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Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma Gesù disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27) Settembre-Ottobre 3-2017 Gesù Maestro

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Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma

Gesù disse a sua madre:“Donna, ecco tuo figlio!”.

Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”(Gv 19,26-27)

Settembre-Ottobre 3-2017

GesùMaestro

Gesù MaestroSettembre-Ottobre 3/2017 - Trimestrale anno 21

Istituti Paolini “Gesù Sacerdote” e “Santa Famiglia”

DIRETTORE: Don Roberto Roveran

DIREzIOnE: Circonvallazione Appia, 162 - 00179 Roma Tel. 06.7842609 - 06.7842455 - Fax 06.786941

AuTORIzzAzIOnE TRIbunAlE DI ROmA n° 76/96 del 20/02/1996

Fotocomposizione e stampa: mancini Edizioni s.r.l. - Servizi di STAMPA • GRAFICA • WEB Cell. 335.5762727 - 335.7166301

In copertina: La crocifissione, vetrata artistica dei maestri Alfredo Pettinarie mariano Cavenago, Studio Prisma, milano

lo studio per la missione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

“non amiamo a parole ma con i fatti” . . . . . . . . . . . . . . . . 7

maria, donna della nuova Alleanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

la Spiritualità e le spiritualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Trasformazione della libertà e scudo contro il male . . . . . . 19

Cambiare per superare l’egocentrismo . . . . . . . . . . . . . . . . 22

«Credo, mio Dio» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

Il sacramento del matrimonio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

Educazione della castità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

un amore sponsale sempre più puro e spirituale . . . . . . . . 35

Come evitare l’incidente e il traffico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37A scuola di purezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38In comunione di Spirito e di corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39Pellegrinaggio a medjugorje . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40Due giorni di formazione paolina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41Il primo mezzo di comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42Famiglie e seminaristi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43un ritiro speciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44Famiglia diventa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45messaggeri coraggiosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46Vivere in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

uniti nel suffragio e nell’intercessione . . . . . . . . . . . . . . . . 50

libri, audiovisivi e film . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

EDITORIALE

MAGISTERO DELLA CHIESA

SPIRITUALIA’ MARIANA

GUARIRE IL CUORE

CONSIGLI EVANGELICI

ISTITUTO “GESU’ SACERDOTE”

LE NOSTRE PREGHIERE

FAMIGLIA E SESSUALITÀ

VEDOVANZA

ESPERIENZE E TESTIMONIANZE

IN MEMORIA

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”

Comunicazione del delegato

Lettera del delegato

2 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

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NOVITÀ

3Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Editoriale

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Carissimi, dopo il tema della santità come stile di vita, vi invito ora ad approfondire

lo studio, altro aspetto imprescindibile della nostra vita di apostoli-comunicatori. Queste due ruote del carro paolino, secondo l’eredità carismatica che abbiamo ricevuto dal beato Alberione, costituiscono con l’apostolato e la po-vertà, i fondamenti della nostra vita e missione di annunziare il Vangelo nella cultura della comu-nicazione. Vogliamo, ri-prendendo il pensiero del nostro Fondatore, cercare di vedere come viviamo la dimensione dello stu-dio oggi, in un periodo storico caratterizzato da un cambiamento epocale, che coinvolge tutti i settori della vita umana...

Fino a che punto ci rendiamo conto dei cam-biamenti attraverso i quali sta passando l’uma-nità intera? Siamo preparati per vivere e annun-ziare il Vangelo e i valori cristiani nell’ambiente culturale di oggi?

1. La finalità dello studioLo studio, nella visione del nostro Fonda-

tore, non si restringe a una mera conoscenza intellettuale chiusa in se stessa, ma ha sempre una finalità pratica. Per lui «lo studio è per la vita; la vita è per l’eternità; tutto è per Dio»; «ciò che non serve per la vita è un bagaglio inutile, ma quello che serve bisogna che sia abbondante, che si viva quello che si impa-ra a scuola». Scuola e vita, pertanto, devono camminare insieme perché tutto deve essere

sempre ordinato a quello che si deve fare nella vita. E cosa si deve fare? Quando don Albe-rione parla del fare si riferisce all’apostolato. Infatti «tutta la formazione deve comporsi ed ordinarsi in modo speciale per gli studi rispetto all’apostolato proprio della Famiglia Paolina».

Dunque, ci vuole lo studio per prepararsi, per portare avanti l’apostola-to nel contesto culturale del tempo in cui si vive. Considerando che «ogni apostolato è una irradia-zione di Gesù Cristo», il fine dello studio sarà giu-stamente «la glorificazio-ne di Gesù Cristo Mae-

stro; Maestro in quanto è insieme Via, Verità e Vita; in cui ogni uomo raggiunge la sua più alta personalità e l’umanità trova verità, giustizia, pace». Secondo don Alberione nella Famiglia Paolina non si studia per un proprio vantaggio personale, ma per affrontare in modo sempre migliore le sfide dell’apostolato.

2. Cominciare da se stessiLo studio dipende dallo sforzo di coinvol-

gere anche la volontà e il cuore nello sviluppo della mente, con l’obiettivo di capire e inter-pretare la realtà e per acquisire sempre nuove conoscenze. Questo significa che è necessario equilibrio, cioè «occorre che mente e cuore si sviluppino in armonia per sostenere la volontà come due gambe che devono portare il corpo. Il cuore darà allora buon contributo alla men-te, perché molte cose si rivelano e scoprono per l’amore».

Lo studio per la missionePubblichiamo una sintesi della Lettera annuale del Superiore generale

della Società San Paolo, don Valdir De Castro, sulla seconda ruota del carro paolino.

Lo studio per la missione

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Papa Francesco fin dall’inizio del suo Pontificato non si stanca di esortare la Chiesa a tornare al Vangelo, ricordandoci che «ogni volta che cerchiamo di tornare alle fonte e recuperare la freschez-za originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più elo-quenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Evangelii Gaudium 11). Nella prospettiva della nostra riflessione, non possiamo dimenticare che tor-nare al Vangelo e trasformarlo in pratica di vita dipende, prima di tutto, da ogni persona, nella sua apertura ad accoglierlo con la men-te, il cuore e la volontà.

3. La studiositàLo studio per don Alberione non si limita

alla formazione accademica, ma va compreso come studiosità, che non è la curiositas ma la passione per il vero che suppone l’appro-fondimento. Essa ci invita a fare riferimento alla cultura in cui viviamo, che è l’ambiente in cui siamo chiamati a coltivarla. E’ impor-tante considerare che, oltre ad essere evange-lizzatori con e nella comunicazione, siamo cittadini del mondo e, pertanto, immersi in un ambiente caratterizzato da informazioni e contenuti che ci arrivano tramite i mezzi tec-nici tradizionali (stampa, giornale, radio, tv…) e le reti digitali. Conviene, allora, domandarci come coltiviamo la studiosità in un ambiente co-municazionale così bello e con molte possibilità di contatto, ma anche talvolta tanto rumoroso? Come ci comportiamo e fino a che punto mettia-mo le risorse della comunicazione moderna a ser-vizio della nostra formazione integrale?

4. L’esperienza di don AlberioneUna delle prime costatazioni che troviamo

in don Alberione riguardo alla sua esperienza

dello studio, è che esso si riferi-sce a un’attività collegata alla vita concreta, sia riferita ai suoi pro-getti personali che ai progetti delle varie istituzioni da lui stesso fon-date. Con lo studio il Fondatore cercava di capire il tempo in cui viveva e di aprire strade nuove verso il futuro. Riprendiamo due

momenti della sua vita, dove racconta l’im-portanza che egli stesso ha attribuito a questo aspetto. Il primo ci fa ritornare al tempo in cui frequentava la scuola elementare e aveva appena manifestato il desiderio di essere sa-cerdote. Egli stesso testimonia: «Lo studio, la pietà, i pensieri, il comportamento, persino le ricreazioni si orientarono in tale direzione».

Come si nota, l’opzione per il sacerdozio era diventata una meta che includeva anche lo studio per essere raggiunto. Vi è un’altra occasione della sua vita in cui lo studio ap-pare come fondamentale. Si verifica quando egli ricorda la famosa notte che separava il secolo XIX dal XX: «L’Eucaristia, il Van-gelo, il Papa, il nuovo secolo, i mezzi nuovi, la dottrina del Conte Paganuzzi riguardante la Chiesa, la necessità di una nuova schiera di apostoli gli si fissarono così nella mente e nel cuore, che poi ne dominarono sempre i pensieri, la preghiera, il lavoro interiore, le aspirazioni.

Si sentì obbligato a servire la Chiesa, gli uomini nel nuovo secolo e operare con altri, in organizzazione. […] Da allora questi pen-sieri ispirarono le letture, lo studio, la preghie-ra, tutta la formazione. L’idea, prima molto confusa, si chiariva e col passar degli anni di-venne anche concreta».

5. Impegno e aggiornamento

Lo studio è l’attività intellettuale che per-mette l’apertura della mente alle diverse realtà in cui siamo immersi: la realtà di Dio, dell’uo-

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Editoriale

mo, della Chiesa, della società, della cultu-ra, della comunicazione, delle diverse scien-ze, ecc. Riguardo particolarmente alla realtà religiosa, don Alberione ritiene che «ognuno deve sempre impegnarsi per l’istruzione re-ligiosa, per meglio conoscere Dio e miglio-rare il servizio di Dio. Ognuno deve sempre migliorarsi, istruendosi, nell’ufficio suo, nelle relazioni sociali, ministero ed apostolato». Da-vanti alla domanda «che cosa significa stu-dio?», il Fondatore risponde: «Significa im-pegno. Deve accompagnarci fino alla morte. Deve impegnare tutti a voler im-parare cose nuove. Nella vita non possiamo fare sempre le cose allo stesso modo. Bisogna progredire ogni giorno; ogni giorno perfezio-narle. Dopo venti o più anni non si deve essere al punto di prima. Né si può dire: “Non sono più studente”. Siamo tutti impegnati a imparare». L’impegno è in vista di conoscere la realtà in tutte le sue dimensioni e, dove è necessario il rinnovamento, ha l’obiettivo di cercare nuovi cammini. In questa prospettiva possiamo dire che uno degli scopi dello studio è l’aggior-namento, un atteggiamento vitale per vincere l’immobilità…

L’aggiornamento è fondamentale, special-mente là dove vediamo inerzia nell’apostolato, dove da anni si fanno le stesse cose, arrivando sempre alla stessa gente, talvolta consapevoli che questo non porterà molto lontano. Urge svegliarci e renderci conto che il mondo, sem-pre più complesso, fa il suo cammino e non ci aspetta. Dobbiamo accorgerci dei cambia-menti e cercare, aiutati dallo studio, di vedere il mondo così com’è e non come noi immagi-niamo che sia.

6. Alla scuola di Gesù Maestro

È vero che la formazione intellettuale e tutte le iniziative di aggiornamento sono necessarie

per la missione. Tuttavia, l’approfondimento dello studio, nell’ambito della tradizione della Famiglia Paolina, suppone di avere presente un’importante scuola, senza la quale perdia-mo il significato della studiosità. È la scuola di Gesù Maestro: «Per quanto passino i tempi e per quanto progrediscano gli studi, Gesù rimane sempre il Maestro unico, infallibile, la cui dottrina è eminente, certa, indistruttibile». Questa scuola è fondamentale e inizia dall’in-contro con Lui. Tale aspetto ci fa riprendere l’idea che sta alla base di tutta la formazione

del Paolino: «“Uno solo è il vo-stro Maestro, Cristo” (Mt 23,10). È unico in quanto afferma: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Tutto lo studium (= sfor-zo) sarà quindi orientato a Cristo Maestro, da lui prende energia e a lui tende, fino a fare del Paolino un altro maestro, sia come singolo

sia come corpo morale, la Famiglia Paolina». Gesù è il Maestro nel senso che Lui è la

guida: la “verità” (fedeltà al Padre!), che di-venta la “via” (guida!), che ci porta alla “vita”. Gesù è la guida non solo con le parole, ma con la testimonianza, con le azioni concrete: «Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse» (Gv 14,11). Il discepolo è chiamato a rimanere in Gesù e a imparare alla sua scuo-la di vita a camminare in modo integrato. Il discepolo è colui che lo ascolta. Così hanno fatto i primi discepoli, così ha fatto l’Apostolo Paolo, che da persecutore è diventato seguace al punto da dire: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Aderire al progetto di Gesù Maestro esi-ge, anzitutto, di entrare nella logica dell’a-more che lo ha mosso. La prima lezione che dobbiamo imparare dal Maestro è quella di “essere fratelli”. Lui stesso ci dà l’esempio: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). La scuola di

Lo studio per la missione

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Gesù Maestro è la scuola di vita che genera fratellanza, e la fratellanza nasce dall’amore. L’amore è la prima identità dei discepoli di Gesù. Soltanto entrando nella logica di questo amore potremo esercitare la nostra vocazione paolina…

7. ConclusioneOggi «nelle attuali condizioni della cultura

e della comunicazione, la formazione intel-lettuale del Paolino è più che mai rilevante per immettere la proposta cristiana in un contesto dove predominano frammentarietà, provvisorietà e discontinuità» (Silvio Sassi). In questa cultura siamo chiamati a prepararci per fare tutto per il Vangelo! Nel cammino di

evangelizzazione abbiamo come riferimento l’Apostolo Paolo, che ha saputo aprirsi alla cultura del suo tempo per annunziare Cristo. Adesso è il nostro tempo. La società in cui siamo chiamati a testimoniare il Vangelo, con e nella comunicazione, non è un altro mondo, ma è l’ambiente in cui viviamo.

Lo Spirito del Signore Risorto ci ispiri e ci illumini nel campo dello studio. Con fede e speranza, e prendendo sul serio la studiosità, possiamo protenderci in avanti ogni giorno, senza mai fermarci, né nel cammino di santi-tà, né nell’apostolato.

Avanti! Protendersi sempre in avanti!

Don Valdir DE CASTRO,Superiore generale ssp

Come Famiglia Paolina vogliamo rilanciare la centralità della Bibbia. Diffondere la Bibbia è la missione di tutta la Famiglia Paolina secon-do il carisma del beato Giacomo Alberione. Per questo invitiamo tutte le comunità cristiane a unirsi a noi per celebrare in modo particolare la parola di Dio nell’ultima domenica di settem-bre di ogni anno.E’ il sogno che il nostro Fondatore ci ha tra-smesso. Per questo noi Paolini, nei cento e più anni della nostra storia, abbiamo avviato mol-teplici iniziative a servizio della Parola di Dio in tutte le parti del mondo.La Domenica della Parola il 24 settembre po-trà essere un’occasione unica per raccogliere il popolo di Dio attorno alla Bibbia, rinnovan-do una delle dimensioni essenziali della vita cristiana: l’ascolto. In questa Giornata parti-colarmente ricca di momenti celebrativi, for-mativi e di festa, vogliamo restituire al Libro di Dio la sua centralità, mettendone in luce il grande valore umano e sociale, oltre che cri-stiano e spirituale, e invitando credenti e no a leggerlo, ripercorrerlo, rivisitarlo.

(Don Valdir DE CASTRO)

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Magistero della Chiesa

“Non amiamo a parole ma con i fatti”Il 13 giugno scorso è stato pubblicato il primo Messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale dei Poveri, da lui indetta per domenica 19 novembre 2017. Ecco il testo quasi in-tegrale con l’aggiunta di qualche titoletto.

Amare i poveri1. «Figlioli, non amiamo a parole né con

la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Queste parole dell’apostolo Giovan-ni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa an-cora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare pro-prio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio, d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chia-re lettere. Esso si fonda su due colonne portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stes-so, anche la propria vita (cfr 1 Gv 3,16).

Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera

unilaterale, senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si sente portato a ri-cambiarlo nonostante i propri limiti e pec-cati. E questo è possibile se la grazia di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da muovere la nostra volontà e anche i no-stri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In tal modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trini-tà può arrivare a mettere in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le sorelle che si trovano in necessità. […]

Poveri come Cristo4. Non dimentichiamo che per i disce-

poli di Cristo la povertà è anzitutto una vo-cazione a seguire Gesù povero. È un cam-mino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà si-gnifica un cuore umile che sa accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di essere immor-tali. La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al dena-ro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le responsabili-tà personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così

“Non amiamo a parole ma con i fatti”

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intesa, è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli affetti (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 25-45).

Facciamo nostro, per-tanto, l’esempio di san Francesco, testimone del-la genuina povertà. Egli, proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se, pertanto, de-sideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascol-tiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevar-li dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della pover-tà evangelica che portano impresso nella loro vita.

Mani benedette5. Conosciamo la grande difficoltà che

emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’e-marginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guer-ra, dalla privazione della libertà e della di-gnità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancan-za di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili inte-ressi, calpestati dalle logiche perverse del

potere e del denaro. Quale elenco impieto-so e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia

sociale, della miseria mo-rale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza genera-lizzata!

Ai nostri giorni, pur-troppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle mani di pochi privi-legiati, e spesso si accom-pagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi del-la povertà a grandi setto-ri della società in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può re-

stare inerti e tanto meno rassegnati. Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a pre-ferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della par-tecipazione e restringe gli spazi della pro-fessionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre ri-spondere con una nuova visione della vita e della società.

Tutti questi poveri – come amava dire il Beato Paolo VI – appartengono alla Chiesa per «diritto evangelico» (Discorso di aper-

Magistero della Chiesa

9Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

tura della II sessione del Concilio Vaticano II, 29 sett. 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro. Benedette, pertan-to, le mani che si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che porta-no speranza. Benedette le mani che supe-rano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di consolazio-ne sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la benedizione di Dio.

Domenica di solidarietà6. Al termine del Giubileo della Miseri-

cordia ho voluto offrire alla Chiesa la Gior-nata Mondiale dei Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più biso-gnosi. Alle altre Giornate mondiali istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità, desidero che si aggiunga questa, che ap-porta al loro insieme un elemento di com-pletamento squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri.

Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendo-no le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. Questa Giornata intende stimolare in primo luogo i credenti perché reagisca-no alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appar-tenenza re-ligiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli

uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato all’umanità senza al-cuna esclusione.

7. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tem-po Ordinario, si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di so-lidarietà e di aiuto concreto. Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa domeni-ca, in modo tale che risulti ancora più au-tentica la celebrazione della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’univer-so, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti, emerge in tutto il suo signi-ficato proprio sul Golgota, quando l’Inno-cente inchiodato sulla croce, povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienez-za dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi completamente al Padre, mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la po-tenza di questo Amore, che lo risuscita a vita nuova nel giorno di Pasqua.

In questa domenica, se nel nostro quar-tiere vivono dei poveri che cercano prote-zione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), acco-gliamoli come ospiti privilegiati alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più co-

Il libro Dentro la Parola di Dio con la propria vita edito quest’anno dalla san Paolo permette di sperimentare e apprendere modalità e strumenti che facilitano l’in-contro tra la Parola e i membri del gruppo, consentendo ai partecipanti un efficace rispecchiamento nel brano proposto. Si tratta di un’occasione per sperimentare in modo concreto quanto la Parola ci trasforma, attraverso l’azione dello Spirito San-to, e come lo stesso possa essere percepito in noi e tra di noi.

Il testo è frutto della collaborazione e condivisione di Formatori e Facilitatori dell’Associazione Italiana Bibliodramma (A.I.B.) che uniscono alla teoria meto-dologica anche l’esperienza concreta, condotta e verificata in questi anni in gruppi

diversi per numero, situazione di vita ed età.Il testo permette di apprendere un nuovo e dinamico modo di accostare i racconti della Bibbia.

La presenza di numerosi percorsi sperimentati e calibrati per le diverse fasce di età della catechesi, ben dettagliati nelle scalette di conduzione, offre al catechista la possibilità di proporre, di volta in volta, alcuni tra i molteplici strumenti presentati, dando gradualmente ai ragazzi la possibilità di immaginarsi ed in qualche modo sperimentare quello che vissero i personaggi nei diversi racconti.

Questo manuale offre la possibilità di riflettere sulla propria identità di catechista e sul setting della catechesi (spazio fisico, regole, stile, clima, accordi, modalità relazionali, ruolo, formazione, accordo con il gruppo, ecc.), e permette di sperimentare modalità e strumenti che possono servire per facilitare lo svolgimento del percorso formativo dei membri del gruppo, specie all’incontro con la Parola di Dio (Maria Teresa e Andrea PAVARIN, isf di Rovigo).

ENTRARE NEllA PARolA dI dIo

“Non amiamo a parole ma con i fatti”

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erente. Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso, quanto sia deci-sivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre.

La preghiera dei poveri8. A fondamento delle tante iniziati-

ve concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita. Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di insegnare loro a pre-gare, Egli ha risposto con le parole dei po-veri che si rivolgono all’unico Padre in cui tutti si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al plurale: il pane che si chiede è “nostro”, e

ciò comporta condivisione, partecipazione e responsabilità comune. In questa pre-ghiera tutti riconosciamo l’esigenza di su-perare ogni forma di egoismo per accedere alla gioia dell’accoglienza reciproca.

9. Chiedo ai confratelli vescovi, ai sa-cerdoti, ai diaconi – che per vocazione hanno la missione del sostegno ai poveri –, alle persone consacrate, alle associazioni, ai movimenti e al vasto mondo del volon-tariato di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contempo-raneo.

Questa nuova Giornata Mondiale, per-tanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attin-gere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.

11Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017 11Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Spiritualità mariana

Nello sposalizio a Cana di Galilea c’era la Madre di Gesù. Noi non potremmo

mai capire qual è il mistero di Maria, il perché di questa insistenza del Vangelo in Gv 2 e Gv 19 sulla presenza della Madre di Gesù. Il retroterra di questa insistita presenza noi non lo sapremo mai, salvo che non si scopra qualcosa di nuovo in Asia minore.

Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Ci fu un tempo in cui Gesù provò a tornare a Nazareth con i suoi di-scepoli, ma la sua famiglia non credeva in Lui. In Luca tutto questo è sintetizzato nell’episodio della sinagoga di Nazareth, da dove poi Gesù si sposta a Cafarnao. Qui siamo ancora nell’ambito in cui Gesù presenta la sua nuova famiglia al clan fa-migliare e già là iniziano a litigare, già si

crea l’antipatia, soprattutto tra Giacomo e Pietro perché dopo la risurrezione chi as-sumerà il comando della Chiesa madre di Gerusalemme non sarà Pietro ma Giaco-mo.

Nel frattempo è venuto a mancare il vino e la Madre di Gesù disse: “Non han-no più vino”. Il retroterra è l’esodo; il vino nuovo e il vino vecchio, siamo nel contesto dell’alleanza. Vuol dire che l’alleanza tra Dio e il suo popolo non da più spessore alla vita. Di acqua ce n’è quanta si vuole, così dei riti purificatori, ma non c’è più la gioia dell’alleanza. Il popolo è ritornato a essere schiavo in casa propria perché ha perso il gusto della sponsalità con il Dio dei pa-dri. Abbiamo una fede che si vanta non dello Sposo, ma delle opere. Ecco perché nell’ultima cena Gesù dirà: “Chi ascolta la mia Parola è già purificato”. Ecco perché quella frase enigmatica inserita nel dialogo con Pietro: “Non mi laverai mai i piedi…”. “Chi è già puro non ha bisogno di fare il bagno”; vuol dire che chi ha ascoltato la Parola non ha bisogno di fare il bagno. Questo tema poi l’abbiamo trasportato nel-la tradizione liturgica, quando il ministro dopo aver proclamato il Vangelo lo bacia dicendo: “La Parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”. L’ascolto della Parola ci purifica dai nostri peccati per accedere alla Mensa eucaristica.

Gesù rispose: “Che ho da fare con te donna?”. E’ un’affermazione molto contro-versa. Gesù vuole far capire a Maria che i tempi del compimento li decide Lui; Gesù è totalmente autonomo da Maria e Maria è completamente dipendente da Gesù. Que-sta eco di autonomia di Gesù nei confronti della famiglia e della Madre l’abbiamo già in Mc 3: “I tuoi parenti e tua madre sono

Maria, donna della Nuova Alleanza

Maria, donna della Nuova Alleanza

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fuori”; “Chi è mia madre?”. In questo dia-logo Gesù porta il ragionamento di Maria a un livello più alto.

Ministra dell’alleanzaMaria dice: “Fate quello che vi dirà”, e

siamo a Esodo 19,8: “Quello che il Signo-re ha detto noi lo faremo”; quindi è il sì all’alleanza. L’“eccomi: sono la serva del Signore” di Lc 1 cade in Gv diventando: “Fate quello che vi dirà”. La Madre dice ai servi (in greco: ai diaconi): “Fate quello che vi dirà” e poi “portate al maestro di tavola”. Il maestro di tavola è preposto a mescere il vino, è l’episcopo, l’apostolo, l’evangelizzatore. Il maestro di tavola chia-mò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino nuovo, tu invece hai con-servato fino ad ora il vino migliore”. Ecco: questo maestro di tavola non sa come mai la parola che predica ha così efficacia nel-la vita delle persone.

Così Gesù diede inizio ai suoi segni in Galilea e manifestò la sua gloria. C’è un inizio della maternità della Madre di Gesù che è colei che diventa ministra dell’alle-anza. Maria è colei che dice ai servi che solo in Cristo si rinnova l’alleanza: “Fate quello che vi dirà”.

Ministerialità dell’alleanza vuol dire ri-scoprire veramente che l’unico tesoro della Chiesa è Cristo, non sono i preti, i diaconi, le suore, ecc. La maternità che si svolge nella ministerialità dell’alleanza è quella maternità, quell’esserci, quel “c’era la ma-dre di Gesù” che ricorda a tutti, soprattut-to a chi si affanna per il Regno di Dio, che la gente sarà contenta con Cristo, non con noi, con le nostre iniziative, con i piccoli ghetti, con i simboli, la liturgia, i progetti, la comunità, ecc.

Questo è il primo aspetto importan-te della maternità spirituale oggi nella Chiesa: aiutare la Chiesa a capire che,

con le nostre quattro cose, la gente non è contenta. Noi aggreghiamo le persone, ma non le facciamo felici. Qui c’è una ministerialità dell’essenziale. Per anda-re avanti ci serve Cristo. Non possiamo aspettare che questo compito nella Chie-sa d’oggi lo facciano i preti, perché i preti hanno tanto da fare.

Donna presso la croce Giovanni al cap. 19 ci riporta di nuovo

all’inizio dei segni: così Gesù iniziò e così porta a compimento: tutto è compiuto. Non tutto è finito, ma tutto è andato come doveva andare.

Prima di dire questo c’è il grande gesto: stavano presso la croce Gesù, sua madre… Gesù vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che lui amava disse (v. 25). Il si-gnificato di questo brano cambia secondo l’interpretazione del contesto:

13Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Spiritualità mariana

Prima interpretazione: la divisione della veste segna la verità, la tunica di Gesù non può essere divisa; è l’unità della Chiesa, dei redenti. Questo episodio è re-lazionato fortemente al successivo “Ecco il tuo figlio”, “Ecco tua madre” perché una delle interpretazioni più importanti è che la Chiesa non può esser divisa e Gesù, presso la croce, toglie l’inimicizia tra i discepoli che l’han-no seguito e la famiglia di origine rappresentata qui da Maria sua madre e da Maria di Cleofe. Sotto la croce Gesù riappacifica, cioè toglie il muro di se-parazione tra la Chiesa dei discepoli (le sette chiese di Asia minore) e la Chiesa madre di Gerusalemme. Gesù fa unità sotto la cro-ce. Le due figure – Maria e il discepolo prediletto – sono funzionali alla comunità madre di Gerusalemme e alle chiese giovannee che non si parlano. Il brano della tunica cucita tutta di un pezzo sarebbe la chiave per comprendere appieno l’episodio rivelativo di Maria e il discepolo presso la croce.

La seconda interpretazione è di padre Schökel, il quale diceva che questo brano va inteso come un brano sponsale: la mor-te e la risurrezione di Gesù avvengono nel giardino, come nel giardino avviene l’in-contro tra lo sposo e la sposa, il fidanzato e la fidanzata (cfr. Cantico dei cantici). Ci sarebbe dunque un paradigma sponsale applicato alla morte e alla risurrezione di Gesù: Maria/Maestro, la Maddalena nel giardino/una voce del mio diletto. Se è vero questo, anche l’episodio della croce ha un paradigma sponsale legato alla leg-ge del levirato secondo la quale, quando un uomo sposato moriva senza aver dato figli, la moglie doveva essere portata in

casa dal fratello del defunto per dargli una discendenza. I figli nati da questa nuova unione erano comunque figli del defun-to, non del fratello. Il discepolo che Gesù amava in questo caso sarebbe il parente prossimo, il fratello, colui che ha condi-viso la sua sorte; quindi il capo famiglia morendo chiede al fratello di prendere la donna che è la sposa e di condurla a casa

sua. Questo è l’atto finale della processione del ma-trimonio in cui la sposa veniva condotta alla casa dello sposo perché questi le dia una discendenza. In questo codice sponsale padre Schökel diceva che c’è la missione della Chie-sa. Ogni cristiano è colui che porta la croce, è il di-scepolo prediletto che sta presso la croce prendendo

in casa sua la Chiesa.

Maria ci fa veri credentiDon Andrea Santoro diceva che è più

importante essere Chiesa che avere una Chiesa. Il cristiano che vive nella comu-nità ecclesiale e ha fatto suo lo spazio della comunità ecclesiale, è veramente colui che può diventare un genitore che genera alla fede i nuovi figli del Risorto. I figli non sono miei, sono i figli del Risorto; nell’unione sponsale tra il credente e la comunità c’è veramente il segreto dell’e-vangelizzazione.

Da quell’ora il discepolo la prese nella sua casa, cioè tra le sue cose proprie. In una catechesi degli anni ’90 sulla mater-nità spirituale di Maria, Giovanni Paolo II parlava di Maria come di un ambiente spi-rituale che ci fa entrare nell’intimità con lo Sposo; la fede di Maria fa di noi dei veri credenti. Maria si affida a noi per far vivere

Maria, donna della Nuova Alleanza

14 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

il Cristo in noi; non siamo noi che ci affi-diamo a Maria. Ecco perché questo brano ci dice una cosa molto importante: se è vero che si va a Gesù per Maria (secon-do la scuola francese), cioè attraverso la carne, è anche vero che si va a Maria per Gesù. Maria è un dono per quei discepoli che hanno seguito Gesù fino alla croce.

Qual è questa fede di Maria? Stava presso la croce. Il verbo greco significa stare in piedi, Maria stava in piedi a guar-dare quello che succedeva. Non è affran-ta come la Maddalena, Maria è in piedi perché sa come va a fi-nire. È questa la fede. Avere la fede di Maria è avere la fede nella certezza dell’adempi-mento, cioè che quello che Dio promette lo fa; come aveva promesso ai nostri padri, anche se noi oggi vediamo il fallimento. Il card. Martini ha proposto questa immagine di Maria che scruta l’o-rizzonte, che aspetta l’alba della Risurre-zione. Lei vede la cro-ce ma sta in piedi e quindi vede anche più lontano. Lei sa che c’è una fermata in più, non è vero che sia-mo arrivati al capolinea, questa è la fede di chi spera contro ogni speranza. Chi fa sua la fede di Maria vivendo nella diffi-cile comunità ecclesiale, diventa genitore di altri credenti. Chi ha la fede di Maria diventa evangelizzatore secondo lo Spirito e sa vivere in una comunità conflittuale; se togliamo uno di questi due elementi, l’evangelizzazione non funziona perché gli evangelizzatori slegati dalla comunità non funzionano sui tempi lunghi.

Maternità spiritualeAnche il fallimento fa parte dell’evan-

gelizzazione. È questa la cosa che non si riesce a far capire. Noi la dovremmo ca-pire perché il più grande fallito è Paolo. Paolo ha fallito tutto, è morto solo; inoltre le comunità paoline dell’Asia minore, po-chi anni dopo la sua morte, sono ritorna-te sotto l’influenza dei giudei cristiani. I giudaizzanti hanno vinto nelle comunità paoline. Le lettere pseudo clementine ci testimoniano le ostilità verso le comunità

paoline. Più tardi Ire-neo e Origene recupe-reranno Paolo.Il fallimento è un mo-mento dell’evangeliz-zazione ed è necessa-rio perché si capisca che non è l’uomo ad operare, ma lo Spirito. Il fallimento è ordinato a far capire all’evange-lizzatore e a chi riceve l’evangelizzazione che il proprietario è Cristo. Nella vita pastorale possiamo programma-re ma non possiamo stabilire la fine. C’è il tempo del congedo per

capire che chi fa crescere è uno solo: non è Pietro, non è Apollo, non è Paolo, ma Dio. E’ necessario saper dire addio, come fece Paolo con gli anziani di Efeso. Ecco la maternità spirituale nella Chiesa: dare la vita ma sapere anche quando questa vita non ha più bisogno di me. Si è madre quando si dà la vita nella fede; ma si è madre ancora di più quando si lascia che le persone facciano a meno di noi.

Don Giuseppe FORLAI igs

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ISTITuTO “GESù SACERDOTE”Istituto di vita consacrata per Sacerdoti diocesani

La Spiritualità e le spiritualità

Anche nella società di oggi è pressante la do-manda di spiritualità, ma essa è mischiata a feno-meni ambigui di rinascita del religioso in una cul-tura che rischia di proporre risposte inquinate alle aspettative di salvezza dell’uomo. L’individualismo imperante e il relativismo nel credere fa dell’ade-sione religiosa sempre più una scelta individuali-stica, attingendo a basso prezzo dalle bancarelle delle molteplici offerte di religiosità.

Oggi abbiamo concezioni di salvezza al plura-le: di conseguenza diverse, superficiali e perciò scarsamente liberanti. Si verifica un’incapacità di manifestare in profondità che cosa realmente si desidera. La salvezza non viene intesa più come liberazione dall’egoismo, dalla solitudine, dalla morte, non più come salvezza alla fine della sto-ria, come salvezza che solo Dio può dare attraverso Cristo, ma come speranza terapeutica di tutti gli aspetti della realizzazione di se. L’unica salvezza che si attende e si persegue è la salute come be-nessere fisico: tutto ciò che coincide con l’interesse attuale dell’individuo. Oggi troppi vogliono essere felici, non già della felicità della buona coscienza e della pace profonda e duratura, ma felici del go-dimento delle cose e del tempo. Si cerca il facile, il sensibile, il piacevole come espressione ideale della vita con le conseguenze di tristezza, egoismo, aggressività che possiamo constatare nella politi-ca, nella società, nelle famiglie.

L’offuscamento della spiritualità liberante avviene anche quando nella predicazione e animazione della Chiesa si insiste troppo e unilateralmente sui doveri e sulle pene. Cioè si punta quasi esclusivamente sul

Comunicazione del Delegato

da farsi moralistico dell’uomo, pro-spettando la grazia come un sussi-dio che sopraggiunge all’uomo, nel corso del suo impegno, per sop-perire a ciò che egli non riesce a fare da solo… e non, invece, come qualcosa che viene prima di questo sforzo e lo rende possibile: salvez-za integrale e duratura per grazia (Buona Novella del Vangelo).

16 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

quasi solo inculcato l’impegno ca-ritativo e assistenziale, diventan-do la dimensione esauriente del vivere cristiano. «La pastorale ha finito con l’interiorizzare l’idea che l’esperienza religiosa corrisponde soprattutto a un impegno nel mon-do piuttosto che all’accesso ad una relazione personale con Dio. Il fatto religioso, la vita spirituale sono stati minimizzati per essere trasformati in morale sociale, anzi, in ideologia. In questo contesto è senz’altro difficile riconoscere l’o-riginalità della fede cristiana, che può ormai confondersi con qua-lunque altra pratica religiosa al servizio della società. L’importan-te è amare gli altri, far dei servizi, essere tolleranti. Una volta onora-ti questi valori evangelici, perché mai preoccuparsi per coltivare la comunione con il Signore?» (Enzo Bianchi).

Il punto debole dell’attività pa-storale di molti preti è stato quel-lo di essere andati da soli, troppo da soli, al confronto con le grandi sfide e i gravi problemi di oggi, la-sciando in ombra, nel momento in cui questo doveva emergere nella sua vera forza, l’unica vera e gran-de energia di cui disponiamo e di cui c’è bisogno: Gesù Cristo, la sua grazia, la sapienza del Vange-lo, cioè la potenza del Dio che sal-va. Nella pastorale è fondamentale attivarsi con lucidità per impiantare Cristo nei cuori, predisponendo san-te strategie spirituali, come hanno saputo fare i santi pastori: Vangelo, Parola, Preghiera, opere di bene, celebrazione dei misteri di Cristo al piano superiore, vigilanza e ani-mazione intelligente e continua,

COmunICAzIOnE DEl DElEGATO

La spiritualità cristiana genuina fa sperimentare la libertà e la pace profonda di Cristo che ci “av-volge, coinvolge, stravolge con il suo amore” (2Cor 5,14) all’interno di coordinate spazio-temporali precise e personali. Ogni credente, inserito nel mi-stero pasquale di Cristo, sperimenta la forza della sua risurrezione: “Cristo diventa sapienza, giustifica-zione, santificazione e redenzione” (1Cor 1,30). Cri-stiano, infatti, è colui nel quale lo spirito di Cristo agisce per farlo pregare, pensare, sentire, agire se-condo la sapienza del Vangelo, pagando di persona con gioia, umiltà e dedizione oblativa.

Responsabilità dei presbiteri Si pone qui il problema che tocca da vicino la

responsabilità dei presbiteri proprio per quanto at-tiene alla spiritualità cristiana genuina. Purtroppo parecchi cristiani oggi faticano a trovare, all’inter-no delle strutture ecclesiali e delle parrocchie, un ambiente vitale in cui si può essere formati alla sequela liberante di Cristo, in cui si impara a pre-gare per sperimentare una salvezza integrale; un ambiente in cui poter usufruire di un accompagna-mento o di una paternità spirituale.

Gli ambienti ecclesiali e parrocchiali corrono il ri-schio di diventare un luogo in cui non viene sufficien-temente curata la relazione personale e la comunione con il Signore Gesù (indispensabile per una fede adulta, solida e feconda), ma viene sovrastimato e

17Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

pastorale. Questo significa che essi hanno cercato il superamento della tensione non solo in una ristruttu-razione organizzativa, ma mediante la Parola e la preghiera, nell’appro-fondimento dell’unità della fede e come dono dall’alto. Dalle dif-ficoltà di rapporti che erano sorte nella prima comunità non scatu-riscono due gruppi contrapposti (come purtroppo capita nei nostri ambienti), ma rimane un unica co-munità. Tanto meno si cerca l’unità nel prevalere di un gruppo sull’al-tro, ma in un confronto di ambedue i gruppi con la Parola di Dio.

Dono carismatico dei preti IGS Devo evidenziare, esprimendo

gratitudine al Signore, che i pre-sbiteri IGS, negli ambienti dove svolgono il loro ministero, si di-stinguono nel risultare padri spi-rituali e maestri di preghiera. Ma nello stesso tempo, sento che è necessario richiamare tutti (ma al-cuni in modo particolare) a vigilare perché il proprio servizio ministe-riale (evangelizzazione, catechesi, liturgia, confessioni e direzione spirituale) conduca, prima di tut-to, ognuno di loro e poi i fedeli a sperimentare mistagogia, cioè ca-

COmunICAzIOnE DEl DElEGATO

accompagnata dalla testimonianza di una vita co-erente…

Presbiteri “ministri dello Spirito”Una definizione adeguata del ministero apostolico

e sacerdotale del prete è “servitore di Cristo nello Spirito Santo”. Lo Spirito indica la qualità o la na-tura del nostro servizio che è un servizio spirituale nel senso forte del termine; non solo perché ha per oggetto lo spirito dell’uomo, la sua anima, ma anche nel senso che ha per soggetto, o per agente principale, come diceva Paolo VI, lo Spirito Santo che può illuminare, sanare, trasformare sempre in meglio la Chiesa, la società, i cuori di tutti gli uo-mini in ricerca.

Siamo collaboratori e amministratori del Signo-re e perciò è fondamentale la vigilanza per evitare il rischio di edificare “con materiali inadeguati” (met-tersi al centro, edificare su di sé), e mettere a fon-damento Cristo, la sua sapienza, la grazia. L’esigenza perciò di qualificare e rinnovare, nella vita del pre-te, il rapporto tra preghiera e azione. Si deve passa-re da un rapporto di giustapposizione a un rappor-to di subordinazione. Giustapposizione è quando prima si prega e poi si passa all’attività pastorale; subordinazione è quando prima si prega e poi si fa quello che il Signore ha mostrato in preghiera.

Questo rilievo posto sulla preghiera nel ministero non è da intendere come un incitamento a ritirarsi dall’attività, a lasciarci coinvolgere meno dalle per-sone o ad essere assenti o indifferenti alla nostra società con le sue tante lotte e problemi. La pre-ghiera evangelico-paolina ci aiuta a discernere quali delle nostre attività ministeriali sono veramente per la gloria di Dio e quali, invece, sono primariamente per la gloria del nostro io, ancora non convertito. La pre-ghiera del cuore ci offre una sensibilità nuova che ci rende capaci di distinguere il grano dalla zizzania nel nostro ministero, e così diventare testimoni di Cristo secondo il suo stile e la sapienza della croce.

Significativa, per la comprensione del ministe-ro veramente fecondo, è la scelta illuminata degli apostoli in Atti 6,4 di riservare per loro la parola e la preghiera, riorganizzando saggiamente il servizio

18 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

quello che avevano di più prezio-so. E quello che di più prezioso avevano e abbiamo anche noi, è sempre Cristo Via, Verità e Vita, il Gesù che dà senso alla loro vita e a quella di tutti: e questo Gesù va, comunque, sempre contemplato, incontrato, vissuto, impiantato nei cuori, annunciato con tutti i mezzi e testimoniato con la vita (non monta-gne di discorsi, ma testimonianza del Discorso della Montagna).

Questa è la genuina spiritualità paolina che si nutre di Vangelo, di preghiera liturgica e personale, di opere di carità e di apostolato: è questa infatti che genera persone salde, mature e capaci di dona-zione. Si tratta di una spiritualità all’altezza delle sfide odierne, per-ciò non da moralisti e da legalisti, ma una spiritualità della compas-sione, della comunione con tutti, della grazia, della libertà, dell’im-pegno nell’aiutare gli altri a libe-rarsi dalle varie e molteplici schia-vitù della vita, attingendo sempre con umiltà alle sorgenti della gra-zia: Cristo Parola ed Eucarestia…

Affidiamo a Maria, Regina degli Apostoli, le nostre persone e le no-stre attività apostoliche; presentia-mo questi desideri di bene, assieme a tutte le intenzioni che ognuno di noi porta nel cuore coltivando viva fiducia che “la presenza di Maria, come ha accelerato la discesa del-lo Spirito Santo sugli Apostoli nel Cenacolo, così potrà accelerare il rinnovamento dei nostri cuori, del-la Chiesa e di tutti gli Istituti della Chiesa…” (Beato Alberione).

Don Emilio CICCONI,Delegato IGS

[email protected]

COmunICAzIOnE DEl DElEGATO

pacità di risanare la separazione tra fede, celebra-zione dei misteri di Cristo e vita concreta.

I presbiteri IGS devono sentirsi privilegiati e devono risultare punto di riferimento e fermento positivo nella pastorale diocesana per affrontare e superare questa tematica, a motivo del dono cari-smatico ricevuto della mistica apostolica paolina incentrata in Cristo Parola ed Eucarestia. Soltanto con l’esperienza vitale della comunione con Lui i pre-sbiteri riusciranno a testimoniare e annunciare a tutti la Parola salvifica del Vangelo con tutti i mezzi, va-lorizzando tanti collaboratori laici, manifestando lo zelo apostolico di san Paolo e del Beato Alberione.

D’altra parte tutti i santi pastori, dato che de-sideravano veramente il bene delle anime e la loro salvezza, hanno saputo valorizzare e donare

Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Consigli evangelici

Trasformazione della libertàe scudo contro il male

Pubblichiamo la riflessione del teologo ortodosso russo Pavel Nikolaevič Evdokimov, sposato e padre di due figli, morto nel 1970, il quale considera i consigli evangelici indispensabili nella vita dei laici per cambiare il mondo.

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Il laicato è lo stato di vita che corri-sponde precisamente alla condizione

del monachesimo interiorizzato. Se tutti i fedeli sono chiamati ad incarnare uno spirito monastico secondo le forme con-crete del loro specifico stato di vita, è possibile che osservino gli stessi obblighi con cui i monaci si vincolano con voto? Sì. Per Evdokimov la sapienza che viene richiesta ai laici consiste “nell’assumere, pur vivendo nel mondo e forse soprattutto a causa di questa vocazione, il massi-malismo escatologico dei monaci, la loro attesa gioiosa e impaziente della parusia” e “trovare una modalità personale di ado-zione dei voti monastici”. L’assunzione dei consigli evangelici di povertà, castità, e obbedienza sono la trasformazione della libertà umana e lo scudo contro ogni male.

Il pensiero di Evdokimov troverà una conferma nell’insegnamento magistrale della Chiesa. Il Concilio indica infatti a tutti i fedeli battezzati in Cristo di vivere i consi-gli evangelici in un modo adeguato secondo il proprio stato di vita: “Nei vari generi di vita e nei vari compiti una unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adorando in spirito e verità Dio Padre, cam-minano al seguito del Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria. Ognuno secon-do i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale

accende la speranza e opera per mezzo del-la carità” (Lumen gentium, n. 41).

Secondo Evdokimov, il monachesimo non è una vocazione ristretta, appartenen-te a pochi cristiani, ma riguarda tutti i fe-deli e riassume tutte le vocazioni. Come ogni monaco, così ogni fedele è un croci-fisso con Cristo e un portatore dello Spirito che riascolta e fa sue le risposte di Cristo nella forma di voti o consigli da vivere nel-lo spirito laicale. Sia che si lasci la società come il monaco, ritirato nel deserto, o che ci si ritiri nella cella del proprio cuore, tutti i fedeli sono chiamati ad essere “soli con il Solo” e a recuperare la vera libertà per ritrovare il mondo degli uomini.

Risposta alle tentazioniIl teologo russo presenta i voti mona-

stici come la riproduzione delle risposte del Signore alle tre tentazioni nel deserto. Ogni cristiano, discepolo di Cristo, il “mo-

naco perfetto” che si è fatto povero, casto ed obbediente si pone in contrapposizione alle tentazioni che si ripropongono ad ogni uomo: “Satana presenta le tre soluzioni infallibili per l’esistenza umana: il mira-colo alchimistico della pietra filosofale, il mistero delle scienze occulte con il loro potere illimitato, e infine l’unica autorità unificatrice”.

Alle tre tentazioni di Satana che si pro-pongono come soluzioni universali, Cristo contrappone un voto che risolve in manie-ra contraddittoria ogni possibile problema dell’umanità: “Trasformare le pietre in pani significa risolvere il problema econo-mico, sopprimere il ‘sudore della fronte’, lo sforzo ascetico e la creazione. Gettarsi dall’alto del tempio significa sopprimere il tempio e il bisogno stesso della preghiera, sostituire a Dio il potere magico, trionfare sul principio della necessità, appropriarsi dei misteri e risolvere il problema della conoscenza. Ora, una conoscenza-pene-trazione, senza limiti, significa la sotto-missione degli elementi cosmici e carnali, la soddisfazione immediata della concu-piscenza... la soppressione della castità. Infine, riunire tutte le nazioni col potere dell’unica spada, significa risolvere il pro-blema politico, sopprimere la guerra, inau-gurare l’era della pace nel mondo”.

Il monachesimo fa la sua comparsa nella storia al momento in cui gli imperi del mondo si lasciano trascinare dalle fal-se soluzioni di Satana e si edificano sulle sabbie dei suoi suggerimenti perché mi-sconoscono la potenza della Croce. Il mo-naco torna nel deserto per far eco al no ca-tegorico di Cristo ad “ogni compromesso, ad ogni conformismo, ad ogni complicità col Tentatore, sia esso mascherato con la corona imperiale o con la mitria episcopa-le”. In tutte le sue forme, il monachesimo è la continuazione del combattimento ini-ziato dal Signore nel deserto. I tre voti mo-nastici, quindi, riproducono le tre risposte di Gesù per distruggere con Lui la schiavi-tù del peccato e proclamare la libertà dei figli di Dio.

La povertàLa risposta di Cristo nel deserto sta-

bilisce la nuova gerarchia di valori dello spirituale sul materiale, della grazia sulla necessità. Dalla fame fisica si passa alla fame dell’unico necessario. Con la prima tentazione di Satana di cambiare le pietre in pane, si nasconde dietro un’apparente banalità, il desiderio di togliere il pove-ro che condivide il suo essere nell’Eu-carestia. Ogni vero povero avrà sempre bisogno, ma saprà raggiungere la giusta moderazione dell’uso dei beni per poter condividere i suoi averi, soprattutto col dono di sé. Per il monaco interiore, vivere la povertà è stabilire una nuova gerarchia di valori nella propria vita: il primato del-lo spirito sulla materia e della grazia sul-la necessità; fare uso dei beni come un dono da Dio senza diventare mai schiavo di essi. L’assenza della necessità di pos-sedere diventa il bisogno di non possede-re e restituisce la libertà di donare gratu-itamente. La libertà è fare di se stesso il più grande dono.

Trasformazione della libertà e scudo contro il male

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La castità“Non tenterai il Signo-

re tuo Dio”. Evdokimov scorge nella risposta di Cristo un richiamo alla tentazione dell’uomo di impadronirsi del potere che include il dominio sullo spazio, il cielo e gli spiriti. Come Lucifero cadde dal cielo verso l’in-ferno, il gettarsi dall’alto verso il basso è la caduta provocata dalla concupiscenza. La concu-piscenza è un potere sopra le sfere ma-teriali e naturali dell’uomo e produce un abbassamento anziché un’elevazione della sua dignità, sconsacrandolo come sareb-be sconsacrato il tempio se Cristo si fosse gettato dall’alto del tempio. Per il teologo ortodosso russo la castità invece “è un’a-scensione, l’itinerario del Salvatore dagli inferi al regno del Padre. È anche l’ascen-sione interiore verso la vicinanza ardente di Dio”.

Il monaco interiore è chiamato ad una verginità del cuore che implica un amore puro, penetrando la radice stessa dell’i-stinto umano e innalzando ogni desiderio alla gioia dell’unione compiuta in Dio. Al di là della sfera fisica, la castità è un abito dell’anima che riveste di bellezza la persona pura. Tra due persone è l’amore puro che trasforma perfino la natura dell’affetto e lo innalza alla sfera dello spirito facendo di esso una sorgente di pura gioia immateria-le. Il corpo, quindi, diventa veicolo di co-municazione da spirito a spirito nel senso biblico della conoscenza amorosa facendo dell’unione il compimento dello stato ver-ginale.

L’obbedienzaEvdokimov chiama l’uomo un essere

liturgico e, come tale, la risposta di Gesù alla ter-za tentazione gli ricorda il suo dovere di rendere culto solo al Signore Dio. Il culto spirituale dell’ob-bedienza è il culto del monaco interiore che ren-de a Dio l’omaggio della sua libertà nell’osservan-za della Legge, redenta e portata al compimento da Cristo. L’obbedienza

alla legge della carità riscatta l’uomo dalla schiavitù di se stesso e delle sue passioni, rendendolo libero nella verità del suo es-sere. L’obbedienza è la capacità dell’anima che è libera della propria volontà per porsi in ascolto dello Spirito.

“La vera obbedienza in Dio implica la suprema libertà, sempre creativa; Cristo lo mostra nel suo modo di rapportarsi alla Legge: la porta al suo pieno compimento, la innalza alla misteriosa verità del suo essere grazia. L’obbedienza nel vangelo è accoglienza della verità, che è essenzial-mente liberante”.

Evdokimov ricapitola così la spirituali-tà dei voti monastici nel vissuto dei laici: “L’obbedienza totale a Dio elimina ogni autosufficienza e influenza da parte del mondo. Chi obbedisce veramente a Dio domina il mondo, è regalmente libero e gode pienamente di questa dignità regale. La castità non è una categoria fisiologica, risiede nella struttura pura dello spirito. Nel sacerdozio coniugale essa è l’offerta reciproca e il suo dono totale e unanime a Dio, lo spossesso di sé e la consacrazione della propria esistenza. La povertà è quella recettività aperta che ha il povero nei con-fronti dei disegni di Dio, il povero che non vuole conoscere e seguire altro che il Verbo nel mondo, che aspira a un solo possesso, quello delle ispirazioni dello Spirito”.

Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Consigli evangelici

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Guarire il cuore

22 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Tutti vogliamo cambiare, ma come si fa? Non è affatto facile liberarci dalla

malattia del cuore che è la filautia, cioè l’amore deformato per se stessi. Lo sap-piamo bene, tanto che sovente ci accon-tentiamo di farlo solo per aspetti marginali oppure ci fermiamo alle intenzioni. La no-stra volontà di cambiare si scontra con la resistenza (sorda e muta) delle nostre abi-tudini, impenetrabili, oggettivamente dif-ficili da modificare, che diventano atteg-giamenti istintivi tanto che non sappiamo più distinguerli dal carattere. Molte volte cerchiamo solo di contenerle, pensando in fondo che siano immodificabili, come un dato o un destino più forte della nostra, peraltro debole, volontà. La mentalità co-mune ci persuade, quasi ci impone, che per essere noi stessi dobbiamo conservare tutto, a qualsiasi prezzo.

Seguire GesùPerché allora cambiare, perdere qual-

cosa che mi appartiene? L’individualismo, così imperante, non offre certo motivi per cambiare! Anzi. In realtà noi cambiamo quando incontriamo qualcuno che ci vuole diversi, un sogno per cui farlo, un amore che ci aiuta ad essere nuovi o ci dà un motivo per non restare quelli che si è, che ci spinge ad avere il coraggio di cavarsi un occhio o tagliarsi una mano se questi dan-no scandalo e mettono in pericolo tutto il nostro corpo. Per la logica evangelica quel-lo che conta è seguire il Vangelo, non es-sere se stessi! Amava ripetere frère Roger di Taizè: “Gesù non propone al discepolo ‘sii te stesso’, ma ‘seguimi!’”. La propo-

sta del cambiamento viola la convinzione, in realtà triste, di dovere e potere resta-re quelli che si è, di imporsi con quello che abbiamo, di credere che ci salviamo conservando noi stessi. Il cambiamento è invece cercare di superare i confini inviola-bili del nostro io, non per perdersi ma per trovarsi. E’ lotta indispensabile per uscire dal naturale egocentrismo, vera malattia che paralizza il cuore.

Cambiare è mettere in pratica quella rivoluzione copernicana per cui al centro c’è qualcun altro, rivoluzione affatto scon-tata perché siamo portati a credere che sia

Cambiare per superare l’egocentrismoProponiamo l’avvio del libro Guarire le malattie del cuore (San Paolo 2016) di mons. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, sulla necessità del cambiamento in forza dell’amore di Gesù.

23Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Cambiare per superare l’egocentrismo

il sole a girare intorno alla terra. Invece troviamo noi stessi, la gioia, il ruolo, la si-curezza facendo girare il prossimo intorno a noi.

Ma come farlo? E’ possibile? Non è uno sforzo inutile? Non ha ragione la persua-dente illusione di essere noi stessi, stu-diandoci, interpretandoci, imponendoci? Perché, perché io e perché adesso? Il ri-schio pratico è di essere come i farisei che sanno dire e spiegare cosa devono cam-biare gli altri e pensano di doversi conser-vare proteggendosi dal male che viene da fuori. Per loro la richiesta di Gesù appare uno sforzo inutile, addirittura offensivo, come se significasse buttarsi via o la non comprensione dei loro tanti sacrifici e del-la loro faticata identità. Il rischio è anche quello dell’uomo ricco che non cambia perché non si lascia amare. Solo per amo-re Gesù gli propone un cambiamento altri-menti impossibile come quello di lasciare tutto ai poveri e di seguirlo.

Per amoreDobbiamo riconoscere che non è facile

cambiare e che non basta certo una rego-la per farlo! Noi ci sottoponiamo a tante discipline, a volte anche severissime, per esercitare il nostro corpo e per mantenerlo pienamente funzionante o attraente. Ep-pure abbiamo così poca attenzione a cam-biare il nostro cuore.

Cambiare è naturale? Per certi versi no! E’ un impegno per liberarci da quello che ci deforma, dalla caricatura di noi stessi che è il nostro orgoglio che ci rende atten-tissimi alla considerazione e a quello che appare e non a chi siamo veramente, ai sentimenti che abbiamo, a come spende-re i talenti che ci sono stati affidati. Cam-biare non è un problema di perfezionismo, ma lotta per vivere, per non morire. Non è cercare qualcosa di più, ma sforzo per non

perdere quello che abbiamo e per trova-re il tanto che non abbiamo. Cambiare è aprirsi all’amore. Cambiamo perché è solo cercando di sfuggire alla morsa del vivere per noi stessi e uscendo dal nostro piccolo universo che troviamo chi siamo. Il Van-gelo non propone inutili esercizi di disci-plina interiore, come curiosamente sembra prediligere la nostra generazione. Il Vange-lo infatti non nutre il nostro io, anzi ci fa uscire da questo: è annuncio di liberazione e di rinascita, compreso da chi non ce la fa più, dal peccatore che ha bisogno di per-dono, da chi è smarrito o da chi è stanco e sfinito, come una di quelle pecore senza pastore che commuovono Gesù.

Ci cambia Gesù Ci vuole l’incontro personale con Gesù,

con il suo Vangelo, che cambia la nostra povera vita. Il fariseo si esercita in tan-te discipline, ma senza cuore e senza il prossimo. Crede di avere già trovato e non

Guarire il cuore

24 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

dovere cambiare perché pensa di vedere, di ascoltare. Il fariseo si esercita piuttosto nello scorgere la pagliuzza negli occhi de-gli altri mentre non riesce a vedere la trave nei propri occhi. La trave è la malattia che impedisce di vedere e dalla quale dobbia-mo liberarci. Se non capiamo che gli occhi sono impediti, se non iniziamo a vedere la salvezza e gustiamo la misericordia e non i sacrifici, se non ci liberiamo dalla paura di accettare un cuore che ha sbagliato e finalmente di farci amare così come siamo difficilmente accetteremo di cambiare per davvero. Il nostro impegno non è un aggiu-stamento per una perfezione vuota di vita, individuale, senza gli altri, soggettiva, ma è la lotta per non condannarci a essere in-capaci di vedere e ascoltare.

Benedetto XVI ci ha ricordato che il no-stro io trova il suo compimento solo nell’al-tro: “L’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha biso-gno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un tu l’io può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’io può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppu-re amare se stesso. Questo essere accolto

viene innanzitutto dall’altra persona”.Dobbiamo quindi incontrare l’altro, il

primo prossimo, il fratello più vero che abbiamo, Gesù. Per lui cambiamo. Cam-biamo quando ci abbandoniamo alla sua amicizia, quando non abbiamo paura di aprire la porta del cuore, quando sentiamo il suo amore per noi che dilata il nostro cuore e ci rende capaci di misure diverse da quelle abituali. Gesù non ci cambia con una legge, ma con il suo amore. Solo così possiamo essere diversi, comprendiamo le malattie del nostro cuore e impariamo a liberarcene. Serve l’incontro con Gesù, diretto, senza filtri. E’ lasciarci curare da quel medico buono che vuole uomini con un cuore che funziona, finalmente capace di amare.

Racconta M. Buber in Detti chassidi-ci, che Rabbi Bunam disse: E’ scritto nei Proverbi di Salomone: “Come nell’acqua il viso rispecchia il viso, così il cuore dell’uo-mo rispecchia l’uomo”. Perché è detto nell’acqua e non nello specchio? Nell’ac-qua l’uomo vede la sua immagine soltanto se si avvicina molto. Così anche il cuore deve chinarsi molto vicino al cuore e allora vi scorge se stesso.

Esercizi spirituali isf a Forno di Coazze (To), luglio 2017

25Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Le nostre preghiere

«Credo, mio Dio»

La preghiera che inizia con le parole «Credo, mio Dio» è molto cara alla

Famiglia Paolina. La troviamo infatti quasi inalterata, nei vari manuali di preghiere dalla prima edizione del 1922 sino all’ul-tima, approvata dal Beato Giacomo Albe-rione, nel 1968.

Nei nostri libretti appare sotto il titolo Atto di adorazione. Normalmente la reci-tiamo all’inizio delle Adorazioni eucari-stiche, come aiuto personale per renderci coscienti che Dio è vicino, anzi è presente in mezzo a noi. Potrebbe tuttavia essere utilizzata in ogni momento in cui deside-riamo raggiungere una buona unione con Dio, cioè nei momenti di contemplazione delle grandi realtà della vita (ad esempio per prepararci alla lettura del Vangelo op-pure prima di un buon esame di coscien-za).

È molto breve, ma densissima di signi-ficati e di sollecitazioni al nostro cuore. Composta soltanto di cinque piccole frasi, riesce ad esprimere quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento interiore nei con-fronti del mistero che è Dio, mistero nel quale «viviamo, ci muoviamo ed esistia-mo» (At 17,28).

Nei seminari di Bra e Alba, al tempo

della giovinezza del Beato Alberione, era-no molto apprezzati gli scritti di Sant’Al-fonso Maria de’ Liguori (1696-1787) e gli insegnamenti di San Pier Giuliano Eymard (1811-1868), apostolo della de-vozione eucaristica. La preghiera «Credo mio Dio» sembra proprio ispirata a questi due autori. Infatti tra le Massime eterne di Sant’Alfonso possiamo trovare qualche preghiera somigliante alla nostra, anche se non ne troviamo una così sintetica e pregnante. Certamente a San Pier Giulia-no Eymard si ispirano i “quattro fini” della preghiera, che sono enumerati nelle ultime quattro frasi del «Credo mio Dio»: adora-zione, ringraziamento, riparazione, suppli-ca. Ognuna di queste quattro articolazioni della preghiera comprende un aspetto che contempliamo in Dio e quindi un atteggia-mento della nostra persona: al Dio grande e santo corrisponde la nostra adorazione; al Dio che tutto ci dona corrisponde il no-stro ringraziamento; al Dio offeso da noi corrisponde la nostra richiesta di perdono; al Dio misericordioso corrisponde la richie-sta di grazie per noi.

È chiaro che in questa formula di pre-ghiera ci rivolgiamo a Dio Padre per mez-

«Credo, mio Dio»

26 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

zo di Gesù. Ma è anche bello constatare che solo insieme a Gesù – in particolare a Gesù-Eucaristia –, possiamo realizzare i “quattro fini” della nostra preghiera: in-sieme a Lui infatti adoriamo e ringraziamo il Padre, chiediamo perdono per i pecca-ti del mondo e supplichiamo il Padre per ogni grazia a noi necessaria.

Proprio per questa sua densità di con-tenuto, sarebbe bene recitare molto len-tamente il nostro Atto di adorazione, la-sciando un breve intervallo tra ciascuna delle cinque frasi: in tal modo potremo riuscire a concentrare meglio l’attenzione su ciò che stiamo dicendo e ad unirci più intimamente a Dio, signore del tempo e della storia.

Se può interessare, di questa preghie-ra esiste anche una versione musicata da don Carlo Recalcati, nella raccolta di canti intitolata “Sacrificio di lode” (Multimedia San Paolo).

Don Paolo LANZONI ssp

NOVITàBeatrice Immediata

doN STEFANo lAMERAUn apostolo del nostro tempo

Edizioni Paoline 2016

Don Stefano Lamera fu uno dei primi sacerdoti della Società San Pao-lo. Postulatore generale della Famiglia Paolina, delegato per gli Istitu-ti aggregati «Gesù Sacerdote» e Santa Famiglia. E molto altro.Rimase celebre la sua rubrica di posta settimanale su Famiglia Cristia-na, «Il padre risponde», che durò più di un decennio. Si firmava «Pa-dre Atanasio», ed era il padre di tutti, credenti e non credenti. Molti altri impegni occuparono la sua vita sacerdotale. Viaggiava di conti-nuo per raggiungere attraverso la Penisola, da Nord a Sud, quelle cen-

tinaia e centinaia di persone che popolavano i due istituti aggregati. E non soltanto quelli. Era un uomo di intensa vita interiore e di profondo spirito apostolico, che comunicava a quanti lo avvicinavano. Aveva ricevuto dalla Provvidenza doni particolari. A vent’anni dalla morte la sua memoria è sempre viva tra quanti lo hanno conosciuto.

27Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Invece – leggo nell’editoria-le della rivista Tredimensioni n.1/2017 – il sacramento del ma-trimonio è un evento che segna irrimediabilmente la vita di chi lo compie perché pone in essere qualcosa di completamente nuo-vo. Il fatto di sposarsi in chiesa crea una linea di demarcazione fra il prima e il dopo facendo inizia-re qualcosa che prima non c’era. Cambia il tipo di amore: da gratuito a debito reciproco.

L’amore dei fidanzati è un re-galo libero, quello degli sposi è un debito reciproco. I fidanzati si danno l’amore gratis. Se lo danno perché così piace a loro e finchè permane il desiderio di farsi il re-galo. Se si lasciano nessuno li con-sidera alla stregua dei separati. Loro non si devono il loro amore.

Invece gli sposi sì. Il matrimo-nio cristiano fa del loro amore un amore devoto. Con il “sì” del ma-trimonio, l’amore – prima gratuito – diventa amore dovuto. Ci si impe-gna a doversi amare.

L’amore tra uomo e donna, al suo principio, è qualcosa che non è dovuto, che si da gratis. Inve-ce, con la decisione volontaria di

A Loreto l’abbiamo portata ai piedi di Maria Santissima: è l’angoscia, la pena, il disagio

interiore di tanti genitori di fronte alla scelta dei propri figli di andare a convivere. Ma perché que-sta scelta – ci si chiede ogni tanto con il dolore nel petto – e come spiegare loro la differenza col sa-cramento del matrimonio cristiano? Troppo spesso ci sentiamo impreparati e quindi incapaci di dire e testimoniare la distanza che c’è tra le due forme di stare insieme.

Nuovo tipo di amoreCosa cambia in effetti col matrimonio cristiano?

Sembra che non cambi nulla se si considera solo la solennità formale che ad un certo punto interviene nella storia sentimentale senza mutarla di qualità o un misterioso evento spirituale che non si capi-sce bene che cosa sia.

ISTITuTO “SAnTA FAmIGlIA”Istituto paolino per coppie di Sposi consacrati

lettera del Delegato

Il sacramento del Matrimonio

28 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

lETTERA DEl DElEGATO

sono deluso, dopo 30 anni di ma-trimonio, per quello che abbiamo raggiunto? Così ci provocava don Bonetti al Convegno di Ariccia.

Negli sposi è impresso il carat-tere indelebile dell’amore di Dio, del suo modo di amare, della sua qualità di amare. Quindi hanno dentro una potenza, una capacità, un’abilitazione ad amare “alla di-vina”.

Ma quante volte abbiamo usato questa potenza divina? Forse non l’abbiamo mai usata. Ecco perché noi dobbiamo darci da fare per ri-scoprire il valore del matrimonio e testimoniarlo in concreto ai nostri cari. Ci siamo mai proposti ad es. di prendere da parte i nostri figli o nipoti per spiegare loro a parole nostre la bellezza del dono ricevu-to con il sacramento del matrimo-nio?

Fare coppia e fare famigliaE’ le convivenze? Sono una mi-

naccia al matrimonio? No, perché sono tutt’altra cosa rispetto al ma-trimonio cristiano che socialmente parlando è oggi scelta profetica e controcorrente. Se i conviventi non hanno la prospettiva del dopo e del diverso non hanno motivo per fare il salto.

sposarsi, diventa una cosa dovuta. L’uomo ormai non possiede più la sua mascolinità perché l’ha donata alla donna e la donna non possiede più la femminilità perché l’ha donata all’uomo, cosicchè non sono più due persone in relazione, bensì una sola carne. Amarsi da sposi è volersi amare a titolo di debito reciproco. Dopo essersi regalati recipro-camente, ora dichiarano di doversi l’uno all’altro. Poiché si sono resi l’uno dell’altra, l’amore libera-mente dato all’altro diventa amore dovuto all’altro per debito contratto.

La linea di demarcazione dice che dopo il sì c’è del tutt’altro. E’ importante sottolinearlo, quasi esagerarlo. Infatti se fra il prima e il dopo non c’è nessuna differenza non si capirà mai l’esigenza di totalità che il dopo comporta e che prima non c’e-ra. La totalità non è il completamento della parzia-lità precedente, ma è l’espressione di una novità prima solo intravista.

Amare “alla divina”Con il matrimonio l’amore di prima non c’è più.

E’ diventato un’altra cosa. L’atto di sposarsi chiude un periodo e ne apre uno nuovo. Il sacramento del matrimonio è una proposta di futuro nuovo, ma se il futuro è una ripetizione dell’ieri, il sacramento è solo una tenera cerimonia e basta.

Cristianamente parlando quelli che si sposa-no in chiesa non stanno celebrando il loro amore (questo lo faranno al ristorante semmai), ma stan-no celebrando l’amore di Dio che si insinua nel loro amore umano rendendolo nuovo, innalzando-lo a sacramento. E’ Dio che li rende sposi. E’ l’a-more di Dio e non la loro iniziativa che innalza il loro amore umano a sacramento. Dio li ha costituiti amanti e non se ne pentirà mai.

Leggiamo al n. 121 di Amoris Laetitia: “Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del matrimonio, Dio, per così dire, si ‘rispecchia’ in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carat-tere indelebile del suo amore”. Queste parole ci fanno veramente stupire: “Dio si rispecchia den-tro noi due”. Ma come mai sono io per primo che ho poca stima del mio matrimonio? Come mai io

29Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

lETTERA DEl DElEGATO

ma anche trasformati. Su questo progetto nuovo la fede cristiana ha molte novità da dire.

Finchè non sviluppiamo mag-giormente la nostra consapevo-lezza della grazia racchiusa nel sacramento del matrimonio non potremo rendere evidente la diffe-renza con la convivenza e ci sarà difficile far cogliere ai nostri figli la preziosità e ricchezza del vincolo matrimoniale sacramentale che ha dato loro stima e sicurezza interio-re nella crescita.

Sempre meno matrimoniTra il 2009 e il 2010 sono stati

celebrati quasi 30 mila matrimoni in meno dicono i dati Istat. Perché questo calo se poi tutte le intervi-ste riportano al vertice delle prefe-renze la famiglia?

Ecco il pensiero di Maria Dos-setti, che ha insegnato Diritto di famiglia all’Università Bicocca di Milano ed è autrice di diversi li-bri sul tema: “La ragione di fon-do del calo dei matrimoni risiede nella cultura di questi ultimi 10-15 anni centrata sul benessere personale. Oggi è molto di moda lo stare bene personale. Un atto come il matrimonio che costrin-ge a confrontarsi e ad assumere obblighi nei confronti di altri spa-venta perché mette a rischio il pro-prio essere e il proprio benessere. Sposarsi implica un legame preso davanti alla società e alla legge, con dei diritti e dei doveri. È un progetto che richiede impegno e qualche rinuncia all’inizio. Ma che, se si riesce ad andare oltre il proprio tornaconto immediato, è

Per convincere al matrimonio cristiano si può seguire la strada di svilire l’amore delle convivenze ad es. sottolineando che si ha paura di assumersi la responsabilità delle scelte definitive; oppure si può seguire la strada del mettere ben in evidenza la loro diversità.

Distinguere cioè fra • fare coppia (= convivenza) e • fare famiglia (= matrimonio), distinzione che, per altro, è già ben chiara nella

mente dei giovani che intendono sposarsi oggi.Fare coppia non coincide con fare famiglia. Sono

due cose diverse, tanto è vero che il “fidanzamen-to” è una parola che non si usa più perché non c’è un prima e un dopo e non si può dire che la convi-venza sia il primo passo per sperimentare il modo di fare famiglia.

Oggi la coppia si definisce in base a se stessa e il suo progetto è l’incontrarsi dei due soggetti. Per farlo non c’è bisogno del sacramento. Può bastare la psicologia e un po’ di flessibilità mentale quan-do nascono incomprensioni. Sulla complementari-tà duale la fede cristiana ha poco di specifico da aggiungere.

Fare famiglia è invece incontrarsi ma per un progetto che supera le soggettività dei partecipanti (vedi l’aspetto procreativo, ma non solo), per un qualcosa di nuovo da loro con-creato ma anche donato, un “noi” guadagnato e inaspettato, pro-grammato e imprevisto, cercato e ricevuto dall’al-to di fronte al quale i due si trovano confermati

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lETTERA DEl DElEGATO

ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?”.

L’uomo sorrise e mi battè la mano sulla spalla dicendo: “Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei”. Dovet-ti trattenere le lacrime. Avevo la pelle d’oca e pensai: “Questo è il genere di amore che voglio nella mia vita”.

Don Roberto ROVERAN, del. [email protected]

molto positivo. Purtroppo non c’è stata sufficien-te educazione sul matrimonio, neanche da parte della Chiesa, per far comprendere che può essere l’occasione per stare meglio in due”. Questo stare meglio in due ci fa ricordare la promessa di Gesù nel Vangelo: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).

La fedeltà nell’amoreEra una mattinata movimentata, quando un an-

ziano di 80 anni arrivò per farsi rimuovere dei pun-ti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento. Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un’ora prima che qualcuno potesse intervenire. Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e allora decisi di occuparmi io della ferita. Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. Mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi rac-contò che era affetta da tempo dall’Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po’ tardi.

Mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni. Ne fui sorpreso, e gli chiesi: “E va ancora

Esercizi spirituali isf ad Arborea, giugno 2017

31Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Famiglia e sessualità

Termine dimenticato“Noi vogliamo - si legge al n. 22

dell’enciclica Humanae vitae (HV) - ri-chiamare l’attenzione degli educatori e di quanti assolvono compiti di responsabili-tà in ordine al bene comune dell’umana convivenza, sulla necessità di creare un clima favorevole all’educazione della ca-stità, cioè al trionfo della sana libertà sul-la licenza, mediante il rispetto dell’ordi-ne morale”. “L’educazione della castità” è parte integrante dell’educazione della sessualità e della preparazione remota alla procreazione responsabile. Un richia-mo fondamentale nell’Enciclica dedicata

alla trasmissione della vita umana, che mette in evidenza come non sia possibile vivere una procreazione responsabile sen-za aver acquisito la capacità di orientare l’istinto sessuale al servizio dell’amore e di integrarlo nello sviluppo personale.

“L’educazione della castità”: un tema sul quale si è soffermato anche Giovan-ni Paolo II nell’enciclica Evangelium vi-tae (EV): “Non ci si può, quindi, esimere dall’offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l’autentica formazione alla ca-stità, quale virtù che favorisce la maturità della persona e la rende capace di rispet-tare il significato sponsale del corpo” (EV

Educazione della castitàPubblichiamo a puntate un importante contributo della dott.ssa Maria Luisa Di Pietro, pro-fessore associato di Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, pronun-ciato al VI Incontro Mondiale delle Famiglie celebrato in Messico nel 2009.

97). “L’educazione della castità” richiede di creare un “clima favorevole” al suo svi-luppo a fronte di una cultura fortemente condizionata dagli effetti dell’onda lunga della rivoluzione sessuale. D’altra parte, in un crescendo di frammentazione del significato della persona (divisa nelle sue componenti biologica, affettiva e spiritua-le), della sessualità (ridotta da dimensio-ne strutturale a sola funzione genitale), della famiglia (non più declinata al sin-golare quanto piuttosto al plurale), della generazione umana (privata dell’humus della relazione interpersonale dei coniu-gi), non solo si è reso inutile parlare di castità ma addirittura “della castità” si è dimenticato il nome.

Il significatoIl concetto di “castità” è collegato a

un’immagine di sessualità - o per meglio dire di genitalità - negata e frustrata tanto da essere considerata nociva per l’amore. “Castità non significa affatto - si legge al n. 33 della Familiaris consortio - né rifiuto né disistima della sessualità umana: signi-fica piuttosto energia spirituale, che sa di-

fendere l’amore dai pericoli dell’egoismo e dell’aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione”. La castità non è rifiuto della sessualità perché - se così fosse - si negherebbe una realtà che “è ricchezza di tutta la persona” (EV, 97); la castità non è disistima dei valori e delle esigenze della sessualità perché i valori, in quanto tali, sono da amare e le esigen-ze, se autentiche, sono da accogliere. “La castità - si legge nel documento del Pon-tificio Consiglio per la Famiglia del 1995 - è l’affermazione gioiosa di chi sa vivere il dono di sé, libero da ogni schiavitù egoi-stica”. Ed ancora, scrive Karol Woytila in Amore e responsabilità: “La castità è la trasparenza dell’interiorità, senza la quale l’amore non è amore, e non può esserlo fino a che il desiderio di godere non viene subordinato alla disposizione ad amare in tutte le circostanze”.

La castità non conduce né al disprezzo del corpo né alla svalutazione della vita sessuale, ma innalza il valore del corpo sessuato a livello del valore della persona. Questa disposizione o tendenza ad armo-nizzare le energie della sensualità e della affettività con il valore della persona vie-ne definita “integrazione” e presuppone la capacità di autopossedersi e di auto-dominarsi.

Una manifestazione di questa capacità di integrazione è la continenza ovvero l’at-titudine a controllare e orientare le pul-sioni di carattere sessuale e le loro con-seguenze: la continenza - scrive Giovanni Paolo II nella catechesi del 24 ottobre 1984 - “consiste nella capacità di domi-nare, controllare e orientare le pulsioni di carattere sessuale (concupiscenza della carne) e le loro conseguenze, nella sogget-tività psicosomatica dell’uomo. Tale capa-cità in quanto disposizione costante della volontà, merita di essere chiamata virtù”. Essere continenti non significa, dunque,

Educazione della castità

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33Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Famiglia e sessualità

esercitare un cieco controllo della con-cupiscenza e delle reazioni sensuali. Si-gnifica, piuttosto, agire alla luce della comprensione dei fini della sessualità: l’apertura ai più profondi valori della femminilità e della mascolinità nella sponsalità e l’autentica libertà del dono recipro-co delle persone. Solo in questo modo, la continen-za aiuterà ad andare oltre il linguaggio delle parole e dei gesti per scoprire quel “linguaggio ontologi-co” che è la vera ricchez-za della persona e che si manifesta attra-verso il significato nuziale del corpo.

Accettarsi sessuatiPer un’adeguata comprensione del

concetto di castità bisogna muovere dal-la lettura dei valori e dei significati della sessualità. “La sessualità è ricchezza di tutta la persona”(EV, 97); “la sessualità - si legge al n. 3 del già citato documen-to del Pontifico Consiglio per la Famiglia - non è qualcosa di puramente biologico, ma riguarda piuttosto il nucleo intimo del-la persona”. La sessualità è ricchezza e dimensione strutturale della persona, ma anche capacità di entrare in relazione e in comunicazione con gli altri, “segno” e “luogo” dell’apertura, dell’incontro e del dialogo; la sessualità è espressione della persona intimamente orientata all’amore e al dono, alla fecondità nella coniugalità e nella scelta verginale. La sessualità è, allora, più della genitalità e la genitalità acquista valore umano solo e nella misu-ra in cui è integrata nell’unitotalità della persona.

Dire che la sessualità è dimensione strutturale della persona non equivale,

però, ad affermare che essa sia l’unica dignità dell’uomo: “La corporeità e la sessualità - scrive Giovanni Paolo II nel-la catechesi del 7 novembre 1979 - non

si identificano completa-mente. Sebbene il corpo umano, nella sua normale costituzione, porti in sé i segni del sesso e sia, per sua natura, maschile e femminile, tuttavia il fat-to che l’uomo si fa corpo appartiene alla struttura del soggetto personale più profondamente del fatto che egli sia nella

sua costituzione somatica anche maschio e femmina”.

Muovendo da questa lettura il rapporto persona/corpo sessuato rientra nella ca-tegoria dell’essere e non dell’avere, per cui ciò che non si possiede non si può né usare né far usare. E allora, così come ri-pugna istintivamente l’idea di considera-re il corpo umano come semplice oggetto di scambio, allo stesso modo si deve esi-gere rispetto per la propria mascolinità e femminilità. Riconoscere il significato va-loriale dell’essere sessuati vuol dire com-prendere che l’unica modalità di scambio deve essere quella del dono, totale, re-ciproco, esclusivo. E, se la sessualità è dimensione originaria, l’uomo e la donna non possono vivere la propria esperienza terrena se non accettando di essere ses-suati.

Relazione tra sessi diversiLa sessualità ha anche un significato

interpersonale: questo vuol dire che la di-versità maschile e femminile è una diver-sità relazionale, con una duplice funzione, personalizzante e socializzante. La ses-sualità ha una funzione personalizzante

Educazione della castità

34 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

sia per il bambino, che attraverso il con-fronto-dialogo con il genitore dello stesso sesso e con il genitore del sesso opposto arriva a strutturare la propria personalità e ad assumere un’identità sessuale, sia per l’adulto. La sessualità ha una funzione so-cializzante perché è spinta ad uscire da se stessi per entrare in comunicazione e, successivamente, in comune-unione con gli altri. In tal senso, la sessualità umana esprime e realizza il bisogno della perso-na di uscire dalla propria solitudine e di comunicare con gli altri: e tale bisogno è insieme segno e frutto della povertà e del-la ricchezza della persona, chiamata ad amare ed a essere amata.

E’ attraverso la comunicazione e il dia-logo che l’uomo e la donna percepiscono la propria differenza e si sentono attratti e orientati verso l’altro sesso. Dell’altro ses-so si vorrebbero scoprire e comprendere anche i più reconditi misteri: ma tra l’uo-mo e la donna rimane sempre una diffe-renza, un abisso incolmabile che neanche l’imitazione di comportamenti o di atteg-giamenti propri dell’altro sesso riescono a superare. La relazione tra l’uomo e la donna diviene così segno di dualità e re-ciprocità, ma anche di complementarità: l’uomo e la donna sono simili e differen-ti nello stesso tempo; non sono identici, ma hanno una uguale dignità, che deriva dall’essere persone e che è necessaria af-finché tra di loro ci sia una possibilità di incontro e di intesa.

Dal momento che la sessualità umana ha un significato interpersonale, ne con-segue che il fine a cui essa è intrinseca-mente orientata e, pertanto, il messaggio che esprime, è l’amore nel senso di dona-re e ricevere: questa vocazione all’amore si realizza attraverso il corpo sessuato te-stimone così del dono reciproco, dell’es-sere e dell’esistere come dono con e per qualcuno; un corpo che ha un significato

“sponsale” in quanto capace di esprimere amore.

Relazione sessuata e genitaleEd anche se è vero che nessuno può

rifiutarsi di essere uomo o donna, ciò non significa né che il sesso esprima tutta la persona né che ogni persona sia necessitata ad esprimere la totalità delle proprie capacità sessuali, anche quelle fisiche. Bisogna, infatti, fare differenza tra relazione sessuata e relazione ses-suale-genitale.

La relazione sessuata è la comune re-lazione tra persone di sesso differente o dello stesso sesso, improntata a stima, rispetto, amicizia e, affettività, senza il coinvolgimento del corpo sessuato, senza la genitalità fisica: infatti, l’incontro, il dia-logo o il conflitto tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso, non posso-no non essere sempre segnate dalle carat-teristiche e tratti tipici dell’essere uomo o donna.

La relazione sessuale-genitale ha, inve-ce, come caratteristica peculiare la totalità delle componenti della persona, che dan-no vita all’apertura, all’incontro, al dialo-go, alla comunione ed all’unità: si tratta di una reciproca donazione personale e totale, espressione di tutta la persona, che genera e alimenta una relazione unica ed esclusiva, irrevocabile e definitiva, ordina-ta all’integrazione reciproca dell’uomo e della donna.

Nel momento in cui la relazione ses-suale-genitale è inserita in un contesto di amore e di dono totale e totalizzante tra un uomo e una donna, essa acquista un valore positivo e fa da completamento di un’unione che, resa indissolubile dallo stato di coniugalità, si apre per sua intrin-seca dinamica alla fecondità.

(continua)

Vedovanza

Un amore purificatoAnche l’amore degli sposi è una crea-

tura segnata dal peccato e dallo squilibrio da esso derivato. Attende così una guari-gione, una purificazione: bisogna guarire la febbre carnale soggetta all’impulso e soprattutto bisogna guarire la più profonda malattia spirituale che è l’egoismo.

Inserito nella morte e resurrezione del Cristo, mediante il Sacramento del Matri-monio, l’amore coniugale viene guarito e purificato: “Cristo ha amato la sua Chiesa; Egli ha dato se stesso per lei; per santi-ficarla, purificarla... volendo presentarla a se stesso, questa Chiesa, ... che non avesse macchia o ruga” (Ef 5,25-27); “Il Signore si è degnato di sanare ed eleva-re questo amore con uno speciale dono di grazia e di carità” (Gaudium et spes, 49).

La grazia della purificazione va accol-ta e corrisposta giorno per giorno. E’ il Si-gnore stesso che interviene con la morte e l’incontro beatificante con Sé liberando il coniuge defunto, anche nel suo amore sponsale, “da ogni debolezza e da tutte le scorie dell’egoismo”: solo così può con-templare il volto di Dio Santo. Ma la grazia data ad un coniuge per la sua perfetta e definitiva purificazione in cielo diventa ap-pello e chiamata all’altro rimasto in terra affinché purifichi e spiritualizzi il proprio amore. E quanto più la vedova si sentirà sposa e quindi chiamata dal Signore alla comunione dell’amore sponsale col mari-to, tanto più si troverà stimolata a lavora-

re perché il suo amore terreno sia il meno lontano - nella purezza e nella spiritualità - dall’amore celeste del coniuge ormai en-trato nell’intimità divina.

La vedova, poi, non potrà dimenticare il valore del suo “Sì” nel giorno delle nozze; era innanzitutto un sì d’amore dei due spo-si di fronte alla chiamata del Signore e ai suoi disegni. Pertanto dal sì sacramentale del giorno delle nozze la vedova attinge la grazia e la responsabilità di offrire al Si-gnore (e in Lui anche al marito) un amore sponsale sempre più puro e spirituale: sino all’offerta dell’ultimo giorno.

La grazia di un nuovo incontroE’ stato giustamente osservato che la

vedovanza “dal punto di vista umano è una separazione mentre dal punto di vista cri-stiano è invece il preliminare per un nuovo incontro”.

E’ una fase dolorosa e purificatrice dell’intimità coniugale. E’ un istante, un

Un amore sponsale semprepiù puro e spirituale

35Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Proseguiamo la pubblicazione di alcune riflessioni per i membri del nostro Istituto che hanno perso la persona più cara al mondo a partire da alcuni stralci di un testo ormai introvabile del card. Dionigi Tettamanzi.

Un amore sponsale sempre più puro e spirituale

36 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

periodo, un passaggio in quella grande e immensa dilatazione dell’amore che va dal primo consenso all’eterno incontro. “E’ una morte per una vita nuova, una rottura fisica per un incontro spirituale una sepa-razione temporale per l’ingresso nell’inti-mità eterna con lo sposo. E’ un passaggio, una Pasqua” (L. Lochet).

Si deve quindi ricordare come l’uni-tà e l’indissolubilità, mentre sono delle realtà attuali che caratterizzano l’amore coniugale consacrato dal Sacramento del Matrimonio, sono anche un annuncio e anticipazione di quella sublime comunio-ne eterna che sarà sperimentata dai beati (dagli sposi beati) con Dio; il Ma-trimonio è profezia dell’intimità del Paradiso.

E la vedova si va preparando a questa nuova intimità, accettan-do il distacco fisico dal marito e la perdita della sua presenza, re-alizzando un incontro spirituale e la conquista di un’altra presenza più intima, più profonda, più effi-cace. Non deve pensare di essere sola nel desiderare d’incontrarsi spiritualmente col marito, quasi nutrisse in cuore un desiderio vuoto e ste-rile.

Pio XII chiaramente parla di un “desi-derio” che colui (lo sposo) che vede ormai

Dio faccia a faccia aspira per coloro che egli più di ogni altra cosa ha amato nel corso della sua vita terrena; a Dio il beato sposo può chiedere quanto è necessario e utile per la santificazione della sposa e anche perché essa non conosca “il ripiega-mento su se stessa, lo scoraggiamento, gli attaccamenti inconsistenti”.

Il marito non si presenta del tutto solo davanti a Dio: egli resta in modo nuovo le-gato al focolare terreno. Quando Dio l’ha chiamato a sé, non l’ha invitato ad ab-bandonare il suo focolare, ma ad esserne il rappresentante e l’orante presso di Lui (Dio non toglie mai quello che ha donato durante la vita terrena).

Si può e si deve credere ad una pre-senza del padre nel focolare domestico; la vedova, in tal modo, non si penserà sola nell’educare i figli e nelle altre incomben-ze. Duplice è allora questa nuova presenza: quella della vedova con il marito defunto e di questi con la moglie rimasta in terra. Il “luogo” che rende possibile l’incontro e il dialogo tra i due sposi è il Cuore di Dio, verso il quale tutti e due sono ordinati!

Il discorso di Pio XII presenta poi il Sa-cramento del Matrimonio come una specie di “consacrazione” dei coniugi, che vengono trasfi-gurati e assimilati a Gesù Cristo in quanto Sposo della Chiesa. Il Papa ritorna sull’idea che la ve-dovanza è una continuazione del Matrimonio e afferma che “la vedovanza diventa in qualche modo il compimento di questa mutua consacrazione”. Vissuto in maniera nuova nello stato di ve-dovanza, quest’amore coniugale

conserva e matura la sua dimensione origi-naria, quella “religiosa” di consacrazione e di santificazione (continua).

A cura di don Paolo LANZONI ssp

37Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

Nel 1989 si è tenuto a Zafferana Et-nea (Catania) un corso di Esercizi

spirituali. Il giovedì al nostro arrivo don Stefano non era ancora arrivato. Allora il venerdì mattino chiedo agli organizzatori del corso quando sarebbe arrivato. Mi rispondono: “Oggi pomeriggio”. Allora chiedo: “Chi va a pren-derlo all’aeroporto?”. Mi rispondono: “Ci vuoi an-dare tu?”. E io rispondo subito affermativamente. Anche mia moglie Maria Rosa condivide.

Così nel pomeriggio insieme alla cop-pia Pasquale e Maria Buglino siamo an-dati all’aeroporto di Catania. Don Stefano appena ci ha visti è rimasto meravigliato: “Come mai voi di Palermo siete venuti a prendermi a Catania?”. E scherzando ag-giunse: “Rimprovererò quelli di Canicattì perché hanno fatto venire voi”.

Mentre ero alla guida sulla strada di ri-torno ad un bivio vedo un cartello che in-dica Zafferana Etnea per la sinistra e mi immetto. In quell’istante però Pasquale mi dice: “Franco, guarda che hai sbagliato”. Nel frattempo sentiamo un rumore di la-miere e don Stefano che dice: “Quel colpo era per noi”. Inverto la marcia e riprendo la strada giusta.

Cosa era successo? Due auto si erano scontrate. Il Signore non aveva permesso che quell’incidente capitasse a noi che avevamo don Stefano in auto.

* * *Come è risaputo, ogni anno il lunedì

di Pasqua don Stefano Lamera veniva a

riposarsi alcuni giorni a “Casa Nazareth” in Palermo dove teneva il ritiro spirituale ai sacerdoti dell’Istituto Gesù Sacerdote il martedì e il mercoledì ai membri dell’I-stituto santa Famiglia. Il pomeriggio di

mercoledì o la mattina di giovedì ripartiva per Roma.

“Casa Nazareth” era una villetta nella diocesi di Monreale che don Matteo Saladino metteva a dispo-sizione dei nostri due isti-tuti.

Non è un caso che nel 1990 avesse deciso di ri-

partire il giovedì. Quel giorno iniziava con una bella mattina di sole primaverile. Il sottoscritto insieme a Pasquale Buglino, incaricati di accompagnare don Stefano all’aeroporto, partiamo alle 9 circa dopo aver fatto colazione.

Arrivati in viale Leonardo da Vinci ab-biamo trovato un vero e proprio tappeto di auto ferme per cui era quasi impossibile attraversare piazza Einstein. Dopo circa 15 minuti avevamo percorso appena qualche metro. Don Stefano cominciò a preoccu-parsi: “In questa maniera e con questo traffico perderò l’aereo”.

Ci ha invitati allora a pregare l’Angelo custode affinchè ci aprisse un varco e po-ter attraversare la piazza. Passati appena alcuni minuti e con grande nostra meravi-glia si è aperto il varco desiderato ed ab-biamo superato celermente l’ostacolo.

Don Stefano in quell’occasione ci ha esortati a pregare spesso l’Angelo custode perché ci ottiene dal Signore tanti favori (Francesco PALUMBO, isf di Palermo).

Come evitare l’incidente e il trafficoRiportiamo all’attenzione di tutti due piccoli episodi fra i tanti capitati ai membri dell’istituto santa Famiglia in compagnia di don Stefano Lamera.

Esperienze e testimonianze

38 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Da tempo sentivamo nel nostro gruppo di Livorno la necessità di affrontare

con una persona competente l’argomento tanto delicato della purezza. Pensava-mo di chiederlo ai sacerdoti che ci ospitano e ci seguono durante la giornata del ritiro mensile. Ci hanno dato la lo-ro disponibilità ad incontrarci anche un’altra volta per que-sto argomento se ne avevamo desiderio. Oltre ai sacerdoti pensavamo bene di invitare genitori con figli, quindi con esperienza diretta. Così abbiamo interpellato chi pensavamo bene facesse con noi questa esperienza. Dopo qualche incertezza e timore, il genitore da noi invitato ha ac-cettato; noi responsabili abbiamo dato un piccolo aiuto e poi abbiamo fissato una data e l’orario per l’incontro.

All’inizio da parte del genitore c’era un po’ di imbarazzo perché non si sentiva in grado, poi noi abbiamo rotto il ghiaccio con una domanda e questo è stato utile per sciogliere un po’ la tensione. La per-sona che ci ha esposto la sua esperienza e che ha quattro figli ha detto di aver sem-pre puntato molto sul concetto di rispet-to: rispetto fra genitori e figli, rispetto di se stessi, rispetto del proprio e dell’altrui corpo. In particolare con le figlie femmi-ne, ha fatto capire anche quanto sia im-portante non vestire in modo indecente, così da non offrire agli sguardi degli uo-mini le forme del proprio corpo, come se fosse una merce da mostrare. In quanto ai rapporti tra fidanzati e all’argomento della castità prima del matrimonio, il genitore ha detto di non aver fatto ricorso ad ar-gomenti di fede, ma di aver puntato sui valori umani, validi per chiunque. La sua

argomentazione con i figli punta sull’op-portunità, durante il fidanzamento, di non dare tutto se stesso all’altro, sia per quan-to riguarda la propria interiorità sia riguar-

do al corpo, perché questa do-nazione totale di se stessi è da riservare al matrimonio, cioè all’unione che è per sempre. Su questi punti c’è stata una discussione molto partecipata da parte di tutti. Non siamo ar-rivati a concludere l’argomen-to perché da ogni punto ne

nascevano altri. Poi si è discusso su ciò che era naturale e non, su ciò che poteva riguardare una concezione religiosa oppu-re no… Una coppia simpatizzante portava delle motivazioni da non sottovalutare, ma che sono idee quasi generali. Insomma di-ciamo che siamo arrivati all’ora del pranzo senza rendercene conto per cui abbiamo dovuto finire senza concludere, ma se ci sarà la disponibilità del genitore faremo altri incontri.

Sentiamo molto la necessità di affron-tare argomenti insieme ed approfondire diverse cose, ma la famiglia ha le sue necessità e non si può stare sempre nel gruppo anche se ne abbiamo desiderio (Celeste e Rudy BARONTINI isf di Livorno).

A scuola di purezza

39Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

Il 2 aprile scorso abbiamo vissuto un’e-sperienza di comunione di Chiesa locale.

Presso la Domus familiae Nozze di Cana in Bari-Torre a mare, struttura diocesana aperta da poco e voluta per la formazione e l’accoglienza di tutte le famiglie, si è tenuto un ritiro spirituale per due gruppi di fidanzati impegnati nei percorsi di for-mazione al sacramento del Matrimonio ed appartenenti alle comunità parrocchiali S. Maria di Monteverde in Grumo Appula e S. Maria Assunta in Sannicandro (Bari). Le 15 coppie presenti, accompagnate dalle rispettive coppie-guida, sono state condotte alla riflessione su Eucarestia e matrimonio da don Giacomo Giampetruzzi, sacerdote diocesano e giudice del Tribunale ecclesia-stico regionale pugliese.

La giornata si è aperta con una breve preghiera introduttiva. E’ seguita la rifles-sione di don Giacomo che ha insistito sullo stretto legame tra Matrimonio ed Eucarestia a partire dal dono di sé. Così come Nostro Signore che a partire dall’ultima cena, il giovedì santo, si è donato incondizionata-mente per amore, altrettanto i coniugi de-vono farsi dono l’uno all’altro ed accogliersi proprio con quella grazia di Cristo che di-venta nutrimento spirituale nell’Eucaristia. Tale comunione deve poi portare la coppia stessa, attraverso una progressiva matura-zione, a farsi pane spezzato per i fratelli.

La giornata è proseguita con la Celebra-zione eucaristica presieduta da don Giacomo che nell’omelia ha evidenziato come l’Amore dei coniugi deve essere sempre liberante e tale da non imprigionare l’altro. Non è vero Amore quello che si impossessa dell’altro come una cosa tanto da soffocarlo o quello in cui una persona si asserve ad un’altra dive-nendone dipendente (tanto da non poter più vivere senza di lui/lei). Gesù ci insegna che il vero Amore deve essere come il suo. Alla Mensa della Parola e dell’Eucarestia è segui-ta quella della tavola. I motivi di comunione e scambio sono stati esaltati dal clima di vi-vacità e gioia che ha pervaso tutti i presenti.

Nel pomeriggio si sono condivise alcu-ne risonanze su quanto sperimentato. Ecco quanto è stato detto da un fidanzato: “Tutta la giornata è stata la più chiara esplicitazio-ne della comunione di fatto avvenuta tra lo Spirito (catechesi e santa Messa) e la corpo-reità (pranzo, conoscenza e condivisione)”.

La giornata è stata possibile in quanto le coppie-guida dei percorsi di formazione al Sacramento di entrambe le Parrocchie sono membri dell’Istituto Santa Famiglia, insie-me partecipano agli incontri di formazione di pastorale familiare proposti dalla diocesi e già da tempo si interscambiano nella col-laborazione, presenza e testimonianza negli incontri di formazione dei nubendi (Maria e Pino CASTORO, isf di Bari).

In comunione di Spirito e di corpo

Esperienze e testimonianze

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Pellegrinaggio a Medjugorje

In aprile scorso il Gruppo ISF di Livorno ha partecipato ad un pellegrinaggio a

Medjugorje. Il viaggio col pullman è stato faticoso e interminabile, però ogni 3 ore facevamo una sosta.

E’ stata una esperienza per la quale la maggior parte dei partecipanti non ha trovato parole per descrivere, specie l’e-mozione provata, soprattutto quando ab-biamo fatto la salita per arrivare al luogo delle prime apparizioni, il Podbrdo. Ave-vamo con noi una ragazza di trenta anni in carrozzella impossibilitata a parlare a causa di un incidente in auto. E’ stata un’emozione grande vedere con che forza e coraggio ha affrontato tutte le difficol-tà insieme alla sua famiglia: è stata una grande lezione di vita. Quando alcuni di noi l’hanno portata con altre persone sulla portantina in cima al monte, abbiamo ca-pito che i nostri problemi giornalieri sono nulla, ed è stato molto commovente.

Poi c’è stata la testimonianza di suor Cornelia, con il suo sorriso e il suo parlare in modo semplice, ma forte, che ci è rima-sto nella mente e nel cuore. Medjugorje è un posto magico e respiri un’aria diversa che ti arricchisce e ti dà la forza per af-frontare i problemi della vita. Siamo rima-sti colpiti noi, e soprattutto i nostri figli, nel momento dell’Adorazione eucaristica notturna, quando abbiamo visto tantissimi ragazzi e giovani che pregavano e cantava-no con devozione.

Il giorno successivo alcuni sono stati a Mostar e gli altri hanno fatto una nuova salita lunghissima per arrivare sul Krise-vac, una salita che contempla le 14 sta-zioni della Via Crucis, fino alla cima dove c’è una grande croce di cemento bianco eretta dal popolo nel 1933. In generale,

anche per chi era un po’ scettico riguar-do alla lunghezza delle apparizioni, l’e-sperienza è stata positiva e coinvolgente. Tranne una coppia che ha detto di non aver vissuto l’esperienza con particolari sensa-zioni, come invece aveva avuto a Lourdes, tutti gli altri hanno detto che Medjugorje è un luogo che infonde un senso di pace e di serenità, un luogo che ha visto nascere e crescere molte associazioni a scopo be-nefico.

Molto apprezzata è stata l’assistenza e la guida spirituale di don Carlo, un sa-cerdote giovane di Firenze molto preciso nella dottrina e disponibile verso tutti, specialmente con i nostri ragazzi.

Un’altra esperienza emozionante che ha colpito tutti è stata la recita del santo Rosario durante la salita alla collina delle prime apparizioni. Oltre al nostro gruppo ce n’erano tanti altri che salivano dicendo il Rosario, gruppi di altre nazionalità, che ci precedevano e ci seguivano, e ognuno pregava nella propria lingua creando un po’ di confusione. Ad un certo punto il no-stro sacerdote è riuscito a farsi intendere dal gruppo che ci seguiva, e così abbiamo recitato il Rosario insieme, alternando-ci nel dire l’Ave Maria metà in italiano e metà in croato. E’ stata un’imitazione del-la Pentecoste: ogni gruppo pregava nella sua lingua, ma in un certo modo capiva anche gli altri.

Ringraziamo tutti di questa esperienza e in modo particolare Maria Santissima, la nostra Mamma celeste. Cercheremo di far tesoro della esperienza attraverso un proposito utile per il nostro cammino di santità (Celeste e Rudy BARONTINI, gruppo isf di Livorno).

41Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

Due giorni di formazione paolina

Il corso, voluto dal Delegato e dal Con-siglio isf, si è tenuto presso il Santuario

di San Giuseppe in Spicello il 19 e 20 maggio: 30 ore di full immersion spiri-tuale. I partecipanti hanno concordato nel sottolineare che, per l’importanza degli argomenti trattati e per il beneficio recato alle coppie, l’iniziativa merita maggiori risorse per il futuro.

Fortemente illuminanti sono state le testimonianze dei relatori: don Paolo Lan-zoni, don Roberto Roveran, Maria Pia Poli-dori, Mariella e Claudio Cazzato.

I convocati, una decina di coppie in tutto provenienti da diverse parti d’Italia, come al solito, sono stati chiamati dal Pa-dre Celeste, ha sottolineato subito il De-legato nell’introduzione. In ogni servizio è sempre Dio che chiama e noi in Cristo Gesù siamo liberi di dire il nostro sì o ri-fiutare. Si trattava quindi di una rappre-sentanza delle altre numerose coppie che vivono il periodo della prima formazione in vista della consacrazione definitiva.

Don Paolo e don Roberto hanno com-mentato alcuni brani tratti da Donec for-metur, e da Abundantes divitiae gratiae

suae, scritti da don Alberione, veri capisal-di della spiritualità paolina.

Don Paolo ha evidenziato come i Con-sigli evangelici, professati in famiglia, hanno la forza di riportare i coniugi a quella santità che avevano l’uomo e la donna prima del peccato originale. Se-guendo il percorso formativo che l’ISF propone sono resi coniugi fedeli, genito-ri esemplari ed educatori cristiani che si santificano con la pratica dei voti di po-vertà, obbedienza e castità a imitazione di Gesù Via, Verità e Vita. In particolare don Paolo si è soffermato sulla figura di Gesù Maestro che è al cuore, al centro della spiritualità paolina.

Don Roberto ha ripercorso i momenti e le circostanze agli albori della nascen-te storia, vita e spiritualità paolina. Esa-minando poi le note autografe di don Al-berione ne ha fatto emergere un ritratto sorprendente. Il fondatore, con grande umiltà, nonostante l’immenso lavoro svolto nella fondazione dell’opera e delle diverse istituzioni, si è definito “povera carcassa incorrispondente”, incapace cioè di corri-spondere a Gesù. Alla luce di questa rela-

Esperienze e testimonianze

42 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

zione percepiamo l’ISF come quel mezzo idoneo per la salvezza dell’umanità.

Maria Pia dovendo trattare della castità ha parlato prima della sessualità umana e poi secondo la fede evidenziando che i Con-sigli evangelici professati in famiglia sono fonte di amore e serenità; ne beneficiano la comunità, la famiglia e in modo speciale i rap-porti coniugali improntati a dono e altruismo. Non ultimo, il rispetto delle dignità personali, sia dei minori (per i pudori gio-vanili) che degli adulti, che diventano capaci di riconoscere i loro errori come insegna papa Fran-cesco: “permesso, grazie, scusa”. Ha accentuato anche l’importanza dei metodi naturali di contraccezione che consentono di tenere vivo l’amore coniu-gale, rispettare il diritto alla vita ed essere genitori responsabili.

Mariella e Claudio si sono soffermati sulla missione di uscire dalle case per por-tare l’annuncio della risurrezione alle altre famiglie. Hanno poi ribadito che come l’I-SF è regolato dalle norme dello Statuto, così anche in famiglia si devono rispettare delle regole. Nelle famiglie in cui vigono

disciplina, Consigli evan-gelici e condivisione re-gna l’armonia. I genitori, quando sono in disaccor-do coi figli, devono sem-pre motivare le ragioni del dissenso ma poi devono lasciarli liberi di decide-re da soli, sul modello del Padre misericordioso della nota parabola evan-

gelica. Solo così la famiglia è simile a un edificio cui vien fatta la necessaria manu-tenzione per renderlo capace di resistere alle tempeste (Carlo PATELLA, gruppo isf di Saltara).

Il 27 maggio dopo la nostra ora di Ado-razione abbiamo avuto la gioia dell’in-

contro a sorpresa con il Superiore Gene-rale della Società san Paolo, don Valdir De Castro. In un clima di gioiosa comu-nione il Superiore ha dato la possibilità a tutti di potersi presentare comunicando anche gli anni di cammino nell’Istituto. Quando ha preso la parola eravamo molto curiosi di sentire un suo pensiero nei no-stri riguardi.

Il suo intervento ci ha subito spiazzato con una domanda: “Cosa centrate voi che siete famiglie con noi Paolini che svolgia-mo tutto il nostro apostolato attraverso i

mezzi di comunicazione? Qual è, secondo voi, il primo mezzo di comunicazione?”.

Non è stato facile rispondere a queste domande che prima o poi tutti ci siamo po-sti sentendoci spesso davvero inadeguati.

Il primo mezzo di comunicazione

43Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

“Il primo mezzo di comunicazione è la persona stessa, ognuno di noi comunica quello che è, quello che ha dentro; lo fa spontaneamente...dunque siamo Paolini in quanto comunicatori di quella speran-za che portiamo in noi e che si chiama Gesù”.

I Sacerdoti paolini ed i Discepoli co-municano attraverso i mezzi che diffon-dono, noi lo facciamo con le nostre per-

sone. Siamo l’espansione della Famiglia Paolina nel mondo! Per la prima volta for-se alcuni di noi si sono finalmente sentiti “Paolini adeguati” anche senza diffonde-re libri o riviste che pure rientrano tra i nostri carismi.

Che dire? Poche parole dritte al cuore. Grazie don Valdir, siamo felici di averti in-contrato, ci hai incoraggiato, ne avevamo bisogno (Luigina CUMERLATO, isf di Vicenza).

Come Gruppo santa Famiglia di Mes-sina fin dall’inizio dell’anno abbia-

mo intrapreso un cammino itinerante di riflessione sullo Statuto che ci porta il secondo sabato del mese nelle varie par-rocchie della città. Tale iniziativa aposto-lica è un modo per far conoscere la nostra identità di Paolini, e trae sicuramente origine nelle parole del beato Alberione: “Apostolo è colui che porta Dio nella sua anima e lo irradia attorno a sé”, “Aposto-lato è dare all’umanità Gesù Cristo, Via Verità e Vita” e fondamento nell’invito di Papa Francesco di “ripartire da Cristo” come incontro personale con Lui e come apertura verso l’altro.

E’ questa l’esperienza bella che faccia-

mo quando comunichiamo ad altri la no-stra realtà di sposi e di famiglie in cammi-no verso quel “processo di perfezione che è processo di cristificazione”.

Nel nostro comunicarci attraverso lo Statuto, la Parola di Dio e l’Adorazione eucaristica esprimiamo la gioia del “vivere insieme ai fratelli” e condividendo l’espe-rienza della Parola e del pane spezzato ci scambiamo il grande mistero dell’amore salvifico di Cristo per ciascuno. In questo dinamismo noi membri dell’ISF cogliamo ancor più la bellezza dell’appartenenza e del dono ricevuto.

Abbiamo vissuto con i seminaristi del-la diocesi un momento forte e intenso nel quale è risultato particolarmente importan-

Famiglie e seminaristi

Esperienze e testimonianze

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te e significativo lo scambio di esperienze che hanno condotto nel tempo e per strade diverse, ciascuno di noi a vivere lo stato attuale; e questo partendo dalla conside-razione che in entrambi i casi deve esserci una vocazione: al matrimonio nella coppia di sposi, ed allo sposalizio con la Chiesa per i sacerdoti “in quanto chiamati nella loro vita spirituale a rivivere l’amore di Cri-sto sposo nei riguardi della Chiesa sposa, perché nella Chiesa rappresentano Cristo Gesù” (Pastores dabo vobis 22).

Abbiamo messo a confronto, quindi, Sacerdozio e Matrimonio: due vocazio-ni parallele e diverse dove ciascuno per

la propria parte è chiamato a far scopri-re all’altro l’amore di Dio. L’incontro si è concluso con l’Adorazione eucaristica pre-sieduta dal Rettore mons. Di Pietro e la celebrazione dei Vespri.

Il Rettore, a nome dei seminaristi, ha voluto manifestare come l’incontro sia sta-to proficuo e carico di emozioni invitandoci a ripetere l’esperienza.

La foto ci ritrae insieme ai giovani in formazione nel Seminario Arcivescovile di Messina insieme al Rettore Mons. Cesare Di Pietro (Il Gruppo isf di Messina).

A marzo scorso, i coniugi Marvulli Giu-seppe e Rosa dell’Istituto Santa Fa-

miglia del Gruppo di Altamura/Gravina ci hanno invitato a dare una testimonianza di vita familiare e di coppia, e soprattut-to con riferimento all’Istituto, al Gruppo famiglie della Parrocchia S. Sepolcro di Altamura. Come quasi sempre accade, in base all’insegnamento di don Lamera che ci diceva: “Quando vi chiamano, non esi-tate, andate; è il Signore che vi chiama”, nonostante avessimo appena terminato il ritiro mensile dell’Istituto, ci siamo messi in macchina e siamo andati ad Altamura.

Per dare maggiore credibilità alla nostra testimonianza, abbiamo invitato e portato con noi un paio di coppie dell’Istituto. Dopo l’accoglienza l’immenso salone par-rocchiale ben presto, con nostra grandissi-ma meraviglia, si riempì di numerose cop-pie. Poco dopo si presentò il giovanissimo parroco, don Nicola che volle trattenersi con tutti noi sino alla Messa.

Avevamo preparato un bel discorsetto, soprattutto sull’Istituto Santa Famiglia

ma, come al solito, quando lasci agire lo Spirito, esso è rimasto sui fogli un po’ stro-picciati dalle mani che li tenevano stretti, quasi a garanzia di quanto voleva suggerire il Signore e non noi.

La testimonianza stimolò un bel dibat-tito che si protrasse per lungo tempo e quando decidemmo tutti insieme di termi-nare l’incontro, lo Spirito Santo ci suggerì una proposta: visto che abbiamo suscitato tanto interesse all’Istituto, perché non rea-lizzare un ritiro spirituale insieme?

Ed ecco che lo abbiamo organizzato

Un ritiro speciale

“Famiglia diventa ciò che sei”

45Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

domenica 25 giugno. Vi hanno partecipa-to una dozzina di coppie di Altamura, ac-compagnate dal parroco don Nicola, inte-ressato probabilmente ad approfondire la conoscenza dell’Istituto. Erano presenti le nostre coppie di Giovinazzo e alcune del Gruppo di Bari/Sannicandro.

La giornata si è aperta con la recita del-le lodi; a seguire, la meditazione divisa in due parti: la prima, più evangelica, tenu-ta da don Mario, che ci segue, anima e predica i nostri ritiri; la seconda, più pa-storale/familiare, da Nando e Damiana sui nr. 274-278 di Amoris Laetitia, aperta e chiusa da powerpoint musicali.

Dopo uno scambio di conoscenza sia-

mo approdati alla celebrazione della San-ta Messa, presieduta dal Vescovo, Mons. Domenico Cornacchia, preziosa presenza, che, malgrado i numerosi impegni, ha vo-luto condividere la meravigliosa giornata con le coppie dell’Istituto e le coppie della sua città di origine. Mons. Domenico ha voluto anche partecipare al momento di agape fraterna, condividendo quanto pre-parato semplicemente dalle coppie.

Salutato il Vescovo, che ha evidenzia-to l’importanza della presenza di coppie consacrate nella società fluida odierna, e che ha benedetto l’Istituto Santa Fami-glia, abbiamo vissuto un intenso momento di Adorazione eucaristica che ha concluso la giornata di ritiro tra l’evidente gioia e soddisfazione di tutti.

L’auspicio e la promessa che ci siamo scambiati sono stati di ripetere la bella e intensa esperienza vissuta, dando seguito ad altri ritiri spirituali insieme.

Grazie Gesù, Giuseppe e Maria perché riservate sempre stupende meraviglie per noi!! (Nando e Damiana VITELLI, gruppo isf di Giovinazzo).

Il gruppo Santa Famiglia di Canicattì si è ispirato a questa esortazione di san

Giovanni Paolo II per dare vita da maggio a luglio ad un’iniziativa particolare a favore della famiglia che ha riscosso un notevole successo.

Si voleva promuovere e annunciare a tutti la bellezza della famiglia mediante uno dei mezzi di comunicazione più im-portanti a nostra disposizione, il cinema.

Abbiamo organizzato, pertanto, un Ci-neFamily, ossia un percorso cinematogra-fico in quattro serate, che ha coinvolto la comunità cittadina in parrocchie differenti

e che ha visto la partecipazione di alcuni sacerdoti.

Nostro unico desiderio è stato quello di

Esperienze e testimonianze

46 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

far conoscere la bellezza della “Famiglia”, dando speranza ai giovani, facendo capi-re loro che oggi la famiglia è l’esperienza più nuova e bella che un giovane possa inventarsi; dando speranza alle coppie in crisi, mostrando che il “per sempre” non è un’utopia ma realtà e al tempo stesso, affrontando il tema della paternità.

I film non volevano indicare un modello da imitare, ma mostrare un dato di fatto, ossia che oggi l’identità della famiglia è drammaticamente in crisi. Per questo ab-biamo scelto la trasposizione cinemato-grafica, con il suo attento sguardo sulla realtà, dal momento che non poteva non intercettare questa profonda mutazione della società.

Fedeli al nostro fondatore don Alberio-ne, prima di iniziare siamo stati in ado-

razione del Santissimo Sacramento, al-ternando la nostra presenza per tutto il giorno. Abbiamo poi effettuato il pellegri-naggio con Maria, recitando il Santo Rosa-rio e pregando per la gioia del matrimonio, dei figli e della famiglia.

Nella grande festa conclusiva non sono mancati momenti di condivisione e gioia, si sono susseguite molte storie di famiglie interne ed esterne all’Istituto e ancora te-stimonianze gioiose di fede e di impegno sociale.

Abbiamo effettuato anche una lotteria in cui sono stati messi in palio alcuni libri e che ci ha permesso di sostenere la Cari-tas con il ricavato. Karaoke, musica e balli, grandi e piccoli, sacerdoti e famiglie, uniti in un’unica e grande famiglia per annun-ciare a tutti che “Essere Famiglia è bello” e che rappresenta la più grande sfida per ogni uomo e tutta l’umanità.

E’ stata un’esperienza nuova che ci ha coinvolti in prima persona, ha permesso di metterci in gioco e ci ha aiutato a trasfor-marci in una “Chiesa in uscita”. Un grazie particolare lo dobbiamo alla nostra guida spirituale don Giuseppe Argento per la sua disponibilità, ascolto e accoglienza (Grup-po “Gesù Maestro”, isf di Canicattì).

Messaggeri coraggiosi

“Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14): questa la frase emblemati-

ca degli Esercizi vissuti in luglio a Pergu-sa (Enna), nel caldo entroterra siciliano. Una novità ha contraddistinto quei giorni, la realizzazione di un sogno! Dopo anni di preghiere e amicizie strette, finalmente ha preso forma il gruppo San Paolo gio-vani “Messaggeri Coraggiosi”, tutti figli dell’Istituto Santa Famiglia, provenienti da diverse zone della Sicilia e di ogni età

47Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

(da 0 a 22 anni!). Sono stati giorni di gra-zia perché abbiamo sentito con segni forti e inequivocabili la presenza e la gioia del Signore in mezzo a noi!

Preparando il materiale e i programmi differenziati per bambini e adolescenti mi assalivano dei dubbi: “Saranno coinvolti? Riusciranno a stringere legami forti e bel-li tra loro? Ce la farò? Ce la faremo? E’ la prima volta che si tenta un percorso di formazione parallelo, come sarà?”.

Ebbene, il Signore ha risposto ad ognu-na di queste domande e si è espresso an-che in sovrappiù attraverso le parole, i gesti e i sorrisi di ognuno dei ragazzi e dei bambini lì presenti! Il sentirsi fratelli, pur non avendo legami di sangue, ci ha permesso di condividere con gioia e ca-lore ogni attività, dai momenti di medita-zione e confronto ai momenti di gioco ed escursioni; il tutto era “magicamente”, o meglio, “MIRACOLOSAMENTE” una pre-ghiera! Era come se ogni risata, ogni pre-ghiera, ogni sguardo o gesto d’affetto fos-sero avvolti di luce e salissero dritti fino al Cielo!

In quei giorni si è condiviso veramente tutto... il tavolo della mensa in primis! Ci sono stati momenti di confronto dove si sono gettate le maschere, ci si è messi a nudo per conoscersi e farsi conoscere, per

accettarsi e farsi accettare, per dare forza a sé stessi e darne agli altri.

Abbiamo imparato a conoscere meglio la realtà della quale siamo “figli”, la So-cietà San Paolo e ovviamente il patrono e papà San Paolo! I mezzi di conoscenza e scoperta di cui ci siamo avvalsi sono stati musicali, visivi, virtuali, reali... Da buo-ni Paolini abbiamo usufruito della buona stampa per porci domande e darci rispo-ste in merito alla nostra età e alla nostra società che a volte costringe a rivestirci di un’armatura robusta ma che dobbiamo sempre tenere lucida e nuova per affron-tare le difficoltà ...l’armatura della fede!

Non a caso abbiamo deciso di chia-marci “Messaggeri Coraggiosi”: nostro compito è portare testimonianza di vita di fede nel mondo giovane, che a volte somiglia più a un campo di battaglia! Il nostro messaggio consiste nel dire a pa-role e a gesti: “Io sono figlio di Dio, sono figlio della Luce! Vuoi unirti al mio cam-mino?” e il coraggio sta nel dire tutto ciò senza timore, affrontando le prove che DI SICURO arriveranno; CREDENDO che per la via percorsa non camminiamo da soli, ma affiancati da tanti fratelli che nei mo-menti di cedimento ci aiuteranno e che viceversa aiuteremo nel loro momento di debolezza!

Esperienze e testimonianze

48 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

La canzone dei Coldplay “Up & Up” dice: “Ce la faremo, ce la faremo in-sieme / So che stiamo per farcela, insieme in qualche modo / Ce la faremo, ce la faremo insieme e fioriremo / Su, su, sempre più su” e

questo è ciò che inten-diamo fare noi ragazzi della gioventù paoli-na, FARCELA INSIE-ME A TESTIMONIARE IL VANGELO CON LE NOSTRE VITE!

Martina PETIX

E credo nelle lacrime che sciolgono le maschereCredo nella luce delle idee

Che il vento non può spegnere Io credo in questa vita, credo in me

Io credo in una vita, credo in te... (Giorgia)

Vivere in Cristo e andare a due a due

Sono stati appena cucinati e consumati gli Esercizi spirituali 2017 a Forno di

Coazze (Torino) finalizzati alla crescita interiore delle coppie di Sposi consacrati o in procinto di esserlo. Ne conserviamo, intatto, il sapore ricco di aromi, nel cuore, nell’animo e nella mente.

Il menù presentatoci si è rivelato supe-riore ad ogni nostra aspettativa. Grazie alla concomitanza di più fattori che si sono ge-nerati spontaneamente, senza forzatura al-cuna, favoriti dal clima fresco e dalla pace propria di questo luogo di preghiera, passo dopo passo, sempre in crescendo, è nato fra di noi un clima familiare che ci ha per-messo di vivere e assorbire le meditazioni, le preghiere e l’Eucarestia in pieno spirito di ringraziamento.

Ognuno ha ricevuto almeno un insegna-mento pratico di cosa significhi vivere in Cristo, magari senza neppure rendersi con-to di come abbia vissuto bene il bene in questi giorni.

Lo Spirito ci ha guidati attraverso la de-dizione di don Floriano e del Delegato. Il mandato ricevuto: “Andate in tutto il mon-do e proclamate il vangelo ad ogni creatu-ra”, si è da subito reso palese nella concre-tezza della quotidianità. Immediatamente è stato chiaro come l’Universo popolato da creature in attesa della Buona Novella non sia solamente quello vasto, cosmico a cui tutti pensiamo. Ogni comunità, per quanto ridotta, è già un mondo vastissimo. Tanto più se questa comunità è composta

49Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Esperienze e testimonianze

di persone giunte da situazioni personali o familiari diverse, anche per provenienza regionale, per età, per bisogni...

Abbiamo avuto la grande opportunità di conoscere il Maestro Divino nella realtà più scarna, onesta e sincera della quoti-dianità, in modo particolare quando abbia-mo affrontato i temi, ormai quasi tabù, del paradiso e del dolore della morte. Abbiamo sperimentato su di noi la medicina della misericordia divina quando abbiamo vis-suto il perdono coniugale, dato e ricevu-to, durante l’Eucarestia. Abbiamo toccato la gioia vera della chiamata quando sono stati celebrati i cosiddetti “Passi”, ossia le professioni partecipando con viva emozio-ne alla letizia in Dio gli uni per gli altri.

Siamo pronti, ora, ad estendere questo mandato ogni giorno come i cerchi nell’ac-qua che si dilatano silenziosamente, ma determinati ad esistere, dopo il lancio di un sasso?

Il sasso è stato lanciato ed è la Parola di Dio. I lanciatori hanno svolto egregiamente il loro compito e ora tocca a noi. Nella mi-sura in cui permetteremo allo Spirito San-to di abitarci, andare a due a due, senza carichi inutili, a proclamare il Vangelo ad ogni creatura, semplicemente, con la no-stra vita (Giuseppe e Stefania TESTA, isf di san Lorenzo di Fossano).

San Lorenzo di Fossano,marzo 2017:

visita di don Robertoe don Paoloai Gruppi isf

del Piemonte

Ritirodel Gruppo isfdi Trapani,febbraio 2017

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

50 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

PAOLA SPARACIO IN TAORMINA* 11/09/1925 - † 28/04/2017

del Gruppo di Palermo 1

E’ tornata alla Casa del Padre la nostra sorella Paola. Nella sua vita non sono mancati momenti di difficoltà e sofferenza che,

soprattutto dopo la morte del marito, l’hanno costretta alla rinuncia ad ogni attività sia della parrocchia che del gruppo.

Paola e Antonio sono stati fra le prime coppie a rispondere alla chiamata a far parte dell’Istituto santa Famiglia a Palermo e siamo certi che, uniti in

Paradiso, veglieranno e proteggeranno i loro cari e il nostro gruppo (Giovanni e Rosaria del Gruppo Palermo 1).

GIUSEPPE MARZELLA* 28/09/1942 - † 03/06/2017

del Gruppo di Giovinazzo

Carissimo Giuseppe, fratello in Cristo, vogliamo esprimere la nostra grati-tudine al Signore per averti donato a noi, alla tua famiglia, all’Istituto Santa Famiglia. Nella sua immensa misericordia il Signore ha voluto arricchirci della tua amicizia e fratellanza.

Come san Giuseppe sei stato sempre uomo silenzioso e umile, ma anche pieno di fiducia nella Provvidenza che riserva per tutti le grazie che vede utili per ognu-no. Fiducia che ti ha permesso di affrontare le impervie difficoltà che la vita riserva ma anche di accogliere le Grazie che la Vergine Maria, di cui eri tanto devoto, ti ha elargito, con la consapevolezza della loro gratuità.

Certo, in te c’era qualcosa che ti rendeva speciale: con il tuo modo di fare, riuscivi sempre a rasserenare il cuore della tua sposa Cettina, nei momenti di tempesta burra-scosa.

Tempo fa, nella confidenza, ti eri lasciato sfuggire un piccolo, grande segreto. Ci ave-vi confessato che eri pronto a dare la tua vita in cambio della pace e serenità dei tuoi figli. E, negli ultimi tempi, la tua preghiera costante del Rosario era orientata sempre in questo senso. E il Signore, lento all’ira e grande nell’amore, ci prende in parola e sicura-mente ora assisteremo alla realizzazione dei frutti della sua promessa.

Fratello caro Giuseppe, ora dal cielo potrai fare molto di più per tutti; ti immaginiamo già all’opera per l’apertura di un’agenzia di assicurazioni sulla vita! Tutti potremo usu-fruirne e gratuitamente!

Senz’altro la Regina degli Apostoli, San Paolo apostolo, il Beato Giacomo Alberione e don Lamera ti hanno accolto sulla soglia del Paradiso per condurti, con gli Angeli e i santi, al cospetto del Padre, al fine di consegnarti il premio della vita eterna. Ciao Giu-seppe, a presto! (I fratelli del Gruppo di Giovinazzo).

51Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

GIOVANNI DALLA VECCHIA* 02/08/1936 - † 07/06/2017

del Gruppo di Vicenza

Il nostro caro fratello Giovanni è stato, con la moglie Irma ora inferma, una di quelle persone della prima ora.

Quando hanno iniziato il loro cammino sostenuti dal sacerdote paolino don Gigi Melotto, il nostro Istituto quasi non esisteva.

Quelli che partivano per fare gli Esercizi spirituali erano visti come dei folli che abbandonavano le famiglie.

Giovanni ed Irma hanno fatto un cammino di fedeltà al Signore che li ha benedetti con il dono di quattro meravigliosi figli e tanti nipoti.

E’ grazie alla fede di questi fratelli che molte famiglie hanno conosciuto l’Amore del Signore ed hanno superato prove e difficoltà con il sostegno della preghiera.

Ringraziamo il Signore per la fede di Giovanni e per la sua testimonianza pregando per lui e per Irma (I fratelli del Gruppo di Vicenza).

MARIA PIA CARTA IN SERRA* 28/09/1934 - † 02/07/2017

del Gruppo di Oristano-San Vero Milis

La nostra sorella Maria Pia ci ha lasciato ed è tornata alla Casa del Padre celeste.Aveva iniziato il cammino nell’Istituto santa Famiglia insieme al marito Silvio nel

lontano 1978 partecipando agli Esercizi spirituali alla “Madonnina” di Santu Lussurgiu (Oristano).

Da allora il loro cammino nell’Istituto è proseguito senza interruzione partecipando sempre agli incontri mensili, di preghiera e agli Esercizi spirituali.

Sin dai primi tempi si è fatta voler bene da tutti. Abbiamo condiviso momenti gioiosi e meno gioiosi sentendoci veramente famiglia, come ci diceva don Lamera: “Ricordati che i legami dello Spirito sono più forti dei legami di sangue”.

E questo abbiamo sperimentato e vissuto con Maria Pia.In questo triste momento ci stringiamo con tanto affetto a suo marito Silvio e ai suoi

tanto amati figli Luca e Valeria.Maria Pia era veramente una persona dolce, discreta e amabile.Nella modalità in cui ha vissuto così ne è andata, in punta di piedi, lasciando in tutti

un grande vuoto che solo la fede può colmare (I fratelli del Gruppo di Oristano-San Vero Milis).

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

52 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

LAMBERTO BENVENUTI* 17/12/1938 - † 04/07/2017

del Gruppo di Lucrezia

E’ tornato alla Casa del Padre il nostro fratello Lamberto di 78 anni. Insie-me alla sua sposa Tersina faceva parte dell’Istituto Santa Famiglia dal 1975, essendo una delle prime coppie ad aver risposto “sì” a questa chiamata.

In una lettera inviata a don Lamera, pubblicata su “Gesù Maestro” del 1976 Lamberto e Tersina scrivevano così: “Nei primi tempi ci siamo ritrovati

in difficoltà…. abbiamo trovato però sempre un po’ di forza per affrontare queste diffi-coltà e abbiamo sempre continuato a seguire quel filo di luce che ci guidava e ci siamo accorti che in noi quel filo di luce si stava allargando sempre di più”.

Questa luce ha accompagnato sempre la vita di famiglia di Lamberto, portando an-che la sua cara figlia Simonetta insieme al marito Tonino ad entrare nell’Istituto Santa Famiglia.

Ora che Lamberto fa parte in pienezza di quella luce continuerà a vegliare sulla sua famiglia e certamente anche su tutti noi fratelli dell’Istituto (I fratelli del Gruppo di Lu-crezia).

FILIPPO MAUCERI* 25/11/1944 - † 07/07/2017

del Gruppo di Milano

Dopo una improvvisa malattia, molto dolorosa, il caro Filippo è salito alla Casa del Padre.

Uomo buono, sensibile e paziente è sempre stato la colonna portante della sua famiglia. Ora la moglie Paola e la figlia Chiara, pur nel dolore, sanno con certezza, per fede, che Filippo è presente anche ora e quindi non le ha lascia-

te sole.I coniugi Mauceri, sposati da 43 anni, facevano parte dell’Istituto Santa Famiglia da

oltre 23 anni. Erano entrati con la prima Professione nel 1994 ad Alba e avevano emesso i Voti perpetui 15 anni fa nel 2002 a Pianezza (Torino). Filippo e Paola sono stati tra le prime coppie del nostro Gruppo (I fratelli del Gruppo di Milano-Lombardia).

nOVITà lIbRI E FIlm

Libri

53Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

PSICOTERAPIA E VANGELOPer il benessere psicologicoGiovanni Barrale – Paoline

Secondo l’Autore, molti degli inse-gnamenti di Gesù si accordano con quelli della psi-coterapia. Innan-zitutto, il punto di partenza: come

l’esortazione di Gesù «Convertite-vi» è un invito a cambiare menta-lità, così la psicoterapia propone un cambiamento di convinzioni e comportamenti dannosi per la persona.Quindi sono prese in considera-zione alcune parabole e alcuni dialoghi evangelici, da cui emer-ge come sia essenziale, sia per Gesù sia per la pratica psicote-rapica, l’accettazione incondi-zionata della persona con tutti i suoi bisogni psicologici: primo fra tutti quello di sentirsi amata al di là di errori, pregiudizi e condizio-namenti.

EMPATIA E ALTRUISMOCome e perché

aiutiamo gli altrientrando nei loro panni

E. Marta – S. Alfieri - San Paolo

L’empatia è neces-saria per il nostro benessere e per quello altrui; com-prendere realmen-te gli altri richiede numerose abilità

cognitive e affettive, e spesso, anche se crediamo di compren-dere appieno una persona, stia-mo inserendo in questo processo una grande parte di noi.Questo volume, grazie a indi-cazioni teoriche, box di sintesi, spunti di riflessione ed esercizi pratici, ci insegna a rapportarci in maniera empatica con le persone che incontriamo.

DEPRESSIONEAffrontare il male (non più) oscuro

La Rosa – Onofri– San Paolo

La depressione è spesso evocata senza una vera co-gnizione di causa, come se molti non sapessero più di-stinguere o accet-tare la “normale

tristezza della vita quotidiana”, come se fosse difficile accettare di sentirsi semplicemente tristi o stanchi o demotivati, in segui-to a fatti della vita spiacevoli. La depressione, invece, ha ben al-tra profondità, affligge per mesi o anni, è considerata un vero e proprio disturbo, con criteri dia-gnostici codificati con sempre maggiore precisione. Questo libro indaga le cause e le manifesta-zioni del problema e si concentra sull’importanza del cambiamento dello stile di vita: solo le perso-ne che alle terapie tradizionali affiancano un reale e profondo cambiamento di stile di vita, rie-scono a sganciarsi dal disturbo e dal rischio di ricadute.

RESILIENZAAndare oltre: trovare nuove rotte senza farsi spezzare dalle prove

della vitaSergio Astori – San Paolo

Per resilienza s’in-tende un processo di adattamento positivo a fronte di un’avversità, un trauma, una trage-dia, di minacce o simili fonti signifi-

cative di stress.Non tutte le persone riescono a superare le avversità e molti co-vano, anche per lungo tempo, sentimenti di recriminazione e di rabbia. Altri, invece, rimangono

meno incastrati nel ruolo di vitti-me e vivono più serenamente la propria vita.Questo testo si propone di aiutare i primi ad andare oltre le difficol-tà e i secondi a migliorare ancor di più la propria capacità di rispo-sta alle avversità.

L’AMORE SECONDOPAPA FRANCESCO

Vivere il rapporto di coppiacon Amoris laetitia

Antonio Fatigati – Paoline

Attraverso una ri-flessione sul cap. 4 dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, che co-stituisce uno dei nuclei principali del documento, il

testo si propone di accompagnare le coppie in un percorso di risco-perta del proprio rapporto d’amo-re. Al centro della riflessione vi è il tema dell’ascolto dell’altro, del perdono, della fiducia nel part-ner, della capacità dell’amore di sopravvivere al trascorrere degli anni, dell’importanza dell’eros all’interno della coppia.

PREGHIERE PER I FIGLITra incanto e trepidazione

Solarino, Perricone – San Paolo

Nel corso della vita di un figlio che cre-sce ci sono parole che l’anima di un genitore sente il bi-sogno di esprimere. Parole che, spesso, si fanno preghiera:

di intercessione, di stupore, di gratitudine, di dolore, di protesta. Parole e preghiere ora raccolte in questo suggestivo e commovente libretto che accompagna le di-verse fasi della vita di un figlio: quando nasce, quando va a scuo-

nOVITà lIbRI E FIlm

la, quando diventa adolescente, quando soffre, quando si sposa… Quasi a voler dare voce ai diversi sentimenti che provano i genitori nelle diverse stagioni della vita dei figli: gioia, trepidazione, pau-ra, speranza.

VIVI... DA DIO!Come Gesù insegna a curare il

malessere di oggiDiego Goso – San Paolo

Ironico, divertente, a tratti irriverente, Diego Goso pro-pone una rilettura del vangelo come... self help, il mi-gliore del mondo

perché offre la possibilità unica di “vivere da Dio”! 50 risposte bibliche a 50 malesseri del no-stro tempo, risposte che possono accompagnarlo con un sorriso an-che nei momenti più difficili.Un libro da leggere:• se perdi la pazienza e ti vien voglia di mollare tutto;• se sei convinto che nulla mai cambierà perché tanto la gente è fatta così;• se ti senti solo e pensi che nes-suno ti ami.

OLTRELa vita eterna

spiegata a chi cercaDiego Manetti – San Paolo

Un libro per i lettori “in cerca”, chiun-que essi siano, credenti o meno: per coloro che non hanno smesso di interrogarsi sul senso della propria

esistenza; e per coloro che la vita ha obbligato a riflettere sul desti-no dei propri cari perduti.L’autore, partendo proprio da una personale esperienza di dolore e di perdita, con un linguaggio semplice ma mai banale, e con ricchi esempi tratti dalla propria vita, dai testi di pensatori anche laici, e dalla testimonianza dei grandi mistici, ci conduce nel complesso cammino della rifles-sione su ciò che attende l’uomo alla fine della sua vita.

CAMMINARE CON GESÙL’asino Nadir racconta

Stefano Gorla – San Paolo

Una vita di Gesù per piccoli let-tori raccontata dall’asino Nadir che narra, in prima persona, tutti

gli avvenimenti del Vangelo di cui è stato testimone: at-traverso i suoi occhi pieni di tenerezza e stupore – occhi di

un “semplice” –, Stefano Gorla ri-percorre gli incontri e i miracoli di Gesù dalla nascita alla resurrezio-ne. Le illustrazioni di Carla Manea accompagnano il racconto.

NULLA È PIÙ ESIGENTE DELL’AMORELa famiglia e le sfidedi AMORIS LAETITIA

G. Alcamo (a cura di) – Paoline

Delle tre sezioni in cui è strutturato il testo la seconda è la più importan-te poiché affronta cinque questioni: 1. come educare i giovani perché

rispondano alla vocazione all’a-more; 2. quali aiuti offrire alla famiglia perché viva la pienezza dell’amore; 3. come accompa-gnare nel discernimento vocazio-nale i giovani fidanzati; 4. quali sono i consiglieri reali dei giovani; 5. come costruire concretamente un itinerario di discernimento vo-cazionale per i fidanzati.

Libri

54 Gesù Maestro settembre-ottobre 3-2017

Film

PIENA DI GRAZIALa storia di Maria la Madre di Gesù

Regia: Andrew HyattAnno 2015

10 anni dopo la morte di Gesù gli apostoli stanno vivendo un momento di difficoltà ma trovano in Maria sua madre una figura in grado di rincuo-rarli e spingerli a proseguire l’opera iniziata dal Figlio. Andrew Hyatt af-fronta per primo sullo schermo la figura della Madre di Cristo immagi-

nandone la vita dopo la morte e resurrezione del figlio. Lo fa focalizzando la sua azione come opera di soste-gno all’azione di un Pietro non dubbioso ma oppresso da ciò che sta accadendo nella Chiesa nascente.

IL VIAGGIO DI FANNYRegia: Lola Doillon

Anno 2016

Seconda Guerra Mondiale.Molte famiglie di origine ebraica perseguitate dal regime nazista, si trovano costrette ad affidare i pro-pri bambini a piccole organizzazio-ni clandestine che li accudiscano e li proteggano mentre, al contem-po, cercano di nascondere la loro

identità. Fanny, un’ebrea dodicenne, separata insie-me alle sue due sorelle dai genitori, è costretta dalle circostanze a scappare dal proprio rifugio assieme a un folto gruppo di bambini, per cercare riparo in Svizzera.

ATTENZIONE – Accogliendo l’espresso desiderio di molti membri della “Santa Famiglia” per continuare a offrire un contributo, secondo le proprie possibilità,

all’Istituto e all’Opera di S. Giuseppe di Spicello, comunichiamo le modalità di offerta:

Conto corrente postale intestato a “Istituto Santa Famiglia” - n° 95135000conto intestato a “Santuario San Giuseppe” - n° 14106611

Banca di Credito Cooperativo di Roma - Agenzia n. 1 - c/c bancario “Istituto Santa Famiglia”IBAN: IT34K0832703201000000034764

Banca di Credito Cooperativo del Metauro - c/c bancario “Santuario San Giuseppe”IBAN: IT60d0870068470000010199980

IL VALORE DELLA SANTA MESSA

«Niente è più grande dell’Eucaristia!... Quando noi vogliamo liberare dal Purgatorio una persona cara e invocare la benedizione sulle nostre famiglie, offriamo a dio il santo Sacrificio del suo Figlio diletto, con tutti i meriti della sua passione e della sua morte. Egli, dio Padre, non potrà non ascoltarci…» (Santo Curato d’Ars).

OPERA SANTE MESSE PERPETUE

Si tratta di 2400 Messe che ogni anno vengono celebrate dai Sacerdoti Paolini per tutti gli iscritti vivi e defunti. Tale Opera è stata voluta da don Giacomo Alberione come segno di riconoscenza verso tutti coloro che aiutano gli apostolati della Famiglia Paolina.

Norme per l’iscrizione 1. Ogni iscrizione si riferisce a una singola persona, sia viva che defunta. 2. Per ogni iscritto si rilascia una pagellina-ricordo con il nome e la data d’iscrizione. 3. Gli iscritti godono del beneficio di sei Sante Messe che ogni giorno vengono cele-

brate esclusivamente per loro. 4. L’offerta per ogni iscrizione è di Euro 20,00 ed ha valore perpetuo.

Celebrazione di Sante Messe • Celebrazione di Sante Messe secondo le intenzioni dell’offerente: ? 10,00. • Celebrazione di un Corso di Messe Gregoriane l’offerta è di ? 350,00.

Inoltrare le prenotazioni delle intenzioni di Messe all’Istituto “Santa Famiglia”Circonvallazione Appia 162 – 00179 ROMA – ccp n. 95135000.

ISTITUTO“GESù SACERDOTE”ISTITUTO“SANTA FAMIGLIA”

Due Istituti Paolinidi Vita Secolare Consacrata,aggregati alla Società San Paoloe parte integrante della Famiglia Paolina,nati dal cuore apostolicodel beato Giacomo Alberione,che si propongono come ideale la santità della vita sacerdotale e familiaree come missione specifical’annuncio di Cristo MaestroVia, Verità e Vita.