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La gestione del patrimonio culturale nel nostro Paese è da tempo oggetto di dibattito, di proposte di modelli giuridici e organizzativi, di analisi economiche. Eppure, è proprio sotto il profilo del confronto con le pratiche aziendali che il settore culturale ha manifestato e manifesta difficoltà molto forti. Diversi i fattori di natura tecnica, politica e culturale paio-no oggi ostacolare il legame automatico di consequenzialità tra innovazione normativa e innovazione organizzativa, evidenziando come la prima sia condizione certo necessaria al cambiamento, ma tuttavia non sufficiente per un passaggio da un cambiamento puramen-te formale ad un cambiamento sostanziale. Nel dibattito sull’innovazione della gestione dei beni e delle attività culturali è quindi sempre più inevitabile una riflessione parallela e non esclusiva tra scelta del modello giuridico e definizione del progetto strategico ed organiz-zativo di sviluppo.

In questa logica, a partire dall’insieme di regole e opportunità definite dal quadro normativo e regolamentare in materia, il problema teorico e applicativo che ricerca e prassi devono ormai porsi è quello di analizzare il problema del cambiamento e dell’innovazione delle modalità di gestione dei luoghi della cultura in una logica “contestualità coerente”, dove la qualità for-male dell’assetto amministrativo è elemento importante ma non unico, necessitando altresì specifiche condizioni che riguardano più complessivamente il sistema di attori e relazioni interne ed esterne alle singole aziende, tali da mantenere sempre alto il livello di attenzione e tensione alla qualità e allo sviluppo attesi. A tale invito, tuttavia, corrisponde un’operazione di non facile attuazione e che, anzi, suggerisce cautela, avendo già la prassi ampiamente di-mostrato come i processi di aziendalizzazione avviati attraverso concetti e schemi applicativi elaborati nel settore profit, non producano sempre gli esiti sperati. Spesso, anzi, gli interventi

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I modelli di gestione dei luoghi della cultura,la qualità dei servizi, monitoraggio e valutazione dell’offerta

Coordinatore: Rosaria MencarelliRapporteur: Alessandro Leon

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(formativi e di consulenza) hanno portato a “effetti di rigetto”, conducendo alla demotivazio-ne e al definivo allontanamento di queste organizzazioni dalle “tecniche” loro suggerite.

Va infine considerato come, per sua natura, ogni luogo della cultura si contraddistingue per un intenso scambio di conoscenze tra l’interno e l’esterno dei propri confini, nei confronti degli utenti, degli altri operatori culturali, della comunità locale e dei suoi rappresentanti, e addirittura, in senso temporale, prolunga la propria azione verso le generazioni future. Per questo, una riflessione a parte meritano le forme di organizzazione a rete. Sono questi, in ef-fetti, modelli di gestione ormai ampiamente diffusi (anche nel caso italiano) già a partire dalla metà degli anni Novanta, pur assumendo forme e denominazioni diverse in funzione della frequenza, della densità, della tipologia e dell’organizzazione delle relazioni tra i soggetti che le costituiscono. Reti, sistemi, poli museali e distretti culturali, sono termini ormai quindi indissolubilmente legati al tema della valorizzazione del patrimonio culturale del Paese, ma anch’essi non del tutto esplorati dal punto di vista dei dispositivi interni di funzionamento e, quindi, delle condizione necessarie per il contenimento dei costi, il miglioramento delle qua-lità e la maggiore efficienza dell’utilizzo dei fattori produttivi.

Se per un verso tutto ciò introduce elementi di complessità nuovi nelle politiche di valorizza-zione dei luoghi della cultura, è d’altra parte evidente come il settore dei beni e delle attività culturali potrà in futuro assurgere a protagonista delle politiche territoriali solo a condizione di un’attenta progettazione e gestione capace di intercettare le indicazioni delle politiche culturali più avanzate e, soprattutto, di accrescere la capacità di impostazione strategica e controllo operativo delle risorse, delle attività, in definitiva degli strumenti dell’organizzazio-ne. Dunque, proprio a partire dal rinnovamento delle gestioni, in forma singola o associata, dalle loro modalità di funzionamento interno e dalla qualità delle relazioni che instaurano con l’ambiente di riferimento, che ci si potrà attendere una lenta e durevole crescita del “settore culturale”, ponendo le basi per una fecondazione incrociata tra le filiere produttive a essa strettamente connesse e i settori economici tradizionali, ricostruendo un legame che non dovrebbe mai essere trascurato.

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Rosaria MencarelliResponsabile servizi al pubblico nei luoghi della cultura:- Servizio I DGVAL - MiBAC

Introduzione al tavolo

In qualità di coordinatore di questo tavolo, desidero prima di tutto salutare e ringraziare il foltissimo pubblico che ha accettato l’invito a partecipare ai lavori del primo Colloquio sulla Valorizzazione; ringrazio poi Alessandro Leon che oggi è qui in veste di rapporteur, e avrà il non facile compito di trarre da tutti gli interventi che si susseguiranno nella giornata il senso profondo e restituirlo poi al dibattito conclusivo della tavola rotonda. Ringrazio infine i rela-tori, che da tempo e da diverse angolazioni, si dedicano ad approfondire problematiche e a sperimentare sul campo progetti che possano stimolare e migliorare la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. La relazione introduttiva di Manuel Guido ha ben evidenziato la complessità del tema e, so-prattutto, ne ha delineato, come in un gioco di specchi, i molteplici aspetti, diversi ma mai disgiunti e tutti convergenti, infine, nel restituire quel quadro unitario definito dall’articolo 6 del Codice . La gestione del patrimonio culturale nel nostro Paese è da tempo oggetto di dibattito, di proposte di modelli giuridici e organizzativi, di analisi economiche. Eppure , dopo quasi un ventennio di analisi e studi, si deve prendere atto della esistenza di fattori di natura tecnica, politica e culturale che paiono ostacolare il legame automatico di consequenzialità tra inno-vazione normativa e innovazione organizzativa, evidenziando come la prima sia condizione certo necessaria al cambiamento ma tuttavia non sufficiente per un passaggio da un cambia-mento puramente formale ad un cambiamento sostanziale. Nel dibattito sulla gestione dei beni e delle attività culturali è quindi sempre più inevitabile una riflessione parallela e non esclusiva tra scelta del modello giuridico e definizione del progetto strategico ed organizzativo di sviluppo. La vastità e complessità dell’argomento ha imposto necessariamente che i temi da trattare in

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questa sede venissero circoscritti a quelli per i quali la Direzione generale della valorizzazione del patrimonio culturale sta pervenendo a progetti operativi o a elaborare strumenti che siano di indirizzo e di guida per gli uffici dell’Amministrazione e di riflessione per tutti i soggetti a vario titolo cointeressati. Da questo complesso mosaico il Tavolo dedicato alla gestione estra-pola due tematiche in particolare. Rifletteremo così sui vari e possibili modelli di gestione dei luoghi della cultura e sul tema della qualità dei servizi offerti al pubblico. Il tavolo si apre con i due interventi, di Angela Serra e di Maddalena Ragni, che illustrano e commentano, da diverse angolazioni, quali siano i presupposti normativi e procedurali dai quali trarre il supporto giuridico ai diversi modelli di gestione; entrambi gli interventi pongono in risalto elementi che ci inducono immediatamente a riflettere su un altro aspetto strettamente collegato, quello della progettualità che deve farsi carico di fornire contenuti al modello giuridico. Nel dibattito sull’innovazione della gestione dei beni e delle attività culturali è quindi sempre più inevitabile una riflessione tra scelta del modello giuridico e definizione del progetto strategico ed organizzativo di sviluppo. In questa logica, il problema teorico e applicativo che ricerca e prassi devono ormai porsi è quello di analizzare i temi della cambiamento e della innovazione delle modalità di gestione dei luoghi della cultura, considerando che la qualità formale dell’assetto amministrativo è elemento importante ma non unico. La seconda parte dei lavori del Tavolo è dedicata alla qualità dei servizi, al monitoraggio e alla valutazione dell’offerta, tema molto complesso al quale è nostra intenzione dedicare, a breve, incontri appositamente dedicati. E’ chiaro che i servizi, i servizi offerti al pubblico, oc-cupano nel contesto della valorizzazione e della gestione dei luoghi della cultura un ruolo fon-damentale, perché è proprio attraverso i servizi che avviene il primo contatto tra il visitatore e l’istituzione culturale. Il modo in cui sono organizzati e proposti restituisce la prima percezio-ne della qualità dell’offerta e quindi rappresentano un elemento che contribuisce a dare e a produrre valore, inquanto innalzano i livelli della fruizione del patrimonio, aumentano il valore dell’esperienza culturale della visita, contribuiscono ad accrescere il valore di appartenenza dei beni alla comunità e non ultimo generano benefici economici. Questo tema è approfondito dal contributo di due interventi: il primo è una analisi dell’attuale sistema di pricing nei luoghi della cultura statali. Il progetto è stato avviato nel maggio scorso mediante l’attivazione di uno stage post laurea reso possibile da una convenzione che la Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale ha stipulato con la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. La Direzione Generale per la Valorizzazione ha avviato così un percorso di analisi, valutazione e riflessione volto ad una interrogazione generale dell’attuale sistema di pricing dei luoghi della cultura e delle connes-se politiche di gratuità. Lo scopo non è soltanto quello di pervenire a proporre un progetto per “attualizzare” normative, tariffe e modalità di bigliettazione attualmente in vigore, ma soprattutto quello di comprendere meglio l’attuale sistema anche alla luce delle “correnti di pensiero” oggi prevalenti, evitando di allinearsi a tesi pericolosamente “riduzioniste”, essen-zialmente riconducibili a obiettivi ipotetici di usare il prezzo quale leva di equilibrio economico delle gestioni o, all’opposto, a ipotesi di assoluta marginalità del prezzo alla contribuzione alla sopravvivenza ed al miglioramento del sistema di gestione dei luoghi della culturale e, quindi, dei servizi da questi erogati. Il percorso di analisi avviato dalla Direzione generale, in sintesi, è innanzitutto un tentativo di contestualizzazione delle politiche possibili e quindi degli obiettivi effettivamente conseguibili. Il progetto viene presentato da Alessandro Hinna che sta svol-gendo questo studio in qualità di tutor di Susanna d’Annibale, titolare dello stage.

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Il quarto e ultimo intervento darà conto del progetto, ormai avviato a completamento, del Si-stema nazionale di monitoraggio e valutazione dei servizi al pubblico dei luoghi della cultura. L’argomento non è nuovo per molti tra il pubblico odierno: chi sta lavorando alle nuove gare per l’aggiudicazione delle concessioni per la gestione dei servizi al pubblico nei luoghi della cultura ha già avuto modo di comprendere come una delle maggiori innovazioni che quali-ficheranno i rapporti di concessione è proprio la presenza di una sistema di monitoraggio. Nel generale processo di revisione e aggiornamento dei provvedimenti in tema di servizi al pubblico, nell’ultimo decennio si è imposto con forza via via crescente il tema dei “risultati” dell’azione dei concessionari e della programmazione settoriale in genere, cui si accompa-gna, però, una evidente carenza sul piano delle metodologie di pianificazione, controllo e valutazione a livello sistemico. In altre parole, appare chiara l’esigenza di un quadro organico, di un modello che sappia monitorare, valutare ed offrire elementi informativi salienti per pro-grammare e indirizzare l’azione degli operatori pubblici e privati in tema di servizi al pubblico nei luoghi di cultura. Affrontando la nuova stagione delle gare oggi in itinere, appariva necessario rispondere ad un quesito: è possibile realizzare un sistema di monitoraggio che possa assicurare al contempo i necessari obiettivi di controllo dell’operato dei concessionari, l’utilizzabilità dei suoi elementi informativi come strumento di miglioramento continuo e garantire una rendicontabilità del-l’intera “nuova stagione” dei servizi aggiuntivi ai diversi livelli sociali ed istituzionali? Ritenia-mo che il lavoro che ci presenta Marcello Minuti risponda positivamente a questa domanda e che abbia colmato una evidente lacuna. Su questi temi, che ho sinteticamente presentato, la Direzione generale sta elaborando pro-pri progetti, alcuni dei quali in via di conclusione e sui quali chiediamo oggi il contributo degli intervenuti. In questo contesto appare significativa la presenza di Marco Magnifico in rappre-sentanza del FAI, che interverrà alla ripresa pomeridiana dei lavori: riteniamo che quella del Fondo Ambiente Italiano sia un’esperienza fondamentale nel panorama italiano per quanto attiene le formule di gestione del patrimonio, i risultati che si possono conseguire, le criticità o i punti positivi e di forza che si possono riscontrare. Un modello, quindi, da non trascurare e da approfondire, con il quale confrontarsi e magari entrare in più stretto dialogo. Passo ora la parola ad Angela Serra con il suo intervento “Strumenti giuridici per la gestione dei luoghi della cultura, lo stato dell’arte”.

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Angela SerraScuola di Specializzazione in Studi sull’Amministrazione Pubblica dell’Università degli Studi di Bologna

Strumenti giuridici per la gestione dei luoghi della cultura. Lo stato dell’arte.

Le norme giuridiche che disciplinano la gestione e la valorizzazione del patrimonio culturale dovrebbero essere viste come i supporti che sostengono i rami di un roseto, permettendo ai fiori appesi ad essi, i nostri luoghi della cultura, di diffondere nel mondo tutta la loro bellezza e il loro profumo.Il gruppo di studio composto di giuristi, che qui rappresento, ha il compito di predisporre la parte normativa della ricerca volta alla stesura delle Linee guida per l’individuazione delle più efficaci forme di gestione degli istituti dei luoghi della cultura. Finalità della nostra analisi, dunque, è formare un quadro che fornisca indicazioni sulle più utili modalità di applicazione della disciplina esistente al fine di consentire alle pubbliche amministrazioni che hanno il compito di gestire e valorizzare i luoghi della cultura di poter compiere scelte organizzative consapevoli ed efficaci.Tale quadro si compone innanzitutto di una parte ricostruttiva, incentrata sulla analisi dei vari strumenti giuridici che la normativa attuale propone per la gestione e la valorizzazione del pa-trimonio culturale. La gestione consiste nelle modalità organizzative che gli enti decidono di porre in essere per valorizzare il patrimonio culturale, ossia, in ossequio all’art. 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per portarlo alla conoscenza da parte della collettività. La valorizzazione è, infatti, la funzione che orienta il bene culturale alla conoscibilità, rendendolo concretamente quello “strumento di incivilimento” che ne costituisce l’essenza stessa, se-condo l’impostazione gianniniana. Il patrimonio culturale, dunque, e i singoli beni che lo com-pongono, sono “testimonianze di civiltà”, ossia “strumenti” caratterizzati da una vocazione unica e specifica: essere portati a conoscenza, trasmettere valori e arricchire culturalmente e umanamente i soggetti che si relazionano con essi. Le norme sulla gestione sono quindi tutte quelle che regolano le attività organizzative che

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rendono concretamente il bene fruibile e dunque conoscibile. Un museo “non gestito” non è un museo, è solo un contenitore, che può ben conservare i beni al suo interno, ma non li può far conoscere quindi non li può valorizzare, non consentendo ai beni che lo compongono di comunicare il proprio valore. La disciplina sulle modalità di gestione è composta da un corpus normativo complesso e in movimento, la cui ricostruzione costituisce appunto la prima parte del nostro studio. Tale complessità deriva da diversi elementi. Dalla sua genesi, innanzitutto: quanto alla provenienza si evidenzia come esso si caratterizzi dall’essere un quadro pluri-strutturato, composto da una pluralità di poli di produzione nor-mativa. Ci sono norme statali che hanno valore di discplina esaustiva per la valorizzazione dei beni appartenenti allo Stato; le norme statali, poi, valgono anche come principi fondamentali per i legislatori regionali, il ché implica una ricostruzione dei rapporti fra questi due livelli di produzione normativa nonché la comprensione e delimitazione di quali siano le norme statali che effettivamente costituiscono “principi” e quali no - l’auto-qualificazione ad opera della norma stessa non è vincolante per l’interprete. La disciplina poi si compone della legislazio-ne regionale di dettaglio; molte regioni hanno già legiferato sul tema, alcune offrendo una panoramica delle singole tipologie e forme di gestione possibili, altre seguendo invece un profilo meno strutturato e lasciando dunque molta libertà all’altro polo di produzione norma-tiva: gli enti locali, titolari di poteri normativi, statutari e regolamentari, questi ultimi alquanto incidenti sulle forme di organizzazione e gestione. Ancora, il settore della gestione e della valorizzazione dei beni culturali è lambito da altre forme di normazione, di provenienza so-vranazionale, che implicano che spesso l’azione della publica amministrazione debba essere condotta secondo una disciplina di provenienza non nazionale (ad esempio la normativa di derivazione europea).In secondo luogo, la complessità della disciplina è data dalla sua continua innovazione; si nota infatti come essa risulti particolamente “fluida”, ad alto tasso di riforma, controriforma, perfezionamento, rivisitazione complessiva, integrazione giurisprudenziale. Basti porre men-te al fatto che l’impianto della discplina di tutela è inviariato, a parte ritocchi lessicali e pro-cedimentali, da oltre sessanta anni; quello inerente la gestione-valorizzazione, le cui norme sono già di per sé recenti, è già stato rivisto o reimpostato più volte.Alla parte “staticamente” ricostruttiva del dato normativo, segue poi l’analisi della sua concre-ta applicazione, ossia delle modalità di utilizzo della disciplina. Finalità di tale seconda tappa è la comprensione dell’utilità e dell’efficacia delle forme giuridiche proposte dalla legislazone, anche in relazione alle diverse condizioni territoriali, economiche, culturali in cui esse ven-gono utilizzate. Oltre alla rassegna delle forme di gestione utilizzate in generale, l’attenzione viene rivolta ad alcuni casi di cui si approfondisce lo studio, realtà che hanno sperimentato nuove strade, diverse forme di dialogo, prime applicazioni di norme innovative. Le strade, infatti, aperte da alcuni possono essere con grande utilità osservate per coglierne i successi e le criticità e per valutarne la applicabilità anche ad opera di altri soggetti. Infine lo studio si incentra su una lettura critica della normativa, orientata ad evidenziare modalità positive e costruttive che possano essere suggerite nell’applicazione delle norme. Esse infatti contengono possibilità che vengono applicate in maniera ridotta, dubbi interpre-tativi che spesso ne limitano l’applicazione, finanche criticità che ne possono consigliare un ripensamento. Il quadro ricostruttivo che vuol delineare riguarda ovviamente i beni dello Stato, ma ne sono oggetto anche le modalità di gestione e valorizzazione del patrimonio culturale che gli altri

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attori istituzionali, innanzitutto regioni ed enti locali, pongono in essere. Ciò perché, come si dirà, il punto di tenuta, “la” modalità per valorizzare efficacemente è il fare sistema, il porre in essere una modalità congiunta e concordata di valorizzare, che presuppone necessaria-mente la conoscenza delle forme organizzative assunta dai diversi soggetti che a tale compito partecipano.Nel condurre lo studio per la stesura delle Linee guida, si impongono all’attenzione alcuni punti focali, nodi che appaiono fondamentali e che costituiscono i terreni, i campi in cui si gioca l’efficacia del sistema amministrativo di valorizzazione. Uno di questi nodi è il ricco sistema che oggi la normativa consente di percorrere per creare “relazioni” tra i soggetti, utilizzando lo strumento dell’accordo (art. 112 del Codice). Già prima dell’avvento del Codice tale strada era già stata utilmente percorsa per la programmazione negoziata di interventi di conservazione. La nuova stesura dell’articolo 112, però, assume una valenza ben diversa dalla semplice indicazione di una possiblità da porre in essere per valorizzare: essa infatti spinge tutti i livelli di governo a progettare e realizzare in maniera sistematica un modello di valorizzazione congiunto, concordato, condiviso. La cooperazione interistituzionale, dunque, diventa “il” principio da seguire per valorizzare e dunque gestire. Ciò da un lato deriva da una necessità che sta alla base del sistema di valorizzazione: per poter valorizzare un bene, un sito, un insieme di beni è necessario che tutti gli attori istituzionali che sono titolari di com-petenze amministrative in quel territorio siano coinvolti e vi partecipino secondo modalità coordinate e concordate. Dall’altro lato, ancor più importante appare la partecipazione alla fase ideativa, progettuale dei piani che poi dovranno essere eseguiti. Dunque, il punto a cui tendere è proprio il ricorso alla creazione di relazioni come modalità normale, usuale per valorizzare; esse possono essere alquanto diversificate a livello di inten-sità, creando rapporti di diverso peso o livello di strutturazione, dal semplice coordinamento di alcune attività di interesse comune alla istituzione di soggetti giuridici cui affidare la valoriz-zazione, o ancora di sistemi di relazione stabile tra enti, come nel caso delle reti, dei sistemi museali, bibliotecari, archvistici e dei distretti culturali, secondo una graduazione che deve essere soppesata caso per caso in base alle condizioni dei territori e dei beni.Altrettanto diversificati sono gli strumenti giuridici utilizzabili. Lo strumentario a disposizione è vastissimo: l’art. 112 del Codice fondamentalmente descrive una vasta gamma di possibili contenuti per lo strumento giuridico, altrove disciplinato procedimentalmente in maniera piut-tosto varia e ricca, dell’”accordo”.Per concludere, il lavoro che stiamo conducendo si propone di fornire un quadro di indicazioni chiare e utilizzabili dagli operatori di tutti i livelli istituzionali sulle più opportune modalità di applicazione delle norme vigenti in relazione alle molteplici e diversificate esigenze, permet-tendo quindi alle amministrazioni di operare scelte che devono necessariamente graduarsi a seconda del carattere dei beni interessati. Necessario appare infatti calibrare, graduare l’uti-lizzo degli strumenti amministrativi, dei limiti e dei controlli, in base alle esigenze e alle cau-tele richieste dai diversi tipi di beni; entrambe le anime della valorizzazione, quella principale, di genere culturale, e quella di genere economico possono coniugarsi attraverso l’ocultata scelta degli strumenti a disposizione. Abbiamo sentito da Maddalena Ragni che la stragrande maggioranza dei luoghi della cultura in Italia è di piccole dimensioni; occorre dunque che l’applicazione delle norme sia basata su una consapevole graduazione dell’utilizzo degli stru-menti normativi calibrata sulla diversificazione di condizioni e dimensioni della realtà. Detta graduazione si deve riflettere su una serie di punti, quali ad esempio gli standard di qualità della valorizzazione, il loro valore, significato e utilità, l’autonomia organizzativa dei musei in

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relazione alle diverse esigenze di flessibilità, le condizioni per attivare servizi aggiuntivi che si debbono collocare all’interno di un progetto complessivo, ad esempio inerente le singole istituzioni, se di dimensioni ragguardevoli, oppure un insieme di esse, se di dimensioni mo-deste.Altro momento fondamentale è il coinvolgimento di soggetti privati, che si differenzia neces-sariamente, di nuovo, a seconda delle dimensioni e dell’importanza delle istituzioni da soste-nere nonché a seconda del tipo di “soggetto privato” presente nei vari territori. Da contesti in cui il privato è quasi assente si passa a realtà in cui esso assume un ruolo primario (come nel caso degli interventi di recupero e valorizzazione concordati tra le Consulte regionali delle fondazioni bancarie dell’Emilia Romagna, della Toscana, Ministero ed enti locali, nel gennaio 2010, vertenti su un cospicuo numero di luoghi “minori”).Solo, in conclusione, una sapiente scelta nelle modalità di applicazione degli strumenti sui quali progettare la crescita e lo sviluppo delle diverse anime che compongono il patrimonio culturale può rivelarsi efficace nel permettergli di rivelare al mondo tutta la sua ricchezza.

Rosaria MencarelliAngela Serra ha tratteggiato un quadro complesso e articolato dal quale emergono, in sintesi, soprattutto due domande: come graduare gli strumenti normativi e come e quali reti rela-zionali creare per la gestione e quindi per la valorizzazione. Credo che su questi temi molto utilmente si spenderà per noi Maddalena Ragni. L’intervento di Maddalena Ragni attiene “La valorizzazione del patrimonio culturale nel codice dei beni culturali del paesaggio. Gestione dei servizi per il pubblico, sostenibilità e integrazione territorio e prospettive”.

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Maddalena RagniDirettore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana MiBAC

La valorizzazione del patrimonio culturale nel Codice dei beni culturali e del paesaggio. Gestione dei servizi per il pubblico: sostenibilità, integrazio-ne nel territorio, prospettive.

Accettando di partecipare a questo I Colloquio della valorizzazione del patrimonio culturale siamo stati tutti consapevoli di affrontare problematiche estremamente complesse; comples-se dal punto di vista normativo, complesse dal punto di vista operativo, complesse dal punta di vista organizzativo. Gli interventi di introduzione dell’incontro della mattina hanno ripetuta-mente richiamato l’attenzione sul fatto che questi due anni di attività della Direzione generale della valorizzazione sono stati destinati in particolare a tranquillizzare la parte più diffidente della collettività sul fatto che tra la tutela e la valorizzazione è sempre la tutela che prevale e che, operando per promuovere la valorizzazione dei beni culturali, c’è stato semmai un rafforzamento dell’attenzione sulla loro conservazione, anche se, valutando la realtà nel suo complesso e sempre tenendo fermo ed elevato il livello di conservazione e di tutela, è giusti-ficato l’intento di rivolgere un’attenzione particolare a come fare perché tutte le iniziative e i progetti realizzati abbiano anche una resa economica,.L’Amministrazione è in un momento di oggettiva difficoltà perché i tanti siti museali presenti sul territorio si devono mantenere e perché, come vedremo, la realtà ha dimostrato che le iniziative che sono state avviate, non sempre sono state in grado di raggiungere il massimo dei risultati; l’Amministrazione, infatti, non è stata capace, per tutta una serie di motivi, di valutare in maniera adeguata la sostenibilità economica dei suoi progetti. Non va peraltro trascurata l’importanza che assume la gestione nell’ambito della valorizza-zione; come giustamente ha detto la dottoressa Serra nel suo intervento, la gestione è l’or-ganizzazione delle attività e costituisce per questo il presupposto per raggiungere il risultato.Perché si possa parlare efficacemente di gestione, è necessario partire dalla definizione delle linee progettuali e quindi da un livello decisamente preliminare rispetto a quello che sarà poi il risultato di valorizzazione. Ricordiamo che l’articolo 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, specificando che la valorizzazione consiste nelle attività, complessivamente intese, dirette a promuovere la co-

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noscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e frui-zione dello stesso anche da parte delle persone diversamente abili, dice chiaramente cosa si intenda per valorizzazione del patrimonio culturale ed aggiunge inoltre con molta chiarezza che il fine a cui tendono le diverse attività ivi citate, di utilizzazione, fruizione pubblica dei beni, promozione, gestione nonché supporto agli interventi di conservazione è da intendersi lo sviluppo della cultura e della ricerca.Va da sé che quando il Codice richiama il concetto di valorizzazione del patrimonio culturale, intende riferirsi da un lato al patrimonio culturale inteso come insieme di beni culturali e paesaggistici, e dall’altro al patrimonio culturale nazionale, a prescindere dalla sua proprietà pubblica o privata e, nell’ambito della sfera pubblica, della proprietà dello Stato o degli Enti Locali; i richiami che sovente si intravedono nelle leggi a quel legame identitario che unisce le comunità al contesto territoriale, storico, ambientale portano sempre più a considerare il patrimonio non come una summa di beni, ma come un tutt’uno, intrinsecamente complesso e variegato, ma unitario.E’ pur vero che con le modifiche introdotte nel 2001 al Titolo V della Costituzione, relative alla diversa attribuzione delle competenze in materia di tutela e valorizzazione, assegnata la prima allo Stato, la seconda, alle regioni, questo concetto di unitarietà è sembrato venir meno e questo ha sicuramente contribuito a rendere più complessa l’opera delle Istituzioni, ma è stato il Codice stesso a superare le distinzioni quando all’articolo 7, confermando che è la legislazione statale a fissare i principi fondamentali in materia di valorizzazione e che sono le Regioni, nell’ambito di questi principi, ad esercitare la loro potestà legislativa, ricorda che è posto a capo del Ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali il perseguire il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione dei beni.La stretta connessione concettuale peraltro esistente tra tutela e valorizzazione e l’oggetti-va impossibilità di scinderne gli ambiti operativi, non avrebbe mai potuto rendere effettiva questa divisione delle funzioni costringendo, di fatto, Stato, regioni ed enti territoriali ad un continuo confronto in tema di valorizzazione.Una divisione così netta tra competenze, che in realtà sono strettamente complementari tra loro, ha costretto sia la Corte costituzionale che il Consiglio di Stato in tempi diversi ad espri-mersi con una interpretazione della norma che consentisse di rendere efficace l’azione da parte sia dello Stato che delle Regioni.E’ in sostanza una conferma della presenza, in materia di beni culturali, di due principi entrambi fondamentali, di cui, uno si riferisce al fatto che tutela e valorizzazione sono due funzioni stretta-mente connesse, due facce della stessa medaglia, e, pertanto, per loro natura inscindibili. Non è così semplice, infatti, indicare con precisione cosa sia tutela e cosa sia valorizzazione; il restauro, per esempio, cos’è? E’ sicuramente conservazione, e quindi tutela, ma se il bene non è restaurato, non è valorizzabile, e quindi il restauro è per questo anche una componente fondamentale della valorizzazione.L’altro aspetto che il codice mette in evidenza è che l’unico modo per superare questa arti-ficiosa suddivisione, è la cooperazione; sono presenti, infatti, nella legge frequenti richiami alle istituzioni per individuare insieme le linee d’azione, gli obiettivi, le strategie, con modalità il più possibile condivise sia fra i livelli istituzionali sia con i soggetti privati che operano sul territorio, sia con i soggetti economici che possono eventualmente supportare e contribuire alla realizzazione dei progetti.L’articolo 6 del codice, in realtà, dà in qualche modo una rappresentazione del concetto di valorizzazione talmente ampio da essere spesso abusato.

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Oggi nel parlare comune si fa rientrare nella valorizzazione praticamente di tutto; tutto è valo-rizzazione e, per contrapposizione, ne deriva di fatto che niente è valorizzazione. Se si interpreta il concetto dal punto di vista ideologico, allora è vero che tutto è valorizzazio-ne: la fruizione, l’utilizzo, il restauro, la conservazione, la catalogazione, perché tutto concorre alla trasmissione della conoscenza ed alla presentazione del bene.Se si analizza invece il concetto sotto il profilo operativo, la valorizzazione nel tempo ha finito per identificarsi prevalentemente con i servizi aggiuntivi. Si è passati, quindi, da una defini-zione molto ampia ad una definizione che si presenta nella realtà, invece, estremamente riduttiva; è forse necessario sul punto fare un po’ di chiarezza. Il codice indica con precisione qual’è il contenuto della valorizzazione, gli aspetti che dobbia-mo tener presente sia nella fase progettuale sia nella fase di attuazione. Dice, infatti, che la valorizzazione consiste in tutte quelle attività dirette a promuovere la cono-scenza del patrimonio culturale, assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione dello stesso anche da parte delle persone diversamente abili.Non si finirà mai di sottolineare a sufficienza quest’ultimo punto perché il diritto alla cono-scenza è un diritto inviolabile e incomprimibile di tutti; rendere il nostro patrimonio interamen-te accessibile non è una facoltà e una discrezionalità, ma un obbligo. Dice ancora il Codice che tutte queste attività, utilizzazione, fruizione, promozione, gestione ecc., sono dirette allo sviluppo della cultura e della ricerca ponendosi con questo in stretta correlazione con la Costituzione che, all’articolo 9 indica quali sono le funzioni dello Stato (promozione e sviluppo della cultura e della ricerca). Anche riguardo alla valorizzazione, si ritiene di dover richiamare un concetto di fondo chiara-mente esplicitato nel Codice: quando si parla di valorizzazione del patrimonio culturale, ci si intende riferire al patrimonio nel suo insieme, mentre solitamente il comune pensiero riferi-sce la valorizzazione soltanto ai beni storici e artistici o archeologici.Il patrimonio culturale, si ricorda, è costituito dai beni culturali e paesaggistici , tutto insieme deve essere tutelato, conservato, protetto, tutto insieme deve essere valorizzato; il paesag-gio, per esempio, è una componente importantissima del patrimonio culturale e non appare possibile, quando si predispongono progetti e programmi di valorizzazione, non considerare anche il contesto in cui i beni sono collocati, a maggior ragione se questo contesto presenta dei caratteri paesaggistici di particolare rilevanza. Riferirsi al patrimonio culturale nazionale, inoltre, significa riferirsi non soltanto ai beni cultu-rali, a prescindere dalla loro titolarità, pubblica o privata, ma anche a settori come archivi e biblioteche che solitamente sono considerati meno in tema di valorizzazione mentre, invece, hanno un ruolo importantissimo nella promozione della conoscenza. Le loro collezioni contengono testimonianze preziosissime, non soltanto sotto il profilo della conoscenza, ma anche per il loro valore artistico particolarmente elevato. Come e con quali strumenti sia possibile dare attuazione a quanto sopra, è esplicitato negli articoli 111 e 112 del Codice stesso, il primo recante disposizioni in tema di Attività di valoriz-zazione, il secondo in materia di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica.Particolarmente innovativo appare il contenuto dell’articolo 111 che, al comma 1, dice che le attività di valorizzazione consistono nella costituzione ed organizzazione di risorse, strutture o reti ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o stru-mentali e che a queste attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati, al comma 2 specifica che la valorizzazione è ad iniziativa pubblica o privata e al comma 4 definisce la valorizzazione ad iniziativa privata quale attività socialmente utile di cui è ricono-sciuta la finalità di solidarietà sociale.

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L’articolo 112 si presenta come una ulteriore conferma dell’invito che il legislatore fa affinché Stato, regioni ed enti pubblici territoriali siano pronti a collaborare; ne è conferma il compito assegnato al comma 1 allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali di assicura-re la valorizzazione dei beni presenti nei luoghi della cultura nel rispetto dei principi che lo stesso Codice indica e la possibilità prevista al comma 4 per gli stessi soggetti istituzionali di procedere alla stipula di accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione.In ogni caso, anche prescindendo dal percorso che si intende scegliere per raggiungere gli obiettivi di valorizzazione imposti, che si riferisca a forme di gestione diretta o indiretta, o a intese con le quali si persegue l’auspicata integrazione fra le istituzioni o agendo ciascuno nell’ambito della propria autonomia, è fuor di dubbio che debba sempre essere garantito il livello di qualità delle prestazioni rese e del servizio offerto.Il comma quarto dell’articolo 112 è, infatti, solo una esemplificazione, anche se molto dettaglia-ta, e non ha avuto finora una applicazione piena; a mio avviso, soltanto con l’entrata in vigore del decreto legislativo 85 del 2010, riguardante il tema del federalismo demaniale, si possono veramente creare le condizioni per una realizzazione di quanto previsto nel su citato art. 112. L’obiettivo finale del trasferimento della titolarità del bene, infatti, costringe le parti a costruire insieme un programma di valorizzazione seria con tutti i passaggi che il comma quarto individua, (strategie, obiettivi, monitoraggi, valutazioni, finanziamenti, garanzie, sostenibilità e quant’altro). Particolarmente innovativo per la materia è l’articolo 111 del codice in merito al quale è opportuno fare un rapidissimo richiamo su due punti: il primo, è che l’articolo 111, vigente sin dal 2004, nell’indicare le attività che concretizzano la valorizzazione, richiama anche la costituzione e organizzazione di risorse, strutture e reti.Già 7 anni fa, quindi, il legislatore invitava a ragionare in termini di sistema e di reti, invito che nella realtà è rimasto totalmente disatteso perché, fatte rarissime eccezioni, non si sono riscontrati interventi di valorizzazione del patrimonio che si orientassero verso la logica del sistema.Il secondo punto meritevole di richiamo è l’apertura alla cooperazione anche nei confronti dei soggetti privati; non soltanto, quindi, l’invito, la partecipazione o il riconoscere il valore della partecipazione del privato, ma la presa di coscienza che la valorizzazione può consistere in un’iniziativa pubblica o privata.Questo vuol dire non solo chiedere al privato di sostenere i progetti di valorizzazione, ma am-mettere che ci possano essere proposte di valorizzazione anche da parte del privato e arriva-re al punto di dire che l’iniziativa privata è “un’attività socialmente utile di cui è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale”.E’ evidente che l’obiettivo del legislatore era quello di incentivare una normativa di vera defiscalizzazione, fine che purtroppo non è stato ancora raggiunto; ciò non di meno, il princi-pio introdotto dal Codice mantiene tutta la sua importanza in quanto la sottolineatura della finalità di solidarietà sociale ha il grande vantaggio di riconoscere il ruolo importantissimo dell’associazionismo e delle organizzazioni di volontariato che costruiscono la loro attività sul principio della solidarietà.A queste l’attuale impostazione del Codice attribuisce un ruolo, quindi, sia a livello istituziona-le che giuridico (e quindi non soltanto di fatto, come vediamo con le tantissime associazioni amici dei musei che si costituiscono localmente e affiancano le Istituzioni nelle comunità), e soprattutto per il loro impegno riconosce che il contributo del volontario è una risorsa prezio-sissima di questo Paese.Prescindendo da come si voglia operare, è evidente che quando si trasferiscono questi princi-

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pi nella realtà, qualunque sia la titolarità del bene, Stato, Regione ed enti pubblici territoriali hanno l’obbligo di garantire il livello della qualità della prestazione e del servizio offerto. Le linee guida che si stanno cominciando ad applicare, anche a livello di conferenza Stato – Re-gione, vanno in questa direzione. E parlando di gestione, va da sé che i servizi al pubblico, che colpiscono tanto la fantasia degli operatori, hanno sicuramente un ruolo fondamentale, perché se è vero che non esauri-scono tutti gli aspetti di una piena valorizzazione, è anche vero, però, che essi costituiscono il primo contatto tra il visitatore e l’istituzione museale; la qualità del servizio che viene resa all’interno dei tanti servizi al pubblico normalmente previsti, rappresenta la prima percezione ed è, quindi, l’elemento che può indurre il visitatore, non soltanto ad entrare per conoscere il patrimonio, ma soprattutto a ritornare.Questo è l’aspetto più importante, perché nel nostro Paese il problema vero non è quello di attirare una volta il pubblico nei musei, bensì di fidelizzare quel pubblico; dove, infatti, il flusso turistico è talmente alto da garantire comunque una partecipazione, la presenza di visitatori non è messa in discussione.Nessuno ritiene che ci possano essere grandi cali di presenze in città come Firenze, Venezia, Roma, Pompei, ma il problema vero è altro; è riuscire a far crescere, promuovere e degnamen-te valorizzare tutta l’altra parte del nostro patrimonio presente in maniera diffusa sull’intero territorio nazionale.Per promuovere, quindi, un bene culturale che ha flussi di visitatori molto modesti, dobbiamo riuscire a creare un pubblico fidelizzato; per raggiungere questo risultato le percezioni dei visitatori sotto il profilo dell’accoglienza devono essere migliori, i servizi offerti devono essere di migliore qualità.Bisogna riuscire ad attrarre e a stimolare l’interesse del visitatore perché questo poi segua la vita del bene culturale e in qualche modo si affezioni alla istituzione museale. Quello che è stato attuato a seguito della legge Ronchey del ’93, anche se non ha soddisfatto tutti gli aspetti della valorizzazione, ha comunque dimostrato, da un lato, che i luoghi dove i servizi cd. aggiuntivi sono stati realizzati, ne hanno tratto un indubbio vantaggio, e dall’altro che questi servizi sono stati introdotti o hanno potuto essere introdotti soltanto nelle realtà museali considerate di eccellenza.Lì, infatti, non è stato un problema rappresentare la sostenibilità economica dell’offerta e creare un appeal da parte del mondo imprenditoriale, mentre su tutto il resto del territorio nazionale si è registrato il contrario.Come si supera questo stato di cose e che qual è la sua dimensione? Le dimensioni sono piuttosto notevoli, come è possibile evincere dai dati forniti dalla Direzione Generale per la valorizzazione che, quando ha cominciato ad approfondire questi temi, ha individuato tre ti-pologie di musei: i grandi musei, per i quali si riconoscevano presenze superiori agli 800.000 visitatori, i musei medi con presenze superiori a 150.000 visitatori e i musei piccoli con pre-senze superiori a 50.000 visitatori. La conoscenza del nostro territorio ci fa capire che il limite minimo di museo piccolo con 50.000 visitatori è in realtà un traguardo da raggiungere, perché la maggior parte dei nostri musei sono largamente al di sotto della soglia minima e le percentuali reali sono veramente preoccupanti.Se si tralasciano i grandi musei, che sono realtà limitate che ben conosciamo, all’interno dei musei medi soltanto l’8% dei musei garantisce presenze superiori ai 150.000 visitatori mentre per il restante ambito, che riguarda tutti i cosiddetti musei piccoli, solo il 16% supera i 50.000 visitatori.

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Ci si confronta, quindi, con percentuali che sono estremamente preoccupanti in una logica di valorizzazione e di appeal “turistico – culturale”; se il 92% dei musei si colloca nella fascia medio – piccola, questo vuol dire che il nostro patrimonio culturale è caratterizzato da una presenza diffusa di beni, di beni anche localmente inseriti in luoghi della cultura noti, ma ciascuno dei quali, pur provvisto di una dimensione e rilevanza culturale non discutibile, appare invece, dal punto di vista della ricaduta turistica, privo di grande attrattiva da parte dei visitatori. Considerato, quindi, che per il 92% dei musei l’operazione di installazione di servizi di sup-porto, cd. aggiuntivi, non sarebbe sostenibile, con una inaccettabile esclusione da forme di valorizzazione maggiori di quasi tutto il sistema museale italiano, e considerato altresì che, pur con variazioni di percentuali, le valutazioni finali non mutano se si analizza il sistema dei musei civici, ecclesiastici, privati o di altra titolarità, si giunge alla conclusione che è necessa-rio approfondire lo studio di queste tematiche per individuare insieme modalità di intervento diverse e più efficaci.Una prima riflessione deve essere fatta proprio sul tema “Collaborazione istituzionale”; presupposto primo per impostare correttamente un progetto di valorizzazione non può non essere la conoscenza del bene, della sua natura, della sua storia e delle relazioni che nel tempo hanno legato sempre più il bene al territorio.Se questo presupposto è condiviso, allora le strategie da definire devono essere diverse, devono avvicinare il visitatore non solo al museo in quanto luogo di cultura, ma sopra tutto al territorio dove storia, natura, arte, archeologia, tradizioni, costumi si fondono portando a unitarietà quella cultura materiale e immateriale che caratterizza il nostro Paese.Perseguire questo risultato richiede però una attenta capacità di programmazione da parte di tutti i soggetti istituzionali che intervengono nella gestione del territorio, perché solo operan-do insieme è possibile far emergere tutte le valenze culturali di cui il sistema Italia è ricco.Un secondo spunto di riflessione è inerente alla necessità di avere una conoscenza precisa del fenomeno “Turismo” riferito alla parte del territorio che si intende valorizzare.Esistono, infatti, molti tipi di turismo: il turismo di passaggio, meno interessato ad aspetti sto-rici e scientifici precisi, oppure il turismo formato da studiosi, che al contrario mirano ad ave-re il massimo dell’informazione e della conoscenza storica e scientifica dei beni, al turismo locale, che torna a visitare i propri musei quando è opportunamente sollecitato, al turismo scolastico articolato nei vari livelli di scuole.Ognuna di queste tipologie ha esigenze proprie e desidera ricevere risposte diverse, riuscire a soddisfarle pienamente costituisce il presupposto perchè almeno parte di questo turismo possa nel tempo essere “fidelizzato”.

Questa realtà non è nuova per gli operatori, è solo confermata e messa in particolare evi-denza dai numeri; se non è pensabile di poter trascurare il 92% del nostro sistema mussale, ugualmente non è pensabile di poter applicare a questo 92% gli stessi criteri di valorizzazione che sono ormai adottati e sperimentati per le grandi realtà espositive. Lo spunto che con questo intervento si vuole inserire nel dibattito richiama l’attenzione, al-lora, su due aspetti in particolare; il primo riguarda la necessità di elaborare delle strategie nuove che devono trovare il loro primo fondamento nella collaborazione interistituzionale, e il secondo attiene al fatto che non è possibile pensare ad un progetto di valorizzazione se non si parte da una conoscenza vera del bene.Conoscere il bene vuol dire, non soltanto, conoscere il bene in se stesso, ma anche il contesto

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in cui il bene si inserisce; il che significa spostare l’attenzione dal bene al territorio e riuscire a cogliere nel territorio tutte le potenzialità culturali che il territorio ha.Una esemplificazione di questo diverso approccio al bene è contenuta nell’accordo di valoriz-zazione sottoscritto ai sensi dell’art. 112 del Codice dalla Direzione Regionale per i beni cul-turali e paesaggistici della Toscana a giugno per il trasferimento della titolarità dell’ex carcere di San Domenico a San Gimignano dal Demanio alla Regione, Provincia di Siena e Comune di San Gimignano in pari quote.E’ stato uno dei primi accordi previsti dal d. lgs. N. 85 del 2010, conclusi in Toscana, insieme a quello con il Comune di Firenze riguardante il Teatro della Pergola a Firenze, e a quello con-cordato sempre con il Comune di San Gimignano per la chiesa di S. Lorenzo in Ponte.Quello relativo all’ex Carcere di San Domenico è un progetto abbastanza complesso e arti-colato, perché riguarda un compendio monumentale molto ampio, in condizioni di estremo degrado determinate anche dalle utilizzazioni non sempre proprie che nel tempo si sono suc-cedute.Il monumento nasce come convento e viene successivamente trasformato in carcere attivo fino ad una decina di anni fa’: da allora è in uno stato di totale abbandono.Non è difficile immaginare quali stravolgimenti abbia dovuto subire la struttura e come questi abbiano inciso sulle sue attuali condizioni.Il progetto di recupero e valorizzazione condiviso è stato il frutto del lavoro condotto ad un tavolo tecnico che ha visto la partecipazione dei funzionari delle Sovraintendenze, della Dire-zione Regionale, del Comune, della Provincia, della Regione e del Demanio; ognuno ha dato il suo contributo in base alle proprie competenze ed alle proprie professionalità, ma la cosa che ha colpito e ha soddisfatto di più è stato che il progetto e il programma di valorizzazione elaborato dall’amministrazione comunale di San Gimignano aveva in premessa, una attenta analisi del territorio.E’ stato questo il modo più corretto di impostare l’intervento perché non è stato deciso subito, in prima battuta, che cosa si poteva fare dell’ex carcere, ma si è cominciato dicendo dove si colloca San Gimignano, che è un sito UNESCO, quali caratteristiche culturali ha, quali sono le attività artigianali che fanno parte della storia locale, quali sono gli elementi enogastronomici che caratterizzano quell’area (es. la Vernaccia di San Gimignano, lo zafferano, che ha una cultura tradizionale), tutti elementi e riflessioni che sono stati inseriti all’interno di un pro-getto di valorizzazione di area territoriale, dove le destinazioni d’uso del convento sono state individuate nel rispetto del monumento e con l’intento di valorizzare l’area nel suo insieme e favorire il rapporto tra chi visita il monumento e l’esterno.E’ stato così ottenuto il risultato di valorizzare quelle che sono le attività tradizionali locali senza perdere di vista gli aspetti economico-gestionali; per fare un esempio, nelle celle del convento è stata ipotizzata la presenza dei laboratori artigianali con previsione di distribuzio-ne dei prodotti. Nel progetto è stato esemplificato in maniera ottima proprio quel percorso concettuale che dovrebbe essere perseguito quando si lavora ad un programma e a un progetto di valoriz-zazione, costruendo un percorso che soddisfa appieno la indispensabile esigenza culturale della conoscenza, individua gli usi possibili avendo sempre presente la tutela del bene e mantiene viva l’attenzione sui profili economici dell’operazione nell’ambito dei quali anche i servizi aggiuntivi hanno avuto un ruolo, ma solo nella parte finale. Essenziale e importantissima è stata la collaborazione interistituzionale perché se non si lavora tutti assieme, non è possibile costruire un programma che colga le potenzialità di tutta l’area.

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L’altro spunto che si inserisce nel dibattito è che, per poter efficacemente riflettere sulle rica-dute di un progetto di valorizzazione e sulle scelte relative ai servizi da offrire, è necessario avere una conoscenza molto precisa delle caratteristiche del turismo locale, profondamente diverso da zona a zona; può essere presente, infatti, il visitatore di passaggio ma anche il turismo scolastico, quello di nicchia, lo studioso, il visitatore che ha un interesse specifico su alcuni aspetti e non su tutto. Sono tutti aspetti di cui è necessario avere una conoscenza precisa prima di elaborare un discorso di progetto vero. Prima di chiudere questo intervento, mi piace ricordare come, con il mio arrivo a Firenze nel 2009, mi abbia colpito che nella regione Toscana e con un patrimonio ricco come quello della regione Toscana fossero attivi i servizi aggiuntivi soltanto presso il Polo Museale Fiorentino; mi è sembrata allora una incongruenza inaccettabile per quelle che sono le potenzialità e le caratteristiche del territorio, e tutto ciò ha spinto la Direzione a cercare di analizzare il fe-nomeno ottenendo un ulteriore conferma di quello che si diceva prima, di come sia difficile organizzare dei servizi economicamente sostenibili con il risultato che tutte le procedure di gara attivate in passato in città come Arezzo, Pisa sono andate ovviamente deserte.Per affrontare questi temi la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della To-scana ha organizzato nel dicembre 2010 una giornata seminariale dal titolo “Sotto i 50.000 visitatori. Strategie di valorizzazione per i piccoli musei”. Il Seminario era stato naturalmente preceduto da una attenta analisi delle condizioni, sotto il profilo della fruizione e della valorizzazione, di tutti i musei statali della Toscana.I contenuti degli interventi e gli argomenti affrontati nel dibattito hanno consentito di mettere in evidenza alcuni aspetti che qui si indicano:- per i piccoli musei è necessario utilizzare procedure di appalto e capitolati diversi rispetto a quelli di riferimento per i grandi musei;- il fattore di criticità della difficile sostenibilità economica può essere superato agendo su al-cuni fattori oggi individuati in maniera rigida, quali i limiti percentuali degli aggi di biglietteria, la flessibilità e riduzione degli orari di apertura dei siti, la flessibilità e riduzione degli orari di funzionamento dei servizi;- è necessario prevedere la rivisitazione dei biglietti di ingresso dei musei con la possibilità nei siti di bassissima affluenza di arrivare anche a definire il libero ingresso avendo quale compensazione una prevedibile maggiore affluenza e presenza di visitatori potenzialmente interessati a servirsi degli altri servizi disponibili quali bookshop e bar / ristorazione;- è auspicabile l’introduzione di meccanismi premianti per il concessionario basati sul ricono-scimento di percentuali di aggio più elevate in presenza di incrementi di visitatori.La presenza di un concessionario attento e interessato allo sviluppo del sito può costituire una premessa indispensabile per l’attuazione di strategie complessive di valorizzazione che non possono fare a meno del coinvolgimento di tutte le istituzioni interessate alla gestione del territorio.Da quanto sopra deriva l’assoluta necessità per queste di procedere ad uno studio attento delle singole realtà da valorizzare, analizzandone le caratteristiche e individuando quelle li-nee di intervento in grado di promuovere, con il concorso di tutti i soggetti interessati, istitu-zionali e non, la valorizzazione del patrimonio culturale (non solo i beni culturali ma anche il paesaggio) e del territorio stesso.Le prospettive di un buon esito, in un contesto di crisi economica diffusa e globale, sono inevi-tabilmente legate alla capacità di progettare strategie di integrazione delle presenze culturali

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(reti o distretti) per garantire la sostenibilità del sistema, rafforzare il legame identitario delle popolazioni locali con il proprio territorio, presupposto questo peraltro indispensabile per ri-trovare la cultura del rispetto e della difesa della conservazione dei beni, e nello stesso tempo prevedere delle ricadute economiche in termini per esempio di potenziamento dei servizi ricettivi, di riscoperta di antichi mestieri o di avvio e/o potenziamento di nuove attività, e più in generale di valorizzazione economico-turistica dei flussi di visitatori e loro fidelizzazione.In quella occasione e nel dibattito che ne è seguito, si è spesso sentito chiedere dai funzionari “ma la procedura quale è?”; si comprende la genesi della domanda perché l’operato della pubblica amministrazione è stato sempre caratterizzato dalla prassi, la P.A. ha sempre opera-to su procedimenti formali perché il procedimento tipo è quello che dà sicurezza.Nella valorizzazione però non esistono prassi; la valorizzazione di per sè deve adattare dei modelli che per loro natura sono estremamente generici a realtà concrete.Il modus operandi non può che essere diretto al confronto con i vari soggetti istituzionali, al-l’analisi delle sperimentazioni e delle buone pratiche realizzate, sapendo bene che qualsiasi modello si scelga, sarà sempre e comunque necessario, prima della sua adozione, procedere ad una valutazione specifica del contesto su cui si interviene, perché non esiste parte del territorio che sia identica all’altra, possono solo esistere realtà simili. Il seminario, che, come detto, ha avuto un dibattito anche abbastanza serrato, è arrivato ad alcune conclusioni su come fare per rendere sostenibili i servizi al pubblico nei musei che si collocano nella fascia piccola.È evidente che le procedure così come sono state definite non sono idonee per i musei mi-nori, perché non si possono applicare a contesti museali di ridotta dimensione le formalità, le procedure tipo individuate in base al codice dei contratti per le grandi realtà museali e i grandi numeri. Quando ci si confronta con dimensioni minori, è necessario uscire dagli schemi e trovare il modo di semplificare le procedure, rendere maggiormente flessibili i contenuti dei capitolati tecnici in modo da attirare l’interesse dell’imprenditore, poter fare della misura dell’aggio, dei prezzi dei biglietti, degli orari di apertura elementi di valutazione economica dell’offerta ragionare in maniera diversa sui prezzi dei biglietti.Per concludere, quindi, per poter impostare una efficace azione di valorizzazione, è necessa-rio partire da presupposti diversi fra i quali è indispensabile sia presente un produttivo e col-laborativo confronto interistituzionale; in assenza di una collaborazione tra le Istituzioni non è possibile che si possano trovare delle soluzioni anche di salvaguardia del nostro patrimonio, perché o si riesce nei momenti di difficoltà a fare gruppo e quindi a coinvolgere tutte le forze che sono presenti sul territorio o altrimenti il rischio è, non soltanto quello di non veder fruito il patrimonio stesso, ma di vederne compromessa la stessa conservazione.

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Rosaria MencarelliGrazie a Maddalena Ragni che con grande lucidità ci ha restituito un’analisi puntuale e stimo-lante del tema. L’elemento di maggior rilievo, e anche quello sul quale la Direzione generale stessa intende concentrare la sua azione nel prossimo periodo, è quello della gestione del patrimonio diffuso, ovvero del nostro territorio, superando la problematica della gestione dei grandi siti e dei grandi numeri. Il tema della gestione visto da questa angolazione, insieme alla ricerca di strumenti e di collaborazioni possibili con altri partner pubblici e privati, costi-tuirà il focus delle azioni di indirizzo e di assistenza alla realizzazione di progetti in tal senso. Gli interventi di Angela Serra e di Maddalena Ragni sono in ulteriore contributo al dibattito sull’innovazione della gestione dei beni culturali, dove è sempre più inevitabile una riflessione parallela e non esclusiva tra scelta del modello giuridico e definizione del progetto strategico ed organizzativo di sviluppo. In questa logica, a partire dall’insieme di regole e opportunità definite dal quadro normativo e regolamentare in materia, il problema da analizzare è quello del cambiamento e della innovazione delle modalità di gestione dei luoghi della cultura dove la qualità formale dell’assetto amministrativo è elemento importante ma non unico: deve emergere maggiormente lo sforzo che si sta compiendo nella ricerca di strumenti, di percorsi, di raccolta e diffusione di buone pratiche per la gestione dei luoghi della cultura che efficace-mente Maddalena Ragni ha definito “sotto i 50.000”. Su questo terreno si deciderà se la par-tita della valorizzazione potrà essere vinta o persa, a favore o meno del patrimonio stesso. La gestione a cui vogliamo e dobbiamo dedicare da ora in poi le energie maggiori è quella del patrimonio diffuso, quello che costituisce la nostra identità e che caratterizza il nostro tessuto territoriale. Si tratta di un lavoro non facile, specie in un momento storico come quello che viviamo . Vivere dentro la crisi economica di questi anni, ci impone l’obbligo di riconsiderare, rivalutare e tirare le fila di quanto è stato progettato, realizzato, pensato almeno negli ultimo dieci anni in materia di gestione. Il nostro compito non è tanto quello di inventare percor-si nuovi, richiedere ulteriori e costosi investimenti che ora appaiono assai improbabili; ora dobbiamo contretizzare quanto abbiamo tesaurizzato in questi anni, è giunto il momento, per dirla con Michele Trimarchi “di creare delle alleanze strategiche e quindi ragionare con conveniente e intelligente umiltà, visto che un’intelligenza collettiva, come gli scienziati rico-noscono, produce un risultato molto più efficace del più intelligente componente del gruppo che l’ha prodotta”. E’ in questo quadro che la Direzione sta sviluppando anche altri progetti che possono essere di sostegno alla valorizzazione: il progetto dedicati al pricing ritengo sia tra questi. L’obiettivo ultimo che ci poniamo è quello di rideterminare, come ho detto in apertura dei lavori, un nuovo progetto complessivo sulla “usabilità” del biglietto d’ingresso ai luoghi della cultura rendendo anche questo strumento una leva possibile, tra le molteplici necessarie, per una maggiore sostenibilità della gestione. Di questo ci parlerà Alessandro Hinna che con la Dire-zione generale sta mettendo a punto il progetto.

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Alessandro HinnaDipartimento di Economia e Territorio, Facolta’ di Economia, Universita’ degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Costi di produzione, politiche di pricing e scelte gestionali: la ricerca di un problema di equilibrio generale

Una premessa necessaria …In un dibattito sempre più accesso sulla economia e gestione di beni e attività culturali che si fa sempre più ricco ed eterogeneo alcune “convergenze” sembrano ormai fuori discussione. Tra queste: a) finalmente l’inclusione della cultura tra le determinanti del pensiero economi-co, così come nella prassi delle politiche del territorio; b) purtroppo la minaccia di uno scena-rio di risorse economiche sempre più scarse che rischiano nel tempo di inibirne potenzialità e funzioni d’uso.

La domanda, allora, come qualcuno direbbe, nasce spontanea: in che modo la cultura può essere esaminata con le categorie dell’analisi economica?

La teoria economica afferma che un bene possiede un valore pari alla somma attualizzata dei benefici che può erogare nel tempo. Questo può essere analizzato distinguendo tra valore dello stock in sé – i beni culturali, dunque la loro conservazione e restauro - e quello dei bene-fici erogati dai medesimi sotto forma di servizi, e dunque in special modo dalla loro fruizione da parte del pubblico. Le difficoltà relative alla quantificazione dei valori suddetti appaiono, a chiunque, immense se non insormontabili. Ad una esigenza di tipo analitico si accompagna l’attenzione sui benefici specifici dei beni culturali, come il valore che discende dall’esistenza in sé del bene (existence value), dalla possibilità che la fruizione possa avvenire in futuro (op-tion value), o dalla possibilità che ne beneficino le generazioni future (bequest value).

Talvolta la letteratura li accomuna tutti e tre sotto la medesima denominazione di “valore di preservazione” (preservation value). In un quadro, quindi, di generale difficoltà del riconosci-mento dei valori culturali, essi rappresentano indubbiamente dei beni pubblici, caratterizzati da particolari “regole” di escludibilità e rivalità giustificano politiche di intervento pubblico a “compensazione” di ipotesi certe di fallimento del mercato, essenzialmente dovute al fatto che né il meccanismo del prezzo, né quello della domanda, sono capaci da soli di sostenere

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in modo adeguato la produzione (o la conservazione) di questi beni speciali, né tantomeno l’erogazione dei servizi ad essi collegati.

Muovendo da queste premesse, e quindi nella consapevolezza che quella della scelta dei prezzi è innanzitutto una scelta di natura “politica” prima che tecnica, che non può seguire ambizioni di piena sostenibilità dei luoghi di cultura, ma che piuttosto bilancia costi economici e benefici economici e sociali, il MIBAC - Direzione Valorizzazione ha avviato un percorso di analisi, valutazione e riflessione volti ad una interrogazione generale dell’attuale sistema di pricing dei luoghi della cultura e delle connesse politiche di gratuità. Nello specifico, com-binando analisi di benchmarking su prassi operati in altri contesti nazionali con una analisi puntuale dei costi di gestione complessivamente e puntualmente sostenuti dal Ministero per la gestione dei luoghi della cultura statali, la Direzione valorizzazione sta progressivamente configurando una “fotografia ragionata del panorama gestito”.

Trattasi, evidentemente, di un percorso di analisi e valutazione particolarmente complesso di cui, al momento, possiamo discutere risultati dal contenuto informativo assolutamente par-ziale (è, ad esempio, ancora in corso l’indagine campionare sulla disponibilità a pagare dei visitatori nei luoghi di cultura compresi nel campione di analisi).

In questa sede, quindi, più che ipotesi e tesi comprovate, abbiamo la possibilità di aprire un confronto costruttivo sul tema del pricing dei luoghi della cultura, evitando di allinearsi a tesi pericolosamente “riduzioniste”, essenzialmente riconducibili a obiettivi ipotetici di usare il prezzo quale leva di equilibrio economico delle gestioni o, all’opposto, a ipotesi di assoluta marginalità del prezzo alla contribuzione delle gestioni dei luoghi della culturale e, quindi, dei servizi da questi erogati.

Il campione di analisi …Come si dirà tra breve i dati raccolti in questa prima fase di analisi si riferiscono ad un primo campione di osservazione di Soprintendenze. Vale tuttavia rilevare che detti Organi periferici del Ministero sono stati scelte ed inseriti all’interno del campione solo in un secondo momen-to. La costruzione del campione sul quale sono state effettuate le analisi è avvenuta, infatti, attraverso diverse fasi che qui vado a raccontarvi sinteticamente. Innanzitutto, vale sottolineare che la nostra attenzione si è al momento focalizzata solo sui quei luoghi di cultura statali per i quali già esiste un biglietto di ingresso. Parliamo quindi un universo 183 su 489 da cui è stato quindi estratto un campione rappresentativo di analisi. Una volta, infatti, ordinata l’intera distribuzione sulla base dei visitatori paganti, sono state calcolate le frequenze relative cumulate per poi suddividere l’intera distribuzione in terzili corrispondenti a classi di visitatori diversi, secondo le seguenti fasce: primo terzile, tutti i luo-ghi della cultura con un numero di visitatori inferiore a 12.900, secondo terzile tutti i luoghi con un numero di visitatori compreso tra 12.901 e 49.304 ed, infine, nell’ultimo terzile, tutti quei luoghi con un numero di visitatori superiore a 49.305 visitatori. Da ultimo, per addivenire ad un campione rappresentativo utile ai nostri scopi di analisi, il campione è stato osservato e, quindi, differenziato anche rispetto alla collocazione geografica dei luoghi, operando un distinguo tra Nord, Centro o Sud.

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Primo colloquio sulla valorizzazione184

Nella tabella che segue si può osservare quanto detto.

Tabella 1. Distribuzione luoghi della cultura a pagamento secondo collocazione geografi-ca e classe di visitatori.

Classe Nord Centro Sud Totale1 15 8% 24 13% 22 12% 612 19 10% 25 14% 17 9% 613 21 11% 26 14% 14 8% 61

Totale 55 30% 75 41% 53 29% 183

Per un primo avvio dei lavori e, quindi, per un rapida somministrazione e raccolta dei questio-nari sulla disponibilità a pagare dei visitatori, il campione è stato infine dimezzato, mantenen-done ovviamente invariata la logica di composizione (cfr. Tab.2).

Tabella 2. Distribuzione luoghi della cultura a pagamento secondo collocazione geografi-ca e classe di visitatori post dimezzamento.

Classe Nord Centro Sud Totale1 4 4% 7 7% 6 6% 17%2 5 5% 7 7% 5 5% 17%3 5 5% 7 7% 4 4% 16%

Totale 14 14% 21 21% 15 15% 50%

L’identificazione dell’unità produttiva e dei fattori di produzione...Come anticipato, a partire dai luoghi di cultura così selezionati si è giunti quindi al campione finale delle 37 Sovrintendenze alle quali i luoghi sono di competenze attribuiti. E’ la Sovrin-tendenza, quindi, la nostra “unità produttiva” di analisi, coerentemente ad un prima fase di analisi che innanzitutto vorrebbe interrogarsi sulle condizioni di equilibrio generale di siste-ma, che va quindi al di là degli equilibri puntuali dei singoli istituti. A questo secondo livello di analisi si potrà forse scendere in un secondo momento, pur scontando una difficoltà obiettiva nella ricostruzione dei conti economici e dei bilanci dei singoli luoghi, sia all’obiettivo di capire come raggiungere un Ciò premesso, non sfuggirà a voi tutti che – data la scelta operata ed il tipo di quindi di unità produttiva scelta per l’analisi – l’ammontare dei ricavi che andremo a registrare sarà neces-sariamente (e notevolmente) inferiore ai costi, essendo questi sostenuti a fronte di attività complesse ed assai più vaste di quelle direttamente attribuibili alla produzione di entrate, qui tra l’altro considerate nel solo complesso degli introiti lordi da bigliettazione incassati nell’esercizio 2010. Più che nei termini della ricerca del punto di equilibrio tra costi e ricavi per la gestione dei luo-ghi, lo studio che andiamo conducendo va quindi ad osservare la dimensione dello squilibrio attuale, per quindi riflettere sulle modificazioni che questo potrebbe subire a fronte di una nuova ed oculata politica di pricing. Per questo, si è quindi resa necessaria una ricostruzione dei “conti economici” per Sovrintendenza, secondo la seguente articolazione:

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• Costi del personale, calcolati moltiplicando, per ogni singola soprintendenza, il numero di persone appartenenti ad una determinata fascia retributiva1, con la retribuzione corrispondente alla fascia stessa.

• Costi per l’acquisto di beni di consumo, che comprendono i costi per carta, cancelleria, giornali, pubblicazioni, e altri materiali e accessori.

• Costi per acquisto di servizi ed utilizzo di beni di terzi, comprendono i costi per consulenze e per le prestazioni specialistiche non consulenziali, i servizi per le trasferte, la promozione, la formazione, la manutenzione, il noleggio, le varie utenze e canoni, e i servizi di ristorazione, i servizi ausiliari e quelli finanziari.

• Altri costi, tra i quali le imposte e le tasse• Oneri straordinari e da contenzioso• Ammortamenti di beni immobili, mobili, immateriali, nonché la manutenzione

straordinaria.Per la ricostruzione delle voci di costo citate, abbiamo attinto ai dati di cui il Ministero al mo-mento dispone. In particolare per le soprintendenze ai beni archeologici, sono stati analizzati i dati relativi al bilancio consuntivo 2010, mentre per le restanti soprintendenze il preventivo per l’anno 2011, non avendo al momento a disposizione i consuntivi 2010.

Le prime evidenze empiriche….Dall’analisi complessiva dei “bilanci” delle Sovrintendenze possiamo innanzitutto notare come il rapporto tra introiti da bigliettazione e costi di gestione, è oggettivamente molto bas-so. Un dato che in parte, come accennato, non stupisce, ma che è utile osservare per i ragio-namenti che si vanno facendo in termini di politiche di pricing. Si noti, infatti, come a fronte di un rapporto introiti/costi di gestione che per le Soprintendenze Speciali si attesta attorno ad una media del 22% , il più complessivo quadro nazionale registra rapporto tra introiti e costi di gestione che si attesta su valori medi assai inferiori, con valori che oscillano tra lo 0% e il 14%, con importanti differenziazioni legati alla localizzazione territoriale del luogo (cfr. Fig.1) e, evidentemente, del numero di visitatori attualmente paganti (cfr. dimensione delle bolle in Fig.2).

1 Il numero di persone, nonché l’appartenenza ad una determinata fascia retributiva, sono stati ottenuti dall’ana-grafica del MiBAC aggiornata al 28 gennaio 2011.

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Primo colloquio sulla valorizzazione186

Fig.1 -Stratificazione del campione: incidenza introiti lordi sui costi di gestione/prezzo medio del biglietto

Fig.2 - Stratificazione del campione: incidenza introiti lordi sui costi di gestione/prezzo medio del biglietto/visitatori paganti

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Come è facilmente intuibile anche senza ulteriori analisi di dettaglio – da noi compiute ma sulle quale non credo sia questa la sede per intrattenerci – appare evidente come il rapporto tra introiti lordi da biglietti e costi di gestione è tale non lasciar presagire alcun elemento di conforto sul piano della sostenibilità economica di sistema, anche operando una significativa rivisitazione dei prezzi dei biglietti. Solo per dare qualche argomento a supporto di quanto si sta dicendo si osservi no infatti le figure 3,4 e 5. Sono, queste, la rappresentazione sintetica di alcune simulazioni da noi fatte provando ad immaginare un innalzamento di 3 euro del prezzo medio dei biglietti, lasciando invariata la percentuale dei visitatori paganti.Ebbene, come si può agevolmente osservare, con tendenza sempre più accentuate, passan-do dal Nord, al Centro e poi al Sud, il campione registra uno angolo di spostamento davvero poco significativo, lasciando nella sostanza invariato (salvo qualche rara eccezione) il margine medio di contribuzione delle entrate da bigliettazione rispetto ai costi di gestione. Addirittura, nel caso dei luoghi della cultura del Centro e del Sud, nessuna della Sovrinten-denze osservate riesce - anche con l’ipotizzato aumento medio del prezzo di biglietto a rag-giungere il rapporto tra introiti lordi da biglietti e costi di gestione che abbiamo detto essere il nostro termine di confronto dato il caso dei Soprintendenze Speciali Detto in termini forse più chiari, il modesto angolo di spostamento del campione e, quindi, il suo scorrimento mag-giore sull’asse delle x a paragone del suo scorrimento sull’asse delle y va sinteticamente rappresentare l’effetto complessivo dell’aumento del prezzo medio del biglietto, chiaramente identificabile in un sostanziale e quasi esclusivo effetto in termini di spesa degli utenti, senza alcun vantaggio sostanziale in termini di margine di contribuzione ai costi di gestione del sistema (asse delle y).

Fig.3 - Gli effetti di un aumento di 3 euro del prezzo medio del biglietto sulla economia del sistema: sotto campaion Nord Italia

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Primo colloquio sulla valorizzazione188

Fig.4 - Gli effetti di un aumento di 3 euro del prezzo medio del biglietto sulla economia del sistema: sotto campaion Nord Italia

Fig.5 - Gli effetti di un aumento di 3 euro del prezzo medio del biglietto sulla economia del sistema: sotto campaion Nord Italia

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Alla luce dei dati raccolti, e sempre in funzione di valutare gli impatti della politica di pricing sulla economia generale dei sistema di gestione dei luoghi di cultural, si è pensato di ana-lizzare i potenziali impatti derivante da un contributo economico volontariamente offerto dai visitatori in una logica di dono e, quindi, non in una logica di acquisto di biglietto, sulla scia di quanto già avviene in altri contesti internazionali. Trattandosi di “contributo” e non di “paga-mento” di un biglietto, questa volta la analisi ha incluso per il calcolo degli effetti attesi, ma i visitatori complessivi di tutti i luoghi di competenza amministrativa della singola Sovrinten-denza e, quindi, non solo il numero dei visitatori paganti. Nella figura 6, vengono sinteticamente rappresentati gli effetti prodotti sull’equilibrio generale del sistema qualora si ipotizzi, contemporaneamente, sia una aumento di 3 euro del prezzo medio del biglietto, sia una contributo medio di 2 euro da parte dei visitatori attualmente non paganti.

Fig.6 – Ipotesi di incrimento del prezzo medio (3 euro) e contributo (2 euro) dell’insieme dei vistatori nei luoghi di cultura: effetti complessivi sull’equilibrio di sistem

Come è a tutto chiaro, anche questa ultima ipotesi non lascia intravedere effetti sostanziali sull’equilibrio generale del sistema, ad ulteriore conferma che non sarà la politica dei prezzi, o altra forma di contribuzione economica alla visita, ad apportare sollievo significativo alla economia gestionale del sistema dei luoghi di cultura gestiti dal MIBAC. E’ questa una partita, infatti, che deve essere innanzitutto giocata sul campo della efficienza delle gestioni. I dati ci dimostrano chiaramente come un politica che voglia insistere sul sistema di pricing per mi-gliorare la sostenibilità del sistema non solo non produce effetti reali immediati ma, soprattut-to, rischia di rinviare nel tempo l’opportunità di percorre strade alternative di maggior utilità,

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miranti ad affrontare il problema sul fronte dei costi e quindi delle funzioni di produzione e non su quello delle entrate. Detto in maniera più esplicita, lavorare sulla leva del prezzo, senza contemporaneamente lavorare sulla struttura dei costi di gestione, significherebbe al momento semplicemente tra-sferire sui visitatori i costi della inefficienza o incapacità di innovazione del sistema, con con-seguenze non chiare in termini di potenziale riduzione della domanda. Una ipotesi, questa, sulla quale riflettere con attenzione in particolare per i luoghi di minora attrazione, bisognosi di politiche anche “aggressive” di promozione, dove la politica dei prezzo assume al massimo un valore simbolico, ma non certo una leva economica di tipo significativo. Proprio questa riflessione, mi dà lo spunto per un ultimo cenno ad una altra parte della ricerca che stiamo conducendo e che interessa, appunto, le politiche di gratuità. Su questo abbiamo iniziato una ricerca di benchmarking con altri paesi. In tabella si possono osservare i primi risultati raccolti, mettendo al confronto rispetto a quelle da noi classificate come politiche di gratuità in accesso, ricerca e formazione, promozione. Sono proprio queste ultime, come si può notare, quelle in cui registriamo una timidezza tutta italiana. A loro, forse prima che alle politiche di prezzo, dovremmo forse puntare per maggiore e migliore distribuzione della domanda tra i luoghi di cultura nazionali. Una pre-condizione generale all’auspicato equilibrio di sistema.

Tabella 3. Politiche di gratuità: primi confronti internazionali

Più che una conclusione, una provocazione…Come avremo modo di presentare in una prossima occasione, sono attualmente in corso di svolgimento alcune rilevazioni sulla disponibilità a pagare dei visitatori nei luoghi di cultura dello stato, anche in relazione ai servizi che la struttura può loro offrire. La raccolta dei dati, quindi, oltre che aiutarci a comprendere il grado elasticità delle domanda al prezzo, dovreb-

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be fornire indicazioni puntuali sulle motivazioni di spesa e quindi contribuire al più ampio dibattito, che anche oggi riprenderemo, sulla importanza e qualità dei servizi culturali nella composizione del sistema di offerta e, più in generale, sulla esperienza di visita. Da qui lo spunto, per il gruppo di lavoro, per un ultimo scenario di analisi degli impatti delle politiche di prezzo sul sistema di gestione del luoghi di cultura statali. Nello specifico, come la figura 7 pone in evidenza, le analisi sin qui presentate con riferimento ai possibili margini di contribuzione degli introiti lordi rispetto alla unità di produzione “Sovrintendenza”, sono stati ripetuto prendendo a rifermento (nuova unità di produzione) una portfolio base di servizi culturali, tipicamente annessi ad un luogo di cultural statale quale potrebbe essere il servizio biglietteria, un bookshop, una caffetteria ed un servizio di visite guidate. Partendo ancora una volta, quindi, dall’ipotesi di un aumento del prezzo del biglietto di 3 euro, si nota come in questo caso la leva del prezzo rappresenta effettivamente una leva economica interessante, andando significativamente ad incidere sugli equilibri economici di gestione dei servizi considerati (Fig.7). Il dato ci sembra interessante non solo per i rapporti economici che pone in evidenza, ma anche perche è apre una spazio di riflessione originale sullo “scambio” diretto che potrebbe sottostare una politica di pricing strettamente connessa ad una politica di qualità dei servizi erogati.

Fig.7 – Gli effetti di un aumento di 3 euro del prezzo medio del biglietto sulla economia di gestione dei servizi culturali (portafolio standard/costi medi di settore): aggio max 30%

Legare le politiche di prezzo alle politiche di servizio, avrebbe il pregio di restituire di ricom-pensare sacrificio economico dell’utente con una migliore esperienza di visita, ponendo la questione in una logica più chiara di “scambio” e non, come abbiamo osservato, di sostegno a problemi di spesa pubblica.

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Sulla scorta di questo ragionamento, nella figura 8 si arrivano a sintetizzare gli effetti, certa-mente sul piano economico delle gestione dei servizi estremamente interessanti (si conside-ri, tra l’altro, che le entrare evidenziate nel grafico sono quelle legate alla bigliettazione, esclu-dendo le entrate degli altri servizi), qualora venga rimosso l’attuale aggio del 30%, lasciando al gestore dei servizi l’intero beneficio economico delle gestione dei servizi, assumendo ov-viamente un impegno di quest’ultimo in termini di presidio e costante miglioramento della qualità dei servizi culturali.

Fig.8 – Gli effetti di un aumento di 3 euro del prezzo medio del biglietto sulla economia di gestione dei servizi culturali (portafolio standard/costi medi di settore): ipotesi aggio al 100%

E’ questo uno scenario ovviamente solo ipotetico che, evidentemente, chiama in causa un problema più generale, che non abbiamo il tempo di sviluppare, circa la modificazione o, meglio, il rinnovamento dei meccanismi di regolazione dei rapporti pubblico –privato nella gestione dei servizi culturali, andando ad interessare non solo gli obblighi reciproci di natura economica, ma anche (a) i diritti reciproci di informazione, di decisione e di controllo, (b) la divisione dei compiti e delle responsabilità e,quindi, (c) le connesse obbligazioni di natura comportamentale.Di tutto questo, gli schemi di regolazione fino ad oggi adottati sono senz’altro carenti, facendo registrare schemi di relazione del rapporto tra pubblico e privato essenzialmente polarizzati in due estremi: da una parte, troviamo forme di relazione di “autorità” del pubblico sul privato, in cui il primo mantiene nella sostanza accentrare le decisioni riguardanti le modalità di pro-grammazione e gestione dei spazi e dei connessi servizi; dall’altra situazioni diametralmente

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opposte, in cui il pubblico si affida completamente al privato per ciò che concerne le scelte di gestione, limitandosi (nella situazioni migliori) alla registrazione ed osservazione dei risultati (fatturato dei servizi) da questi ottenuti, in una schema di relazione tipo di mercato. Ebbene, come a noi tutti è piuttosto evidente, nell’una nell’altra situazione ha prodotto la re-ciproca soddisfazione delle parti, soffocando la liberta ed espressione imprenditoriale da una parte, la qualità e l’interesse all’innovazione dei servizi dall’altra. Per questo, la strada da percorrere, come spesso accade, sta nel mezzo. La relazione tra pub-blico e privato nella gestione dei servizi culturali è infatti materia complessa che necessita soluzioni complesse, non riconducibili né a l’uno né l’altro schema di relazione citato (leggasi “autorità” o “mercato”). Va preso atto che la mancanza di risorse e competenze del pubblico rende certamente una sua assunzione tutti i diritti di decisione e controllo delle gestione (delegando al privato la mera esecuzione delle prestazioni richieste). E’ quindi necessaria per la qualità ed il miglioramento costante dei servizi che il pubblico “ceda” al privato parte dei diritti di decisione sulla gestione. Allo stesso tempo, però, i risultati economici del con-cessionario - oltre che poco rappresentativi di una logica di servizio che spesso esula o non si esaurisce nella ambizione del profitto - non dipendono solo dalle azioni dei concessionari, ma sono anche funzione di elementi esogeni (es. profilo di domanda, collocazione geografica, vicinanza con altri luoghi di interesse culturale, tipo di istituzione culturale, politiche agite dal-l’amministrazione locale, etc..), rendendo il fatturato economico dei servizi un segnale assai poco significativo delle prestazioni dei concessionari. E’ per questo necessario che il pubblico, tanto più nella ipotesi ormai obbligata di cessione taluni diritti di decisione sulla gestione dei servizi, istituisca nuovi sistemi di rilevazione delle azioni interprese e dei comportamenti gestionali agiti dal concessionario. Ne consegue, quindi, la necessità di rinnovamento del rapporto pubblico privato che deve necessariamente passare attraverso un rinnovamento degli schemi di relazione contrattuale, ricercando il giusto mix tra incentivi legati ai risultati e controllo dei segnali dei comportamenti. Qui mi fermo. Di questo infatti credo ci parli tra breve Marcello Minuti. Mi permetto però su questo punto una sola ultima nota “calda”. Nessun meccanismo di regolazione formale tra le parti sarà mai sufficiente al raggiungimento dei risultati sperati, se non accompagnato da un rinnovamento anche dello schema sociale ed emotivo della relazione. Serve, a mio parere, un nuovo patto sociale tra pubblico e privato per -gestione dei luoghi della cultura, che si fondi su una rinnovata stima ed interesse per la controparte, una nuova disposizione alla comprensio-ne delle difficoltà, ambizione e caratteristiche dell’altro, una nuovo interesse alla gestione di un bene che è “comune” e, quindi, di tutte o di nessuna delle due parti interessate. Forse dietro una nuova politica di pricing ed una diversa logica di redistribuzione delle di-mensioni economiche ad esse connesse potremo, anche simbolicamente, muovere un primo passo in questa direzione.

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Rosaria MencarelliLa presentazione di Alessandro Hinna ha posto alla nostra attenzione una domanda di stin-gente attualità: può questo strumento costituire una leva o meno di crescita? e comunque, come utilizzare questo strumento al meglio? Le analisi in corso, le comparazioni con altri sistemi in vigore in paesi europei (soprattutto Francia, Spagna, Germania) ci indicano che è uno strumento che forse oggi non stiamo utilizzando in tutte le potenzialità che potrebbe svi-luppare a favore della gestione dei nostri luoghi della cultura. Tuttavia attendiamo le conclu-sioni dello studio per sottoporre ad una riflessione pubblica i risultati che ne emergeranno. La serie degli interventi si chiude con Marcello Minuti che ci illustra il Sistema nazionale di monitoraggio e valutazione dei luoghi della cultura dello Stato. Dopo un anno di intenso lavoro di progettazione e costruzione, il Sistema è oggi utilizzabile ed è parte integrante delle nuove concessioni che sono state appena sottoscritte e di quelle che lo saranno man mano che si concluderanno le procedure di gara in corso. L’intento che ci ha mosso ad affrontare un tema così complesso e nuovo per il settore dei servizi culturali al pubblico è stato quello di colmare le evidenti carenze esistenti in materia di controllo e valutazione a livello sistemi-co. In altre parole, appare chiara l’esigenza di un quadro organico, di un modello che sappia monitorare, valutare ed offrire elementi informativi salienti per programmare e indirizzare l’azione degli operatori pubblici e privati che operano nel settore dei servizi al pubblico nei luoghi di cultura.

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Marcello MinutiStruttura s.r.l.

Qualità e trasparenza nella organizzazione dei servizi culturali. Il sistema na-zionale di monitoraggio e valutazione per i luoghi della cultura dello Stato.

Il progetto che viene presentato oggi è un progetto dagli effetti applicativi immediati e tutti co-loro che si occupano e/o sono alle prese con le gare riguardanti i servizi al pubblico ne hanno conoscenza: dal punto di vista normativo è lo stesso bando, infatti, a prevedere espressamen-te l’applicazione di un sistema di monitoraggio e valutazione.Il tema del monitoraggio e della valutazione dell’azione della pubblica amministrazione è oggi di grande attualità. A partire dagli anni anni ’90 l’Ue attraverso la programmazione dei Fondi strutturali, in particolar modo, ha iniziato ad introdurre questi temi e a diffonderne il loro utilizzo nei Paesi membri. Oggi il tema del monitoraggio, della misurazione delle ricadute politiche dei progetti, è uno dei temi centrali della Strategia Europa 2020; viene richiamato, inoltre, in più atti normativi del settore dei beni culturali: il codice, all’articolo 115, introduce la valutazione economica preventiva nella scelta delle forme di gestione; le linee guida e la circolare 2009 sui servizi al pubblico richiamano, inoltre, la “valutazione preventiva”, ed an-che il decreto sulla biglietteria individua nelle modalità di definizione del prezzo la logica della misurazione ex ante dei parametri di costo e di ricavo. Sottolineerei, inoltre, come il monito-raggio e la valutazione assumano ancora più importanza nell’attuale contesto di crisi, in cui probabilmente – di fronte a scelte allocative - la misurazione dell’impiego delle risorse e dei risultati a cui questo porta possono diventare strumenti tecnici di grande supporto.Nel sistema dei servizi al pubblico è recentemente stata avviata la sperimentazione del nuovo sistema di valutazione, inserendo le relative previsioni nell’ambito dei documenti ufficiali di gara. Ovviamente il “treno” delle concessioni era particolarmente interessante da agganciare perché c’era la necessità di inserire all’interno dei bandi l’onere a carico dei concessionari di iniziare a trasmettere e informare la stazione appaltante su una serie di dati; elementi che andassero oltre le informazioni tipiche di uno strumento di monitoraggio del “cosa si fa” (che

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Primo colloquio sulla valorizzazione196

ha degli obiettivi di compliance, cioè degli obiettivi di controllo sull’operato). Quando, infatti, ci è stato affidato quest’incarico ci siamo trovati di fronte alla sfida di progettare il sistema dall’inizio – operazione come si può immaginare abbastanza rischiosa vista la delicatezza del tema - partendo da quello che era in regime prima delle nuove concessioni, cioè da che cosa era prima il sistema di monitoraggio e valutazione dei gestori dei servizi. Prima di progettare il sistema ci siamo posti dunque questa domanda “a che cosa può contri-buire oggi un sistema di monitoraggio?”. Questo passaggio è particolarmente critico perché, come vedremo poi nell’articolazione del sistema, si vanno a toccare obiettivi particolarmente ambiziosi e dei quali poi parleremo. Recentemente abbiamo realizzato uno studio sui siste-mi di misurazione internazionale analizzando diverse istituzioni del settore cultura ed affini per capire a che cosa contribuiva, in ogni specifico caso, il sistema di misurazione. Abbiamo capito sostanzialmente che il sistema di misurazione può aiutare a) a rendere trasparente la gestione (accountability), b) a migliorare la qualità del servizio e a fare un passaggio logico nell’interpretazione del concetto di qualità, da quella che oggi sostanzialmente è una qualità fondata sulla qualità dell’offerta – impostazione attuale del nostro sistema dei beni culturali che basa la propria misurazione sulla qualità degli standard di servizio - verso i temi della percezione della qualità da parte dell’utente. Inoltre, c), il sistema di misurazione potrebbe contribuire a rafforzare quello che a volte è solo uno slogan, e cioè il rapporto pubblico-pri-vato, contribuendo a costruire salde relazioni con i concessionari, i primi interlocutori che rappresentano il Ministero di fronte agli utenti. Su questo particolare punto, negli ultimi anni, è stata più volte richiamata l’attenzione: da una prima stagione che vedeva nelle sponsoriz-zazioni la “via maestra” da percorrere per dare senso alla collaborazione pubblico – privato, si è passati per la stagione dell’impresa culturale, fino a quella delle forme di gestione miste. Senza entrare in queste problematiche, che potrebbero dirottare la nostra attenzione, non v’è dubbio che oggi un nuovo rapporto tra pubblico e privato possa essere considerata come una delle poche leve a disposizione del sistema per migliori gradi di valorizzazione. Di fronte a queste evidenze, nel momento di iniziare a progettare il nuovo sistema ci siamo domandati “il sistema di monitoraggio e valutazione dei servizi al pubblico dei luoghi della cultura statali può aiutare a raggiungere questi diversi e importanti obiettivi?”. La Direzione per la valorizzazione del Ministero ha colto le nostre provocazioni e il disegno che ne esce fuori risponde “si” a questa domanda. Per comprendere i livelli di progettazione del nuovo sistema di monitoraggio e valutazione, cioè per definire come il nuovo sistema avrebbe potuto contribuire al raggiungimento dei tre obiettivi sopra dichiarati, è stato fatto un esercizio di “posizionamento”, attraverso il quale comprendere l’evoluzione (rispetto al sistema della Pubblica Amministrazione in generale) a) del sistema dei beni culturali e b) del sistema dei servizi al pubblico, rispetto ai tre “obiettivi” che ci si era dati (cfr. fig. 1), e cioè:

• l’accountability, cioè la trasparenza e la rendicontabilità,

• la qualità,

• il rapporto pubblico–privato.

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Fig. 1 – Le dimensioni utilizzate per il posizionamento del sistema dei servizi al pubblico

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La domanda era: le attuali norme, procedure, regole stabilite in materia di controllo nel siste-ma dei beni culturali ed in quello dei servizi al pubblico come posizionano questi due ambiti rispetto al livello evolutivo della Pubblica Amministrazione, in termini di trasparenza, qualità e rapporto pubblico – privato? I gap di questa analisi avrebbero dunque mostrato gli spazi den-tro i quali si sarebbe potuto inserire il sistema di monitoraggio e valutazione, quale strumento tecnico attraverso il quale a) rendere più trasparente la gestione; b) incrementare i livelli di qualità; c) rafforzare il rapporto di partenariato strategico tra stato e operatori privati.A tal fine, e in particolare per la definizione dei “massimi” della matrice di posizionamento, è stato studiato tutto quello che nel sistema della pubblica amministrazione era stato fatto in questi anni in termini di atti e direttive, stabilendo così i massimi della distribuzione, utili a po-sizionare i due oggetti di analisi, cioè il sistema dei beni culturali e il sistema di monitoraggio attualmente vigente nei servizi al pubblico. Il sistema dei beni culturali, nel merito, ha lavorato fino ad oggi soprattutto sul concetto di qualità con il decreto sugli standard, il DM del 2001, e con diverse regolamentazioni di livello regionale (sistemi di accreditamento) ma ancora c’è molto da fare sul tema della trasparen-za/accountability. Molti dati sui reali livelli di valorizzazione, infatti, ancora non sono disponi-bili (quali ad esempio il numero dei laboratori didattici, il numero di persone che lavorano nel-la gestione di un servizio, il costo medio della gestione di un servizio, ecc.). Esistono cioè problemi che, più che di valutazione sono innanzitutto di conoscenza; è in questo senso che i flussi informativi per la creazione di un sistema di conoscenza (o di monitoraggio) sono alla base del nostro lavoro.La successiva figura fornisce una rappresentazione del posizionamento: come si può vedere, in estrema sintesi, l’analisi del sistema dei servizi al pubblico mostra evidenti gap rispetto a quanto fatto, in termini di atti, regolamenti e prassi, dal sistema della Pubblica Amministra-zione in generale e rispetto a quanto già viene fatto nel sistema dei beni culturali di proprietà

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Primo colloquio sulla valorizzazione198

del Ministero. L’accountability alla quale si assiste nel sistema dei servizi al pubblico, infatti, è di tipo finanziario, concentrandosi sui livelli di fatturato e tralasciando qualsiasi altra informa-zione di natura economico-organizzativa. Così come il concetto di qualità è stato interpretato come qualità del singolo servizio e non come qualità dell’organizzazione. Infine, l’analisi mo-stra come gli strumenti in essere caratterizzino il rapporto tra Ministero e concessionario come un tipico rapporto di fornitura, e non già come una relazione stabile di partenariato attivo.

Fig. 2 – Accountability, qualità, partenariato: il posizionamento dei servizi al pubblico

A questo punto ci siamo chiesti - con la Direzione - quale fosse l’ambizione rispetto al profilo atteso del nuovo sistema, perché avremmo potuto - con grande soddisfazione di tutti i vai attori in gioco - accontentarci di un sistema che monitorasse i flussi finanziari, la spesa e i visitatori, cioè tutto quello che già adesso può essere misurato attraverso i servizi al pubblico (di cui infatti conosciamo clienti, scontrini e quota finanziaria di spettanza erariale). Questo sarebbe stato possibile se non ci si fosse posti il problema della qualità percepita da parte dell’utente e della qualità dell’organizzazione, che invece appariva, sin da subito, come uno dei principali nodi da affrontare; e poi se avessimo continuato a considerare il concessionario come un fornitore e non come un partner attivo delle pratiche di valorizzazione. Potevamo prendere questa strada: avremmo avuto oggi un sistema molto più semplice di quello che alcuni di voi conoscono. In qualche modo, invece, abbiamo provato a “forzare la mano”. La sfida è stata quella di provare a costruire un sistema che raggiungesse obiettivi importanti di trasparenza e, quindi, non solo la trasparenza sulle cifre - quanto è stato speso, quanti visitatori - ma anche sugli output, ad esempio (quante visite guidate sono state fatte e quanti laboratori sono stati realizzati), con quale efficacia e con quale risultato in termini di mediazio-

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ne/fidelizzazione, miglior accesso ai luoghi della cultura, ecc. Tutto questo in una prospettiva molto più profonda, come si può immaginare, finalizzata al miglioramento della qualità delle gestioni. Abbiamo ovviamente lavorato nel rispetto della qualità come individuata dal sistema degli standard museali, contemperando però questa esigenza con un concetto più ampio di qualità, legato ai processi di gestione, alla qualità dell’organizzazione, alla qualità del lavoro. Infine, si è cercato in tutti i modi di trovare modalità di funzionamento, del nuovo sistema, che dessero corpo e valore all’idea del rafforzamento delle logiche di partenariato. In questo sistema, ovviamente, è fatto salvo il controllo di natura formale: la misurazione dei risultati e degli effetti delle politiche di valorizzazione non poteva implicare, evidentemente, l’abbandono del controllo in itinere degli aspetti dichiarati in sede di offerta tecnica e, quindi, di quanto offerto dal concessionario in termini di livelli quali-quantitativi di servizio.E’ opportuno, infine, porre l’attenzione su alcuni elementi tecnici del sistema. Il primo riguarda la compliance, il controllo sull’operato: le offerte dei fornitori di servizio, in generale e in qualsiasi settore, tendono a non addivenire a delle precise quantificazioni ove non richiesto dai capitolati, per lasciare maggiori gradi di autonomia al futuro concessionario. In molti casi, se i capitolati non lo richiedono, non vengono fornite nelle offerte tecniche degli aspiranti concessionari indicazioni chiare di quantificazione (quantificazione totale dei livelli di servizio, ore, persone, numeri di laboratori, ecc) ed, invece, sarebbe importantissimo defi-nire fin dall’inizio dati precisi per monitorare e controllare meglio l’intero processo. Il secondo elemento riguarda la rendicontabilità dei risultati, cioè gli elementi che saranno oggetti di “trasparenza”: nel corso di questo breve intervento sono stati fatti degli esempi degli oggetti osservati, dal numero di persone che lavorano fino al numero di ore di for-mazione che hanno ricevuto i dipendenti o ai contratti che vengono applicati. Si è fatto riferimento anche agli elementi di qualità, come la tempestività e la cortesia percepita. Ma la rendicontabilità riguarderà, come visto, anche gli effetti dei servizi bella sfera cognitiva del visitatore (la mediazione, la fidelizzazione, il migliore accesso, ecc.) e gli impatti, cioè gli effetti indiretti creati dalla gestione dei servizi (reputazione del luogo della cultura, incre-mento delle visite, ecc.). Il terzo elemento riguarda la sistematicità, cioè l’idea di alimentare costantemente un siste-ma informativo nazionale. Questo aspetto è fondamentale: la grande ambizione della DG Valorizzazione è di creare un sistema di flusso costante che permetta, con cadenza annuale, di avere la rappresentazione completa e aggiornata di cosa succede nel settore dei servizi al pubblico. Inoltre, per il buon funzionamento del sistema viene richiesta la collaborazione attiva anche dei concessionari, ai quali - in sede di offerta tecnica - si chiede il rispetto di determinati parametri e la garanzia del corretto funzionamento di un sistema informativo aziendale che abbia precisi indicatori e che fornisca dati e informazioni, con cadenza periodica, al sistema centrale di monitoraggio. Ancora, un altro elemento molto rilevante è la qualità percepita dall’utente: dentro questo progetto confluiscono i modelli di analisi del pubblico sviluppati dalla Direzione generale valo-rizzazione, ponendo al centro del concetto di qualità l’utente e le sue aspettative. Un ultimo aspetto che mi sento di sottolineare, infine, è l’inserimento nel sistema, per la prima volta, di meccanismi di premialità. Sono previsti infatti dei contributi finalizzati a premiare chi gestisce bene. L’idea, o se volete l’ambizione, della DG valorizzazione è di arrivare a un siste-ma nazionale di “rating” che valorizzi i migliori concessionari a livello nazionale e che vada a costituire un sistema di valutazione per le prossime gare.

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fig 3 – principali elementi di innovazione del sistema di monitoraggio e valutazione dei servizi al pubblico

In conclusione, mi preme evidenziare un ultimo aspetto non meno importante, e che spesso vie-ne avanzato come quesito ogni qual volta che ci troviamo a raccontare questa iniziativa: i costi per la gestione delle attività di monitoraggio. Su questo aspetto vorrei essere molto realistico, poiché penso che la questione delle risorse non debba essere il punto focale della nostra atten-zione. Le risorse, certamente, serviranno a trasformare le norme in documenti (e così accadrà sicuramente, poiché ormai l’adozione del sistema è parte integrante del funzionamento delle concessioni, esplicitamente disciplinato dagli atti di gara). Penso però che nessuno di noi, però, sia interessato alla produzione di soli documenti senza che a questi seguano dei comportamen-ti (come invece, purtroppo, è accaduto in sistemi di monitoraggio e valutazione in altri settori). E’ importante che il monitoraggio e la valutazione diventino prassi operativa nel sistema; e questo è un cambiamento culturale che avverrà solo quando il concessionario comprenderà fino in fondo la potenzialità del sistema informativo per le proprie pratiche gestionali; solo quando le stazioni appaltanti faranno propria l’importanza del sistema per migliorare la gestione dei servi-zi e per migliorare il loro indirizzo sui gestori di servizi aggiuntivi; e quando la Direzione generale della valorizzazione interpreterà i dati e le informazioni che usciranno fuori da questo sistema come base delle proprie decisioni programmatiche. E’ su tutto questo, sulla presa di coscienza generale dei sistemi di misurazione e valutazione, che bisogna veramente puntare per trasfor-mare le risorse umane e finanziarie che contribuiranno alla nascita e allo sviluppo del sistema in migliore valorizzazione del nostro patrimonio.

Rosaria MencarelliDalla sintetica presentazione di Marcello Minuti traspare, dobbiamo ammetterlo con una certa consapevolezza, quanto questo progetti si qualifichi per le sue caratteristiche di innova-zione. Nel settore dei così detti servizi aggiuntivi, nell’arco di un’esperienza quasi ventennale, non era mai stata presa in esame la possibilità di operare un cambiamento così significativo nelle relazioni e informazioni che intercorrono tra ente pubblico e soggetto gestore. Siamo consapevoli che, come in tutte le più recenti innovazioni che pongono al centro la “misurazio-ne”, il rischio che potrà presentarsi è quello di una crisi da rigetto di un sistema che, in quanto fondato sul controllo, potrà essere percepito dai soggetti coinvolti come strumento formale di pressione al rispetto delle regole. E’ invece, a nostro modo di vedere, il ruolo del Sistema come momento di miglioramento gestionale e di trasparenza e conoscenza a poter dare i mi-gliori frutti, nel rafforzamento delle logiche di partenariato tra Ministero e gestori dei servizi .

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Interventi e dibattito conclusivo dei tavoli tecnici

Alessandro LeonPresidente Cles s.r.l.Le domande potrebbero anche essere numerose, quindi mi sembra il caso di ricominciare. Approfitto a questo punto per fare semplicemente e brevemente non tanto solo la sintesi di questa mattinata, che è stata di grande interesse almeno dal mio punto di vista perché anche se le ricerche partivano con un dettaglio e argomento che poteva sembrare anche specialisti-co, in realtà abbiamo trattato uno spettro amplissimo dei problemi della gestione, almeno per quello che riguarda la gestione per la parte sia statale che per la parte non statale. E quindi per adesso, visto che comunque più tardi sono costretto a fare una sintesi vera e non vorrei ripetermi anche in questo caso, volevo riproporre alla vostra attenzione quindi, un minuto ci metto, a darvi qualche spunto, riprendere gli spunti che le persone che mi hanno preceduto hanno effettivamente svolto e mi sembra che gli argomenti che sono stati toccati e a noi in-teressa sapere, a me in particolare interessa sapere sul piano pratico poi questi argomenti come atterrano effettivamente nell’esperienza quotidiana e delle sovraintendenze o negli enti locali. Allora, in linea di massima si è discusso sulla tematica della programmazione economi-ca, quella che chiameremmo Programmazione Economica se avessimo avuto a che fare con la gestione territoriale, vale dire che ci sono 2 livelli di programmazione strategica: la prima riguarda, e ce l’ha spiegato prima Maddalena Ragni, la questione di cosa fare del patrimonio nel suo complesso e a questo livello, su questa tematica che non è tanto decidere ora, a quel livello che tipo di gestioni e come devo orientarla, ma proprio esaminando le caratteristiche del patrimonio, esaminando gli attori che sono sul territorio, la tipologia di soggetti che posso-no essere anche privati, i probabili finanziatori, compreso il mecenatismo; insomma bisogna avere a che fare con una conoscenza del territorio che ci permetta di costruire una politica di valorizzazione, quindi su questo tema naturalmente il come si fa il livello, di che deve parteciparvi è un aspetto interessante. Poi c’è un secondo livello di progettazione strategica che invece riguarda la costruzione delle gestioni a livello locale, parlo di costruzione perché è un argomento che hanno trattato più o meno tutti, cioè sembra ad oggi, visto quali sono le condizioni economiche complessive che sono pessime naturalmente e che le risorse pubbli-che sono calanti e che forse saranno ancora più calanti nel futuro, ebbene di fronte a questa situazione è chiaro che bisogna trovare regimi gestionali che costino meno, che siano però anche più efficienti e che magari raggiungano anche quegli obiettivi, di cui oggi si è parlato moltissimo, di qualità perché molto spesso le gestioni, la fruizione del patrimonio museale,

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Alessandro Hinna l’ha messo molto bene in evidenza, non è all’altezza per mille ragioni che non affrontiamo in questo caso. Tuttavia appunto come è possibile raggiungere livelli d’inte-grazione quindi del patrimonio culturale sul territorio che non è regionale ma è sub regionale, il territorio è molto grande infatti si fa grandissima difficoltà a raggiungere livelli di aggregazio-ne, la collaborazione se n’è discusso in tanti modi, ma è veramente il tema, secondo me, nei prossimi mesi nei prossimi anni: come fare in modo che questa collaborazione ci sia per arri-vare a costruire ipotesi gestionali a rete; ne esistono, ce ne sono diverse sul territorio, quindi questo è un altro argomento sicuramente importante. Un argomento che non abbiamo molto affrontato, ma che nelle domande o nel dibattito potrebbe emergere, non abbiamo discusso del funzionamento museale; allora è un tema tradizionale nell’ambito dell’economia della cultura che nella gestione moderna vi siano figure professionali e attività e servizi culturali che attualmente, nella gestione statale ma spessissimo anche in quelle comunali, non sono presenti. La valorizzazione naturalmente significa anche migliorare i servizi di marketing, piut-tosto che di comunicazione, servizi che nel mondo della cultura sono piuttosto rari, e per men-talità ma anche perché è effettivamente difficile farla e non c’è un’esperienza molto diffusa se non nelle grandissime istituzioni culturali italiane a promuoverla. E poi ci sono molti altri elementi che invece attengono la governance interistituzionale, giustamente prima si discu-teva di alcuni elementi che potrebbero aiutare la costruzione di questi strumenti, tuttavia se non si ha un’idea esatta di quello che si vuole fare, se non c’è una progettazione a livello ge-nerale del tipo di gestione che si vuole fare, non c’è una progettazione di qualità dei soggetti gestori sul territorio e quindi non si hanno le metodologie per poterlo fare, ebbene tutto que-sto disegno viene meno e anche, diciamo, le norme, i regolamenti che abbiamo a disposizio-ne che, come oggi ha detto Angela Serra, sono tantissime, abbiamo tutti gli strumenti ormai per poter fare quasi tutto, tuttavia è necessario anche in quel caso intervenire e siamo curiosi e attenti a conoscere esperienze che potessero mettere in evidenza laddove ci sono difficoltà che non siano esclusivamente quelle politiche, perché quelle ci saranno sempre, ma sono quelle che incrociano le criticità di costruzioni di questi sistemi. A me anche interessa sapere effettivamente, perché questo è un territorio soprattutto statale, quanto effettivamente c’è in-teresse a costruire gestioni a rete perché per chi si è occupato di economia della cultura degli ultimi 30 anni costruire gestioni a rete includendo il patrimonio statale è stato difficilissimo, è stato più facile a volte farsi concedere il bene; sono stati casi rari ma io ne sono testimone è stato possibile, ma includere reti dove al loro interno possono essere presenti musei statali, musei non statali e anche musei privati pone domande di varia natura: esiste un gestore uni-co, che tipo di forma di gestione deve essere, deve essere privata, deve essere pubblica, se c’è anche un soggetto privato è chiaro che non potrà essere un soggetto pubblico, insomma come dire le domande che ci possiamo porre a fronte di uno scenario che vede una maggiore integrazione, se ci crediamo e se ci credete, impongono ovviamente percorsi complessi e sa-rei ovviamente molto interessato a sapere quale è l’opinione vostra da questo punto di vista. Quindi aldilà di questo e di molte altre domande che poi qui chi mi ha preceduto ha fatto che potrete riprendere, cominceremo a fare, abbiamo già un elenco da questo punto di vista e al-lora inviterei prima di tutto Marco Magnifico del FAI che è un’istituzione importantissima, che ci ha dato o ci ha insegnato, credo, negli ultimi 20 anni che è possibile fare gestione anche in ambito privato pur avendo un interesse che non solo è simile ma analogo quanto quello che può avere lo Stato o gli enti locali. Prego

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Marco MagnificoVice Presidente Esecutivo - Fondo Ambiente Italiano

Il FAI nasce per rendere un servizio alla collettività, come lo Stato, quindi ringrazio Rosaria Mencarelli per farmi sentire parte dello Stato, e quindi parte di voi. Ci sentiamo dei collabo-ratori, non ci sentiamo dei privati. Allo stesso tempo per me è imbarazzante, non tanto dare dei consigli ma commentare quanto ho ascoltato nel corso della mattinata. E’ imbarazzante perché, per una struttura come il FAI, è molto più facile fornire una soluzione ad alcune delle problematiche affrontate in questo Colloquio; oggi me ne sono ancora di più reso conto sen-tendo le titaniche difficoltà di fronte alle quali il Ministero dei Beni Culturali si trova. Dopo 30 anni di esperienza ritengo di poter affermare che, nel processo di conservazione e valorizzazione di un bene, il progetto di gestione è altrettanto (se non quasi) più importante del progetto di restauro. Sul fronte del restauro la cultura italiana non ha uguali, e le esperien-ze di alcune Soprintendenze ne sono testimonianza, anche se a volte si registrano esiti assai discutibili, come ho personalmente constatato alla Reggia di Monza. Tuttavia si può vera-mente affermare che il restauro del patrimonio culturale è una delle espressioni di cui l’Italia può andare fiera. Non altrettanto si può sostenere per la gestione del patrimonio culturale. Anche nella nostra esperienza come Fondo Ambiente Italiano il progetto di gestione è stato, soprattutto all’inizio, spesso sottovalutato e non sempre sono stati chiariti gli aspetti gestiona-li prima di avviare un progetto di restauro. Abbiamo anche compreso che i tempi del progetto di gestione sono, a volte, più lunghi del restauro del bene e, soprattutto, come ha affermato qui oggi Maddalena Ragni, che è fondamentale che il progetto di gestione sia fatto con il ter-ritorio e con chi gestirà il bene. Si tratta di un presupposto fondamentale, perché le necessità organizzative e funzionali di chi gestisce sono strettamente relazionate agli adeguamenti che vengono apportati con il restauro. Quindi è indispensabile l’apporto alla progettazione da par-te di chi gestirà i cosiddetti “servizi aggiuntivi”, anche se necessariamente le scelte devono

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essere compatibili con la tutela. Per quanto riguarda il coinvolgimento del territorio, nei primi tempi anche il Fondo Ambiente Italiano ha fatto spesso l’errore snob, di arrivare in un posto e dire “Bene, si fa così”, senza andare dal sindaco, senza andare dalle varie associazioni locali. Si tratta di un errore colossale perché se non si coinvolge sin dal primo momento il territorio, anche la più piccola amministrazione comunale, ci sono altissime possibilità di insuccesso del nostro progetto, che non nasce “partecipato” e condiviso dalle varie componenti della so-cietà locale. Sicuramente non si tratta di percorsi facili, perché le istanze del territorio, almeno all’inizio, non sempre coincidono con l’idea progettuale e soprattutto, nelle prime fasi non si è ancora instaurato un rapporto fiduciario basato sul fatto che le proposte vengono fatte nel-l’interesse delle comunità locali e del territorio. Quindi il progetto di restauro deve tener conto sin dall’inizio delle necessità del gestore dei cosiddetti “servizi aggiuntivi”. Il FAI ha al suo attivo un solo esperimento di gestione affidata a terzi, che è Villa Gregoriana a Tivoli; funziona bene ma non come quando gestiamo in prima persona, perché non c’è niente come affidare i servizi al proprio personale; nessun giardiniere esterno ti curerà il giardino come lo cura il tuo, nessun bigliettaio saluta il pubblico come lo sa-luta il tuo. Mi preme, infatti, sottolineare l’importanza strategica delle risorse umane: è anche il personale in loco che fa la differenza nel successo o nell’insuccesso di una gestione. Se il personale è motivato, è innamorato della sua proprietà, se sente di avere un ruolo importante per il conseguimento degli obiettivi anche economici che ci siamo dati, si può ritenere che quella gestione conseguirà i risultati sperati; al contrario un personale non motivato o non disponibile può anche essere un fattore di insuccesso. Altro argomento di riflessione è l’offerta dei servizi: non sempre e dovunque è possibile offrire una gamma vasta di servizi, dal bookshoop al coffe shop, perché solo certi musei sono in grado di rendere economicamente vantaggiosi questi servizi, mentre nella maggioranza dei casi, per non rischiare di avere servizi di basso livello con ripercussioni sull’immagine del mo-numento, è preferibile limitare l’offerta a pochi servizi essenziali quali biglietterie, audio guide e magari essere certi di avere una buona sorveglianza.Per quanto riguarda il biglietto, riteniamo che vada sempre pagato, assolutamente. A fronte dei dati emersi dallo studio che è stato presentato, l’esperienza del FAI assume tratti mag-giormente incoraggianti: con l’introito dei biglietti d’ingresso viene coperto il 30-40% dei costi, a seconda delle proprietà. Sottolineo che nel sistema tariffario praticato non sono previste gratuità, se non per gli iscritti al Fondo Ambiente Italiano. Inoltre, in particolari contesti territo-riali, come ad esempio Luvigliano dove è Villa dei Vescovi, gli abitanti entrano gratuitamente, anche tutti i giorni, perché questo crea affezione verso il “proprio” monumento, perché il mo-numento non è dello Stato o per lo meno è dello Stato perché è di tutti, quindi prima di tutto dei cittadini che gli vivono intorno. Questa politica vale anche a Tivoli, dove i tiburtini entrano gratis a Villa Gregoriana e questo crea affezione e crea un circuito virtuoso che contribuisce a propagare la conoscenza del bene. Ritengo, quindi, che tutto il sistema delle gratuità vada ripensato, partendo dal principio che il pagamento del biglietto è molto importante, e soprat-tutto è molto importante il messaggio che viene affidato al biglietto. Il biglietto non è una tassa, il biglietto deve essere comunicato come modalità di partecipazione del visitatore al mantenimento di un monumento che è anche suo, quindi il visitatore, pagando il suo biglietto, partecipa al mantenimento di questo enorme patrimonio, anche con un solo euro, ma per questione di civismo, per questione di partecipazione, per questione di educazione. Aggiungo un ultimo pensiero: nella mia trentennale esperienza di lavoro al FAI in generale ho incontrato degli Ispettori, dei Soprintendenti di straordinario valore, ma ho anche incontrato

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alcuni Soprintendenti e alcuni Ispettori che non solo non sono all’altezza, ma che ho vissuto come dei veri ostacoli. È inevitabile che, come ha detto Maddalena Ragni, l’atteggiamento debba cambiare; ovviamente siamo tutti nati soprattutto per favorire la tutela, ma se a un certo punto non prevale il buon senso e non si ha anche il coraggio di prendere delle decisio-ni, senza rinviare e paralizzare si creano sacche di stagnazione non più accettabili. Come ha detto Maddalena Ragni, è necessario adeguare l’atteggiamento che deve essere molto più laico, molto più flessibile e molto più coraggioso, se posso dirlo.

Rosaria MencarelliRingrazio Marco Magnifico per questo suo intervento che ha molto il carattere, sentito, della testimonianza. Le proposte che ne emergono sono chiare e interessanti, soprattutto quando l’accento è caduto sulla gestione e sulla qualità del progetto gestionale. Altro elemento di grande rilevanza è quello relativo alla gestione delle risorse umane, tema sul quale sarebbe importante e necessaria una riflessione all’interno dell’Amministrazione, almeno per tutti quegli aspetti che coinvolgono la valorizzazione e la gestione dei luoghi della cultura.Interviene ora Fabio Severino, al quale abbiamo chiesto , da esperto di marketing, di sviluppa-re alcune riflessioni sui temi trattati da questo tavolo secondo il suo punto di vista.

Fabio SeverinoLa mia riflessione, anche in qualità di “fuori programma”, desidera essere solo un’integrazio-ne a quanto è stato detto dai relatori precedenti e previsti in scaletta, oltre che alla stessa struttura del convegno. Infatti vorrei spendere qualche considerazione sul tema della gestio-ne, in particolare sulla disciplina del marketing. Si è parlato già di diversi argomenti aziendali, tra cui vi è stata la presentazione di alcuni dati sulle politiche di prezzo. Questi sono stati offerti come il frutto di un’analisi econometrica, quindi considerati secondo una prospettiva di minori/maggiori ricavi. Io credo sia opportuno ampliare l’orizzonte.In letteratura le politiche di prezzo sono uno degli strumenti del marketing operativo. Questo potrebbe spingere ad averne una visione non solo quantitativa, sul rapporto appunto costi/ricavi e sugli eventuali miglioramenti ottenibili tramite ragionamenti di tipo matematico su fa-sce di prezzo, capacità reddituale, mark up aziendale etc.. Per quanto oggi la prima esigenza delle istituzioni culturali sia quella finanziaria, ovvero di aumentare i ricavi e poter sostenere i costi, sempre più però si trascura il valore della domanda, dell’interesse delle persone a fruire di cultura attraverso il pagamento o meno di un biglietto. In poche parole mi sembra si pensi troppo all’offerta. Invece il mio invito ad ampliare l’orizzonte è nel senso che occuparsi di po-litiche di prezzo anche da una prospettiva di marketing (ma non solo naturalmente), significa dargli un valore anche qualitativo, sforzarsi di capire perché esistono delle soglie di accesso, cosa le determinano (ciò che in marketing si identifica coll’attenzione a come l’utente perce-pisca l’equivalenza: sacrificio=beneficio). Pertanto va bene avere cura della “quantità”, ovvero voler aumentare i ricavi, ridurre i costi per avere istituzioni culturali (il più delle volte pubbliche) efficienti. Ma è importante anche occuparsi di qualità, di avere sensibilità per la domanda, per le persone che cercano e con-sumano cultura, perché e come questo avviene o perché no. Ovvero tenere in considerazione anche l’efficacia dell’offerta.Il marketing è una disciplina ampia, che purtroppo viene relegata alle sole tecniche di ven-

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dita, oppure alla comunicazione. In realtà è entrambe le cose e molto altro ancora. La defini-zione ufficiale (e anche forse la più bella) è quelle di “creazione di valore”. Se la cultura è per eccellenza essa stessa “valore” (sociale, storico, artistico; per una comunità, per il territorio), credo che il marketing possa essere per la cultura uno strumento di crescita e valorizzazione. Il marketing è un insieme di tecniche utili come detto alla creazione di valore per le persone, ma svolge un ruolo determinante anche per la sua diffusione. Di nuovo l’ambito delle politiche di prezzo sono un’ottima occasione per sfruttare il marketing, attraverso il quale si può agire non solo sul prezzo in termini assoluti (abbassare o aumentare il biglietto d’ingresso), quanto sul valore percepito dalle persone. A tal proposito condivido la scelta del FAI di non far pagare l’ingresso ai residenti del comune nel quale si trova il bene ge-stito. È un contributo non marginale alla creazione di identità collettiva, di inclusione sociale, di memoria storica. La scelta della gratuità deve essere il frutto di una considerazione socio-logica, di opportunità di marketing (quindi anche di diffusione della conoscenza del bene), non solo gestionali (conviene o meno rinunciare ad un quantitativo di biglietti a pagamento?). La sostenibilità di tale azione deve rispondere in primis a opportunità sociali (oltre che di pro-mozione) e secondariamente alla copertura dei costi attuali. Io credo che debba venire prima l’efficacia e poi l’efficienza. Mi permetto anche di aggiungere un’altra considerazione sulla visione generale del problema della valorizzazione. Purtroppo noto che si tende a parlare solo di beni monumentali, di arte antica, di oggetti storici. Nessuno sembra interessarsi alla produzione culturale contempo-ranea, quella che racconta ciò che siamo oggi, partendo da chi siamo stati. La più recente letteratura si sta soffermando molto sulla soft power, ovvero sul ruolo giocato nella geopoliti-ca internazionale dai contenuti culturali. Sempre meno contano forza e numeri, sempre più vincono le idee. L’Italia non smette di vantarsi di possedere un patrimonio storico rilevante, tra i più rilevanti. Vero o meno che sia dal punto di vista quantitativo, purtroppo non lo è dal punto di vista qualitativo, nel senso che nel mondo la cultura italiana è associata al passato (ormai anche remoto) e non al futuro, al moderno, all’innovazione, al contemporaneo. L’arte, la cultura, la creatività cosa sono se non innovazione, visione del futuro e sua rappresenta-zione? Lo stesso patrimonio storico, la sua tutela e conservazione, dovrebbe essere visto come un punto di partenza, non di arrivo. Io credo che sia importante dargli vita, raccontarlo come memoria storica italiana ma anche come nostra visione del futuro. Forse un buon inizio potrebbe essere quello di lasciare i sostantivi “beni, attività, patrimonio” e parlare solo di cultura, a partire dalla stessa denominazione ministeriale: Ministero della Cultura. La legisla-zione e i trattati dell’Unione europea, sulla scia dell’Unesco, sintesi di esperienza collettiva ed espressione e volontà di progresso, ci offrono una visione più ampia di cultura da cui ci potremmo lasciarci inspirare.

Rosaria MencarelliDiamo ora spazio agli iscritti a parlare.

Antonello De BerardinisCercherò di essere abbastanza sintetico. Innanzitutto, io credo di essere il primo che parla come dipendente del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dopo la dottoressa Ragni di questa mattina. Tra gli spunti della mattinata vorrei sviluppare proprio quelli suggeriti dalla dottoressa Ragni. Mi permetto, poi, di fare alcune piccole osservazioni rispetto ai due in-

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terventi che mi hanno preceduto. Innanzitutto tutela e restauro: il restauro non può essere associato solo alla valorizzazione. Rientra, invece, a pieno titolo proprio nell’attività di tutela: per valorizzarlo si ha bisogno che il bene esista, e, se non si interviene con il restauro, per-ché caso mai, dopo, non si sa come gestire il bene, finché si pensa all’uso da farne, il bene stesso deperisce e, poi, alla fine, quando si è ideato che uso farne, si corre il rischio che il bene non “esista” più. Quindi, rientra tra i compiti istituzionali del Ministero provvedere alla tutela e bisogna provvedervi a prescindere, appunto in quanto Ministero per i Beni e le Atti-vità Culturali. Per quanto riguarda, poi, il ruolo del personale, che è strategico, io condivido l’opinione espressa da chi mi ha preceduto. Il problema del Ministero non è tanto il contratto, il sindacato, come si è argomentato, ma la normativa e le disposizioni di qualunque tipo comunque vigenti. Le leggi dello Stato impongono che se determinate attività vengono affi-date al personale interno, il personale interno deve svolgere detti incarichi a titolo gratuito, praticamente con lo stipendio che percepisce. Se invece si procede a stipulare un contratto, o anche un cottimo fiduciario, per le ditte private – che possono avere senz’altro anche meno esperienza, meno motivazione del personale interno- sono previsti dei compensi. Di fronte a questo assurdo (di fatto mancanza di meritocrazia di sorta), risultano costi più alti, senza contare la costrizione per il personale interno tenuto a seguire le attività che vengono svolte. Per poter procedere al collaudo (ovvero il rilascio del certificato di regolare esecuzione) de-terminati errori vanno corretti strada facendo, e ne vien fuori un’insoddisfazione di fondo, paradossalmente da ambo le parti. Mi permetto, a questo punto qualche osservazione sul-l’attività degli Archivi, necessariamente sintetica, anche per la tempistica del pomeriggio. La crisi che attraversa l’Italia presenta delle criticità notevoli, ma, paradossalmente, ha aiutato a superare determinati steccati. L’Amministrazione Archivistica, che immagino piuttosto “miste-riosa” per la gran parte dell’uditorio, è bicefala, cioè una parte si occupa di documentazione statale, gli Archivi di Stato, e un’altra parte si occupa di tutto il resto della documentazione, che fa capo alle Soprintendenze Archivistiche. Queste due parti erano tra di loro abbastanza isolate. Grazie alla crisi economica degli ultimi anni, il venir meno di risorse ha reso necessa-rio, imperativo, fare sistema, creare relazioni, creare collaborazioni, superando steccati che la penuria stessa di personale non consente più. Si è trattato di una situazione di fatto che gli Archivi sono stati costretti ad affrontare da subito: essendo l’elemento meno visibile del Ministero dei Beni Culturali, i tagli si sono abbattuti come una mannaia essenzialmente sul settore Archivi. Una Galleria con 150.000 visitatori presenta senz’altro un appeal turistico, gli Archivi, invece, questi flussi turistici non li veicolano, non li evocano. L’Istituto dove lavoro io, l’Archivio di Stato di Pesaro, annovera circa 3500 presenze l’anno nelle tre sedi. Se per un Archivio di Stato si tratta di un risultato discreto, indubbiamente, paragonato agli standard di cui si è parlato questa mattina, il dato colloca l’Istituto Archivistico pesarese molto al di sotto anche dei piccoli musei. Per citare icasticamente dei numeri, le cifre del Ministero dei Beni Culturali, l’Istituto Archivistico con maggiori visitatori è l’Archivio di Stato di Firenze, che si ferma a quota 18.377 presenze. Per quanto riguarda l’esperienza delle Marche mi permetto di esporre un progetto in corso di realizzazione, mirante appunto a superare gli steccati. In che senso superare gli steccati? Cercando di realizzare delle economie di scala, abbattendo dei costi che sono comuni e che quindi vengono ripetuti in base alle varie strutture esistenti. Per la divisione cui si è fatto cenno poco fa, nelle città capoluogo di regione, si sarebbero dovuti realizzare un Archivio storico della documentazione statale, un Archivio storico della documentazione prodotta dalla Regione, un Archivio storico della documentazione prodotta dalla Provincia, un Archivio storico della documentazione prodotta dal Comune, nonché un

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Archivio storico (eventualmente denominato “Sezione separata d’Archivio”) delle varie isti-tuzioni che comunque su quel territorio hanno operato (e continuano ad operare). Penso, per esempio, alle amministrazioni sanitarie, piuttosto che ad attività più o meno private, tipo Camera di Commercio, piuttosto che banche o imprese varie. A Urbino si è provato a realizzare un primo esperimento, chiamandolo Polo Archivistico Territoriale. L’idea del polo è appunto quella di mettere insieme i costi base, condividendoli, e far confluire in un unico contenitore tutta la documentazione dei soggetti che decidono di aderire. Il problema di condividere il progetto, sia a livello di linee guida, sia a livello di progetto di massima, che di fase esecutiva è stato facilmente superabile, grazie alla penuria di mezzi determinata dalla crisi in corso. Il progetto, attualmente, è in fase avanzata di realizzazione: il piccolo neo, quello che io rilevo come neo, è dal punto di vista della governance, cioè nel momento in cui si vuol pensare a questo soggetto nuovo, Polo Archivistico, dove confluiscono più sog-getti produttori o detentori di documentazione, bisognerebbe anche pensare ad un board in grado di gestirlo, sia esso Consiglio d’Amministrazione, o abbia qualunque altra denomi-nazione. Ognuno dei soggetti aderenti dovrebbe designare un proprio rappresentante, e fin qui problemi non dovrebbero esservene. I problemi vengono fuori quando si chiede ai vari soggetti di dare un contributo di natura economica e lì, dopo, ognuno cerca di lavarsene le mani. Finora l’esperienza che ho vissuto in prima persona come Responsabile Unico del Procedimento del Polo Archivistico di Urbino porta a concludere che l’aspetto finanziario è stato interamente assunto dallo Stato. Ovviamente lo Stato persegue un proprio obiettivo, quello della tutela, perché recuperando questa documentazione la si mette in sicurezza. Rimane il problema della sostenibilità sul lungo periodo. I vari soggetti aderenti hanno avanzato delle obiezioni: cito, per tutte, a titolo di esempio, quella dell’ASUR Marche zona territoriale Urbino. Il Direttore Generale dell’ASUR mi ha risposto che la mission della sua istituzione è quella di curare i pazienti, curare i malati. Stornare dei finanziamenti per oc-cuparsi di carte, di documentazione, secondo il Direttore Generale dell’ASUR Marche zona territoriale di Urbino, era un po’ come tradire la propria mission: ovviamente di fronte a queste obiezioni, avevo pochi argomenti da opporre. Come si è riusciti ad ovviare? Vista la difficoltà rappresentata dalla contribuzione in danaro, si è pensato ad un tipo di contribu-zione in natura, sotto forma di locazioni in comodato gratuito, sotto forma di esenzione dal pagamento della Tarsu, sotto forma di pagamento delle utenze elettriche, piuttosto che del riscaldamento. Solo sulla bolletta del telefono non ce l’ho fatta, mentre sono persino riusci-to ad ottenere il pagamento della scaffalatura occorrente. Obiettivo conseguito con questo progetto: la tutela in generale del bene culturale ed un’economia di scala. L’ultima osservazione la volevo fare sul pricing. Il pricing è per gli Archivi difficilmente propo-nibile: non si può chiedere di pagare un biglietto come si trattasse di un museo, perché uno studioso può venire in Archivio anche per anni di seguito. Il pricing lo si potrebbe applicare ai servizi che gli Archivi erogano sul territorio, per esempio la custodia di beni archivistici. Data in outsourcing dai vari soggetti produttori, la custodia di beni archivistici rappresenta un costo. Queste ditte di outsourcing svolgono un lavoro, e si aspettano un determinato rientro economico. L’Amministrazione Archivistica Statale potrebbe farsi pagare lo stesso per le attività che è costretta a dispiegare nell’esercizio della tutela, rientrando così, sia pur parzialmente, nelle spese.

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Rosaria MencarelliRingrazio il collega per questa testimonianza di buone pratiche, dove si tenta di fare econo-mie di scala e fare sistema per ottimizzare la gestione e superare le difficoltà derivanti dalle ristrettezze economiche.

Renzo RemottiDirettore dell’Archivio di Stato di Asti

Io mi limito solo a porre due domande in tema di valorizzazione. Per ciò che riguarda gli Archivi chiedo, se nei prossimi lavori verrà analizzato il ruolo degli Istituti archivistici, soprattutto di quelle sedi che, di fatto, sono beni monumentali. La valorizzazione in seno a questi Istituti può coinvolgere non solo i fondi archivistici in sé, ma il monumento stesso, con nuove potenzialità di offerta turistica. Presso l’Archivio di Asti, per esempio, viene realizzato un concerto serale alla settimana (http://www.archiviodistatoasti.beniculturali.it ), che coinvolge molti soggetti culturali non solo a livello provinciale (comune, provincia, associazioni musicali, università etc.), che hanno permesso di rendere l’Archivio un bene di tutti. In altre parole i costi di mantenimento della sede sono stati trasformati in investimenti in termini di valorizzazione / fruizione. La seconda domanda è questa: nella prossima politica di valorizzazione inserirete anche il principio dell’equità organizzativa? Tale principio è stato analizzato molto approfondita-mente nella letteratura specialistica internazionale (e plurimis Yi Hua Hsieh (2011), Empirical study on personality traits, job satisfaction and reward system preferences, African Journal of Business Management, vol 5(12), pp. 4983 – 4992). Il problema dell’equità organizzati-va è molto più ampio del semplice rispetto della legalità, che, ovviamente, rimane l’obbligo prioritario nel settore pubblico (artt 97 – 98 Cost). Equità significa prima di tutto sviluppare un ambiente lavorativo improntato sul benessere e sulla percezione positiva dell’attività del-l’amministrazione, in cui si agisce. Se ci sono delle situazioni, per esempio, di graduatorie concorsuali che vengono esaurite in breve tempo e altre che, ingiustificatamente, rimangono ferme per anni, ciò crea naturalmente all’interno dell’organizzazione delle criticità, che poi incidono sull’offerta culturale e sul buon andamento.

Rosaria MencarelliLa prima domanda ci riporta al tema più volte evocato nel corso della mattinata. quello della organizzazione a rete dei luoghi della cultura sul territorio. In questo sal un Archivio come quello di Arti, che riveste caratteristiche di pregio monumentale oltre che di rilevanza di contenuti ha intrinseche potenzialità non solo come luogo di conservazione di documentazione, anche im-portante, ma anche come monumento storico di grande valore. E’ un esempio perfetto che si colloca in quelle logiche di valorizzazione del territorio e della organizzazione a rete di cui può dotarsi e della quale non mancano esempi. Questa mattina Maddalena Ragni ha accennato anche al ruolo che gli istituti del Ministero hanno sul territorio: tra questi le Direzioni regionali hanno titolo per coordinare e progettare strumenti di valorizzazione e gestione quale, ad esem-pio, è una rete territoriale, ove si dovrà tener conto anche di queste realtà culturali in un’ottica di valorizzazione complessiva dei luoghi e del territorio. Per quanto riguarda l’organizzazione del personale, il tema è sicuramente più vasto e andrebbe affrontato alla presenza e con l’ausilio della Direzione generale competente. Grazie, chiamiamo la d.ssa Sabina Ferrari.

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Sabina FerrariSoprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Ven-ezia, Belluno, Padova e Treviso

Il Decreto legislativo 42/2004 nella PARTE SECONDA, al TITOLO II – Fruizione e valorizzazio-ne, individua tra gli Istituti e i luoghi di cultura i “complessi monumentali”, che all’art. 101, c.2, lett. f) sono descritti come “un insieme formato da una pluralità di fabbricati anche di epoche diverse, che col tempo hanno acquisito, come insieme, un’autonoma rilevanza artisti-ca, storica o etnoantropologica”. A questa categoria di beni appartiene il “complesso monumentale” di Villa Pisani a Stra (Ve), gestito dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Vene-zia, Belluno, Padova e Treviso, che comprende l’omonimo Museo Nazionale e che ospita da tempo varie iniziative ed eventi culturali; per questo motivo e per la sua felice ubicazione nel contesto paesaggistico della riviera del Brenta, il prestigioso complesso è meta di un pubblico sempre più numeroso. Da alcuni anni si è superata la soglia di centoquarantamila visitatori. Per realizzare ogni utile forma di valorizzazione e promozione dell’immagine del compendio, in attuazione dei principi normativi istituiti dal Codice, la Soprintendenza, mediante procedura di evidenza pubblica, a partire dal 2007 ha affidato in concessione la gestione di alcune attivi-tà ad una società specializzata nella gestione dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico; ciò, ha consentito di definire un programma pluriennale per l’organizzazione di numerosi eventi culturali, teso promuovere la conoscenza della Villa nel contesto culturale veneto e nazionale. Il complesso monumentale che risale alla prima metà del Settecento si stende su una su-perficie di 11 ettari, con un perimetro esterno di circa 1500 metri ed è composto oltre che dal corpo principale della villa, da numerosi fabbricati e padiglioni, da orangerie, peschiera, scuderie e da quattro serre, perfettamente integrati nel vasto parco che comprende il famoso labirinto di siepi di bosso, opera del sec. XVIII dell’architetto padovano Girolamo Frigimelica; uno dei pochi esempi europei che ha conservato il disegno originale.Per mantenere un compendio così articolato, in uno stato conservativo decoroso, necessi-tano risorse economiche sufficienti a garantire i lavori periodici di manutenzione delle ar-chitetture e delle specie arboree presenti nel parco. A tal fine, i finanziamenti assegnati alla Soprintendenza con la Programmazione Ordinaria annuale per le spese di funzionamento e manutenzione sono del tutto irrisori e non consentono di soddisfare pienamente le necessità manutentive, divenute oramai inderogabili. In riferimento a tale realtà non sono adeguate nemmeno le risorse riassegnate dal MEF derivanti dai proventi per la vendita dei biglietti d’ingresso ai luoghi di cultura, dai canoni di concessione e dai corrispettivi per la riproduzione di beni culturali.A mero titolo di esempio, nel quinquennio 2007-2011, Villa Pisani con l’omonimo Museo Nazio-nale ha realizzato un introito complessivo di € 1.717. 000, 00. = derivante dalla vendita di bi-glietti d’ingresso, canoni di concessione, vendite al book-shop; introiti che in ottemperanza delle disposizioni dell’art.110 del Dlgs 42/2004 sono stati versati nelle casse dello Stato e dopo un lungo iter amministrativo, solo in modesta percentuale e con criteri incomprensibili sono stati riassegnati alla Soprintendenza che ha in consegna e in gestione il compendio demaniale.Sempre a titolo di esempio, nel medesimo quinquennio 2007-2011 sono stati riassegnati alla Soprintendenza complessivamente € 178. 000 ,00.= .

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Risulta evidente la sproporzione tra le somme introitate e quelle riassegnate (sebbene il quin-quennio di riferimento sia stato assunto a mero titolo esemplificativo, giacchè le riassegna-zioni avvengono a distanza di tempo e di norma non fanno riferimento all’anno in cui risulta l’introito). Chiedo se sia possibile proporre una modifica al Codice, all’art. 110 – Incasso e riparto dei proventi- per far si che gli introiti in questione, possano essere riassegnati annualmente nella loro totalità o almeno nella misura non inferiore all’ 80% ai rispettivi istituti di provenienza; ciò, tenuto conto delle necessità e delle dimensioni dei singoli compendi, che, nel caso di Villa Pisani sono notevoli; in tale modo sarebbe possibile contare ogni anno su un importo idoneo a garantire almeno la costanza degli interventi di ordinaria manutenzione, come del resto è previsto al c. 3 del citato art. 110 che recita “I proventi ... sono destinati alla realizzazione de-gli interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi ...”. Certamente i criteri che orientano il MEF a riassegnare somme irrisorie come sopra indicato, non ottemperano pienamente a tale disposizione normativa. In alternativa si potrebbe, anziché versare gli introiti interamente nelle casse dello Stato, commutare parte dei proventi -per esempio il corrispettivo delle somme dovute per i canoni di concessione (per importi fino ad € 10-20.000)- in lavori di manutenzione di pari importo, da far eseguire nel compendio al soggetto che ha richiesta la concessione, sotto la vigilanza della Soprintendenza o dell’istituto che ha in consegna il bene.In tal modo si potrebbe attivare una forma di concessione dove il “privato partecipa in modo attivo al restauro del bene” come ha suggerito anche il dott. Magnifico nell’intervento che mi ha preceduto.Mi sembra un’ipotesi che potrebbe condurre a risultati concreti.

Rosaria MencarelliSu questo tema invito a rispondere Maddalena Ragni.

Maddalena Ragni Totale e generalizzata la soluzione è una sola: quella che si è tentata già negli anni scorsi. Intervenire sulla legge finanziaria del 2007 che ha attivato questo perverso meccanismo che riguarda non soltanto gli introiti delle concessioni, ma tutti gli introiti, il che significa, lo sotto-lineo perché richiama la legge 340, anche le erogazioni liberali che confluiscono nelle casse del Ministero, tutto va ad un fondo gestito dal Ministero dell’Economia. La soluzione sarebbe semplicissima, semplicemente rimettere mano alla tabella finanziaria del 2007 ed eliminare alcune leggi che sono quelle che possono determinare il rientro e la restituzione degli introiti agli istituti. Io penso che da questo colloquio la richiesta di un intervento normativo debba assolutamente derivare.

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Emanuela MelloniDirettore amministrativo economico finanziario coordinatore, Soprintendenza per i Beni Architettonici e paesaggistici per le province di Bologna, Modena e Reggio Emila.

Ad un osservatore non attento potrebbe sembrare che il mondo politico abbia scoperto l’im-portanza del patrimonio culturale italiano e della sua enorme potenzialità economica solo ora. In realtà chi si è interessato di “servizi aggiuntivi” sa bene che il fenomeno ha origini più remote, semplicemente veniva chiamato con altri nomi ed altre erano le angolature di osservazione.Quando agli inizi degli anni novanta l’allora ministro Ronchey ha normato la materia ricom-prendola sotto il nome di servizi aggiuntivi (legge 14 gennaio 1993, n. 4) questa sembrava essere stata legiferata pensando che i beni culturali da valorizzare avessero tutti il medesimo richiamo alla stregua di Palazzo Pitti, gli Uffizi, il Colosseo.In questa sede ho sentito, per la prima volta, affrontare il tema dei “piccoli numeri”, della necessità di individuare strumenti giuridici che consentano di valorizzare anche quei siti di minor richiamo internazionale ma altrettanto “meravigliosi” ed importanti da un punto di vista storico, artistico, demo antropologico, architettonico ed archeologico da tutelarli e conservali come “beni culturali”.In questo contesto ritengo utile riportare l’esperienza maturata come funzionario amministra-tivo responsabile dei servizi aggiuntivi della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna.La competenza della Soprintendenza Archeologica comprende l’intero territorio regionale, ad essa afferiscono quattro musei nazionali (Marzabotto, Ferrara, Sarsina, Parma) e cinque siti archeologici (Veleia, Russi, Ravenna, Marzabotto, Cattolica) aperti al pubblico, alcuni con tas-sa d’ingresso altri ad ingresso gratuito. La passione per l’arte dei diversi dipendenti che negli anni si sono succeduti alla Soprintendenza ha consentito di offrire al pubblico-utente i servizi minimi di accoglienza, quali visite guidate, prenotazioni, guardaroba, vendita guide, laboratori didattici, che hanno aumentato considerevolmente il numero dei visitatori nei singoli siti.Tutto ciò consente - a noi oggi- di affermare senza incertezze l’importanza di una corretta at-tività di valorizzazione sia da un punto di vista di conoscenza sia in particolare da un punto di vista di ritorno economico. Altrettanto chiaro appare che, allo stato attuale, il MiBAC non ha al suo interno né risorse umane sufficienti né idonee professionalità per far fronte direttamente alla richiesta di offerta culturale, le sole giornate del patrimonio e la settimana della cultura ne sono esempio.Lo scenario normativo vigente all’epoca dei fatti era quello della legge Ronchey (legge 14 gen-naio 1993, n. 4) che prevedeva che i servizi aggiuntivi elencati all’art. 117 del T. U. 490/1999 potessero essere realizzati (nelle forme indicate all’art. 115) o direttamente dall’amministra-zione (Soprintendenza) o dati in concessione ad un soggetto privato da individuarsi, indipen-dentemente dal valore economico del servizio, mediante procedura di gara ad evidenza pub-blica secondo l’allora vigente disciplina dell’appalto di servizi (d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157) che prevedeva una gara con pubblicazione di bando ed apertura a soggetti oltre che italiani appartenenti all’unione europea, per un periodo di 4 anni rinnovabili per ulteriori quattro.Il territorio di competenza della Soprintendenza Archeologico coincide con quello regionale, tale circostanza consente un ulteriore raffronto dell’esperienza fatta secondo le previgen-ti normative con la disciplina successiva. Ove veniva originariamente previsto l’affidamento

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mediante una gara europea unica per tutti i siti afferenti ad una Soprintendenza oggi viene disposta una gara unica per tutti i siti della regione, a cambiare è il soggetto affidatario, prima le Soprintendenze per il territorio di propria competenza, ora le Direzioni Regionale per tutti gli istituti ad esse afferenti sul territorio regionale di competenza.La ratio della norma consisteva nel bandire una sola gare per tutti i siti di competenza in-dipendentemente dalla loro posizione, dimensione, importanza in termini economici, così i concorrenti, attirati dai siti “potenzialmente redditizi” si sarebbero accollati anche i secondi creando un circuito che aumentasse il numero di passaggi su tutti i luoghi della cultura pre-senti sul territorio regionale.Alla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, ciò non ha prodotto i risultati attesi. Anzi in ben due circostanze la gara è andata deserta ponendo l’amministrazione nella insod-disfacente posizione di mercanteggiare con i pochi operatori presenti sul mercato locale (gli unici che potessero “non rimetterci”). Gli operatori economici del settore non nascosero che i siti emiliani-romagnoli, alle condizioni vigenti di concessione, non sono economicamente appetibili: troppo basso il numero di visi-tatori e troppo alta la percentuale fissa sulla vendita dei biglietti di spettanza del Ministero, ma oltre a ciò viene segnalata l’impossibilità di servire con i medesimi operatori i diversi siti messi a gara, alcuni a distanza di oltre 150 Km l’uno dall’altro così da rendere fuori mercato il costo del personale da impiegare.Nell’ambito del quadro delineato, in considerazione delle problematiche emerse si decise di provare una via completamente diversa per quanto riguardava i servizi minimi da garantire presso il Museo Nazionale Etrusco di Marzabotto “P. Aria” e annessa area archeologica. Ancora una volta la Soprintendenza ricorre al più duttile e nebuloso strumento della Conven-zione, fattispecie giuridicamente inesistente a cui sin dai loro albori hanno fatto spesso fatto ricorso gli Istituti periferici del MiBAC ogni qual volta un procedimento non era procedimen-talizzato dagli istituti centrali. In merito non bisogna dimenticare che il MiBAC nasce da una costola del Ministero dell’Istruzione noto come “Ministero dei custodi”, dove i “servizi al pub-blico” fino agli anni novanta sono lasciati alla libera iniziativa di custodi e funzionari tecnici che in nome dell’amore per l’arte hanno celebrato il patrimonio culturale nazionale (non è un caso che la legge Ronchey sorga dall’esigenza di regolarizzare la vendita di cartoline e guide organizzata dilettantescamente dai custodi di Palazzo Pitti).Nel caso di specie viene stipulato un accordo con il Dipartimento di Archeologia dell’Univer-sità degli Studi di Bologna, già titolare di una concessione di scavi nell’area archeologica di Marzabotto, in base al quale a fronte del versamento a favore dello Stato della percentuale minima di royalty e di un modesto canone annuo, i laureandi e gli specializzandi afferenti al Dipartimento di Archeologia provvedevano in proprio a ricevere le prenotazioni ed effettuare le visite guidate presso il sito, trattenendo il restante introito.Il risultato è stato positivo. Gli studenti sono risultati molto più motivati dei precedenti opera-tori che vedevano la loro attività unicamente in termini economici e quindi insoddisfatti dagli esigui guadagni, per i primi invece si è trattato della prima esperienza nel mondo del lavoro dopo gli studi e di un ottima modalità di accrescimento professionale.L’esperienza è stata rinnovata ad ogni successiva scadenza con soddisfazione di entrambe le parti.Tuttavia l’esperienza di Marzabotto, non è stata perseguibile nelle altre realtà emiliano-ro-magnole, ma ha sicuramente aperto la strada a ricercare diverse forme collaborative per valorizzare i diversi luoghi della cultura così detti “con passaggi minori”.

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Se da un lato questo ha mostrato l’esistenza di soluzioni alternative dall’altro ha evidenziato, ai funzionari periferici impegnati in prima linea sul territorio, la carenza di un supporto norma-tivo adeguato, il non sapere quali strumenti siano o meno utilizzabili, che cosa è corretto.Difatti, le difficoltà di intesa con gli enti locali ed il terzo settore, non riguardano il fine comune del come valorizzazione ma l’impossibilità per il Ministero di regolamentare giuridicamente le molteplici forme di collaborazione ideate. Un esempio di ciò si è verificato recentemente in un altro sito emiliano testimonianza della realtà dei piccoli numeri: Rupe e Castello di Canossa, località Canossa, Reggio Emilia.Si tratta del classico luogo di scarsi numeri, impervio, gelido d’inverno ed assolato d’estate, con un solo custode in servizio, privo di tassa d’ingresso.La nomina di un Papa di origine tedesca ha risvegliato un nuovo interesse per questa sper-duta Rupe, pullman di turisti hanno “assalito” i resti del Castello tanto da interessare anche gli enti locali a richiedere maggiori servizi. E’ stato stanziato un finanziamento Arcus con cui il MiBAC ha provveduto a porre in essere lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche e ad affidare ad un operatore specializzato l’individuazione e la realizzazione di diversificati servizi di valorizzazione.I risultati sono stati notevoli, sia in termini di idee che di numeri di visitatori. Sono stati creati percorsi didattici stabili, strumenti multimediali hanno consentito una migliore conoscenza dei luoghi e numerosi eventi sono stati ideati e seguiti con interesse dal pubblico.Canossa è l’esempio di come una “giusta” valorizzazione crea l’evento, l’interesse e, soprat-tutto i visitatori e, … fa girare l’economia.Tutto ciò però mal si concilia con l’attuale momento economico e con il tema del convegno: nel caso di Canossa la valorizzazione ha si portato visitatori ma si è trattata di una valorizza-zione “invertita” che anziché creare entrate per lo Stato ha portato uscite e, soprattutto, che oggi nel momento in cui i fondi Arcus sono terminati il MiBAC con gli strumenti vigenti, non solo, non ha possibilità di mantenere i servizi offerti, ma si vede costretta a ridurre sensibil-mente i tempi di apertura del sito.I motivi in breve: il luogo, come già detto, è di difficoltoso da raggiungere, non vi sono mezzi pubblici, durante l’inverno spesso la neve ed il ghiaccio impediscono la salita alla rupe; i costi per l’ordinaria manutenzione sono elevati e spesso risulta difficoltoso esperire anche solo la gara per il servizio di pulizie per mancanza di operatori interessati; il personale di custodia è andato negli anni riducendosi fino a rimanere una sola unità e non si trova personale MiBAC disposto ad accettare Canossa come sede di servizio; gli enti territoriali che si sono mostrati interessati ad una fattiva collaborazione hanno dovuto rinunciare a causa delle rigide norme che regolano le attività di valorizzazione, royalty molto alte, obbligo di emissione di biglietto statale da parte solo di personale statale; impossibilità di sostituzione del custode per le do-vute ferie e le eventuali malattie.L’esperienza maturata non può che portarmi a condividere l’orientamento prevalente che vede un impegno crescente del Ministero nella valorizzazione dei culturali “minori, dei piccoli numeri”, che sono comunque molti e di grande potenzialità, individuando quale soluzione di gestione ricorrere a forme di collaborazione con le amministrazioni locali e l’associazionismo del terzo settore. Tuttavia, come funzionario, non riesco a smettere di interrogarmi se, per realtà come quelle descritte, anziché ricorrere ad un operatore economico esterno o se non a questo ad un’altra amministrazione pubblica, non sia più opportuno, efficace, efficiente, economico, potenziare le risorse umane del MiBAC che comunque si sono sempre dimostrate le più esperte e competenti in materia di beni culturali del patrimonio nazionale.

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Rosaria MencarelliCondividiamo tutte le argomentazioni portate da Emanuela Melloni: sicuramente le risorse umane interne all’Amministrazione vanno valorizzate, per quanto possibile. Tuttavia biso-gnerà presto fare anche i conti con il progressivo assottigliamento degli organici e quindi valutare soluzioni alternative funzionali e praticabili. Anche questa mattina si è parlato del volontariato e del ruolo che potrebbe rivestire nella gestione di tante realtà culturali che per ubicazione e dimensione corrispondono alle casistiche ora illustrate. Quanto alle politiche occupazionali è evidente che queste vanno considerate all’interno di un quadro nazionale. In un momento di profonda crisi del mercato del lavoro, ritengo che il dato rilevante sia quello di creare posti di lavoro, che non necessariamente deve significare personale direttamente assunto dalla Amministrazione.

Rossella FabianiDirettore del Museo Storico del Castello di Miramare, Trieste

Grazie. Sono Rossella Fabiani, direttore del Museo Storico del Castello di Miramare, Trieste.Vorrei richiamare l’attenzione sul tema delle gratuità negli ingressi nei musei statali. Fermo restando l’attuale direttiva della gratuità sotto i 18 anni di età, ritengo sia necessario modifi-care la gratuità sopra i 65 anni di età poiché molti visitatori sia italiani sia UE appartengono a quella fascia di età. Un costo ridotto, anche a un euro, credo dia comunque la possibilità di avvicinare tutto il pubblico al bene, ma con un contributo, per non sminuire l’importanza e il valore del patrimonio culturale. Questa opinione è condivisa da molto pubblico ed è stata testata nelle risposte in un recente questionario distribuito tra il pubblico.

Rosaria MencarelliIl tema del pricing è molto sentito dai colleghi e anche Rossella Fabiani ce ne da testimonian-za. Come abbiamo visto dalla illustrazione che ce ne ha fatto Alessandro Hinna, il lavoro è ancora in fieri; tra i vari step di lavoro è prevista anche una fase di ascolto e coinvolgimento delle Direzioni generali competenti per materia e degli Istituti periferici.

Sandrina BanderaSoprintendente per i beni artistici sotrici ed etnoantropologici per le province di Milano, Bergamo, Cmo Leccom Lodi, Monza, Pavia, Sondrio, e Varese

La risorsa di museiNon vi è niente di più falso del mito accreditato nell’opinione pubblica del concetto di museo come qualcosa di statico. Il museo non è il luogo del sapere acquisito, ma il luogo della peren-ne e continua acquisizione del sapere, come i restauri, le conferenze, i servizi educativi. Se ne deduce quindi che la caratteristica tipica dei musei è di essere in grado di adattarsi al mutare della cultura e al mutare dell’idea del bello. Pur mantenendo inalterate le proprie collezioni, il museo infatti si esprime attraverso un variare continuo di comunicazioni, corrispondenti agli allestimenti, agli accostamenti tra le varie opere esposte, ai servizi per il pubblico, alla crea-

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zione di nuove reti anche in relazione ai modi sempre differenti con cui l’idea di bello viene appresentata e percepita nel corso della storia.Per quanto possa sembrare assurdo, fermo restando che un museo si classificato in base alle proprie collezioni, alla loro qualità e alla loro rarità, esso è percepito dal pubblico come “servizio”. In tale accezione è ovvio che il valore centrale di un museo deve essere “il pubblico”. Ciò implica anche un’attenzione a veri aspetti pratici, dall’ampliamento degli orari alle aperture gratuite, alle serate speciali. Nella moderna accezione del museo oggi più che mai l’architettura ha un ruolo fondamentale: sia l’architet-tura, intesa come struttura, sia come contesto ambientale (luce e spazio), sia come allesti-mento. Il pubblico visita un museo anche per la sua architettura. Questa centralità costituisce forse la materia più affascianate della moderna museografia, fin dal suo nascere, cioè dai tempi in cui tra il 1802 e il 1814 Vivant Denon, Directeur Général des Musées, progettò la Galerie Napoléon e risistemò la Grande Galerie e le ali della Cour Carrée del nuovo museo del Louvre (Francis Haskell, La nascita delle mostre. I dipinti degli antichi maestri e l’origine delle esposizioni d’arte, Yale University 2000, ed. it. Milano 2008, p. 60-62). Ma al di là di tutto il Museo è fondamentalmente un luogo di civilizzazione, questa è la sua vera missione. I musei, come abbiamo visto sono luoghi profondamente diversi almeno per dimensione, per storia, per specializzazione delle raccolte in essi contenute, per proprietà, per localizzazione, per tipo di pubblico.Questo è vero anche quando si vuole parlare di valorizzazione dei musei, altro concetto che necessita qualche precisazione. Valorizzazione è infatti l’azione e il risultato del valorizzare, cioè del conferire maggior valore o il mettere a frutto il valore di qualcosa. Anche questa è evidentemente una definizione di carattere generale che non può tenere conto delle diverse specie di valorizzazioni che si possono avere o ricercare, il che impedisce anche qui affrettate generalizzazioni. Nel caso dei musei, seppure con la già rilevata premessa sulla loro disomo-geneità, è opportuno parlare almeno di tre tipi di valorizzazione possibili. Il primo ha carattere storico, scientifico e artistico inteso di per sé. Un museo si valorizza quando, attraverso le analisi condotte sugli oggetti in esso contenuti, i risultati degli studi e la comunicazione di questi alla comunità scientifica e all’opinione pubblica aggiungono valore alla conoscenza che si aveva in precedenza. Valorizzazione è allora un contributo al progresso nella fascia alta della conoscenza storica, scientifica e artistica. Il secondo tipo di valorizzazione riguarda invece il contributo che i musei possono dare alla fascia media e bassa della conoscenza storica, scientifica e artistica attirando persone che, nelle visite, acquisiscono nozioni, informazioni, sensazioni, curiosità e, in questo modo arric-chiscono la loro cultura. Il terzo tipo di valorizzazione è prettamente economico, peraltro strettamente collegato agli altri due tipi finora esaminati. Attraverso la maggiore notorietà acquisita nel mondo della conoscenza storica, scientifica e artistica e la conseguente maggiore capacità – ovviamente a parità di altre condizioni – di attrarre visitatori, un museo può essere valorizzato in termini economici e può essere strumento di valorizzazione economica sua propria e del territorio in cui è inserito.Qui si può aprire una parentesi sulle interrelazioni economiche esistenti fra il turismo e i beni ambientali, artistici e culturali, fra i quali sono evidentemente compresi anche i musei. Questi problemi sono particolarmente delicati nel presente momento storico, poiché si rileva che l’andamento delle presenze di visitatori nei principali musei e siti archeologici statali ita-liani sta mostrando segnali di rallentamento che sembrano destinati a perdurare. Il fenomeno è preoccupante perché questi importanti veicoli di arricchimento culturale costituiscono un

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elemento imprescindibile dello sviluppo economico e sociale del paese. Occorre quindi fare di tutto per cercare di invertire la tendenza al quale proposito è necessario capirne se si tratti di un decremento di natura congiunturale o strutturale. Se però il calo dei visitatori fosse legato a motivi strutturali, come ritengo , il dato andrebbe ricondotto ad uno scollamento fra offerta e domanda nel settore museale. In particolare, l’offerta potrebbe essere diventata almeno in parte obsoleta, terrebbe sempre meno conto delle esigenze di un pubblico il cui gusto si evolve rapidamente come si evolve la società che lo esprime, continuerebbe a privilegiare l’aspetto conservativo rispetto a quello della valorizzazione di ciò che è custodito nei musei e nei siti archeologici, non proporrebbe in-centivi alla visita, per la quale si continuano a pagare diritti di entrata consistenti e così via.Non è del resto casuale che, in controtendenza rispetto alle mete che registrano disaffezione del pubblico, ce ne siano altre che vedono un incremento dei flussi di visitatori. Si tratta di spazi nuovi, costruiti ed allestiti ad hoc, ben equilibrati rispetto ai rapporti fra tesori esposti e servizi specificamente organizzati per meglio apprezzarli, molto orientati al fruitore.Un altro mito che deve essere ridimensionato è quello riguardante il maggior contributo che i musei potrebbero ricavare dai privati specie se esso fosse trattato in modo più favorevole. Anche qui si fanno solitamente comparazioni a livello internazionale nelle quali la situazione italiana è quasi sempre perdente. In particolare, il punto di riferimento è rappresentato ov-viamente dai musei americani che vedono maggiormente protagonisti i privati e che possono beneficiare di generosissime donazioni da parte di persone fisiche e di importanti contributi da parte delle imprese. Tutto ciò è possibile perché il regime fiscale delle donazioni e delle sponsorizzazioni è particolarmente favorevole.Se si vogliono ottenere risultati consistenti pure sul piano della valorizzazione economica è indubbio che l’organico dei musei dovrà comprendere accanto al direttore anche esperti nel campo manageriale, economico del recupero finanziamenti, della comunicazione e della creazione di reti ( A.M. Visser, F. Donato, Il museo oltre la crisi. Dialogo tra museologia e ma-nagement, Milano 2010). Così come è necessario che la gestione delle risorse umane tenga conto della necessità di una continua formazione degli addetti ai musei e specialmente di coloro che sono a contatto con il pubblico dei visitatori.Quasi tutti i musei eccellono nei contenuti, ma risultano tuttavia ancora poco orientati a sod-disfare il pubblico contemporaneo che richiede anche servizi e prodotti che consentano di mi-gliorare, rendere più piacevole e coinvolgente la visita, come la nursery o come il guardaroba, o le didascalie, l’apparato educativo e le dotazioni informatiche. In questo momento di crisi economica , e di responsabilità per il futuro, in questo anno che ha celebrato con entusiasmo il 150° anniversario dell’unità d’Italia, i musei devono essere considerati non solo luoghi della memoria, ma della rinascita in una prospettiva di sobrietà e di scelte oculate per un nuovo lievito basato sulla cultura, sulla conoscenza, sulla creatività, su un intelligente turismo che unisca luoghi d’arte e territorio La vera redditività di un museo, per usare le parole di Salvatore Settis (Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, Milano, 2005, in particolare pp.49-105), in realtà non è dagli introiti dei biglietti, e probabilmente solo in parte dall’indotto che esso genera, bensì in un senso di appartenenza che incide a fondo sulla qualità della vita, e quindi anche sulla produttività della società nel suo insieme.

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Rosaria MencarelliRingraziamo Sandrina Bandera perché ha posto l’accento ancora una volta sul problema, or-mai grave, della gestione finanziaria degli introiti, che oggi penalizza la possibilità di incame-rare e di gestire a seconda delle necessità del luogo gli introiti aggiuntivi che possono derivare al museo. Su questo anche Maddalena Ragni è stata molto esplicita. La Direzione Generale per la valorizzazione, per parte sua, si impegna a farsi interprete di questa necessità affinché anche a livello politico venga colta al più presto questa urgenza, che appare generalizzata. Anche questo, comunque, è uno dei punti che entreranno nello studio del sistema di pricing.

Carla Camilla CattaneoDirettore Amministrativo della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici delle province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza e Brianza Pavia Sondrio Varese

Per affrontare il difficile rapporto che un ente culturale possiede con il territorio nel quale si sviluppa (definitivamente “distretto culturale” e “distretto turistico”) pongo due distinte ar-gomentazioni, rifacendomi anche al caso della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici di Milano/ Pinacoteca di Brera.1. Il palazzo di Brera è oggi considerato un grande ed importante polo culturale della città

di Milano, grazie alla presenza al suo interno di rilevanti enti culturali e scientifici (Soprin-tendenza precedentemente citata, l’Accademia di Brera, la Biblioteca braidense, l’Istituto lombardo di Scienze e Lettere, l’Osservatorio astronomico, Orto botanico).

Quando un turista decide di visitare il palazzo di Brera è quindi portato a considerare di interesse non solo il singolo ente (come nel nostro caso la Pinacoteca di Brera), ma l’intero complesso braidense. Inoltre, legato a questo, spesso, incuriosisce anche il rapporto che il palazzo ha con il quartiere di Brera (storia, edifici, bar storici, ed anche ristoranti, negozi...) e con il territorio lombardo dal quale provengono le opere oggi esposte.

Credo quindi che sia indispensabile cominciare a considerare la possibilità che la cono-scenza dei poli culturali possa e debba implicare la necessità di far coincidere il concetto di distretto culturale con quello turistico. Preciso che: mentre il distretto culturale nasce dall’alto e va verso il basso, quello turistico nasce dal basso per andare verso l’alto. E’ quin-di indispensabile che i due distretti si incontrino a metà strada così da offrire ai visitatori il miglior servizio e la migliore conoscenza possibile.

Chiedo quindi se, parte dei problemi legati al turismo che dobbiamo affrontare oggi, non possano essere risolti su tutto il territorio nazionale sotto l’aspetto dei rapporti territoriali.

2. Uno dei principali problemi che attanaglia i luoghi della cultura italiana ed anche la Pinaco-teca di Brera è, soprattutto in questi ultimi decenni, il disinteresse che alcuni gruppi sociali e alcune intere generazioni mostrano nei loro confronti.

Il Ministero, per conoscere i motivi che ne stanno alla base, ha autorizzato numerose inda-gini di mercato. Faccio notare, però, che spesso queste sono state svolte solo all’interno dei luoghi di cultura (musei, gallerie, biblioteche) e quindi rivolgendosi soltanto a chi ha già risposto alle offerte degli Enti.

Reputo di vitale importanza per gli enti culturali, svolgere le stesse indagini anche in luoghi differente, come presso scuole, università, ma anche discoteche, centri commerciali, bar, così da ottenere un’immagine più realistica dell’intera società (nessuno escluso).

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Rosaria MencarelliCultura e turismo sono un binomio ormai consolidato. Quindi non direi che possa farsi una differenziazione concetto di distretto turistico e distretto culturale. Un territorio si qualifica per le “vocazioni” che meglio lo rappresentano e che costituiscono gli aspetti della sua identità. Quanto alle indagini sui pubblici, soprattutto quello giovanile, o quello che oggi chiamiamo il “non pubblico”, se ne sta occupando in questo momento il Tavolo dedicato al tema dell’Espe-rienza, coordinato da Erminia Sciacchitano.

Emilio IzzoCoordinatore delle Attività di Promozione, Comunicazione e Valorizzazione - Direzione Beni Culturali e Paesaggistici del Molise

Ma quale Valorizzazione!Capisco i vostri tempi ma capisco anche i miei. Avendo pazientato da stamattina non farò domande perché non voglio risposte; di risposte, insipide e spesso senza senso o addirittura ai limiti della provocazione, ne ho avute in oltre trent’anni di amministrazione, perciò farò solo alcune considerazioni. Visto che questo è un primo colloquio che arriva dopo quarant’anni, immaginavo che la prima azione da compiere sarebbe dovuta essere quella di far parlare i convenuti, gli invitati e, solo in un secondo momento, di far prendere la parola alle vedette dalla passerella. Evidentemente si è voluto seguire il criterio solito, quindi sarà pure “com-movente” questo tentativo di organizzare qualcosa di nuovo ma la verità è che non serve a niente. Allora, visto che purtroppo un intervento preciso non si può fare, in considerazione dei tempi che mi si danno (praticamente uguali a zero) e di quello che rimane per finire i lavori, da bravo alunno ho preso appunti su quelli che sono stati i precedenti, prolissi e ripetitivi interventi (che io ascolto da 30 anni) da parte di persone che ruotano all’interno di questa amministrazione (e che trovano sempre un posto giusto e al sole) e che, oggi, utilizzano il salvagente di una crisi internazionale che sta tirando tutti giù, pur di giustificare il mancato investimento di risorse nella cultura da parte di questo governo, continuando a sostenerlo per garantire se stessi. Si dimentica volutamente, così, innanzitutto, che i vari dirigenti che vaga-no da una direzione all’altra sono sempre gli stessi (una posizione a prescindere e ad ogni costo), spesso impreparati, incapaci di affrontare situazioni delicate o congelate ad arte dai soggetti politici e quindi secondo me, assoggettati e assolutamente partecipi della gestione catastrofica del nostro Ministero. Ecco perché doveva accadere il contrario: dopo 30, 40 anni il colloquio, lo dice la parola stessa, evidentemente doveva essere fatto con chi nel territorio ci ha buttato sangue, salute e veleno; perché ogni giorno è veleno. Allora, visto come si hanno a cuore le problematiche del territorio in considerazione del tempo messomi a disposizione, cominciamo pure. Le norme su quello che è il concetto di valorizzazione le conosciamo tutti. È inimmaginabile pensare che siamo stati convocati qui per oggi perché non informati in una materia che ognuno di noi pratica ed applica al territorio da 30, 40 anni e dunque perché, per la prima volta, ci illuminaste sulla valorizzazione e i suoi strumenti. Detto questo, passiamo agli appunti, partendo dal Direttore Generale per la Valorizzazione. Certo è una direzione che con ogni probabilità aveva un senso all’atto dell’istituzione, un motivo di esistere, ma se que-sta direzione avesse con umiltà e rispetto dato continuità a quella che era stata l’operatività del Ministero con le persone interne e, in modo particolare, con quelle sul territorio… Non

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mi pare che in 30 anni e anche più, non ci sia stata attività di comunicazione, promozione e valorizzazione; c’è stata e ci sono stati anche importanti e significativi appuntamenti con suc-cessi oggettivi. Ne vorrei ricordare uno per tutti, poiché esso è stato (come aberrante prassi di avvicendamento vuole) sistematicamente bloccato e censurato dalla nuova dirigenza ed era l’unica idea innovativa che metteva in rapporto, per rifarmi ad un concetto sottolineato in que-sta sala, il Ministero e le istituzioni sul territorio. Questo concetto ritorna sempre più spesso; noi per anni siamo stati quelli che con la “puzza sotto al naso”, abbiamo sempre allontanato tutti i soggetti, le istituzioni e gli enti sul territorio in quanto ci ritenevamo gli unici titolati alla cultura! Giammai rapporti col territorio! I tecnici, archeologi in testa, hanno sempre schifato interferenze ignoranti! Oggi invece che servono aiuti, banalmente i soldi, e vai con il tormento-ne dei rapporti col territorio! E non è detto che non si accettano consigli e collaborazioni, cosa non si farebbe pur di essere sempre sul piedistallo! Ci vanno bene anche le pro-loco, da sem-pre considerate con disprezzo, organizzatrici di sagre della frittata o della porchetta. Basta che ci danno soldi e visibilità! Che squallore! Detto questo, comunque, per ritornare all’appun-tamento annullato, mi riferivo a “Cultura a Porte Aperte”, uno dei progetti innovativi di questo Ministero, partito con alcune regioni, doveva poi essere esteso a tutte le altre regioni d’Italia ed invece è stato miseramente bloccato. Peccato perché era un buon inizio, per la prima volta una serie di associazioni ambientaliste e culturali aveva la reale percezione di poter intera-gire, suggerire, indicare, vivere concretamente i problemi del settore. E lo stavano facendo con viva partecipazione e bene. E pensare che il direttore preposto a questa nuova unità, Resca, questa mattina, piuttosto che fare anche una sorta di mea culpa, ci ha sottolineato che la Cina ci ricorda che noi siamo un Paese a forte risorsa culturale… e meno male che ce lo ricorda la Cina, visto noi lo abbiamo proprio dimenticato! Ma se i cinesi lo sottolineano per evidenti interessi economici legati al settore, noi abbiamo poco da sorridere, noi che il Paese Italia, cantato dai viaggiatori e scrittori dell’800, lo abbiamo devastato. Ora, sempre in consi-derazione dell’esiguo (!) tempo, prenderei in esame, giusto scorrendoli, un punto per ognuno di quelli che hanno parlato. C’è stato chi, come il Segretario generale Cecchi, ci ha parlato di sistema tutela; qui lo diciamo ancora una volta, oggi noi siamo qui a parlare di valorizzazione di un sistema culturale che non ha tutela, quindi che cosa dobbiamo valorizzare? Un sistema non più esistente. Ma il Segretario ci ha anche detto che non sa a cosa può servire il posto che lui occupa, figuriamoci noi! Questo anche per ribadire il concetto di cui sopra, se servi o se non servi non ha importanza, a prescindere ci stai per una certa convenienza, per certi equi-libri! Poi abbiamo ascoltato Caligiuri o qualcosa del genere (nell’attesa dell’intervento sono invecchiato, per fortuna ci sono gli occhiali perché la vista non aumenta proporzionalmente all’età), con quella sua battuta su Colombo che viaggiava a spese dello stato, certamente non quello italiano che quanto a lungimiranza… Recchia dice che tutti i sistemi a democrazia occidentale sono in qualche modo in decadenza, io aggiungo, però, i sistemi globalizzati, ma chi l’ha voluta ‘sta globalizzazione? Qualcuno ne risponda, io, da no global, certamente no. Ma forse sarebbe stato meglio per la brillante direttrice rammentarci come un’organizzazione ministeriale la fai e poi la sfasci in un attimo, di come questo ministero istituisce una Direzio-ne per la Valorizzazione salvo poi rimangiarsi i propri compiti. Come quella volta, non lontana nel tempo, in cui un Direttore regionale, senza fare nomi, quello del Molise, disconoscendo tale settore, diceva che la valorizzazione non l’avrebbe fatta, poiché, sapeva lui cosa fare e la dott.ssa Recchia incalzata dal sottoscritto, candidamente rispondeva che i dirigenti sul territorio fanno quello che meglio credono! E allora di cosa parliamo, eliminiamo una Direzio-ne Generale in quanto generale solo di se stessa! Questo è realmente il paese di Pulcinella!

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Mi incalzate sui tempi dopo solo alcuni secondi, lo so, vi capisco, però sono cose che vanno appuntate a chi non ha previsto un’organizzazione adeguata ad un’oceanica partecipazione da parte di chi, sul territorio, evidentemente represso e inascoltato da anni, nutriva legittime aspettative. Praticamente ci date trenta secondi per dire, o meglio non dire, allora perché non mandarvi per email le considerazioni, e sarebbe stata la stessa cosa, anzi meglio, così veniva smascherato il tentativo di far passare un’informazione per una comunicazione! Questo è il momento, parlate con il territorio, confrontatevi, rinunciate a volgari passerelle! Guido dichiara che le risultanze delle Commissioni di Studio che di volta in volta si istitui-scono ci devono dire quali sono i sistemi, come funzionano, i criteri, le criticità ecc. e invece, sistematicamente, vanno a finire nei cassetti, non servono a niente. Non è vero, servono a far incamerare qualcosa a chi evidentemente è stato commissionato lo studio e a chi glielo ha commissionato! Nella rotazione dei nostri vari dirigenti c’è una cosa che non si ricorda mai, una cosa molto importante che voglio dire e poi chiudo: non mi pare che valutando le difficoltà che il sistema Paese ha, un dirigente che firma un contratto abbia mai detto “io con questi fondi, con queste risorse, con questi sistemi non ci posso stare quindi rimetto il mandato”. Lo avete mai visto? Non ricordo un soprintendente, specialmente di questi tempi che non abbia fatto ricorso a lamenti sulla mancanza di fondi e sull’impossibilità di gestire i settori di appar-tenenza. Ricordo invece benissimo, anche in questo caso, di come si sono sempre prese le dovute distanze dalle parti sociali sulla gestione del Bene e del personale e di come, invece adesso, ogni sindacato è buono per veicolare i propri disagi. No. Passiamo ad una delle cose riferiteci dalla Ragni che parlava di crescere non solo nel numero dei potenziali utenti ma nella fidelizzazione. Io vorrei ricordare a me stesso, poi magari sbaglierò, che la cultura nel nostro ordinamento, come prevede la nostra carta costituzionale è fondamento dello stato italiano e noi, in quanto Ministero dei Beni Culturali, siamo per una cultura garantita anche nei confronti di una sola persona. Non ci interessa il numero, o meglio ci interessa ma non è l’aspetto principale. Che da noi vengano mille persone o una sola non cambia se non sia-mo capaci di intercettare la preparazione, la cultura, l’intelligenza. Il problema è che quella persona deve essere attratta sì dal nostro bene, ma non perché dobbiamo condurcela “con la forza”, magari dandogli dei cioccolatini, perché la cultura non può essere addolcita! Feste di innamorati, della donna (che da sola meriterebbe una giornata di discussione a parte), degli anziani, dei bambini, dei disabili ed altro, sono tutte cose che possiamo pure inventarci ma senza dimenticare che al museo, quello dove tutti si possono ritrovare, riscoprirsi, capire (se gli archeologi lo permettono) ci vai a prescindere, per cultura, per percorso, per interesse istintivo, non perché ti propongono spettacoli sostitutivi. Al rappresentante del FAI che diceva a proposito degli ingressi gratuiti che vanno aboliti, personalmente voglio dire che non sono affatto d’accordo, anzi. Ribadisco la nostra necessità di essere cultura di stato; noi dobbiamo garantire l’ingresso ai musei statali, musei di tutti, gratuitamente. Piuttosto il problema è un altro, se non si è capaci di fare una reale battaglia all’evasione fiscale, al foraggiamento degli armamenti, all’industria bellica, ciò non può essere un problema di tutti coloro i quali intendo-no recarsi al museo, anche più volte, “fidelizzandosi” convintamente, non si può e non si deve pagare per colpa di chi ingrassa senza rispetto e a dispetto di quelli che desiderano vivere di cultura. In un’altra occasione, sempre il rappresentante FAI, in un momento di follia da recupero ad ogni costo, diceva che in condizioni particolari molto meglio sarebbe rinunciare ad un Bene in grave difficoltà, magari eliminandolo, pur di poter restaurare e recuperare una situazione più significativa. Spero vivamente di aver compreso male e di non dover ripetere quanto sopra! E chiudo. Questa chicca finale la voglio lasciare ai tanti operatori sul territorio,

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ai funzionari architetti, storici, archeologi, a soprintendenti, persone che al momento piango-no per la mancanza di fondi. Dove eravate negli anni passati quando di risorse ne sono state elargite a valanga? Siete o non siete gli stessi? Non siete per caso gli stessi che con ingenti capitali, con la scusa del recupero, del restauro, dello scavo, avete danneggiato i Beni e avete capovolto sistematicamente e vigliaccamente il concetto di tutela? E, eccezioni lodevoli a parte, non siete gli stessi che oggi, in mancanza di foraggio, con i pochi soldini che arrivano dal centro (a chi ha santi in paradiso) , piuttosto che mettere al sicuro quel poco possibile, organizzate incontri e passerelle per denunciare una situazione di degrado della quale, in moltissimi casi siete i responsabili? Siete o non siete i conniventi di comunelle politiche dove piuttosto che recuperare Beni in reale degrado vi siete occupati solo di “accontentare” il par-roco o il politico di turno pur di avere fondi da sperperare? Nella sola regione Molise, dove le situazioni di inaccessibilità, di chiusura, di cantieri mai finiti, di “sfascio della tutela” sono la quotidianità, l’ente regione ha elargito dal 2005 al 2009, dati forniti dall’assessore al ramo, oltre cinquanta milioni di euro (parliamo del Molise!)al settore dei Beni Culturali: in quali con-nivenze sono finiti tali risorse se, come è vero e riportato da più fonti, il patrimonio molisano è all’abbandono totale? Vorrei infatti a tale proposito ed a titolo di esempio ricordare che nel Molise si vota, unica regione italiana. Bene, occupandomi (dovrei dire ahimè, visto che non sono “agevolato” in questo) di valorizzazione ho fatto una proposta a tutto l’apparato politico, offrendomi come garante per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio a titolo gratuito. Tutte le forze politiche erano disposte a dire sì ma il problema era uno solo: il volerlo fare a titolo gratuito! Ti immagini le reazioni dei lautamente compensati messi nelle condizioni di giustificarsi! Infine, vorrei ricordare a me stesso che nella rilettura di quanto dichiarato a caldo il giorno del seminario, alcune parti sembrerebbero ampliate, amplificate. Non è così. Infatti, nella trascrizione degli atti sono semplicemente meglio esplicitati vuoti, pause, smorfie, puntini sospensivi, atteggiamenti mimici ed altro che, diversamente, a chi può solo leggerli, come tra le pagine di questo volume, sarebbero semplicemente sfuggiti o peggio ancora risultati incomprensibili.

Rosaria MencarelliRingraziamo Emilio Izzo per la sua testimonianza umana e professionale e passiamo la pa-rola a Paola Grifoni.

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Paola GrifoniSoprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bo-logna, Modena e Reggio Emilia

In merito all’intervento del Vice Presidente del F.A.I., Dott. Magnifico ed alle sue considera-zioni sull’operato della Soprintendenza voglio esprimere la mia solidarietà ai funzionari degli uffici periferici del MiBAC che si adoperano ogni giorno per assolvere al meglio i loro compiti istituzionali. Lo sostengo a ragione, forte della mia ultratrentennale esperienza nell’esercizio della tutela. E’ possibile che Marco Magnifico abbia incontrato funzionari che con atteggia-menti personalistici, vuoi indirizzati nel loro comportamento da associazioni che si interes-sano di tutela (Italia Nostra) con una visione ormai superata del restauro, vuoi con una forte connotazione accademica che spesso fa affrontare le problematiche della conservazione da un punto di vista squisitamente teorico e spesso limitativo; ma si tratta sicuramente di una minoranza.Una questione che viene spesso sollevata dall’utenza è quella di una discontinuità di valu-tazione dei progetti presentati, in questo caso è al Dirigente che spetta fornire indicazioni di metodo e di giudizio che consentano ai funzionari di esprimere pareri quanto più possibile uniformati.Non condivido la considerazione che il piano di gestione debba essere preventivo al progetto di restauro, ritengo che l’uno non possa prescindere dall’altro: sono due tematiche che vanno necessariamente sviluppate in parallelo.Sulla questione relativa ai rapporti istituzionali con gli enti e le Amministrazioni locali posso assicurare che il rapporto costante dei funzionari con gli Enti locali consente di affrontare di concerto le problematiche del territorio.Sempre di più ormai la valorizzazione del nostro patrimonio è intesa in termini economici.Valorizzazione è aggiungere valore, dare valore in termini culturali e anche gestionali; purtrop-po invece quello della valorizzazione è ormai un concetto strettamente legato alla rendita. Chi vive quotidianamente la realtà dell’immenso patrimonio culturale del Paese, è consapevole che Musei e monumenti rendono ben poco in termini economici, ben poco in confronto ai costi di gestione e manutenzione; è ormai chiaro che non è con la bigliettazione più onerosa e con l’allestimento di mostre e mostrine all’interno dei complessi museali (che i visitatori sono costretti a pagare con un costo aggiuntivo al biglietto) che si risolve il problema dei nostri beni culturali. Infatti a fronte di strutture come gli Uffizi, il Colosseo, o il Castello di Miramare (tanto per citarne alcuni) ci sono un’infinità di complessi architettonici e museali, sconosciuti ai più, lontani dai centri urbani e culturali. Porto un solo esempio: la Rupe e il Castello di Canossa in provincia di Reggio Emilia, i visitatori vengono dalla Germania quasi in pellegrinaggio e noi non abbiamo che un custode il quale ha diritto alle ferie, a periodi di riposo o di malattia....e anche i bandi per le pulizie vanno deserti perché si tratta di un complesso monumentale troppo isolato. Vogliamo credere che qualcuno potrebbe rispondere ad un bando per i servizi aggiuntivi? Che ne facciamo di Canossa (con gli esigui finanziamenti e i gravi problemi statici della rupe), la facciamo crollare? E’ quanto non tanto velatamente qualcuno ha proposto di fare per monumenti meno “famosi”.Non dimentichiamo che quel patrimonio “minore” diffuso del nostro Paese, di grande valore culturale, storico- artistico costituisce la peculiarità del nostro paesaggio insieme alle colture alla vegetazione, ai fiumi alle montagne. Come si può valorizzare un paesaggio di questo tipo

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– e comunque una realtà che non rende in maniera diretta ma in quanto indotto - quando a causa della riforma del Titolo V della nostra costituzione la valorizzazione del paesaggio è stata demandata alle Regioni, quando abbiamo Regioni che legiferano in tema di paesaggio totalmente in contrasto con il Codice dei Beni Culturali? Ultima neanche un mese fa la Regio-ne Emilia- Romagna in merito agli impianti di energia eolica.

Rosaria MencarelliGiustamente Paola Grifoni pone l’accento e allarga l’orizzonte della discussione al paesag-gio, sottolineando le difficoltà e gli ostacoli che si possono incontrare nel tutelarlo e valoriz-zarlo per rispettarne le qualità. Non può sfuggire l’importanza del tema, tuttavia i limiti di discussione che questo Tavolo si è dato consigliano di approfondire l’argomento in un altro contesto, magari appositamente dedicato.A questo punto, per limiti di tempo, si chiude il dibattito. Ringrazio tutti i colleghi per i sugge-rimenti, le riflessioni e soprattutto per la partecipazione convinta e costruttiva. Proseguendo nel proprio lavoro su queste tematiche la Direzione generale per la valorizzazione non potrà non fare riferimento alle vostre indicazioni, nel rispetto del proprio mandato e con l’obbiet-tivo di fornire strumenti di lavoro e linee di indirizzo condivise e utili a supportare il lavoro di tutti. Grazie.