientamento esistenziale e cognitivo: all’educatore si chiede di fornire un modello di desiderio in ordine ai valori e al sapere.�Questo autorizza, in conclusione, due ordini di considerazioni. �

Anzitutto indica la necessità di tenere insieme professionalità e servizio della verità. Il lavoro educativo, nel nuovo scenario segnato dalla presenza dei media e delle nuove tecnologie di comunicazione, richiede che il servizio della verità si declini sempre più nel senso di una professionalità che sappia farsi carico anche della tecnologia, non per rimpiazzare i tecnici (sarebbe difficile, oltre che inutile) ma per gestire i processi e produrre riflessione su di essi. Questo significa, ad esempio, nella scuola come nell’università, mettersi in condizione di fornire risposte alla domanda di discernimento critico che proviene dagli studenti. Accennavamo in apertura ad alcuni degli interrogativi attraverso i quali questa domanda si chiarisce: come fare ricerca in 13 Ibi., p. 35. 14 Occorre tenere presente questo fatto, perché se è vero – come è stato ribadito – che occorre mantenere ben chiara la distinzione tra la clinica e l’educazione, va anche riconosciuto che la clinica costituisce una componente difficilmente eliminabile dall’educazione stessa. 15 D.M. TUROLDO, Il Fuoco di Elia profeta, Piemme, Casale 1991, p. 114.

Page 7: Tecnologie didattiche e bisogno di educazione

Internet? Come selezionare un’informazione sicuramente troppo abbondante? In base a quali criteri cartografare il sapere? Si tratta di quella “conoscenza della conoscenza” di cui parla Edgar Morin e che interpreta il senso più autentico di quanto tradizionalmente si intende quando si parla di “senso critico”. Alla risposta a queste domande si aggiunge la necessità di padroneggiare con sapienza didattica i processi di apprendimento assistiti dalla tecnologia. Le tecnologie di comunicazione, occorre sempre ricordarlo, non possono diventare tecnologie didattiche se non sono sostenute da un’opportuna intenzionalità educativa e didattica. Questo significa integrarle nella prassi dell’insegnamento, interpretarle nelle loro specificità, trovare nuove forme e nuovi modelli di presenza coerenti con esse, come il coaching, o il tutoring. Si tratta di modelli forse più “laterali” ma non meno impegnativi (ed educativamente significativi) di quelli tradizionali. La seconda considerazione sorge in margine alla domanda di mediazione che dai giovani proviene all’educatore in ordine ai loro desideri. Si tratta di un sintomo soltanto di una più generale atmosfera sociale che chiaramente indica la presenza di un bisogno diffuso di relazione affettiva e richiama l’uomo della conoscenza e l’educatore ad assumere un differente stile di intervento. «Oggi – suggerisce Michel Maffesoli – il concreto, l’esperienza, ciò che è vicino, diventano valori fondamentali: è necessario dunque elaborare una sociologia del quotidiano capace di adeguarsi alle emergenze cui si accennava»16. L’indicazione può essere raccolta e piegata in senso educativo: cosa significa elaborare una pedagogia del quotidiano? Quali ne possono essere i tratti costitutivi? In che misura può fornire delle indicazioni per un recupero della relazione magistrale? Seguendo sempre Maffesoli e cercando di declinare in senso educativo le sue annotazioni si possono individuare almeno tre prerogative di questa relazione:

• l’importanza della dimensione prossemica, cioè della capacità di entrare in relazione con l’allievo in modo naturale, a partire da una conoscenza intuitiva e non necessariamente attraverso l’argomentazione o la dimostrazione. Si tratta di ciò che, spesso, si indica parlando di feeling e che qualcuno ha definito “osmosi affettiva”;

• quest’osmosi affettiva si esplicita attraverso la complicità del maestro con l’allievo, fatta di osservazione e attenzione, di “prossimità libidica”, di tonalità affettiva;

• il risultato è una pedagogia della carezza che si oppone al “graffio concettuale”, che immagina l’educazione come accompagnamento, come metanoia e non come paranoia, cioè come pensiero che pensa accanto e non come pensiero che impone e controlla.

Capire questo significa capire che per l’educazione nell’età delle tecnologie il fulcro è il cuore. L’icona di maestro su cui riflettere ci pare quella del “padre, fratello e amico” di cui parlava Don Bosco, un maestro che conosce “il linguaggio del cuore” e che sa “guadagnare il cuore dell’allievo”. «Con l’amorevolezza si toccano corde e suscitano vibrazioni che coinvolgono l’intera personalità dei destinatari, giovani e adulti, resi sensibili all’intera gamma degli “interessi” vitali, materiali e spirituali. “Guadagnare il cuore” non significa aver raggiunto soltanto il loro mondo emotivo; e la loro risposta non è solo “affezione”, ma anche riconoscenza, stima, rispetto, desiderio di corrispondenza, impegno e collaborazione»17. Senza rinunciare alla razionalità, occorre forse chiedersi se non sia necessario “spostare” un po’ di lato la verità per fare spazio alla carità.

16 M. MAFFESOLI, Elogio della ragione sensibile, SEAM, Roma 2000, p. 196. 17 P. BRAIDO, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di Don Bosco, LAS, Roma 1998, p. 300.