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1 CLUB ALPINO ITALIANO Sez. Finale Ligure TATTICA E ARRAMPICATA DALL’INFORMAZIONE ALL’AZIONE Metodi di miglioramento delle capacità tecniche di movimento e arrampicata A cura di Lodovico Spiota Marzo 2015 Tutte le foto sono tratte dal sito google immagini

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CLUB ALPINO ITALIANO Sez. Finale Ligure

TATTICA E ARRAMPICATA

DALL’INFORMAZIONE ALL’AZIONE

Metodi di miglioramento delle capacità tecniche

di movimento e arrampicata

A cura di Lodovico Spiota

Marzo 2015 Tutte le foto sono tratte dal sito google immagini

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INDICE

Automatismi cognitivi intelligenti pag. 4 La coordinazione motoria pag. 5 L’elaborazione dell’informazione pag. 7 - L’informazione visiva pag. 7 - L’attenzione pag. 8 - La concentrazione pag. 8 - Il ragionamento pag. 9 - La decisione pag. 9

La tattica in arrampicata pag. 10 - La fase di pianificazione pag. 10 - La fase di realizzazione pag. 11 - Previsione pag. 12 - Anticipo pag. 13 - Respirazione pag. 13

Dinamiche psicologiche nello sport pag. 14 - L’effetto Carpenter pag. 14 - Stress e ansia nella prestazione sportiva pag. 15

L’Allenamento Ideomotorio pag. 19 Sintetizzando pag. 20 Riferimenti bibliografici pag. 21

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Automatismi Cognitivi Intelligenti Per fare fronte ai vincoli che si presentano in tutte le attività sportive, ogni atleta sviluppa dei vincoli

cognitivi, cioè elaborazioni delle informazioni acquisite durante il compimento del gesto atletico, definite come percezione (informazione visiva), attenzione, concentrazione, ragionamento e presa di decisione.

La presa di decisione in particolare, ovvero la modalità con la quale mettere in atto l’azione motoria scelta, ha significative ricadute sulla strategia, ovvero sull’intero piano d’azione a lungo termine usato per impostare e poi coordinare le azioni necessarie per raggiungere uno scopo predeterminato. Queste ricadute hanno conseguentemente importanti ripercussioni anche sulla tattica, cioè sulle scelte decise nell’immediatezza per convenire al risultato previsto. I vincoli ai quali conseguono gli “Automatismi Cognitivi Intelligenti” sono di tre tipi: d’incertezza, di spazio e di tempo. I vincoli d’incertezza sono rappresentati da situazioni sportive “ambigue”, in relazione con l’attività sportiva svolta, cioè situazioni nelle quali l’incertezza è determinata dall’ambiente “naturale” in cui si svolge l’azione. Esempio: chi si appresta a salire un itinerario deve gestire le proprie caratteristiche fisiche e meccaniche in relazione all’individuazione di un insieme di appigli, e appoggi a lui maggiormente confacenti e funzionali nella salita (non è detto che lo stesso appiglio o appoggio vada bene a tutti, ognuno ha le sue leve e fisiologia). I vincoli di spazio sono rappresentati dal fatto che le informazioni sono disposte in uno spazio verticale che è maggiore del campo visivo dell’atleta, il quale ne percepisce solo una parte e per tanto deve decidere di agire istante per istante in base a quello che è in grado di osservare e capire. In questo caso il neofita tenderà, per inesperienza, più a controllare e padroneggiare la variabile ‘movimento’ piuttosto che tentare di comprendere e applicare la specifica impostazione tecnica. I vincoli di tempo consistono nella difficoltà dell’arrampicatore di organizzare e concludere la giusta risposta motoria in un lasso di tempo ‘limitato’. Il tempo di risposta è proporzionale alla quantità d’informazioni elaborate e inversamente proporzionale alla portata del canale sensoriale utilizzato. In situazioni d’incertezza, risposte complesse in meno di un secondo sono pressoché impossibili e questo implica l’esigenza per lo scalatore di potenziare la velocità di esecuzione del gesto (cioè prevedere quali prese e appoggi utilizzare) e di anticipare la risposta stessa nel proprio schema motorio mentale (anticipo del movimento). In arrampicata il neofita ha tempi di elaborazione troppo lunghi e spesso limitati dalla difficoltà di integrare le varie tipologie d’informazione. In questi casi il tempo speso per ‘elaborare e decidere’ comporta un sovraccarico non solo mentale, ma anche fisico, poiché si può essere costretti a rimanere per troppo tempo in posizioni arrampicatorie che consumano molta energia. Queste situazioni non solo portano ad azioni motorie svantaggiose o errate, ma ne determinano anche l’insuccesso. Gestire questi vincoli, per chiunque può comportare un tale affaticamento mentale da non riuscire più a raggiungere l’obiettivo che si era preposto e per questo motivo deve apprendere conoscenze che gli permettano di rendere automatiche le risposte. Un automatismo è quindi un adattamento in grado di facilitare una risposta motoria attraverso un ridotto dispendio fisico e attentivo. Si tratta di una risposta volontaria messa in atto in un preciso istante recuperando nella memoria una specifica soluzione tra le tante possibili e ritenuta, a torto o a ragione, quella più idonea. Un automatismo è completamente differente da un riflesso, in quanto quest’ultimo è una risposta involontaria del Sistema Nervoso Centrale ad uno stimolo.

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La Coordinazione Motoria L’elaborazione delle informazioni acquisite e organizzate dal Sistema Nervoso Centrale, devono

essere successivamente tradotte nella coordinazione motoria, al fine dell’organizzazione e gestione di quel movimento ritenuto come la risposta ideomotoria più appropriata per la corretta progressione verticale.

I “processi mentali” che rendono possibili e favoriscono l’apprendimento del gesto motorio rappresentano l’insieme dei meccanismi che il cervello umano mette in atto per recuperare informazioni dall’ambiente, sia interno che esterno, per analizzarle e confrontarle con altre già memorizzate in precedenza, e conseguentemente per decidere la risposta motoria da utilizzare o non utilizzare, per programmare la risposta stessa e per controllarne l’esecuzione.

Il Sistema Elaborativo che gestisce, decodifica e coordina le informazioni che giungono al sistema

nervoso centrale, opera secondo tre modalità:

1. Automatica: ha la funzione di decodificare un segnale in ingresso (ad esempio visivo), è rapidissima e quindi consuma pochissime risorse nelle operazioni mentali attivate e NON raggiunge mai, nemmeno con la pratica, lo stato di coscienza (cioè la condizione di azione volontariamente ragionata). Le azioni automatiche sono quelle che derivano da un ‘riflesso istintivo’.

2. Automatizzata: la seconda modalità è anch’essa rapida e a basso costo, interviene quando un’operazione o una serie di operazioni all’inizio guidate mediante un controllo volontario e cosciente, per mezzo della ripetizione si affranca dal controllo assiduo e diviene un’azione che può essere svolta senza l’intervento cosciente dell’attenzione dell’esecutore (ad esempio la capacità di saper utilizzare in modo ottimale un appiglio sapendo contemporaneamente osservare la fase successiva della salita e procedere con fluidità).

3. Controllata: la terza modalità ha un costo alto (e quindi consuma una certa quantità di risorse nelle operazioni mentali attivate) ed è più lenta delle precedenti. Essa comporta un impegno attivo dell’attenzione, si deteriora piuttosto rapidamente e non consente l’esecuzione contemporanea di altre operazioni a controllo cosciente.

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Nell’acquisizione di abilità, sono stati individuati tre stadi successivi: lo stadio cognitivo, quello

associativo e infine quello autonomo. Nello stadio cognitivo un principiante cerca di capire ‘cosa’ deve fare, ad esempio impiegare la

propria capacità di ragionamento verbale e organizzare i movimenti che ritiene di dover fare. In questo stadio è fondamentale la dimostrazione del gesto e può essere utile presentare il movimento da acquisire sotto forme motorie che è in grado di conoscere o che già conosce, eseguendo ad esempio una serie di esercizi propedeutici a terra per passare successivamente alla progressione fondamentale su due appoggi.

Nello stadio associativo il principiante deve ‘rifinire’ i movimenti richiesti per l’esecuzione del compito, cioè passa dal ‘cosa’ al ‘come’ fare. In questa fase inizia a prevalere la propriocezione, progressivamente alcuni schemi motori da eseguirsi migliorano e diventano sempre più precisi. Le capacità attentive si focalizzano sulle ‘rifiniture’ da apportare ai movimenti di base.

Nello stadio autonomo i movimenti richiesti dalla risposta motoria sono automatizzati e il principiante può prestare attenzione per la ricerca della strategia dell’azione motoria. In arrampicata è il momento dell’osservazione della situazione arrampicatoria, cioè del posizionamento di prese e appoggi, distanza, ecc. e dello sviluppo della capacità di ‘anticipo del movimento’.

Gli ‘apprendimenti motori’, per comporsi, richiedono una caratteristica importante, la

“coordinazione”, che rappresenta un passaggio fondamentale per la comprensione del livello raggiunto dall’atleta.

Pertanto un “programma motorio” viene definito come l’insieme delle qualità, abilità e conoscenze motorie presenti in un soggetto, atte a permettere allo stesso di raggiungere in un determinato momento ed in una determinata situazione lo specifico movimento richiesto.

Non a caso, tra quanti praticano l’arrampicata, partendo dai concetti della coordinazione motoria,

è stata proposta una classificazione in tre gruppi (W. Güllich): principianti, progrediti ed esperti. Ognuno di questi tre gruppi rappresenta una fase di apprendimento, che ha il fine di permettere al climber di apprendere determinate capacità e superare un certo grado/livello di difficoltà, potendo così passare al grado/livello successivo. Una volta stabilizzate le abilità previste per quel livello, il climber può definirsi esperto di quello specifico livello, ma tuttavia egli si ritrova ad essere progredito per il livello appena superiore a quello già raggiunto e neofita per quei livelli che risultano ancora più superiori.

E’ dunque un principiante nell’arrampicata colui che avendo appena iniziato da arrampicare si trova nella condizione di dover apprendere i fondamenti della stessa e le basi tecnico motorie. Quindi, fa un utilizzo sbagliato ed esagerato della forza, ha un ritmo poco funzionale nei movimenti, è poco preciso, impiega molto tempo per osservare, capire, decidere cosa fare e ha bisogno di continue correzioni ed indicazioni da parte di esperti o quantomeno progrediti rispetto a lui.

E’ invece progredito nell’arrampicata su di un determinato livello di difficoltà colui si trova in una fase di apprendimento in cui le tecniche fondamentali vengono solamente affinate ed assimilate, è capace di salire da primo itinerari al proprio livello di percorrenza, ben protetti, pur presentando ancora degli errori di coordinazione ed esecuzione sui quali progressivamente riesce ad intervenire, a volte aiutato dai consigli di qualche esperto, ha ancora bisogno di imparare a memoria certi movimenti impegnativi, perché richiedono abilità complesse e non li ha ancora automatizzati. Risulta migliorato l’impiego della forza, la coordinazione, la fluidità e la precisione del movimento. Tuttavia, avere padronanza di un certo ‘itinerario’ di arrampicata non significa avere padronanza dello stesso livello di difficoltà in tutti gli altri itinerari che lo presentano. In parole più semplici: fare un 6c bene dimostrandosi esperto su quell’itinerario e sul grado, non significa che automaticamente si sia degli esperti su tutti gli altri itinerari di 6c. Per poterlo essere è necessario “programmare” la fase di apprendimento in cui ci si trova, “allenandosi” in modo organizzato, graduale e motivato.

E’ infine esperto nell’arrampicata su un determinato livello/grado di difficoltà colui che sale da primo anche itinerari sconosciuti su gradi che riesce a “gestire”, che è in grado di utilizzare le proprie abilità motorie

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interiorizzate (sequenze/programmi motori) con rapidità ed efficacia, sale con fluidità e ritmo adeguati anche in situazioni ambientali complesse, sapendo integrare al meglio e con il minor dispendio possibile capacità organiche, coordinative e psicologiche.

L’elaborazione dell’informazione L’informazione visiva

In un atleta, l’elaborazione dell’informazione ha inizio con la ricezione, la selezione e l’organizzazione delle informazioni presenti nell’ambiente. Nell’arrampicata, si comincia dapprima con l’osservazione dell’itinerario da salire e con la ricezione delle informazioni che mediante vari centri di segnalazione sensoriali pervengono al S.N.C. durante la salita. A questo proposito le informazioni visive, alle quali concorrono il movimento degli occhi e quindi del capo, sono le prime che entrano in azione, ma a queste si accompagnano poi anche le altre, frutto dell’attività di vari recettori sensoriali.

L’informazione visiva adotta un organizzazione di elaborazioni precise, attuate mediante una visione ‘centrale’ e informazioni “di sfuggita” derivate dalla visione ‘periferica’. La focalizzazione visiva centrale canalizza tutta l’attenzione su sé stessa, creando una sorta di penombra attentiva su tutto il resto.

Se un principiante vede davanti a sé una presa che giudica ‘buona’, tutto quello che sta intorno ‘scompare’ in una sorta di cono d’ombra, comprese altre soluzioni, fra le quali magari quella più efficace ai fini del movimento.

Per questo motivo diventa importante per il neofita di imparare a impostare una ‘visione larga’ in modo da apprendere e individuare l’organizzazione delle azioni da svolgere.

L’esperto al contrario sa produrre risposte corrette in tempi rapidi, in quanto ha automatizzato il trattamento dell’informazione visiva mediante ‘memorizzazione’. L’esperto è quindi in grado di anticipare la comparsa dell’informazione successiva, arrivando a indirizzare lo sguardo nel punto ove ritiene che la stessa si presenterà. La risposta dell’esperto è spesso così rapida in quanto egli ha memorizzato delle configurazioni prototipiche, ovvero dei modelli di azione motoria appresi mediante un costante e mirato allenamento.

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In arrampicata questo è possibile sia al pannello, ricreando sempre nuove situazioni mediante nuovi tracciati e la rotazione delle prese, sia arrampicando molto “a vista” e praticando il bouldering.

L’attenzione L’attenzione è un processo cognitivo facoltativo molto specifico, ed è la capacità dell’atleta di gestire/acquisire in modo efficace una determinata informazione per eseguire una precisa azione. L’attenzione è diversa dalla concentrazione: “si è concentrati per fare un’azione, mentre si fa attenzione ad un informazione per eseguire un’azione (Ripoll)”. Poiché il sistema di elaborazione delle informazioni permette di trattarne solamente una quantità limitata, diventa fondamentale automatizzare certi comportamenti motori, in modo da spostare l’attenzione su ciò che è realmente necessario in un determinato momento. Un esempio è lo scalatore esperto che ha automatizzato la capacità di respirare efficacemente o di scaricare al meglio il peso sui piedi o di mantenere una posizione più efficace ai fini dell’equilibrio in parete ed essere fluido e costante nei movimenti. Questi automatismi gli permettono di riservare l’attenzione per altri aspetti ‘motori’ e di economizzarla: se si dovesse individuare un numero tra una serie di lettere (processo automatico), il costo attentivo sarebbe inferiore a quello del trovare un numero tra una serie di numeri (processo controllato). Trovare una presa rossa tra una serie di prese verdi è estremamente più semplice (e quindi ha un costo attentivo lungamente inferiore) rispetto al trovare quella giusta sulla roccia, in mezzo a un mare di prese più o meno grandi e efficaci. Quando l’esperto fallisce sull’”a vista”, solitamente è perché si è confrontato con informazioni inattese e pur mobilitando massicciamente l’attenzione non è stato in grado di dare rapidamente la giusta risposta. Per questo motivo l’attenzione va sviluppata anche attraverso adatti allenamenti, mirati a confrontarsi con situazioni che comportano elevata incertezza percettiva e motoria, spostando il proprio fuoco attentivo da una visione “centrale” a una periferica e viceversa.

La concentrazione Nelle attività sportive un aspetto importante all’interno dell’elaborazione delle informazioni per

l’efficacia delle risposta è quello della concentrazione. Si tratta di un processo generale non specifico che rappresenta la capacità di mobilitare

l’insieme delle componenti psicologiche per raggiungere uno stato mentale ottimale allo scopo di svolgere un’azione motoria e raggiungere un obiettivo. La concentrazione è un processo in diretta relazione con il Sistema Nervoso Centrale e comporta la determinazione (cioè la forza mentale) nel compiere quel dato gesto o movimento, attivando l’attenzione. Non può esservi attenzione senza concentrazione.

Anche la concentrazione non può essere mantenuta a lungo in quanto consuma molta energia mentale e per tanto va mobilitata solo quando serve. Ma soprattutto, la concentrazione risente molto di “dettagli e imprevisti”, anche poco importanti ma che possono disorganizzare lo stato ottimale raggiunto dall’individuo (ad esempio un moschettonaggio problematico, un piede che scivola, un pensiero intrusivo, ecc.) e far si che da quel momento egli “non ci sia più con la testa”.

Essendo un processo multifattoriale, la concentrazione va posta direttamente in relazione con aspetti psicologici e biologici. I primi sono rappresentati da livelli di emozioni e stress, mentre i secondi dalla fatica fisica, dal dolore, ecc. Tutti questi fattori, a certi livelli e in base alla soglia delle “capacità di gestione” individuale, possono svolgere per la concentrazione un ruolo destrutturante, disorganizzandola.

L’azione di disturbo derivata dalla deconcentrazione può essere gestita, con molta difficoltà, solo attraverso una specifica preparazione in grado di sviluppare la concentrazione attraverso apposite tecniche cognitivo-comportamentali.

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Il ragionamento L’elaborazione dell’informazione passa attraverso al ragionamento, che porta a una decisione che a

sua volta innesca una specifica risposta motoria. Il ragionamento porta ad utilizzare funzioni logiche che permettono di trovare delle possibili soluzioni

ad una specifica situazione problematica, decidendo per quella che risulta più adeguata. Il ragionamento si basa su conoscenze dichiarative, procedurali e percettive

Le conoscenze dichiarative rispondono a principi di funzionamento (tipo equilibrio, aderenza, retroversione del bacino, ecc.). Le conoscenze procedurali sono quelle relativi i procedimenti per risolvere un problema (tipo: se prendo questo allora posso arrivare a quello). Le conoscenze percettive sono quelle derivate dalla lettura dello spazio d’azione (visione dal basso della via e identificazione degli appigli per l’impostazione più idonea dei movimenti).

La decisione Nelle attività sportive ogni decisione deve essere adeguata, derivata da un giusto ragionamento e la soluzione adottata deve essere la migliore disponibile tra tutte quelle possibili, contando che il tutto deve essere realizzato in un tempo molto ristretto. Per questo motivo le decisioni rientrano in un ambito prettamente probabilistico, cioè attraverso un ragionamento che caratterizza l’atleta esperto poichè, grazie alla propria esperienza, ha individuato, appreso e memorizzato i movimenti derivati dall’applicazione degli automatismi cognitivi intelligenti.

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La tattica in arrampicata La tattica rappresenta il metodo, cioè una pianificazione per conseguire degli obiettivi. A differenza

della strategia, che rappresenta la descrizione di un piano d’azione a lungo termine, usato per impostare e poi coordinare le azioni tese a raggiungere uno scopo predeterminato. La tattica “definisce un comportamento pianificato durante l’arrampicata, che tenga presente le proprie capacità di prestazione e tutti i fattori estrerni (W. Güllich)” .

Nella tattica confluiscono e operano veri fattori, fra i quali le capacità mentali e di autoanalisi, le capacità tecniche, le capacità organiche e la loro gestione, ecc. Un programma tattico è possibile a condizione che l’individuo abbia sviluppato, per lo meno a un livello accettabile, i requisiti indicati in precedenza. In caso contrario risulterebbe impossibile elaborare un adeguato programma tattico.

Ad esempio, chi non è abituato ad arrampicare su certe tipologie morfologiche di roccia, ben difficilmente potrà raggiungere sulle stesse, senza adeguato apprendimento tecnico, dei risultati prestigiosi in termini di difficoltà. Allo stesso modo una scarsa motivazione all’obiettivo, la paura del volo, ecc. rappresentano dei fattori che possono interferire con l’efficacia della tattica.

La fase di pianificazione La fase di pianificazione della tattica rappresenta l’insieme delle operazioni mentali e fisiche che si

compiono prima di iniziare una salita. Fra le operazioni mentali ci sono la presa d’informazioni attraverso l’osservazione dal basso delle

caratteristiche e delle particolarità dell’itinerario. Una salita su roccia comporta sicuramente maggiori complessità nell’osservazione dal basso di appigli e appoggi. Tuttavia attraverso un attenta osservazione dell’itinerario è comunque possibile pianificare la salita individuando i probabili punti critici e i possibili punti di riposo. Osservando dal basso diventa possibile quindi scomporre l’itinerario di salita in una serie di tappe successive, alcune per la specificità e/o difficoltà e tipologia dei movimenti necessari per superarle e per la difficoltà di reperire punti di riposo. Ogni tappa rappresenta in questo modo un avvicinamento “logico e organizzato” alla catena.

Prima della salita, concentrarsi a terra sui tratti e passaggi chiave e sui punti di riposo e ‘memorizzarli’ favorisce la preparazione mentale all’azione (composta dall’informazione visiva, dall’attenzione, dalla concentrazione, dalla decisione dalla motivazione e dalla determinazione), nonché la sua gestione sul piano fisico, favorendo un uso mirato delle capacità di forza ed un più efficace risparmio energetico.

Una via di falesia richiede un controllo dei materiali e del loro corretto utilizzo, della tipologia e della qualità delle protezioni presenti, delle manovre di assicurazione ecc., della fiducia nell’assicuratore e la conoscenza delle proprie caratteristiche organiche di base (forza – resistenza).

Una via di più tiri necessita di una preparazione della salita ‘a tavolino’, in modo da conoscere le caratteristiche dell’itinerario, la discesa, l’avvicinamento, la tipologia delle protezioni, ecc.

In una via di più tiri, come per una di falesia, attenzione e concentrazione possono essere ‘alterate’ da condizioni di stress susseguenti a percezioni di pericolo o causate da paure irrazionali, al punto che le energie nervose possono essere completamente consumate anche solo facendo sosta su di un terrazzino al compagno di cordata.

E’ importante comprendere che fattori quali la sicurezza ed il materiale impiegato per la salita rientrano nella tattica, perché questo consente maggiore tranquillità e la liberazione di energie psichiche a vantaggio della salita: diventa quindi importante, per l’atleta, avere una buona conoscenza della Catena Dinamica di Assicurazione. Avere fiducia dei propri materiali significa conoscerli, e conoscerne il corretto impiego. Ai fini della salita questi aspetti devono essere risolti già alla base. Non possono esserci situazioni, mentre si sta salendo, di dubitare dell’affidabilità della propria corda, o di qualunque altro materiale utilizzato. Come non si può dubitare di chi ci fa sicura.

In questi casi, se si stesse arrampicando su difficoltà ‘al limite o quasi’, si creerebbe una condizione psicologica caratterizzata da ‘pensieri intrusivi’ (elevato arousal cerebrale), tale da rendere probabile una caduta o di innalzare il livello di rischio anche su difficoltà minori.

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Prima di una salita si compie un’azione per volta, portandola a termine, senza distrarsi. Il materiale va preparato e scelto, contando le protezioni presenti sul tiro, e per sicurezza o ragioni di manovra, ai rinvii necessari se ne aggiunge qualcuno in più. Si osservano le protezioni e se ne valuta l’affidabilità e la disposizione, fino ad eseguire il controllo incrociato con il compagno sui sistemi di sicurezza attivati da entrambi (sui nodi e sul corretto uso/montaggio dei freni). Azioni, queste, che dovrebbero diventare ‘automatizzate’ né più né meno di come si automatizzano le varie tecniche di salita, in modo da sgombrare la mente da ‘paure irrazionali’, che a volte assalgono il climber mettendo in crisi l’equilibrio psichico della salita.

La fase di realizzazione Una volta iniziata la salita prende avvio la fase di realizzazione della tattica. In questa fase assume una grande importanza la capacità di trasformare dei processi mentali, in

parte già elaborati mediante previsioni, in azioni successive. Poiché nell’arrampicata ‘a vista’ non sempre ci si trova di fronte a ciò che ci si attendeva o si

prospettava, diventa importante anche di avere un certo qual grado (possibilmente buono) di adattabilità e creatività, quindi possedere una mente ‘elastica’ in modo da saper gestire i naturali imprevisti mediante il recupero, in memoria, di soluzioni motorie tattiche e strategiche alternative.

Fondamentale è di saper/poter sfruttare al massimo ogni punto di riposo, respirare correttamente, integrando il respiro con il movimento, rimanendo il meno possibile con le braccia in posizioni isometriche, scaricando il più possibile il peso sui piedi e stringendo il ‘giusto necessario’ gli appigli, sapendoli lavorare automaticamente in modo efficace ai fini del movimento successivo.

L’importanza del ‘giusto carico’ sulle dita e/o mani o del ‘carico minimo’ per stare appesi ed evitare lo scivolamento, è una delle chiavi del successo di una salita, in quanto permette un buon risparmio energetico.

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I punti di riposo rappresentano quei punti della parete nei quali i distretti muscolari, in particolare gli

arti superiori, possono essere sottoposti a recupero di energie tramite decontrazione conseguente alla riduzione della tensione muscolare e all’agevolazione del passaggio del flusso sanguigno nei distretti interessati. Non sfruttarli significa creare i presupposti dell’insuccesso.

Qualunque salita può essere suddivisa da terra sino alla sommità in punti di riposo e tappe. Quando si è a terra si è ad un punto di riposo, da lì al successivo si percorre una tappa. Utilizzare un punto di riposo non significa che si può rimanere fermi per ore (potrebbe sorgere affaticamento del distretto piede/polpaccio), ma giusto il tempo necessario per ottenere dei vantaggi per il proprio organismo e per la propria mente. Se il punto di riposo lo permette, le braccia vanno decontratte mediante ‘scrollamenti’ verso l’alto o verso il basso o mediante iperestensioni con il movimento all’insù della mano e successive ‘decontrazioni’, se possibile fatte riposare entrambe, o alternandole mediante caricamenti alternati.

Un punto di riposo permette anche di osservare i tratti successivi dell’itinerario, dando così la possibilità di ritarare apportando delle migliorie o dei cambiamenti al programma motorio previsto.

In caso di momentanea necessità un esperto saprebbe anche tornare indietro, fino al punto di riposo. Un punto di riposo rappresenta infatti anche uno spazio nella parete da cui non solo è possibile osservare il tratto di arrampicata che separa dal punto di assicurazione successivo, ma per i più preparati anche il punto dal quale proseguire per qualche metro, osservare per poi ritornare al punto precedente per rielaborare quanto rilevato e definire al meglio le modalità atte a superare quel tratto. Un punto di riposo, o un punto di osservazione non sempre coincidono con una protezione vicina. Capire come muoversi e come gestire sul piano tecnico la difficoltà, la sicurezza, la distanza tra le protezioni funzionalmente alle proprie capacità di salita rappresenta uno stato fondamentale per chi sale. Una difficoltà valutata dal climber come ‘bassa’ in falesia può diventare ‘alta’ a 100 e più metri di altezza da terra. Questo aspetto introduce una componente mentale fondamentale per la riuscita della salita.

E’ evidente che affinchè possa esservi una tattica è fondamentale che ‘cervello’ e ‘mente’ ‘funzionino’ al meglio; un seppur breve ‘impasse’ metterebbe a rischio la prestazione.

Previsione La capacità di “prevedere” cioè di scegliere in anticipo gli appigli e gli appoggi da utilizzare

visualizzando il movimento da eseguire, è una tecnica vera e propria. La previsione, come la conoscenza delle tecniche di base della progressione in arrampicata, diventa

essenziale soprattutto quando un arrampicatore affronta difficoltà elevate rispetto al proprio livello, perché questa contribuisce a determinare un atto motorio pienamente consapevole, basato su una scelta volontaria e non casuale degli appigli e degli appoggi da utilizzare, e quindi un’ esecuzione precisa del movimento che si vuole compiere. In pratica, la corretta applicazione delle differenti tecniche di progressione (posizione base, bilanciamento, spaccata, sfalsata, ecc.) risulta strettamente correlata alla capacità di prevedere i punti ottimali (per posizione o dimensione) sui quali appoggiare le mani e i piedi.

Per cominciare a lavorare sulla previsione è opportuno, dalla posizione statica (cioè da fermi in parete) individuare gli appoggi finali sui quali si intende portare a termine la fase dinamica della progressione (il movimento); tanto più che la scelta di questi appoggi è fondamentale per il conseguimento della successiva posizione di maggior equilibrio.

Con il miglioramento della tecnica personale si arriverà a dare importanza anche agli appoggi intermedi, aumentando la capacità di previsione estendendola a una sequenza di movimenti sempre più ampia, rendendo possibile individuare gli appoggi migliori in base agli appigli utilizzati o scegliendo gli appigli in relazione degli appoggi che si vogliono impiegare.

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Anticipo L’anticipo è la logica conseguenza della previsione, e consiste nell’anticipare nel proprio schema

motorio mentale il movimento ritenuto più efficace ai fine della progressione verticale: è un attitudine poco evidente, ma che risulta invece di grande importanza.

L’anticipo facilita e spesso rende possibile l’esecuzione del movimento che abbiamo “previsto” osservando gli appigli e gli appoggi, soprattutto quando l’esecuzione del movimento risulta complessa. Anziché arrivare al passaggio in posizioni più o meno casuali si può impostare la posizione del corpo, o parte di esso, in modo ben preciso, così da anticipare e agevolare proprio la successiva esecuzione di quel dato passaggio che costituisce in sé il momento più complesso della stessa sequenza. Esempio 1: se si prevede di conseguire una posizione in spaccata a destra, prima di attuare la spaccata si dovrà poggiare il piede sinistro con il tallone rivolto verso destra, in modo da raggiungere la posizione prevista in modo ottimale Esempio 2: per superare un passaggio verso sinistra, anticiperemo la posizione delle mani scegliendo degli appigli verso sinistra. Logicamente, se necessario, prima di spostare le mani anticiperemo i piedi spostandoli sulla sinistra.

Respirazione Nelle discipline sportive la respirazione è un momento fondamentale che favorisce la funzionalità

dell’organismo, sia a livello biomolecolare (passaggio del lavoro da aerobico a anaerobico lattacido) che a livello psicologico (contrasto della paura e delle ansie da prestazione sportiva).

Com’è noto la respirazione diaframmatica deve il suo nome al fatto che, coinvolgendo la parte bassa dei polmoni, determina il movimento del diaframma: la membrana muscolo tendinea che separa i polmoni dalla cavità addominale.

La respirazione diaframmatica consente una respirazione profonda e completa, favorendo il rilassamento ed esercitando un effetto benefico sulla paura e sull’ansia, facilitando la mobilità del baricentro e l’applicazione della forza coinvolgendo maggiormente i muscoli addominali, contrastando il fenomeno dell’apnea che si verifica quando si è sotto sforzo. Per questo motivo è preferibile dare maggiore importanza alla fase di espirazione piuttosto che a quella di inspirazione, in modo da evitare il rischio di bloccare la funzione respiratoria rimanendo in apnea.

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Dinamiche psicologiche nello sport Tutte le attività sportive, sia quelle ad elevato impiego delle capacità di forza, sia quelle con

predominanza delle componenti tecniche o tattiche, comportano per l’atleta una risposta di carattere psicologico, che in base alle proprie capacità gestionali interferisce più o meno positivamente con la prestazione sportiva.

Le risposte di carattere psicologico sono funzione delle personalità del singolo, poiché derivano dai trascorsi personali vissuti. Più la prestazione viene percepita come altamente significativa, tanto più si subirà l’influenza in positivo o in negativo della componente psicologica. Quindi più la prestazione viene valutata come importante per i propri bisogni, le proprie attese, desideri o per la propria storia personale, maggiormente si sentirà il peso psicologico della situazione che si appresta ad affrontare.

Le variabili psicologiche che possono interferire con la prestazione possono essere di carattere emotivo, affettivo, motivazionale e cognitivo.

L’Effetto Carpenter La caduta, il volo, in arrampicata sono eventi temuti, ma comunque possibili, poiché nella pratica

dell’arrampicata sportiva, il “volo” è un evento che a tutti gli effetti fa parte a pieno titolo delle prerogative della disciplina e pertanto dovrebbe essere preventivamente accettato. La ricerca della “prestazione” comporta nel climber la possibilità concreta di fare un “volo”, che generalmente avviene, in falesia, in presenza di protezioni fisse, ravvicinate e sempre molto sicure e affidabili. Sebbene si possa avere la massima certezza della sicurezza dei materiali personali (corda, imbrago, rinvii ecc.), la possibilità di poter cadere e fare un volo, comporta, negli arrampicatori, l’insorgere di paure interiori connesse con pensieri relativi all’eventualità di violare la personale incolumità. Questo in quanto durante la salita, la presenza di stress o qualunque emozione, tenderà ad indurre nella persona una serie di vissuti psicologici e reazioni psicofisiologiche (accelerazione del battito cardiaco, alterazione della frequenza respiratoria, aumento del ritmo delle onde cerebrali, ecc.) che interferiranno pesantemente riducendo il livello prestazionale del climber, esponendolo, suo malgrado al rischio di volare e di farlo in modo goffo e scoordinato, rischiando in quel caso di farsi male seriamente. Per comprendere bene queste considerazioni risulta utile applicare su sé stessi quello che in psicologia viene definito come “effetto Carpenter”, ovvero la possibilità di auto indursi delle reazioni psicologiche e psicofisiologiche mediante la sola immaginazione di un evento significativo. L’effetto Carpenter è facilmente comprensibile anche solo immaginando di arrampicare e di trovarsi ad affrontare un passaggio alquanto difficile e complesso, ove la caduta risulta altamente probabile e lunga. Grazie all’effetto Carpenter, per mezzo del quale al solo immaginare una situazione, un gesto, è possibile rilevare un’attività elettrica nei gruppi muscolari interessati, è stato possibile mettere in atto la pratica dell’allenamento ideomotorio. In pratica L’ALLENAMENTO IDEOMOTORIO rappresenta la sola esecuzione mentale del gesto tecnico motorio, SENZA che questo venga accompagnato dalla sua reale esecuzione. I motivi per i quali si può cadere in arrampicata sono sostanzialmente quattro:

1. per rottura di un appiglio o un appoggio 2. per scivolata 3. per esigenze “meccaniche” 4. per “paura” di cadere

Per i primi due punti, la caduta e dovuta puramente alla casualità del fatto. Per il punto 3 è invece ben noto l’effetto della “ghisa” sugli avambracci: le mani si aprono anche sui

maniglioni, la salita diventa scoordinata, i piedi non trovano gli appoggi e….ciao….! Interessante diventa invece il punto 4: cadere per paura di cadere. Si è potuto rilevare come status

psicologici caratterizzati da paura determinino reazioni mentali, fisiche e motorie in antitesi con le esigenze e la qualità della prestazione. La paura del volo, sul piano psicologico, è sostanzialmente il rifiuto di mettere in gioco la propria sicurezza : tanto più non si accetta nessun rischio, tanto più si ha paura.

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Volare fa parte integrante della disciplina arrampicata e NON avere paura di cadere significa soprattutto apprendere a cadere senza paura. In particolare significa ridurre o eliminare le stimolazioni psicologiche avversative che uno status di paura di volare svolge nel costruire l’ineluttabile e conseguente caduta: più che aver paura di volare, si vola per paura.

Stress e ansia nella prestazione sportiva Nella vita reale stress e ansia accompagnano l’uomo in numerosi momenti della vita personale, sociale, lavorativa e ludica. Lo stress rappresenta la risposta non specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso e rappresenta una reazione adattativa fisiologica che può essere prodotta da una grande quantità di stimoli, tra i quali giocano un ruolo fondamentale quelli emotivi. Con il termine risposta non specifica si definiscono quelle risposte che seguono in modo stereotipato stimoli assai eterogenei, mentre sono definite risposte o reazioni specifiche quelle reazioni personalizzate e idiosincratiche che riflettono la particolare sensibilità del singolo individuo a certi stimoli e le sue peculiari modalità di risposta.

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A sua volta l’ansia rappresenta la reazione difensiva dell’organismo umano di fronte ad un pericolo reale, o più spesso simbolico e derivante dalle interazioni sociali. Si esprime con correlati fisiologici, comportamentali e intrapsichici e può assumere un significato patologico se è eccessiva in intensità o durata. L’ansia è solitamente suddivisa in ansia di stato (ansia legata ad uno stato momentaneo in cui si trova il soggetto, di solito in rapporto a precisi eventi o situazioni stimolo) e ansia di tratto (ansia abituale dovuta alla disponibilità generale a reagire in modo ansioso nelle più varie circostanze). La risposta di stress diventa disadattativa quando:

1. viene emessa con frequenza elevata 2. è mantenuta troppo a lungo. Dopo l’evento stressante il ritorno al livello basale si realizza

secondo modalità eccessivamente lente 3. se determina disturbi da stress quali ansietà patologica, fobie, disturbi psicosomatici ecc.

Anche l’ansia, quando raffigura la semplice paura per un interrogazione o per un evento atteso o per qualcosa di significativo per l’individuo, risulta una reazione naturale poiché prepara l’individuo ad una situazione temuta (quindi l’ansia è una risposta particolare all’interno della risposta generale di stress).

Tuttavia quando si manifesta con risposte che assumono caratteristiche disadattive per l’intensità o la frequenza con cui emergono nel comportamento dell’individuo, allora, in quest’ultimo caso si è in presenza di un’ansia patologica. Quest’ultima si presenta indipendentemente da ciò che realmente accade intorno all’individuo, in quanto ad attivarla è egli stesso, internamente, mediante i propri meccanismi di risposta involontari, direttamente legati ai propri parametri e schemi di valutazione/attribuzione di significato, che operano analisi inopportune, a volte abnormi sulla situazione reale.

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L’individuo affetto da manifestazioni improprie dell’ansia presenta tutta una serie di comportamenti/segnali che ne rappresentano delle vere e proprie comunicazioni corporee e che in definitiva sono dei segnali esagerati di allarme: il volto teso, lo sguardo incerto, movimenti rigidi, respiro frequente, rapido e superficiale,sudorazione cutanea, mani fredde ecc. L’itinerario di salita, sia che si tratti di una via su roccia o sul sintetico, rappresenta a tutti gli effetti un esame, una verifica che in sé riassume gli investimenti fisici e psicologici e le aspettative prestazionali dell’arrampicatore. Poiché l’ansia attiva delle comunque delle risposte fisiologiche specifiche, fra le quali è presente un’attivazione cerebrale (arousal corticale), quando rimane a livelli ottimali per le caratteristiche dell’atleta, allora l’arousal favorirà ed ottimizzerà la prontezza di risposta cognitiva e motoria, favorendo una prestazione adeguata. Quando invece il livello di ansia risulterà troppo basso, non attivando alcuna stimolazione cerebrale, oppure eccessivo mettendo in atto un’attivazione cerebrale esagerata, allora la prestazione dell’atleta subirà una limitazione significativa, non potendo contare su un sostegno nervoso appropriato. Un arousal corticale esagerato è una sorta di vero e proprio bombardamento di impulsi nervosi eccessivi, disorganizzati e incoerenti che interferiscono con le attività corticali e che sprigionandosi a partire dalla formazione reticolare, raggiungono un intensità in grado di stravolgere l’azione cognitivo motoria, impedendo di fatto il raggiungimento della massima prestazione. La risposta d’ansia patologica è comunque una manifestazione completamente individuale e per ognuno di noi, soggetta a numerose variabili e alle proprie situazioni di stimolo scatenanti. Nello sport stress elevato, ansia e tensione bruciano energie al punto che paradossalmente può accadere di ritrovarsi svuotati e senza forze ancora prima di aver eseguito il primo movimento. In arrampicata sportiva, l’ansia può manifestarsi in svariate situazioni ed è correlata con le attese e l’importanza dell’evento sportivo, presentando delle situazioni di stimolo particolari, che possono, da sole, determinare una risposta d’ansia, che a loro volta possono assumere i connotati di terrore e panico, con lo sviluppo di tutta una serie di risposte patologiche. In definitiva, il fatto stesso di allontanarsi da terra e rischiare qualche volo può determinare risposte di ansia anche in persone avvezze a ben più complessi rischi. Quanto indicato, ci suggerisce che l’ansia aumenta quanto più ci si avvicina a situazioni “stimolo” in grado di attivarla, in quanto la rappresentazione mentale della situazione ansiogena si fa sempre più viva e pressante nella mente, con un andamento verticale nel momento in cui il climber si trova dentro alla situazione. Il picco ansiogeno è sempre funzione delle variabili indicate precedentemente: personalità, importanza e attese dalle prestazioni, esperienze precedenti, ecc. Superato il picco, la linea scende velocemente. E’ stato rilevato che nelle attività sportive la componente psicologica gioca sempre più un ruolo determinante, in quanto gli scarti di differenza nei livelli delle prestazioni degli atleti migliori sono minimi. Per tanto, la differenza, il qualcosa in più, possono arrivare anche attraverso il potenziamento della risposta nervosa, sia sotto forma di gestione efficace delle risposte d’ansia, sia di perfezionamento suppletivo della gestione e controllo del gesto motorio. Tutti i movimenti automatizzati (e quindi non quelli causati dalle azioni istintive che invece sono automatici) derivano da continue assimilazioni dovute alle svariate ripetizioni della gestualità (in forma pressoché quasi maniacale) dei movimenti corretti sino ad apprenderli completamente.

Conseguentemente tutto ciò che è effetto di una forma di apprendimento per automatizzazione è soggetto alla “volontà gestionale della testa” e quindi facile preda dell’ansia. Nell’arrampicata, più ancora che in altri sport, l’aspetto psicologico fa la differenza: più variabili vi sono in gioco maggiore è la necessità dell’intuizione immediata (cioè dell’esecuzione automatica del gesto), e siccome l’ansia inibisce questa capacità, più uno sport è complesso maggiormente questo risulterà influenzabile dall’ansia.

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In generale, in un atleta, nella fase pre-prestazionale, le risposte di stress e/o di ansia inappropriate possono essere attivate anche da un’attenzione eccessiva da parte dei presenti, dei media, dei familiari o da invidie e rivalità. Spesso l’arrampicatore può attuare seppur a livello inconscio, delle difese improprie (di tipo maniacale, espresse verbalmente secondo modalità contro qualcuno o qualcosa, oppure di tipo regressivo e/o paranoico come il barare sulla riuscita di una via o pensare che l’amico che assicura stia remando contro, oppure passivo-dipendenti, come chiedere continue esagerate rassicurazioni) che possono anche assumere modalità ostili, aggressive e di fondo vendicative, e che alla fine, caratterizzate da una sorta di generalizzazione, ottengono effetti opposti da quelli desiderati, arrivando a prendersela con se stesso, con l’amico che lo assicura, con il compagno o la compagna, ecc. In queste situazioni si mettono in atto una serie di meccanismi di difesa allo scopo di giustificare l’eventuale insuccesso costruendo alibi, che possono andare dai gesti scaramantici alle tecniche personali di autoconvincimento quali: “sono bravo”, “oggi la spacco”, ecc., per finire nelle giustificazioni, tipo “non me la sento”, “non è giornata”, “se la faccio bene, altrimenti non importa”. Queste affermazioni fanno parte di difese naturali che hanno lo scopo di limitare i danni psicologici, in termini di autostima, in caso d’insuccesso.

La miglior tecnica naturale di difesa, in questo caso, è la respirazione, che sicuramente rappresenta un’ottima risposta antagonista dell’ansia patologica.

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L’Allenamento Ideomotorio Per Allenamento Ideomotorio s’intende la tecnica secondo la quale l’atleta ricrea una rappresentazione mentale sistematicamente ripetuta e cosciente dell’azione motoria che si vuole compiere, al fine di migliorare la velocità di acquisizione, precisione nell’esecuzione e l’eventuale modifica di schemi motori inappropriati appresi in precedenza. Esempio: lo sciatore che, al cancelletto di partenza, poco prima di iniziare la gara e nel pieno della sua tensione mentale, si ripete a memoria tutti i movimenti e gesti necessari a compiere la discesa nel modo tecnicamente più preciso possibile attraverso le porte della pista e nei tratti più scoscesi. Parafrasando un insegnamento del grande maestro Sun Tzu: chi molto calcola ha già vinto. L’aspetto fondamentale dell’Allenamento Ideomotorio è quello di poter essere impiegato dallo sportivo anche in situazioni di riposo, poiché alla base vi è l’Effetto Carpenter (già descritto nella presente), ovvero la capacità dell’organismo di attivare, anche se ad un livello moderato, il potenziale elettrico specifico nei muscoli interessati a un determinato movimento, ogni volta che un individuo ne Immagina la relativa sequenza motoria. Ad ogni movimento si accompagna un sistema di informazioni che arrivano al Sistema Nervoso Centrale mediante afferenze (provenienti dai centri di equilibrio, dai propriocettori, dalla vista, dal tatto, ecc.) e da qui, dopo una rielaborazione cognitiva, parte una risposta motoria che si avvale anche di feedback contenuti nella “scheda delle memorie” dei movimenti appresi dal climber. Pertanto, nell’Allenamento Ideomotorio, una semplice attivazione mentale dei centri coinvolti nel gesto, pur senza movimento e quindi senza effetti visibili, determina comunque un’organizzazione efficace dei tempi, sequenze, ritmo, precisione, reclutamento di unità motorie, sensazioni, al pari della situazione in cui il gesto venga effettivamente eseguito. Le sue applicazioni hanno dimostrato che l’Allenamento Ideomotorio funziona ancor più quando gli esercizi vengono ripetuti in condizioni di rilassamento profondo, poiché le immagini evocate si fissano ancor più nella memoria profonda. Per questo motivo è consigliabile sottoporsi a fasi di Allenamento Ideomotorio quando si sono apprese le tecniche di rilassamento e contestualmente ad essere assistiti da un allenatore competente e dallo psicologo dello sport. In materia, per chi fosse interessato ad un maggior approfondimento, esistono sulla rete e in commercio, numerose pubblicazioni che certamente potranno indirizzare gli sportivi nelle giuste direzioni e metodi di applicazione. Nell’arrampicata, soprattutto in quella rientrante nel “mondo dei comuni mortali”, ovvero senza la pretesa di “grandi rigori metodologici”, forme di Allenamento Ideomotorio possono essere comunque impiegate sia per i climber neofiti che per gli evoluti, che dovrebbero progressivamente farle proprie inserendole abitualmente nell’allenamento per l’arrampicata e fra le proprie strategie di approccio alla salita. Per i neofiti può essere utile per abituare l’atleta ad apprendere schemi di base “fondanti” per tutto il suo futuro percorso di apprendimento dell’arrampicata, quali l’abitudine ad osservare la parete, ad individuare ed anticipare mentalmente le sequenze motorie, a percepire e gestire il proprio equilibrio, individuare i punti di riposo, capire come “lavorare” gli appigli e gli appoggi per il giusto impiego e carico, ecc. Per l’evoluto, l’Allenamento Ideomotorio può essere impiegato fondamentalmente a due livelli pratici: nel lavorato e nell’”a vista”. Nel primo caso il climber deve saper individuare i tratti dell’itinerario che ritiene più ostici o complessi per singoli movimenti o per sequenze di movimenti e per il giusto carico da applicare, oppure per motivi psicologici (paure indecisioni ecc.) o per gestire più efficacemente sezioni di parete che, benché superate, tuttavia determinano nell’atleta un dispendio energetico tale da essere eccessivo e compromettere il risultato finale. Un’analisi mirata di queste situazioni può fornire all’atleta le chiavi per scomporre la salita nelle sue parti, individuando singolarmente specifiche problematiche ed apportando le opportune correzioni

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mediante un allenamento fisico adeguato ricreando i movimenti al pannello e, con l’Allenamento Ideomotorio, rappresentandosi mentalmente e in stato di rilassamento la gestualità più idonea. Nel caso di climbers che lavorano molto sull’arrampicata “a vista” è possibile impiegare l’Allenamento Ideomotorio per migliorarne le strategie e la capacità di memorizzare sequenze motorie dopo aver osservato la parete, partendo proprio dalla capacità di osservazione, individuando sequenze motorie appropriate e memorizzando gli schemi, che ovviamente non sempre possono essere quelli più efficaci. Il limite di questo sistema consiste nel fatto che l’arrampicatore può programmare una mappatura cognitiva dell’itinerario solo in termini probabilistici, dovendo compiere le verifiche sul posto e apportando eventualmente le dovute correzioni durante la salita.

Sintetizzando:

1. Il primo obiettivo consiste nel migliorare la capacità motoria apprendendo le differenti tecniche di base, in modo tale da riuscire a muovere il corpo in tutti i modi possibili (vale a dire secondo gli schemi più corretti e utili all’arrampicata)

2. Il secondo obbiettivo riguarda invece la capacità di saper scegliere la tecnica migliore a

seconda delle diverse situazioni che si incontrano nei differenti terreni di arrampicata. Questo significa che bisogna conoscere e saper applicare bene la tecnica funzionalmente alla propria intelligenza motoria, caratteristica che può essere adeguatamente allenata e incrementata.

3. Il terzo obbiettivo è prerogativa di un livello d’apprendimento avanzato e necessita del

preventivo raggiungimento dei primi due. Consiste nella capacità di applicare varianti secondarie alle progressioni, laddove si rendano necessarie a causa della presenza di passaggi che presentano caratteristiche particolari. Da questo momento in poi l’arrampicata diventa, per logica, assoggetta ad una strategia a lungo termine, organizzata in svariate fasi tattiche brevi e consequenziali atte al miglioramento della condizione fisica e mentale dello scalatore in modo da conseguire alle mete prestabilite.

4. Il quarto obbiettivo consiste nel pianificare tatticamente la salita, cioè osservando dal basso,

prima di partire la linea della via, cercando di identificare i tratti complessi e quindi anticipando mentalmente quali movimenti impostare sui singoli passaggi visibili; nonché saper riconoscere i punti di riposo, che consentono un recupero psico-fisico durante la scalata. Fondamentale mentre si sale, la respirazione, che DEVE sempre essere continua e profonda (possibilmente diaframmatica), in modo da garantire il giusto apporto di ossigeno per la respirazione cellulare (lavoro anaerobico lattacido), contrastando nel contempo, a livello psicologico, l’insorgenza di pensieri intrusivi.

5. Il quinto obbiettivo è rappresentato dall’apprendimento di tecniche atte a contrastare e a

GESTIRE le reazioni ansiogene di stato (cioè l’ansia legata a uno stato momentaneo), e quindi a gestire i “pensieri intrusivi” con le più idonee “risposte antagoniste” mediante autoinduzione di reazioni psicologiche e psicofisiologiche tramite la sola immaginazione di un determinato evento significativo (effetto Carpenter) e soprattutto imparando, a livello psicologico, ad accettare la possibilità di poter “volare” dopo aver eseguito “didatticamente” tutte quelle attività finalizzate ad apprendere come fare a cadere senza paura.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

� I manuali del Club Alpino Italiano – Manuale di Arrampicata Volume 2 � I manuali del Club Alpino Italiano – Manuale di Arrampicata Volume 3

� Le tappe dello sviluppo motorio – Università della Calabria

� Arrampicare! – Patrick Edlinger

� Allenamento e Arrampicata – jollypower.com

� Penso dunque cado – jollypower.com

� Psicologia e arrampicata – shardrock.com