Tecniche immaginative

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Dare vita al nuovo: immaginare attivamente altri orizzonti e scenari con la forza motrice della fantasia per rispondere alle sfide innovative del cambiamento. L’esplorazione e la scoperta di possibilità molteplici apre il sipario sull’utilità applicata di procedure e strategie creative nella facilitazione dei trattamenti psicologici. La produzione di nuove connessioni analogiche e divergenti stimola la visualizzazione mentale a generare nuovi punti di vista, opzioni originali e autoliberanti.

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collana Psicoterapia & Counselingdiretta da Edoardo Giusti

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Centro Europeo di Ricercheper lo Studio delle Psicoterapie

Integrate e Comparate

PSICOTERAPIA�

COUNSELING�

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Edoardo Giusti

TECNICHEIMMAGINATIVE

Il teatro interiorenelle relazioni d’aiuto

OVERA EDITORE

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© 2007 SOVERA MULTIMEDIA s.r.l.Via Vincenzo Brunacci, 55/55A - 00146 ROMAwww.soveraedizioni.come-mail: [email protected]

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Sommario

Capitolo 1: L’immaginazione e la mente umana 7

1.1. Immagini e immaginazione 71.2. Ricerca e teorie su immagine e immaginazione 151.3. Fondamenti neurofisiologici 181.4. Aspetti psicoimmunologici: il placebo 301.4a. Immagini, psiconeuroimmunologia e tumori 49

Capitolo 2: Interventi mediante tecniche immaginative 65

2.1. Tecniche immaginative in terapia cognitiva 682.2. Uso delle immagini in psicoterapia dinamica 812.3. Imagoterapia 922.4. Terapie immaginative autogene 952.5. Ipnoterapia 972.5a. Ipnosi e neoplasie 982.6. Tecniche immaginative e meditazione con bambini

ed adolescenti 1082.7. Counseling con intervento di procedura

immaginativa 118

Capitolo 3: Metodologie immaginative e terapie integrate 121

3.1. Analisi transazionale ed immagini primarie 1213.2. Gestalt therapy 124

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3.3. Sand play 1323.4. Psicosintesi 1343.5. Art therapy 1363.5a. Evocazione immaginativa delle fotografie e dei film 1393.6. Narrazione e metafore nei trattamenti 1493.7. Approccio strategico e immaginazione 154

Capitolo 4: Psicopatologia dell’immaginazione eimmagini della cura 157

4.1. Immaginazione e patologia 1574.2. Immaginazione e progettualità creativa 1624.3. Immaginazione, società e società dell’immagine 167

Appendice 1: Visualizzazione guidata: indicazioni generali 173

Appendice 2: Visualizzazione guidata, esercizi 189

Appendice 3: La visualizzazione guidata e la meditazioneper bambini ed adolescenti, esercizi 207

Appendice 4: Counseling e psicoterapia con interventodella procedura immaginativa 229

Bibliografia 251

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Capitolo 1

L’immaginazione e la mente umana

1.1. Immagini e immaginazione

Immagini ed immaginazione: il giro d’orizzonte che questitermini abbracciano è vastissimo. La parola immagine e quel-le con essa imparentate vengono infatti usate comunementeper indicare differenti concetti. L’interesse dell’uomo per leimmagini è antichissimo, basti pensare alla produzione deigraffiti, all’interesse che le immagini hanno suscitato e all’im-portanza che hanno avuto nelle culture del passato come quel-la egizia o quella greca (l’interesse dell’epica per i sogni adesempio, o i miti). In greco i termini eikasia e phantasia, “im-maginazione” e “immagine” si riferiscono entrambi alla fa-coltà dell’immaginare, senza che ci sia una differenza netta fral’attività immaginativa e quella fantastica. Nel tempo, il signi-ficato dei due termini, coincidenti per molti versi, si è diffe-renziato in quanto all’immaginazione si è assegnato il ruolo digenerare, ubbidendo ad interessi pratici, riproduzioni mentalidi oggetti della realtà all’interno di sempre nuove associazionio quello della creazione di immagini, mentre alla fantasiaquello dell’elaborazione estetica delle rappresentazioni o im-magini mentali. In termini kantiani, l’immaginazione è “purao produttiva” quando elabora esteticamente, mentre è “ripro-duttiva” quando presuppone l’esperienza elaborata empirica-

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mente. L’immaginazione o fantasia produce non solo immagi-ni mentali visive, ma anche immagini tattili, acustiche, olfatti-ve e motorie. Nell’atto creativo queste immagini mentali pos-sono esprimersi in opere: dipinti, sculture, poesie, musiche,danze, ecc. Dalle opere di Aristotele (il ‘De memoria et remi-niscentia’ e il ‘De anima’) possiamo desumere che già questogrande pensatore avesse osservato che non si può pensare sen-za immagini e che egli assegnasse grande importanza al rap-porto corpo-mente, tutti e due implicati nell’immaginazione.Aristotele ha infatti evidenziato come dalla periferia del corpotutto ciò che è recepito dai sensi giunge al centro del cervello,sulla ‘piccola ghiandola’, dove si imprime.

Anche Platone si è interessato del tema dell’immaginazio-ne (nella Repubblica, il Teeteto, il Timeo e Filebo) e nel Timeoanch’egli, come Aristotele, pone l’accento sul legame mente-corpo chiamando in causa il fegato proprio a riguardo dell’im-maginazione. Il fegato rappresenterebbe l’organo di cui si ser-ve ‘l’anima appetitiva’ per trasformare i pensieri in immagini.Quando su questo organo si riflettono i pensieri, se essi sonoforti e disturbanti, il fegato riceve delle figure che si trasfor-mano in immagini che lo rendono grinzoso e bilioso. Se, inve-ce, i pensieri che su di esso si riflettono sono riposanti, le im-magini che la superficie dell’organo registra sono serene e lorendono roseo e disteso.

Compiendo ora un salto in avanti di molti secoli, ed arri-vando fino a Sartre, vediamo che questo altro grande pensato-re, interessandosi all’immagine, ha sostenuto che l’immaginedi un oggetto reale non può essere l’oggetto in sé, l’immagineè una cosa minore rispetto alla cosa reale, ha una esistenzapropria pur essendo capace di stabilire rapporti con la cosa dicui è immagine. Per Sartre l’immagine è coscienza di qualchecosa.

L’antropologo e storico Gilbert Durand, negli anni Sessan-ta, a qualche decennio di distanza da Sartre, ha di contro so-

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stenuto che molti filosofi, come Sartre, in verità, non hannosaputo cogliere nell’immagine il suo essere portatrice di unsenso che non va ricercato fuori della significazione immagi-naria. L’immagine è simbolo ed è il suo senso figurato che vacolto. Nel simbolismo costitutivo dell’immagine vi è omoge-neità fra significante e significato. L’immaginazione generaimmagini perché è potenza dinamica.

Altri ancora, come ad esempio lo storico delle religioniMircea Eliade (1952) si sono fatti sostenitori della saggezzapopolare che riconosce all’immagine il potere di contribuirealla salute psichica in quanto garante di ricchezza interiore.L’immagine, secondo Eliade, imita “Modelli Esemplari” chesono continuamente riattualizzati e ripetuti perché entrati a farparte dell’Immaginario Collettivo. Molte immagini sono “sim-boli Iero-cosmici”, cioè sacri, come l’Albero, la Scala, la Ruo-ta, il Mandala, il Labirinto.

Anche da questi pochi cenni alla ‘filosofia dell’immagine’,possiamo dedurre l’importanza che l’immagine e l’immagina-zione hanno rivestito nella storia dell’uomo; molte scopertescientifiche sono il frutto di una vivacissima immaginazione el’immagine mentale nei secoli, è sempre stata un mezzo di co-municazione che, quando si è trasformata in oggetto reale, co-me nell’opera d’arte, ha favorito l’incontro e il dialogo tra gliuomini. I miti, le leggende e le favole, sono combinazioni diimmagini deputate a trasmettere ed a conservare messaggi; intutte le discipline umane, dalla medicina alla fisica, dalla ma-tematica alla filosofia, dalla psicologia all’arte, l’attività im-maginativa ha rivestito e riveste tuttora un ruolo di vitale im-portanza; così è anche nella vita e nella storia personale di ogniindividuo: il bambino è infatti capace di immaginare e fanta-sticare già in tenera età e si avvale dell’immaginazione nei suoigiochi trasformando il mondo reale per ridurlo ai suoi bisogni.Ecco quindi che l’immagine e l’immaginazione, continuano adessere oggetto di studio, ricerca e curiosità, fino ai giorni no-

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stri. Oggi più che mai, infatti, l’immagine è oggetto di studianche dei media, dei pubblicitari e suscitano grande interesseanche le nuove immagini studiate dalla cibernetica, le imma-gini virtuali: “Queste nuove immagini vengono chiamate an-che immagini virtuali, nella misura in cui presentano mondi si-mulati, immaginari, illusori. Questa espressione, immaginevirtuale, non è nuova e in ottica indica un’immagine prodottadal prolungarsi dei raggi luminosi: l’immagine nella sorgenteo nello specchio, per esempio. Immagini già fondatrici di unimmaginario ricco e produttivo. Ma solo Narciso, Alice o Or-feo, finora erano passati al di là dello specchio’ (Joly, 1999).Restando ancorati a una dimensione reale e non virtuale, cer-chiamo di considerare ‘il percorso’ dell’immagine e dell’im-maginazione all’interno della storia, con particolare attenzionealla storia della psicologia.

Abbiamo già accennato a come i filosofi hanno discusso edibattuto in tutti i secoli di tali argomentazioni; nell’insieme,possiamo dire che hanno identificato tre filoni principali: l’im-maginativo, l’immaginario e l’immagine mentale. In qualchemodo anche la psicologia si è incanalata in questi tre filoni: hastudiato i miti e le credenze dell’individuo e della collettività(l’immaginario), la creatività, i sogni e la comunicazione sim-bolica, le immagini patologiche (l’immaginativo), la capacitàdella mente di produrre ed elaborare immagini e le caratteri-stiche stesse di queste immagini (l’immagine). L’argomento,già di per sé ‘proteiforme’, vanta una certa problematicità intutti i settori (filosofia, linguistica, matematica, neuroscienzeecc.) e in tutti i secoli. Nell’illuminismo, l’immaginazione èstata relegata nel campo artistico, è stata poi rivalutata dal pen-siero romantico dell’Ottocento e poi nuovamente svalutata dal-la corrente di pensiero positivista. Nel primo ventennio delNovecento, il dibattito sull’immaginazione ha ripreso vigore; èproprio in questi anni che nasce la psicologia come scienza sa-pere e cresce l’interesse verso l’immaginazione come metodo

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terapeutico. Già nel 1883 Galton inizia a parlare di MentalImagery e si dedica a studiare e descrivere come alcuni indivi-dui svolgano i calcoli mentali visualizzando i numeri, attri-buendo loro forme e colori, anziché trattarli semplicemente al-la stregua di entità simboliche. Anche William James, nei suoiPrincipi di psicologia (1890) s’interessa all’immaginazione,connettendola all’attenzione e alla coscienza; Janet, più o me-no negli stessi anni, parla di sostituzioni di immagini: “un’i-dea, un ricordo, possono essere considerati come un sistema diimmagini che si possono distruggere separandone gli elemen-ti e sostituendo alle precedenti questa o quell’idea parziale”;Binet (metodo dell’introspezione provocata) studia sperimen-talmente il rapporto tra ideazione ed immaginazione, indivi-duando due modi di immaginare, quello spontaneo e quellovolontario. Ad aprire un ulteriore varco all’uso delle immaginie all’interesse sull’immaginazione è, tra il 1931 ed il 1945, Ro-bert Desoille, che con la pubblicazione in questi anni di varisaggi diffonde l’utilizzo della tecnica del sogno da svegli epresenta una forma di terapia orientata al metodo delle indu-zioni delle immagini; Happidich C. (in Di Nuovo,1999), sug-gerisce un metodo di meditazione ottenuto attraverso la di-stensione muscolare in cui si può creare una “zona di ristoro”che sta tra la parte conscia ed inconscia e, a tal fine, suggeri-sce ai pazienti di muoversi in uno spazio immaginario (un pra-to, una grotta, ecc.); Pierce Clark pubblica nel 1925 un lavorosul metodo delle elaborazioni fantasmatiche. Negli anni suc-cessivi si verifica una sorta di stallo nella ricerca sull’immagi-nazione e, più che il versante scientifico, si sviluppa quello oc-cultista. Secondo alcuni è stata proprio la paura di non potercondurre un discorso scientifico ad impedire a Freud di ap-profondire l’argomento dell’immaginazione; Freud ha infattiscritto numerosi saggi sull’arte e ha riconosciuto l’importanzadelle fantasie legate all’infanzia rendendo l’attività immagina-tiva onirica lo strumento primario d’indagine della psicoanali-

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si. Tuttavia pur ammettendo che la fantasia inconscia è alla ba-se sia del simbolismo, che si esprime nel sintomo, sia in quel-lo che esprime l’opera d’arte (come fa notare la Segal), al mo-mento di approfondire il ruolo dell’immaginario nella tecnicapsicoanalitica, sembrerebbe, secondo alcuni, essersi acconten-tato delle certezze della verità scientifica, piuttosto che darespazio all’incertezza ed ai possibili errori in cui sarebbe potu-to incorrere. Alcuni attribuiscono a ciò gli alterchi tra Freud eJung. Quest’ultimo ha elaborato la tecnica dell’immaginazio-ne attiva ed ha usato tale termine nel 1935 per descrivere unprocesso di sogno ad occhi aperti. Tale metodo prevede che al-l’inizio ci si concentri su uno specifico punto, umore, imma-gine o evento, per poi lasciarsi andare ad una concatenazionedi fantasie associate che assumono gradualmente un caratteredrammatico; le immagini acquistano poi vita propria e si svi-luppano secondo la loro propria logica. L’immaginazione atti-va si contrappone al fantasticare che è in qualche misura frut-to della propria inventiva e rimane alla superficie dell’espe-rienza personale e quotidiana. L’immaginazione attiva è l’op-posto dell’invenzione cosciente, si crea cioè una situazione incui contenuti inconsci emergono allo stato di veglia. Jung so-stiene che l’immagine prodotta dalla fantasia ha in sé tutto ilnecessario per il suo sviluppo successivo e la sua trasforma-zione in vita psichica; egli ritiene particolarmente utile taletecnica negli ultimi stadi dell’analisi, quando l’oggettivazionedelle immagini può sostituire i sogni. I sogni sono vissuti pas-sivamente, il processo d’immaginazione richiede invece la par-tecipazione attiva e creativa dell’Io e, scrive a tal propositoJung: “l’immagine è un’espressione concentrata della situa-zione psichica totale e non soltanto o prevalentemente di con-tenuti inconsci qualsiasi […] essa è sia espressione di conte-nuti inconsci, ma non di tutti i contenuti in genere, bensì solodi quelli che sono costellati in quel momento…”. L’interpreta-zione del significato dell’immagine non può quindi partire né

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dalla sola coscienza né dal solo inconscio, ma unicamente dalloro mutuo rapporto (Piana, 1988).

Sempre guardando alla storia della psicologia, si osservache ad un certo punto si creano due fronti: il fronte degli psi-cologi sperimentali che considerano i contenuti della coscien-za come i dati fondamentali della psicologia, sui quali lo psi-cologo doveva lavorare per costruire la teoria della mente, e ilfronte dei seguaci prima di Watson e poi di Skinner i quali ri-tenevano inutile sondare e tentare di studiare la vita interiore esostenevano la necessità di limitarsi alle leggi del comporta-mento. Per quanto queste controversie abbiano in qualche mo-do ostacolato il nascere di una vera e propria psicologia del-l’immaginazione, non hanno impedito che questa divenissestrumento di terapia e continuasse ad essere oggetto di studio.Nel corso degli anni sono infatti stati elaborati test che fannouso d’immagini (vedi il Roscharch o il CAT), si è cercato distudiare il collegamento tra creatività e patologia, si è ap-profondito lo studio delle allucinazioni, e l’uso d’immagini edell’immaginazione è stato il fulcro di terapie di stampo co-gnitive-comportamentali così come di terapie sessuali. Ed an-cora, è stata compiuta una interessante rassegna (Sheikh, Kun-zendorf e Sheik, 1989, in Di Nuovo, 1999) sui diversi inter-venti terapeutici nella tradizione orientale e nella medicina oc-cidentale; Plutchik (1984, ibid.) e Suler (1985, ibid.) hannoevidenziato che il fondamento teorico dell’utilizzo dell’imma-ginazione nella modificazione del disadattamento affettivo è ilrapporto a due vie esistente tra immagine ed emozione: que-st’ultima può infatti tradursi in immagine e l’immagine a suavolta può servire alla regolazione ed al controllo dell’emoti-vità.

Nucho (1995, ibid.) ha parlato dell’immaginazione creativaspontanea evidenziando che l’attivazione di un doppio canaled’intervento (immaginativo oltre che verbale) può favorire ilprocedere del trattamento terapeutico verso una creatività fon-

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te di benessere. Gli sviluppi più recenti della ricerca portanosoprattutto in direzione del versante neuropsicologico e tenta-no di approfondire le caratteristiche del pensiero divergente ecreativo, anche a partire dagli interessanti studi compiuti su in-dividui autistici. Anche se il campo delle immagini e dell’im-maginazione resta vastissimo e le tematiche continuano ad es-sere ampie e dibattute, allo stato dei fatti non si può ignorareche le immagini portano con sé un senso di carico affettivo, fa-cilitano i cambiamenti a livello fisiologico e possono aiutaread orientare il soggetto verso il futuro, quindi verso la proget-tualità, e pertanto possono ricoprire un ruolo fondamentale neltrattamento terapeutico.

Al termine di questa veloce rassegna storica sull’immagi-nazione, ci sembra degno di nota un dato, per così dire, evolu-tivo sull’immaginazione: gli studi sull’evoluzione della speciesembrano indicare che l’homo habilis aveva capacità immagi-native molto limitate; con la comparsa dell’homo sapiens lecapacità immaginative si sono evolute, ma ci sono voluti circacinquantamila anni dalla sua comparsa perché tali capacitàfossero sviluppate quanto le attuali; secondo alcuni (Foley,1995 in Gregory, 2004) gli anni tra la comparsa dell’homo sa-piens ed il completo sviluppo delle capacità d’immaginazionesarebbero quelli occorsi perché l’uomo iniziasse a ragionare intermini di “come se”. Le neuroscienze hanno ormai messo inevidenza l’importanza delle operazioni mentali e dei contenu-ti della mente, e tra questi l’immaginazione. Evolutivamentesaremmo quindi predisposti allo sviluppo dell’immaginazionee al “come se”. Ecco allora che, soprattutto in una ottica di ap-proccio pluralistico integrato, diviene importante studiare inche modo le varie forme di terapia utilizzano l’immaginazionee quali prospettive possono offrire le tecniche immaginative el’immaginazione stessa.

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1.2. Ricerca e teorie su immagine e immaginazione

Esistono varie posizioni teoriche sulle immagini. Alcuni so-stengono che esse operano nella vita mentale in modo tale dacostruire veri e propri oggetti della mente; in particolare, leimmagini spaziali sono caratterizzate dalle stesse proprietà chesi ritiene esse rappresentino nella mente: esse darebbero luogoad una sorta di fotografia della realtà, tradotta attraverso ap-propriati codici neurobiologici. Per altri la mente agirebbe co-me un computer che analizza l’informazione sulla base di an-notazioni, regole e procedure formali, tipiche della logica, ri-correndo a rappresentazioni simbolico-proposizionali. Unaterza posizione, né meccanicistica, né logico-formale, sostieneche l’immaginazione appartiene ad un sistema simbolico pri-vato, fortemente individuale, utilizzato come strumento utileper scopi diversi, dall’orientarsi nello spazio alla rievocazionedi ricordi, alla soluzione dei problemi. Ogni persona adotte-rebbe una strategia individuale e ricorrerebbe all’immagina-zione come ad una delle diverse attività utili alla vita mentale,servendosi anche d’altre forme di simbolizzazione.

Più in generale possiamo quindi identificare due posizioni,che identificano anche gli estremi di una accesa diatriba sulruolo dell’immaginazione: la posizione strutturalista e quellafunzionalista.

I sostenitori delle teorie strutturaliste indagano le somi-glianze e le differenze tra le rappresentazioni mentali derivan-ti dall’esperienza percettiva e quelle legate all’attività immagi-nativa.

Le teorie funzionali prendono in esame il ruolo svolto dal-la formazione e dalla manipolazione di immagini in compiti incui è richiesto di riconoscere oggetti a partire da descrizioniverbali; si chiede di valutare l’identità di oggetti presentati dapunti di vista differenti. Un esempio, in tal senso, sono le ri-cerche di Shepard e collaboratori sulle rotazioni mentali (She-

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pard e Metzler, 1971; Cooper e Shepard, 1973a e b; Cooper ePodgorny, 1976; Shepard e Cooper, 1982, in Vecchio, 1992).Essi hanno dimostrato che il tempo necessario per valutare l’e-quivalenza di due configurazioni visive presentate in orienta-menti diversi è proporzionale alla differenza angolare tra ledue orientazioni. È come se i soggetti ruotassero mentalmentee gradualmente una figura fino a farla combaciare con l’altraper poi esprimere il loro giudizio. L’insieme di questi studiporta a considerare livelli d’equivalenza tra percezione ed im-maginazione (Finke, 1980). Posizione non concorde a que-st’ultimo punto di vista è quella di Piaget che considera inve-ce l’immagine mentale come derivata dall’imitazione differita,la prima forma in cui si presenta la funzione simbolica. L’imi-tazione differita è definibile come imitazione interiorizzata edentra in gioco solo a partire dal secondo anno di vita. Per Pia-get l’immagine non è un costituente del pensiero, un suo ele-mento, ma un suo supporto simbolico, uno strumento utile, purnon essendo indispensabile, per l’esecuzione di certe opera-zioni.

Pylyshyn (1973) contesta aspramente il riferimento alle im-magini nella spiegazione dei processi cognitivi; innanzituttocritica la definizione basata sul concetto di metafora fotogra-fica, in quanto ritiene che l’immagine sia un epifenomeno, ilrisultato di attività e processi; l’immagine è cioè un punto d’ar-rivo dell’attività cognitiva e non il punto di partenza, ed è per-ciò priva di valore funzionale. Sempre Pylyshyn nota che inmolti casi di esperimenti i risultati ottenuti possono essere sta-ti condizionati dalle richieste e aspettative dei ricercatori e deisoggetti partecipanti e dalla conoscenza tacita di questi ultimiche tendono a comportarsi come se utilizzassero le immaginimentali ma, in realtà, agiscono guidati dalle conoscenze chehanno sulle proprietà degli oggetti reali. Anche altri autori so-stengono tesi proposizionaliste, come quelle di Pylyshyn, e ladiscussione teorica si sta orientando verso un raffinamento del

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concetto d’immagine mentale. L’idea dell’immagine mentalecome ‘figura della mente’ viene abbandonata e considerata in-vece come un modo particolare d’utilizzazione dell’informa-zione disponibile al sistema, dotato di proprie specifiche ca-ratteristiche. La teoria di Kosslyn è, attualmente, sempre piùcondivisa e sta crescendo l’interesse per i legami con la me-moria e le differenze individuali e l’attenzione. Si sta ap-profondendo l’idea di immagine come processo. Un approcciorecente, sostenuto anche da Kosslyn, invita a considerare leabilità immaginative come il risultato della cooperazione di di-versi processi. In generale, quindi, la ricerca si sta orientandoverso una indagine più analitica, in cui le differenze indivi-duali sono dovute alla diversa efficacia con cui vengono uti-lizzati i processi di base (Kosslyn et al., 1984). All’interno ditale approccio si collocano anche le ricerche che mirano adidentificare le condizioni per il ricorso spontaneo all’immagi-nazione nei compiti cognitivi. Interessante il modello di Katz(1983, 1987), secondo il quale le diverse capacità degli indivi-dui sono da ricondurre all’interazione di tre fonti di conoscen-za, cui si riferisce con le espressioni ‘how to knowledge’,‘when to knowledge’ e ‘self knowledge’. Il primo tipo di fon-te di conoscenza riguarda le abilità immaginative di base a di-sposizione dei soggetti e le capacità con cui sanno applicarleai problemi in cui è rilevante il ricorso alle immagini mentali;il secondo tipo si riferisce alle credenze possedute dai sogget-ti relative alle occasioni in cui è utile ricorrere a strategie im-maginative; il terzo tipo fa riferimento ad altri fattori respon-sabili delle abilità immaginative nonché alle caratteristiche dipersonalità dei soggetti stessi. L’aspetto centrale di tale model-lo è l’importanza attribuita al controllo cosciente dell’immagi-nazione da parte del soggetto; l’imagery è considerata unastrategia di rielaborazione dell’informazione la cui attivazionedipende esclusivamente dalle caratteristiche dello stimolo (da-ta driver) ma anche dalle concezioni del soggetto (concept dri-

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ver). “In questo contesto trovano giustificazione le ricerchesulla meta-immaginazione (Denis e Carfantan, 1985; De Benie Giusberti, 1990; Cornoldi et al., 1991), il cui scopo è quellodi illustrare le concezioni ingenue che i soggetti hanno sui pro-cessi immaginativi, sulla loro utilità, sulle situazioni in cui èutile fare ad essi ricorso. Lo sviluppo di tali studi si riallaccia,d’altro canto, ad un’esigenza diffusa nella psicologia contem-poranea: quella di indagare i processi cognitivi in situazioni divita reale, secondo quello che è stato definito l’approccio eco-logico dello studio della cognizione (cfr. Yuille, 1986, per ilcampo specifico degli studi dell’immagine mentale)” (in Vec-chio, 1992).

1.3. Fondamenti neurofisiologici

Le prime ricerche in questo campo miravano ad individua-re correlati fisiologici che potessero essere considerati sintomidel ricorso all’immagine da parte del soggetto, ad esempio ladilatazione pupillare, i movimenti oculari e la loro direzione(Vecchio, 1992). Un altro settore di studi è invece rappresen-tato dalle ricerche sulle strutture cerebrali coinvolte nei pro-cessi di immaginazione (Atkinson, 1991).

L’inizio delle ricerche si può far risalire agli anni ’70, anniin cui lo studioso canadese Allan Paivio ha pubblicato “Ima-gery and Verbal Processes” (1971). Paivio ha studiato l’imma-ginazione a partire da memoria e apprendimento verbale ed ègiunto ad elaborare una teoria nota come “ipotesi del doppiocodice” nella quale sostiene che le immagini e le strutture ver-bali costituiscono due modalità di codifica, due formati in cuipuò essere rappresentata l’informazione, ciascuno con caratte-ristiche e processi di elaborazione propri. Nel 1986 Paivio giun-ge perciò a parlare di “imagens” e “logogens” riferendosi alleunità di rappresentazione di base rispettivamente per l’informa-

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zione verbale e non verbale. Il sistema verbale è strutturato, alivello funzionale, in reti di associazione; i suoi processi di ela-borazione sono di tipo sequenziale analitico. Viceversa, l’ela-borazione nel sistema non verbale è essenzialmente parallela,operando su strutture che mantengono analogia con quanto èrappresentato. Queste considerazioni hanno costituito la baseteorica per molte altre ricerche e si è giunti in generale a di-stinguere che esiste innanzitutto tra memoria e ‘immaginazio-ne eidetica’, particolarmente evidente nei bambini.

Per prendere in considerazione meglio le potenzialità tera-peutiche dell’immaginazione è utile dare sinteticamente riferi-mento ad alcuni parametri fisiologici correlati alle immaginimentali, sia sotto l’aspetto neurovegetativo che neurofisiologi-co. Gli studi sullo split brain hanno cercato di scoprire se esi-ste una specializzazione degli emisferi (Liotti, Grossi, 1988),se esista cioè una sede di processi immaginativi. Sergeant con-sidera il coinvolgimento di entrambi gli emisferi (1990). Farah(1984, inVecchio,1992) sostiene la distribuzione dei processiimmaginativi in varie aree del cervello; la contraddittorietà deirisultati della ricerca in questo caso non sempre permette diconcludere che esiste una predominanza dell’emisfero destro.

Le modificazioni della frequenza cardiaca, della pressionearteriosa, della risposta psicogalvanica e della frequenza respi-ratoria sono state studiate da Jordan e Lenington (1979, in DiNuovo,1999), che hanno messo a confronto le risposte neuro-vegetative di prove che inducevano ansia e prove immaginati-ve di figure parentali a valenza positiva e negativa; sia l’ansiache le immagini mentali producevano modificazioni qualitati-ve e quantitative del sistema vegetativo; le modificazioni fi-siologiche dei suddetti parametri erano tra l’altro proporziona-li alla vividezza dell’immagine. Jones e Johnson (1980, ibid.)hanno preso in considerazione solo l’attività cardiaca, valutan-done la modificazione in rapporto alla produzione d’immagi-ni ad attività motoria bassa (sono su una amaca) o alta (salto

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per la felicità); si è constata una accelerazione cardiaca in cor-rispondenza delle immagini di elevata attività motoria. Lang(1984, ibid.) ha sostenuto che le istruzioni che contengono glielementi della risposta immaginativa favoriscono la comparsadi risposte fisiologiche più intense durante la costruzione del-l’immagine mentale stessa. Interessanti sono i correlati stretta-mente neurofisiologici tra immagini mentali ed attività elet-troencefalografica: in particolare, l’ampiezza del ritmo alfa èstata da sempre considerata parametro di riferimento dipen-dente dall’attività mentale.

Davidson e Schwartz (1977, ibid.) hanno osservato una at-tenuazione dell’attività alfa-occipitale nel corso della produ-zione di immagini mentali visive e di attenuazione dello stes-so ritmo nelle regioni motorie durante la produzione di imma-gini mentali cenestesiche, dati questi confermati dagli studi diChapman et al. (1984, ibid.,) e Kaufman et al. (1991, ibid.)condotti con la magnetoelettroencefalografia. Garcia de Leone Peraita (1988, ibid.) hanno evidenziato che la produzione diimmagini mentali di una parola produceva il blocco delle atti-vità alfa nella regione temporale dell’emisfero sinistro; la pro-duzione dell’immagine visiva dell’oggetto corrispondente allastessa parola produceva il blocco alfa nell’emisfero destro; laproduzione di immagini mentali visive dello stesso oggetto inmovimento produceva il blocco alfa nelle aree temporo occi-pitali dell’emisfero sinistro. Gli studi condotti con i potenzialievocati e la flussimetria Doppler non hanno permesso di chia-rire con certezza l’impegno interemisferico; hanno piuttostomesso in evidenza il ruolo di strutture cerebrali più profondeed il coinvolgimento della memoria nella genesi delle imma-gini mentali. I correlati anatomico-funzionali tra immaginimentali e strutture cerebrali preposte al loro recupero sono sta-ti identificati da alcuni autori in una serie di modificazioni cheavvengono nell’attività dielettrica dei neuroni e delle sinapsi,dette LTP (long term potentation), che si mantengono in ma-

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niera stabile e permettono la formazione e la conservazionedei ricordi; il potenziamento a lungo termine è un evento bio-chimico che esprime la risposta ad una stimolazione con unadeterminata frequenza elettrica di una sinapsi neuronale, laquale comporta la comparsa di una risposta che tende ad au-mentare e a restare a lungo accresciuta (Teyler e Discenna,1984, e Mathies, 1989, ibid.). Le esperienze vengono raccoltedalle varie reti di neuroni, ed in determinate zone del cervellosi formano dei ‘segnalibri biochimici’ (LTP), che successiva-mente il cervello utilizza per creare, ricreare e ricordare l’e-sperienza originale. I ricordi possono essere quindi riportati al-la mente riunendo dati provenienti da diverse parti del cervel-lo, grazie a stimoli esterni capaci di favorire la rievocazione.La memoria coinvolta in questo processo è quella episodicacasuale, in cui la ricerca mnemonica può essere riconducibilealla prassi metodologica delle libere associazioni, terminefreudiano con cui viene indicata la possibilità di esaminare ilpensiero eludendo la sequenza temporale degli eventi e la cen-sura. In quest’ottica, la memoria è quindi influenzabile da fat-tori esterni di distrazione, da stati d’ansia, da stati emotivi ingenere; ne consegue che alcune memorie sono evocabili in de-terminati stati mentali o emotivi e non in altri, così un indivi-duo potrà ricordare meglio un evento quanto più si troverà nel-le condizioni di umore in cui si trovava al momento in cui hasperimentato e memorizzato quella determinata esperienza(Oliverio, 1996).

Ricerche condotte con la PET (tomografia ad emissioni dipositroni) hanno dimostrato che le regioni encefaliche d’atti-vazione della memoria episodica casuale sono prevalentemen-te associative, sono quindi connesse tra loro, ricevono stimolidalle regioni sensomotorie primarie, dai gangli della base e daltalamo; comprendono le regioni frontali, quelle parietali, ilprecuneo, il cingolo retrospleniale, il giro angolare sopramar-ginale destro; complessivamente l’attivazione è maggiore nel-

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l’emisfero destro (Andreasen et al., 1995, ibid.). L’importanzadella memoria episodica in generale, e di quella episodica ca-suale in particolare, va ricercata nel fatto che le aree coinvoltenella loro attivazione, e le strutture di queste stesse aree, fan-no parte di un unico circuito che provvede ad integrare l’iden-tità personale e le esperienze personali passate, realizzando co-sì una interazione ridondante che modula la consapevolezza disé, permettendoci di passare dalla coscienza al preconscio e in-conscio (Arena, 1997). Ne è stata data conferma dagli studi diFuster (1989) e Goldman (1987, 1988), che hanno osservatoche le lesioni delle regioni frontali provocano la comparsa dicomportamenti non censurati ed antisociali, derivandone per-ciò un ruolo nella coscienza e nel sistema di valori, istanze eti-co-morali o superegoiche che verrebbero quindi meno quandoqueste aree non controllano più le sottostanti (ipotalamo,amigdala ed ippocampo) che medierebbero, di contro, le istan-ze più profonde, più istintuali, ed il pensiero primario (menoaccessibile alla coscienza).

Tutti gli studi e le ricerche sin qui citati, ci permettono dievidenziare che l’attività immaginativa è fisiologicamente na-turale per l’uomo e che sia il produrre che il recepirle può in-fluenzare i parametri psico-corporei. Quest’insieme di dati de-ve far riflettere su come possa essere fondamentale l’utilizzodelle immagini e dell’immaginazione in un contesto terapeuti-co, soprattutto rispetto a specifici disturbi (vedi, ad esempio,disturbi psicosomatici). Inoltre, bisogna considerare che inqualche modo l’attività immaginativa svolge una funzione re-golatrice: se tra le molte ore della giornata l’individuo non de-dica una parte di esse alle attività fantastiche ottenute in statodi rilassamento (sonno), corre il rischio di un sovraccaricomentale. L’individuo equilibrato trova il suo ritmo compensa-torio intervallando le fasi attive con quelle di disponibilità afantasticare, a immaginare.

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Tabella a

ImmaginazioneDefinita genericamente, l’immaginazione è la facoltà di forma-re immagini mentali, di trasformarle, di svilupparle ed anche dideformarle. Nel linguaggio psicologico, la parola immaginazio-ne indica una particolare forma di pensiero che non segue re-gole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzioneed elaborazione libera del contenuto di un dato sensoriale pre-sente o passato, legato ad un determinato stato affettivo e, spes-so, orientata attorno ad un tema. Dal punto di vista della scien-za cognitiva, le immagini mentali mostrano come la memorianon solo codifichi i dati frutto della percezione, ma li organiz-zi in categorie, generalizzandoli ed interpretandoli. L’immagi-nazione può dar luogo ad un’attività di tipo sognante (il cosid-detto daydreaming) oppure a creazioni armoniose o anche, conun meccanismo che si riallaccia all’intuizione, portare a con-clusioni ricche di contenuto pratico (Oliviero, in Treccani,1999).

Caratteristiche dell’immaginazioneMental imagery: la capacità di vedere con ‘l’occhio’ dellamente e sentire con ‘l’orecchio’ della mente

Rappresentazione simbolica: l’uso di concetti ed immagini perevocare o rappresentare entità del mondo reale, o l’uso di cosereali per evocarne altre (ad es.la penna al posto del microfono)

Counterfactual thinking: la capacità di immaginare qualcosa dinon necessariamente inerente ad una circostanza o realtà di fat-to; con ciò si indica anche la capacità di immaginare il corso de-gli eventi, di un‘azione, di fantasie e desideri e la capacità di‘leggere la mente’ dell’altro, comprendere cioè le sue intenzio-ni, credenze, desideri ecc. (tradotto da Gregory, 1999):

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Tabella a.2 (da Borgo, della Giusta, Sibilia, 2001)

Immagine mentale e brain imagingAlcune tecniche radiologiche hanno di recente permesso di loca-lizzare la formazione di immagini a livello cerebrale nell’area vi-siva secondaria (occipitale) con la partecipazione di altre zone(temporali e frontali). In psicoterapia cognitivo-comportamentale è stato fatto fin dal-l’inizio un largo uso di tecniche immaginative, anche in assenzadi un’adeguata teorizzazione. Sulla base della teoria di Paivio,che postula l’esistenza di un sistema iconico unitario, potremmoritenere che vi sia una continuità tra le varie forme immaginati-ve (immagini mentali, fantasie, sogni) e che quindi si possa an-dare dall’una all’altra, come di fatto accade in alcune tecniche.Tecniche di ‘brain imaging’ o ‘neuroimaging’, sempre più sofi-sticate, hanno permesso di conoscere meglio la fisiologia cere-brale e del sistema nervoso e le anomalie cerebrali causa di varidisturbi mentali. In molti casi si è potuto ipotizzare o evidenzia-re i correlati anatomici e funzionali dell’attività mentale con que-sti metodi di visualizzazione computerizzata del cervello, dandocosì basi scientificamente fondate alle teorie psicologiche e neu-ropsicologiche.Le principali tecniche di ‘brain imaging’ sono:– EEG, elettroencefalogramma computerizzato;– TAC, tomografia assiale computerizzata;– RMN, risonanza magnetica nucleare,– SPECT, PET, ecc.Diverse tecniche di neuroimaging sono utilizzate per conoscerela base neurobiologica dei disturbi dello spettro psicotico e affet-tivo, in maniera particolare la valutazione con MRI dei disturbibipolari e della schizofrenia. Il maggiore interesse è rivolto acomprendere gli elementi neurobiologici comuni sottostanti aidisturbi bipolari e alla schizofrenia, integrandoli con la psicopa-tologia. In particolare, l’obiettivo principale di molti studi e ri-cerche è quello di aumentare le conoscenze sui possibili circuitidel sistema nervoso centrale condivisi da queste due condizioniche potrebbero essere responsabili dell’insorgenza delle manife-stazioni psicotiche.

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Tabella a.3 (modificato da Di Nuovo, Appunti, 2005)

La localizzazione funzionale a livello cerebrale delle immaginile ricerche con la SPECT (tecnica che valuta il flusso ematico cere-brale) condotte da Goldenberg, Podreka e Steiner (1990), hannoevidenziato il coinvolgimento della regione occipitale inferiore sini-stra nell’immaginazione mentale visiva. Esistono notevoli differen-ze individuali fra i soggetti e relative al tipo di compito; “viene dif-ferenzialmente attivato l’emisfero sinistro o l’emisfero destro infunzione dalla natura delle prove e degli stimoli utilizzati” (De Pa-scalis, 1995, p. 249). I lobi temporale e parietale sono a loro voltafunzionalmente connessi con il frontale (posteriore-inferiore); ilcoinvolgimento del lobo frontale avrebbe funzione inibitoria testi-moniata dalla relazione negativa tra la sua attivazione e l’immagi-nazione (Goldenberg et al., 1990, p. 326). Pur riconoscendo la pre-valenza dell’occipitale inferiore, specie a sinistra, gli autori conclu-dono: “sembra che l’immaginazione visiva attivi un sistema funzio-nale complessivo, i cui esatti confini cambiano da prova a prova. In-fatti, nessuna singola regione è attivata in modo consistente in tuttele condizioni di immaginazione” (Goldenberg et al., 1990, p. 328).Questa conclusione è spiegabile se si ricorda che la formazione ela gestione di un’immagine mentale coinvolge una serie di compo-nenti molto diverse tra loro: comprensione delle istruzioni; acces-so alle informazioni nella memoria a lungo termine; attivazione diricordi appropriati circa l’oggetto da immaginare; corrispondenzatra l’informazione semantica e l’apparenza dell’oggetto; genera-zione dell’immagine; resoconto verbale del risultato dell’ispezionedell’immagine. Al tempo stesso, si deve tener conto della difficoltàd’isolare troppo nettamente le diverse fasi e componenti, e di rela-zionarle punto a punto con le aree di funzionamento cerebrale: ilcervello infatti non è organizzato come un computer seriale, ma at-tiva congiuntamente e in parallelo aree ed emisferi implicati nellediverse componenti del processo. Isolare aree ed emisferi respon-sabili in esclusiva di segmenti del processo può essere in certi casiimpossibile (Sergent, 1990). Infine, nei processi immaginativi in-teragiscono processi di attenzione, memoria, categorizzazione, ini-bizione di risposte contrastanti (tutti coinvolgenti aree ed emisferidifferenti): tutto il cervello è coinvolto, insomma, nell’attività diimmaginazione.

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Tabella a.4 (ibidem)

Prevalenza emisfericaA partire dal saggio del 1984, la Farah ha sostenuto addiritturala prevalenza dell’emisfero sinistro, legata però al tipo di com-pito: questo emisfero è interessato se i compiti sono cognitivi ein qualche misura verbalizzabili; il destro invece se si tratta dicompiti sensoriali, implicanti abilità spaziali (ad esempio, im-magini da ruotare).Secondo Kosslyn (1987) l’emisfero sinistro genera le immaginiche comportano relazioni categoriali, mentre l’emisfero destroè specializzato a generare immagini prevalentemente basate sucoordinate spaziali (vedi anche Grossi, Modafferi, PelosieTrojano, 1989). Va rilevato però (Sergent, 1990) che non sem-pre è facile distinguere attraverso le prove a disposizione se ilsoggetto ha generato una immagine dettagliata, ben categoriz-zata oppure schematica e basata solo su aspetti spaziali. Parten-do da basi evoluzionistiche, Corballis (1991) sostiene che lagenerazione d’immagini funziona in modo analogo alla genera-zione del linguaggio: in entrambi i casi un piccolo set di ele-menti (per esempio relativi alla forma) può essere combinatosecondo certe regole in modo da formare una infinita combina-zione di ‘prodotti’. Questa componente ‘generativa’ (denomi-nata da Corballis Generative Assembling Device, GAD) è es-senzialmente localizzabile nell’emisfero sinistro. In realtà l’im-maginazione è una funzione complessa che non può essere lo-calizzata in un solo emisfero (Richardson, 1990); il transfer in-teremisferico è certamente rilevante: ciò conferma la insuffi-cienza delle teorie ‘pittorialiste’ e ‘proposizionali’ se considera-te sterilmente contrapposte.

Tabella a.5 (ibidem)

L’immaginazione: aspetti evolutivi“La struttura e il contenuto delle immagini sono determinatidalla storia evolutiva peculiare dell’individuo. Ogni immagine

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rappresenta l’“essenza” di un insieme di esperienze passate…”(Marks, 1984, p. 97). Bruner (1964) sottolinea l’emergere se-quenziale di tre modi di rappresentazione: motoria (‘enactive’),iconica e simbolica (verbale). Dallo schema dell’azione si pas-sa allo schema spaziale e all’immagine, che si ferma però alla“superficie delle cose”, cioè agli aspetti sensoriali degli ogget-ti, e poi agli aspetti invarianti, astratti, simbolici della realtà.Anche Piaget e Inhelder (1966) condividono in parte questa di-stinzione tra rappresentazioni immaginative e rappresentazioniverbali in termini di concreto/astratto, ma sottolineano comel’immagine sia essenziale per rappresentare la realtà in terminisimbolici: essa forma infatti la base degli schemi mentali su cuisi fonda l’intero processo di costruzione della conoscenza, dal-le forme più semplici a quelle più complesse di simbolizzazio-ne. Le immagini codificate dagli stimoli esterni vengono ‘assi-milate’ e integrate negli schemi esistenti, ma al tempo stesso lediscrepanze tra i nuovi stimoli e gli schemi pregressi vengonorisolte creando nuove immagini e nuovi schemi ‘accomodati’basandosi su di esse.Dal punto di vista evolutivo, l’immaginazione appare in unaprima fase all’età di 18-24 mesi, mentre il secondo decisivomomento è lo stabilirsi delle immagini anticipatorie (6-7 anni)che consentono la ricostruzione di processi dinamici e la previ-sione delle conseguenze delle azioni. Il “non qui e non ora” –presupposto per il pensiero astratto – si basa anche sulla capa-cità di visualizzare realtà non presenti (visualizzazione antici-patoria nei termini di Piaget e Inhelder). L’immaginazione hauna valenza simbolica – non direttamente legata alla percezio-ne – che può riprodurre o anticipare percezioni della realtàesterna, in rapporto allo sviluppo delle attività operatorie.Sia Bruner che Piaget condividono, seppur con diverse accen-tuazioni, l’idea che le immagini siano specializzate per le rap-presentazioni di oggetti e di eventi concreti, mentre il linguag-gio interno è adatto a trattare problemi astratti.Come Paivio (1971) ha fatto rilevare, l’idea di una transizionetra fase iconica e fase simbolica sottovaluta l’interazione conti-nua tra le due modalità. Contrapporre immagine (concreto) e

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verbale (astratto) semplifica la complessità dinamica del rap-porto fra queste dimensioni.Kosslyn (1989) ribadisce come il bambino privilegi la visualiz-zazione e la usi nei giochi che richiedono rappresentazionimentali su base simbolica o visuo-spaziale (dal ‘compagno im-maginario’ e dal vecchio gioco del ‘quindici’ ai videogames).La cultura in cui il bambino è inserito tende a farlo passare aduna prevalenza della verbalizzazione, sostituendo le immaginimentali con il richiamo di concetti codificati verbalmente. Unproblema, inizialmente, viene risolto su base visiva richiaman-do l’immagine pertinente: alla domanda “i cani hanno quattrozampe?” il bambino piccolo risponde associando l’immaginevisiva del cane; più tardi apprende a registrare l’informazione informa proposizionale. Si può così fare a meno di tornare al ri-chiamo dell’immagine, a meno che istruzioni specifiche o sti-moli particolari non lo rendano necessario. Lo stesso avvieneper altri tipi di problem solving, in cui i bambini vengono ad-destrati a ‘pensare’ in termini proposizionali piuttosto che diimmagini.

Tabella a.6 (ibidem)

I pre-requisiti per lo sviluppo dell’immaginazione:(secondo Tower, 1983):– la maturazione neurologica;– l’organizzazione cognitiva;– l’organizzazione affettivo-emozionale;– le condizioni interpersonali (sicurezza nell’attaccamento,

modelli adeguati);– le condizioni ambientali: spazio e tempo sufficienti per l’e-

leborazione di giochi basati sull’immaginazione, assenza dicondizioni di deprivazione, struttura non rigida ed adulto-centrica delle relazioni educative favoriscono lo sviluppodelle capacità immaginative.

La costruzione della realtà interiore, mediata dalle immagini, sisviluppa quando la mente – grazie alla maturazione neuronale

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e all’apprendimento – è in condizione di cogliere i significatisimbolici della realtà esterna: sono le immagini che consentonodi anticipare i comportamenti prima di metterli in atto, e dicreare un mondo interiore in cui desideri ed emozioni possonoessere tematizzati. Man mano che l’apparato neurologico crescein complessità, il bambino è in grado “non solo di creare im-magini, ma di ricreare scene e avvenimenti complessi che haosservato e combinarli in modi nuovi. Cominciano a formarsiricordi fatti non solo di immagini di sequenze di azioni, ma an-che di emozioni, intenzioni e desideri” (Greenspan, 1997, tr. it.,p. 78).

Tabella a.7 (ibidem)

Progettazione creativa ed uso educativo e terapeutico delleimmaginiL’integrazione – con la supervisione e il coordinamento dei lo-bi frontali del cervello, deputati alla programmazione – si rea-lizza soprattutto nel progettare creativo: attività che comportaflessibilità e apertura alle novità, dimensioni della creatività chela ricerca ha dimostrato correlate con l’immaginazione (Denis,1990; Roskos-Ewoldsen, Intons-Peterson e Anderson, 1993).La progettazione creativa comporta inoltre il richiamo dalla me-moria, la manipolazione e la ricombinazione di elementi per-cettivi e semantici in modo nuovo e originale: è evidente quan-to la componente di immaginazione mentale sia importante per-ché questa operazione si realizzi con successo.La progettazione, con le necessarie componenti immaginative,è essenziale in ciò che comunemente viene definito ‘creazionedi una nuova opera’. A livello neuropsicologico questo compor-ta una riorganizzazione del sistema neuronale e l’attivazione diuna plasticità dei sistemi coinvolti i cui meccanismi sono anco-ra poco noti, ma di cui il sistema della immaginazione visiva ècertamente componente essenziale.‘Progettare’ significa immaginare, evocare qualcosa e vederecome realizzarlo: al sistema cerebrale è richiesto di usare il

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massimo dell’impegno e della concentrazione, di focalizzarel’attenzione sugli aspetti essenziali e trascurare le banalità, diusare l’emozione in modo produttivo, di mettere a frutto lecomponenti ‘inventive’ dell’intelligenza (Boeri, 1994). “Imma-ginare può significare molte cose belle e positive: giocare surealtà virtuali, sondare reazioni interiori quando la mente è im-mersa in scenari improbabili, dare alimento e forza alla creati-vità e all’invenzione poetica. Del resto, se non potessimo gode-re della libertà dell’immaginazione non potremmo neppure ac-cedere a quella capacità tipicamente razionale che è il progetta-re” (Jervis, 1993, p. 353)Il passaggio verso la capacità di progettazione flessibile e crea-tiva, nel senso descritto, è l’obiettivo comune dell’azione edu-cativa e di quella clinico-terapeutica. Entrambe intervengono susoggetti in cui il progetto – come scoperta o riconoscimento delsenso dell’essere nel mondo – è incompleto o alterato. Il bam-bino o l’adolescente ‘educando’, per immaturità delle sue strut-ture cognitive ed emotive, ha difficoltà a costruirsi autonoma-mente un progetto ed a perseguirlo; il paziente è portatore di unprogetto inautentico e ‘alienato’ perché troppo rigido o troppodistante dalla realtà.Essenziale è che sia nella prassi terapeutica che in quella edu-cativa l’uso prevalente della parola sia integrato con la visua-lizzazione e con l’immaginazione, al fine di meglio favorire laprogettualità creativa.

1.4. Aspetti neuroimmunologici: il placebo

Placebo o nocebo? Piacerò o farò del male? Questo il si-gnificato letterale dei suddetti termini che hanno ormai assun-to nelle scienze mediche e psicologiche ben altro significato;abbiamo scelto di occuparcene in questo libro in quanto l’ar-gomento ci appare strettamente collegato alla capacità di im-maginare dell’essere umano. In quanto esseri umani siamo in-

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fatti capaci anche di immaginare la cura, aiutandoci così a cu-rarci: vediamo una pillola, una iniezione, ed iniziamo ad im-maginare che ci sia di aiuto; usciamo dallo studio del medicoe già ci sentiamo più in forma (o più malati, a seconda, spes-so, di ciò che ci è stato detto e di come ci è stato detto), pren-diamo dei farmaci e ci sentiamo meglio ancor prima che glistessi abbiano effettivamente potuto iniziare il loro effetto.Parlare di placebo solo in questi termini sarebbe però limitati-vo; poiché l’argomento, proprio come l’immaginazione è va-sto, polimorfo e dibattuto, scegliamo di presentarvelo creandodei brevi sottoparagrafi.

Storia, etimologia e alcune ricerche. Nei primi secoli delsecondo millennio dopo Cristo, le ‘prefiche’, cantavano il‘placebo’ (le lodi) dei defunti, nel XV secolo col termine pla-cebo si era soliti indicare un individuo ruffiano, un leccapiedi.In un dizionario del XIX secolo si può trovare la definizione diplacebo come sostanza non medicinale utilizzata al fine di ar-recare sollievo, di apportare un benessere (sia pure meramen-te soggettivo), insomma, di compiacere. Per questo motivosembrerebbe essere stato scelto proprio il futuro del verbo la-tino placere (gradire, essere soddisfatti), per indicare la pro-messa di sollievo connessa ad un trattamento non specifico abase di sostanze farmacologicamente inerti, volto a incremen-tare lo stato di benessere fisico-mentale del paziente.

Nel 1946 in Inghilterra viene effettuato il primo studio del-la storia con placebo ‘a doppio cieco’; sono gli anni in cui nelpaese è diffusa la tubercolosi e si vuole testare la validità del-la streptomicina. Tale sostanza si rivela difatti superiore alplacebo, ma una certa percentuale di pazienti mostra una buo-na risposta al placebo. A partire da questi ‘strani’ e non previ-sti risultati, si è avviata tutta una serie di ricerche e studi chehanno cercato di capire come sia possibile che il placebo agi-sca, quali siano le caratteristiche dell’effetto placebo e dei

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soggetti in cui si può riscontrare. Inizialmente si è ipotizzatal’esistenza di cosiddetti ‘placebo reactors’, interpretandoquindi in maniera negativa l’effetto placebo e discriminandoin qualche modo gli individui in cui si presentava. In effetti trale prime spiegazioni si è parlato di soggetti creduloni, di don-ne, di individui di colore o con scarsa educazione, di soggettinevrotici e di persone psicologicamente labili. Queste primeinterpretazioni dei dati collegavano l’effetto placebo a situa-zioni allora ritenute fortemente svantaggiate. Per fortuna, stu-di successivi hanno messo in evidenza che nel provocare l’ef-fetto placebo contano sia le credenze dell’individuo (le aspet-tative) che l’atteggiamento del medico. La somma tra le aspet-tative positive del paziente ed un atteggiamento professionalema accogliente e fiducioso, del medico, rende di fatto possi-bile il fenomeno placebo. Per chiarire gli aspetti più interes-santi del ‘fenomeno’ placebo, vi descriviamo qualche ricerca.

Un chirurgo dello Huston Veterans Affairs Medical Center,il dottor Mosley, svolgeva abitualmente interventi su pazientiaffetti da problemi alle ginocchia, in caso di infiammazioniacute accompagnate da dolori; Mosley effettuava interventichirurgici di tipo conservativo con pulizia delle articolazioniottenendo buoni risultati a livello della diminuzione o scom-parsa totale del dolore. Il risultato positivo derivante dall’ope-razione di pulizia delle articolazioni non era scientificamentechiaro, per cui il chirurgo decise di compiere un esperimento adoppio cieco, operando effettivamente alcuni pazienti e sotto-ponendo ad una operazione simulata altri. Due settimane do-po, solo il 14 % degli individui sottoposti ad operazione simu-lata dichiarò di essere convinto di far parte del gruppo place-bo, ma lo credeva anche il 13 % realmente operato. I pazientifurono seguiti per due anni effettuando regolari controlli; do-po due anni nessun paziente sottoposto all’operazione simula-ta risultava in condizioni peggiori di quelli realmente operati.Chi non era stato operato riportava ugualmente assenza di do-

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lori e presentava la stessa mobilità di pazienti in reale decorsopostoperatorio.

Un’altra ‘puntata’ della storia del placebo possiamo datarla2001, quando le ricerche di due studiosi danesi Hrobjartsson eGotiche sembrano smentire l’esistenza del placebo. Gli stu-diosi hanno costituito tre gruppi di pazienti: ad un gruppo han-no somministrato un farmaco, ad un altro il placebo e al terzonulla; fra il gruppo a cui non era stato somministrato nulla edil ‘gruppo placebo’ non sembrava esserci differenza. Se i datihanno indotto a pensare allora che non esistesse un vero e pro-prio placebo (effetto legato all’assunzione di un presunto far-maco), Lemoine commentando questi dati ha fatto notare che,data la caratteristica del placebo, non è possibile dire che ungruppo non fosse stato esposto a nulla e non gli fosse statosomministrato nulla, perché comunque i soggetti ad esso ap-partenenti erano stati sottoposti ad esami ed avevano ricevutoattenzioni ed informazioni. I due ricercatori danesi, autori del-lo studio, sono successivamente intervenuti replicando di nonaver infatti voluto negare il placebo, ma di aver dimostrato cheesso non è legato solo all’assunzione di pillole e farmaci.

Sempre a proposito di placebo, in uno studio pubblicato su“Lancet”e sponsorizzato da una potente causa farmaceutica,Granger et al. della Duke University indicano che in uno stu-dio su pazienti cardiopatici, la cura sembrerebbe aver migliordecorso in quei soggetti che assumono scrupolosamente la te-rapia come da indicazioni. Fin qui, sembrerebbe la scopertadell’acqua calda, dirà qualcuno, ma il punto è che quanto det-to sopra si verifica anche se il soggetto in questione assumescrupolosamente un placebo e non una terapia effettiva, e il de-corso è migliore anche rispetto a chi prende in maniera, per co-sì dire, disattenta il farmaco vero. Certo, c’è da considerareche soggetti che riescono ad essere più scrupolosi nell’assu-mere metodicamente una terapia saranno probabilmente mol-to precisi ed abitudinari ed avranno pertanto, probabilmente,

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abitudini e ritmi di vita più indicati alla cura della propria pa-tologia; crediamo comunque che i risultati degli studi riportatidebbano davvero far riflettere.

Ancora, alcuni studi indicano che gli effetti di un placebo edi un antidepressivo, rilevabili con immagini ottenute con to-mografia ad emissione di positroni, sono simili anche se nonidentici. In entrambi i casi dopo sei settimane di somministra-zione il metabolismo di alcune aree cerebrali subisce modifi-cazioni chiaramente identificabili. Dal confronto appare evi-dente però che la fluoxetina stimola tre regioni in più rispettoal placebo: il palencefalo, l’ippocampo ed il nucleo caudato.

Neurobiologia, placebo e dolore. Citiamo qui una ricer-ca condotta all’università del Michigan. È stato chiesto a 24volontari di provare una nuova pomata analgesica. Ai sogget-ti è stato comunicato che avrebbero provato una pomata chepossedeva realmente qualità analgesica ed una invece privadel principio attivo. Per saggiare gli effetti dell’ipotetico far-maco, veniva somministrata una leggera scossa; al terminedelle prove, i partecipanti riferivano di aver avvertito unascossa meno intensa quando erano convinti di essere sotto-posti al trattamento analgesico, ignari naturalmente di averprovato la stessa ed identica pomata due volte. Attraverso latomografia assiale computerizzata si è visto che l’attività del-le aree cerebrali implicate nell’elaborazione del dolore ri-specchiava fedelmente quanto riportato dai partecipanti: l’in-sula ed il talamo erano maggiormente irrorati quando i sog-getti riportavano un dolore più forte, in misura minore quan-do erano convinti che dovevano essere attutite dall’analgesi-co. Lemoine, in un discorso più ampio, usa dire che noi oc-cidentali reagiamo al medico come i cani di Pavlov al cam-panello e impariamo sin da piccoli che una visita medica fabene per alleviare i disturbi: questo ed altri esperimenti sem-brerebbero confermarlo!

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Tornando, comunque, alla ricerca di cui stavamo parlandoc’è da dire che i soggetti alcuni secondi prima di ricevere la sca-rica elettrica ricevevano uno stimolo luminoso quale preavverti-mento; in questo intervallo di tempo, il flusso della circolazionesanguigna nella corteccia prefrontale (osservata con tomografiaassiale) appariva significativamente varia. In particolar modo,l’area cerebrale prefrontale appariva maggiormente attiva quan-do i soggetti si aspettavano di percepire una scarica meno inten-sa a causa dell’azione dell’analgesico. In base a queste osserva-zioni si è ipotizzato che la corteccia prefrontale intervenisse ini-bendo l’attività dei centri del dolore; a livello di neuromediato-ri, il ruolo più importante sembrerebbe essere quello della do-pamina. Normalmente alcune cellule nervose producono taleneurotrasmettitore quando si prospetta la possibilità di una gra-tificazione a scadenza più o meno breve. In tal modo vi è un im-pulso ad agire sufficiente a sostenere un serie complessa e lun-ga di singole azioni. Una volta raggiunto l’obiettivo, la produ-zione di dopamina viene inibita: questo è il motivo per cui lagioia del pregustare una cosa è spesso più intensa dell’ottenerla.Un placebo agirebbe come una promessa di benessere psicofisi-co; per questo motivo anni fa fu proposta l’ipotesi che gli pseu-dofarmaci stimolino la produzione di dopamina, sempre che cisia un atteggiamento fiducioso. Ciò spiegherebbe anche perchéi placebo possono avere una certa efficacia in alcuni casi di de-pressione dove sarebbero presenti disturbi del sistema dopami-nergico e di altri due trasmettitori, serotonina e noradrenalina.Recenti studi sembrano indicare che i placebo hanno un buoneffetto anche nella terapia per gli individui affetti da Parkinson(in questo disturbo c’è una drastica diminuzione di dopamina daparte dei neuroni di alcune strutture cerebrali, in particolare del-la substantia nigra). In generale si ritiene probabile che i place-bo stimolino la secrezione di dopamina agendo come agonistidel neurotrasmettitore. Da tempo, i neurologi sospettano che iplacebo stimolino anche il potenziale endorfinico.

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Placebo e nocebo. In un articolo (“Scienze”, “Panorama”,2006) abbiamo trovato una definizione del nocebo quale ge-mello cattivo del placebo; in effetti è molto importante consi-derare non solo che il placebo ha anche controindicazioni edeffetti collaterali ma che, così come esistono meccanismi chepermettono al placebo di funzionare, ne esistono altri, in qual-che modo speculari, che possono avere effetti negativi e sonocapaci di innescare l’effetto nocebo. Secondo alcune stime, adesempio, dall’1,5% al 3% della popolazione soffre di una ec-cessiva sensibilità alle onde elletromagnetiche: i telefoninisembrerebbero perciò provocare a queste persone mal di testa,confusione, ronzii alle orecchie, spossatezza, anche se non esi-ste al momento prova scientifica di questa situazione.

In un esperimento a doppio cieco (ibidem, 2006), in cui aduna parte dei soggetti è stato fatto usare prima un telefoninovero e poi uno falso, coloro che si dichiaravano sensibili alleonde elettromagnetiche lamentavano disturbi sia che usasseroil telefonino vero che il falso. Al di là della possibilità effetti-va che le onde elettromagnetiche possano creare fastidi e di-sturbi, la questione è che, almeno in questo caso, sembrerebbesufficiente essere sensibili all’elettromagnetismo per poi sof-frirne. Allo stesso modo, effetti nocivi sull’individuo sembra-no poter derivare dal modo in cui sono comunicate le caratte-ristiche di un farmaco, la possibilità di cura e guarigione. Conciò intendiamo dire che, ad esempio, comunicare che una so-stanza è poco efficace (invece di ribadire che comunque ha unsenso assumerla) può abbassarne l’effetto; allo stesso modo,mostrare poco interesse per il paziente, prescrivere farmacifrettolosamente e distrattamente, trattare con sufficienza il pa-ziente, sono tutti comportamenti che possono deludere il pa-ziente, portandolo a trasferire la delusione sul farmaco assu-mendolo, ad esempio, con disattenzione.

Sempre riguardo al nocebo vogliamo citare un esperimentocondotto in Giappone: a soggetti allergici all’albero della lac-

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ca (bendati) è stato comunicato che sarebbero stati strofinaticon una foglia di albero di lacca, ma sono stati realmente stro-finati con una foglia di castagno. Ebbene, essi hanno comun-que sviluppato una reazione allergica con pelle arrossata ebruciori. I risultati di quest’esperimento mettono in evidenzaquanto siano importanti le aspettative (positive e negative) del-l’individuo e allo stesso tempo, anche come e cosa si comuni-ca.

Il neurotrasmettitore coinvolto nell’effetto nocebo sembre-rebbe essere la colocistochinina, che aumenta la percezionedel dolore in caso di aspettative negative, ansia e paura.

Potere dei farmaci e potere del placebo. Nel 2002 alcuniricercatori dell’University of California Los Angeles, in unostudio pubblicato su “American Journal of Psychiatry”, sonoriusciti a dimostrare che la corteccia cerebrale reagisce conmodificazioni importanti anche di fronte alla sola convinzionedi assumere un antidepressivo. Lo studio ha coinvolto 51 sog-getti depressi: a una metà di essi è stato somministrato fluoxe-tina, all’altra metà pillole di glucosio con aspetto identico. Il52% di coloro che avevano realmente preso il farmaco ha rea-gito bene, ma anche il 38 % che aveva assunto placebo. Con laQEEG (elettroencefalografia quantitativa) si è visto che il pla-cebo modifica l’attività elettrica della corteccia prefrontale,dove si reputa avvenga la regolazione dell’umore. Tuttavia,questa avviene per farmaco e placebo in senso opposto: lafluoxetina sopprime l’attività cerebrale, il placebo la stimola.Nel suddetto esperimento, dopo otto settimane è stata svelataai soggetti depressi la vera natura del farmaco: molti di quelliche avevano preso il placebo sono immediatamente peggiora-ti.

Placebo e psicoterapia. L’effetto placebo può essere consi-derato una sorta di ‘personificazione’ di una miriade di ‘fatto-

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ri aspecifici’ ma che influenzano tutte le relazioni, terapeuti-che e non (Ross, Buckalew, 1985 in Blasi, Casonato, 2005); èper questo che anche noi ci facciamo sostenitori dell’ipotesiche lo studio sistematico dell’effetto placebo potrebbe costi-tuire una opportunità unica per l’individuazione e la compren-sione dei fattori aspecifici e comuni delle psicoterapie (Lo Ia-cono, Sanavio, 1984, ibidem). In tal senso Ekeland (ibidem,1987) descrive la psicoterapia come un sottinsieme del place-bo cioè una delle molteplici forme di guarigione psicologicache si sono succedute nei secoli.

Volutamente, fin qui, non abbiamo affrontato gli aspetti ri-guardanti l’etica del placebo; che richiederebbero una tratta-zione troppo lunga. Ci limitiamo a sollevare solo alcuni inter-rogativi (quelli più dibattuti, del resto) e a fornire qualche in-dicazione e spunti di riflessione. Elenchiamo qui di seguito al-cune domande che riteniamo eticamente corretto porsi.

– Si può in qualche modo ingannare un paziente, facendo-gli assumere un placebo, se pure affiancato a farmacotradizionale?

– C’è sempre trasparenza ed onestà nei dati della ricerca suifarmaci? Oppure essi vengono viziati da giri di interessi,denaro e potere che finiscono col far preferire di mostra-re solo ciò che è economicamente più conveniente?

– Come stabilire se ad un paziente è corretto far assumereun placebo puro (senza assunzione in parallelo di farma-ci effettivi) o, ancora, in base a cosa stabilire di non sot-toporre ad una effettiva cura farmaceutica il paziente?

– Si discute molto su quanto sia corretto scegliere nomi difarmaci che in qualche modo siano accattivanti, promet-tono già di per sé una guarigione: questo da un lato puòcreare aspettative positive nell’individuo che possonofavorire l’efficacia del farmaco, ma ci chiedamo è eticocreare queste aspettative, attirare cioè in tal modo gli in-dividui verso un farmaco?

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– Come riuscire a far sì che si possano investire più fondianche nella ricerca su placebo e nocebo, al fine di stu-diarne caratteristiche, potenzialità, rischi e limiti?

La questione della ricerca etica, sia sui farmaci sia sul pla-cebo, solleva grande interesse ed accende molti dibattiti; è sta-to anche necessario creare da parte del Council of MedicalSciences in collaborazione con l’Organizzazione Mondialedella Sanità, le seguenti linee guide etiche (in Dobrilla, 2004)per le multinazionali che attuano sperimentazioni cliniche inpaesi sottosviluppati:

1. gli obiettivi della ricerca devono rispondere alle neces-sità sanitarie e alla priorità del Paese in cui la ricercaviene effettuata;

2. ogni farmaco prodotto grazie allo studio condotto nellearee economicamente depresse deve essere ragionevol-mente disponibile anche per gli abitanti di queste aree;

3. non si devono più progettare studi di fase 1 (quelli con-dotti in via preliminare sui cosiddetti ‘volontari sani’)nei Paesi del Terzo Mondo solo perché costano meno ele sperimentazioni sono regolamentate in modo piùaleatorio.

A prescindere da queste linee guide etiche, il monito e l’in-vito ad una ricerca etica arriva da più parti, forse anche perchétalvolta, da più parti, si porta avanti una ricerca finalizzata adinteressi che non coincidono strettamente con l’unico obietti-vo valido: trovare risultati utili per la salute ed il benessere del-l’individuo. Perché ad esempio molti enti continuano ad impe-gnarsi in costose sperimentazioni su farmaci le cui potenzialitàe i cui effetti collaterali sono ormai ultranoti? E perché una ri-cerca consistente su placebo e nocebo stenta a partire?

Per quanto ci compete, ci sentiamo di dire che la psicologiae la psicoterapia hanno certamente un debito a riguardo, inquanto soprattutto la psicoterapia sembrerebbe essere, per co-sì dire, la scienza del placebo per eccellenza e pertanto è ne-

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cessario un impegno maggiore a conoscere le caratteristichedel placebo, dei fattori aspecifi o comuni. Se il placebo si ba-sa su aspettative, emozioni e suggestioni legate alle immaginidella cura, la psicoterapia ha la possibilità di ‘allenare’ l’indi-viduo ad usare tali suggestioni, emozioni e aspettative a pro-prio vantaggio e consapevolmente; la preparazione, la profes-sionalità e l’umanità di ogni psicoterapeuta che svolga corret-tamente la propria professione devono portare anche ad un usoeticamente corretto dell’effetto placebo. A tale scopo sarebbenecessaria anche una regolamentazione e delle adeguate lineeguida.

Tornando all’argomento centrale del nostro libro, ci vieneda dire che è per noi sorprendente e al contempo sconcertan-te quante meravigliose possibilità di immaginare la cura ab-biamo già dentro di noi: siamo capaci di creare e distruggereimmagini della nostra cura, riusciamo ad immaginare e tra-durre in realtà meravigliose soluzioni ai nostri problemi e sia-mo allo stesso tempo capaci di crearci dei problemi immagi-nando che essi esistano. E, non sempre ma talvolta, rinun-ciando ad immaginare ricorriamo semplicisticamente al far-maco, finiamo col preferirlo a noi stessi cercando in esso unasoluzione che abbiamo già dentro di noi, magari tra le nostreimmagini.

Senza nulla togliere all’importanza che in alcuni casi rive-ste l’uso del farmaco, sia in medicina che in psicoterapia, esenza voler sminuire l’importanza di una ricerca scientificasui farmaci eticamente corretta, abbiamo voluto evidenziarein questo paragrafo come la nostra mente in qualche modopossa controllare la chimica del cervello e come tra le imma-gini che da soli creiamo esistano meravigliose possibilità disana ‘illusione’; sono proprio le nostre illusioni che, nel be-ne e nel male, molto spesso sono in grado di condizionare po-sitivamente il nostro benessere psicofisico. Non è un caso chesiamo passati ad usare il termine illusione, che etimologica-

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mente rimanda ad uno ‘stare nel gioco’: le nostre immagini,ci accompagnano infatti, sempre, nel nostro ‘stare nel giocodella vita’.

Tabella b

Placebo

• “Placebo è ogni procedura deliberatamente attuata per otte-nere un effetto o che, anche senza che se ne abbia nozione,svolge un’azione sul paziente o sul sintomo o sulla malattia,ma che oggettivamente è priva di ogni attività specifica neiconfronti della condizione oggetto di trattamento. Tale pro-cedura può essere attuata con o senza consapevolezza che sitratti di un placebo; include pertanto tutte le direttive medi-che, indipendentemente dal fatto che si tratti di farmaci ora-li o parenterali, di preparazioni per uso topico, di inalanti, diprocedure meccaniche, chirurgiche o psicoterapiche. Il pla-cebo è anche usato per costituire un controllo adeguato nel-la ricerca clinica” (Shapiro in Dobrilla, 2004).

• Il placebo è una sostanza inerte-inattiva che genera un mi-glioramento potenziato anche dall’atteggiamento positivo dichi la somministra (effetto rinforzato dalla suggestione);può diventare ‘nocebo’ producendo anche effetti collaterali.

• L’effetto placebo è parte integrante del trattamento e si de-termina mediante l’entusiasmo dell’operatore e le aspettati-ve positive dell’utente.

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Tabella b2

Placebo, psicoterapia, psicoanalisi e fattori terapeuticicomuni

Pancheri e Brugnoli (1999) elencano alcune considerazioni:• l’azione del placebo a livello fisiologico è stata documenta-

ta sperimentalmente;• l’effetto placebo, i fattori terapeutici aspecifici in farmaco-

logia ed i fattori comuni in psicoterapia sarebbero influen-zati dalle medesime variabili; esisterebbero dei meccanismisoggiacenti comuni in tutti questi trattamenti tali da suppor-re una sovrapponibilità nella natura dell’effetto placebo, deifattori aspecifici e dei fattori comuni in psicoterapia;

• una risposta positiva al placebo farmacologico è un indiceprognostico efficace rispetto alla somministrazione di untrattamento farmacologico e psicoterapeutico;

• esisterebbero delle evidenze empiriche contrarie al modellodella specificità terapeutica medica e psicologica, quali:guarigioni del passato avvenute con rimedi oggi giudicatiinefficaci, guarigioni spontanee, guarigioni miracolose, lavariabilità della risposta individuale nel tempo al medesimotrattamento, il fallimento dei tentativi di dimostrare la supe-riorità di un tipo di psicoterapia sulle altre (‘verdetto del do-do’), il fallimento dei tentativi di dimostrare l’efficacia deifattori terapeutici specifici in psicoterapia, l’efficacia delleterapie psicologiche placebo;

• il fattore chiave, sia nel placebo farmacologico che in psi-coterapia, sembra essere la relazione terapeutica; in essa sigiocano le possbilità di ottenere esperienze emotive corret-tive (Alexander, French, 1946) all’interno di una relazioneinterpersonale benevola (Strupp, Hadley, 1979), che rispettile condizioni facilitanti rogersiane (Rogers, 1975);

• l’effetto placebo può essere interpretato in chiave psicologi-ca utilizzando il concetto psicoanalitico di transfert di og-getto Sé, la teoria dell’attacamento e il concetto di esperien-za emotiva correttiva;

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• l’azione dei fattori terapeutici comuni può essere descritta,analizzata e misurata e si dovrebbe tendere a creare unamappa dei pesi di fattori comuni-aspecifici nelle varie si-tuazioni (farmacologiche, medico-chirurgiche, psicotera-peutiche);

• i fattori terapeutici comuni attivano dei poteri curativi al-l’interno dell’individuo che ne influenzano la guarigione;

• tali poteri curativi possono essere attivati non solo con mez-zi biologici, ma anche con metodi psicologici;

• occorre ottimizzare a fini terapeutici l’utilizzo dei fattoricomuni, sia che venga somministrato un trattamento biolo-gico che psicologico.

(da Pancheri, Brugnoli, 1999, in Blasi, Casonato, 2005)

Tabella b.3 (da Blasi S., Casonato M., 2005)

Spiegazioni dell’effetto placebo

• Guarigione del morale: secondo Frank (1961), tutte le mi-sure che infondono speranza possono avere dei poteri cura-tivi, stimolando i processi di recupero già presenti nel pa-ziente; quanto ai placebo usati in medicina, essi traggono laloro efficacia dal fatto di essere un simbolo del ruolo di gua-ritore medico.

• Self –healing e ‘fede’ nella terapia: l’effetto placebo si veri-ficherebbe ogni volta che il paziente ha fede nel successo diuna terapia ed è complementare all’effetto di altri meccani-smi efficaci. Il ruolo del terapeuta è quello di stimolare emantenere la fede, e quello della terapia, nel caso di terapieinefficaci se non per l’effetto placebo, è quello di fornire unpretesto, un appiglio per la fede del paziente.

• Modello della risposta condizionata: Wickramasekera(1985) sostiene che sia insita nella somministrazione di ogniintervento efficace l’opportunità per l’apprendimento diun’associazione fra questo e stimoli ambientali percepibili,cioè per il condizionamento pavloviano. Gli stimoli condi-

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zionati (SC) per la cura possono essere prodotti in almenodue modi: 1) per associazione con la presentazione di un in-grediente attivo per la cura; 2) per associazione con la ces-sazione dei sintomi di una malattia o di un danno non fami-liare, spiacevole o dannoso. Questi ultimi stimoli sono detti‘segnali di sicurezza’ e acquisiscono proprietà di rinforzopositivo riducendo l’ansia dei pazienti. Sempre secondoWickramasekera, stimoli condizionati come siringhe, steto-scopi, camici bianchi e certe procedure comportamentali(pulire la pelle con l’alcol, esami fisici) sono solitamente as-sociati con potenti stimoli incondizionati come l’insulina, lamorfina e gli antibiotici. Inoltre, anche etichette verbali cul-tura-specifiche che si riferiscono a luoghi (ospedale, labora-torio, pronto-soccorso) procedure (mediche, scientifiche,tracciare grafici, misurare), persone (medico, professore,dottore) possono essere associate con potenti stimoli incon-dizionati (SI) o ingredienti attivi, e possono acquisire pro-prietà condizionate.

• Legame di attaccamento terapeutico: Pancheri e PancheriL. (1984) ritengono che l’effetto placebo può essere vistocome la conseguenza di un’attivazione psicobiologica, pro-babilmente di tipo neuroendocrino, che segue direttamentel’instaurarsi di un potente, anche se transitorio, legame di at-taccamento terapeutico”.

• Credenze placebo: Lundh (1987), prendendo in considera-zione l’aspetto cognitivo dell’esperienza di malattia, confe-risce un ruolo importante nel processo di cura e nel ripristi-no delle condizioni di salute a credenze del tipo ‘questo trat-tamento mi farà bene’, dette appunto credenze placebo. Ti-pi diversi di terapie, somatiche e non, possono avere la ca-pacità di mobilitare credenze placebo di diversa efficacia inpersone diverse.

• Aspettative della risposta: Kirsch (1986), basandosi su unaserie di risultati di ricerche, sostiene che le risposte involon-tarie (come alcune reazioni emotive di paura, tristezza,gioia, l’eccitamento sessuale, i sintomi di conversione, il do-lore, ecc.) possono essere elicitate e/o intensificate dall’a-

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spettativa della loro occorrenza. Il placebo assumerebbequindi la natura di un’aspettativa di guarigione.

• Aspettative di autoefficacia: trattamenti psicologici o soma-tici, influenzano le aspettative di autoefficacia dei pazienti.Secondo Bandura tutti i mezzi psicoterapeutici ottengonobuona parte dei loro effetti modificando appunto le aspetta-tive di efficacia dei pazienti nell’affrontare la situazione te-muta ed in tali meccanismi risiederebbe il funzionamento dlplacebo.

Tabella b.4) (da Pancheri, Brugnoli, 1999, in Blasi, Casonato, 2005)

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Variabili relative altrattamento

Credibilità del trattamentoTipi di somministrazioneColore delle capsule

Variabili relativeal paziente

Tratti di personalità: acquie-scenzaTratti psicologici: ansia, de-pressione

Condizioni di stressSperanza di guarigione edaspettative riguardanti iltrattamento

Motivazione

Esperienza medica prece-dente

Risposta al test di soppres-sione al desametazone

Risultato

È positivamente correlata con l’effetto placeboLe iniezioni sono più efficaci delle capsuleLe preparazioni blu hanno maggiori effetti seda-tivi, mentre quelle rosse, rosa e gialle sono mag-giormente associate ad effetti stimolanti

Risultato

Favorisce l’effetto placebo

Favoriscono, in linea di massima, l’effetto place-bo

Favoriscono la risposta al placeboL’effetto placebo è correlato all’atteggiamentofavorevole verso i farmaci in genere ed al mi-glioramento atteso nel caso specifico. Inoltre, viè una corrispondenza tra i presunti effetti delfarmaco e l’effetto specifico del placebo

Il grado di motivazione alla cura e a guarire au-menta l’effetto placeboIl placebo è più efficace quando la sua sommini-strazione segue un trattamento psicologico efficace

Una risposta normale favorisce l’effetto placebo

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Variabili legate al contestoterapeutico

Tipo do popolazione

Setting terapeutico

Variabili relative almedico

Prestigio del medico, auto-revolezza

Atteggiamento nei confrontidel trattamento

Aspettative nei confrontidei risultati

Variabili relative al rap-porto medico paziente

Interesse per il pazienteAtteggiamento ‘caldo’

Risultato

La responsività al placebo varia in base al tipo dipopolazione. Ad es.: la percentuale dei soggettiche risponde al placebo è maggiore nel dolorecronico rispetto al dolore sperimentale. Inoltre laresponsività al placebo è maggiore nei pazientischizofrenici ambulatoriali rispetto ai croniciistuzionalizzati ed in genere nei pazienti acuti ri-spetto ai cronici.La percentuale dei responders aumenta introdu-cendo valutazioni psicometriche.

Risultato

Sono positivamente correlati con l’effetto place-bo

L’effetto placebo è correlato positivamente al-l’atteggiamento favorevole e all’entusiasmo peril trattamento

L’effetto placebo è correlato ai risultati che ilmedico si aspetta

Risultato

Favorisce il risultatoFavorisce il risultato

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Tabella b.5. Percentuale media di miglioramento a breve termine* inpazienti trattati con placebo (Dobrilla, 2004)

Malattia o sintomo Percentuale di migliorati/guariti

Schizofrenia >80%Ansia, depressione 80%Artrite reumatoide, osteoartrite 60% (30%-80%)Colon irritabile, angina pectoris** >60% (40%-70%)Dispepsia non organica 50% (30%-70%)Ipertensione 50%Cefalea e dolori vari 50% (4%-86%)Mal di mare, mal d’aria 50%Ulcera peptica 40% (20%-88%)Angina pectoris 40%Tosse 40%Febbre da fieno 30%Dolore post chirurgico 20%

* 4-8 settimane; ** chirurgia-placebo.Tra parentesi le oscillazioni più marcate riportate in letteratura.

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Tabella b.6

118 pazienti con grave depressione ricorrente unipolare

psicoterapia o nortriptilina per quattro mesi

normalizzazione in 107 pazienti

assegnazione casuale a trattamento con:

psicoterapia e nortriptilina, psicoterapia e placebo,nortritptilina, placebo

20% 43% 64% 90%

Le percentuali indicano la recidiva di grave depressione nel-l’arco di tre anni in pazienti precedentemente normalizzati gra-zie ad un trattamento con un antidepressivo e/o con psicotera-pia e successivamente avviati a quattro diversi tipi di trattamen-to includenti anche il solo placebo (sedute e visite di controlloogni mese).

(modificata da Reynolds et al., 1999, in Dobrilla, 2006)

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1.4a. Immagini, psiconeuroimmunologia e tumori

È ormai stato accertato che lo stress provoca l’insorgere ol’aggravamento di patologie, ed è noto sia il modo con cui lamente può fungere da modulatore, esaltatore e depressore del-la risposta immunitaria, sia il processo attraverso cui lo statomentale dominante nel paziente affetto da tumore crea il mi-croambiente su cui questo attecchisce e si sviluppa. Fin daglianni ’60, è stato dimostrato che immagini ed emozioni posso-no far aumentare o diminuire il numero di globuli bianchi, laqualità e la quantità di ormoni adrenergici, enzimi, elettroliti eneurotrasmettitori, tanto che si è coniato il termine di immu-nizzazione suggestiva. In materia di psicoimmunologia lasvolta è comunque avvenuta negli anni ’70 quando la medici-na, attraverso le importanti scoperte degli scienziati CandacePert, David Spiegel, Lawrence Le Shan, Ronald Maticek, HansEysenck, Hans Selye, Dean Ornish, Elmer e Alice Green, CarlSimonton, J. Edwin Blalock (e molti altri), ha potuto com-prendere in maniera approfondita i rapporti tra psiche, cervel-lo e sistema immunitario. La psiconeuroimmunologia (PNEI)ha avuto infatti modo di dimostrare che situazioni intense distress risvegliano intense emozioni quali la paura, la frustra-zione, l’impotenza, la rabbia, ecc., che, trasmettendosi attra-verso i neurotrasmettitori ormonali, indeboliscono la salute.Nel corpo umano esistono tre sistemi che veicolano le emo-zioni sul piano fisico: il sistema endocrino che trasmette tra-mite gli ormoni; il sistema nervoso direttamente collegato aiglobuli bianchi; la famiglia dei neuropeptidi (neurotrasmetti-tori, fattori di crescita, citochine), che influenza l’attività cel-lulare e il funzionamento genetico. I globuli bianchi svolgonoil ruolo di identificare ed eliminare i corpi estranei, batteri,cellule cancerose, ecc.; se proviamo gioia ed entusiasmo per lavita, queste sensazioni ed emozioni sono direttamente convo-gliate ai nostri globuli bianchi. Allo stesso modo, se ci sentia-

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mo frustrati, arrabbiati o disperati, questi sentimenti agisconosul nostro sistema immunitario. Le nostre emozioni influenza-no quindi i nostri globuli bianchi; a vederla così, bisogna quin-di considerare che noi abbiamo la possibilità di agire sul can-cro influenzando le nostre emozioni e trasformando il nostrosistema di credenze e i nostri pensieri.

Tutte le cellule impegnate nella difesa immunitaria (cellulekiller, macrofagi, linfociti T e B) sono in comunicazione tra lo-ro e col sistema nervoso centrale attraverso un complesso siste-ma circolare retroattivo (feedback). Per esempio le cellule kil-ler attaccano e distruggono qualsiasi cellula infettata o degene-rata, senza preventiva sensibilizzazione, senza la necessità di unriconoscimento antigenico e la formazione di anticorpi. Le cel-lule immunitarie interagiscono costantemente con il sistemanervoso e il sistema endocrino, al punto che non c’è modifica-zione del sistema nervoso che non sia associata a modificazio-ni del sistema endocrino e immunitario e viceversa. Le fibre delsistema nervoso autonomo innervano gli organi linfatici avvol-gendoli e infiltrandoli così da creare delle strettissime connes-sioni con i linfociti (si parla infatti di ‘giunzioni neuroimmuni-tarie) così che ogni più piccola variazione nell’equilibrio del si-stema simpatico-parasimpatico viene registrata dalle celluleimmunitarie. I linfociti posseggono recettori per i neurotra-smettitori del sistema nervoso autonomo (noradrenalina, adre-nalina, acetilcolina) così ogni più piccola modificazione del si-stema simpatico-parasimpatico, e della concentrazione dei suoineurotrasmettitori, a livello delle giunzioni neuroimmunitarie,produce i suoi effetti sulle cellule immunitarie stesse che ven-gono più o meno stimolate. È stato visto, in animali da esperi-mento, che denervando linfonodi e milza, organi nei quali lecellule immunitarie vengono immagazzinate e prodotte, la ri-sposta immunitaria dopo inoculazione di un virus viene enor-memente ridotta. Dunque, il sistema nervoso non solo è colle-gato a quello immunitario ma è essenziale per una funzione im-

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munitaria appropriata; poiché il sistema nervoso autonomo, at-traverso una eccitazione o inibizione del simpatico o del para-simpatico può far esprimere a tutto il corpo una emozione natanel sistema nervoso centrale, appare evidente il forte nesso traemozioni e sistema immunitario. Il sistema limbico riesce astabilire fitte interconnessioni con tutto il resto del cervello econ i principali sistemi del nostro corpo, quali quello endocri-no o immunitario, proprio attraverso i neuropeptidi di cui è par-ticolarmente ricco. Sono infatti stati individuati oltre 50 neuro-peptidi e alcuni autori (Pancheri, Biondi e altri) li hanno rag-gruppati sotto il nome di “sistemi peptidergici” e li hanno mes-si in relazione a determinati comportamenti finalizzati. Sonostati individuati e proposti quattro sistemi peptidergici:

– il sistema dell’azione è rappresentato principalmente daineuropeptidi CRF, ACTH, TRH, vasopressina. Essi atti-vano la sequenza ipotalamo-ipofisi-corticosurrene, tipi-ca della reazione da stress, con significato generale di ti-po adattativo e di aumento delle possibilità di sopravvi-venza dell’organismo;

– il sistema del piacere-dolore è rappresentato fondamen-talmente dai peptidi oppioidi, endorfine e encefaline.Tali peptidi modulano la soglia e la reattività emoziona-le al dolore, ma anche le reazioni emozionali dei pro-cessi di attaccamento e perdita, alcuni comportamentiappetitivi e alimentari, il comportamento sessuale, ecc.;

– il sistema peptidergico della riproduzione è rappresen-tato dal GnRH ipotalamico, LH, FSH, ossitocina, pro-lattina e, a livello periferico, dagli ormoni gonadici.Queste sostanze, insieme alla loro azione endocrino-me-tabolica classica, modulano emozioni e comportamentisessuali e il complesso delle emozioni che portano al-l’attaccamento materno, oltre a svolgere un ruolo sul-l’apprendimento e la memoria;

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– il sistema di supporto metabolico delle funzioni vitalicomprende una pluralità di neuropeptidi ognuno confunzioni sia centrali (ossia sul sistema nervoso) che pe-riferiche. I più importanti sono: angiotensina, CCK,bombesina, Vip, neurotensina, gastrina, peptidi intesti-nali, ecc. Essi sono implicati in funzioni fisiologiche es-senziali per la vita, tra cui alimentazione e assimilazio-ne, metabolismo, bilancio idrico, sonno, bioritmi, man-tenimento della identità genetica.

I neuropeptidi sembrano rappresentare il punto di contattotra corpo e mente, “l’anello mancante” capace di spiegare laconnessione psicosomatica da tanto cercata. Se per anni si ècreduto che il sistema nervoso e quello endocrino fossero di-stinti (e che le informazioni venissero veicolate nel primo ca-so attraverso l’impulso nervoso e i neurotrasmettitori chimici,che agivano solo localmente, e nel secondo attraverso sostan-ze chimiche prodotte dalle cellule delle ghiandole a secrezio-ne interna, che venivano immesse nel sangue e andavano adagire a distanza anche notevole dal sito di produzione), oggisappiamo invece che i due sistemi sono strettamente connessie la divisione è puramente artificiosa. La scoperta che le ‘so-stanze informazionali’ (cioè capaci di trasferire informazioni,così come definite da Candace Pert, neurofisiologa, direttricedel centro di biochimica cerebrale del NIMH, National Insti-tute for Mental Health) definite peptidi sono prodotte non so-lo da cellule appartenenti al sistema endocrino classico, ma an-che da quelle nervose o del sistema immunitario o del tubo di-gerente, ha modificato la concezione del sistema endocrino. Siriconosce ormai che l’equilibrio del sistema endocrino è sen-sibile a situazioni e stimoli emozionali non solo stressanti (unintervento chirurgico o una competizione sportiva, l’attesa diun esame, la morte di una persona cara) ma a tutte le emozio-ni, comprese quelle che provocano un riso a crepapelle. Ogni

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emozione è connessa a neurotrasmettitori che stimolano sia di-rettamente il sistema nervoso inducendo determinate attivitàmentali quali attenzione, memoria ecc., sia attivando altreemozioni quali dolore-paura-rabbia ecc., sia producendo mo-dificazioni periferiche sul sistema ormonale propriamente det-to così da indurre un metabolismo adeguato alle circostanze.Se, ad esempio, una emozione spinge l’individuo ad agire, inparticolare a muoversi e reagire in senso attivo (ad esempio adaiutare qualcuno), l’ipotalamo stimolato da uno specifico “co-dice” di vari neurotrasmettitori (noradrenalina NA, dopamina-DA, serotonina 5HT, acetilcolina Ach, acido gamma aminobutirricoGABA) produce un neuropeptide chiamato CRF cheinduce l’ipofisi anteriore a produrre un ormone chiamatoACTH capace di agire sul corticosurrene, stimolando la pro-duzione dell’ormone cortisolo. Tutte queste sostanze, sia ilCRF, che l’ACTH, che il cortisolo, in vario modo, preparanol’organismo all’azione. Il CRF ha un importante ruolo nella re-golazione del sistema nervoso vegetativo stimolando il sistemasimpatico con l’aumentata produzione di adrenalina e nora-drenalina nel sangue e inibendo il sistema parasimpatico conconseguente eccitazione del sistema cardiocircolatorio così darendere pronto l’organismo a fronteggiare ogni sforzo fisico.Parallelamente il CRF va a deprimere la produzione di un al-tro importante neuropeptide, il GnRH gonadotropin realisingfactor, stimolante la produzione di ormoni sessuali, così daconcentrare ogni attività solo sull’azione. L’ACTH oltre ad unaazione endocrina di stimolo del cortisolo, possiede anche unaazione “centrale” diretta sul cervello stesso rilevabile a livellodi risposte comportamentali quali miglioramento della atten-zione, delle capacità di prestazione e della reattività. Nel casodi uno stress fisico intenso vengono attivati anche altri ormo-ni quali gli oppioidi endogeni responsabili della analgesia dastress e la melatonina che regola il nostro sonno. Anche unostress puramente emozionale determina una attivazione dei

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principali sistemi endocrini e gli ormoni coinvolti variano a se-conda del tipo di emozione, della durata della stessa e dellamaggiore o minore capacità di farvi fronte. Ecco perciò che,ad esempio, lo stress dovuto alla perdita di una persona caranormalmente non si associa ad una riduzione degli ormoni ses-suali, anche se questo può avvenire, mentre uno stress acuto dasubordinazione si associa sempre ad una riduzione di questiormoni.

Da quanto detto sin qui è facilmente deducibile l’importan-za di affiancare i trattamenti medici delle malattie tumorali ainterventi di sostegno o psicoterapeutici, così che attraversouna ristrutturazione di pensieri, credenze e atteggiamenti sipossa in qualche modo intervenire di riflesso sul sistema im-munitario, accedendo al mondo emotivo dell’individuo malatoe influenzandone positivamente stato d’animo e sistema im-munitario. La psicoterapia e gli interventi di sostegno psicolo-gico, non possono rappresentare la panacea della guarigione,ma possono senz’altro contribuire ad aiutare il malato a man-tenere una buona qualità di vita ed affrontare al meglio il pro-prio male e a vivere al meglio, per quanto possibile, il propriostato di salute. È dell’inizio degli anni ’90 un articolo del “Bri-tish Medical Journal” in cui si sostiene che “l’intervento psi-coterapeutico si è mostrato essere una componente del tratta-mento medico standard piuttosto che un’aggiunta o un’alter-nativa”; sono ormai incontrovertibili gli studi che mostranouna netta riduzione del dolore (associato al cancro), della nau-sea e del vomito (associati alla chemioterapia) nei pazientitrattati con tecniche di attivazione e sostegno della mente. Letecniche utilizzate nei centri di psicooncologia sono: tecnichedi rilassamento, ipnosi e autoipnosi, immaginazione guidata,biofeedback. La lotta al cancro e, più in generale, la conviven-za con malattie potenzialmente mortali e dolorose non è sem-plice per chi la vive e per chi assiste il malato, ma la ricercasembra dimostrare che gli interventi terapeutici e di sostegno

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affiancati a cure mediche possono essere un valido aiuto, tal-volta anche per uscire dallo stato di malattia.

David Spiegel (1982), della Stanford University, in una suaricerca ha scoperto che i malati di cancro, che seguono tera-pie di gruppo o altri tipi di psicoterapie allungano la propriavita rispetto a coloro che si affidano unicamente a trattamen-to medico tradizionale. Dagli studi di Spiegel apprendiamoinfatti che un gruppo di donne con tumore al seno, che avevaseguito una terapia di gruppo e lezioni di autoipnosi, è so-pravvissuto di media quasi il doppio (36.6 mesi) rispetto a ungruppo che era stato curato solo con metodi medici tradizio-nali (18.9 mesi). La ricerca, durata 10 anni, ha seguito 86 don-ne di mezza età a cui era stato diagnosticato un cancro al se-no. I soggetti erano stati divisi in due gruppi; il primo riceve-va solo cure mediche e il secondo, in aggiunta al trattamentotradizionale, frequentava per un anno gruppi terapeutici setti-manali. A queste pazienti veniva anche insegnata l’autoipnosiper il controllo del dolore. Alla fine del periodo di 10 anni, 83delle 86 donne erano morte, ma le donne nel secondo gruppoavevano vissuto quasi 18 mesi in più. Anche se i tumori delledonne del primo gruppo erano di media ad uno stadio piùavanzato quando furono diagnosticati, in ambedue i gruppi lamalattia si era diffusa nel corpo in modo tipico e col medesi-mo ritmo; tale dato ha portato Spiegel alla conclusione che ladifferenza iniziale avesse potuto incidere sul risultato. Nono-stante Spiegel, professore associato di psichiatria, avesse in-trapreso la ricerca al fine di smentire l’idea corrente che lostato d’animo giocasse un ruolo importante nel decorso dimalattie definite potenzialmente distruttive, alla luce dei ri-sultati ottenuti ha riconosciuto anch’egli che evidentementedevono esserci fattori inaspettati in questo processo e cheprobabilmente la terapia di gruppo poteva aver dato alle don-ne una speranza che le portava ad attenersi più strettamentealle cure mediche.

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In Texas, i coniugi Simonton hanno creato un centro, il Si-monton Cancer Center (e ne esistono ormai altri in tutto ilmondo, anche in Italia), dove migliaia di pazienti sono stati ad-destrati professionalmente più di quattromila operatori. Il nu-cleo del loro lavoro è costituito da tecniche di rilassamento, te-rapia di gruppo, immaginazione mentale. Il loro metodo inse-gna ai malati a vivere la loro malattia e i trattamenti in modopiù costruttivo, aumentandone l’efficacia grazie ad una mi-gliore gestione dello stress e delle emozioni. Stabilizzare il do-lore emozionale consente di stimolare le difese naturali del-l’organismo, cioè del sistema immunitario. L’applicazione delmetodo consente al malato di re-interpretare la propria realtà,scoprendo nuove possibilità di scelta, mettendolo in grado diriappropriarsi del potere di decidere consapevolmente dellapropria vita. L’individuo malato viene stimolato ad impegnar-si attivamente nella direzione della guarigione senza attacca-mento ai risultati. La filosofia del metodo si basa sulla presadi coscienza che i pensieri, gli atteggiamenti mentali, lo stile divita influenzano considerevolmente lo stato di salute. L’Ame-rican Cancer Society raccomanda l’uso del metodo dei Si-monton come terapia aggiuntiva. Nel nostro paese, dove la ri-cerca deve compiere sforzi sempre maggiori per andare avan-ti, all’Ospedale romano Forlanini uno studio su 20 donne concancro alla mammella in cura chemioterapica ha mostrato chela frequenza di nausea e vomito nelle pazienti sottoposte a bio-feedback è risultata la metà rispetto a quella riscontrata nelledonne senza sostegno. I risultati delle ricerche citate (e di mol-te altre) e le esperienze vissute da pazienti e da tutti coloro cheli hanno assistiti sembrano insomma confermare l’importanzadelle immagini che creiamo nella nostra mente e il ruolo cheesse possono svolgere nella nostra vita: la nostra mente ha an-che la possibilità di regolare (parzialmente) il nostro stato disalute.

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Tabella c

Psiconeuroimmunologia

È “lo studio delle interrelazioni tra il sistema nervoso centraleed il sistema immunitario” (Cohen & Herbert, 1996). Secondoquesta scienza lo stress causerebbe l’indebolimento del sistemaimmunitario, rendendo così l’organismo più vulnerabile all’in-vasione di microrganismi come batteri, virus, funghi e parassi-ti. Pertanto individui sotto stress sono più suscettibili alle ma-lattie (dal comune raffreddore a malattie più drammatiche comeil cancro o le patologie autoimmuni). I primi studi effettuati inquesta direzione hanno chiarito che esistono delle vie che con-nettono fisicamente il sistema nervoso centrale (S.N.C.) ed il si-stema immunitario (S.I.); inoltre cambiamenti indotti chimica-mente nel sistema nervoso centrale provocano cambiamenti delsistema immunitario. Ancora, alcune sostanze chimiche prodot-te dal sistema immunitario possono attraversare la barrieraemato-encefalica e alterare il funzionamento del S.N.C. Fibrenervose di tipo adrenergico e peptidergico, ad esempio, fuorie-scono dal midollo spinale e tramite il sistema simpatico vannoad innervare timo, midollo osseo, milza, linfonodi e tessutilinfoidi dell’intestino per poi diramarsi ed avere “giunzioni neu-roimmunitarie” con linfociti (Bottaccioli, 1995). Altri studihanno mostrato che le modificazioni del comportamento indot-te per condizionamento classico possono alterare il funziona-mento del sistema immunitario (Ader & Cohen, 1993). Il com-portamento (e di riflesso la psicologia) può quindi influenzaredirettamente il S.I. (la biologia) rendendo l’organismo più vul-nerabile alle malattie. In alcune ricerche lo stress è stato indot-to in laboratorio con svariati stratagemmi. In alcuni casi si èevidenziato un aumento del numero delle cellule natural killer(NK) e delle cellule T helper e, più generalmente, una minoreefficacia della funzione cellulare nel sistema immunitario. Talieffetti si possono ottenere già cinque minuti dopo l’induzionedello stress (Herbert, Cohen & Marsland, 1994). Poi, una voltache lo stressor è scomparso, si ritorna alla normalità in un las-

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so di tempo che va da un’ora (Kiecolt-Glaser et al., 1992) a qua-rantotto ore (Sieber et al., 1992). Questa variabilità ha portatol’interesse sullo studio delle variabili individuali, nell’ipotesiche alcuni soggetti possano essere maggiormente vulnerabili al-lo stress di altri (Cohen & Manuck, 1995). La relazione trastress e sistema immunitario potrebbe essere mediata dal siste-ma nervoso simpatico, quella parte del sistema nervoso centra-le da cui dipende la risposta di attacco e fuga e che è più diret-tamente coinvolto nelle emozioni. Risultati di questo genere so-no stati ottenuti anche in alcune ricerche di tipo naturalistico,non sperimentale, sullo stress. Ad esempio, uno studio diaristi-co condotto da Stone ed il suo gruppo (1994) su un periodo didodici settimane mostrava sistematiche alterazioni nella funzio-ne immunitaria in seguito ad eventi di vita di tipo positivo e ne-gativo. Numerosi studi sono stati condotti anche su studenti,prima di un esame, dimostrando soppressione della funzioneimmunitaria (ad esempio, Glaser et al., 1991).Una ulteriore pro-va dell’influenza psicologica sul sistema immunitario ed endo-crino proviene dagli studi sulla relazione tra questi sistemi e idisturbi affettivi. Tali studi mostrano che la funzione immunita-ria è soppressa negli individui clinicamente depressi ed anchein campioni non clinici di individui con umore depresso (Her-bert & Cohen, 1993). Secondo alcuni studiosi, tutti i disturbidepressivi sono riconducibili a pressioni esterne, potrebberoquindi essere queste pressioni esterne a provocare sia la depres-sione che i suoi correlati fisiologici. L’idea, quindi, è che la sop-pressione immunitaria che si osserva in individui depressi po-trebbe essere dovuta allo stress (Cassidy, 1999). Questo è con-fermato ulteriormente da studi che mostrano un’associazionetra la soppressione della funzione immunitaria e l’ansia (Lockeet al., 1984), nonché da studi di tipo diaristico che mostrano co-me le fluttuazioni dell’umore siano associate regolarmente adalterazioni della funzione immunitaria (Stone et al., 1994). So-no stati effettuati anche diversi studi basati su prove di stimola-zione di risposta immunologia ai virus, nei quali i soggetti ven-gono esposti in modo controllato ad un virus, come quello delraffreddore (Cohen et al., 1995). Queste ricerche hanno ribadi-

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to l’esistenza del nesso tra stress e sistema immunitario. È im-portante sottolineare che questa suscettibilità vale anche per co-loro che non vivono situazioni di stress particolarmente graveda un punto di vista oggettivo, il solo considerare la propria vi-ta stressante è sufficiente ad indebolire la funzione immunitaria(Cassidy, 1999). L’approccio biologico ha fatto grandi progres-si nello spiegare come le richieste esterne possano tradursi inuno stato fisiologico interno all’organismo. Tuttavia, sia in la-boratorio che nel mondo reale, le risposte sono soggette a gran-de variabilità individuale. Data una qualunque richiesta alcuniindividui mostreranno segni di stress, ma molti altri resterannocalmi e impassibili. Per spiegare queste differenze individualioccorre guardare ai processi psicologici.Come sostengono Lazarus e Folkmann (1984), “Nessun eventoambientale può essere considerato un agente stressante indi-pendentemente dalla sua valutazione da parte della persona”.Se le caratteristiche obiettive della situazione bastassero a defi-nire lo stress e le sue conseguenze, allora saremmo in grado dipredire il manifestarsi dello stress con estrema precisione. Ov-viamente è dimostrato che le cose non stanno così. Data una si-tuazione in cui siano presenti una serie di potenziali fonti distress, solo alcune delle persone che vi si trovano proverannoeffettivamente stress. Possiamo dunque concludere che gliagenti stressanti sono definiti in base al loro significato e allaloro portata emozionale nel mondo fenomenico dell’individuo(Cassidy, 1999).

Tabella c 2

Vi sono ormai numerosi trials randomizzati in cui i pazienti on-cologici vengono inseriti in bracci sperimentali in cui si offro-no “pacchetti” integrati di intervento psicologico (terapia digruppo, counseling supportivo, terapia di rilassamento, bio-feedback, ipnosi). I risultati, benché non sempre univoci, ten-dono a dimostrare che l’intervento psicologico influisce positi-vamente sulla sopravvivenza dei pazienti, con follow-up molto

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lunghi, anche di 10 anni dalla terapia. Fino ad oggi, l’interpre-tazione prevalente di questi studi puntava verso l’idea che ilmaggior benessere psicologico e una migliore qualità di vita au-mentassero il senso di controllo del paziente sulla malattia equindi la compliance terapeutica.Negli ultimi anni sta emergendo un’altra ipotesi di spiegazione.La sopravvivenza potrebbe essere dovuta alla mediazione deimeccanismi neuroimmunologici. Alcuni studi pubblicati hannodimostrato che tecniche di rilassamento, guided imagery o lapartecipazione anche per breve periodo (ad esempio, 6 settima-ne) a gruppi psicoeducativi o di counseling supportivo hannoeffetti positivi su una serie di parametri immunologici (linfoci-ti, cellule T, cellule NK).La linea di ricerca di psiconeuroimmunologia è fra le più inte-ressanti nella psicosomatica contemporanea. La psicosomaticaha conosciuto una parabola storica particolare nel corso dellasua breve vita (la psicosomatica in senso scientifico ha circa 50anni); ha iniziato occupandosi di meccanismi etiopatigeneticidi tipo psicologico nelle patologie somatiche, compreso il can-cro. Questa linea di ricerca, fortemente influenzata dalla psi-coanalisi, non ha condotto a grandi risultati, dal punto di vistasia conoscitivo che terapeutico. Si è quindi passati, soprattuttonegli anni ’80 e ’90, a indagare gli effetti psicologici delle ma-lattie organiche e neoplastiche (studi sulla Health-related Qua-lity of Life) e il modo di affrontare la malattia da parte dei pa-zienti (studi sui meccanismi di coping e su costrutti come l’ab-normal illness behavior o il locus of control). Oggi probabil-mente la psicosomatica è abbastanza matura per poter ritorna-re alle sue origini ed indagare i meccanismi etiopatogeneticidelle malattie a partire dallo studio dei meccanismi di media-zione fra mente e corpo, come i meccanismi immunologici oendocrinologici.(Prof. Lesley G. Walker Institute of Rehabilitation University ofHull 215 Anlaby Road Hull, HU3 2PG, UK, Journal of Psy-chosomatic Research-Vol. 47, N.6/1999 Surviving Cancer:DoPsychosocial Factors Count? Walker G.L., Heys S.D., EreminO.).

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Tabella c 3

David Spiegel, nel suo libro Living Beyond Limits (1994), sot-tolinea l’importanza, per l’andamento della patologia, di un rea-le confronto con il concetto di morte, con rielaborazione anchea livello filosofico, quale avviene dopo la diagnosi di malattieconsiderate incurabili, il che rimetterebbe in moto risorse del-l’inconscio creativo. Similmente opererebbe l’ipnosi, inducen-do stati modificati di coscienza volti ad un utilizzo creativo del-le potenzialità dell’inconscio. Naturalmente, l’approccio ipno-terapeutico deve essere estremamente eclettico, in base alla sto-ria personale del paziente. Similmente, nella terapia del doloresi insegna al paziente a gestire i sintomi, valendosi dell’autoi-pnosi. Si è scoperto di recente che le cosiddette remissionispontanee sono strettamente correlate al vissuto emotivo, cheproduce specifici effetti su tessuti e disturbi patologici. A livel-lo neurofisiologico, la correlazione si esplica nelle connessionidel sistema limbico con l’ipofisi, sicché gli stati emotivi altera-no positivamente i livelli ormonali in tutto il corpo, e questa èuna riprova del fatto che la mente può modulare le molecole alivello cellulare e genetico.

Tabella c 3 (da Siegel, 1986 in Battino R., 2002)

CARTA DEI DIRITTI DEL PAZIENTE

Bernie Siegel (1986) fornisce la seguente lettera come carta deidiritti del paziente; è scritta sotto forma di lettera aperta ai me-dici.

Caro Dottore,

per favore, non nascondere la diagnosi. Entrambi sappiamo cheio sono qui per sapere se ho il cancro o qualche altra seria ma-lattia. Se so cos’ho, posso combatterlo e ho meno paura. Se tumi nascondi la diagnosi e non mi dici come stanno le cose, mi

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togli la possibilità di aiutare me stesso. Mentre tu ti stai chie-dendo se io la comunicherei, io già lo so. Puoi sentirti megliose non me lo dici, ma il tuo inganno ferisce.Non dirmi quanto tempo ho da vivere! Io solo posso deciderequanto a lungo vivrò. Sono i miei desideri, i miei obiettivi, imiei valori, le mie energie, la mia voglia di vivere che fanno ladifferenza e prenderanno la decisione!Fai capire a me ed alla mia famiglia come e perché mi sta suc-cedendo questo. Aiuta me e la mia famiglia a vivere ora. Dim-mi cosa devo mangiare e di cosa ha bisogno il corpo. Dimmi co-me usare la conoscenza e come il mio corpo e la mia mente pos-sono lavorare insieme. La guarigione viene da dentro, ma iovoglio unire le mie forze alle tue. Se noi due diventiamo unasquadra, io potrò vivere una vita un po’ più lunga e migliore.Dottore, non lasciare che le tue aspettative negative, i tuoi timorie i tuoi pregiudizi infettino il mio stato di salute. Non guardaresolo alla mia possibilità di star bene, vai oltre le tue aspettative.Dammi la possibilità di essere l’eccezione alle tue statistiche!Insegnami ciò che sai, le tue credenze e le terapie, ed aiutami aportarle nella mia mente. E ricorda, sono le mie credenze e con-vinzioni ad essere le più importanti. Ciò in cui non credo nonpuò essermi d’aiuto.Devi studiare e conoscere ciò che la malattia significa per me:morte, dolore, o paura dell’ignoto. Se il mio sistema di creden-ze accetta terapie alternative e non accetta la tua di terapia, nonabbandonarmi. Per favore, prova a farmi cambiare idea e a cam-biare il mio sistema di credenze, sii paziente con me, aspetta ecredi nel mio cambiamento. Potrebbe arrivare un momento incui io sia terribilmente ammalato e bisognoso della tua terapiae del tuo aiuto.Dottore, insegna a me e alla mia famiglia a convivere con la ma-lattia, anche quando non ci sei tu con me. Concedici del tempo perfarti delle domande e dacci un po’ di attenzione quando ne abbia-mo bisogno. È importante che io mi senta libero di parlare con tee di farti domande. Vivrò un po’ di più e la mia vita avrà un po’più senso se io e te sviluppiamo una relazione significativa. Io hobisogno di te per raggiungere i miei nuovi obiettivi.

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N.B.: Crediamo che per ogni professionista che si trovi a trat-tare con pazienti afflitti da gravi malattie, questa lettera possaessere una buona guida al fine di immaginarsi dalla parte delpaziente e per considerare che, soprattutto nei casi di individuimalati terminali, può essere fondamentale agire proprio sul lo-ro sistema di credenze. Non si può infondere speranza nel pa-ziente se non si prova ad avere per primi speranza, non si puòaiutare il paziente a credere che esiste una possibilità se perprimi non si accetta questa convinzione; e senza di questo nonsi può pertanto neanche aiutare il corpo, non solo la mente, delpaziente a reagire. Di certo non si può neanche ‘miracolosa-mente’ guarire un paziente terminale, ma si può informare ilpaziente su ciò che accade, si può dedicare tempo alle sue do-mande e sopratutto, pur rimanendo all’interno di una corniceprofessionale, si può creare con lui una relazione significativa.

Tabella c 4 (da Robertson I., 2003)

All’University College Hospital di Londra sono stati studiati al-cuni pazienti in attesa di operazione al colon. A metà di costo-ro sono state mostrate videocassette sull’uso dell’immaginazio-ne per attenuare i più comuni sintomi postoperatori legati aquesto tipo di interventi. In tali filmati, veniva suggerito loro diimmaginare di sentirsi male, e poi di immaginare pensieri esentimenti legati ad affrontare i sintomi, ad es. “persuadeteviche il dolore che avvertite è sotto controllo”. Altri sintomi co-me dolore, debolezza e secchezza della bocca sono stati ugual-mente visualizzati chiedendo ai pazienti di immaginare di doveraffrontare anche quei sintomi. Rispetto al gruppo di controllo ilgruppo che ha fatto uso dell’immaginazione ha fatto ricorso aduna quantità di analgesici significativamente più bassa, haprovato meno dolori e malessere, e ha registrato un tasso mi-nore di cortisolo nel sangue. I pazienti hanno visionato le vi-deocassette per soli 49 minuti. Questo ed altri tipi di studi sem-brano indicare che è possibile non solo visualizzare scene pia-cevoli per rilassarsi ed essere meno ansiosi, ma anche situazio-

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ni complesse come le reazioni ad una situazione di dolore e ma-lessere. Segue un’esercitazione a riguardo.

Il tallone d’Achille

Ognuno ha il proprio tallone d’Achille: una situazione che nonvorrebbe dover affrontare, ma che non è possibile non affronta-re. Per alcuni può essere una cura medica o chirurgica. Per altril’idea di incontrare un particolare collega, un superiore o l’expartner che trovano stressante. Qualunque sia il vostro talloned’Achille, chiudete gli occhi e immaginatevi in quella situazio-ne. Non limitatevi a raffigurarla, sentitevi in quella situazione,con vista, udito ed ogni altro senso. Tentate di richiamare allamente timori e pensieri che la accompagnano. Ora visualizzatevoi stessi fare quello che hanno fatto i pazienti chirurgici in at-tesa dell’intervento. Visualizzate la vostra reazione. Le vostresensazioni negative, di tensione, che si dissolvono lasciando ilposto a una calma neutralità, a una rilassata freddezza. Nel vo-stro occhio mentale, immaginate di comportarvi come una per-sona molto distaccata e rilassata, che affronta la situazione co-me se dietro questa non ci fosse un’intera storia di angoscia e ditimore. Immaginatevi impassibili mentre vi addentrate nella si-tuazione che in precedenza vi intimoriva.La prima volta l’esercizio potrebbe non funzionare, allenatevi.Allenarsi con l’occhio della mente non è diverso dall’allenarsinella vita reale, bisogna fare pratica. Il vantaggio dell’occhiodella mente è che vi permette di entrare in una dimensione incui potete avere il pieno controllo. Qui, diversamente che nellarealtà, si possono creare le condizioni più propizie all’effettocui mirate; sta a voi visualizzarle nel modo più realistico e det-tagliato. Può darsi che vi riesca difficile mantenere il controllodelle immagini, specialmente se la vostra situazione è partico-larmente carica emotivamente. Situazioni difficili possono ne-cessitare di un aiuto professionale, per la maggior parte di noipuò essere sufficiente l’allenamento. Comunque può essere unabuona idea cominciare da situazioni meno sgradevoli, passandogradualmente alle più detestate.

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NELLA STESSA COLLANA

Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psi-coterapia, 20001, pp. 272

Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trat-tamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224

Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001,pp. 240

Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modellid’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272

Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224Feltham C. - DrydenW. (a cura di E. Giusti),Dizionario di counseling, 1995, pp.320

Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996,pp. 160

Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trat-tamenti psicologici, 2006, pp. 288

Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento dellaPsicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176

Giusti E. - Ciotta A.,Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005,pp. 256

Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professiona-le, 2005, pp. 256

Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’iden-tità verso la relazione, 2006, pp. 208

Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trat-tamento terapeutico, 2006, pp. 240

Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologi-ci integrati, 2007, pp. 224

Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp.464

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NELLA STESSA COLLANA

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Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trat-tamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224

Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001,pp. 240

Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modellid’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272

Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224Feltham C. - DrydenW. (a cura di E. Giusti),Dizionario di counseling, 1995, pp.320

Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996,pp. 160

Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trat-tamenti psicologici, 2006, pp. 288

Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

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Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling,2003, pp. 160

Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violented’ira, collera e furia, 2003, pp. 224

Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160Giusti E. - Lazzari A.,Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione delSé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160

Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutivedei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396

Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia,2005, pp. 368

Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per pro-fughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192

Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficaciaed efficienza, 2005, pp. 320

Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie col-lettive integrate, 2004, pp. 304

Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione,1999, pp. 144

Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionaledel libero professionista, 1993, pp. 128

Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicolo-gico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192

Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004,pp. 240

Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione dellerisorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208

Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari epsicosociali, 1999, pp. 184

Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinicointegrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176

Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicotera-peutica, 2005, pp. 176

Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei tratta-menti psicologici, 2005, pp. 160

Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico comple-mentare per le demenze, 2004, pp. 144

Giusti E. - Taranto R., Super Coaching tra Counseling e Mentoring, 2004, pp. 352

Nella stessa collana

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Page 71: Tecniche immaginative

Giusti E. - Testi A., L’Autostima. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224Giusti E. - Testi A., L’Assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224Giusti E. - Testi A., L’Autoefficacia. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 96Giusti E., Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del Sé, 2001,pp. 144

Giusti E., Autostima, psicologia della sicurezza in Sé, 20055, pp. 200Giusti E., Videoterapia. Un ausilio al Counseling e alle Arti-Terapie, 1999, pp. 176Giusti E., Tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto, 2007,pp. 272

Gold J.R., Concetti chiave in psicoterapia integrata, 2000, pp. 268Goldfried M.R.,Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psi-coterapie, 2000, pp. 288

Greenberg L.S. (et al.), Manuale di psicoterapia esperienziale integrata, 2000, pp.576

Greenberg L.S. - Paivio S.C., Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata,2000, pp. 368

Manucci C. - Di Matteo L., Come gestire un caso clinico, 2004Murgatroyd S., Il Counseling nella relazione d’aiuto, 20001, pp. 192Perls F., Qui & ora. Psicoterapia autobiografica, 1991, pp. 256Persons J.B. - Davidson J. - Tompkins M.A., Depressione. Terapia cognitivo-com-portamentale. Componenti essenziali, 2002, pp. 288

Preston J., Psicoterapia breve integrata, 2001, pp. 256Reddy M., Il Counseling aziendale. Il Manager come Counselor, 1994, pp. 176Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. I:“Metateoria pluralistica”, 2002, pp. 400

Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. II:“Tecnologia applicativa”, 2003, pp. 384

Spalletta E. - Quaranta C., Counseling scolastico integrato, 2002, pp. 352

Videodidattica per le psicoterapie scientifichedell’American Psychological Association

• Video Psicoterapia Psicodinamica Breve D.K. Freedheim + Libro Psicoterapiabreve integrata di J. Preston € 120,00

• Video Psicoterapia Cognitiva-Affettiva Comportamentale Prof. M.R. Goldfried+ Libro Dalla Terapia cognitivo-comportamentale all’Integrazione dellePsicoterapie € 120,00

• Video Psicoterapia Processuale Esperienziale L.S. Greenberg + LibroManualedi Psicoterapia Esperienziale Integrata € 132,00

• Video La Terapia Centrata sul Cliente N.J. Raskin + Libro La Terapia Centratasulla Persona di J.D. Bozarth € 120,00

Nella stessa collana

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Page 72: Tecniche immaginative

• Video EMDR per Traumi: Movimento oculare Desensibilizzante eRielaborazione F. Shapiro + Libro Trattamenti Psicologici in Emergenza di E.Giusti, C. Montanari € 118,00

• Video La Terapia Eclettica Prescrittiva J.C. Norcross + Libro PsicoterapiaPrescrittiva Elettiva, fondata sull’evidenza di Beutler/Harwood € 120,00

• Video Psicoterapia Multimodale A.A. Lazarus + Libro Le basi dellaPsicoterapia Eclettica ed Integrata di Chambon - Cardine € 125,50

• Video Psicoterapia Infantile J. Annunziata + Libro Counseling ScolasticoIntegrato di E. Spalletta, C. Quaranta € 122,00

• Video Ipnoterapia Ericksoniana J.K. Zeig + Libro Ipnosi e Psicoanalisi, colli-sioni e collusioni di L. Chertok € 120,00

• 2 Video Il Counseling breve in azione J.M. Littrell + Libro Il Counseling brevein Azione di J.M. Littrell € 122,00

• Video Psicoterapia Esperienziale A. Mahrer + Libro Lavorare con le emozioniin Psicoterapia Integrata di Greenberg/Paivio € 127,50

• 5 Videocassette Terapia Cognitivo-Comportamentale per la Depressione perl’autoformazione didattica, libro di G.B. Persons, Costo complessivo: €275,00

• Video Psicoterapia Comportamentale con paziente ossessivo-compulsivo S.M.Turner + Libro Ossessione e Compulsioni, Valutazione e Trattamento diEdoardo Giusti, Antonio Chiacchio € 127,50

• Video Psicoterapia Pratica con Adolescenti A.K. Rubenstein + Due LibriPsicoterapia Integrata per bambini e adolescenti di Sebastiano Santostefano €155,00

• Video Psicoanalisi con paziente schizofrenico B. Karon + libro Disturbi menta-li gravi di V. Campanella - M. Fiori - D. Santoriello € 120,00

• Video Come gestire il transfert erotico in psicoterapia AA.VV. + libro Etica delcontatto fisico di E. Giusti - F. Germano € 115,00

• Video Psicoterapia Interpersonale Ricostruttiva Lorna Smith Benjamin + libroPsicoterapia Interpersonale Integrata di E. Giusti - A. Lazzari € 118,00

• Video Come gestire la rabbia dei pazienti in psicoterapia AA.VV. + libro Terapiadella rabbia di E. Giusti - F. Germano € 118,00

Edizioni ASPIC

• Video Terapia della Gestalt individuale in gruppo Ginger/Masquelier + libroPsicoterapia della Gestalt di E. Giusti - V. Rosa € 130,00

Nella stessa collana

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Page 73: Tecniche immaginative

EDIZIONE SOVERA STRUMENTI

Elliott R. - Watson J.C. - Goldman R.N. - Greenberg L.S., Apprendere la terapiafocalizzata sulle emozioni. L’approccio esperienziale orientato al processo per ilcambiamento, in corso di stampa, pp. 368

Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione tran-sitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia plura-listica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580

Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, dia-gnosi e cura, 2006, pp. 240

Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base:dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256

Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicotera-pie innovative, 2007, pp. 400

Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza.Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa

Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’e-videnza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464

Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativodi strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480

Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007,pp. 304

Nella stessa collana

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