Tafarismo e Sua Integrazione Nelle Strutture Socio-politiche Giamaicane

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Sito Internet: http://www.scenarinternazionali.org Indirizzo e-mail: [email protected] Il tafarismo e la sua integrazione nelle strutture socio – politiche giamaicane di Alessandro Badella Origini del tafarismo Sull'isola di Giamaica circa un decimo della popolazione si professa di culto rasta (ovvero circa 250,000 abitanti) e abbraccia le sue credenze. E ancora, secondo un recente sondaggio locale, la personalità giamaicana più conosciuta all'estero è la star reggae Bob Marley, anch'egli rasta e diffusore del messaggio di Jah presso le platee bianche di mezzo mondo. Questo breve inciso, ci offre la possibilità di evidenziare la diffusione della cultura rasta verso un audience non sempre culturalmente in sintonia con quella isolana, ma che ha recepito e assimilato (seppure in maniera parziale ed approssimativa) l'eco di una cultura lontana. Tuttavia, il pericolo principale di questo contatto sarebbe quello di stereotipare tutta la dialettica etico – culturale della Giamaica attorno ad una “sineddoche” pericolosa per la comprensione dei processi culturali e politici dell'isola. Ogni forma di religione, di culto o di credenza nasce, secondo l'analisi di Weber 1 , dalla necessità di creare il soddisfacimento (anche fittizio) di un bisogno sociale. Non a caso, il tafarismo nacque negli Anni Trenta del XX secolo attorno alla cintura urbana di Kingston, che racchiudeva gli slums della capitale, ma soprattutto la popolazione più povera dell'intera isola. A questo si deve aggiungere che la crown colony britannica aveva reso impossibile alcun tipo di redistribuzione sociale delle ricchezze che, come spesso accade nei paesi terzomondisti, venivano accaparrate da poche famiglie, rappresentanti l’oligarchia del paese. La componente nera della popolazione, ovvero i discendenti degli schiavi africani dovevano accontentarsi di lavori umili e sottopagati, costituendo il sottoproletariato che si accalcava alle periferie delle città. Il primo atomo della cultura religiosa rasta fu diffuso sull'isola dalla figura mitica di George Liele (noto anche come George Sharp, dal cognome del suo padrone\datore di lavoro in 1 da GIDDENS A., Capitalismo e Teoria Sociale, Milano, Net, 2002 . 1

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Il tafarismo e la sua integrazione nelle strutture socio – politiche giamaicanedi Alessandro Badella

Origini del tafarismo

Sull'isola di Giamaica circa un decimo della popolazione si professa di culto rasta (ovvero circa

250,000 abitanti) e abbraccia le sue credenze.

E ancora, secondo un recente sondaggio locale, la personalità giamaicana più conosciuta

all'estero è la star reggae Bob Marley, anch'egli rasta e diffusore del messaggio di Jah presso le

platee bianche di mezzo mondo.

Questo breve inciso, ci offre la possibilità di evidenziare la diffusione della cultura rasta verso

un audience non sempre culturalmente in sintonia con quella isolana, ma che ha recepito e

assimilato (seppure in maniera parziale ed approssimativa) l'eco di una cultura lontana.

Tuttavia, il pericolo principale di questo contatto sarebbe quello di stereotipare tutta la dialettica

etico – culturale della Giamaica attorno ad una “sineddoche” pericolosa per la comprensione dei

processi culturali e politici dell'isola.

Ogni forma di religione, di culto o di credenza nasce, secondo l'analisi di Weber1, dalla

necessità di creare il soddisfacimento (anche fittizio) di un bisogno sociale. Non a caso, il

tafarismo nacque negli Anni Trenta del XX secolo attorno alla cintura urbana di Kingston, che

racchiudeva gli slums della capitale, ma soprattutto la popolazione più povera dell'intera isola.

A questo si deve aggiungere che la crown colony britannica aveva reso impossibile alcun tipo di

redistribuzione sociale delle ricchezze che, come spesso accade nei paesi terzomondisti,

venivano accaparrate da poche famiglie, rappresentanti l’oligarchia del paese.

La componente nera della popolazione, ovvero i discendenti degli schiavi africani dovevano

accontentarsi di lavori umili e sottopagati, costituendo il sottoproletariato che si accalcava alle

periferie delle città.

Il primo atomo della cultura religiosa rasta fu diffuso sull'isola dalla figura mitica di George

Liele (noto anche come George Sharp, dal cognome del suo padrone\datore di lavoro in

1 da GIDDENS A., Capitalismo e Teoria Sociale, Milano, Net, 2002 .

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Georgia): egli, a partire dal 1783, lasciò da uomo libero gli Stati Uniti e iniziò la propria

predicazione battista sull'isola giamaicana2.

La predicazione di Liele fu significativa per due principali aspetti: in primo luogo, la concezione

protestante e battista diede la possibilità di un'interpretazione personale delle Scritture senza la

mediazione di una “casta sacerdotale” e clericale. Inoltre, Liele venne considerato come uno dei

padri della dottrina rasta grazie al nome che diede alla comunità da lui a Kingston, ovvero

Ethiopian Baptist Church.

Il riferimento all'Etiopia, e all'Africa più in generale, era dovuta all'interpretazione filologica di

alcuni passaggi biblici, in cui la parola nubiano o cuscite (derivante dall'ebraico cush, “dalla

pelle bruciata e nera”) venne riportata in greco con il termine ethiop, che divenne Etiopia. La

Bibbia, in alcuni passaggi, offre diverse ed antitetiche descrizioni dei nubiani: in alcuni punti

sono esaltati per il loro valore di condottieri e combattenti, altrove vengono disprezzati come

esseri reietti (come nel Libro del profeta Isaia). La scelta di Liele era riferita al popolo nero,

ovvero gli schivi africani deportati verso le piantagioni caraibiche, oppressi dai padroni bianchi,

nonché alle crescenti proteste per le disuguaglianze interne fra gli strati più umili della

popolazione ed il padronato schiavista.

Specialmente durante il periodo della Great Revival (1860 – 1920), tuttavia, il tafarismo e altre

forme di religione e di sincretismo ebbero una diffusione massiccia tra la popolazione

suburbana delle baraccopoli di Kingston. Una delle più famose sette dell'epoca fu la Native Baptist Church, fondata attorno al 1791 da Alexander Bedward3.

Essa ebbe il compito di offrire al tafarismo il primo germe di messianismo: Bedward si professò

come “Dio in Terra”, affermando che una visione giovanile gli aveva affidato il compito di

traghettare i “fratelli” verso l'ascensione terrena, in attesa dell'Apocalisse e della costruzione

della Gerusalemme celeste.

La predicazione della Native Baptist Church fu direttamente correlata alla futura diffusione del

tafarismo e alla strutturazione dello stesso. Bedward fu il primo a parlare del ritorno in Africa e

del fine ultimo della redenzione dell'uomo nero attraverso il ritorno alla madrepatria e la

2 WHITE T., 2002 3 Il processo di diffusione del tafarismo è tratto da Wikipedia su http://en.wikipedia.org/wiki/Rastafari.

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costituzione di una società ove egli potesse trionfare sull'uomo bianco, in una forma di razzismo

comprensibilmente “rovesciato”.

Da queste premesse si mosse l'opera di uno dei principali “pilastri” del tafarismo e del

garveysmo, ovvero Marcus Mosiah Garvey. Egli, di chiare origini maroon, fu l'artefice del

completamento della dottrina rasta.

Garvey fu dapprima coinvolto, nel ruolo di attivissimo sindacalista, nelle lotte fra classe

lavoratrice e padronato a Kingston, ma dovette ben presto lasciare l'isola (1910) alla volta del

Costa Rica. L'esperienza di esule, che lo portò “alla deriva” per gran parte dell'America Latina

(Costa Rica, Ecuador, Panama, Honduras, Colombia e Venezuela), fu una specie di rito di

iniziazione, in cui “il profeta” (come viene ancora oggi chiamato Garvey) venne a contatto con

le innumerevoli sofferenze degli strati più umili della popolazione. In particolare, il soggiorno a

Londra (a partire dal 1912) gli offrì concretamente la possibilità di osservare le condizioni di

sfruttamento in cui versavano i migranti delle Indie Occidentali, che si erano diretti in Europa

per sfuggire alle privazioni e all'asservimento coloniale. Fu proprio a Londra che Garvey venne

a contatto con studi filologici e biblici che evidenziavano uno dei primi sintomi della

“controcultura” della black consciousness garveyana.

Animato da queste nuove e rivoluzionarie ideologie di fondo, al suo ritorno in Giamaica (1914),

egli si prodigò per la creazione della Universal Negro Improvement Association and African

Communities League, che in breve tempo divenne estremamente operativa su tutto il territorio

isolano.

Il fine dell'associazione era apparso da subito in maniera molto chiara ed incontrovertibile: il

garveysmo non poteva che essere un movimento di rottura nei confronti inoculazione coloniale

della cultura bianca nei confronti degli africani deportati come schiavi nel corso dei secoli.

Secondo Garvey, la volontà da parte dei neri giamaicani di assomigliare ai bianchi inglesi e di

“prostrarsi” alla Union Jack di Sua Maestà era una patetica forma di social climbing che non

rendeva giusta testimonianza ai trecento anni di sfruttamento coloniale e schiavista4.

Per questo, l'educazione e soprattutto la lotta alla segregazione scolastica divennero il campo di

battaglia dell'organizzazione. Ironicamente, la componente nera della popolazione locale fu

4 La storia della predicazione di Marcus Garvey è tratta dal sito web di Jamaicans.com http://www.jamaicans.com/culture/rasta/MarcusGarveyProhecy.shtml.

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molto più ostile di quella bianca nei confronti delle idee di Garvey: paradossalmente il suo

radicalismo erano assai più apprezzati dai bianchi (come il sindaco ed il vescovo della capitale)

con spiccati intenti filantropici e umanitari.

Nel 1916, l'ufficio generale dell'associazione venne trasferito da Garvey a New York, a causa

delle crescenti resistenze della popolazione. Negli Stati Uniti, dopo il successo registrato nel

“ghetto” nero di Harlem, Garvey decise di proclamare la nascita della Universal Negro

Improvement Association (UNIA), con lo scopo principale di ottenere maggiore rispetto per tutti

i neri del mondo, in qualsiasi settore, sotto qualsiasi forma di oppressione e all'interno di ogni

nazione.

L'UNIA divenne anche il nuovo pulpito da cui Garvey si fece carico di lanciare il progetto di

ricongiungimento dei neri con la loro madrepatria, ovvero l'Africa. L'ultimo tassello del

moderno garveysmo era proprio questo: gli attriti razziali in America, così come all'interno del

Commonweath e il continuo calpestamento dei diritti fondamentali dei neri potevano essere

eliminati solamente se gli africani si fossero ripresi le pianure e le valli che i bianchi avevano

strappato ai loro antenati. Allora, la frase (attribuita non senza polemiche allo stesso Garvey):

“Guardate all'Africa...” sarebbe stata la prova ed il segno del comune destino di tutti i neri

deportati dalla black diaspora lontano dal continente africano.

Dall'affermazione di Garvey, sempre che fosse realmente sua, ne fu tratta un'interpretazione che

vedeva la sua predicazione come un processo di elevazione e salvezza spirituale molto simile a

quelli al centro della tradizione cristiana o ebraica. La repatriation verso la terra di origine, la

Terra dei Padri, la Terra Promessa nel cuore dell'Africa può essere paragonabile al rito di

passaggio della Pasqua. Nella tradizione ebraico – cristiana essa rappresenta appunto il

mutamento di una condizione socio – spirituale: dal Peccato (ovvero schiavitù, asservimento,

lontananza da casa) alla Rivelazione, che appare sotto forma di affrancamento dalla schiavitù e

ritorno alla Terra natia.

Il garveysmo e la sua evoluzione (il tafarismo) compiono una fusione (molto simile a quella

dell'Antico Testamento) tra l'affrancamento spirituale e quello socio – politico.

Il padre fondatore del moderno tafarismo, l'eroe giamaicano Garvey, venne tuttavia

progressivamente allontanato e rifiutato dalle comunità locali e persino dai ceti medi della

piccola borghesia nera. Pertanto, egli si ridusse a predicare la propria “novella” ai diseredati

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delle colline giamaicane: questo infimo scalino nella scala sociale isolana fu però il canale

attraverso cui il garveysmo diede i propri frutti più significativi.

Abbandonata ogni velleità culturale, Garvey aveva ora la necessità di dare una speranza (e un

culto) alle masse di derelitti che vivevano ai margini delle periferie delle città giamaicane e ai

bordi della stessa società5.

I precetti del culto tafaricoIl garveysmo, a partire dagli anni Trenta del Novecento, si trasformò sempre più nella dottrina

del moderno tafarismo, diffondendosi anche in altre parti del mondo.

Il momento della mutazione fu proprio il 1930, anno in cui in Etiopia venne incoronato Hailé

Selassié: per i seguaci di Garvey, ai quali egli aveva detto “Guardate all'Africa, per

l'incoronazione di un re nero; sarà Lui il Redentore”, il sovrano etiope era l'Eletto della profezia.

Non a caso Hailé Selassié significava “Potere della Santa Trinità”.

Nonostante non ci fossero prove dell'affermazione “africanista” di Garvey e nonostante egli

(insieme all'UNIA) continuasse a prendere le distanze dal nuovo culto, il tafarismo aveva

contagiato gran parte della popolazione rurale giamaicana. La reazione di Garvey fu comunque

molto ostile: per prima cosa egli vietò, all'interno dell'UNIA, la proliferazione del culto della

personalità di Hailé Selassié nonché la distribuzione delle relative effigi come simboli di

venerazione.

Nel 1936 la rottura fu totale: l'assegnazione dell'onorificenza cartacea di “uomo dell'anno” (da

parte del Times) al Negus Negast etiope non poté mascherare, agli occhi di Garvey, l'incapacità

di Hailé Selassié in occasione dell'invasione italiana del Corno d'Africa6.

Tuttavia, il garveysmo sarebbe stato messo in minoranza dal nuovo fenomeno sociale del

tafarismo. Il ruolo di Garvey nel campo del miglioramento delle condizioni della popolazione

nera diede comunque frutti eccellenti soprattutto negli Stati Uniti, dove l’UNIA divenne un

punto di riferimento per la lotta alla segregazione razziale.

5 Sul punto, si veda BBC Ondine su http://www.bbc.co.uk/religion/religions/features/marcus_garvey/ , oppure su http://www.bbc.co.uk/religion/religions/features/marcus_garvey/martin.shtml .6 La critica di Garvey all’Imperatore Hailé Selassié è riferita a Jamaicans.com su http://www.jamaicans.com/culture/rasta/MarcusGarveyeditorial.shtml.

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Il moderno tafarismo non può che affondare le proprie radici all'interno della Chiesa Ortodossa

Etiope, che, secondo la tradizione, fu una delle prime chiese cristiane facente capo alla sede di

Alessandria d'Egitto.

Come già detto, la “profezia” di Garvey viene considerata come il fondamento e l'inizio di un

movimento religioso nuovo: il richiamo all'incoronazione del Redentore fu seguito di lì a poco

dalla sfarzosa cerimonia di insediamento del monarca etiope che prese il nome di Hailé Selassié.

A partire dal 1935, il tafarismo si diffuse compiutamente in Giamaica, al seguito della

predicazione di uno dei padri militanti del movimento, ovvero Leonard P. Howell: egli iniziò la

predicazione del culto tafarico in tutta l'isola.

L'Imperatore, secondo i suoi seguaci, avrebbe in più occasioni manifestato la propria natura

divina nel corso del suo regno terreno. Il giorno dell'incoronazione fu, ad esempio, proclamato

“King of Kings, Lords of Lords, Elect of God, Conquering Lion of the Tribe of Judah”,

abbandonando il nome principesco di Ras Tafari, per assumere quello imperiale che significava

“Potere della Trinità”. Insomma, Hailé Selassié non poteva non essere visto come il nuovo

Cristo in Terra, l'incarnazione del Dio dei cristiani e degli ebrei.

A questo credenze occorre aggiungere che Hailé Selassié, in quanto imperatore etiopico, era il

discendente della biblica Regina di Saba e del Re Salomone (dalla cui unione nacque Menelik I,

primo re d'Etiopia): in conclusione, Selassié era imparentato con la dinastia di Gesù Cristo e,

quindi, aveva sangue divino.

A queste credenze si devono aggiungere tutti gli avvenimenti storici, registrati ed annotati dai

biografi di palazzo e dai maestri rasta giamaicani, secondo i quali Hailé Selassié compì veri e

propri miracoli che venivano accolti come prova e la testimonianza vivente della natura umana e

divina di Sua Maestà.

Proprio per questo la figura centrale del sincretismo tafariano è proprio quella di H.I.M. (His

Imperial Majesty) come seconda reincarnazione (dopo quella di Cristo) del Dio di Abramo e

degli ebrei, Jah (abbreviazione di Jahvé, ovvero il Dio dell'Antico Testamento).

Partendo da una similitudine abbastanza concreta fra le credenze e i testi sacri del tafarismo e

quelli cristiani ortodossi etiopici, la principale differenza fra questo sincretismo e le religioni

storiche (come cristianesimo ed ebraismo) sta nella totale assenza di una casta sacerdotale

deputata all'interpretazione delle scritture. Anche l'assenza di luoghi di culto veri e propri è una

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delle caratteristiche peculiari del tafarismo: solitamente gli adepti (o la comunità) si incontrano

una volta alla settimana in abitazioni private o in luoghi segreti per discutere delle questioni

proposte dalla comunità7.

Tra i simboli ricorrenti delle comunità rasta ve ne sono alcuni piuttosto significativi: il vessillo

che campeggia ad ogni incontro delle comunità è la bandiera nazionale etiope dell'Impero di

Hailé Selassié, con i colori verde, giallo (oro) e rosso disposti in sequenza all'interno di tre fasce

verticali. Al centro della stessa campeggia il Leone di Giuda (simbolo del principe Tafari)

recante la croce della Chiesa Ortodossa Etiope.

I tre colori del vessillo sono anche considerati come i colori sacri della divinità, poiché essi

rappresentano alcune condizioni sacre e fondamentali per ogni adepto: il verde rappresenta la

vegetazione il colore predominate della Giamaica (l' ”esilio” del rasta), il giallo – oro è il

simbolo della provenienza degli antenati, ovvero l'Africa, la Coast of Gold, dove i negrieri

prelevavano gli schiavi. Infine il rosso è il simbolo del sangue versato durante la schiavitù e

quindi rappresenta l'oppressione dell'uomo bianco.

Un altro colore considerato sacro è quello della pelle degli africani, ovvero il nero, poiché

rappresenta la superiorità dei neri nei confronti degli schiavisti bianchi e testimonia la profezia

della Redenzione.

Altri simboli rituali sono le acconciature dreadlocks, che richiamano la criniera del Leone di

Giuda, ma soprattutto sono un precetto derivabile dal Levitico (21,5): “Non procureranno

calvizie alle loro teste, né accorceranno le proprie barbe, né taglieranno mai la propria carne”;

pertanto era interdetta loro la possibilità di tagliare barba e capelli8.

Inoltre, tutti i cibi non considerati ital (“pulito”, “naturale”) devono essere evitati: l'alcool (sotto

ogni forma), la carne (specialmente se suina), il consumo del tabacco, i molluschi, i pesci privi

di squame, le lumache o altri animali che si cibassero di carogne sono severamente proibiti dalle

Scritture (Levitico 22,4 – 9)9.

Il tafarismo ha introdotto nel proprio culto l'utilizzo della ganja (la marijuana) come strumento

di contatto tra l'uomo e Jah e come forma di distacco spirituale al fine della meditazione.

7 Sul punto consultare BBC ondine su http://www.bbc.co.uk/religion/religions/rastafari/customs/ .8 WITHE T., 2002 9 idem

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Secondo alcuni studiosi, l'uso della marijuana come sostanza di alterazione della coscienza fu

dapprima introdotta tra i garveyti come forma di “sfida” e di protesta nei confronti della autorità

governative giamaicane, che non si curavano poi troppo delle issues sociali poste in essere dagli

starti inferiori della popolazione.

Partendo da questo presupposto di psichedelismo ante litteram, la ganja divenne simbolo della

saggezza e dell'elevazione spirituale e venne legata ad innumerevoli passi biblici: “L'erba cresce

per i giumenti ed i foraggi al servizio dell'uomo” (Salmi 104,14), “...ti nutrirai dell'erba dei

campi” (Genesi 3,18), “Meglio un piatto d'erba condito dall'amore che un bue grasso con

contorno di odio” (Proverbi 15,17).

La politica del tafarismoPer quanto riguarda l'apporto politico – sociale del tafarismo, indipendentemente dalle distanze

prese dallo stesso Hailé Selassié (durante il viaggio sull'isola nel 1966 e, in seguito, durante

un'intervista per un'agenzia radiofonica canadese), le congregazioni rasta si moltiplicarono

specialmente all'interno della working class isolana10.

Tuttavia, il movimento del tafarismo rimase, per fattori che ora analizzeremo, estraneo (anche se

non ininfluente) alla possibilità di costituire un movimento di rivendicazione politico – sociale

autonomo e concretamente operante.

Alcune limitazioni derivarono proprio dalle credenze e dal culto tafarico stesso. Il rasta

perseguiva il sogno della Redenzione attraverso il ritorno in Africa: la Giamaica era unicamente

la prigione in cui lo spirito dell'uomo viveva la sua esistenza terrena.

I rasta usavano il termine Babylon (Babilonia, la terra della schiavitù e della deportazione

israelita) per designare l'isola e tutte le sue strutture politiche, che erano viste come una

limitazione alla libertà di diffusione del culto di Jah e come simbolo della decadenza morale dei

neri deportati nei Caraibi11.

Il tafarismo predicava dunque la proibizione più assoluta riguardo all'integrazione all'interno

delle strutture politico – sociali di Babilonia: il Re d'Inghilterra non poteva essere il sovrano del

10 L’approccio dello stesso Hailé Selassié al tafarismo può essere documentato da http://en.wikipedia.org/wiki/Haile_Selassie#Haile_Selassie_I.27s_attitude_to_the_Rastafarians .11 Le credenze tafariche associate all’approccio socio – politico possono essere rintracciate su http://www.bbc.co.uk/religion/religions/rastafari/beliefs/.

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rasta, né il governo giamaicano rappresentava la guida politica del popolo di Jah, poiché il suo

Re dei Re era unicamente Hailé Selassié.

A questo si deve aggiungere che alcune pratiche del tafarismo erano severamente invise agli

esecutivi locali ed alla classe medio – borghese. Ad esempio, il mancato controllo delle nascite

(il rasta ha l'obbligo di difendere la procreazione della vita e la perpetuazione della specie) e il

rifiuto di ogni forma di contraccezione proposta dal governo erano una delle maggiori cause di

astio delle autorità per la comunità rasta; a questo si deve aggiungere che il consumo della

ganja era severamente punito dalle forze di polizia, anche al di là dei limiti consentiti.

Tuttavia, un punto di connessione importante era il legame che andava nascendo fra le comunità

rasta e la sfera economicamente svantaggiata della popolazione rurale e suburbana.

Nonostante la possibilità di sfruttare questa carta vincente, il tafarismo perse l'occasione a cause

dall'elevato frazionamento interno: a partire dai primi anni di vita, il movimento politico –

sociale (come, per altro, la sezione religiosa) si disgregarono in una serie di sette e sottosette che

minarono dall'interno le possibilità del gruppo.

Inoltre, le richieste dei rasta, almeno durante il primo ventennio di attività, si concretizzarono

unicamente in un rifiuto delle istituzioni e dell'ordine costituito sull'isola caraibica. Le azioni

dimostrative dei rasta erano comunque affette, come per i garveyti, dal carisma dominante dei

propri leaders. Se personalità come Garvey, Howell o Claudius Henry erano stati gli artefici e i

fondatori del movimento (senza i quali esso avrebbe avuto vita breve), il loro carisma e la loro

personalità avevano anche influenzato la decision making del gruppo.

Almeno sino ai primi Anni Sessanta, il culto tafarico si guadagnò le antipatie e gli insulti della

classe dirigente giamaicana anche a causa di iniziative anacronistiche, eccentriche e

decisamente chimeriche. Lo stesso Garvey, dopo la Prima Guerra Mondiale, inviò alcuni

rappresentanti dell'UNIA alla Lega delle Nazioni affinché essa prendesse in considerazione la

possibilità di destinare i territori coloniali sottratti ai tedeschi ai neri caraibici per realizzare il

loro sogno di rimpatrio; ed ancora, il 5 ottobre 1959, il Reverendo Henry, predicatore di

Kingston, proclamò il “Giorno dell'Emancipazione”, radunando una folla immensa sulla pista

dell'aeroporto della capitale in attesa di un aereo per l'Africa (il cui biglietto costava uno

scellino!) che non sarebbe mai arrivato12.

12 WHITE T., 2002 .

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A partire dagli Anni Sessanta, però, alcuni segnali di mutamento delle condizioni culturali e

sociali diedero un nuovo impulso alle domande politiche del movimento rasta. In contrasto con

la proibizione religiosa del voto, nel corso degli Anni Sessanta, il rasta Ras Sam Brown si

candidò ad una tornata elettorale locale, ottenendo però solamente un centinaio di voti13.

Da questo si può dedurre come la componente rasta dell'isola fosse nettamente estranea alla

partecipazione politica: di per sé, la candidatura di Brown non ebbe la presa sufficiente per uno

stimolo concreto della partecipazione politica.

Tuttavia, il Suffering People's Party, la formazione rappresentata da Brown, era l'incipit di una

maggiore visibilità per gli adepti del tafarismo: proprio questo tentativo poteva assumere

all'epoca una duplice connotazione. Da un lato, i primi Anni Sessanta erano stati scossi da una

maggiore insofferenza dei rasta nei confronti della pressione politica e poliziesca (e viceversa):

la polizia era sempre più spesso utilizzata dal governo per sedare le proteste e le rivolte nei

ghetti suburbani della capitale. L'episodio più grave fu lo scontro a fuoco, avvenuto nel 1960 nel

quartiere di Red Hill, fra la polizia ed un gruppo di ferocissimi rivoltosi rasta, il Niyabingi

Order. All'interno di questi fenomeni di crescente intolleranza e di “separatismo” della

componente rasta dal resto della società giamaicana, la prima avrebbe certamente pagato il

prezzo più alto: il tafarismo avrebbe attirato su di sé tutte le frustrazioni della politica e

dell'economia di un paese del Terzo Mondo, diventando così il capro espiatorio del governo.

Questa previsione si avverò solamente in parte, soprattutto grazie all'intelligenza strategica e

politica di Brown: egli cercò (anche se l'esperimento non ebbe risultati eclatanti) di raggiungere

una reinterpretazione più tollerante del “razzismo nero” di Garvey.

La partecipazione politica del tafarismo era giustificato dal cosiddetto “21 – point plan”, scritto

da Brown in vista della fatica elettorale. Innanzi tutto, egli sottolineava con forza come il

tafarismo dovesse essere considerato un elemento presente e sviluppato all'interno della società

isolana e, pertanto, anche gli aderenti al tafarismo avrebbero dovuto poter organizzarsi in

apposite strutture politiche al fine di perseguire la tutela dei diritti fondamentali della persona

umana e dei neri, in particolare. La tutela di questi diritti e il raggiungimento della libertà

all'interno dello stato giamaicano doveva avvenire solamente attraverso la costituzione di un 13 Le testimonianze della candidatura di Sam Brown e della partecipazione politica del movimento sono tratte da Jamaica Observer Oline, 21 Agosto, 2001 su http://www.jamaicaobserver.com/columns/html/20010820t210000-0500_12939_obs_rastafari_and_politics.asp

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partito rasta, dal momento che i due principali partiti isolani non sembravano disposti ad

accogliere le loro issues.

Oltre all'insuccesso elettorale, nel 1966, i seguaci e gli elettori di Brown videro la sede del

partito (costruito all'interno della baraccopoli di uno dei ghetti di Kingston) rasa al suolo e data

alle fiamme dagli emissari del governo.

Al mondo occidentale, la comunità rasta si manifestò in maniera più consistente a partire dalla

visita dell'Imperatore Hailé Selassié sull'isola. Egli fece tappa in Giamaica il giorno giovedì 21

Aprile 1966: per il tafarismo era l'occasione di manifestare le proprie richieste al proprio Dio in

Terra e per innaffiare le profezie messianiche con una buona dose di millenarismo. Insomma, la

visita dell'Imperatore si annunciava come una specie di “Discorso della Montagna” di Cristo ai

propri seguaci.

In effetti, per le comunità tafariche dell'isola, quello sarebbe stato il giorno del “Groundation

Day” (il giorno della Liberazione): all'aeroporto della capitale, il dignitario etiope fu salutato da

una folla di circa centomila persone, molte delle quali membri delle congregazioni rasta o di

associazioni afro – giamaicane.

La visita di tre giorni sul suolo isolano fu un'abile mossa architettata dal governo per ottenere

almeno alcune importanti vittorie nei confronti dei membri del tafarismo. In primo luogo, il

governo utilizzò gli strumenti (già ben noti) della propaganda populista: la visita diplomatica era

l'occasione per raffreddare la tensione politico – sociale e distogliere l'attenzione delle ali ostili e

rivoltose del tafarismo dagli insoluti problemi economici e redistributivi. Inoltre, le elezioni

erano alle porte e sarebbe stato un colpo da maestro per il JLP ricorrere ad un eventuale

possibilità di attirare i voti e le simpatie di una parte della popolazione rasta.

Tuttavia, ciò che apparve evidente, da questo momento in poi, fu la necessità da parte di

entrambi i partiti, di prendere in considerazione le issue della componente rasta dell'elettorato

che, anche se non molto attiva, stava subendo un consistente incremento.

A partire dalla metà degli Anni Sessanta, il tafarismo si diffuse molto di più nelle veci di

protesta sociale che nella forma di una vera e propria pratica religiosa. In effetti, i ritmi isolani

della musica ska, rocksteady e reggae, che si manifestarono presto al mondo occidentale,

divennero i canali principali della protesta, non soltanto delle comunità rasta, ma anche della

popolazione povera e reietta delle zone economicamente svantaggiate.

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La cultura rasta divenne allora il motore trainante dell'arte, della poesia (grazie a scrittori come

Linton Kwesi Johnson) e della musica. Questa pubblicità, ambiguamente sia positiva che

negativa (la cultura rasta non faceva mai a meno di sottolineare le rudi violenze del governo e le

angherie perpetrate dalla polizia) provocò una reazione durissima: l'establishment isolano fu

concorde nel ritenere questa avanzata del tafarismo come una sorta di scontro di civiltà. La

classe dirigente, che da sempre era impegnata a limitare il sovrapopolamento dell'isola

(attraverso politiche di controllo delle nascite), ad incentivare il rilancio economico e

l'alfabetizzazione della popolazione, percepiva allora una crescente frustrazione nei confronti di

una parte della società che stava diventando una sorta di “ambasciatrice” della Giamaica nel

mondo. Il cruccio della media borghesia era proprio questo: come era possibile che la parte della

società che non si curava del controllo della fertilità, che consuma sostanze stupefacenti, che

sostituisce il vessillo con la Croce di S. Andrea con i colori verde – oro – rosso etiopici, che si

distaccava da qualsiasi contatto politico e sociale con lo stato e con le istituzioni locali, fosse

effettivamente oggetto di una incredibile visibilità? Comprensibilmente, le reazioni

dell'opinione pubblica borghese (rappresentata dalla testata del Jamaica Gleaners) furono assai

dure e repressive. In particolare, oltre alla predicazione della povertà e della “nullafacenza”

come stile di vita, il tafarismo era divenuto mal tollerato dalle autorità locali a causa della

mancanza di un colore politico che li potesse contraddistinguere (e proteggere)14.

Il socialismo di Manley, che iniziò la campagna elettorale per la tornata del 1972 con slogan del

tipo “Power to the People” o “Ahead Together”, cercò una certa forma di dialogo durante la

suddetta campagna. In linea di principio, il socialismo di Manley avrebbe appunto dovuto

guardare alle masse di diseredati (che in un certo senso erano in larga misura composte da rasta)

per attecchire fra la popolazione e per diffondere i propri frutti migliori: Manley vedeva nel

socialismo una forma di redenzioni sociale praticabile da parte delle classi meno agiate della

società.

Il leader del PNP si era fatto invitare in Etiopia da Hailé Selassié in persona ed era tornato con

un sofisticato bastone da passeggio (regalo di Sua Maestà): questo oggetto sarebbe stato,

almeno per la gente dei ghetti della capitale, l'arma vincente per il programma politico di

Manley nei confronti del tafarismo. Il bastone, soprannominato “Rod of Correction”, in una

14 WHITE T., 2002 .

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sorta di fusione mediatica fra Cristo e Lenin, accompagnò la “predicazione elettorale” di

Manley per tutta la Giamaica, dalle bidonville di Kingston alle regioni più impervie delle Blue

Mountains.

Per compiere un riavvicinamento totale fra la popolazione rasta e la campagna politica del

futuro governo, Manley, seguendo l'esempio del rampante Seaga (produttore discografico

prestato alla politica), decise anche di scegliere una canzone reggae come personale colonna

sonora.

Tuttavia, la logica populistica non permise, né a Manley né a Seaga, una totale pacificazione fra

la minoranza rasta e la politica del governo e dell'opposizione. Anzi, il tafarismo divenne il

principale bersaglio della guerra senza quartiere scatenata da JLP e PNP per il controllo politico

dei quartieri della capitale. Il controllo politico dei quartieri significava l'inquadramento della

popolazione all'interno di uno dei due schieramenti: essa veniva difesa dal partito di competenza

e attaccata da quello avversario. In questa logica, i rasta, notoriamente distaccati dalle vicende

politiche dell’isola, erano presi trai i due fuochi della propaganda delle armi. Durante la

campagna elettorale per le elezioni del 1976, le angherie nei confronti degli adepti al tafarismo

vennero perpetrate con estrema violenza soprattutto ad opera delle forze di polizia e dell'esercito

incaricate di mantenere la sicurezza.

Il JLP forzò la mano dopo l'uscita dell'lp di Bob Marley Natty Dread, in cui era contenuta la

canzone Revolution: essa era un richiamo alla rivoluzione come forma di redenzione sociale per

i sofferenti e per gli afflitti della terra; non a caso si poteva sposare con i sentimenti del

socialismo democratico “alla Manley”.

Infatti, gli anni compresi fra il 1974 ed il 1976 rappresentarono un sodalizio “ideale”, cioè a

livello di intenti e di sfide, fra il socialismo manleyniano e la predicazione del tafarismo,

specialmente quello che faceva capo alle Dodici Tribù d'Israele, rappresentante la parte

istituzionalizzata ed “impegnata” del movimento.

Tuttavia, il sodalizio tra la star internazionale del reggae, recante le richieste dei sufferah, e il

Primo Ministro in carica si deteriorarono nel corso del 1976: mentre Marley subiva un attentato

da parte di alcuni emissari del JLP, il suo quasi omonimo (ma di professione Primo Ministro)

dimostrava di non essere in grado di eliminare la spirale di violenza senza ricorrere agli stessi

metodi di Seaga, ovvero senza sguinzagliare i rudies di fiducia per le strade della capitale.

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Il tentato omicidio nei confronti di Marley ed altri segnali di violenza ed insofferenza del

governo e delle forze di polizia nei confronti dell'area culturale vicina al tafarismo offrirono il

pretesto per seppellire la questione della partecipazione politica della minoranza rasta. Gli Anni

Ottanta furono segnati da una reazione intollerante del governo (anche se con metodi

maggiormente legali): il Primo Ministro Seaga sposò in toto la causa della distruzione delle

piantagioni di canapa indiana presenti sull'isola. Per i rasta fu la prova vivente che il Presidente

degli Stati Uniti, Ronald Wilson Reagan, era l'Anticristo per antonomasia: secondo i maestri

rasta, contando le lettere dei sue due nomi e del suo cognome si sarebbe attenuto 666, ovvero il

numero che nell'Apocalisse di Giovanni designa la venuta della Bestia.

A dir la verità, per tutti gli Anni Ottanta il tafarismo tese l'orecchio al mondo in vista del Segno,

ovvero della conclusione della Profezia (peraltro simile a quella del cristianesimo): il Messia

(Jah) sarebbe ridisceso sulla Terra ed il Giudizio Universale avrebbe fatto giustizia.

Per questo, alcuni aventi significativi provenienti da mezzo mondo furono presi come segno

della venuta di Jah : la morte di Giovanni Paolo I (1978), la collusione della Chiesa all'interno

dei meccanismi massonici della P2, la morte di Marley e il disastro nucleare di Cernobyl furono

considerati come anticipazioni della discesa di Dio nel giorno del Giudizio.

A partire dagli Anni Novanta, la presa e l'interesse politico del tafarismo è lentamente scemato,

complice anche un accorciamento della ragione sociale. La Giamaica, partendo da una

situazione di terzomondismo particolarmente grave, riuscì a migliorare le proprie condizioni

economiche o, se non altro, a non sprofondare in una spirale cronica, come molti paesi africani

nel corso dei primi decenni di indipendenza.

A partire dalla seconda metà degli Anni Ottanta, infatti, il tafarismo e le sue espressioni culturali

furono largamente dominati da una serie di proposte politiche e sociali altamente inconsistenti:

la verve degli Anni Sessanta lasciò il posto ad obiettivi sempre più irrealizzabili ed invisi

all'amministrazione Seaga. La legalizzazione della marijuana, oltre ad essere forse l'unico

obiettivo concreto del tafarismo del periodo, rappresentava in modo parziale le esigenze della

popolazione: la crescita dell'economia ed il miglioramento delle condizioni di vita erano alla

base della perdita della precedente rappresentanza delle esigenze economico – sociali della

popolazione povera e diseredata dell'isola15.

15 Sulle moderne strategie del tafarismo, consultare http://www.bbc.co.uk/religion/religions/rastafari/modern/ .

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Un tentativo di partecipazione politica del tafarismo, che potrebbe essere definita come una

riproposizione dello sforzo di Brown, fu la presentazione nelle liste elettorali per la tornata del

2002 del Imperial Ethiopian World Federation Incorporated People's Party (IEWFIPP), un

partito di chiaro richiamo tafarico. Tuttavia, oltre a non ottenere alcun seggio, concluse la

propria esperienza con solamente lo 0.02% delle preferenze.

In effetti, l'impatto sociale del tafarismo è andato attenuandosi e l'atteggiamento nei confronti

della partecipazione politica ne ha risentito in maniera evidente. La ricodificazione della

dottrina rasta, operata in seconda battuta da Michel N. Jagessar nel 1991, ha taciuto il ruolo

terreno e sociale che aveva assunto il movimento durante i decenni precedenti. Il tafarismo delle

origini (supportato da favorevoli condizioni socio – economiche) si approcciava alla politica con

un desiderio frenato, un “vorrei ma non posso”, che comunque dava luogo a forme di

partecipazione eterodosse ed illegali, ovvero a pressioni di tipo politico nei confronti della

classe dirigente. Al contrario, la moderna dottrina si poggia su un distacco dalle cose terrene,

una sorta di contemptus mundi postmoderna: il tafarismo si struttura maggiormente attorno ad

argomenti dottrinari e teologici, mentre a livello sociale il millenarismo (molto simile all'attesa

marxista della rivoluzione) ha preso il posto di qualsiasi forma di partecipazione politico –

sociale e di contatto tra il movimento e le realtà isolane.

Il tafarismo oggi: sviluppo ed integrazione ?In tempi più recenti, la dottrina rasta ha avuto la possibilità di espandersi anche in altri

continenti, partendo dall’isola giamaicana. Tuttavia, l’originale impatto religioso e sociale,

tipicamente indirizzato alla popolazione nera delle Americhe, ha perso gran parte del proprio

smalto. Oggi, il movimento, pur aprendosi alle sfide della “globalizzazione”, ha assunto

caratteristiche molto più assimilabili ad una corrente di filosofica. Una sorta di buddismo.

Pratiche e riti particolari, come in consumo della marijuana, hanno conquistato le fantasie del

pubblico europeo (e anche di alcune aree del Pacifico) e questa nuova filosofia viene sposata

anche come atto di protesta. Non a caso, il tafarismo ha avuto una sorprendente diffusione

all’interno delle giovani leve russe, cresciute dopo il crollo del regime sovietico16. In altri

16 Da http://en.wikipedia.org/wiki/Rastafari#Rastafari_Today

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contesti (comunque occidentali) il fatto di lasciarsi crescere i dreadlocks e di fumare erba

potrebbe essere considerato come sinonimo della sub-cultura giovanile.

Tuttavia, oggi come oggi, non è possibile tracciare una linea di confine tra culto vero e proprio e

moda. Questo perché il tafarismo ha esportato in altri paesi (e continenti) solamente gli aspetti

più folkloristici del proprio background.

Certamente, esso ha vissuto delle modificazioni interne, dettate anche da cambiamenti sociali.

Per un movimento intrinsecamente connesso alle realtà socio- economiche del luogo di origine

non poteva essere diversamente. Anzitutto, le figure tradizionali del culto sono

progressivamente venute meno (se non altro per ragioni biologiche). Tra la fine del XX e

l’inizio del XXI secolo, i continuatori della predicazione di Garvey sono progressivamente

passati a miglior vita. Charles Edward (1915-1994), influente leader fondatore della

congregazione dei Bobo Shanti, Sam Brown (1925-1998), Vernon Carrington (1936-2005),

storico fondatore della setta Twelve Tribes of Israel, Mortimer Planno (1929-2006), professore

universitario e celeberrimo maestro rasta, sono alcuni esempi delle perdite, in termini di

“capitale umano”, che il tafarismo ha dovuto subire in questi anni17.

Accanto a questa situazione, si è registrato il progressivo sgretolamento delle caste sacerdotali.

Anche se non espressamente previste dal culto tafarico, alcune sette (come i Bobo Shanti o la

Twelve Tribes of Israel) avevano il compito di disciplinare le manifestazioni religiosi, ma anche

di mantenere una certa “ortodossia” di fondo18.

La deriva verso espressioni (peraltro soprattutto artistiche) “dissidenti” interne al tafarismo ha

determinato uno sgretolamento delle basi della stessa dottrina. In primo luogo, la musica del

tafarismo (cioè il reggae) ha perso il proprio appeal di “heart-beat of the people” (definizione

data da Bunny Wailers). Alcuni artisti, come Buju Banton19 e Sizzla, pur continuando a

professarsi rasta, hanno pervertito il messaggio originale. Il one love ha ceduto il posto a

contenuti omofobici e a slogan anti-gay. In effetti, il machismo è sempre stata una caratteristica

degli ambienti del tafarismo, ma mai come oggi l’ambiente musicale del reggae aveva

sperimentato tassi di odio e di violenza così elevati.

17 http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Rastafarians18 http://en.wikipedia.org/wiki/Mansions_of_Rastafari19 http://www.sosjamaica.org/test/default.html

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Inoltre, a mio avviso, le correnti culturali del tafarismo sono ormai svuotate della poetica

dell’ambiente dai cui esse provengono, risolvendosi nella mera proposta della violenza pura e

semplice come manifestazione del “superomismo rasta”.

I temi caratteristici della musica reggae, ovvero l’anti-colonialismo, l’anti-capitalismo, la critica

al sistema politico in essere, la critica del classismo razzista e del razzismo tout court, sono stati

soppiantati dalla metà degli Anni Ottanta. Con la diffusione di nuovi generi, quali il

raggamuffin e la dancehall , contenuti più aggressivi si sono fatti largo: violenza alla “Arancia Meccanica”, sessismo, discriminazioni sessuali e omofobia sono di diffusione piuttosto recente.

La difesa del “carrozzone” dei questi nuovi generi musicali e dei loro fans pretende che le

manifestazioni omofoniche siano espressione diretta del sentimento sociale prevalente in

Giamaica. Purtroppo hanno ragione20.

Sotto alcuni aspetti vi è un rapporto di proporzionalità tra il livello di coesione del movimento e

il riconoscimento politico-sociale. Oggi, a differenza del periodo di massimo splendore (Anni

Sessanta – Settanta), accanto al riconoscimento formale del tafarismo stiamo assistendo alla sua

disgregazione, almeno a livello dottrinale.

Un elemento che ha determinato la formazione di differenti correnti interne è sicuramente la

diffusione anche ad un pubblico culturalmente e geograficamente distante dalla situazione di

partenza. Il tafarismo ha assunto alcune caratteristiche delle religioni universali, come la

possibilità di una massiccia diffusione e l’eliminazione di barriere all’ingresso. Tuttavia, questo

suo spread , non adeguatamente supportato da una ben precisa e definibile casta sacerdotale

(che, come detto, non esiste), ha automaticamente trasformato la religione rastafari in un

qualcosa di molto simile ad una filosofia di vita. Il paragone con il buddismo è piuttosto

calzante. Infatti, il tafarismo è considerato da molti come una sorta di materiale malleabile e

plasmabile a seconda delle esigenze: la sua applicazione europea bianca è sicuramente

differente dalla dottrina originaria giamaicana.

Comunque, la sua rapida diffusione ha permesso una maggiore visibilità e il riconoscimento

progressivo di uno status maggiormente significativo. Nel 1996, le Nazioni Unite hanno

riconosciuto il movimento internazionale tafarico, tramite a concessione del consultative status.

20 Articolo di Internazionale sulla realtà sociale degli omosessuali in Giamaica. http://www.sosjamaica.org/test/new.asp?ID=1737

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Anche nella natia Giamaica, la legge ha gradualmente ridotto ed eliminato le barriere che ne

impedivano il riconoscimento e la libera professione. Recentemente, le corti giamaicane hanno

liberalizzato il culto rastafari “nei limiti consentiti dalla legge”. Questo è un chiaro riferimento

all’uso e al consumo rituale della marijuana, che rimane illegale anche sull’isola. Nel febbraio

2003, la Corte Costituzionale giamaicana ha anche sentenziato la legittimità della professione di

fede tafarico, riconoscendo tale culto come una vera e propria religione. Pertanto, da allora, i

rasta hanno la possibilità di organizzare pubblici incontri, di manifestare e di costruire propri

edifici di culto.

Dall’inizio del nuovo secolo, anche il governo del PNP (sotto la presidenza Patterson) ha

manifestato una inusuale apertura verso il problema. Il Public Defender Howard Hamilton è

stato in prima linea per le difesa e la promozione dei diritti della minoranza rasta.

Il progressivo inserimento dei rasta all’interno delle strutture giamaicane (e non) può essere

ricondotto alla progressivo re-inserimento di accoliti all’interno di strutture religiose

maggiormente tradizionali e più accettate. Molti rasta stanno progressivamente confluendo

all’interno della Chiesa protestante tradizionale, viste comunque le affinità dottrinali.

Un altro motivo di riflusso verso culti “canoni” è la storica separazione tra le tre grandi sette

rasta (Twelve Tribes, Bobo Shanti e Order Niyabinghi) e la Chiesa Ortodossa Etiope. Questa

attecchì in Giamaica dopo la visita di Hailé Selassié (1966); fu proprio l’imperatore etiope a

voler reintegrare i rasta all’interno della chiesa copta etiope. Tuttavia, mentre alcuni rasta

mantennero un atteggiamento di distacco verso un culto “istituzionalizzato”, molti altri furono

accorpati alla Chiesa Etiope. Ancora oggi, le dispute (non solo teologiche) tra le due fazioni

permangono e la Chiesa Ortodossa Copta sta progressivamente raccogliendo un numero sempre

crescente di rasta.

L’assimilazione della componente tafarica all’interno della società giamaicana è fortemente

influenzata dalla progressiva irrealizzabilità dei principi fondanti della dottrina. La presa di

coscienza dell’inattuabilità della repatriation garveyana ha lentamente mitigato il carattere

violento e radicale delle istanze del movimento.

Anche a livello politico, alcuni segnali di fermento politico hanno preceduto la formazione della

IEWFIPP (2002), segno di un’apertura del mondo rasta alla dialettica istituzionale e, perché no,

alla partecipazione elettorale.

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Se questi segnali avranno un seguito, sicuramente il trend assimilazionista del tafarismo

potrebbe continuare su questa strada.

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