Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S...

56
Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma Gesù dice alla samaritana: “Dammi da bere”. “Signore, gli dice la donna, dammi quest’acqua perché io non abbia più sete” (Gv 4,7.15) Novembre-Dicembre 4-2017 Gesù Maestro

Transcript of Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S...

Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma

Gesù dice alla samaritana:“Dammi da bere”.

“Signore, gli dice la donna,dammi quest’acqua perché io non abbia più sete”

(Gv 4,7.15)

Novembre-Dicembre 4-2017

GesùMaestro

Gesù MaestroNovembre-Dicembre 4/2017 - Trimestrale anno 21

Istituti Paolini “Gesù Sacerdote” e “Santa Famiglia”

DIRETTORE: Don Roberto Roveran

DIREzIONE: Circonvallazione Appia, 162 - 00179 Roma Tel. 06.7842609 - 06.7842455 - Fax 06.786941

AuTORIzzAzIONE TRIbuNAlE DI ROmA n° 76/96 del 20/02/1996

Fotocomposizione e stampa: mancini Edizioni s.r.l. - Servizi di STAMPA • GRAFICA • WEB Cell. 335.5762727 - 335.7166301

In copertina: Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591-1666),Cristo e la donna samaritana, olio su tela del 1640,

museo Thyssen-bornemisza di madrid

uscire nel mondo a portare la gioia del Vangelo . . . . . . . . . 3

una più autentica sapienza della vita . . . . . . . . . . . . . . . . 7

l’acqua viva del pozzo di Sicar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Tra memoria e profezia il nostro impegno . . . . . . . . . . . . . . 14

Considerazioni sul Convegno dedicato a don lamera . . . . . 19

Discussioni sulle scelte morali di Papa Francesco . . . . . . . 23

lussuria e onore del prossimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

«Io sono tutto tuo» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

Quando i figli non vanno più in chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . 32

la messa domenicale per gli sposi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

Educazione all’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

In comunione d’amore con la preghiera . . . . . . . . . . . . . . . 43

lezione di fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45Consacrazione da laici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46un anno nuovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47In marcia con la Famiglia Paolina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

uniti nel suffragio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

libri, audiovisivi e film . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

EDITORIALE

MAGISTERO DELLA CHIESA

IMPORTANTE CHIARIMENTO

SPIRITUALITA’ BIBLICA

GUARIRE IL CUORE

CONvEGNO SU LAMERA

ISTITUTO “GESU’ SACERDOTE”

LE NOSTRE PREGHIERE

LITURGIA NELLA vITA

FAMIGLIA E SESSUALITÀ

vEDOvANzA

ESPERIENzE E TESTIMONIANzE

IN MEMORIA

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”

Comunicazione del delegato

Lettera del delegato

2 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

SO

MM

AR

IO

Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma

Gesù dice alla samaritana:

“Dammi da bere”.

“Signore, gli dice la donna,

dammi quest’acqua perché io non abbia più sete” (Gv 4,7.15)

Novembre-Dicembre 4-2017

GesùMaestro

NOvITÀ

3Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Editoriale

SO

MM

AR

IO

Evangelii gaudium parte da un principio chiaro: la Chiesa è chiamata ad “uscire”

per annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi e in tutte le occasioni, senza ritardi e senza paure. Si tratta di mettersi in una si-tuazione di “uscita”, di andare oltre, di stare lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia, l’educazione, la sanità, la famiglia.

Al tempo stesso questa esortazione apo-stolica riafferma un altro principio importan-te da tenere in conto: uscire verso le periferie del mondo è una chiamata rivolta a tutto il popolo di Dio. Solo se ogni membro di questo “popolo” accoglie con generosa di-sponibilità questa esigenza della nuova evan-gelizzazione si potrà arrivare a «ogni essere umano», senza escludere o dimenticare nes-suno, spingendosi fino ai confini geografici e ai margini esistenziali dell’umanità. Solo con l’impegno di tutti si potrà prestare partico-lare attenzione ai principali destinatari della nuova evangelizzazione: «coloro che stanno lontani da Cristo».

La Chiesa vive nel mondo e in dialogo con esso. Il Signore Gesù ha voluto la Chiesa come sacramento della sua presenza di risorto nella storia. Cristo, anche dopo la sua ascen-sione al cielo, continua a “precederci nell’a-more”. In questo contesto Papa Francesco ci ricorda che la Chiesa è chiamata a prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, frut-tificare e festeggiare. Sono i verbi propri della secolarità. La consacrazione secolare porta a vivere fino in fondo la spiritualità dell’esodo e della ospitalità.

Spiritualità dell’esodo che permetterà di cercare in ogni momento i segni, molte volte nascosti, della presenza del Signore nel-la storia, e, d’altra parte, di assumere l’auda-cia e la creatività come compagne di cam-mino, abbandonando il comodo criterio del “si è fatto sempre così”. Spiritualità dell’o-spitalità, che spingerà ad aprire il cuore a tutte le vicissitudini dell’uomo e della donna di oggi per poterle illuminare con la luce del Vangelo.

La profezia della consacrazione secolare è incompatibile con il timore di luoghi e si-tuazioni a rischio. Al contrario, sono preci-samente queste situazioni a essere propizie a tale consacrazione, in modo che in esse i membri degli istituti secolari possano leggere e collaborare al compimento della storia della salvezza, proprio a partire da esse, dove la persona soffre l’esclusione, la sofferenza, ed è privata della sua dignità.

Uscire nel mondo a portarela gioia del Vangelo

Pubblichiamo un importante articolo sugli Istituti secolari alla luce dell’Evangelii gaudium di mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per la vita consacrata e le società

di vita apostolica, apparso su L’Osservatore Romano del 21 luglio scorso.

Uscire nel mondo a portare la gioia del Vangelo

4 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Verso quali periferie?Non si può dare una risposta precisa a

questa domanda. L’uscire passa dal lasciar-si interpellare dalla realtà, aprirsi e mettere in atto processi di discernimento per capire dove e come andare.

Certamente è necessario organizzare l’u-scita, darle un senso, un orientamento per evitare che si riduca a un ricordino, ma non si può rimandare all’infinito. Chi esce può sbagliarsi, ma chi non esce certamen-te ha già sbagliato. L’uscita può assumere

il rischio della provvisorietà e dell’urgenza, implica l’assunzione dell’incertezza del mo-mento e del cammino. In definitiva, l’uscita comporta fede, credere in quello che si fa, im-prontare di speranza tutto quello che si fa, es-sere capaci di farsi carico dello stato d’animo degli altri, saper andare avanti armonizzando la tenerezza con la fermezza dei principi per farsi carico della debolezza dei più indifesi.

La consacrazione secolare pone in una si-tuazione costante di rischio, chiama ad abita-re qualunque situazione di fragilità, a essere molto attenti a tante fragilità che ci circonda-no e a trasformarle in spazi di benedizione.

La missionarietà è pienamente inserita nella consacrazione secolare, sapendo che la missione è dedicarsi al progetto di Dio nella storia, mentre la secolarità consiste nell’abi-tarla. È da questa situazione, che per i se-colari è un vero stato di vita, che si deve annunciare il Vangelo anche nelle situazioni

sociali di rischio. In questo contesto la pro-fezia consiste nel soccorrere senza giu-dicare; nell’evidenziare il positivo che c’è in ogni situazione; nel «non aver paura della tenerezza»; nel rivalutare le virtù umane che rendono vero ogni tipo di relazione e di im-pegno per un mondo nuovo.

Per i secolari, il tema delle relazioni nel quotidiano - nella famiglia e nella comunità cristiana, nella vita e nel lavoro, nelle diverse situazioni psicologiche e sociali, e soprattutto nella condivisione della fede e nell’impegno apostolico - è il tessuto sul quale ricamare la ricchezza dei carismi. Senza relazioni tutto si disfa e tutto rischia di risultare una controte-stimonianza.

Trasmettere allegria, essere profeta di speranza: sempre, in ogni momento, in ogni circostanza, nei giorni di festa e nei gior-ni feriali [...] ricordando che «una sequela tri-ste è una triste sequela» e che siamo chiamati a trovare «la perfetta letizia» anche in mezzo alle normali difficoltà della vita: notti dello spirito, delusioni, malattie, declino delle forze dovuto alla vecchiaia.

Quale gioia?La gioia propria del cristiano e del con-

sacrato, e pertanto la vostra, è anzitutto una disposizione interiore che nasce nell’animo di una persona quando si rende conto di essere in presenza di un bene e constata una aper-tura del cuore. Così si deduce dalla etimolo-gia di gaudium. È principalmente interiore, consiste nella vita nascosta in Dio e trova la sua fonte nella verità, nella bontà, nella bel-lezza. Questa gioia ha molto a che fare con la consolazione che negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio consiste in un sentimento di intima felicità che infiamma l’anima nell’amore di Dio. Possiamo quindi affer-mare che la gioia di cui parla Papa Francesco e la gioia propria di un consacrato è un even-to intimo, che nasce nel cuore, e coincide con la consolazione spirituale. D’altra parte,

5Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Editoriale

certamente quando Papa Francesco parla della gioia pensa a ciò che Paolo VI, per il quale egli sente una profonda ammirazione, definisce come «la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre semi-nare nelle lacrime» (Evangelii nuntiandi, 75).

Questa gioia nasce dalla vicinanza di Gesù, dall’incontro con lui, dall’accoglienza del Vangelo. Per cui non si tratta di una alle-gria esteriore, allegria finta, allegria di vetrina, ma di una allegria profonda, autentica, che nessuno può rubare, né la tribolazione, né la persecuzione, né le prove di qualunque tipo. Però questa allegria nasce e si alimenta anche con la vicinanza alla gente.

Perché l’allegria, come Gesù o il Vangelo da cui deriva, è sempre comunicante. L’alle-gria soffre di solitudine, ha bi-sogno di comunicarsi e cresce nella misura in cui si comuni-ca. Bonum est diffusivum sui, come affermavano gli scola-stici. Nell’esortarci alla gio-ia Papa Francesco ci chiede due atteggiamenti: accoglier-la e condividerla. Accoglier-la, perché viene da Gesù, anzi: è Gesù stesso. Diffonderla, condividerla - questo secondo at-teggiamento è la missionarietà -, perché la gio-ia, come il Vangelo, «ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono» (Evangelii gaudium, 21).

Per Papa Francesco la gioia non è una questione di immagine, è contenuto e forma dell’annuncio. La gioia è costitutiva della fede cristiana. Per questo, per un cristiano, soprattutto per un consacrato, la gioia non è una possibilità, ma una responsabilità, una grande responsabilità. Non possiamo privare il mondo della gioia di essere stati trovati dal Signore; non possiamo privare il mondo della profezia della gioia.

Inoltre questa perfetta letizia è un modo straordinario di seminare speranza nei nostri giorni, di trasmetterla ai nostri contempora-nei che si trovano in difficoltà anche gravi e

dolorose. La perfetta letizia include, offre e sparge la perfetta speranza. In questo modo, speranza e allegria vanno di pari passo e ren-dono i consacrati profeti dell’una e dell’altra.

La gioia è testimonianza di una vita pie-na, beata: è come il vertice dell’esistenza, una sensazione di pienezza nella quale la vita ap-pare in tutta la sua positività, come colma di senso e meritevole di essere vissuta. La gioia è determinata dalla scoperta di essere soddi-sfatti. Testimonianza di una vita che trova nella sequela di Gesù il suo senso. L’allegria trasforma la nostra vita in profezia.

Profeti di speranzaIlario di Poitiers si fa eco della domanda

di molti che gridano ai cristiani: «Dov’è, cri-stiani, la vostra speranza?». Anche la speranza è una re-sponsabilità per i cristiani e molto più per i consacrati. Di essa noi cristiani e con-sacrati siamo chiamati a ri-spondere a chi ce ne chiede conto. Questa responsabilità al giorno d’oggi è drammati-

ca, particolarmente per i consacrati. E la vita consacrata è in grado di offrire ai suoi con-temporanei orizzonti di speranza, o, al contra-rio, è anch’essa colpita dalla mancanza di spe-ranza che tanti uomini e donne vivono oggi?

L’impressione è che oggi il nemico della speranza tra noi sia la rassegnazione o l’in-differenza, la perdita di senso o quanto meno l’irrilevanza di senso. Indizio di questa grave infermità è l’autoreferenzialità o tante opzioni che si limitano alla gestione del presente sen-za impegnare il futuro. Il cristiano e il con-sacrato trova in Cristo la propria speranza. Per questo motivo possiamo affermare che la fiducia riassume la ricca esperienza della vita consacrata, ma soprattutto segnala il suo orizzonte in Gesù e nel suo Spirito.

Durante l’Anno della vita consacrata il Papa ci ha suggerito di «abbracciare il futuro

Uscire nel mondo a portare la gioia del Vangelo

6 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

con speranza». Una speranza che si rende presente dove la vita consacrata è diminuita, e allo stesso modo negli altri luoghi dove fiori-sce con persone giovani in numero crescente.

Non bisogna cedere alla tentazione dei numeri e delle opere. La nostra speranza si fonda in Gesù che ci ha chiamato. Alcune situazioni sono umanamente confortanti, ma occorre fondare questa speranza in Gesù, non nei nostri “carri e cavalli”. Altre uma-namente sono disperate, per l’incertezza che comportano e che ci fanno compagni di cam-mino dei nostri contemporanei; anche qui si innalza la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia.

Per il credente non c’è motivo per la sfi-ducia, il pessimismo, la disperazione. Non c’è motivo per la scontentezza cronica, per una accidia che inaridisce l’anima, non ci sono scu-se perché il Vangelo rimanga sepolto. In ogni momento siamo chiamati a vegliare, a rimane-

re svegli, a recuperare la nostra vocazione e missione di essere sentinelle nella notte. Solo così la vita consacrata sarà scuola profeti-ca di speranza per quelli che l’hanno perduta e potrà illuminare il futuro dell’umanità.

Nelle relazioni secolari, le più diverse, il primo impatto viene dalla capacità di irradia-re serenità, fiducia, entusiasmo, speranza. La speranza del cristiano e del consacrato seco-lare non è frutto della fuga dai problemi del quotidiano, ma è certezza, anche nella prova, che l’amore di Gesù ci raggiunge, ci coinvol-ge e ci salva.

Cristo è la realtà ultima che illumina tutte le realtà e tutte le relazioni. Ancorati nella fede in Cristo morto e risorto, il consacrato secolare è chiamato ad essere profeta di spe-ranza irradiandola e contagiandola. Questo è il volto che Papa Francesco vuole per la Chiesa. In questo gli istituti secolari devono essere in prima linea.

BuonNatalee BuonAnno

IMIP. Alba, 10-12-1933

Carissimi in san Paolo,il Presepio è per noi Verità, Via, Vita;come il Crocifisso e l’Ultima Cena.Il Divino Maestro dalla sua cattedradella greppia ci ammaestri,ci renda docili e piccoli discepoli.Benedicendo

Aff.mo M. Alberione

7Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Magistero della Chiesa

Una più autentica sapienza della vitaIl 5 ottobre scorso Papa Francesco parlando all’Assemblea plenaria della Pontificia Accade-mia per la vita ha offerto la visione della Chiesa in merito ai recenti sviluppi tecnologici delle scienze della vita.

Il tema di questa vostra sessione: “Ac-compagnare la vita. Nuove responsabi-

lità nell’era tecnologica”, è impegnativo e al tempo stesso necessario. Esso affronta l’intreccio di opportunità e criticità che interpella l’umanesimo planetario, in ri-ferimento ai recenti sviluppi tecnologici delle scienze della vita. La potenza delle biotecnologie, che già ora consente mani-polazioni della vita fino a ieri impensabili, pone questioni formidabili.

È urgente, perciò, intensificare lo studio e il confronto sugli effetti di tale evoluzio-ne della società in senso tecnologico per articolare una sintesi antropologica che sia all’altezza di questa sfida epocale…

Materialismo tecnocratico1. La creatura umana sembra oggi tro-

varsi in uno speciale passaggio della pro-pria storia che incrocia, in un contesto ine-dito, le antiche e sempre nuove domande sul senso della vita umana, sulla sua origi-ne e sul suo destino.

Il tratto emblematico di questo passag-gio può essere riconosciuto sinteticamente nel rapido diffondersi di una cultura osses-sivamente centrata sulla sovranità dell’uo-mo – in quanto specie e in quanto individuo – rispetto alla realtà. C’è chi parla persino di egolatria, ossia di un vero e proprio cul-to dell’io, sul cui altare si sacrifica ogni cosa, compresi gli affetti più cari. Questa prospettiva non è innocua: essa plasma un soggetto che si guarda continuamente allo specchio, sino a diventare incapace di ri-volgere gli occhi verso gli altri e il mondo. La diffusione di questo atteggiamento ha conseguenze gravissime per tutti gli affetti e i legami della vita (cfr Laudato si’, 48).

Non si tratta, naturalmente, di negare o di ridurre la legittimità dell’aspirazione individuale alla qualità della vita e l’impor-tanza delle risorse economiche e dei mez-zi tecnici che possono favorirla. Tuttavia, non può essere passato sotto silenzio lo spregiudicato materialismo che caratteriz-za l’alleanza tra l’economia e la tecnica, e che tratta la vita come risorsa da sfruttare o da scartare in funzione del potere e del profitto.

Purtroppo, uomini, donne e bambini di ogni parte del mondo sperimentano con amarezza e dolore le illusorie promesse di questo materialismo tecnocratico. Anche perché, in contraddizione con la propa-ganda di un benessere che si diffonde-rebbe automaticamente con l’ampliarsi del mercato, si allargano invece i territori della povertà e del conflitto, dello scarto

Una più autentica sapienza della vita

8 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

e dell’abbandono, del risentimento e del-la disperazione. Un autentico progresso scientifico e tecnologico dovrebbe invece ispirare politiche più umane.

La fede cristiana ci spinge a riprendere l’iniziativa, respingendo ogni concessio-ne alla nostalgia e al lamento. La Chie-sa, del resto, ha una vasta tradizione di menti generose e illuminate, che hanno aperto strade per la scienza e la coscienza nella loro epoca. Il mondo ha bisogno di credenti che, con serietà e letizia, siano creativi e propositivi, umili e coraggiosi, risolutamente determinati a ricomporre la frattura tra le generazioni. Questa frattura interrompe la trasmissione della vita. Del-la giovinezza si esaltano gli entusiasmanti potenziali: ma chi li guida al compimen-to dell’età adulta? La condizione adulta è una vita capace di responsabilità e amore, sia verso la generazione futura, sia verso quella passata. La vita dei padri e delle madri in età avanzata si aspetta di essere onorata per quello che ha generosamente dato, non di essere scartata per quello che non ha più.

Responsabilità per il mondo2. La fonte di ispirazione per questa ri-

presa di iniziativa, ancora una volta, è la Parola di Dio, che illumina l’origine della vita e il suo destino.

Una teologia della Creazione e della Redenzione che sappia tradursi nelle pa-role e nei gesti dell’amore per ogni vita e per tutta la vita, appare oggi più che mai necessaria per accompagnare il cammino della Chiesa nel mondo che ora abitiamo. L’Enciclica Laudato si’ è come un manife-sto di questa ripresa dello sguardo di Dio e dell’uomo sul mondo, a partire dal grande racconto di rivelazione che ci viene offerto nei primi capitoli del Libro della Genesi. Esso dice che ognuno di noi è una creatura

voluta e amata da Dio per sé stessa, non solamente un assemblaggio di cellule ben organizzate e selezionate nel corso dell’e-voluzione della vita. L’intera creazione è come inscritta nello speciale amore di Dio per la creatura umana, che si estende a tutte le generazioni delle madri, dei padri e dei loro figli.

La benedizione divina dell’origine e la promessa di un destino eterno, che sono il fondamento della dignità di ogni vita, sono di tutti e per tutti. Gli uomini, le donne, i bambini della terra – di questo sono fatti i popoli – sono la vita del mondo che Dio ama e vuole portare in salvo, senza esclu-dere nessuno.

Il racconto biblico della Creazione va ri-letto sempre di nuovo, per apprezzare tutta l’ampiezza e la profondità del gesto dell’a-more di Dio che affida all’alleanza dell’uo-mo e della donna il creato e la storia.

Questa alleanza è certamente sigillata dall’unione d’amore, personale e feconda, che segna la strada della trasmissione del-la vita attraverso il matrimonio e la fami-glia. Essa, però, va ben oltre questo sigillo. L’alleanza dell’uomo e della donna è chia-mata a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società. Questo è un invito alla responsabilità per il mondo, nella cultura e nella politica, nel lavoro e nell’economia;

Magistero della Chiesa

9Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

e anche nella Chiesa. Non si tratta sem-plicemente di pari opportunità o di rico-noscimento reciproco. Si tratta soprattutto di intesa degli uomini e delle donne sul senso della vita e sul cammino dei popo-li. L’uomo e la donna non sono chiamati soltanto a parlarsi d’amore, ma a parlarsi, con amore, di ciò che devono fare perché la convivenza umana si realizzi nella luce dell’amore di Dio per ogni creatura. Parlar-si e allearsi, perché nessuno dei due – né l’uomo da solo, né la donna da sola – è in grado di assumersi questa responsabilità. Insieme sono stati creati, nella loro diffe-renza benedetta; insieme hanno peccato, per la loro presunzione di sostituirsi a Dio; insieme, con la grazia di Cristo, ritornano al cospetto di Dio, per onorare la cura del mondo e della storia che Egli ha loro affi-dato.

Una cultura della differenza3. Insomma, è una vera e propria rivolu-

zione culturale quella che sta all’orizzonte della storia di questo tempo. E la Chiesa, per prima, deve fare la sua parte.

In tale prospettiva, si tratta anzitut-to di riconoscere onestamente i ritardi e le mancanze. Le forme di subordinazione che hanno tristemente segnato la storia delle donne vanno definitivamente abban-donate. Un nuovo inizio dev’essere scritto nell’ethos dei popoli, e questo può farlo una rinnovata cultura dell’identità e della differenza. L’ipotesi recentemente avanza-ta di riaprire la strada per la dignità della persona neutralizzando radicalmente la dif-ferenza sessuale e, quindi, l’intesa dell’uo-mo e della donna, non è giusta. Invece di contrastare le interpretazioni negative della differenza sessuale, che mortificano la sua irriducibile valenza per la dignità umana, si vuole cancellare di fatto tale dif-ferenza, proponendo tecniche e pratiche

che la rendano irrilevante per lo sviluppo della persona e per le relazioni umane. Ma l’utopia del “neutro” rimuove ad un tem-po sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente, sia la qualità per-sonale della trasmissione generativa della vita. La manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale, che la tecnologia biomedica lascia intravvedere come com-pletamente disponibile alla scelta della libertà – mentre non lo è! –, rischia così di smantellare la fonte di energia che ali-menta l’alleanza dell’uomo e della donna e la rende creativa e feconda.

Il misterioso legame della creazione del mondo con la generazione del Figlio, che si rivela nel farsi uomo del Figlio nel grem-bo di Maria – Madre di Gesù, Madre di Dio – per amore nostro, non finirà mai di la-sciarci stupefatti e commossi. Questa rive-lazione illumina definitivamente il mistero dell’essere e il senso della vita. L’immagi-ne della generazione irradia, a partire da qui, una sapienza profonda riguardo alla vita. In quanto è ricevuta come un dono, la vita si esalta nel dono: generarla ci rigene-ra, spenderla ci arricchisce.

Occorre raccogliere la sfida posta dalla intimidazione esercitata nei confronti della generazione della vita umana, quasi fosse una mortificazione della donna e una mi-

Una più autentica sapienza della vita

10 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

naccia per il benessere collettivo. L’allean-za generativa dell’uomo e della donna è un presidio per l’umanesimo planetario degli uomini e delle donne, non un handicap. La nostra storia non sarà rinnovata se rifiutia-mo questa verità.

Compassione fra generazioni4. La passione per l’accompagnamento

e la cura della vita, lungo l’intero arco del-la sua storia individuale e sociale, chiede la riabilitazione di un ethos della compas-sione o della tenerezza per la generazione e rigenerazione dell’umano nella sua dif-ferenza.

Si tratta, anzitutto, di ritrovare sensibi-lità per le diverse età della vita, in partico-lare per quelle dei bambini e degli anziani. Tutto ciò che in esse è delicato e fragile, vulnerabile e corruttibile, non è una fac-cenda che debba riguardare esclusivamen-te la medicina e il benessere. Ci sono in gioco parti dell’anima e della sensibilità

umana che chiedono di essere ascoltate e riconosciute, custodite e apprezzate, dai singoli come dalla comunità. Una società nella quale tutto questo può essere soltan-to comprato e venduto, burocraticamente regolato e tecnicamente predisposto, è una società che ha già perso il senso della vita. Non lo trasmetterà ai figli piccoli, non lo riconoscerà nei genitori anziani. Ecco perché, quasi senza rendercene conto, or-mai edifichiamo città sempre più ostili ai bambini e comunità sempre più inospitali per gli anziani, con muri senza né porte né finestre: dovrebbero proteggere, in realtà soffocano.

La testimonianza della fede nella mise-ricordia di Dio, che affina e compie ogni giustizia, è condizione essenziale per la circolazione della vera compassione fra le diverse generazioni. Senza di essa, la cultura della città secolare non ha alcu-na possibilità di resistere all’anestesia e all’avvilimento dell’umanesimo…

Esercizi spirituali isf a Spicello, 1° ottobre 2017

11Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017 11Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Spiritualità biblica

Giovanni scrive il suo racconto su Gesù rivolgendosi a comunità cristiane che

ormai sono avviate nella vita sacramenta-le, ma stanno perdendo il significato vero di quanto celebrano nella fede. L’acqua del battesimo, la luce della fede e del Vangelo, il pane e il vino dell’Eucaristia, Corpo e Sangue del Signore, l’unzione del-lo Spirito rischiavano di perdere la forza della loro mistagogia, cioè la capacità di introdurre al mistero.

Il mezzogiorno di Sicar Il colloquio tra Gesù e la samaritana

rivela quell’innata capacità pedagogica di Gesù, che nel Vangelo secondo Giovanni è spesso evocata dal titolo rabbì (maestro), con cui egli viene chiamato dai suoi inter-locutori (1,38; 1,49…).

Gesù infatti,vuole condurre la samari-tana (e tutti noi) a comprendere una verità più profonda, che egli sembra nascondere sulla superficie delle parole che si intrec-ciano nel dialogo con lei: l’ora del mezzo-giorno, il pozzo, l’acqua, la sete, il Tempio di Gerusalemme, il monte Garizim luogo del culto della samaritana, la richiesta di notizie sul marito della donna di Samaria.

Mezzogiorno è l’ora più luminosa della giornata, quando il sole è al culmine del suo splendore. Nella sua profonda lettura spirituale del tempo, l’evangelista Giovan-ni vede qui il simbolo della rivelazione di Gesù. «La rivelazione delle tue parole illu-mina», esclama estasiato l’orante dei Sal-mi (Sal 119,130). In quel tempio spiritua-

le che è l’umanità di Gesù si manifesta la piena luminosità della Parola di Dio, il suo mezzogiorno. Il corpo risorto di Gesù è il vero luogo, in cui è custodita e comunicata la Parola di Dio.

Ecco perché nelle nostre chiese il libro della Parola è venerato ed esposto. Don Al-berione amava ripetere che da qui, dalla Parola e dall’Eucaristia, il Maestro educa al vero culto spirituale e illumina con la pienezza della sua Rivelazione: “Di qui vo-glio illuminare”.

L’acqua viva del pozzo di SicarIl colloquio tra Gesù e la samaritana al cap. 4 del Vangelo di Giovanni, apparentemente semplice e scorrevole, acquista un significato più profondo, alla luce della spiritualità e della simbologia del quarto Evangelista.

L’acqua viva del pozzo di Sicar

12 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Il pozzo, l’acqua, la sete 1) Il pozzo nelle tradizioni bibliche dei

Patriarchi era considerato il luogo privile-giato dell’incontro tra i giovani fidanzati (cf Gen 24,11; 29,2; Es 2,15). Ha, quindi, un profondo simbolismo sponsale, che cul-mina nell’immagine paolina della Chiesa/Sposa che presso il “pozzo” del tempio spirituale incontra e ama Cristo/Sposo.

Il cuore dell’Eucaristia non è, perciò, l’edificio materiale che la custodisce (il luogo della custodia eucaristica), ma l’a-more sponsale che unisce il tralcio alla Vite, il gregge al Pastore, Israele/Sposa a Dio/Sposo, la Sposa del Cantico al suo Amato, il Figlio Unigenito al Padre, nel cui seno è da sempre.

Il nostro Fondatore chiamava questo legame sponsale con il termine cristifica-zione, vedendolo realizzarsi nell’adorazio-ne del discepolo e della discepola al loro Maestro/Sposo.

2) L’acqua nel Vangelo spirituale di Gio-vanni non è solo l’elemento che disseta, ma – come alle nozze di Cana – è simbolo dei grandi doni del Dio della Bibbia che anticipano il dono definitivo di Gesù (cf Gv 2,1-11). L’acqua è simbolo della Leg-ge data a Mosè, è simbolo della Sapienza, della Profezia, del Tempio di Gerusalem-me. L’acqua viva, offerta da Gesù, è imma-gine della sua Rivelazione definitiva nel-

la novità del dono del suo Vangelo, come alle nozze di Cana il vino miracoloso che trabocca dalle anfore simboleggia tutta la novità del dono portato da Gesù: «Se tu co-noscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10).

Dall’acqua del Mar Rosso nella prima Pasqua dell’Esodo all’acqua del pozzo di Sicar, il cammino del catecumeno nella Chiesa giustamente si concludeva, come il cammino di fede della donna di Sama-ria, con la richiesta dell’acqua viva offerta da Gesù nel Battesimo: «Signore, dam-mi quest’acqua, perché io non abbia più sete» (4,15).

3) La sete, che Gesù avverte, costitui-sce il dramma dell’uomo della Bibbia che percorre le piste del deserto o che nel de-serto vive. La sete richiama l’aridità del suolo e l’assenza della benedizione della pioggia di primavera e della pioggia d’au-tunno e l’assenza del dono della rugiada mattutina.

Nel Vangelo spirituale di Giovanni que-sta sete materiale è simbolo dei drammi più profondi dell’uomo. È quella sete di cui Gesù dirà: «Chi ha sete venga a me e beva» (3,37). Neppure l’acqua che sgor-ga dal Tempio di Gerusalemme, come profetizza Ezechiele (7,1), ha la capacità di soddisfare una simile sete. Solamente quella che esce da quel Tempio spiritua-le che è il Signore Risorto, possiede tale capacità: «Chiunque beve di quest’acqua – dice il Signore alla samaritana – avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno» (4,13-14).

La pedagogia di Gesù La donna samaritana è per Giovanni

simbolo dei Samaritani. Questi si differen-

13Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Spiritualità biblica

ziavano dai Giudei perché erano fedeli so-lamente ai primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deutero-nomio (chiamati anche Pentateuco Sama-ritano). Inoltre non riconoscevano il prima-to del Tempio di Gerusalemme e avevano come loro luogo di culto il monte Garizim, in Sa-maria. Anche in questo contesto Gesù rivela la sua innata capacità pe-dagogica. I cinque mari-ti che la donna ha avu-to («Hai detto bene “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai non è tuo marito»: 4,17-18), sono immagine dei primi cinque libri della Bibbia, tanto venerati dai Sama-ritani.

Essi, però, da soli non possono offrire la condizione sponsale perfetta a cui Dio chiama il suo popolo/sposa: «Voi adorate quello che non conoscete». Questa condi-zione sponsale è possibile aprendosi alla Rivelazione definitiva che ora Gesù sta of-frendo ai Giudei, facendo convergere in sé il nome e la realtà stessa del Dio del Pen-tateuco: “Io sono” (cf Es 3,14) è la rivela-zione di Dio e del suo Nome a Mosè.

Dicendo Gesù: «Sono io che ti parlo», la Rivelazione biblica raggiunge in lui la sua pienezza e il cammino dei suoi interlocuto-ri (la samaritana, i discepoli e noi) giunge alla tappa definitiva, quella del mezzogior-no di Sicar, illuminato dallo splendore del-la divinità di Gesù e della sua Parola.

L’ora di Gesù

Giungiamo così al cuore del messaggio che il Vangelo spirituale di Giovanni vuo-le comunicare nel dialogo di Gesù con la

donna samaritana: «Credimi, donna… Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri ado-ratori adoreranno il Padre in spirito e veri-tà» (4,21.23). La parola “ora”, nel Vange-lo secondo Giovanni indica il culmine della missione e della rivelazione di Gesù: l’ora

della Crocifissione e del-la Pasqua.

Di fronte a questa ora ha inizio il tempo ulti-mo, il tempo definitivo, escatologico. Allora ces-serà il ruolo del Tempio di Gerusalemme e del Tempio samaritano sul monte Garizim; cesserà il ruolo dei sacrifici of-ferti nel Tempio e del-la preghiera del sabato nella sinagoga e inizie-rà il tempo dello spirito e della verità, quando il

vero sacrificio è quello di Gesù/Servo del Signore, che si immerge nel compimento della volontà del Padre e offre se stesso per la salvezza dell’umanità. Da questo sacrifi-cio nasceranno i veri adoratori, quello che «adoreranno il Padre in spirito e verità».

Nel Vangelo secondo Giovanni l’agget-tivo “vero” (i veri adoratori, la vera vite, la luce vera, il vero cibo, la vera bevanda) ha un significato profondo, spirituale, teologi-co. Indica il compimento, la realizzazione di una promessa e di una parola. Significa perciò “definitivo”.

Il dialogo di Gesù con la samaritana presenta l’attualità della pedagogia di Gesù. Nella sua veste di profondo conosci-tore dell’uomo e nella sua identità di ma-estro interiore, Gesù conduce ancora tutti noi, come la samaritana, dalla realtà quo-tidiana in cui siamo immersi al significato più completo, ultimo e definitivo di questa stessa realtà.

Don Primo GIRONI ssp

Tra memoria e profezia il nostro impegno diventa una lode al SignoreVissuto a fine agosto, a vent’anni dalla sua scomparsa, il convegno di Ariccia su don La-mera è stato un prezioso momento di riflessione, testimonianza e apertura verso il futuro dei nostri Istituti. Ai Responsabili nazionali ISF abbiamo chiesto di tracciare una conclusione che ci stimoli a protenderci in avanti.

Gli anni vissuti sotto la guida di don Stefano Lamera sono stati decisivi per

la nostra formazione, anni in cui abbiamo sentito forte l’amore misericordioso di Dio per le nostre famiglie grazie alla fede di quest’uomo che con la parola e la testimo-nianza ci ha fatto intravedere la bellezza e il mistero di Grazia impresso negli sposi dal sacramento del Matrimonio. Lo stesso si può dire della tenerissima paternità da lui esercitata verso tutti i sacerdoti ed in particolare quelli dell’Istituto “Gesù Sacerdote”. Quando ci parlava sapeva far vibrare le corde più intime e più vere dei nostri cuori perché ci metteva in sintonia

con il progetto che Dio ha voluto per la famiglia umana.

La famiglia ieri e oggiNegli anni ‘60 la famiglia era ancora

una realtà riconosciuta e rispettata nella sua essenza. Nessuno avrebbe mai imma-ginato come sarebbero cambiate le cose nel giro di qualche decennio. Oggi la fami-glia non è ritenuta un bene assoluto e sem-bra non essere più riconoscibile. Di fronte a questa realtà ci sentiamo impotenti e ci lasciamo prendere dallo sconforto o da at-teggiamenti moralistici.

Convegno su don Lamera

14 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Servono invece atteggiamenti di vi-cinanza, di incoraggiamento, di fiducia, c’è bisogno di un respiro famigliare come quello che riversano i genitori verso i figli più ribelli. Un tempo la società tutta era orientata al bene comune grazie a tutto un pensiero culturale e religioso sedimentato negli anni. Abbiamo pensato che quel-le conquiste fossero per sempre e che la società naturalmente avrebbe continuato ad avere uno sguardo inclusivo. Ci stiamo accorgendo che le conquiste vanno inve-ce sostenute e alimentate con un pensiero che approfondisca sempre più la vera real-tà dell’uomo e la sua ultima meta.

Anelli fondamentaliI profeti, gli uomini di Dio hanno sem-

pre ricevuto dallo Spirito il dono della pro-fezia. Ugualmente possiamo dire di don Stefano che con largo anticipo ha previsto quali sarebbero stati gli anelli fondamen-tali che possono permettere a questa uma-nità di non spezzarsi: la famiglia e i sacer-doti. Negli anni ‘70 nella Chiesa nessuno parlava di famiglia, di pastorale familiare e della necessità di avere sacerdoti partico-larmente innamorati della famiglia e con la

famiglia si impegnassero.Il Signore ha voluto servirsi di don Ste-

fano per immettere nella società italiana degli anticorpi capaci di sostenere la fa-miglia, indicando alla Chiesa la via della famiglia quale strada decisiva per rispon-dere al disegno che Dio, nella sua immen-sa bontà, ha pensato per l’uomo.

Questa non è stata un’invenzione di don Lamera, ma è tutta la sacra Scrittura che rivela questo piano di Dio. Don Stefano ha ricevuto dallo Spirito una consapevolezza più chiara dell’importanza di questo pro-getto di Dio e della necessità non solo di preservare il Matrimonio, ma di farlo co-noscere come il dono più grande fatto da Dio all’umanità. Questa conoscenza vera si può raggiungere vivendo, come coniugi, più in intimità col Signore, facendolo en-trare nelle nostre case per condividere con Lui le nostre preoccupazioni e le nostre gioie e per farci comprendere in pienezza la missione che ci affida come coniugi.

Uno dei grandi insegnamenti di don Stefano è questo: la missione è un’opera che richiede sacerdoti santi e famiglie san-te che reciprocamente si sostengono, si aiutano, collaborano per meglio orientare

Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Tra memoria e profezia

15

il popolo di Dio verso la meta che Dio ha preparato per le sue creature.

Don Lamera per questo si è speso e ha dato la sua vita per i nostri due Istitu-ti e per l’Associazione “Ancilla Domini”. L’alleanza tra sacerdoti e famiglie diventa strategica in questo nostro tempo, caratte-rizzato da un eccesso di individualismo in tutti i campi, anche nell’azione pastorale. I problemi che abbiamo di fronte, anzi le opportunità che abbiamo di fronte, hanno bisogno di uno sguardo ampio, inclusivo, misericordioso, verso tutte le situazioni di difficoltà, di apparente distacco da Dio che molti vivono. Il nostro essere coppie paoline ci deve portare a questo sguardo ampio, a mettere a fuoco i vasti orizzonti che abbiamo di fronte e come il Fondatore don Alberione intraprendere strade nuo-ve per rispondere alle esigenze del nostro tempo. La semplice memoria e la conser-vazione delle modalità di impegno finora vissute e sperimentate non bastano più e dobbiamo sintonizzarci su quanto lo Spi-rito sta dicendo, ma che la nostra pigrizia non ci fa cogliere.

Crescere in fraternitàOggi le persone non sono contrarie alla

religione; sono semplicemente indifferen-ti. Le nostre liturgie non riscaldano il cuore e molti non ne comprendono il significato. A questo dobbiamo aggiungere che l’in-dividualismo avanza sempre più, in tutti i campi, anche nelle nostre comunità, in cui i rapporti diventano sempre più forma-li, perbenisti, non coinvolgenti.

Ecco, dunque, un campo di lavoro come coppie consacrate: rendere belle le nostre comunità, far sì che si respiri un’aria di fiducia, di speranza, di gioia. Con quale strategia?

Le nostre comunità non possono carat-terizzarsi per uno stare insieme come in

un qualsiasi club. La nostra esperienza di coppie e di gruppo ci dice che solo ponen-do Cristo al centro si può avere la certezza di disporre di una forza vitale capace di trasformarci da semplici amici in fratelli.

Ripensando a don Lamera, dobbiamo mettere in campo nelle nostre comunità il suo modo di agire: non ci trattava come semplici numeri, ma scavava dentro alle nostre preoccupazioni, ai nostri cuori e soffriva con chi soffriva e portava a tutti speranza e fiducia. In altre parole il no-stro modo di comportarci in famiglia deve essere lo stesso di quello che dobbiamo usare nel nostro gruppo e nelle nostre co-munità. Far diventare la comunità famiglia di famiglie in maniera tale da spezzare l’at-teggiamento egoistico incalzante e l’iso-lamento delle persone, soprattutto di chi vive ai margini economici ed esistenziali. Vivere la parrocchia come se fosse la no-stra famiglia, essere attenti, essere ospitali ed essere coppie che sponsorizzano l’unità tra le diverse realtà. Per fare questo oc-corre in primo luogo vivere questo spirito ospitale all’interno dei nostri gruppi e con-

Convegno su don Lamera

16 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

temporaneamente aprirci alla parrocchia. La nostra intimità di gruppo (ma anche di coppia) se rimane isolata dal mondo di-venta asfissiante. Ecco il primo impegno: vivere gioiosamente i nostri ritiri mensili, possibilmente in qualche parrocchia che più conosciamo, partecipando alla Messa parrocchiale e invitando qualche coppia ai nostri ritiri.

Parlare di Dio alle coppieCon lo sguardo rivolto a don Lamera

non possiamo dimenticare la sua passione quando parlava della famiglia e della fa-miglia cristiana. Voleva sicuramente farci comprendere bene la bellezza di questo dono, ma soprattutto darci le categorie mentali che ci avrebbero permesso di es-sere presenti nella Chiesa e nella società con spirito critico e profetico. Oggi sulla famiglia ci sono diversi pensieri e quindi diversi atteggiamenti: c’è stupore per la sua bellezza (tant’è che molti giovani la considerano ancora molto importante), ma anche tanta ambiguità, confusione e igno-ranza sul Matrimonio cristiano. Il pensiero

dominante è che la sua riuscita sia gover-nata, come una lotteria, dal fato, per cui si tratta di una questione di fortuna. Solo che la fortuna, come la vincita al lotto, è bella ma poco probabile, per cui prevale l’atteg-giamento di distacco e del minor rischio possibile, scegliendo magari una sempli-ce convivenza. Chi di noi è impegnato nei corsi (o percorsi) di preparazione al Matri-monio approfondisca il significato vero del sacramento, sia con letture personali che con partecipazione a corsi di formazione, e dia il massimo possibile del suo tempo per accompagnare le coppie. Sappia parlare di Dio con gioia e instaurare un rapporto di vi-cinanza e di affetto.

Più condivisione fra noiSiamo pochi, ma presenti in diverse

parrocchie, anche con incarichi di respon-sabilità o impegnati in diversi settori della pastorale. Dobbiamo continuare nel no-stro impegno con responsabilità lasciando sempre trasparire nei nostri atteggiamenti spirito di servizio vero, vicinanza ai sacer-doti, amore per l’unità, predilezione verso

Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Tra memoria e profezia

17

le famiglie reali che incontriamo e di cui dobbiamo portare nel cuore problemi e difficoltà. Senza questa empatia, che vuol significare la nostra sentita vicinanza alla loro situazione non saremmo credibili e rinnegheremmo il nostro don Stefano che con gli occhi penetrava nella nostra vita e sembrava condividere pienamente le no-stre sofferenze e difficoltà. Questo nostro modo di vivere la parrocchia deve trovare il suo punto più alto nei momenti in cui siamo chiamati a vivere come gruppo: il ri-tiro mensile, l’Adorazione, gli Esercizi spi-rituali, ma anche i momenti di formazione che dobbiamo organizzare soprattutto sul sacramento del Matrimonio, sull’educazio-ne, sulla Parola di Dio, che dovrebbero es-sere i campi privilegiati della nostro impe-gno. Di questi momenti dob-biamo parla-re agli altri operatori pa-storali, ai sa-cerdoti, alle altre famiglie e trasmettere la gioia dello stare insieme col Signore. Dobbiamo, cioè, rendere partecipi le no-stre comunità delle nostre esperienze di Chiesa all’interno della “Santa Famiglia”. La ricchezza di grazie che viviamo deve essere un fiume che riversa le sue acque nei posti in cui siamo presenti e le rifles-sioni che facciamo, soprattutto durante i convegni, non ci devono solo entusiasmare momentaneamente e poi lasciare nel di-menticatoio. Sarebbe bello che dopo qua-lunque nostro convegno, nazionale o loca-le, i gruppi si riunissero per condividere e approfondire le questioni dibattute. Questi approfondimenti servono a noi per farci sentire sempre più Famiglia Paolina e in-namorati del nostro carisma e agli altri se, ad es., provassimo a preparare una pagina

di commento sull’argomento da distribuire nelle nostre comunità. E anche chi non ha potuto partecipare a questi convegni può sempre far riferimento alla rete web, dal momento che alcuni di noi, che ringrazia-mo vivamente, si prodigano per mettere su You Tube i momenti significativi organizza-ti a livello nazionale e locale.

Diffondere la fama di santità Molti, ovviamente, si aspettano un se-

guito a questo convegno. Un seguito per il lavoro nei nostri gruppi, ma anche un se-guito nella Chiesa universale affinché ven-gano riconosciute ufficialmente le virtù eroiche di don Stefano. Sono passati or-mai 20 anni e i tempi sono maturi per av-viare la causa di beatificazione. Questo di-

pende da noi, da quanto ci crediamo e da quanto sia-mo disposti a fare. Sap-piamo tutti che la Chiesa è “popolo di

Dio” e che lo Spirito ascolta con attenzio-ne il sentire vero di questo popolo. Se al-lora avvertiamo questa esigenza, anche se siamo un piccolo gregge, dobbiamo ester-narla nei modi che riterremo più oppor-tuni. Cominciamo, ad es., a far pervenire ai nostri superiori le esperienze di grazia vissute con don Stefano, a far conosce-re quanta fede avesse e quanto fosse un uomo di Dio. Sarà questo un modo anche per manifestare il nostro ringraziamento personale a Dio per avercelo fatto incon-trare e un modo per invogliare tanti sa-cerdoti verso un impegno per le famiglie, che rimangono ancora la via privilegiata attraverso cui passa la fede e il futuro dell’umanità.

Claudio e Mariella CAZZATO isf

Convegno su don Lamera

18 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

19Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

ISTITuTO “GESù SACERDOTE”Istituto di vita consacrata per Sacerdoti diocesani

Considerazioni sul Convegno dedicato a don Lamera

Meditare le relazioni Propongo alcune considerazioni riguardo al

Convegno su don Stefano Lamera che si è svolto dal 25 al 28 agosto 2017 ad Ariccia a vent’anni dalla morte: vorrei stimolare i membri IGS ad in-teriorizzarne i ricchi contenuti, appena avrete tra mano l’opuscolo con gli interventi e le relazioni più importanti. Ringraziamo don Furio Gauss per-ché, come avrete modo di leggere, ha elaborato e presentato una relazione completa, vivace, sti-molante, oggettiva sulla vita di don Stefano: per questo è risultata molto gradita e apprezzata da tutti i partecipanti.

Ringraziamo anche sr Beatrice Im-mediata per la biografia che ha scritto: penso che avrete già avuto modo di leggerla, perché ho inviato il libro a tutti i membri IGS: anche questo lavo-ro è stato apprezzato per aver descrit-to in modo equilibrato e abbastanza integrale la vita di don Stefano con uno stile sciolto.

Vi invito a leggere e meditare anche la relazione di mons. Lorenzo Chiarinel-li perché, con competenza e vivissimo spirito pastorale, ci ha aiutato a ca-pire con profonde argomentazioni che il modo più fecondo e significativo per ricordare e onorare don Stefano è quello di passare da senti-menti e discorsi nostalgici sui bei tempi passati a promuovere seriamente e veramente la sua figura, vivendo e realizzando gli ideali da lui coltivati e

Comunicazione del Delegato

inculcati con forza ai membri ISF e IGS.

Tra questi ideali vissuti e pro-posti con passione e zelo eviden-ziamo l’amore a Cristo Parola ed Eucarestia, a Maria Regina degli Apostoli, a San Paolo, alle Fami-glie, ai Sacerdoti. Significativo questo passaggio della relazione di Chiarinelli: “Ed ecco, allora, che per questo memorial day al-meno due figure si stagliano sulla scena della storia della Famiglia

Paolina; il beato Gia-como Alberione e don Stefano Lamera. Non è questo il momento e non è mio compito addentrarmi in una adeguata rivisitazione biografica. Don Albe-rione lo portate ‘nella carne e nel sangue’, oltre che nella mente e nel cuore... A me sia consentito fare riferi-mento alla loro stra-

ordinaria figura e alle prospettive di impegno apostolico a favore dei sacerdoti e delle famiglie da loro iniziate e che, ora, i membri degli Istituti devono saper continuare e

20 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

testimonianza di autenticità evange-lica, dall’impegno coerente di vita

di tante persone che lo hanno conosciuto, che hanno ricevuto del bene e desidera-no che sia imitato da tanti altri.

Mons Chiarinelli, nell’evidenziare come onorare e ravvivare l’amore pastorale che don Stefano ha sapu-to manifestare a tanti preti, così si è espres-so: “Come interioriz-zare e testimoniare lo zelo pastorale don La-

mera nelle nostre comunità ‘spes-so piccole, povere, disperse’ (LG 26)? Mi limito ad indicare alcune linee di impegno.• Educare allo stare insieme. La

chiesa è «essere con», secon-do la originaria esperienza del-la comunità apostolica (cf At 2,42ss; 4,32ss) e le stupende indicazioni dei Padri (cf le Let-tere di Ignazio di Antiochia). Ma stare assieme è un compi-to da realizzare. E il prete ha questo compito pedagogico: ol-tre l’individualismo, le rivalità, le separazioni costruire la gioia dello stare assieme, compito molto importante nelle diocesi, oggi.

• Educare alla libertà. «A libertà Cristo vi ha chiamati», scrive s. Paolo ai Galati (5,13). Edu-care alla maturità non ha sen-so senza la libertà: il cristiano però non potrà mai dimenticare che la sua libertà è, in Cristo, un «essere-per»; disponibilità

COmuNICAzIONE DEl DElEGATO

intensificare, tenendo presente la realtà culturale di oggi, molto cambiata…”.

La messaggio di fondo che mons. Chiarinelli ha presentato al Convegno sostanzialmente è il seguente: come il cuore di Paolo è stato il cuore di Cristo, il cuore di Alberione è stato il cuore di Paolo e di Cristo, Lamera ha saputo interiorizzare e trasmettere il cuore di Alberione… così ogni mem-bro della Famiglia Paolina, in modo particolare degli Istituti IGS e ISF, deve impegnarsi con discernimento evangelico ad avere il cuore di Lame-ra che aveva il cuore di Alberione: un cuore che ardeva d’amore apostolico per i sacerdoti e per le famiglie. E’ fon-damentale ravvivare nei nostri cuori il dono cari-smatico ricevuto dal beato Alberione e vissuto e inculcato con forza e coerenza da don Stefano.

Onorare don StefanoTutti desideriamo che inizi un cammino che

conduca al riconoscimento, da parte della Chiesa, di don Stefano come servo di Dio, poi alla venera-bilità ecc. E’ chiaro che dipende dalla grazia e dal-la volontà di Dio e dai Superiori della San Paolo, ma sappiamo bene che molto dipende anche dalla

21Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

manifestare OGGI il carisma paoli-no e il fervore apostolico di Alberio-ne e Lamera con fedeltà creativa. Non risultare parassiti sull’albero carismatico-“ALBERIONE” e sul dono carismatico-“LAMERA”, ma piante vive degli Istituti IGS, ISF e della Famiglia Paolina, “foresta-polmone” per il mondo di oggi, interiorizzan-do e testimoniando in modo nuovo e con nuove strategie apostoliche, tutte le dimensioni della missione paolina.

La regola di vita dei nostri STA-TUTI (come il Vangelo e le Lettere di san Paolo), possiamo intenderla come uno spartito musicale, mol-to bello e ispirato: solo quando lo spartito viene eseguito da una orchestra qualificata può essere goduto e arrecare del bene. Così è anche per il Vangelo, il dono carismatico paolino, il ricco con-tenuto dei nostri Statuti: solo quando riusciamo ad incarnarli, viverli e testimoniarli con coerenza e autorevolezza, sia personalmen-te che come membri dinamici di un Istituto, potranno essere ammi-rati, goduti e apportare del bene, facendo crescere il Regno di Dio dentro di noi e attorno a noi.

Siamo invitati anche a ravviva-re la consapevolezza che, come afferma Papa Francesco, “oggi non viviamo un’epoca di cambia-mento, ma un cambiamento d’e-poca”. Le situazioni che viviamo pongono sfide nuove, nuovi stili, vera conversione pastorale. Non possiamo dire “si è fatto sempre così”. Occorre, invece, continua il Papa, “guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro

COmuNICAzIONE DEl DElEGATO

sempre nuova a Dio e ai fratelli. Bisogna allo-ra che ciascuno si converta dalla prepotenza al rispetto, dall’arroganza all’accoglienza, al co-struire assieme. Il prete, in questo senso e per questo compito, non può, lui per primo, essere un «uomo di parte».

• Educare al servizio. «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto» (Mc 10,45). Ciò esige lo sforzo di camminare con gli altri (cf l’episodio dei discepoli di Emmaus in Lc 24,13-35); l’im-pegno per promuovere l’uomo, perché l’amore di Dio passa e si rivela nell’amore del prossimo (cf 1Gv 4,19; Mt 25,31-46). E non è proprio questo orizzonte, di “tutti gli

uomini” e di “tutto l’uomo”, quello che chiedeva ai membri della Famiglia Paolina Papa Francesco nell’udienza del Centenario della Famiglia Paolina (novembre 2014)?

Non parassiti, ma piante viveIl fuoco dello Spirito Santo si posa su tutti i

membri degli Istituti Gesù Sacerdote, Santa Fami-glia e Ancille e ognuno è chiamato a rispondere per

22 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

prattutto affascinato ammiratore e convinto imitatore del Primo Maestro, è stato sempre fedele alla Chiesa e al Papa. Non ha mai dimenticato un messaggio invia-togli dal Primo Maestro nel torbi-do clima delle contestazioni del sessantotto anche all’interno del-la Chiesa: ‘Siamo fedeli al Papa, sempre! Al suo Magistero, alle sue direttive, ai suoi desideri: Ubi Petrus, ibi Ecclesia. Amare il Papa’. Col calore di quella con-vinzione profonda e di quell’a-more filiale col quale parlava dei Papi del suo tempo don Stefano ci invita oggi ad amare ed esse-re docili e fedeli a Papa France-sco. Ci invita a sostenerlo con la preghiera che costantemente ci chiede e con l’adesione gioiosa e sicura al suo Magistero. Dobbia-mo essere grati a Papa Francesco noi sacerdoti, perché con le sue personali scelte di vita e il suo coinvolgente Magistero ci dona una guida credibile che ci riporta da quella apostolica vivendi for-ma, tanto raccomandata da don Lamera… Dal nostro cuore sale a Dio la preghiera espressiva di un desiderio comune: che don Ste-fano, vivo nella gloria del cielo, attraverso il ministero di Pietro, sia glorificato anche qui in terra, a gloria della Trinità e a edifica-zione della Chiesa che ha servito e amato”.

DonEmilioCICCONI,Delegato IGS

[email protected]

COmuNICAzIONE DEl DElEGATO

con speranza”. Sollecita tutti a dire No all’accidia egoistica, al pessimismo sterile, alla mondanità spirituale, alla nostalgia di tempi passati e smuo-ve a dire SI’ ad una conversione apostolico-pa-storale-missionaria, che non può lasciare le cose come stanno.

L’amore alla Chiesa e al PapaL’amore alla Chiesa e al Papa è una caratte-

ristica e una grazia peculiare della Famiglia Pa-olina, espressa dal quarto voto di obbedienza al Papa quanto all’apostolato messo a servizio della Chiesa: un voto decisamente voluto per ispirazione divina dal Fondatore che riteneva la comunione col Papa segno di fedeltà e di amore a Cristo e alla Chiesa: “Chi conosce il Papa – diceva – lo ascolta, gli obbedisce, lo ama, lo segue, nel Papa conosce, segue, ascolta, ama Gesù”.

Vorrei concludere facendo mie le parole fi-nali dell’omelia del card. De Giorgi intervenuto al Convegno: “Don Lamera, che è stato fedele e solerte collaboratore, ascoltato consigliere e so-

Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Importante chiarimento

Discussioni sulle scelte moralidi Papa Francesco

Ospitiamo volentieri una chiarificazione in merito alla lettera di 62 cattolici inviata al Papa come “correzione fraterna per la diffusione di eresie”.

23

Le dispute sulle scelte morali hanno accompagnato fin dall’inizio il cam-

mino dei discepoli di Gesù e hanno prece-duto anche i contrasti dottrinali.

Già nel primo decennio dopo la morte di Gesù quando Pietro salì a Gerusalem-me dopo la guarigione del paralitico Enea a Lidda (At 9,31), la risurrezione di Tabi-tà a Giaffa (At 9,41) e l’esperienza dello Spirito con il centurione della Corte det-ta Italica (At 10,1), “i fedeli circoncisi lo rimproveravano dicendo: «Sei entrato in casa di uomini incirconcisi e hai mangia-to insieme con loro!»” (At 11,2). Pietro si giustificò raccontando in modo dettagliato le esperienze compiute e concluse: “Chi ero io per porre impedimento a Dio?” (At 11,17). I discepoli “all’udire questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio dicendo: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbia-no la vita!»” (At 11,18).

Questo episodio dimostra che fin dagli inizi le scelte morali hanno suscitato dubbi e discussioni nel cammino delle comuni-tà cristiane. La stessa formula “correzio-ne fraterna” utilizzata recentemente da un gruppo di cattolici richiama una pra-tica che Matteo codifica nel suo Vangelo (18,15-18).

In questa prospettiva vorrei considerare le riserve avanzate da alcuni cattolici all’e-sortazione apostolica Amoris Laetitia (AL) di Papa Francesco. In particolare esamino la lettera che 62 cattolici di 20 paesi han-

no inviato al Papa l’undici agosto scorso come “correzione fraterna per la diffusione di eresie”. Il 24 settembre scorso quella lettera scritta in latino al Papa è stata resa pubblica nel sito www.correctiofilialis.org.

Una prima rispostaIl Papa con molta delicatezza ha già

offerto elementi di risposta, facendo pub-blicare nella rivista Civiltà cattolica (qua-derno 4014 del 16 settembre) il dialogo privato che il 10 settembre ha avuto con un folto gruppo di gesuiti convenuti nel santuario di San Pietro Claver (1581–1654) a Cartagena in Colombia. In quella circostanza il Papa ha inserito una rifles-sione su AL con molto rispetto degli scri-venti, ma con altrettanta chiarezza: “Sen-to molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati”. Egli puntualizza due punti. Il primo riguarda la totalità del documento e il necessario rife-rimento al Sinodo dei Vescovi (“Per capire AL bisogna leggerla da cima a fondo. E

leggere che cosa si è detto nel Sinodo)”. Il secondo punto riguarda il carattere catto-lico e tomista della tradizione morale alla quale si richiama. A conferma ha citato la presentazione dell’Esortazione da parte del card. domenicano C. Schönborn: “Un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi”.

Per una retta valutazione della AL oc-corre ricordare, inoltre, i suoi continui ri-chiami alla perfezione morale e alla santità di vita matrimoniale: “In nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’idea-le pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza... Comprendere

le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pa-storale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture” (AL 307).

Infine è necessario tenere presente che la vita ecclesiale ha come regola di fondo la carità: “Seppure vero che bisogna cu-rare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, si deve sempre porre spe-ciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti e centrali del Vangelo, particolarmente il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio” (AL 311).

Gli errori attribuiti al PapaLa prima delle sette accuse attribuisce

a Papa Francesco la convinzione che un cristiano in una condizione irregolare, pur volendo mantenere un rapporto positivo con Dio “non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere tutti i comandamenti og-gettivi della legge divina” mentre la grazia, realizzando un retto rapporto con Dio do-vrebbe produrre sempre e in modo certo la conversione.

Di fatto in AL il Papa sostiene una opinione diversa, ma legittima e difesa da molti moralisti. Che cioè “a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggetti-va di peccato – che non sia soggettivamen-te colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (AL par. 305).

L’aiuto della Chiesa può consistere in atti di simpatia fraterna, di solidarietà mi-sericordiosa, ma può anche concretizzarsi, come precisa lo stesso paragrafo 305 nella nota 351, nel sussidio sacramentale della Penitenza e dell’Eucaristia, che coinvolge come soggetto tutta la comunità.

A questo proposito il Papa, nella stessa nota citando l’esortazione apostolica Evan-gelii Gaudium, ricorda “ai sacerdoti che il confessionale non deve essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” e che l’Eucaristia “non è un pre-mio dei perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (AL 305 nota 351).

Il Papa difende quindi la convinzione che la grazia di Dio può offrire al credente di sapere portare anche situazioni imper-fette con il pentimento del male compiuto e l’impegno di una rinnovata fedeltà. An-che una situazione oggettiva imperfetta,

Discussioni sulle scelte morali di Papa Francesco

24 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

cioè, può essere vissuta in modo positivo perché la grazia santificante è così potente da rendere possibile l’esercizio dell’amore teologale anche in situazioni di vita irre-golari.

Questa opinione è difesa da molto tem-po tra gli stessi moralisti cattolici, alcuni dei quali, più rigorosi, giudicano la con-dizione di adulterio sempre peccaminosa, mentre altri, più numerosi, ammettono la possibilità di situazioni imperfette che consentono un cammino ecclesiale di gra-zia. I primi non considerano la gradualità e la complessità delle situazioni concrete da discernere. In ogni caso non si tratta di eresie, ma di diverse opinioni teologiche che consentono l’applicazione del princi-pio probabilistico.

Altre accuseLa seconda accusa è una esemplifica-

zione concreta di questa possibilità. Viene così riassunta dagli scriventi: “I cristiani che hanno ottenuto il divorzio civile dal co-niuge con il quale erano validamente spo-sati e hanno contratto un matrimonio civile con un’altra persona (mentre il coniuge era in vita), i quali vivono ‘more uxorio’ con il loro partner civile e hanno scelto di rima-nere in questo stato con piena consapevo-lezza della natura della loro azione e con il pieno consenso della volontà di rimanere

in questo stato, non sono necessariamen-te in peccato mortale, possono ricevere la grazia santificante e crescere nella carità”. Nel discernimento che l’Esortazione papa-le suggerisce hanno peso notevole l’armo-nia tra i coniugi e l’esigenza dei figli ad una educazione cristiana e anche ad un benessere spirituale dei genitori, che gli accusatori non tengono presenti.

La terza accusa non considera la di-stinzione, comune da tempo nei moralisti cattolici, tra mancanza grave e mortale. L’accusa infatti afferma: “Un cristiano può avere la piena conoscenza di una legge divina e volontariamente può scegliere di violarla in una materia grave, ma non esse-re in stato di peccato mortale come risulta-to di quell’azione”. Dalla metà del secolo scorso i teologi distinguono tra colpa mor-tale che conduce al rifiuto della grazia, e colpa grave che può consentire una fedeltà zoppicante nella sequela di Cristo.

La quarta accusa attribuisce al Papa la dottrina secondo cui “una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbe-dienza”. È noto invece che quando il cre-dente è convinto di ubbidire a Dio seguen-do la propria coscienza, retta ed informata, la sua azione, anche se imperfetta e sba-gliata, non costituisce mai peccato.

La quinta accusa suppone che gli atti sessuali non possano mai avere una fun-zione positiva anche in situazioni irrego-lari. Presenta come errata la tesi difesa da molti moralisti secondo i quali: “La coscienza può giudicare con verità e cor-rettezza che talvolta gli atti sessuali tra persone che hanno contratto tra loro ma-trimonio civile, quantunque uno dei due o entrambi siano sacramentalmente sposati con un’altra persona, [possano essere] mo-ralmente buoni, richiesti o comandati da Dio”, soprattutto quando la presenza di fi-gli implica il dovere di fedeltà e di vita co-

Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Importante chiarimento

25

Discussioni sulle scelte morali di Papa Francesco

26 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

mune, accompagnata anche dall’esercizio della sessualità coniugale.

La sesta accusa attribuisce al Papa e ai moralisti che lo difendono la convinzione che “i principi morali e le verità morali contenute nella Divina Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni negative che vietano assolutamente parti-colari generi di azioni che per il loro ogget-to sono sempre gravemente illecite”. Esi-stono certamente nella Divina Rivelazione indicazioni morali di questo tipo, ma esi-stono anche condizionate dalla cultura del tempo o altre ancora che alla luce di nuove acquisizioni antropologiche sono passibili di cambiamenti.

La settima accusa non tiene conto di tutta la realtà ecclesiale. Dice infatti: “No-stro Signore Gesù Cristo vuole che la Chie-sa abbandoni la sua perenne disciplina di rifiutare l’Eucaristia ai divorziati risposati

e di rifiutare l’assoluzione ai divorziati ri-sposati che non manifestano la contrizio-ne per il loro stato di vita e un fermo pro-posito di emendarsi”. Sia per l’uso degli anticoncezionali sia per l’ammissione ai sacramenti nella Chiesa cattolica la prati-ca recente si era distanziata dalla dottrina che, a differenza degli Ortodossi e degli Evangelici, aveva assunto dinamiche rigo-riste e assolute.

Il 13 ottobre scorso, a conclusione del Convegno organizzato dal Pontificio Con-siglio per la promozione della nuova evan-gelizzazione, Papa Francesco ha ricordato che conservare il deposito delle verità rive-late non è come mantenere in naftalina un tessuto perché non si corrompa, ma signi-fica curarlo perché si sviluppi secondo il cammino della cultura umana.

Don Carlo MOLARI igs

Esercizi spirituali isf a S. Giovanni Rotondo, ottobre 2017

27Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Guarire il cuore

è difficile che uno accetti di definirsi “lussurioso”! e poi ogni definizione

chiara delle nostre malattie spirituali ci sembra ingiusta, semplificata, poco ri-spettosa delle nostre complessità. Eppure la passione diventa lussuria! Rifugiarci negli immancabili distinguo può rassicu-rarci, ma in realtà allontana la chiarezza necessaria per potere cambiare iniziando da una parte, per tagliare l’occhio che è occasione di scandalo e così liberare il nostro sguardo.

Il libro del Siracide stabilisce un lega-me stretto tra la ricchezza, credersi re e lo stravolgimento della propria sessualità tanto che questa domina e s’impadronisce di noi. “Nel nome del Signore Dio, che è chiamato Dio di Israele, accumulasti l’oro quasi fosse stagno, come il piombo rende-sti abbondante l’argento. Ma accostasti i tuoi fianchi alle donne e ne fosti dominato nel corpo. Così deturpasti la tua gloria e profanasti la tua discendenza, sì da atti-rare l’ira divina suoi tuoi figli e sofferen-ze con la tua follia” (Sir 47,18-20). E nel cap. 23 (vv. 17-20) descrive tanti nostri atteggiamenti facilmente identificabili: “Una passione ardente come fuoco acceso non si calmerà finchè non sarà consuma-ta: un uomo impudico nel suo corpo non smetterà finchè non lo divori il fuoco; per l’uomo impuro ogni pane è appetitoso, non si stancherà finchè non muoia. L’uomo in-fedele al proprio letto dice fra sé: Chi mi vede? Tenebra intorno a me e le mura mi nascondono; nessuno mi vede, che devo temere? Dei miei peccati non si ricorderà l’Altissimo”.

Malattia spiritualeE’ vero: l’uomo senza limiti non saprà

smettere e si lascerà divorare dalle stesse passioni; vivrà in modo disordinato, casua-le, anzi credendo che farlo permetta un pieno completamento di sé e una libertà dai condizionamenti. L’uomo senza cuore puro, per il quale tutto è possibile, finisce per credere che ogni pane è appetitoso, perché non sa più distinguere, si lascia co-mandare dalla propria fame e non sa più mangiare; sarà sempre tormentato dal per-dere quelle che appaiono opportunità e si assuefa a qualsiasi gusto pur di nutrirsi! Crederà di potere giudicarsi da solo, cer-cherà la sua potenza nell’affermazione di sé, convinto di non dovere rendere conto

a nessuno. La lussuria in realtà ci rende penosi e rovina davvero il gusto delle cose e delle persone.

La lussuria è una malattia spirituale che si manifesta particolarmente nell’uso della sessualità, ma sarebbe un errore limitarla

Lussuria e onore del prossimoSiamo grati a Mons. Zuppi, arcivescovo di Bologna, che dialoga con noi sulle malattie del cuore e le virtù corrispondenti.

Lussuria e onore del prossimo

28 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

a questa. Come tutte le malattie del cuore condiziona tutte le nostre scelte e i nostri modi di vivere, in ogni aspetto dei nostri sensi. Gesù nel Vangelo ammonisce dal sentirsi a posto per il solo fatto di astener-si da alcune azioni. Anche solo chi guarda una donna per possederla è adultero (cf Mt 5,27). La lussuria non fa vedere i limiti, illude che è possibile superarli senza con-seguenze per sé e per gli altri. E’ proprio questo uno dei motivi per cui è difficile ri-conoscerla, tanto più in una generazione per la quale il proprio benessere e la soddi-sfazione personale sono il vero criterio che giustifica qualsiasi azione.

All’origine del termine latino c’è luxus, esuberanza, rigoglio. Ma il lasciarsi anda-re, senza un discernimento, ci deforma, ci fa perdere. E il discernimento non è, come

facilmente si pensa, motivo per contrista-re la passione, ma anzi per difenderla e valorizzarla nella sua profondità e bellez-za. Il cuore trascinato dalla lussuria non capisce, è posseduto dall’ansia di appaga-

mento che deforma tutto e finisce per con-sumare voracemente il corpo dell’altro. Ad es. quanto è facile, impudica, stordente la lussuria informatica che s’impadronisce di immagini e crede di realizzarsi in un mon-do virtuale. Quali sono le conseguenze del proliferare di immagini e richiami sessuali sulle strade, alla televisione, dalle pubbli-cità a Internet, dall’ostentazione indiscri-minata della sessualità, con immagini e stereotipi che diventano di fatto modelli? Tutto resta in superficie, nel virtuale come nel reale, pensiamo di potere non scegliere vivendo come viene.

Onorare l’altroCome cambiare? Nella lussuria si ma-

nifesta un sostanziale disonore per l’altro che viene ridotto a oggetto, usato per il

proprio appagamento. Per questo vorremmo indicare l’onore come la via concreta, umile, possibile a tutti, per liberarsi gradualmente dalla lussuria ed ini-ziare a guarire. Impa-rare ad onorare l’altro è l’inizio dell’amore. Onore significa guarda-re l’altro per quello che è, stimarlo e rispettarlo per le sue caratteristi-che e non per quello che serve a me.

La lussuria ha di fatto come unico inte-resse proprio impadro-nirsi dell’altro, ridurlo ad esperienza. Onora-

re significa imparare di nuovo o per la prima volta a rispettarne il significato, il corpo e quel mistero che esso contiene; cercare di comprendere il bello che esso nasconde, il dono che è per noi, il senso

La castità tra la lussuria (a sinistra) e la vanità (a destra):castello di Masnago (Varese)

29Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Guarire il cuore

della sua esistenza solo per quello che è. Onorare l’altro richiede umile fedeltà, così diversa dai fugaci incontri per rapi-nare esperienze e sensazioni. Impariamo da Gesù che onora ognuno perché il vero onore è per lui l’amore.

Egli s’inchina sui piedi del discepolo, qualunque esso sia, senza alcuna ricom-pensa, solo per onorarne il corpo e aiutarlo nelle difficoltà. L’onore ci fa riconoscere l’altro, non più come oggetto che deve dirci e confermarci quanto siamo potenti, forti e capaci! Quando gli occhi sono guariti dalla lussuria possono vedere e onorare chiun-que con grande e vera libertà. E ci aiutano a scoprire e contemplare la vera bellezza di ognuno, a farla nostra, perché la amiamo.

Una storiaScrivevano i Padri della Chiesa con

profonda saggezza umana e spirituale:

«Un santo monaco si trova alle porte di Alessandria accompagnato dai suoi di-scepoli quando vedono venire una donna molto bella lungo la strada.

I discepoli si coprono la testa con i loro mantelli per non cadere in tentazione.

Sfuggono così alla tentazione della carne, ma non a quella della curiosità; da sotto i loro mantelli spiano il loro Maestro e vedono, con stupore scandalizzato, che egli ad occhi spalancati guarda soprag-giungere quella donna.

Dopo che la donna è entrata in città, tolti i mantelli, lo interrogano: “Come hai potuto soccombere alla tentazione di guardare quella donna?”.

E lui, triste, risponde loro: “Quanto è impuro il vostro cuore! Voi non avete visto in lei che una tentazione, io ho visto in lei una meraviglia di Dio”» (Detti dei Padri del deserto).

Esercizi spirituali isf a Spicello, maggio 2017

«Io sono tutto tuo»Una brevissima preghiera veniva inse-

gnata ai gruppi in formazione, ma-schili e femminili, che entravano fin da piccoli nella Famiglia Paolina: «Io sono tutto tuo, e tutto quanto posseggo, te l’offro, amabile mio Gesù, per mezzo di Maria, tua santissima Madre». I maestri e le maestre consigliavano di recitarla spes-so, a guisa di “giaculatoria”, al mattino, durante la giornata, alla sera prima di addormentarsi. Coloro che negli anni ‘50 e ‘60 passavano nei locali delle tipografie o delle legatorie della Famiglia Paolina, la sentivano certamente pronunciare ad alta voce durante il lavoro dei fratelli o delle sorelle, dei ragazzi e delle ragazze in formazione: proprio per questo il lavoro manuale veniva santificato e diventava apostolato paolino.

Questa breve formula rappresenta un atto di affidamento e di consacrazione a Gesù per mezzo di Maria. Prima ancora

che venisse inserita nel libro delle pre-ghiere, era nota come “Atto di consacra-zione a Maria Regina dei Cuori”. Essa ri-sale a san Luigi M. Grignion de Montfort (1673-1716), sacerdote francese autore del Trattato della vera devozione alla Santa Vergine. Don Alberione l’assunse e la fece propria, suggerendone un uso frequente. Infatti nel bollettino “San Paolo” dell’11 ottobre 1938 egli consiglia: «È bene rin-novare spesso la consacrazione a Maria».

Sfogliando il libro In preghiera con il beato Alberione troviamo spesso nei titoli la parola “consacrazione”: consacrazione alla Trinità, consacrazione a Maria, consa-crazione a san Paolo, consacrazione a san Giuseppe. Troviamo anche consacrazione di sé, consacrazione delle famiglie, consa-crazione dell’apostolato a Maria... Ma cosa significa consacrare? Che cosa intendiamo fare quando consacriamo noi stessi o altri alla Trinità o a Maria?

Le nostre preghiere

30 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

31Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

«Io sono tutto tuo»

La parola consacrazione vuol dire rendere sacra una cosa o una persona. Consacrarsi ad una persona significa mettere tutta la vita a disposizione di quella persona, donarsi com-pletamente a lei. Sebbene sia-mo già consacrati a Dio per il nostro battesimo, che ci ripor-ta allo stato di grazia originario distrutto dal peccato originale è possibile rinnovare tale consacrazione in modo personale per esprimere la volontà di donare totalmente noi stessi a Dio, che ci ha creati per amore e ci invita a prendere parte a questo amore, in pienezza. Questa consacrazione non è un fine, ma un mezzo per vivere la fedeltà a Gesù, la fedeltà alle promesse del nostro battesimo. È un atto d’amore che trova il suo significato nella risposta all’amore di Dio nella vita quoti-diana.

Quando rinnoviamo la nostra consacra-zione a Maria, noi vogliamo stabilire con la Madonna un vero rapporto di figli con la madre: perché una madre è parte di noi,

della nostra vita, e non la si cerca solo quando se ne sente il bisogno perché c’è da chie-derle qualcosa…

Il primo ad usare l’espres-sione “consacrazione a Maria” è stato san Giovanni Damasce-no, già nella prima metà del sec. VIII. E in tutto il Medioevo era una gara di città e comuni

che “si offrivano” alla Vergine, spesso pre-sentandole le chiavi della città in suggesti-ve cerimonie. Ma è specialmente dopo le apparizioni di Fatima che le consacrazioni si moltiplicano sempre più.

Nei manuali di preghiere paoline, la no-stra formula «Io sono tutto tuo» segue sem-pre la coroncina alla Regina degli Apostoli. La nostra breve preghiera risulta rivolta di-rettamente a Gesù, ma viene comunemen-te intesa come diretta a Maria; certamente l’obiettivo finale è quello dell’identificazio-ne a Cristo, verso cui tendono tutti i nostri desideri di salvezza e di santità.

Don Paolo LANZONI ssp

Esercizi spirituali isf a Loreto, settembre 2017

32 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

avete dato tutto eccetto quello che mi serviva per la vita.

Pur avendo insistito, a volte anche con rigore, per il raggiun-gimento di certi traguardi (nel-lo studio, nello sport, nelle arti e competenze più diverse) ci siamo accorti che pian piano ci lasciava-no soli ad andare in chiesa, alla Messa, a pregare. Con sistematica gradualità prima o dopo la Cresima hanno smesso di frequentare la chiesa abbandonando anche qual-siasi forma di religiosità e fede. Che dolore e quanto dispiacere ci hanno procurato questi nostri figli tanto amati attraverso questo loro impostare la vita come se Dio non esistesse!

La libertàEppure gli esperti ci dicono che

questo processo di allontanamen-to è inevitabile, che fa parte dello sviluppo, che ognuno deve trovare la propria strada e farsi le proprie motivazioni. Sappiamo anche che i figli non sono nostri in quanto ap-partengono a Dio che ce li dona e in qualche modo se li riprende.

Noi possiamo amarli, svezzarli

Una storia ebraica del diciottesimo secolo narra di un giovanotto che voleva diventare mani-

scalco. Il ragazzo cominciò facendo l’apprendista e imparò velocemente le tecniche del mestiere. Imparò ad usare le tenaglie, a battere il ferro sull’incudine, a servirsi del mantice. Terminato l’apprendistato, trovò un posto nell’officina del palazzo reale. Tutta la sua abilità consisteva nell’uso dei ferri del mestiere, però si rivelò inuti-le perché non aveva imparato ad usare l’acciarino per accendere il fuoco, cosa indispensabile per il suo lavoro.

Che delusione! A tutto abbiamo preparato i no-stri figli viziandoli anche ma accorgendoci dopo che forse abbiamo trascurato di fornire loro l’es-senziale, ossia la capacità di accendere il fuoco della vita spirituale che dà senso e significato all’e-sistenza intera. Come nel caso di quella ragazza che si è suicidata lasciando scritto ai genitori: mi

ISTITuTO “SANTA FAmIGlIA”Istituto paolino per coppie di Sposi consacrati

lettera del Delegato

Quando i figli non vanno più in chiesa

33Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

semplice questione scolastica. Hanno chiesto ai loro piccoli di pregare e di andare a Messa, ma di loro spesso neppure l’ombra, in chiesa. E soprattutto i piccoli non hanno colto i loro genitori nel ge-sto della preghiera o nella lettura del Vangelo. Hanno imposto, que-sti adulti, una divergenza netta tra le istruzioni per vivere e quelle per credere, una divergenza che, pur non negando direttamente Dio, ha avallato l’idea che la frequen-tazione della vita in parrocchia e all’oratorio e pure la scuola di reli-gione fosse un semplice passo ob-bligato per l’ingresso nella società degli adulti e tra gli adulti della società”.

A questo punto riconosciamo come la distanza dei nostri figli dalla fede diventa una provocazio-ne per noi a verificare come abbia-mo curato la nostra spiritualità, se abbiamo saputo non solo mandare a Messa, ma andarci anche noi spiegando che senza la domenica intesa come incontro con il Signo-re nell’Eucaristia non possiamo vivere.

e farli crescere ma dobbiamo rispettare la loro li-bertà di autodeterminazione perché così richiede un vero amore. Li abbiamo guidati ed abbiamo do-nato loro il meglio per la loro crescita compreso il Battesimo e alcuni altri sacramenti, ma poi la vita è nelle loro mani. La fede ricevuta in dono dalla famiglia ha bisogno di essere rimotivata in modo personale e libero per essere nuovamente scelta con responsabilità, pena l’inaridimento della scel-ta stessa. E tutti vogliamo dei figli motivati piut-tosto che dipendenti o formali. Il rifiuto quindi di nostro figlio di partecipare alla Messa domenica-le è parte integrante del suo processo di crescita. Nonostante il nostro impegno e testimonianza toc-chiamo qui con mano un mistero più grande di noi che ha a che fare con la coscienza dei nostri figli, lì dove matura il loro rapporto con Dio.

All’interno di questa fase di sviluppo così criti-ca, specie nell’adolescenza, noi siamo certo pre-senti, attenti ed accoglienti per sostenere e far ma-turare un orientamento quanto mai positivo verso la fede e Dio stesso. Anzi la loro criticità diventa per noi oggetto di verifica poiché siamo stimolati a crescere insieme a loro nelle nostre stesse mo-tivazioni religiose, verificandole e aggiornandole continuamente.

Perciò non dobbiamo disperare di fronte al ve-nir meno dell’appartenenza religiosa ma piuttosto chiederci quale costanza e testimonianza ci viene chiesta di volta in volta mentre attraversiamo an-che noi le stagioni spirituali dei nostri figli.

La pratica senza la curaForse anche noi facciamo parte di quella ca-

tegoria di adulti che vogliono la pratica ma non curano la fede. Afferma in proposito don Armando Matteo: “I giovani di cui i sociologi evidenziano l’estraneità alla fede sono figli di adulti che non hanno dato più spazio alla cura della propria fede cristiana: hanno continuato a chiedere i sacramen-ti della fede, ma senza fede nei sacramenti, hanno portato i figli in chiesa, ma non hanno portato la Chiesa ai loro figli, hanno favorito l’insegnamento di religione, ma hanno ridotto la religione ad una

lETTERA DEl DElEGATO

34 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

lETTERA DEl DElEGATO

Al Convegno su don Stefano Lamera, vissuto a fine agosto in Ariccia, è stato ribadito con chia-rezza da mons. Chiarinelli, vescovo emerito, che oggi non basta dare i sacramenti, ma c’è un estremo bisogno di spiegare ai nostri figli i significati degli stessi per superare lo iato abissale tra rito e vita, tra li-turgia e scelte quotidiane. Come a dire che il matrimonio ad es. non è una cerimonia, ma un evento in cui Dio entra a suggellare l’amore fra coniugi e il battesimo è l’esperienza che ci rende figli di Dio per sempre.

Allora ben lontani da ogni mo-ralismo dobbiamo rispettare le scelte contrarie ai nostri desideri e piuttosto puntare alla testimo-nianza personale e all’accompa-gnamento silenzioso e nascosto della preghiera in quanto abbiamo compreso che nella fede non si può imporre nulla. Neanche Gesù al giovane ricco ha imposto qual-cosa: lo ha solo invitato a scrollarsi di dosso il peso della ricchezza.

PersonalizzareDobbiamo considerare inoltre

che ogni figlio ha una sua strada e un suo modo per essere aiuta-to. La sfida per i genitori è proprio

Quale educazioneDiceva Papa Benedetto nel 2006: “Per genera-

re effetti positivi che durino nel tempo, la nostra vicinanza deve essere consapevole che il rapporto educativo è un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all’autentica li-bertà. Non c’è infatti vera proposta educativa che non stimoli ad una decisione, per quanto rispetto-samente e amorevolmente, e proprio la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione”.

Gli adulti educano sempre; marito e moglie educano sempre, anche quando non parlano con i figli. L’educazione non può essere ristretta a dei momenti esclusivi: se ci pensiamo è invece evi-dente che i nostri figli imparano ad essere sereni perché c’è serenità in casa, imparano a perdona-re perchè vedono il papà e la mamma che si per-donano, imparano che un programma televisivo è stupido o intelligente perché vedono i genitori che ne discutono tra loro e ne danno un giudizio, im-parano la carità e la speranza perché dinanzi ad un evento tragico del telegiornale avvertono che i genitori si impegnano a rendere migliore il mondo.

I figli ci guardano sempre. Imparano a vedere la vita come noi adulti la vediamo. Questo è vero soprattutto del rapporto tra marito e moglie. Un bambino impara ad amare perché vede il papà che ama la mamma. E la ama non solo perché è ma-dre, ma perché è la sua sposa, è colei che ama, che rispetta, con cui è felice di costruire la vita! Si potrebbe dire che il bambino respira l’amore che i suoi genitori si scambiano. Quell’amore è il loro amore, ma per lui è un beneficio. Egli impara che si è felici amando perché vede i suoi genitori che sono nella gioia, impara la speranza perché vede che i suoi genitori si perdonano, impara a dire la verità perché vede come i genitori comunicano fra di loro. Impara anche la preghiera perché vede i genitori che pregano insieme. Insomma il matri-monio è per questo educativamente fecondo di per sé. Ce lo insegna la fede da sempre, ma oggi an-che la psicologia lo conferma: l’amore dell’uomo e della donna è sorgente di una buona educazione.

35Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

lETTERA DEl DElEGATO

quella di trovare il modo giusto per parlare al cuo-re, per commuovere il cuore. Chi ha sperimentato il calore dell’amicizia con Gesù non può farne a meno. La fede non è altro che questo: fare amici-zia con Gesù. Dopo questo incontro personale con il Risorto, la partecipazione alla vita liturgica di-venta un’esigenza, non una pratica da assolvere. Non avremo più bisogno di convincere, contrattare o obbligare. Il compito dei genitori perciò è favo-rire questo incontro con Gesù. Potrà essere utile proporre ai figli di far parte di gruppi o associazioni incoraggiandoli a fare esperienze di volontariato, ritiri e pellegrinaggi. Aiutiamoli a conoscere Gesù portandoli dove il suo profumo è più forte, allora i nostri figli cammineranno spediti sulla via della santità. La preghiera per i figli non manca mai, è quotidiana e costante, asseriscono tante coppie nel dialogo degli Esercizi o nelle visite, ma si resta con l’animo turbato quando la fede passa in secondo piano e non si cercano percorsi formativi di spiri-tualità. E’ una fatica da accettare, da portare e da offrire. La speranza è che la testimonianza di impe-gno e sacrificio nell’amore di coppia in forza della grazia del sacramento nuziale apra prospettive e ripensamenti nella fede e santità.

Per concludere una piccola ma significativa storia che rivela l’importanza dei gesti e soprattut-to dell’amore per far crescere i cuori. Il padre di Mardocheo - il futuro celebre rabbi di Lechowitz - si lamentava della pigrizia del figlio nello stu-dio. In città giunse un santo rabbino. Il padre gli condusse Mardocheo perché lo correggesse. Il rab-bino, rimasto solo col ragazzo, lo strinse al cuo-re e se lo tenne a lungo affettuosamente vicino. Quando il padre ritornò, il rabbino gli disse: “Ho fatto a Mardocheo un po’ di morale; d’ora in poi la costanza non gli mancherà”. Quando ormai adulto e famoso, Mardocheo raccontava questo episodio e diceva: “Ho imparato allora come si convertono gli uomini”.

DonRobertoROVERAN,[email protected]

Una mammascrive ai figli

Cari ragazzi, è passato tanto tem-po da quando tutti e cinque andava-mo a Messa la domenica e occupava-mo un intero banco. Tornati a casa, commentavamo l’omelia del parroco. Poi, crescendo, vi siete svincolati da noi genitori. Preferivate andare in chiesa da soli. Cosa giusta e sacro-santa. Quando non ci andavate, io ero lì a ricordarvi il vostro dovere o, meglio, piacere di essere cristiani. Poi all’università vi siete liberati di questa madre ingombrante e allontanati del tutto dalla Chiesa. Ormai a Messa non ci andate più. E io ne soffro.

Noto anche un certo fastidio quando a tavola recitiamo la preghie-ra prima del pranzo.

È vero, siete dei bravi ragazzi, ma vi manca quell’ossigeno spirituale che è la parola di Dio. Vi manca Cristo! Spesso mi chiedo dove ho sbagliato. Forse la mia colpa è stato l’orgoglio dell’ostentazione. E aver cercato l’ammirazione della gente per questa bella famiglia, tanto “a modo”. Ma penso che la mancanza più grave sia stata avervi mostrato un Dio giudice più che padre. Non vi ho mai par-lato del suo grande amore per noi. Anch’io l’ho scoperto tardi.

Ho una formazione religiosa pre-conciliare. Ho fatto fatica a riedu-carmi. E sono solo all’inizio. Ora in quel banco di chiesa, la domenica, ci siamo solo io e papà. Prego tanto il Signore perché un giorno possiate tor-narci anche voi.

Vi voglio bene(Famiglia Cristiana)

Attingiamo a piene mani dalle catechesi di mons. Renzo Bonetti, che ringraziamo vivamente, per scoprire la valenza della Messa domenicale per la vita di coppia e famiglia.

La liturgia nella vita

36 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Con il sacramento delle nozze gli sposi vanno a Messa in un modo diverso.

Non per garantirsi qualcosa, tipo un om-brello protettivo, dove Dio non c’entra niente con la vita di coppia. Neppure per essere coerenti con una tradizione: ci andavano i nostri nonni, ci andavano papà e mamma, ci andiamo anche noi perché ci sembra una cosa bella. Oppure c’è chi va a Messa portando i figli perché ritiene prezioso dare loro un sistema di valori: affinchè sappiano cosa vuol dire non rubare, rispettare il prossimo, voler bene, essere solidali e imparino dei valori positivi.

E’ solo nella fede che si riscopre e si vive come coppia la domenica. Fede è scoprire il dono di una presenza concreta di cui fidarci fino in fondo, la persona del Signore Gesù. Allora mi affido: fede non è un sistema di idee o di norme morali, ma accorgersi di una persona che è Gesù e dargli fiducia. Fede quindi è un legame con la persona reale di Gesù, riconoscerne la presenza di risorto tutti i giorni e incon-trarlo la domenica nel corpo eucaristico e nella sua Parola. Ma se non lo riconosco per tutta la settimana cosa volete che mi dica la domenica?

Le nozze di Dio con la ChiesaNoi tutti sentiamo il bisogno, prima di

uscire dalla camera o dal bagno di guar-darci in faccia e vedere se siamo in ordine e presentabili; la famiglia va a Messa la domenica per mettersi allo specchio: dov’è la bellezza nuziale? Dov’è la bellezza delle nozze?

Là andiamo a rivedere la nostra identità; tutti siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio però gli sposi, andando all’Eucari-stia, scoprono che c’è un segno, la loro no-vità scaturita dal sacramento delle nozze, segno di nozze in assoluto infinite, perché nell’Eucaristia celebro delle nozze stra-ordinarie, quelle di Dio con l’umanità, le nozze di Gesù con la Chiesa. Gesù che è sull’altare vuole farsi un sol corpo con tut-ta la comunità cristiana. Sono nozze stra-ordinarie di Dio con l’umanità e gli sposi sono estensori, partecipi, diffusori: vanno all’Eucaristia per vedere di che cosa sono fatti partecipi. Sono resi partecipi dell’a-more che unisce Dio all’umanità e Cristo alla Chiesa.

Comunicare l’amore di GesùNell’Eucaristia la famiglia celebra la

missione degli sposi: vado a Messa la do-menica per capire che cosa devo dire e come devo comportarmi al di fuori della Messa lungo tutta la settimana. Gesù si rende presente sull’altare per dire a cia-scuno: io ti amo e sono disposto a fare l’amore con te, a unirmi al tuo corpo. Il

La Messa domenicale per gli sposi

37Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

La Messa domenicale per gli sposi

corpo di Gesù è sull’altare per farsi pre-senza toccante: “Mangiami!”, ci dice. Questo è quello che accade. Gli sposi che partecipano all’Eucaristia sono chia-mati a tradurre, a comunicare attraverso la loro esperienza unitiva sposo-sposa, genitori-figli, la volontà e l’amore unitivo di Gesù verso ogni persona. Ma come fa Gesù ad incontrare quelli che non vanno a Messa? Sposo-sposa, genitori-figli sono mandati perché siano loro esperienza di Gesù amante, di Gesù toccante. Quindi fare la comunione, mangiare l’Eucaristia è uscire per distribuirsi in corpo dato, in sangue versato. Tutto ciò ovviamente nella normalità laicale, che vuol dire la mano, il saluto, il sorriso, la vicinanza, il piacere, la telefonata, il regalo, condividere un caffè, un pranzo… E’ toccante, unente perché questi due fanno l’esperienza dell’unità sposo-sposa, genitori-figli e andando a toccare il vertice dell’unità che è Gesù con la Chiesa finiscono per essere Eucaristia in giro per il mondo, cioè Gesù amante e toccante.

Trasformare le relazioniGli sposi sono i facilitatori dell’incon-

tro di Gesù con le persone, i costruttori di una famiglia più grande, del corpo grande di Gesù. Come? Trasformando le relazioni che vivono donando spazio nelle loro mem-bra alla volontà di amore unitivo di Gesù con ogni persona. Tutte le persone che in-contreremo da domani mattina sono tutte persone che Gesù in qualche modo vuole toccare.

Il vostro sguardo allora sia di amore, non di giudizio o di condanna. A partire ovvia-mente da casa nella relazione col marito, la moglie, i figli; poi con i vicini, i colleghi di lavoro, i parenti, gli amici, i conoscenti. Ovunque io sia posso dare a Gesù la pos-sibilità di toccare, di amare qualcuno. Un

gesto di attenzione, di ascolto, di amore, una parola... Come Pietro con lo storpio davanti al tempo anche noi possiamo dire: “Guarda, non sono né medico né psicolo-go, ma quello che ho te lo do” e dentro di noi diciamo: “Nel nome di Gesù”. Fatevi presenza accanto. E’ Gesù che attraverso voi vuol far conoscere a quella persona l’a-more. Dio amore può farsi conoscere attra-verso l’amore.

Gesù ha reso gli sposi partecipi dell’a-more irreversibile di Dio, dell’amore indis-solubile di Dio perché vivendolo dicano ad ogni persona che Dio non torna indietro, ma continua sempre ad amare. Gli sposi sono sacramento vivo verso ogni perso-na dell’indissolubilità, dell’irreversibilità dell’amore di Dio.

Il sacramento del matrimonio non è da spendere solo in parrocchia, ma è fatto per tutta la società civile, perché è lì che gli sposi sono i celebranti della novità, gli annunciatori della novità dell’amore. Chi è l’Eucaristia per il mondo? Chi rende pre-sente Gesù nelle piazze, nelle vie, nei su-permercati, nelle scuole? Qual è il corpo visibile di Gesù? Qual è il segno attraverso il quale Gesù vuole andare a camminare, a passeggiare, a fare il bagno, a fare le va-canze? E’ il Gesù che abita negli sposi. Per cui la vostra missione è dentro il mondo, nelle cose di tutti i giorni. Gli sposi sono Eucaristia per il mondo.

Pregustare l’eternitàAndando a Messa sono chiamato ricor-

dare le origini mie, di mia moglie, dei miei figli perché pensati da Dio da sempre, ma nell’Eucaristia domenicale annuncio an-

che il compimento definitivo verso il quale noi come coppia siamo chiamati ad anda-re, compimento che noi annunciamo per-ché viviamo un amore che è per sempre. “Chi ama rimane in eterno”, dice san Gio-vanni (1 Gv 2,15): noi vogliamo vivere pie-namente l’amore e solo Dio è compiutezza

dell’amore. Dunque nell’Eucaristia dome-nicale formiamo questo popolo che anti-cipatamente annuncia il popolo del Regno dei cieli. Nell’Eucaristia domenicale sag-giamo che tipo di famiglia avremo in Para-diso: una famiglia allargata, dove ognuno sarà segnato da un’individualità, da una bellezza particolare. C’è un DNA divino in ogni singola persona e in ogni coppia e là, in Paradiso, brillerà di luce infinita.

Nella Messa domenicale celebro que-sta famiglia e allora capisco perché fac-cio famiglia in piccolo nella mia casa, con la mia tavola: perché qui in questa tavola eucaristica domenicale scopro che la mia famiglia è destinata a fare la famiglia gran-de, che è anticipazione della famiglia defi-nitiva, quella del Paradiso.

Andare a Messa con fede significa tuf-farsi nell’infinito, fare il bagno nell’oceano infinito dell’amore, dove si riassume la no-stra storia, dal passato, da sempre pensa-ti e amati, proiettati nel per sempre verso il quale siamo orientati. E allora i nostri giorni si riempiono della presenza di Gesù che vuole coinvolgersi dentro questo mi-stero grande che è il suo amore, l’amore che unisce Lui alla Chiesa e all’umanità.

La liturgia nella vita

38 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Da Amoris laetitia di Papa Francesco«La preghiera in famiglia è un mezzo privilegiato per esprimere e rafforzare la fede pasquale. Si possono trovare alcuni minuti ogni giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni familiari, pregare per qualcuno che sta passando un mo-mento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici, questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia. le diverse espressioni della pietà popolare sono un tesoro di spiritualità per molte famiglie. Il cammino comunitario di preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eucaristia, soprattutto nel contesto del riposo domenica-le. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la Cena eucaristica (cfr Ap 3,20). là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce» (n. 318).

39Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Famiglia e sessualità

Per vivere la reciproca donazione per-sonale è necessario interpretare le

esigenze dell’amore coniugale, definito al n. 9 dell’Enciclica Humanae vitae come un amore “umano, totale, fedele e fecon-do”. Un amore, innanzitutto, umano: “E’ prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire nello stesso tempo sensibile e spirituale. Non è quindi semplice tra-sporto di istinto e sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libe-ra”. E’, in altre parole, quell’Amore che scaturisce - come scrive Benedetto XVI in Deus Caritas est (DC) - da “un cuore che vede” (31) dove c’è bisogno e agisce in modo conseguente. Non, dunque, sem-plice “trasporto di istinto e sentimento”, poiché - anche se i sentimenti sono stati affettivi stabili, profondi e duraturi - essi non sono sufficienti per descrivere tut-ta l’esperienza dell’amore: “I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore” (DC, 17).

Per poter vedere il cuore deve cono-scere la propria storia: non si può, infatti, vivere l’esperienza dell’amore e del dono senza conoscere l’origine della propria storia, senza la consapevolezza che il nostro amore nasce da un Amore che ci precede, di quel Dio che “per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo” (DC, 17). E il primo grande atto di Amo-re è l’essere stati chiamati all’esistenza dal nulla: è questa l’origine della storia dell’uomo e l’uomo è l’unico essere viven-te in grado di rispondere al Creatore con il

linguaggio della consapevolezza. Il cuore si apre, poi, al riconoscimento dell’altro e, nella coniugalità, al dono reciproco delle persone.

E’ un amore totale [“una forma tutta speciale di amicizia personale in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve e calcoli egoi-stici. Chi ama davvero il proprio consor-te, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé” (HV, 9)]; è un amore fedele [“E’ ancora amore fedele e esclusivo fino alla morte (HV, 9)]. L’amore tra l’uomo e la donna diviene così l’arche-tipo dell’Amore per eccellenza: “L’amore tra un uomo e una donna, nel quale cor-po e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una pro-messa di felicità che sembra irresistibi-le, emerge come archetipo di amore per eccellenza” (DC, 2).

Educazione all’amoreProseguiamo la pubblicazione dal contributo della dott.ssa Maria Luisa Di Pietro, professore associato di Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, pronunciato al VI Incontro Mondiale delle Famiglie celebrato in Messico nel 2009.

Educazione all’amore

40 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Lo sviluppo affettivoL’amore ha una sua manifestazione si-

gnificativa nell’affettività, ovvero nella ca-pacità che ha l’uomo di provare emozioni, sentimenti e passioni e che lo spinge ad agire nei confronti di quel chi o di quella cosa che ha procurato un tale turbamento.

D’altra parte, il termine affettività de-riva dal latino afficere che significa influ-ire, produrre una modificazione nel corpo o nell’anima, colpire: un duplice e inin-terrotto movimento, di sistole (unione con l’oggetto della propria attrazione) e di dia-stole (uscita da sé), vera rappresentazione di una relazione interpersonale. Tale carat-tere relazionale è ravvisabile anche nelle modalità dello sviluppo affettivo, che può essere schematizzato in quattro momenti: 1. la capacità di intrattenere rapporti uma-

ni positivi con tutti, 2. la capacità di instaurare rapporti ami-

chevoli, 3. l’amicizia, 4. la capacità di amore per un unico part-

ner o per tutti, a seconda della scelta di vita (coniugale o verginale). Ai fini dello sviluppo dell’affettività ri-

sulta chiara, allora, l’importanza della carica affettiva dei legami naturali tra i componenti del nucleo familiare in cui si cresce: l’equilibrio affettivo di una persona si imposta, infatti, fin dalla prima età e si modella nelle più semplici situazioni della quotidianità. Da qui la necessità di essere inseriti - innanzitutto - in un famiglia pre-sente, autorevole, rielaborante e capace di mantenere relazioni soddisfacenti. E, suc-cessivamente, di: • farpartediungruppodicoetaneiverso

cui sperimentare sentimenti di amicizia autentica, sincera e profonda,

• sostenere l’impegno a vivere i propricompiti in modo indipendente e costan-te,

• svilupparecapacitàdiautocomprensio-ne, autoaccettazione, autoaffermazio-ne, integrazione, adattamento e con-trollo delle proprie pulsioni. E se tutto lo sviluppo affettivo dell’in-

dividuo sarà stato armonico, se avrà im-parato a controllare se stesso, ad amare i genitori e i fratelli, a godere dell’amicizia dei coetanei e della stima degli educatori, si può sperare anche in un allargamento dello sguardo oltre il proprio mondo indivi-duale nella considerazione dei propri dove-ri verso gli altri.

I pilastri dell’educazioneMa su cosa si fonda l’educazione? E chi

sono i soggetti dell’intervento educativo? I pilastri dell’educazione sono:

1. i contenuti che l’educazione presenta dal punto di vista antropologico (che idea ho dell’uomo?) e pedagogico (che progetto di uomo si vuole realizzare?),

2. le motivazioni e gli atteggiamenti dell’educatore.

Entrambi possono essere sintetizzati con l’espressione “amare per educare”. Non è un caso che in tale espressione si conser-vino i due concetti amore-educazione: non si può pensare di guidare la crescita di un

41Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Famiglia e sessualità

ragazzo sul piano dell’affettività se non si è dotati di quella carità intellettuale necessa-ria per rendere efficaci le proprie strategie di intervento. Si può, allora, fare educazio-ne all’amore solo se questa viene concepita come “amore della verità” (per i contenuti che intende trasmettere) e nel contempo “verità che si fa amore” (pensando alle caratteristiche del formatore e dell’educa-tore). “Sarebbe dunque - scrive Benedetto XVI nella Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione il 21 gennaio 2008 - una ben povera edu-cazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita”.

Se si rinuncia alla verità sull’uomo (all’amore della verità), che è oggetto non statico e immutabile ma che sa coniuga-re l’oggettività e la definitività di alcuni aspetti con le caratteristiche di dinamicità e del “farsi” proprie dell’uomo, si corre il rischio di compromettere proprio l’opera educativa. Essa parte dalla definitività del-la verità e propone la definitività di alcune scelte. Se la libertà non si innesta e radica in una verità integrale della persona, può condurre l’uomo stesso a comportamenti e scelte riduttive dell’umano, o divenire strumento di prevaricazione e di puro arbi-trio o portare ad atteggiamenti di rassegna-zione e pericoloso scetticismo.

Quale verità e quale bene sull’uomo? Solo se si individuano le caratteristiche

proprie dell’uomo, ciò che determina la sua natura e, di conseguenza, la sua dignità, si è in grado di indirizzare gli sforzi educativi. Educare e formare sono parole che, etimo-logicamente, rimandano ad una meta (il primo) e ad una forma (il secondo). L’uo-mo le ha scritte entrambe dentro di sé e il cammino che deve percorrere, soprattutto nei primi anni della sua esistenza (ma il processo mai potrà avere una fine), non può non conformarsi ad esse. Non possia-mo negare ciò che siamo. Rinunciare alla pretesa di alcune verità sull’uomo significa rinunciare ad educare. D’altra parte, l’edu-cazione è proprio l’arte di trarre fuori, far emergere il bene iscritto nella dimensione ontologica di ogni uomo. E’ come se - se-guendo Maritain - nell’uomo coesistessero due nature: la “primitiva” e la “plasma-ta”, risultato dell’intervento educativo. Dal momento che la natura primitiva altro non è che la manifestazione storica e parziale dell’essenza “uomo”, ogni individuo deve impegnarsi a scoprire in questa essenza contenuti e modalità per plasmare la sua natura seconda.

Dall’amore della verità si passa alla ve-rità che si fa amore. È il secondo passaggio che un educatore non può trascurare. La verità, ovvero il contenuto di un processo formativo, non può cristallizzarsi come fa l’acqua ad alte quote, che lì rimane, in po-sizione impervia per essere raggiunta da qualcuno. L’opera di formazione è parago-nabile all’irrigazione delle pianure a segui-to dello scioglimento della neve della mon-tagna. La verità si scioglie e raggiunge in modo delicato ma abbondante i destinatari di tale verità. Non si tratta di una valanga che scende, trovandola magari imprepara-ta, sulla valle ma di un fiume che sorpren-de per la sua freschezza (continua).

Vita di preghieraLa preghiera della vedova dovrà trova-

re uno dei motivi fondamentali del suo ri-volgersi al Signore nell’accettazione della propria vedovanza. Proprio in questo sì a Dio e al suo disegno s’incontrano nuova-mente i coniugi cristiani; anche il marito prega in cielo. Prega lo stesso Signore, prega adorando e lodando la medesima volontà di Dio. E la vedova, nel momento della preghiera, può così unirsi allo sposo, quasi prolungando la preghiera “coniuga-le” del passato vissuto assieme.

Per la donna la volontà di Dio può appa-rire come un calice amaro da bere, tanto è ancora oscura e misteriosa. Per il marito, nell’intimità divina, la volontà del Signore è invece fonte di gioia purissima e di bea-titudine senza misura.

La vedova partecipa alla preghiera di

tutta la Chiesa. Vi è però un aspetto parti-colare della Liturgia che la vedova è chia-mata a sentire e a vivere con una intensità spirituale tutta sua ed è l’aspetto escato-logico. Scrive il Concilio: “Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme verso la quale tendiamo come pellegrini...” (Sacrosan-tum Concilium, 8).

Ciò significa che proprio nel momen-to liturgico-sacramentale la vedova trova una possibilità meravigliosa di incontro spirituale con il compagno d’eternità: in particolare durante la Consacrazione della Santa Messa sono presenti uniti al sacrifi-cio di Gesù, la Mamma Celeste, gli angeli, i santi, il marito e tutti i nostri cari beati; i coniugi si ritrovano uniti nella lode al me-desimo Dio e nella richiesta della santifi-

In comunione d’amorecon la preghiera

Siamo alla terza puntata con alcune riflessioni del card. Tettamanzi, scomparso tre mesi fa, per coloro che hanno perso la moglie o il marito. La preghiera, la prudenza e la fedeltà aiuta-no a testimoniare nella Chiesa la preziosità della fede e dell’amore.

Vedovanza

42 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

In comunione d’amore con la preghiera

43Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

cazione. Anche il marito, quindi, entra nel-la celebrazione liturgica come intercessore presso Dio per una crescente santità della Chiesa e in essa della stessa sua sposa.

Riserbo e prudenzaSarebbe errato, invece, approfittare

della vedovanza per liberarsi del riserbo e della prudenza che convengono alle don-ne sole, e abbandonarsi alla vanità di una vita facile e superficiale. Significherebbe misconoscere la debolezza del cuore uma-no - troppo avido di riempire una solitudi-ne ingrata - e non tenere conto dei pericoli di relazioni, apparentemente innocue, ma seguite troppo spesso da deplorevoli ca-dute.

Pio XII in un particolare discorso del 1957 rivolto alle vedove le richiama a sapere custodire la castità cristiana con la duplice virtù del riserbo o pudore e della prudenza. Ma mantenere un atteg-giamento equilibrato e armonioso non è facile; incontra una serie di difficoltà e di tentazioni, interiori ed esteriori. La ra-gione è indicata dal Papa nella solitudine propria delle vedove: sono “donne sole”, in possesso di un cuore “troppo avido di riempire una solitudine ingrata”. La ve-dova ha amato intensamente il marito, facendo esperienza di una castità coniu-gale comportante il dono totale di sé, e quindi anche del corpo. La sua vocazione era la vita a due; una vita pensata e volu-ta come capace di riempire tutti i giorni dell’esistenza.

Ma ecco la prova del Signore, ecco la solitudine. E la solitudine può farsi sentire nella sfera della sensibilità, anche se una forte vita spirituale sa mantenere vivo il ri-cordo del marito e profonda l’unione con lui nella fede e nella carità. E la solitudine chiede, a volte imperiosamente, di essere colmata. Perché tutto avvenga nella casti-tà vedovile si richiede riserbo e prudenza.

Il riserbo non ha paura di tutto, ma ha la capacità di mantenere le giuste distanze, nella consapevolezza della propria debo-lezza. Il cuore può incontrare un pericolo anche in piccole cose, come una parola di commiserazione, un semplice complimen-to, un interessamento anche spirituale particolare, una somiglianza con il marito defunto, ecc.

E poi occorre prudenza perché le legit-time amicizie della vedova la lascino nella serenità dello spirito e nella accresciuta disponibilità ai propri doveri. In un amore che giorno per giorno matura verso Dio e verso i fratelli, la vedova troverà il più effi-cace stimolo alla castità cristiana.

Seconde nozze e vedovanzaCosì viene sintetizzato l’atteggiamento

della Chiesa: “Benché la Chiesa non con-danni le seconde nozze, esprime tuttavia la sua predilezione per la creatura che in-tende restare fedele al suo sposo e al sim-bolismo perfetto del sacramento del matri-monio”. Nessuna condanna delle seconde nozze, ma predilezione per la vedovanza.

E’ questa la posizione chiara e delicata dell’apostolo Paolo. Ai Corinti, dopo aver

Vedovanza

44 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

impartito l’insegnamento sulla verginità scrive: “La moglie è vincolata per tutto il tempo che vive il marito, ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché lo faccia nel Signore. Tuttavia secondo il mio consiglio ella sarà più felice se rimane com’è; credo anch’io di avere lo Spirito di Dio” (1 Cor 7,39-40 e 1 Tim 5,14).

Partecipe della missione della ChiesaIl popolo di Dio è fatto di salvati e di

salvatori: tutti i redenti ricevono il dono della salvezza da Cristo e tutti sono resi corresponsabili nella missione della Chie-sa. Pio XII richiama alcune ragioni capaci di giustificare l’apporto specifico della ve-dovanza cristiana nell’opera salvifica della Chiesa.

La vedova cristiana è, anzitutto, una te-stimone della fede, perché essa “vive mag-giormente della fede” nell’aldilà, ove lo sposo l’ha preceduta. Crede nell’invisibile, raggiunge l’inafferrabile. La fede le dà il senso della realtà delle cose ultraterrene. Continua a vivere quaggiù, portando la cro-ce della vedovanza; ma la sua sofferenza è compatibile con la gioia dello spirito.

La vedova cristiana, infine, ha un mes-saggio importantissimo da offrire agli spo-

si, manifestando alcune note ed esigen-ze dell’amore coniugale. Quest’amore è caratterizzato dalla fedeltà; e la vedova, rimanendo tale, proclama a quali altezze può giungere la fedeltà nel Matrimonio. Ciò che suo marito vede, la sposa lo crede e lo testimonia al mondo.

L’esempio della MadonnaTra i santi che la Chiesa venera e pre-

ga prendono posto anche tante vedove. Ma nel numero delle vedove, conosciute o sconosciute, la pietà cristiana deve inseri-re per prima la figura di Maria Santissima, ideale sublime di ogni donna, sia essa ver-gine o sposa o madre o vedova.

La Madonna, sposa amatissima di Giu-seppe, ha conosciuto tutto il dolore che è proprio della donna vedova; ha poi perso il suo Figlio unico rimanendo sola, almeno umanamente. Tutto è stato vissuto da Ma-ria non solo per la propria santificazione ma anche per la salvezza del mondo vedovile.

Tra la sua maternità di Natale (madre di Gesù) e la sua maternità di Pentecoste (madre della Chiesa) stanno due morti: quella di Giuseppe e quella di Gesù.

La Madonna non è soltanto un modello che la vedova è chiamata ad imitare. E’ la Madre della grazia: colei che dona alla vedova il suo stesso sentimento di obbe-dienza amorosa alla volontà di Dio.

Concludiamo quila riflessionesulla vedovanza.Per chi desidera proseguirla suggeriamo il volume diPaola Libanoro RaineriSono vedova: e adesso?Effatà, Cantalupa (To) 2017,pp. 154, costo 11 euro.

A cura di don Paolo LANZONI ssp

45Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Esperienze e testimonianze

In agosto 1999 eravamo a Canneto per il ritiro mensile con gli altri gruppi vicini

quando all’improvviso Nicola, mio marito, si sentì male. Don Antonio Cerrone, igs che guidava l’incontro si accorse subito e ci consigliò di allontanarci per rientrare nella nostra casetta poco distante per i primi soccorsi. In casa Nicola peggiorò ed io non sapevo cosa fare. Poco do-po sopraggiunse don Anto-nio con Pietro, un medico che visitò Nicola e dai sin-tomi diagnosticò che po-teva trattarsi di labirintite acuta. Lo guardai perples-sa e lui con toni garbati mi spiegò. Lasciammo il ritiro, scusandoci con gli altri e facemmo ritorno a casa.

Dopo due giorni Nicola accusava gli stessi sintomi con svenimenti, forti capo-giri da non reggersi in piedi e che persistevano anche a letto con vomito. Fu ricoverato in ospedale dove diagnosticarono un problema al cer-vello. Si può ben immaginare la mia preoc-cupazione! La sera stessa telefonai conci-tata a don Antonio che mi aveva supplicata di fargli sapere notizie e lui paternamente mi suggerì di rivolgermi a colui che ci aveva sempre raccomandato: “Chiamatemi che io verrò...”. Incredula gli risposi che ave-vo tanti pensieri per la testa e non potevo dare peso alle chiacchiere (donna di poca fede!). Mi preoccupai di telefonare a don Nicola D’Amico, igs declinando il suo invi-to per il pellegrinaggio a Fatima che dove-va svolgersi di lì a poco (eravamo entusiasti perchè sarebbe stata la prima volta). Don Nicola rispose che non avrebbe cancella-to la nostra prenotazione in quanto tutto

si sarebbe risolto bene e saremmo partiti tranquilli e concluse dicendo: “Preghiamo-ci... la Madonna ci vuole da Lei...”. Passò una settimana e buone notizie su Nicola non arrivavano, anzi. Una notte nel mio let-to matrimoniale sola e triste ho pianto così tanto che pregando dissi al Signore: “Se Nicola è mio devi ridarmelo in buona sa-

lute, ma se deve soffrire è meglio che te lo riprendi”. Parole dettate dallo scon-forto e incapacità di fare. Ma qualcosa mi sconvolse: subito dopo avvertii una presenza e una voce ben distinta, dura e familiare che mi diceva: “Ehi tu!...tiavevodetto dichiamarmicheiovenivo...eallora!Staitranquillaeabbifedecheiltuo sposo sta bene!”. Quel-la notte non riuscii proprio a riposare perchè quelle parole mi fecero riflettere

parecchio, così incoraggianti. La mattina dopo andai in ospedale confusa ma anche con un pizzico di speranza. Prima di en-trare in camera da Nicola per salutarlo in-contrai il medico che lo teneva in cura e gli chiesi: “Come sta Nicola?”. Egli con gen-tilezza e con sorpresa mi rispose: “Non so che dirle. All’improvviso tutto è cambiato”. Ed io: “Sa dottore: avevamo in programma di fare un pellegrinaggio a Fatima... dite-mi la verità”. Egli senza pensarci aggiun-se: “Suo marito può volare... sì, sì... credo proprio di sì... è giunto qui mezzo morto e adesso sta benissimo, sembra un miraco-lo”. Fui così felice che scoppiai a piange-re. Prima di entrare in camera mi tornò in mente l’invito di don Antonio di rivolgermi a quel tale e poi la notte precedente in cui

Una lezione di fede

Don Lamera con i coniugi Di Blasio

Esperienze e testimonianze

46 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

lui si era presentato a me dandomi la cer-tezza di una risoluzione molto positiva.

Sì, ne ero certa, quella presenza e quel-la voce aveva un nome: don Stefano Lame-ra. Grazie alla mediazione di don Antonio lo avevamo conosciuto, apprezzato, ascol-tato (anche se a volte ci è costato fatica mettere in pratica le sue lezioni) e soprat-tutto amato, come si può amare un padre. Egli ha orientato me e mio marito nel cam-mino dell’Istituto e tante volte è venuto al Santuario mariano di Canneto (CB) per sa-lutare, incoraggiare nel cammino quotidia-no e anche ammonire le famiglie a vivere più santamente la loro specifica vocazione di coniugi con una maggiore responsabili-tà come primi educatori. Fu lui, così inna-

morato della Vergine Cannetina dal volto sorridente, a coniare una bella poesia-pre-ghiera intitolata Madonna del Sorriso.

Quando entrai nella camera dell’ospe-dale mio marito era al settimo cielo e stava molto meglio. “Ciao Maria, oggi mi dimet-tono”, mi disse e ci abbracciammo felici. La gioia di don Antonio e di don Nicola fu indescrivibile. Essi avevano avuto fiducia: questa è fede! Con una piccola compressa andammo a Fatima per ringraziare la Ma-donna del grande amore che ha per noi e per il dono di don Stefano. Ancora oggi è incancellabile il ricordo di quell’episodio che fu per noi una bella lezione di fede! Grazie Signore! Grazie don Stefano! (Maria eNicolaDIBLASIO,isfdiMontefalcone).

La consacrazione trova fondamento nel Battesimo. Il sacerdote officiando il ri-

to pronunzia la formula: “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e ti ungo Re, Sacerdote e Profeta”. Il Vangelo infatti (eccetto Giovanni Batti-sta) non contempla il sorgere di nuovi pro-feti, come avveniva nell’Antico Testamen-to. Dopo la venuta di Gesù ogni cristiano accede al sacerdozio, alla profezia e alla santità per diritto battesimale. Si pensi a Bartolo Longo, ai coniugi Martin (genitori di Santa Teresa di Lisieux), a Piergiorgio Frassati e tanti altri.

La consacrazione di persone “non ordi-nate” è in uso da secoli. La Famiglia Pao-lina la propone nell’Istituto Santa Famiglia attraverso una prima formazione di circa sette anni al termine della quale i chiamati

da Dio emettono i voti in modo definitivo. Così intere famiglie aspirano alla santità. Vivono la realtà secolare osservando i Con-sigli evangelici di castità, povertà e obbe-dienza mentre portano avanti i doveri quo-tidiani imitando la Famiglia di Nazareth.

Sebbene operanti nella Famiglia Pao-lina da oltre 20 anni, siamo giunti tardi alla consacrazione dell’I.S.F. Le cose sono andate così: nei primi anni novanta cono-scemmo a Milano il sacerdote paolino don Gigi Melotto, che ci coinvolse in tutto: ca-techesi, ritiri spirituali, pellegrinaggi e ci costituì Cooperatori paolini. Nel 2009 no-stra figlia Monica ottenne il trasferimento nelle Marche. Così i nostri soggiorni mar-chigiani divenivano più lunghi e frequenti. Nel 2010 entrammo nell’I.S.F. (Gruppo di Saltara); qui iniziammo il percorso di pri-

Consacrazione da laici:una via per la santità

Perché molti laici si consacrano? Quali origini ha questa pratica?Cosa induce a consacrarsi?

47Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Esperienze e testimonianze

Sotto un cielo azzurro come non mai, nell’intersecarsi di fine estate con l’i-

nizio d’autunno, domenica 24 settembre, presso la casa natale del beato Giacomo Alberione, abbiamo vissuto un altro intrec-cio, ancor più profondo.

Nel giorno del Signore, scelto in con-cordanza con il Santo Padre Francesco per intronizzare la Bibbia, la “Parola” nelle nostre comunità, i gruppi ISF di Alba, Bra, Fossano e Torino, guidati da don Floriano,

hanno inaugurato il nuovo anno di forma-zione per le famiglie che ne fanno e ne faranno parte.

ma formazione che si è concluso quest’an-no a Roverè Veronese con la consacrazione definitiva che ci ha aperto alla formazione permanente.

Quando si riceve la consacrazione da Dio non si può accantonarla e rispolverala quando si vuole; come la fede va alimenta-ta continuamente e protetta, soprattutto da svogliatezza e abitudine, che possono spe-gnerla. Dobbiamo affrontare il quotidiano come fosse novità per crescere nell’amore fraterno come si faceva nella Santa Fami-glia di Nazareth.

La vita è lastricata di stati d’animo mu-tevoli: fugaci attimi di gioia (mai piena, spesso unita all’ama-rezza) si alternano a momenti di prova. Anche la preghiera non è sempre ugua-le: talvolta si vive con gioia, altre con distrazione o tristez-za. Spesso percepiamo Dio come assente, lontano da noi e dalle nostre afflizioni.

Per fortuna la Sapienza divina ci viene in aiuto e ci fa capire che Dio chiama tutti

alla santità, ognuno nella sua condizione (di ordinato o laico), tutti tendenti alla stessa meta. La Parola di Dio dice che l’uomo può intercedere per i suoi fratelli, persino espia-re le loro colpe (come fece Gesù per noi). Ci chiediamo: Se un credente ha la facoltà di intercedere per un fratello ed espiarne le colpe, in cosa differisce dal sacerdote? Non sono entrambi chiamati ad essere “Alter Cristus”, cioè a continuare l’opera di Gesù? Sicuramente il sacerdote è l’interlocutore prediletto da Dio, per il suo “sì” totale e in-

condizionato, ma Dio è geloso e vuole tutti per sé.

Perciò riteniamo la consacrazione da laici una via fra tan-te altre per la santi-tà. Ringraziamo Dio per averci chiamati a questa meraviglio-sa realtà. Al termine della vita potremo dire con San Paolo:

“Ho combattuto la buona battaglia, ho ter-minato la mia corsa, ho conservato la fede, ora attendo da Gesù la corona di giustizia” (GemmaeCarloPATELLA,isfdiSaltara).

Un nuovo anno di cammino

Don Paolo con i coniugi Patella

Esperienze e testimonianze

48 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

In marcia con la Famiglia Paolina

Sono state condivise esperienze, emo-zioni, proposte per dare nuovo vigore al no-stro Istituto, illuminati dalla “Parola”. Gra-zie a don Floriano, abbiamo appreso come adorarla, gustarla, “masticarla” perché sia luce ai nostri passi e perché ne possiamo condividere i frutti con i nostri fratelli.

Un giorno veramente fecondo, in cui il sole era riflesso della gioia dei nostri cuo-ri, che tornavano ad assaporare in pienez-za gli insegnamenti del nostro Fondatore. Attorno a noi il pergolato dove brillavano alcuni grappoli d’uva succosi, quasi a mo-strarci come maturare al calore di Dio.

Non è mancato tempo per rifocillarci in gioiosa condivisione, né per dedicarci alla devozione alla Regina degli Apostoli, stra-da maestra per condurci a Gesù, Via, Ve-rità e Vita, con il Santo Rosario e la recita dei Vespri.

Purificati dalla “Parola”, confermati dal-la certezza dell’immenso Amore di Dio per noi, abbiamo mosso i primi passi di un cam-mino che ci impegniamo a rendere più inci-sivo ad ogni nostro successivo incontro (Ste-faniaTESTA,isfdiSanLorenzodiFossano).

Dal 24 al 30 luglio 2017 ha avuto luogo a Roma la prima marcia paolina

alla quale hanno partecipato circa settanta ragazzi dai 14 ai 35 anni provenienti da diverse regioni d’Italia e dai più svariati ambiti parrocchiali. La marcia è stata organizzata e animata da una bella e nu-trita èquipe, all’interno della quale erano rappresentate tutte le dieci istituzioni che

formano la Famiglia Paolina. “Sui passi di Paolo” a Roma, nei luo-

ghi che hanno visto l’arrivo, la dimora, la prigionia, il martirio e la sepoltura del no-stro padre e maestro san Paolo apostolo, è stata un’esperienza davvero unica e bella per chi ha animato, organizzato, guidato ma anche per chi ha vissuto la marcia da ospite protagonista.

La giornata iniziava di buon ora e si snodava tra cammini e soste in un intreccio di preghiera, cultura, arte e storia, fino a sera quando stanchi ma felici, si tornava nelle accoglien-ti braccia della Regina degli aposto-li nel comprensorio di via A. Severo, dove si lasciva spazio alla fraternità e alla gioia di sentirsi davvero fami-glia. La giornata poi si concludeva sempre con la preghiera accanto

49Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Esperienze e testimonianze

all’urna benedicente del beato Giacomo Alberione.

La marcia, per chi l’ha preparata e ani-mata, è stata certamente una grande occa-sione di catechesi e di apostolato paolino, utilizzando al meglio tutti i linguaggi che oggi abbiamo a disposizione per parlare al cuore e alla vita degli uomini di oggi.

Significativi sono stati due momenti: la visita alla Radio Vaticana, dove alcuni ra-gazzi si sono potuti esercitare nell’annuncio radiofonico e dove abbiamo celebrato una partecipata Eucaristia per gli operatori del-la comunicazione sociale, e un cineforum nel quale con la maestria delle Figlie di san Paolo abbiamo visto come da un film si può trarre parole e suggestioni di preghiera.

Tra i momenti di preghiera più belli e intensi, oltre che la Celebrazione eucari-stica di chiusura, in cui ognuno ha offerto quanto vissuto durante la marcia, va ricor-data la veglia sotto le stelle organizzata dalle Suore Apostoline, in cui creazione, vita e cuore si sono intrecciati creando un’atmosfera unica in una notte romana che rimarrà a lungo nel cuore dei ragazzi e degli animatori.

La Famiglia Paolina tutta, con la pre-ghiera delle comunità e degli Istituti, con

la visita e la presenza fraterna dei superiori e delle superiore provinciali e del Superio-re generale don Valdir De Castro, ha segui-to e partecipato a questo evento vocazio-nale che potrà portare i suoi frutti come e quando a Dio piacerà.

La giornata del sabato è stata vissuta nel comprensorio con la visita guidata alla Basilica Regina degli apostoli al mattino, sintesi e catechesi di muri e colori sul no-stro carisma, mentre nel pomeriggio i ra-gazzi hanno potuto marciare all’interno del cortile, sulle orme delle Lettere paoline, incontrando ad ogni tappa dieci testimoni della vocazione e della bellezza del cari-sma di don Alberione. Bella ed efficace, a questo proposito, la testimonianza di una giovane coppia del nostro Istituto che ha suscitato tra i ragazzi interrogativi e curio-sità circa la consacrazione secolare inne-stata nella vita familiare e coniugale.

E’ stata certamente un’iniziativa bella, coraggiosa e ben accolta da tutti i parte-cipanti, che ci ha fatto toccare con mano quanto il desiderio e il disegno del nostro Fondatore di pensare la famiglia a servizio del Vangelo sia quantomai attuale, realiz-zabile ed efficace (Gianfranco MASTROLILLI isfdiMilano).

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

50 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

GIUSEPPE BELLANTONE* 07/04/1958 - † 10/08/2017del Gruppo di Lamezia Terme

E’ tornato alla Casa del Padre il nostro caro fratello Pino. Era entrato nell’Istituto Santa Famiglia insieme alla propria sposa Caterina nel lontano 1992.

Ha vissuto lo speciale dono di consacrazione rendendosi strumento credibile per tante famiglie che, con il suo amore e la sua vigilanza, ha saputo accompagnare spe-cialmente nei primi passi del loro ingresso nell’Istituto.

Per circa un ventennio è stato Responsabile del Gruppo di Lamezia Terme e Re-sponsabile zonale della Calabria. L’impegno a favore delle coppie dell’Istituto Santa Famiglia è sta-to costante e fedele nel tempo. Ha vissuto anche gli ultimi mesi della malattia con tanta dignità, dando testimonianza di grande forza e speranza che lo hanno aiutato a fronteggiare la sofferenza con la fede nel cuore e la fiducia nello Spirito.

Pino è stato, per chi lo ha conosciuto, un amico fraterno, una guida sicura e un esempio di coerenza e di altruismo. La vocazione che lo ha portato nell’I.S.F. ha arricchito la sua vita di sposo e padre esemplare.

Ringraziamo il Signore di aver donato al nostro caro fratello Pino lo Spirito paolino e la sapienza del cuore, per aver compreso e interpretato nella vita i veri valori del messaggio cristiano (I fratelli delGruppodiVillaSanGiovanni–ReggioCalabria).

ONOFRIO ILARDO* 02/01/1951 - † 23/08/2017

del Gruppo “M. Vigolungo” di Palermo

Il nostro fratello Onofrio, chiamato da tutti noi Nenè, è tornato alla casa del Padre. Egli ora sta finalmente gioendo e gustando della presenza del buon Dio in cielo e si è ricongiunto con la sua amata Lia, con cui ha celebrato il sacramento del Matrimonio il 4 dicembre 1994, divenendo con lei una sola persona.

Nenè ha conosciuto l’Istituto Santa Famiglia da giovane, tramite padre Saladino, ma ha intrapreso il cammino solo nel momento in cui ha creato la sua famiglia in-

sieme a Lia. Il suo sguardo tranquillo e sorridente, la sua generosità e disponibilità resteranno per sempre nei nostri cuori. “La mano destra non sappia cosa fa la sinistra”: così lo ha voluto ricordare il sacerdote suo amico durante i funerali.

Ricorderemo sempre la sua capacità di trasmettere serenità anche quando la sua amata Lia lo ha preceduto sulla strada verso il Paradiso. Da quel giorno, per 8 anni, è stato un padre, una madre ed un amico per il giovane figlio Stefano, che il dolore della loro perdita ha reso un uomo in grado di affrontare la vita.

Ringraziamo Dio per averci fatto dono della sua presenza durante i Ritiri, gli incontri, gli Eser-cizi spirituali e i pellegrinaggi a cui ha sempre partecipato.

Oggi lo ricordiamo nella preghiera con immenso affetto e confidiamo che da lassù, insieme a Lia, possa assistere Stefano e ciascuno di noi durante il cammino della vita. Arrivederci Nenè (I fratellidelGruppo“M.Vigolungo”diPalermo).

GIULIANA CATANZANI in SERAFINI* 27/10/1927 - † 04/09/2017

del Gruppo di Grottaferrata

Dopo una lunga e penosa sofferenza la nostra sorella Giuliana ci ha lasciato per ritornare fra le braccia amorevoli del Padre Celeste. Donna semplice, generosa, dava a tutti consigli, suggerimenti, aiuti sempre con il sorriso sulle labbra e dedita alla famiglia.

51Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

Giuliana con il marito Uldarico, che l’ha preceduta alla casa del Padre anni fa, sono stati una delle coppie della prima ora. Infatti erano stati chiamati a far parte dell’Istituto santa Famiglia nel 1977 nel Gruppo di Grottaferrata.

Viveva con serietà la sua partecipazione alla vita dell’Istituto, sempre presente agli Esercizi spirituali, ai Ritiri mensili, alle Adorazioni, ai Pellegrinaggi, agli incontri di formazione e frater-nità che molte volte si svolgevano nella sua casa.

Ci ha donato l’esempio di unità come coppia. Ha testimoniato, con la vita di consacrata nell’Istituto santa Famiglia, una identità di famiglia cristiana lodevole. Per noi del Gruppo di Grottaferrata era una delle “colonne” da imitare. Le figlie Mirella e Paola nel ricordarla dicono: “Se dovessimo scegliere un aggettivo per mamma sceglieremmo grande perché grande era la sua bontà, grande la sua intelligenza, grande il suo buon umore e la voglia di mettere di buon umore, grande la generosità e la voglia di aiutare, di alleggerire le pene altrui, grande la sua fede che è la sua più grande eredità”.

Cara Giuliana, oggi siamo certi che ti ricorderai di noi e con la stessa discrezione che ti ha contraddistinta in terra pregherai per noi e ci sarai vicino (IfratellidelGruppodiGrottaferrata).

NATALINA UBALDI* 25/12/1930 - † 12/09/2017

del Gruppo di Lucrezia

Natalina si è dedicata alla famiglia, ai figli ed ai nipoti con dedizione e disponibilità e uno sguardo rivolto al Cielo.

Attraverso la preghiera costante, la sua era un’offerta quotidiana che aveva il culmine con la partecipazione assidua all’Eucarestia. Infatti, finché la salute glielo ha permesso raggiungeva a piedi la chiesa dove incontrando i fratelli e le sorelle della comunità con qualche parola di fede e con la mitezza che la caratterizzava riusciva ad incoraggiare e ad infondere fiducia. Iniziò il cammino dell’Istituto Santa Famiglia nel 1984 ed attraverso il Beato Giacomo Alberione riuscì a testimoniare ancor più la sua fede nella S. Famiglia di Nazareth.

La lunga malattia ha sicuramente purificato la tua già preziosa anima; per questo, cara Na-talina, ora che sei al cospetto di Dio, ti chiediamo di accompagnarci con la preghiera in questo nostro pellegrinaggio terreno. In particolare ti affidiamo tutta la realtà della famiglia in cui hai creduto fortemente e per cui ti sei tanto spesa (IfratellidelGruppodiLucrezia).

ANGELO LODDO* 21/01/1951 - † 15/09/2017

del Gruppo “M. Vigolungo” di Palermo

E’ tornato alla casa del Padre il nostro carissimo Angelo e il giorno delle esequie riuniti intorno all’altare abbiamo lodato, benedetto e ringraziato nostro Signore per avercelo donato.

Angelo, dono del cielo per tutti coloro che ti hanno conosciuto e amato. Quanto bene hai fatto a ciascuno di noi! Le tue mani sono piene di opere buone e perciò

ti presenti a Dio purificato dalla sofferenza terrena, pronto per essere accolto fra le braccia amo-revoli del Padre.

Quando qualcuno aveva un bisogno tu c’eri; eri sempre pronto ad aiutare in concreto chiunque. Questo scaturiva dalla tua fede che traducevi concretamente in amore e presenza verso tutti. Ma in

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

52 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

particolare desideriamo ricordare l’amore grande per la tua sposa, Franca, per i tuoi figli Chiara ed Alessio ivi compreso tuo genero Nino, che hai amato come figlio, il tuo nipotino Giuseppe, i tuoi fra-telli, cognate e nipoti. Il tuo cuore era pieno d’amore che tu riversavi in tutti coloro che incontravi.

E come dimenticare l’amore per l’Istituto Santa Famiglia che ti ha reso con la tua Franca consacrati al Signore mediante i voti.

Grazie per la tua disponibilità, generosità, umiltà, lealtà, onestà e potremmo continuare an-cora a lungo; ma tutto questo è dono di Dio che tu hai accolto e fatto fruttificare.

Sei stato e sarai sempre un grande esempio per tutti noi. Hai combattuto la buona battaglia, hai conservato la fede e ora vivi tra i beati nella gloria di Dio.

Arrivederci, caro fratello Angelo: è stato un onore e un privilegio averti conosciuto, stimato e amato; non ti dimenticheremo mai e tu continua a pregare per tutti noi (IfratellidelGruppo“M.Vigolungo”diPalermo).

GINO ERIANI* 05/05/1934 - † 25/09/2017

del Gruppo di Milano

Il nostro fratello Gino è tornato alla casa del Padre. La sua vita lunga e operosa è stata arricchita dal cammino di fede all’interno dell’Istituto Santa Famiglia in cui è entrato con la moglie Maria nel 1988 a Verona. Insieme poi hanno emesso i voti della prima Professione a Milano nel 1991 e si sono consacrati definitiva-mente nel 1997. Hanno festeggiato il 25° di vita consacrata nella gioia di tutta la famiglia e la comunità parrocchiale. Quest’anno avrebbero festeggiato 56 anni di

matrimonio, uniti nella buona e nella sorte meno buona perché segnata dalla malattia che lo ha accompagnato negli ultimi vent’anni.

Gino è stato accudito amorevolmente dalla famiglia ma soprattutto dalla moglie e dalla figlia Mariangela che sono sempre state al suo fianco curandolo e coccolandolo affinché non si sentis-se mai un peso ma un dono, un dono prezioso. Lui infatti ci ha aiutati tutti a crescere nella fede e nell’unità consapevoli che la vita è sempre speciale. Attorno a sè ha sempre avuto tanto amore come lui stesso nella sua vita ha sempre saputo dare (ItuoicarieifratellidelGruppodiMilano).

IRMA FRIZZO IN DALLA VECCHIA* 10/01/1941 - † 22/10/2017

del Gruppo di Vicenza

Dopo soli quattro mesi dalla morte del marito Giovanni, anche la nostra sorella Irma è salita alla casa del Padre dopo una lunga malattia.

Irma è stata una donna forte e dolce, tenace ed umile. Di carattere timido, ci lascia un grande esempio di moglie, di mamma e di cristiana fedele ad ogni appuntamento con il Signore e con i fratelli. È stato uno spettacolo vedere la sua

famiglia raccolta in preghiera. Irma e Giovanni hanno cresciuto quattro meravigliosi figli che si distinguono per semplicità di vita ed essenzialità, tutti sposati e ricchi di figli.

Il Gruppo di Vicenza ha visto il proprio inizio anche grazie a questa coppia che, ancor prima di sapere cosa sarebbe stato l’Istituto Santa Famiglia, si è fidata del Signore ed ha detto un “sì” nella fiducia e nella fedeltà. Ringraziamo davvero il Signore per questa sorella e facciamo tesoro del suo esempio di vita. Lode al Signore! (I fratelli del Gruppo di Vicenza).

NOVITà lIbRI E FIlm

Libri

53Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

ESERCIZI SPIRITUALISulla traccia degli scritti del beato

Giacomo AlberioneMauro Ferrero – Società S. Paolo

Il noto scrittore paolino di nume-rosi libri e opuscoli sulla spiritualità e formazione pa-olina articola su 200 pagine un percorso spirituale

in otto giorni sulla traccia del te-sto sacro e degli scritti del beato Alberione. Ne risulta uno stru-mento assai prezioso e pratico per la meditazione nel quotidiano a partire dalle ispirate intuizioni del Fondatore della Famiglia Paolina. Il volume può essere richiesto via mail alla Segreteria dell’Istituto “Santa Famiglia” ([email protected]) o via telefono (06-7842609) al prezzo di 5,00 euro.

STOP ALLA PAURAManuale di autoguarigione

Bassi e Zamburlin - Paoline

L’assenza della paura, o comun-que la capacità di gestirla e di trasformarla in positivo, cioè in coraggio e amore, è un requisito fon-damentale della

personalità matura, condizione sine qua non per lo sviluppo del-le qualità e capacità relazionali. Quindi è necessario liberarsene per avanzare nella ricerca della felicità. La «madre» di tutte le paure è la paura della morte; le «figlie» sono: la paura della vec-chiaia, della malattia, del dolore, del fallimento, degli altri, degli stranieri, dei luoghi aperti, dei luoghi chiusi e così via.

MIO FIGLIO MI DICE TUTTODalla confidenza alla responsabilità

Osvaldo Poli – San Paolo

L’Autore, partendo dall’assunto che “l’adolescenza è la stagione

del dialogo nel senso più vero del termi-ne” ossia il passag-gio “dal ‘raccontare tutto’ al ‘confron-tarsi’ con il genitore su ciò che si debba ritenere giusto e

vero”, propone in questo volume la strada del “dialogo di con-fronto”: non semplicemente una tecnica psicologica, ma un affina-mento del modo di amare i figli, di facilitare la loro maturazione, anche e soprattutto quando sba-gliano. Una strada composta da tre passi – capirsi, valutare, de-cidere – che punta ad aumentare la consapevolezza psicologica del figlio e lo mette in contatto con la sua coscienza morale.

PAPÀ NON DIRLO ALLA MAMMAEzio Aceti – San Paolo

Ha ancora senso, oggi, parlare di stile “paterno” e “ma-terno” nell’educa-zione? È arrivato il momento di realiz-zare, dice l’Autore, quello che ormai molti operatori so-

ciali ed educativi sperano: l’al-fabetizzazione genitoriale obbli-gatoria. Se la madre rappresenta per ciascun bambino la sicurezza, la tranquillità, «è grazie al padre che il bambino potrà, una volta separato dalla madre e rassicurato dalla interiorizzazione della figura femminile, entrare davvero nella società e nella realtà».

QUANDO IL BULLISMOÈ AL FEMMINILE.

Conoscere, intervenire, prevenireCaladri e Begotti – Paoline

Questo saggio di-vulgativo approfon-disce il bullismo al femminile, che spesso si manifesta in modo più sottile di quello maschi-le. Anche se le sue

modalità sembrano meno gravi (per l’assenza di violenza fisica), in realtà si tratta di prepotenze altrettanto devastanti, legate alla manipolazione della reputazione e all’isolamento della vittima. Il testo prende in esame le caratteri-stiche delle protagoniste (vittime, prevaricatrici e spettatrici) e il ruolo degli adulti, genitori e inse-gnanti in primis, nell’affrontare e prevenire il fenomeno.

Papa FrancescoIL DIAVOLO C’È

Come agisce, come combatterloA cura di D. Manetti – San Paolo

Il diavolo esiste e papa France-sco ha affrontato spesso nei suoi discorsi il tema del maligno. Il volume propone un percorso at-traverso le paro-le del Papa dal

1999, quando era vescovo di Buenos Aires, a oggi. Parole forti e sorprendenti che ribadiscono la realtà della presenza del demonio nelle nostre vite. Il confronto con i grandi testi della tradizione cri-stiana, in cui l’A. dimostra come la tematica dell’operato di Sata-na nel mondo attraversa tutta la storia della Chiesa, accompagna e riflessioni di Francesco.

Y BIBBIALa Bibbia dei giovanidella Chiesa cattolica

San Paolo

Una Bibbia pensa-ta interamente per i ragazzi con intro-duzione di Papa Francesco. I com-menti sono stati realizzati congiun-tamente da biblisti

di fama mondiale e da giovani, proprio per parlare il linguaggio dei ragazzi. Ricca di testimonianze di santi e giovani, che si sono confrontati con la lettura della Parola di Dio.

NOVITà lIbRI E FIlm

LA LETTURA INFINITALa Bibbia e la sua interpretazione

J. T. Mendonça – San Paolo

Libro sacro per i cre-denti di più di una religione, classi-co del la letteratura, chia ve indispensa-bile per decifrare il pensiero e la storia,

la Bibbia richiede un’interpreta-zione e una lettura infinita. I com-mentatori giudaici dell’A.T. erano convinti che per ogni passo del-la Torah esistessero quarantano-ve possibilità di interpretazione. Quarantanove è il risultato della moltiplicazione di sette per set-te, e sette è il simbolo dell’infini-to. Dunque, la lettura stessa della Bibbia presuppone sempre un’i-potesi di infinito.L’A. compie un lavoro di esege-si che unisce il rigore storico e filologico all’attenzione per la letteratura regalando un’opera indispensabile per le infinte inter-pretazioni della Bibbia.

SCEGLIERE UN FILM 2017Fumagalli e Chiarulli – San Paolo

Una guida ai più in-teressanti film del 2017 con una par-ticolare attenzione alla componente narrativa e una lettu-ra in ottica cristiana. Un volume pensato

per gli appassionati di cinema, per chi organizza i cineforum e per i genitori che vogliono scegliere un film da godere in famiglia. Gli Au-tori stilano anche una guida rapi-da di consultazione e di scelta: «i migliori film per tutti», «i film per discutere» e «i migliori film per i più giovani» sono film che offrono un’ottima occasione di intratteni-mento con contenuti positivi.

E GESÙ VENNEANTONIETTA GUADALUPI

l’angelo dell’Istituto nazionaledei tumori

A. M. Gustinelli – San Paolo

Antonietta Gua-dalupi è stata una donna coraggiosa, innamorata di Ge-sù, annunziatina e assistente sanitaria dell’Istituto naziona-le dei tumori, ha re-

so la sua vita «del tutto normale, senza apparentemente far nulla di straordinario», un dono continuo a Dio e agli altri. Il suo eroismo è quello feriale di tanti padri e ma-dri di famiglia, volontari, laici e consacrati che si consumano per un presente logorante ma gravido di futuro.

Papa Francesco VOI SIETE ARTIGIANI DI FUTURO

A cura di G. Venturi – San Paolo

Tra papa Francesco e i giovani

esiste una simpatia, una “passione” re-ciproca, un piacere di stare insieme che diventa confiden-za. Questa capacità di entrare in sinto-

nia porta Francesco e i giovani al dialogo, a comunicare, e da questa conoscenza forse è na-ta la decisione del Sinodo dei giovani del 2018. Questo libro ripercorre le tappe più profonde del dialogo che papa Francesco ha voluto aprire con i giovani. Nel convocare il Sinodo il Papa ha indicato tre vie: «I giovani, la fede e il discernimento vocazio-nale».

NONNO FRANCESCOLa ricchezza dell’età

Andrea Pagnini – San Paolo

Papa Francesco ha sempre avuto a cuo-re i nonni e il ruolo che essi ricoprono da sempre nelle famiglie. Proprio a partire dalle parole del pontefice, l’Au-

tore riflette sui nonni che aiuta-no, soccorrono spiritualmente e spesso anche economicamente i propri figli e nipoti. Ogni capitolo prende il via da una frase del Pa-pa, dando così vita a un dialogo con Francesco, un “papa nonno” che in tantissimi – piccoli e meno piccoli – hanno quasi adottato.

Libri

54 Gesù Maestro Novembre-Dicembre 4-2017

FilmLOVING

L’amore deve nascere liberoRegia: Jeff Nichols - Anno 2016

Richard Loving vive in una zona rurale della Virginia americana. Sua madre fa la levatrice, lui è muratore e si dilet-ta a mettere mano ai motori delle au-tomobili per farle vincere. È innamora-to di Mildred, ricambiato, e la porta a Washington per sposarla. Ma è il 1959 e la Virginia punisce con il carcere le

unioni miste. Al bianco Richard e alla nera Mildred non resta che dichiararsi colpevoli e accettare un esi-lio di 25 anni in un altro Stato. Grazie alla lega per i diritti civili, il caso Loving arriverà alla Corte suprema.

VITA PER VITAMaximilian Kolbe

Regia: K. Zanussi - Anno 1991

Nel giugno del 1941, un prigio-niero riesce a fuggire dal lager di Auschwitz. Per punizione vengono condannati a morire di fame dieci detenuti scelti a caso. Un giovane padre, tra le vittime, si dispera e un francescano si offre di sostituirlo.

È padre Massimiliano Kolbe che viene ucciso il 14 agosto, beatificato da Paolo VI nel 1971 e canoniz-zato da Giovanni Paolo II nel 1982.

ATTENZIONE – Accogliendo l’espresso desiderio di molti membri della “Santa Famiglia” per continuare a offrire un contributo, secondo le proprie possibilità,

all’Istituto e all’Opera di S. Giuseppe di Spicello, comunichiamo le modalità di offerta:

Conto corrente postale intestato a “Istituto Santa Famiglia” - n° 95135000conto intestato a “Santuario San Giuseppe” - n° 14106611

Banca di Credito Cooperativo di Roma - Agenzia n. 1 - c/c bancario “Istituto Santa Famiglia”IBAN: IT34K0832703201000000034764

Banca di Credito Cooperativo del Metauro - c/c bancario “Santuario San Giuseppe”IBAN: IT60d0870068470000010199980

IL VALORE DELLA SANTA MESSA

«Niente è più grande dell’Eucaristia!... Quando noi vogliamo liberare dal Purgatorio una persona cara e invocare la benedizione sulle nostre famiglie, offriamo a dio il santo Sacrificio del suo Figlio diletto, con tutti i meriti della sua passione e della sua morte. Egli, dio Padre, non potrà non ascoltarci…» (Santo Curato d’Ars).

OPERA SANTE MESSE PERPETUE

Si tratta di 2400 Messe che ogni anno vengono celebrate dai Sacerdoti Paolini per tutti gli iscritti vivi e defunti. Tale Opera è stata voluta da don Giacomo Alberione come segno di riconoscenza verso tutti coloro che aiutano gli apostolati della Famiglia Paolina.

Norme per l’iscrizione 1. Ogni iscrizione si riferisce a una singola persona, sia viva che defunta. 2. Per ogni iscritto si rilascia una pagellina-ricordo con il nome e la data d’iscrizione. 3. Gli iscritti godono del beneficio di sei Sante Messe che ogni giorno vengono cele-

brate esclusivamente per loro. 4. L’offerta per ogni iscrizione è di Euro 20,00 ed ha valore perpetuo.

Celebrazione di Sante Messe • Celebrazione di Sante Messe secondo le intenzioni dell’offerente: ? 10,00. • Celebrazione di un Corso di Messe Gregoriane l’offerta è di ? 350,00.

Inoltrare le prenotazioni delle intenzioni di Messe all’Istituto “Santa Famiglia”Circonvallazione Appia 162 – 00179 ROMA – ccp n. 95135000.

ISTITUTO“GESù SACERDOTE”ISTITUTO“SANTA FAMIGLIA”

Due Istituti Paolinidi Vita Secolare Consacrata,aggregati alla Società San Paoloe parte integrante della Famiglia Paolina,nati dal cuore apostolicodel beato Giacomo Alberione,che si propongono come ideale la santità della vita sacerdotale e familiaree come missione specifical’annuncio di Cristo MaestroVia, Verità e Vita.