Teatro e Attore Nel '900

6
DAL PRIMATO DEL REGISTA A QUELLO DELL’ATTORE Una corrente sotterranea che emerge nel secondo ‘900 I fase: le premesse nella prima metà del ‘900 Come abbiamo detto la storia del teatro del ‘900 contiene una grande rivoluzione sulla valutazione del ruolo dell’attore. Quello dell’attore diviene un mestiere inteso come pratica di vita e anche di ricerca spirituale. Ma c’è di più, nel secondo dopoguerra e soprattutto dopo gli anni ’60, l’attore diventa il vero e proprio centro vitale del fenomeno teatrale, la storia del ‘900 teatrale può allora leggersi come un passaggio di testimone tra diverse figure che si succedono nella responsabilità della rappresentazione e nel primato su di essa: 1) passaggio dal primato dell’autore al primato del regista, che si verifica al volgere del secolo, tra ‘800 e ‘900 : nell’800 era l’autore il vero organizzatore della rappresentazione, spesso era lui a seguire gli attori e a dare loro indicazioni per la messa in scena, alla fine dell’800 e con il ‘900 abbiamo visto invece che compare la figura del regista, che, all’inizio è paradossalmente garante della corretta interpretazione del testo, e poi invece diventa il vero e proprio creatore, con licenza di modificare o anche snaturare il testo stesso. 2) passaggio dal primato del regista al primato dell’attore, che si verifica negli anni ’60 circa: il regista viene visto come istanza autoritaria e reazionaria, che blocca la vera natura del teatro, quella di una creazione collettiva fatta di corpi, innanzitutto i corpi degli attori e poi anche quegli degli spettatori. Il trionfo del ruolo dell’attore si prepara però già nella prima metà del ‘900, nelle figure di due grandi teorici che cambiano radicalmente la prospettiva sul lavoro dell’attore, ma che sono al contempo inseparabili dalla riflessione su che cosa deve essere il teatro e su quale sia la funzione in relazione alla società e al singolo individuo: a) Stanislavskij: inizia come dilettante fino a che non incontra un amico critico e produttore con il quale fonda il Teatro d’Arte di Mosca, qui fa il fondamentale incontro con i drammi di Cechov, con i quali ottiene grande successo soprattutto per il lavoro che insegna ai suoi attori per far comprendere loro i complessi

description

il ruolo dell'attore nella storia del teatro del novecento

Transcript of Teatro e Attore Nel '900

Page 1: Teatro e Attore Nel '900

DAL PRIMATO DEL REGISTA A QUELLO DELL’ATTOREUna corrente sotterranea che emerge nel secondo ‘900

I fase: le premesse nella prima metà del ‘900Come abbiamo detto la storia del teatro del ‘900 contiene una grande rivoluzione sulla valutazione del ruolo dell’attore. Quello dell’attore diviene un mestiere inteso come pratica di vita e anche di ricerca spirituale. Ma c’è di più, nel secondo dopoguerra e soprattutto dopo gli anni ’60, l’attore diventa il vero e proprio centro vitale del fenomeno teatrale, la storia del ‘900 teatrale può allora leggersi come un passaggio di testimone tra diverse figure che si succedono nella responsabilità della rappresentazione e nel primato su di essa:

1) passaggio dal primato dell’autore al primato del regista, che si verifica al volgere del secolo, tra ‘800 e ‘900: nell’800 era l’autore il vero organizzatore della rappresentazione, spesso era lui a seguire gli attori e a dare loro indicazioni per la messa in scena, alla fine dell’800 e con il ‘900 abbiamo visto invece che compare la figura del regista, che, all’inizio è paradossalmente garante della corretta interpretazione del testo, e poi invece diventa il vero e proprio creatore, con licenza di modificare o anche snaturare il testo stesso.

2) passaggio dal primato del regista al primato dell’attore, che si verifica negli anni ’60 circa: il regista viene visto come istanza autoritaria e reazionaria, che blocca la vera natura del teatro, quella di una creazione collettiva fatta di corpi, innanzitutto i corpi degli attori e poi anche quegli degli spettatori.

Il trionfo del ruolo dell’attore si prepara però già nella prima metà del ‘900, nelle figure di due grandi teorici che cambiano radicalmente la prospettiva sul lavoro dell’attore, ma che sono al contempo inseparabili dalla riflessione su che cosa deve essere il teatro e su quale sia la funzione in relazione alla società e al singolo individuo:

a) Stanislavskij: inizia come dilettante fino a che non incontra un amico critico e produttore con il quale fonda il Teatro d’Arte di Mosca, qui fa il fondamentale incontro con i drammi di Cechov, con i quali ottiene grande successo soprattutto per il lavoro che insegna ai suoi attori per far comprendere loro i complessi personaggi cecoviani. Il teatro da lui fondato si distingue per le lunghe prove e per l’accuratezza professionale della messa in scena, ma la sua vera attenzione è per l’attore, considerato come il vero responsabile della rappresentazione. Tenta perciò di fondare uno «Studio» dedicato proprio alla formazione integrale dell’attore, ma presto questa iniziativa fallisce dopo pochi anni. In seguito lavorerà come uno dei migliori rappresentanti del realismo socialista sotto Stalin. La sua fama è però legata all’opera capitale della riflessione attoriale di tutti i tempi Il lavoro dell’attore su se stesso (1937), con la quale, raccogliendo la sua esperienza decennale, espone tutte le sue idee e le sue tecniche sulla formazione dell’attore. L’attore non deve rappresentare, ma vivere ciò che il testo esige. Ciò significa che la sua arte si deve basare sulla completa padronanza sia fisica sia intellettuale ed emotiva della sua persona. Tale padronanza non si basa sul solo talento, ma esige esercizio, esercizio quotidiano ed estenuante volto ad ottenere la capacità di evocare in sé le emozioni all’occorrenza, divenendo padroni di ciò che apparentemente è inappartenibile, cioè l’emozione stessa. L’attore deve scavare in se stesso imparando a rievocare situazioni della sua «memoria emotiva» che siano assimilabili a quelle del personaggio che deve rappresentare, usare l’immaginazione per far vivere il personaggio anche fuori da ciò che è strettamente utile al dramma – egli è dunque chiamato a mettere in gioco la propria interiorità, la sua intera persona nella sua professione, che a questo punto diventa vera e propria vocazione. C’è anche un «secondo Stanislavskij» secondo molti interpreti, che ritengono che nell’ultima fase

Page 2: Teatro e Attore Nel '900

della sua carriera egli abbia insegnato una dottrina della memoria corporea, per cui l’accesso all’emozione del personaggio dipende dall’esecuzione di movimenti e gesti che lo rappresentano.

b) Jacques Copeau: per lui chi faceva teatro doveva essere consapevole di svolgere una missione al servizio della società, perciò rifiutò le logiche del mercato e del successo per fondare il Vieux Colombier (1913), un teatro destinato a diventare un circolo culturale e anche una scuola, nella quale la formazione dei giovani attori diventava processo di crescita umana ed etica e di vita in comune. La compagnia teatrale diventava il modello di una comunità etica e civile più ampia che avrebbe dovuto comprendere anche gli spettatori più appassionati. Formare l’attore significava formare l’uomo e il cittadino, prima ancora che il professionista. All’esercizio quotidiano si affiancava la condivisione delle scelte. Undici anni dopo il clima di armonia si sarebbe spezzato, e il Vieux Colombier avrebbe chiuso. Ma Copeau non demordeva, e raccolse in provincia un gruppo di ragazzi e giovani attori (i «Copiaus»), che cominciarono ad esibirsi nelle feste di paese in giro per la Francia, e comunque, sia per loro volontà sia per le circostanze, non riuscirono a raggiungere il successo del Vieux Colombier

II fase: dal primato del regista al primato dell’attore

Nel corso del dopoguerra si va affermando il fenomeno conosciuto come la società dello spettacolo, il teatro si vede in questo contesto superato in ogni modo dal lato della rappresentazione, da questo punto di vista, rispetto al cinema e alla televisione, il teatro si trova da ogni parte sorpassato, eccetto che per un aspetto: il contatto umano che esso rende ancora possibile, e che agli altri mezzi di comunicazione è costitutivamente precluso. Dagli ’60 in poi (ma questo processo inizia già prima) il teatro diventa relazione e non più rappresentazione: non si tratta più di rappresentare un testo o uno spettacolo prefissato, ma innanzitutto di entrare in relazione con il pubblico provocando un evento hic et nunc, che si fondi sulle capacità dell’attore di entrare in relazione intima con il pubblico e di coinvolgerlo in una nuova forma di relazione umana, liberata dall’alienazione della società capitalistica. Il teatro diventa «scienza dell’uomo e dei suoi rapporti con gli altri». Elemento decisivo del teatro diventa allora l’attore, e non più il regista, ciò colui che fa il teatro, non colui che lo scrive o lo dirige, ma colui che fa avvenire tramite il suo corpo l’evento dell’incontro con l’altro.

a) Il Living Theater e l’avanguardia americana: si formò negli Stati Uniti un movimento detto Off-Broadway, che ave l’obbiettivo di sottrarsi alle logiche del mercato dello spettacolo creando un teatro indipendente e critico. La più importante di queste esperienze può essere individuata nel Living Theater dei coniugi Julian Beck e Judith Malina, i quali subirono la forte influenza del teatro di Piscator. Il Living fu inizialmente un teatro fortemente schierato politicamente, ma non troppo rivoluzionario dal punto di vista della messa in scena, limitandosi alla scelta di testi innovativi e d’avanguardia. In seguito cominciò a concentrarsi di più sul lavoro d’improvvisazione dell’attore, e ad usare scene di violenza inaudita e quasi reale per denunciare le condizioni dei detenuti nelle carceri, ben presto fu cacciato dagli USA per un’accusa di evasione fiscale. In Europa conobbe enorme successo e toccò la vetta della propria popolarità, soprattutto per la fortunata idea di mescolare l’ispirazione politico-critica piscatoriana con l’ispirazione rituale-surrealista artaudiana. Il vertice di questa tendenza fu lo spettacolo Paradise Now (1968), nel quale gli attori eseguivano dieci azioni rituali di teatro libero, coinvolgendo il pubblico ad un livello fisico inaudito, con l’unico limite di non commettere violenza, avendo per obiettivo di liberare tramite il contatto fisico il pubblico dai vincoli politici e sociali che li opprimevano ostacolando il processo

Page 3: Teatro e Attore Nel '900

rivoluzionario, e invitandolo poi a proseguire nelle strade, che il teatro doveva invadere, provocando la trasformazione.

b) Jerzy Grotowski: polacco, si forma a Mosca e in Cina. Il suo lavoro di regista si concentra sulla fusione della tendenza stanislavskij-copeauiana, per cui quella della recitazione è una vera e propria scienza dell’uomo, e la tradizione orientale, appresa in Cina, secondo la quale la padronanza e l’esercizio del corpo è una forma di pensiero superiore. La sua ricerca è orientata ad un teatro povero, cioè ad un teatro ridotto alla sua essenza, che, secondo Grotowski, risiede nel puro avvenire della relazione umana, che nessun altra rappresentazione può dare. Perciò egli organizza, per ridurre i suoi attori alla pura essenza teatrale, una compagnia basata su una logica di condivisione comunitaria e ritmi di lavoro impensabili, lavorando in maniera mai vista nelle prove con gli attori. Il suo teatro, come quello del Living, è essenzialmente rito, ma un rito nel quale gli attori sono i veri celebranti. Il lavoro sull’attore è dunque ricerca spasmodica e quotidiana di un piano di assoluta sincerità, che si ottiene solo attraverso l’esercizio, in un percorso di ascesi che arriva a rinunciare al testo, al palco, al pubblico, e finanche alla parola stessa «teatro», che diviene inadatta ad esprimere ciò che gli attori fanno. Nell’ultima fase della sua carriera si trasferisce a Pontedera, dove fonda un centro nel quale gli attori, smettono di essere attori per diventare uomini assolutamente sinceri, preparando quotidianamente performances basate esclusivamente su azioni fisiche alle quali possono assistere solo selezionati «testimoni».

c) Eugenio Barba: studente italiano in Polonia grazie ad una borsa di studio, frequenta per un periodo il teatro di Grotowski, dal quale trae la convinzione della grande importanza del training quotidiano e l’idea dell’attore come performer al confine tra l’atleta e l’asceta. Si trasferisce pertanto in Norvegia dove fonda l’Odin Theatern. L’impresa appare dapprima del tutto priva di senso, l’Odin è senza sovvenzioni e si basa sulla motivazione e la buona volontà di giovani attori bocciati all’Accademia d’Arte Drammatica. In locali freddi e inadeguati Barba li obbliga a sessioni di training faticose e prive di senso, fino al primo, difficilmente comprensibile spettacolo, intitolato Ornitofilene, che ha però un certo successo solo all’estero. In seguito Barba scioglie e rifonda l’Odin spostandolo in Danimarca, ad Holstebro, una piccolissima città danese, dove ricomincia il lavoro con nuovi attori (ma anche alcuni vecchi) e dà alla luce altri due spettacoli incentrati sul problema della relazione tra culture diverse e sulla violenza della educazione della cultura nei confronti della naturalità dell’essere umano. Raggiunge il successo definitivo con Min far aus (1972), spettacolo dedicato a Dostoevskij dove però non c’è tanto Dostoevskij quanto una sottile esposizione attraverso azioni performative che sviluppano il tema della indissolubile relazione tra rapporti familiari e rapporti politici e sociali. In seguito a questo successo, secondo una tattica ormai consolidata, Barba scioglie nuovamente il gruppo e poi lo rifonda, ma con un obiettivo e un compito completamente diversi: si tratta di portare lo spettacolo nelle zone del mondo prive di teatro, cioè di compiere viaggi nell’America del Sud e nei paesini dell’Italia meridionale: il teatro diventa mezzo di scambio e di baratto, gli attori di Barba scambiano il loro sapere corporale e teatrale con quello delle popolazioni locali, che comprendono meglio del pubblico colto spettacoli come Min far aus. Il teatro diventa così una branca dell’antropologia, una metodo di scambio tra culture e un tentativo di far emergere un linguaggio dei corpi universale e pre-discorsivo. Barba viene sostenuto dall’UNESCO e teorizza il teatro come «patrimonio fondamentale di ogni individuo»: l’arte teatrale è «strumento indispensabile di trasformazione di sé e degli altri», in grado di conciliare l’affermazione dei bisogni dell’individuo con l’esigenza di «contagiare con essi la realtà che li circonda».