Taccuino di viaggio alfariano

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Care tutte e cari tutti, sono passate più di tre settimane dal mio rientro da Quito e non ho ancora trovato il tempo per mettere mano al materiale che ho portato qui. Proverò comunque a fare una 'sintesi' di questo viaggio davvero interessante. La mia permanenza è stata piuttosto breve (una decina di giorni) gioco-forza non ho avuto la possibilità di vivere questo paese come avrei voluto, come mi sarebbe piaciuto. Inoltre tutto è ruotato intorno all'evento di riferimento: Il Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti - 2013. La partenza è stata piuttosto 'rocambolesca' per poter arrivare a Roma e salire sull'aereo in tempo; devo ringraziare il supporto logistico di Paolo e (a sua insaputa che era in Venezuela...) di Geraldina! La prima sorpresa l'ho avuta proprio sul volo Roma/Madrid, dove il mio vicino di posto era un atleta venezuelano di triathlon, riconoscibilissimo dalla classica giacchetta venezuelana con il tricolore stellata, quindi nonostante i numerosissimi problemi tecnici e ritardi annessi il viaggio verso Madrid è passato amenamente a chiacchierare con Jesús, costretto dalle isole canarie a passare per Roma e poi a Madrid per tornare in Venezuela... non si trovano proprio posti sugli aerei per Caracas! Lo sport venezuelano evidentemente sta conoscendo nuova linfa a livello internazionale nelle discipline più svariate, conferma la chiacchiera con l'atleta caraqueño con il quale condivo almeno tre ore e mezzo di viaggio e spostamenti annessi. Ritardi su ritardi nelle coincidenze dei voli mi danno l'opportunità di conoscere diversi migranti ecuadoriani di ritorno in Patria, giovani raccoglitori di frutta nelle campagne della Francia e badanti di anziani abbandonati a Milano, una simpatica donna, una elegante cinquantenne che parla un ottimo italiano, bloccata in aeroporto per oltre dodici ore a Madrid, ben cosciente dei suoi diritti, richiede con veemenza alla compagnia il pernottamento in albergo: «Ne ho dovuto pulire di culi alle vecchie milanesi per guadagnarmi da vivere!», risponde piccata a qualcuno che pare averla apostrofato: «Signora! Se si vende un po' dell'oro che ha addosso vede che l'albergo riesce anche a pagarselo». Tutto sommato mi sento a casa. L'emigrazione ecuadoriana, nonostante si tratti di una popolazione numericamente limitata, quasi 15 milioni e mezzo, è notevole soprattutto in nord Italia, in Liguria e Lombardia - il primo nato in Lombardia nel 2014 è Gabriel, figlio di una coppia ecuadoriana - oltre che nel Lazio. Un'emigrazione popolare, salariati, gente semplice e genuina, un punto di forza, in questo senso, rispetto a quella venezuelana che si caratterizza per lo più di emigrazione di ritorno di italiani con passaporto venezuelano, italo-venezuelani, lavoratori autonomi, piccola borghesia, classe media, emigranti poveri prima arricchitisi e poi magari caduti in disgrazia negli anni 80/90 con l'avanzare della crisi, nella maggioranza dei casi questa emigrazione esprime un odio viscerale e spesso del tutto irrazionale nei confronti della Rivoluzione Bolivariana, persino quando quest'ultima ha consentito loro di rimpinguare i portafogli. In Venezuela li chiamano 'escualidos', a Napoli forse suonerebbe come 'pezzenti sagliuti'. L'Ecuador ha la fortuna di non contarne, proporzionalmente, così tanti come il Venezuela, cosa che aiuta di certo la Rivoluzione Ciudadana. All'arrivo a Quito mi sorprende, oltre al banner ufficiale di benvenuto del XVIII FMGS "I popoli del mondo contro l'imperialismo e per la pace", un simpatico comitato di accoglienza con tanto di cori e cartelli rossi che inneggiano al "sueño ecuatoriano", Martina, Davíd, Chiara, compas della Red de Amigos de la Revolución Ciudadana, mi sono venuti a prendere all'aeroporto. Sono commosso. Anche loro hanno dovuto aspettare diverse ore per i ritardi. 1

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RARC al Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti dic 2013

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Care tutte e cari tutti,

sono passate più di tre settimane dal mio rientro da Quito e non ho ancora trovato il tempo per mettere mano al materiale che ho portato qui. Proverò comunque a fare una 'sintesi' di questo viaggio davvero interessante.

La mia permanenza è stata piuttosto breve (una decina di giorni) gioco-forza non ho avuto la possibilità di vivere questo paese come avrei voluto, come mi sarebbe piaciuto. Inoltre tutto è ruotato intorno all'evento di riferimento: Il Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti - 2013.

La partenza è stata piuttosto 'rocambolesca' per poter arrivare a Roma e salire sull'aereo in tempo; devo ringraziare il supporto logistico di Paolo e (a sua insaputa che era in Venezuela...) di Geraldina!

La prima sorpresa l'ho avuta proprio sul volo Roma/Madrid, dove il mio vicino di posto era un atleta venezuelano di triathlon, riconoscibilissimo dalla classica giacchetta venezuelana con il tricolore stellata, quindi nonostante i numerosissimi problemi tecnici e ritardi annessi il viaggio verso Madrid è passato amenamente a chiacchierare con Jesús, costretto dalle isole canarie a passare per Roma e poi a Madrid per tornare in Venezuela... non si trovano proprio posti sugli aerei per Caracas! Lo sport venezuelano evidentemente sta conoscendo nuova linfa a livello internazionale nelle discipline più svariate, conferma la chiacchiera con l'atleta caraqueño con il quale condivo almeno tre ore e mezzo di viaggio e spostamenti annessi.

Ritardi su ritardi nelle coincidenze dei voli mi danno l'opportunità di conoscere diversi migranti ecuadoriani di ritorno in Patria, giovani raccoglitori di frutta nelle campagne della Francia e badanti di anziani abbandonati a Milano, una simpatica donna, una elegante cinquantenne che parla un ottimo italiano, bloccata in aeroporto per oltre dodici ore a Madrid, ben cosciente dei suoi diritti, richiede con veemenza alla compagnia il pernottamento in albergo: «Ne ho dovuto pulire di culi alle vecchie milanesi per guadagnarmi da vivere!», risponde piccata a qualcuno che pare averla apostrofato: «Signora! Se si vende un po' dell'oro che ha addosso vede che l'albergo riesce anche a pagarselo». Tutto sommato mi sento a casa.

L'emigrazione ecuadoriana, nonostante si tratti di una popolazione numericamente limitata, quasi 15 milioni e mezzo, è notevole soprattutto in nord Italia, in Liguria e Lombardia - il primo nato in Lombardia nel 2014 è Gabriel, figlio di una coppia ecuadoriana - oltre che nel Lazio. Un'emigrazione popolare, salariati, gente semplice e genuina, un punto di forza, in questo senso, rispetto a quella venezuelana che si caratterizza per lo più di emigrazione di ritorno di italiani con passaporto venezuelano, italo-venezuelani, lavoratori autonomi, piccola borghesia, classe media, emigranti poveri prima arricchitisi e poi magari caduti in disgrazia negli anni 80/90 con l'avanzare della crisi, nella maggioranza dei casi questa emigrazione esprime un odio viscerale e spesso del tutto irrazionale nei confronti della Rivoluzione Bolivariana, persino quando quest'ultima ha consentito loro di rimpinguare i portafogli. In Venezuela li chiamano 'escualidos', a Napoli forse suonerebbe come 'pezzenti sagliuti'. L'Ecuador ha la fortuna di non contarne, proporzionalmente, così tanti come il Venezuela, cosa che aiuta di certo la Rivoluzione Ciudadana.

All'arrivo a Quito mi sorprende, oltre al banner ufficiale di benvenuto del XVIII FMGS "I popoli del mondo contro l'imperialismo e per la pace", un simpatico comitato di accoglienza con tanto di cori e cartelli rossi che inneggiano al "sueño ecuatoriano", Martina, Davíd, Chiara, compas della Red de Amigos de la Revolución Ciudadana, mi sono venuti a prendere all'aeroporto. Sono commosso. Anche loro hanno dovuto aspettare diverse ore per i ritardi.

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Sono ospite i primi giorni a casa di Federica e Katiuska, dinamica e giovane venezuelana che vive e lavora a Quito, con tanto di firma del Comandante tatuata sull'avambraccio. Per la prima volta in vita mia l'idea del tatoo non mi pare così ostica, infondo una firma non sarà poi così dolorosa.

La mattina dopo ci ritroviamo tutti fiondati in una riunione al Ministero degli Esteri con gli amici de la RARC (Red de Amigos della Rivoluzione Ciudadana), finalmente conosco personalmente gli altri compagni e le altre compagne del resto del mondo della RARC, ovviamente ci sono gli Ecuatoriani, altri provengono dagli USA, dal Canada, dalla Francia, dal Belgio, dal Costa Rica, dal Perù, dal Messico, dallo Stato Spagnolo (Castigliani, Catalani, Estremeñi...). Diversi di loro hanno partecipato alla terza edizione della Escuela de Verano, Scuola di Formazione Permanente sul Buen Vivir Ecuatoriano ascritto al Ministero delle Relazioni Estere e della Mobilità Umana della Repubblica dell'Ecuador. Ministero per il quale lavora Federica Zaccagnini, romana, che fa gli onori di casa. Come tanti giovani cervelli italiani riesce ad essere più apprezzata all'estero che in Patria. Inizia salutando tutti e scusandosi per i molteplici inconvenienti che ci sono stati negli ultimi tempi e nell'organizzazione degli eventi. Le macchine organizzative sono complesse, e come spesso accade la mano destra non sa quello che sta facendo la sinistra. Continuo a sentirmi a casa. Chi vive in un posto per lungo tempo si da anche conto delle difficoltà quotidiane, delle contraddizioni e dei problemi, spesso fisiologici, come mi confermerà il nostro Davide Matrone che insegna italiano a Quito presso la Dante Alighieri, osservando che la spinta alla partecipazione politica della Rivoluzione Ciudadana è sì molto forte "dall'alto" ma non la riscontra altrettanto "dal basso".

Siamo in Ecuador in occasione del Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, siamo qui con la Rete di Reti internazionale che appoggia la Rivoluzione Ciudadana dell'Ecuador nel mondo, uno dei pilastri fondamentali della proposta alterativa dell'ALBA, l'Alleanza Bolivariana dei Popoli della Nostra America, insieme, tra gli altri a Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua. Un processo quello ecuadoriano che sta avendo una eco sempre maggiore nel mondo, soprattutto dopo il caso Assange, e anche in Italia.

A ulteriore conferma di questa mia osservazione, il primo dicembre, quattro giorni prima della mia partenza, lo stesso Beppe Grillo, dal palco di un partecipatissimo, nonostante il freddo pungente, terzo VDay a Genova - città che conta anche con una rappresentanza diplomatica ecuadoriana vista la massiccia presenza di migranti ecuadoriani nel capoluogo ligure - afferma esplicitamente che l'Ecuador del Governo di Rafael Correa, è la dimostrazione che quando c'è la volontà politica, si possono fare scelte, molto felici, rifiutando i diktat neoliberisti e che un’altra integrazione sociale, economica e politica è possibile, come sta accadendo in America latina. Un messaggio senz'altro positivo.

La Revolución Ciudadana, è una rivoluzione giovane, democratica, partecipativa, antimperialista, che rivendica la legittima sovranità nazionale-popolare (per dirla alla Gramsci), la nuova Costituzione è stata approvata nel 2008, nove anni dopo della Bolivariana del Venezuela, ed è ben visibile non solo la vicinanza con il Venezuela ma anche la differenza tra i due processi; gli andini sono molto più pacati, molto meno spettacolari dei Venezuelani, per certi versi, chissà, anche più concreti. Certamente c'è ancora molto da fare e tanto da correggere, come è, del resto, nell'ordine fisiologico delle cose dei recenti processi di transizione.

Non siano all'interno dell'organizzazione del Festival, e non abbiamo molte notizie, ci avverte Federica, avremo un nostro spazio accanto allo stand del Ministero degli Esteri nello spazio principale dove si svolgerà il Festival, che è l'ex Aeroporto di Quito, praticamente all'interno della città, un po' come Capodichino a Napoli, ma questo è stato dismesso ed adesso è un enorme ciclo-parco, El Bicentenario, in ricordo dei 200 anni dell'Indipendenza. Il governo ecuadoriano incentiva infatti l'utilizzo della bicicletta, come sta cominciando a fare anche il Venezuela del resto, mi rendo conto che sui marciapiedi c'è lo spazio condiviso pedoni-ciclisti con la pista ciclabile, anche qui, continuo a sentirmi a casa, anche se a quasi tremila metri di altezza ed ogni tanto debbo ricordarmi di prendere il respiro, eviterò quindi di andare in bicicletta, anche perché, pur non essendoci la

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metro a Quito, è pieno di taxi ed una corsa può costare 70/80 centesimi di euro - corsa minima un dollaro - molto meno di un biglietto di bus a Napoli. I governi liberisti del passato hanno portato la dollarizzazione dell'economia, sostituendo il Sucre, anche se è stato il governo "alfariano" attuale a proporre il Sucre come moneta regionale dei paesi dell'ALBA, per adesso, infatti è la moneta virtuale con la quale i paesi ALBA avviano tra loro i propri scambi economici.

Il XVIII Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, si svolge dal 7 al 13 dicembre 2013. Uno spazio davvero immenso, che si perde letteralmente a vista d'occhio, pieno di luoghi di incontro, ognuno dedicato ai próceres latinoamericani. I cubani hanno organizzato la Casa dell'ALBA con una gigantografia dedicata al "Comandante Eterno" venezuelano. La delegazione cubana probabilmente è la più numerosa - ovviamente dopo gli ecuadoriani che 'giocano in casa' - trecento delegati. Numerosi anche i vicini di casa, i Colombiani, i più chiassosi con i loro tamburi, gli Argentini del Movimento Popolare "Evita".

Inizialmente ci si aspettava un numero di delegazioni maggiore, come nelle ultime due edizioni, in Venezuela nel 2005 e in Sudafrica nel 2009, ma le polemiche sull'organizzazione di quest'ultimo Festival - sulla quantità e modalità di spesa per l'evento africano - pare abbiano indotto il governo ecuadoriano a limitare le voci di spesa, cosa che ha fatto desistere diverse delegazioni dall'intervenire, come, ad esempio quella del Nepal.

In qualsiasi caso l'evento ha contato con oltre diecimila presenze da circa 90 paesi del mondo. Anche a voler scambiare quattro chiacchiere con tutti, sarebbe stato difficile già così. La delegazione certamente meglio organizzata era quella della Repubblica Popolare Democratica di Corea, la Corea del Nord, notevoli i musici e cantanti che componevano la delegazione, sicuramente di alto livello tecnico e professionale; sentir cantare, alla perfezione, in coreano "Funiculì Funiculà" è anche divertente. Nella storia del Festival, del resto, l'edizione Coreana del 1989 è stata quella che ha registrato il più alto numero di paesi partecipanti. Personalmente la Corea del Nord mi ha sempre incuriosito tantissimo, in parte perché è sicuramente uno dei paesi meno conosciuti al mondo e di cui, ovviamente, peggio si parla, dall'altro perché, in effetti, è uno dei paesi culturalmente, geograficamente, politicamente e socialmente, più distanti dalla nostra realtà, la qual cosa aiuta ad alimentare la curiosità, oltre le morbosità dei media. Alla luce, poi, del trattamento che proprio in queste ultime ore i media capitalisti stanno riservando alla RPDK, è segno che un giro di vite degli imperialisti si sta dando. Un paese su cui giudizi e pregiudizi si sommano e trasudano dal senso comune, delle masse, tanto in Italia come in America Latina o, a maggior ragione, nei paesi anglosassoni. Ma al di là dei pregiudizi radicati nel senso comune, anche di tanti che si fregiano di essere "di sinistra" o financo "comunisti", resta un paese tutto da scoprire. Quando alcuni di loro si avvicinano allo stand della RARC, noto che hanno tutti nomi simili, Kim Jong Un, Kim Kyong… qualcuno di loro parla un po’ di inglese che faccio difficoltàad intendere, mi stanno invitando al loro evento di presentazione che si terrà nel pomeriggio, Kim Jong guarda il mio accredito che tengo appeso al collo, lo avvicina con la mano al suo sguardo, si gira e dice, con fare familiare, agli coreani, indicando il cartellino: «…ahhh, Sirobrèssìa! Sirobrèssìa!». Resto un po’ interdetto, non so come interpretarlo, immagino sia un loro modo di socializzare.

La delegazione colombiana presenta sul maxischermo il saluto della delegazione delle FARC-EP da La Habana per i dialoghi di pace con il governo. I giovani e gli studenti colombiani sembrano essere molto disciplinati e uniti. Qualcuno si lamenta del fatto che in questo festival c'è meno diversità rispetto alle edizioni precedenti. In effetti la maggioranza delle delegazioni sono espressione di organizzazioni prevalentemente marxiste-leniniste, che non sempre esprimono le tendenze principali nei paesi di riferimento, per la Grecia, per esempio, non c'è Syriza, ma il KKE, ed il materiale che lo stand greco presenta, attacca frontalmente i cugini di Syriza, per l'Italia sono in quattro, c'è la FGCI (Comunisti Italiani) e il FGC (CSP di Rizzo), un rappresentante, un po' avanti con l'età di un piccolo sindacato milanese (SISA) e un fan della Corea del Nord, che interverrà, in

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un itagnolo abbastanza marcato, affermando di augurarsi di andare «a vivere presto in Nord Corea», è Cristan Pivetta della KFA Italia.

Rifondazione è assente, ci sono i JC del PC francese, il PCML della Gran Bretagna...; in sostanza la frammentazione e la divisione europea è rispecchiata dalle rispettive delegazioni. D'altronde la storia della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica ( WFDY ) riflette l'evoluzione degli eventi da lei organizzati. Lo stand del Venezuela è condiviso da PCV e PSUV con tanto di Dj set di hip hop rivoluzionario e batteria al seguito. I nordcoreani vendono pacchetti di sigarette made in RDPK, mi dicono piuttosto leggere, ad un dollaro, i comunisti ucraini qualche bottiglia di vodka, i cubani ballano e i vietnamiti, con i loro vestiti tradizionali sono intenti a farsi fotografare. La delegazione Saharawi del Sahara occidentale, ha trasformato il proprio stand in una specie di tenda berbera dove offrono il the.

Il presidente della WFDY attuale è un cipriota, Dimitris Palmyris, motivo che mi induce a pensare che la visibile assenza della delegazione turca sia forse riconducibile a questo.

La compagna greca responsabile dello stand, parla molte lingue... ma non parla, nemmeno sorride, glaciale, per quanto paradossale possa apparire, risulta più facile, per esempio che i Messicani socializzino con le Nordcoreane, che anche parlano molte lingue - russo, cinese, giapponese, arabo... - ma nessuno di queste lingue aiuta nella comunicazione.

L'atto di apertura del Festival è la marcia a cui danno vita tutte le delegazioni partecipanti, la marcia si snoda lungo i viali del Bicentenario, che altro non sono che le piste di decollo, di atterraggio e le corsie d'ingresso del vecchio aeroporto.

Continuo a sentirmi a casa anche quando, in coda al corteo, la gioventù del PC Ecuatoriano, in pieno corteo inaugurale, si scontra con... il PC Ecuatoriano! Grazie al pronto intervento della polizia a dirimere la controversia e a separare le due parti in conflitto, il corteo continua in quest'ordine: i giovani comunisti ecuatoriani, che danno una bella vista d'occhio, ognuno con la propria bandiera, schierati in fila per sei, dietro la fila della polizia, e più dietro ancora il PCE, in maniera tale che, a chi non sapesse del perché, sembrava stesse sfilando anche la delegazione della polizia... Qui, almeno con questa immagine, smetto di sentirmi a casa. A quanto mi è dato di capire la frattura tra la “J” (Jovenes, termine con cui generalmente, nei paesi di lingua castigliana si intende la Gioventù comunista, in Argentina invece è conosciuta come “La Fede”, abbreviazione di Federazione Comunista) ed il partito “adulto” si è consumata con l’espulsione di Diego Vintimilla Jarrín, che è tra l’altro il più giovane deputato ecuadoriano. Contrariamente a quanto si può erroneamente pensare, in questo caso la “J” appoggia il governo, il PCE no. Per riferirsi al PCE, la gioventù usa il termine di Mencheviques, visto che sono minoranza, quindi, considerando se stessi Bolscevichi. Poco più avanti austriaci e tedeschi con il loro striscione in inglese: «Smash german imperialism!»

Mi chiama all'attenzione un cameraman nordcoreano, che in vista del passaggio della delegazione del suo paese, si avvicina ad un pick-up della polizia chiedendo loro di poter salire con la sua camera a spalla sullo stesso pick-up per poter fare delle riprese da un'angolatura più alta; gli agenti sono irremovibili, fanno "No, no", con il ditino. Io ed il mio vicino, un ciclista cinquantenne, di lì di passaggio, osserviamo la scena, forse pensiamo entrambi di avvicinarci per convincere i renitenti, ma il coreano dopo un po' desiste e si allontana.

La delegazione venezuelana arriverà un paio di giorni dopo, con il ministro Héctor Rodríguez (da non confondere con l'altro Héctor Rodríguez del JPCV, nonché responsabile organizzativo della delegazione venezuelana) dopo un lungo viaggio in bus da Guayalquil, l'inizio dell'evento infatti cominciava in concomitanza con la chiusura della campagna elettorale venezuelana per le municipali. Un periodo comunque importante alla luce del fatto che le forze imperialiste in Venezuela miravano a cercare "il plebiscito" attraverso queste elezioni per tentare di indebolire il governo di Maduro. La batosta per le forze controrivoluzionarie in Venezuela è stata importante,

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non certo perché abbiano perso il loro storico bacino di voti, ma perché sono stati certo visibilmente ridimensionati.

Circa duecento venezuelani arrivano con le loro chaquetas tricolori bolivariane, a mo' di divisa ufficiale che però non sono reperibili allo stand, nonostante ci fosse una grossa richiesta, qualcuno proverà a venderla per settanta dollari, andando un po' troppo in là con lo spirito dell'evento. I cubani intanto hanno presentato il libro "Los cuentos del arañero", frutto di interviste di due giornalisti cubani al Comandante Chávez. Il Festival era difatti dedicato al Comandante e a Nelson Mandela, venuto a mancare mentre eravamo in volo per raggiungere Quito. Una studentessa peruviana interviene durante il dibattito rivolgendosi principalmente alle donne presenti e facendo notare che tutti i próceres latinoamericani ritratti nella Casa dell’ALBA sono tutti uomini e che questa non è certo una casualità; dopo vari interventi, molti peruviani, il giovane cantautore cubano che chiuderà l’incontro con alcune sue canzoni, richiamandosi all’intervento precedente sottolinea che se oggi le donne latinoamericane sono protagoniste dei processi progressisti e rivoluzionari in corso dobbiamo riconoscere che lo si deve anche al contributo di quei próceres.

Al festival ci sono anche gli attivisti del CRC Hugo Chávez. I CRC sono i Comitati di Base della Rivoluzione Ciudadana che ovviamente raccolgono molte forze giovanili.

Nello spazio della Siria ci sono i militanti del PC siriano e del Baath, i giovani indossano i vestiti tipici siriani, offrono biscotti al sesamo e innalzano i quadri di Afez e Bashar Al Assad, girano un video collettivo dove tutti intonano «Allah, Surya, Bashar ou was!», «Allah, Siria, Bashar e basta!», mentre i coreani inneggiano: «Jo song un ha na da!», «La Corea è una!». Il Presidente Bashar indirizza un messaggio ai giovani riuniti al Festival.

Abbiamo la possibilità di connetterci grazie ad un centro internet mobile con una dozzina di computer messi a disposizione in un camion offerto dal ministero della comunicazione ecuadoriano, un'altro punto di connessione è nel "domo", una enorme struttura sferica di plastica alta una trentina di metri tenuta in piedi con l'aria calda di due enormi ventole, qui dentro il ministero della cultura regala libri. Un'addetta mi si avvicina e mi chiede come si chiama «il mio programma televisivo», dice di avermi visto in televisione, le dico che mi sembra piuttosto improbabile essendo la prima volta che sono in Ecuador. Darò una mano al nostro Davide Matrone per realizzare alcune piccole interviste ai partecipanti, ad una studentessa colombiana, un peruviano, un giovane ecuatoriano ed al nostro palestinese Saad Maher.

Dopo qualche giorno mi trasferisco alla "Casa del Popolo" (se volete arrivarci dovete dire al tassista: "tra il Sole e l'Universo", lui capirà) così ribattezzata da Martina - tanti auguri a lei per aver ritrovato in Ecuador, un lavoro che le piace un sacco, ramo turismo, e al contempo per essersi riscritta all'Università in Ecuador, non è mai troppo tardi, dice il Poeta! - forse sarebbe il caso di chiamarla "Casa dei Popoli" visto l'internazionalismo schietto che lì si respira (Ecuatoriani, Italiani, Iberici, Canadesi...). Affianco alla casa c'è un centro polisportivo, dotato di piscine e saune, totalmente gratuito ed accessibile a tutti; era controllato dall'oligarchia delle banche, oggi è ascritto al ministero dello Sport. Approfitto del "cuarto" lasciato libero da Chiara (ancora grazie!) che, intanto, è ripartita in Italia per il periodo delle Feste, subito dopo aver partecipato alla colazione al ministero offerta dal compa Ricardo Patiño, a cui hanno preso parte circa 200 partecipanti al FMJE.

Chiara e l'argentino Emiliano Arena, sono invitati da Patiño a presentare ai convenuti la RARC durante la colazione. Alla destra del ministro degli Esteri, c'è l'immancabile delegazione nordcoreana, subito dopo i vietnamiti, alla sinistra i suoi collaboratori ministeriali. Patiño, sottolinea come prima il ministero degli esteri fosse un luogo elitario dove afro-discendenti ed indigeni erano relegati ai margini o del tutto esclusi, oggi invece sono ambasciatori e funzionari di alto profilo e di grande responsabilità.

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Patiño parla per circa un'ora, davanti ad una platea di tanti delegati dell'Angola, Monzambico, Namibia, Sud Africa, Saharawi; io mi ritrovo tra Portoghesi, Cileni e Tedeschi. Stiamo costruendo il concetto di Cittadinanza Universale che pure è prevista nella Costituzione del Buen Vivir del 2008. Il titolo del XVIII Festival di quest'anno è "Gioventù unita contro l'imperialismo e le trasformazioni sociali!". Lo sviluppo delle relazioni internazionali Sud-Sud, quindi, sono fondamentali in questo quadro. L'evento di apertura del Festival, prevedeva un concerto iniziale con il gruppo spagnolo "Reincidentes", che però non arriverà mai a destinazione, poiché il loro volo faceva scalo negli USA e le autorità locali hanno pensato bene di far sparire (sic!) per tre giorni il lead vocal del gruppo, fermato all'aeroporto, facendo così saltare la data.

All'evento partecipano Gabriela Rivadeneira, giovane Presidenta del Parlamento ecuatoriano (29 anni), che apre il suo discorso lanciando la consigna «Alerta, Alerta que camina la espada de Bolívar por America Latina!», seguita a gran voce dagli oltre diecimila partecipanti, nonostante il tempo minacci il diluvio, che non tarderà, sotto il palco situato nello spazio dello stesso ex-aeroporto. Interverrà poi il sindaco di Quito, ed infine il Presidente Correa, che omaggerà il Comandante Chávez, tenendo il suo discorso sotto una pioggia fortissima (a migliaia ci rifugiamo al riparo dei sotto-passaggi dell'ex-areoporto, non potremo evitare di inzupparci fino ai calzini).

Correa ne avrà per circa venti minuti, ovviamente centrerà il suo discorso sulla campagna contro la mano sucia de Chevron. Inoltre attacca frontalmente quello che difinisce «ultraizquierdismo», accusandolo di finire per essere collusi con l'imperialismo. Una verità storicamente evidente, se di prende in considerazione la parabola del trotkismo, per fare un esempio concreto. I temi di discussione sono caldi, dal fallimento del progetto Yasuni ITT, al conflitto sulla questione del diritto all'aborto, che vede Correa, che si professa cristiano, risolutamente contro. Ogni cosa sotto il cielo ha la sua ora, ripeteva spesso il Comandante Chávez, parafrasando l'Ecclesiaste.

Con Chiara abbiamo l'occasione di parlare con un giovane nativo che lavora al Mercado de la Mariscal, uno dei mercati di artigianato di Quito, studia all'UTPL Universidad Tècnica Particular de Loja, la stessa di Martina, gli chiedo cosa ne pensi del tema dell'aborto e come venga percepito questo tema all'interno delle comunità "indios", ci risponde che lui non è contrario per principio all'aborto, che lì non c'è molta attenzione su questo tema, che non è sviluppato e che è difficile da affrontare per molteplici cause e motivi. Motivi che vanno dall'influenza storica della religione cattolica imposta con la colonizzazione in America latina, al fatto che a differenza dell'odierna Europa, i figli si fanno senza porsi troppi problemi, capisco che, a torto o a ragione che sia, non è considerato ancora un tema prioritario, per le comunità indigene.

Gli andini non alzano mai la voce e sono di solito formalmente gentili e cortesi, qui non è come a Napoli; non andate in giro con banconote superiori ai 20 dollari, perché nessuno mai ve le cambierà.

Non vi stranite se vedete tante auto, spesso nuove, circolare senza targa, pare che sia legale e consentito, per qualche mese.

Non vi stranite nemmeno se salite su un taxi e al suo fianco il tassista sta con la moglie, pare che sia normale anche questo.

Esco dalla "Casa dei popoli" e per non infastidire il tassista decido di cambiare i dieci dollari, con la scusa di comprare un po' di cioccolata, Martina mi dice di non alzare la voce e di salutare, cosa che mi riesce naturale, del resto. Una signora in fila, sulla cinquantina, mi chiede se sono un giornalista, visto il mio chaleco multi-tasche, mi spaccio per comunicatore sociale, o popolare, o qualcosa del genere, e mi risponde che anche lei si occupa di questo. Mi pare di capire che abbia lavorato in passato per il governo, mi chiede del Festival, mi dice che devo assolutamente approfittare della struttura polisportiva lì vicino casa. Mi da il ben venuto nel suo paese e ci salutiamo lì.

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Con Gabriel, David e Martina facciamo un giro in auto verso il centro storico di Quito e Quito sur, la zona più popolare, non vedo ranchitos, come in Venezuela, anche qui l’atmosfera mi sembra più familiare. Alla radio c’è il presidente Correa, che parla con il suo traduttore in Kechwa, uno dei principali idiomi delle popolazioni native. Gabriel Rivadeneira è il fratello di David, un avvocato civilista, mi parla delle sue lacrime quando seppe della morte del Comandante Chávez, le nostre lacrime. Entriamo in un enorme mercato popolare al coperto, un formicaio, sono alla ricerca di vestiti, un’ora lì dentro e mi sento come quando studiavo algebra a scuola, con le bollicine di una bibita gasata in testa. Quito vieja è mi pare che sia ancora più in alto ed è tutta salite e discese, un ottimo allenamento, da gestire con parsimonia in questo scenario colonico sei/settecentesco o su di lì. Nella piazza principale ci sono alcune opere, una statua di Don Varito, un attore comico che trattava temi sociali, ha qualche vaga somiglianza a qualcuno, mi richiama alla mente un po’ Toto. Mangiamo un pollo fritto in una specie di comida rapida latinoamericana, molto buono, ne vale la pena. Passiamo per casa di David e Gabriel, conosco i genitori, il discorso scivola sui conflitti storici tra Ecuador e Perù, l’ultimo negli anni ’90, l’unico vinto, scopro che quasi la metà del territorio ecuadoriano è stato negli anni annesso al Perù, ma adesso le cose stanno cambiando con le logiche di integrazione e cooperazione della Patria Grande.

Accanto al nostro stand c'è quello della campagna contro la Chevron, curato da un'altro compa italiano che vive a Quito, Alessandro Pacini, che collabora con LiberaTV, e da un Palestinese, Saad Maher, anch'egli trapiantato a Quito. Su un lungo telo bianco stanno raccogliendo le impronte della mani invitando tutti a lasciare la propria impronta contro "la mano sporca" della Chevron, i teli verranno poi portati al "Tribunale Antimperialista", che si terrà al Centro delle Esposizioni di Quito, appuntamento fisso del Festival per raccogliere le denuncie contro i crimini dell'imperialismo. Una curiosità, in giro non si vedono bandiere del Regno di Spagna, c'è una certa resistenza ad esporla, è più facile vedere i colori della repubblica del '31, ovviamente. Arriva la Banda Bassotti e tiene una sua prima esibizione verso la conclusione del Tribunale.

Il concerto della Banda Bassotti alla conclusione è un successo, subito dopo gli immancabili coreani, anche se molte delegazioni, come quella cubana, erano già partiti. I Colombiani conoscono bene la BB, li hanno apprezzati soprattutto per la canzone da essi dedicata al Comandate Alfonso Cano, El Cañón de las Hermosas. Le Ecuadoriane e gli Ecuadoriani, invece, per quella dedicata alla Rivoluzione Ciudadana e a "Mashi" Correa, Rumbo al Socialismo XXI.

In conclusione al suo discorso di apertura, Correa, cita Álvaro García Linera, vice presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia, come uno degli intellettuali di riferimento del cd socialismo del XXI secolo, non ha torto. Dimostra di aver compreso in profondità il senso della lezione gramsciana, soprattutto quando si riferisce alla necessità della trasformazione del senso comune e su quanto sia importante, oggi, che i rivoluzionari conseguenti focalizzino questo aspetto. Questa lezione può essere sintetizzata in questo modo: Il senso comune è un’arma in mano ai padroni, se in mano a costoro la si lascia.

Un altro ex-vicepresidente da tenere certamente in conto è lo stesso ecuadoriano Lenín Voltaire Moreno Garcés, qui una interessante intervista a Dossier del giornalista venezuelano Walter Martinez. Un vicepresidente (ex) che pur avendo livelli di accettazione popolare senza pari al mondo (si parla del 98%) non ha avuto problemi a lasciare la poltrona per impegnarsi diversamente. Altro sicuro punto di riferimento dell'intellettualità latinoamericana è senza dubbio Atilio Boron che è stato protagonista di una videoconferenza per il Festival sull'importanza dell'antimperialismo oggi.

Non posso non concludere queste mie riflessioni, senza riferirmi a chi oggi non è più fisicamente tra noi: il Comandante Eterno. Ormai si radica sempre più la comune convinzione che la sua malattia e la sua morte non hanno nulla di ‘spontaneo’, come evidenzia in quest’articolo Eva Golinger.

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Non stiamo vivendo un'epoca di cambiamenti, ma siamo in un vero e proprio cambiamento di Epoca, come dice Rafael Correa.

Credo che la lezione più importante che ci offre questo Continente è l'umiltà, la semplicità e l'umanità che ci trasmette, quella che trasuda dalle parole del Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay, ex guerrigliero, ateo e marxista, in un paese che sta legalizzando la marijuana, l’aborto e i matrimoni omosessuali che dice comunque di ammirare la Chiesa «perché sono latinoamericano, ed abbiamo due cose in comune: la lingua con la quale pensiamo e la storia di questo continente e nonostante il mio paese sia il più laico dell’America latina, io so che nei Caraibi, in Venezuela, in Colombia, la popolazione è molto cattolica e non voglio separarmi dal mio popolo». E, per l'Europa ensimismada non è affatto poco. Un caro saluto a tutte e a tutti,

Ciro

dal 4 al 10.10.2014

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