Tacco & Sperone 7

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Iscritta all’Albo delle Associazioni e delle Federazioni dei Pugliesi nel Mondo della Regione Puglia e all’albo delle Associazioni della Prov. di Milano Sede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: [email protected] - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia” Anno III Num. 7 Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi SPECIALE VII a Edizione

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Tacco&Sperone è un periodico, alla cui realizzazione partecipano amici dell'Associazione Regionale Pugliesi di Milano, del gruppo Facebook “Terre di Puglia” e tutti coloro i quali hanno o mantengono un rapporto di affettività con le terre di Puglia.

Transcript of Tacco & Sperone 7

Iscritta all’Albo delle Associazioni e delle Federazioni dei Pugliesi nel Mondo della Regione Puglia e all’albo delle Associazioni della Prov. di MilanoSede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: [email protected] - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia”

Anno III Num. 7

Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi

SPECIALE VIIa Edizione

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L’ESSERE PUGLIESE: ORGOGLIO CHE VA OLTRE I CONFINI REGIONALI

Carissimi Amici “terun istes de mi”, come dicono a Milano, oggi mi svesto dei pan-ni istituzionali e vesto i panni informali del pugliese di strada (solo apparentemen-te meno impegnativi), per parlare solo di noi, del nostro essere, del nostro orgoglio d’appartenenza. Iniziamo col dire che noi pugliesi siamo cittadini del mondo. Non “apolidi” cioè senza legame con la terra, ma abitanti del globo. Ci sappiamo, infatti, adattare ad ogni situazione, grazie anche e soprattutto ad una versatilità che fa il pari con la nostra operosità. Un’operosità che ha saputo confondersi, prima, e fon-dersi, poi, con quella che contraddistingue il cosiddetto “primato dei polentoni” cioè degli amici “padani”. Al di là della crisi, di Tremonti prima e di Monti poi, non ab-biamo mai perso le nostre grandi passioni: la voglia di vivere, la voglia di esserci e

coinvolgere. In questo si racchiude l’orgoglio pugliese. Un modo di essere cha abbiamo esportato ovunque. Pensate, amici miei, che in ogni angolo del mondo che ho visitato, ho trovato sulla mia strada un “pugliese”. Pensate che, anche con i ragazzi della Scuola che sto ultimando in Kenia, parlo spesso pugliese e (e non è una battuta… o almeno non del tutto…) altrettanto spesso, loro stessi capiscono e rispondono col dialetto di Bisceglie che, ormai, risulta quasi più conosciuto della loro lingua locale. Per dirla in breve, quindi, io amo esportare, ovunque vada, il mio essere figlio del tavoliere, sempre! In tutti i contesti in cui mi sono calato, infatti, da quello professionale, a quello istituzionale, non ho mai perso di vista le mie origini, che mi hanno sempre permesso di affrontare le sfide della vita con un sorriso e una dose infinita di ottimismo. Forse perché, quando chiudo gli occhi per le poche ore di sonno, 3/4 per notte, a causa del mio lavoro, che inizia quando gli altri entrano nel dolce dormire, sento il dolce suono del mare che scalda il mio cuore e mi fa ripensare alle mie origini. Origini, che, insieme all’orgoglio di appartenenza sono gli spunti che, se colti, permettono di trasformare un uomo banale e comune in un uomo che è in grado di avere un ruolo da protagonista nella vita. Non importa dove si opera, e cosa si fa, non importa se il fare si traduce in atti meritevoli o semplicemente corretti, ciò che importa è essere consapevoli che un uomo senza storia e radici non può cogliere il futuro e le sue sfide. Per questo, dico a tutti voi, a tutti noi, di non dimenticare mai da dove veniamo e, con orgoglio, di affermare sempre il proprio essere, le proprie origini. Chi è orgoglioso del proprio essere, delle proprie origini, non teme la vita e, soprat-tutto, la affronta senza mai piangersi addosso. Questo è il sentimento che contraddistingue l’appartenere a qualcosa che si ama, che non si dimentica, e che si vuole sia sempre parte del proprio essere. Questo è essere orgogliosi. Questo per noi è e sarà sempre la Puglia.

Cav. Dino AbbasciàPresidente Associazione Regionale Pugliesi

Armandone, giovane trentaquattrenne tarantino studente di economia e commercio, un po’ fuori corso, un po’ no, riflette tanto su temi di attualità tarantina e non, spesso sfocia nel mondiale, ma comunque senza mai preoccuparsi troppo essendo in ogni caso vicino a mammà con la quale vive quotidianamente, condi-vide riflessioni e proiezioni, e soprattutto, la PASTA AL FORNO past a u furne.

La Striscia di Alessandro Guido

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4 I piaceri della tavola

5 Tacco & Sperone: la sfida ...continua!

17 I Maestri Principe e Palumbo legati da antica amicizia

6 Venite nel Salento...per diventare Santi!

8 I riti pugliesi della Settimana Santa rappresentati a Milano

18 A Novoli ...per la Grande Focara

20 “Un tesoro nascosto” del Gen. Samuele Valentino9 Sapori e Saperi di Puglia a Milano

21 RECENSIONI 22 Se dovessi na-scere italiana e potessi scegliere...

10 La città di Herdonia

11 Lo Scemo del paese

23 In ricordo di Domenico Montalto

24 Gli Italiani di Cri-mea ricordano a Kerch

il 70°della deportazione

12-16 SPECIALE VIIa edizione

Premio Ambasciatore di terre di Puglia

Sommario

anno III, n.7Supplemento a “Il Leuca”

Aut. Trib. di Lecce n. 999 del 9 settembre 2008

[email protected]: 347 4024651 - 392 5743734

Editore: Associazione Regionale PugliesiPresidente: Dino AbbasciàDirettore Responsabile: Agostino PiciccoFondatori e co-direttori: Giuseppe Selvaggi e Giuseppe De Carlo

Hanno Collaborato:Francesca Basile, Ornella Bongiorni,

Michele Bucci, Geovana Cléa, Giuliana de Antonellis,

Stanislao De Guido, Alessandro Guido, Carmen Mancarella, Anna Pastore,

Armando Pisanello, Maurangelo Rana,Paolo Rausa, Felice Ricchiuti.

Stampa: Studio Pixart S.r.l.

Quarto d’Altino (Ve)

Redazione e Sede Legale: Via Pietro Calvi, 29 - Milano

La direzione declina ogni re spon sabilità al con-tenuto degli articoli firmati, poiché essi sono diretta espressione del pensiero degli autori. La direzione si riserva di rifiutare qualsiasi collaborazione o inserzione di cui non approvi il contenuto. Foto e manoscritti, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. La collabo-razione a questo giornale è a titolo gratuito.

Realizzato in collaborazione con:

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I prodotti tipici della nostra terra ci riportano al piacere del cibo in ambienti caldi e accoglienti e in compagnia di persone allegre, simpatiche, familiari. Per questo proprio durante la stagione invernale vengono valorizzati cibi parti-colari, un tempo definiti “cibi

poveri” per la loro economicità, comunque ricchi di sostanze nutritive. Castagne, mandorle, legumi, sa-lumi, funghi, formaggi, marmellate, ecc. – per un cer-to periodo dimenticati, forse anche per rimuovere i simboli gastronomici della miseria - oggi ottengono grande successo, come dimostra l’apertura di risto-ranti con menù tradizionali specializzati nella loro preparazione e adeguata presentazione in cerami-che antiche (il tutto a prezzi astronomici soprattutto nei ristoranti delle grandi città). A favorirne, poi, la conoscenza presso il grande pubblico provvedono le sagre paesane che vedono tali alimenti protago-nisti indiscussi. Ritengo che questa riscoperta pon-ga il discorso del gusto in una prospettiva culturale, aliena da mode passeggere o da creatività di dubbie combinazioni, al fine di radicare il buon cibo nella promozione della cultura locale rispetto a prodotti di importazione. Un modo per dire basta all’invadenza dell’industria del surgelato è la riscoperta della ma-gia dei profumi delle lunghe cotture arricchite dal consumo collettivo, proprio per riscoprire accanto al buon gusto anche la socialità. E’ vero che la dispen-sa di oggi è costituita dal freezer (e in questo senso anche i nuovi elettrodomestici si sono adeguati con

ampi spazi dedicati alla conservazione) grazie anche alla varietà di prodotti in questo settore, ma in tanti stanno scegliendo il prodotto di qualità, la ricetta re-gionale e la cena in compagnia. La cucina, cioè, più che uno stile alimentare, sta diventando uno stile di vita, espressione della cultura e dei valori della zona d’origine: ci rappresenta e ci racconta, è una valida testimonianza di cultura e storia, un patrimonio da conservare e tramandare. Certi prodotti, ad esem-pio, ricordano la necessità di superare inverni fred-di e sono legati al clima, certi altri si ricollegano alle coltivazioni locali, alle disponibilità economiche, a mestieri ormai dimenticati. Questo tipo di cucina esprime una cultura dinamica, in evoluzione, che si arricchisce grazie ai contatti con le altre tradizioni alimentari, restituendo l’identità del territorio. Taluni cibi, poi, riportano direttamente al clima della festa. A tal proposito ci si potrebbe interrogare se esiste un legame tra la frittura e la festa. E’ un dato di fatto che nei giorni che precedono le maggiori solenni-tà, le “vigilie”, è tradizione fare i dolci a base di pasta fritta. Si tratta di dolci poveri che ricordano un tem-po caratterizzato appunto da povertà e da creatività nell’uso dei prodotti esistenti, valorizzando l’usanza secondo la quale gli avanzi non devono essere get-tati. Se è lecita una nota conclusiva, è difficile giudi-care quali siano i piatti più gustosi: in Italia si man-gia bene dappertutto. E l’emigrante, o chi viaggia spesso per piacere o per professione, lo sa. Se poi la buona tavola si raccorda con ambienti tra il raffinato e il rustico, con una buona accoglienza e una buona compagnia, il gioco è fatto e stare a tavola diventa una gioia “globale”.

di Agostino Picicco

I piaceri della tavola

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Tacco&Sperone: la sfida ...continua!

di Giuseppe De Carlo

Ogni volta che riguardo la bozza di “Tacco & Sperone”, provo la stessa ansia e la stessa emozione che ho provato nel primo numero, il numero “zero”. Tantissime le aspettative e con sé la paura di sbagliare. E come la prima volta trascorsi la notte a rivedere centimetro per centime-tro questi fogli A4, cosi ancora oggi rileggo tantissime volte i vari articoli, nonostante la supervisione del direttore responsabile e del direttore. Tra poche ore queste scritte digi-tali, passeranno da pensieri virtuali a storia, che rimarrà nel tempo. Qualche mese fa mi è stato conferito il “Premio Salento da Co-municare 2012”, premio rivolto a giornalisti e esponenti del mondo della comunicazione. Guardando il mio nome, che quasi scompa-re di fronte alle prestigiose penne dell’albo d’oro, penso a tutto lo staff che ha creduto in questo progetto, che piano piano, ha iniziato a crescere, ha preso forma ed è diventato di tutti, sfiorando i quasi 15mila lettori a nume-ro. Sono i soci dell’Associazione, i conoscen-

ti, le diverse amicizie nate grazie alle varie iniziative e manifesta-zioni, che hanno contribuito e contribuisco-no tuttora alla realizzazione e al successo di Tacco&Sperone. Il periodico è sorto dall’esi-genza forte di “condivisione” di esperienze, eccellenze, relazioni, che legano due Terre come la Puglia e la Lombardia, lontane sul-la carta geografica, ma da secoli vicine in un sistema sinergico. Mi accorgo, quindi, che le sensazioni diventano più intense e la re-sponsabilità si fa sentire sempre più forte ed ancora più pressante, ma il pensiero va già al prossimo editoriale, alla prossima copertina, al prossimo ...Tacco& Sperone.

In occasione della Borsa Internazionale del Turismo 2012 si è svolta la cerimonia del Premio “Salento da Comunicare” assegnato a giornalisti ed esponenti del mondo della comunicazione. Tra i premiati di questa edizione il dott. Giuseppe De Carlo (respon-sabile della comunicazione dell’Associazione Regio-nale Pugliesi, direttore de “Il Leuca” e tra gli ideatori del periodico “Tacco&Sperone”).

Il Presidente e il direttivo dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano esprimono vivo

compiacimento per il meritato riconoscimento.

Vuoi avere maggiori informazio-ni sull’Associazione Regionale Pugliesi? Scansiona il QR-Code con il tuo Smartphone e verrai subito collegato con la pagina uf-ficiale dove potrai accedere a tut-ti i contenuti e visionare gli even-ti passati e in programmazione.

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A metà marzo nei paesini dell’en-troterra idruntino: Minervino, Cocumola, Uggiano La Chiesa, Vignacastrisi e Giurdignano si festeggia San Giuseppe in un modo del tutto originale. Rivi-vono il 18 e il 19 marzo le Ta-vole di San Giuseppe, allestite in piazza dalle amministrazioni comunali e nelle case dai priva-ti, in segno di devozione verso il Santo. Nelle piazze viene ap-parecchiata una Tavola lunga 40 metri per la Sacra Famiglia e dieci Santi. Da degustare, re-citando preghiere ci sono ben nove pietanze che rappresen-tano il meglio della gastrono-mia salentina e che hanno tutte un forte valore simbolico. La Sacra Famiglia composta da Maria, Giuseppe e Gesù siede accanto ai dieci Santi: Sant’An-na, Santa Elisabetta, San Zacca-ria, San Gioacchino, San Filippo, San Giovanni, Santa Maria Cle-ofe, Sant’Agnese e San Giusep-pe D’Arimatea. Non indossano i panni colorati, nel segno del folklore, ma i panni della vita quotidiana. Ogni anno infatti ad impersonare i Santi sono perso-ne care, persone che soffrono oppure ospiti illustri. La rivista di turismo e cultura del Salento, Spiagge, (www.spiaggepuglia.it), la Pro Loco di Minervino ([email protected]), l’asso-ciazione degli operatori turistici di Vignacastrisi, Vi.t.o. (www.vi-gnacastrisi.it), i B&B Casa Pasca di Cocumola, (www.casapasca.it), danno la possibilità ai loro ospiti di impersonare i Santi. E’ un’esperienza da fare perché ricca di suggestioni. Il pacchet-to turistico propone anche di

visitare i Comuni di Minervino, Castro, Nardò, Presicce e Unione della Grecìa salentina, per assi-

stere ai particolari riti della Setti-mana Santa e della Pasqua. I RITI DELLA SETTIMANA SANTA E LA PASQUETTA DI CALIMERA

Le Tavole precedono i riti del-la Settimana Santa, la Pasqua e la Pasquetta salentina, che quest’anno cadono l’8 e il 9 aprile. Durante la quaresima si vivono riti unici. Nelle chiese di Calimera, paesino della Grecìa Salentina, un’area composta da undici paesi, nel cuore del Salen-to, dove si parla ancora il griko, riecheggiano le preghiere in gri-ko dei suoi abitanti. L’obiettivo è di rivolgersi a Dio utilizzando la madre-lingua, che in questi paesini non era, una volta, né l’italiano, né il dialetto salentino, ma la lingua grika, un dialetto molto simile al greco che secon-do alcuni venne importanto nel Salento dagli antichi coloni gre-

ci, secondo altri dai monaci bi-zantini, intorno all’anno Mille. A Martigano il gruppo Arakne me-

diterranea esegue i Canti della Passione, canti in griko antichis-simi che i contadini intonavano durante tutta la quaresima, gi-rando con flauti e tamburelli tra le masserie. Cantavano la Passio-ne di Cristo, commuovendosi e piangendo.

LA PASQUETTA DI CALIMERA IL RITO DELLA RINASCITA

LA PASQUETTA è da non perdere. A Calimera il Lunedì dell’Angelo (9 aprile) si celebra il rito della rinascita. Nella chiesetta di San Vito, alla periferia del paese, c’è una grande pietra conficcata nel pavimento con un foro al centro. Tutti, magri o grassi, riescono a passarci dentro. Porta fortuna: è il simbolo della fertilità.

CASTRO, UN MARE DI CULTURACittà di mare, di pescatori, città

Venite nel Salento ... per diventare Santi!a cura di Carmen Mancarella

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messapica, Castro si divide in due: Castro Alta e Castro mari-na e si affaccia sul mare Adria-tico a circa 20 chilometri a Sud di Otranto. Castro alta si arram-pica sulla rocca, dominando un panorama mozzafiato. Ai suoi piedi, Castro marina, lambita dal mare limpido e profondo, dove si mangia buon pesce, passeg-giando la sera sul lungomare.Nel borgo antico di Castro alta si leggono i resti della civiltà bizan-tina: la cripta con i Santi orientali dagli occhi a mandorla, le fonda-menta dell’antica città messapi-ca, le casette medioevali, restate intatte. Durante i lavori di scavo, l’équipe guidata dal professore D’Andria ha scoperto una pic-cola statua in bronzo raffiguran-te la Dea Minerva con i resti del tempio a lei dedicati. E’ la confer-ma scientifica che Castrum Mi-nervae, di cui parla Virgilio nel VI libro dell’Eneide era Castro. Enea vedeva il suo tempio da lontano, che appariva e scompariva per un effetto ottico, e si rallegrava perché stava per approdare sul-le sponde abitate da un popolo che aveva gli stessi costumi gre-ci, i messapi.

NARDO’ CENTRO STORICO BAROCCO E NATURA SELVAGGIASulla sponda jonica sorge la bel-la Nardò, con un centro stori-co che dista dal mare appena 6 chilometri. Vaste distese di ulivi secolari, fanno della città salenti-na, la città dell’olio per eccellen-za, e del vino negroamaro con interessanti realtà che si stato affermando sempre di più sui mercati internazionali. Il centro storico dalle chiese barocche, i palazzi gentilizi e le case conta-dine a corte, tipiche del Salen-to, sta vivendo un momento di forte rinascita e rilancio. Sem-pre più viaggiatori infatti hanno deciso di acquistare a Nardò la loro seconda casa: inglesi, fran-

cesi e tanti settentrionali. Nardò ha ricevuto dal presidente della Repubblica la medaglia d’oro al valor civile perché immediata-

mente dopo la seconda Guerra mondiale accolse gli ebrei nelle ville della marina di Santa Ma-ria al Bagno. Nacquero storie di amore e di amicizia, raccontate oggi nel Museo dell’accoglienza di Santa Maria al Bagno, una casa utilizzata dagli ebrei liberati dai campi di concentramento e ca-ratterizzata dai graffiti dove essi raccontavano il Sogno di ritorna-re nella Terra promessa. Poco più a Nord, da visitare c’è Santa Ca-terina con la sua Portoselvaggio e l’area marina protetta, Palude del Capitano, che si estende fino a Porto Cesareo.

PRESICCE, LA CITTA’ DEI FRANTOI IPOGEI

Restando sulla sponda Jonica, da visitare una città quanto mai elegante: Presicce. Più di tren-ta frantoi ipogei si nascondono sotto la piazza principale. Pre-sicce era una grande fabbrica di produzione dell’olio, consi-derato il petrolio fino ai primi dell’800 perché non veniva uti-lizzato solo per la cucina, ma an-che e soprattutto per illuminare le vie e le case. Dalla piazza prin-cipale dove si affaccia il giardino pensile della principessa si am-

mirano palazzi gentilizi di estre-ma eleganza che custodiscono giardini segreti, i giardini delle delizie dove si passeggiava e si meditava all’ombra degli aranci e di piante esotiche. Particolare è anche il centro storico del ri-one Padreterno, dove le tipiche case contadine a corte si affac-ciano su un dedalo di viuzze.

MINERVINO L PARCO DELLA PREISTORIA

Ma il Salento non è solo mes-sapico, bizantino e barocco. Ci sono importanti testimonianze della vita dell’uomo, anche nella Preistoria. A Minervino, nel par-co dei Megaliti, si trova il secon-do dolmen di Puglia, il dolmen Li Scusi. E’ una pietra magica e se si prova ad entrare dentro si sente la sua energia positiva. Un foro sul tetto lascia penetrare i raggi del sole. Si presta a tante inter-pretazioni anche il cerchio ma-gico fatto pietre che sembrano sedili, con al centro una specie di trono. Forse si riuniva lì l’assem-blea del Gran Consiglio. Poco lontano due grandi menhir. Si protendono verso il cielo e sem-brano voler raccontare il deside-rio dell’uomo toccare il Cielo.

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Una novità assoluta in prepara-zione alla Pasqua è stata offerta agli emigrati pugliesi a Milano, che non sempre possono tor-nare in Puglia per partecipare ai riti della settimana santa. Per la prima volta a Milano è stata riproposta la Passio Christi con una cinquantina di figuranti in costumi d’epoca che hanno rap-presentato e rievocato il percorso di Gesù nei giorni della Passione. figuranti, accompagnati dai loro amministratori locali, sindaco in testa, venivano dal comune di Gi-nosa (TA). Lo scenario non poteva essere quello della gravina di Gi-

nosa dove si esibiscono durante la settimana santa, richiamando tanto pubblico di devoti e turisti, bensì quello più modesto ma al-tamente prestigioso del porticato e del cortile d’onore di Palazzo Isimbardi sede della Provincia di Milano. Una rappresentazione molto coinvolgente, divisa in di-verse tappe, corrispondenti alle stazioni della via crucis del Cristo sofferente condotto al Calvario, sovrastato dalla croce e percosso da frustate, il tutto molto realisti-co, tanto da commuovere più di uno dei numerosissimi spettato-ri, non solo pugliesi, intervenuti. La rappresentazione della Passio è stata preceduta da un conve-gno, svoltosi nella Sala Affreschi della Provincia e coordinato da Paolo Rausa, sulle tradizioni po-polari pugliesi: dalle feste patro-nali, ai riti della settimana santa passando attraverso fuochi di sant’Antonio, altarini di san Giu-seppe, novene, sagre e fiere varie.

Dopo i saluti istituzionali del Vice Presidente della Provin-cia di Milano Novo Umber-to Maerna, dell’Assessore regionale Ales-sandro Colucci e del Presiden-te dell’Associa-zione Pugliesi di Milano Dino Abbascià, attraverso l’ausilio di filmati, foto e recitazione (da par-te di Sergio Nigretti, Paola Mate-

si e Massimo Loiacono) di testi tratti dal volume Puglia in festa del regista RAI Tito Manlio Altomare, sono stati rivisitati tanti aspetti della nostra mi-gliore tradizione popolare che si interseca con fede e devozione e che resiste a secolarizzazione, glo-balizzazione e scorrere del tempo. alla relazione dell’avv. Agostino Picicco è emerso il significato e

la ricchezza rituale e celebrati-va di queste antiche tradizioni e devozioni visivamente rese dalle classiche immagini di bande, lu-minarie, fuochi d’artificio (diurni e notturni) e relative “chiamate”, luci spente per la processione dei “misteri”, accompagnamenti di confraternite, bancarelle, focacce, venditori di palloncini, palloni ae-rostatici, folle festanti che sciama-no per i centri storici, santi portati per mare con relativo corteggio di barche. Il tut-to in un conte-sto di accecante luce estiva, di bagliori prima-verili, di silenzi invernali, di co-lori autunnali: perché queste tradizioni, che si richiamano al calendario litur-gico della chiesa, sono diffuse su

tutto l’arco dell’anno valorizzan-do i singoli periodi e le loro pecu-liarità. Tali feste, ha detto inoltre Picicco, in quanto fenomeno col-lettivo, manifestano il vissuto di una comunità e di un popolo nel suo desiderio di socializzazione, di coinvolgimento, di partecipa-zione. Nella devozione si coglie la ricerca del senso della vita, la nostalgia delle radici perdute (so-prattutto per l’emigrante), la forza e l’intensità evocativa del rito. Al convegno e alla rappresentazio-ne, organizzata dall’Associazione Regionale Pugliesi, hanno par-tecipato diverse delegazioni dei sodalizi pugliesi in Lombardia. Anche loro, al termine dell’inten-so pomeriggio milanese di metà marzo, hanno avuto modo di de-gustare prodotti tipici pugliesi (calzone, focaccia, taralli, verdure cotte), allietati dalle musiche del Gruppo di Ricerca Popolare di Ginosa che ha riproposto danze e canti della tradizione popolare, con grande coinvolgimento del pubblico che si è fatto trascinare, complice la musica e il buon vino, nei balli che sono seguiti.

I RITI PUGLIESI DELLA SETTIMANA SANTA RAPPRESENTATI A MILANOdi Maurangelo Rana

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Il mese di febbraio offre sempre ai pugliesi in Lombardia un’occasione privilegiata per riassaporare l’aria di casa negli incontri della Borsa Inter-nazionale del Turismo (BIT), quest’an-no alla trentaduesima edizione, pres-so l’area fieristica di Milano. Anche quest’anno la nostra regione si è di-stinta nel panorama nazionale e in-ternazionale tipico di questa grande fiera del turismo, caratterizzata dalla presenza di numerosi operatori turi-stici, espositori, visitatori, giornalisti, televisioni, amministratori regionali e provinciali del settore, sinda-ci e assessori di tanti comuni an-che piccoli che hanno riempito gli stand e par-tecipato a confe-renze stampa ed eventi promozio-nali. Di notevole interesse quello che è chiamato il Fuori Bit, cioè l’insieme degli eventi di intratte-nimento, cultura, spettacolo e de-gustazione che si svolgono a latere della BIT. Tra le diverse manife-stazioni, cito in particolare, come lo scorso anno, la presenza di un gran-de stand della Puglia nella centralis-sima piazza Beccaria (a poca distanza dal Duomo), una presenza unica nel suo genere e di grande richiamo nel centro di Milano, che ha favorito la conoscenza della Puglia e delle sua tradizioni anche a chi non poteva re-carsi fino al periferico polo fieristico. A differenza dello scorso anno le sei province pugliesi erano rappresenta-te unitariamente (l’anno scorso solo le tre province del nord barese). Da segnalare il notevole afflusso per de-

gustare taralli, dolci, vini e olio, pren-dere dépliant e cataloghi, ascoltare qualche banda locale e ammirare gli sbandieratori di Carovigno, per la gioia dei tanti bambini milanesi pre-senti, non abituati a simili spettacoli ben noti nelle nostre feste patronali. Diversi amministratori si sono poi re-cati presso la sede dell’Associazione Regionale Pugliesi, casa comune di tutti i pugliesi e Milano, per illustra-re le caratteristiche di arte, cultura, folclore, natura e paesaggi dei loro paesi, e così invitare a un turismo so-

stenibile e destagionalizzato in con-siderazione dei diversi momenti di attrazione collocati durante l’intero anno grazie a sagre, spettacoli, festi-val, manifestazioni legate alle feste religiose o ad antiche tradizioni. E’ emerso che la Puglia può farcela da sola, nonostante la crisi, grazie all’im-plementazione di un turismo non solo stagionale, Il governatore Nichi Vendola, presente a diversi eventi, ha poi ricevuto giornalisti e rappre-sentati di enti e associazioni presso il celebre Four Seasons Hotel nella zona di via Montenapoleone. Qui, in-

sieme agli assessori al Turismo Silvia Godelli e alle Risorse agroalimentari Dario Stefàno, ha presentato l’at-lante del turismo sostenibile Puglia rurale, un volume che illustra in ma-niera piacevole, basandosi su foto e brevi didascalie, tutte le tradizioni culturali, artistiche ed enogastrono-miche dell’intera Regione definita quale “scrigno dove sono custoditi sapori tipici e saperi antichi”. A dar man forte agli amministratori sono intervenuti due pugliesi di prima grandezza: il giornalista RAI Attilio

Romita e l’at-tore Michele Placido che, a proposito di Puglia rura-le, ha parlato con grande entusiasmo del podere che ha acqui-stato in Pu-glia e che si diverte a col-tivare.La ricca degustazio-ne di prodot-ti tipici che è seguita ha c o n s e n t i -to di capire bene come i prodotti

tipici possano diventare fattore di aggregazione di comunità e motivo di attrazione per visitare i vari centri rurali di solito poco conosciuti. Le immagini che scorrevano presenta-vano panoramiche marine e distese di uliveti secolari e della macchia mediterranea, ricchi di sole e calore, oltre a eleganti palazzi gentilizi con i loro giardini carichi di delizie che invitano a passeggiare e a meditare. Percorsi di pregio storico e culturale ancora poco conosciuti ma merite-voli di inserimento nelle rotte del tu-rismo pugliese.

SAPORI E SAPERI DI PUGLIA A MILANOdi Felice Ricchiuti

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Itinerari: Ordona

Ordona è un piccolo paesino inserito nel Tavoliere e a ridosso del Sub-Appenino Dauno che conta cir-ca 3000 abitanti e che affonda le sue radici nell’età tardo romanica. Presente, infatti, nella cittadina nel foggiano, un importante sito archeologico, finito, or-mai per molti, nel dimenticatoio: La città di Herdonia. Della sua originaria estensione di circa 20 ettari, solo 4 sono stati portati alla luce del sole, grazie ad alcuni uomini, volenterosi e molto curiosi, che nei primi anni 60 danno il “via” agli scavi archeologici. Vengono suc-cessivamente affiancati da una equipe di archeologi e assieme portano in vita: un possente Anfiteatro, il Macellum, la via Traiana, Capitelli che delimitano il perimetro dell’area della Basilica, il Foro, le Terme, graffiti, Epigrammi. Gli studi svolti sul luogo da diver-se Università vedono la nascita di Herdonia in età ne-olitica e la sua fine durante la Seconda Guerra Punica, in seguito alle invasioni, i saccheggi e le deportazioni effettuate da Annibale. Il sito archeologico è, dunque, motivo di vanto, ma non è la sola cosa da visitare nel

paesotto di campagna, luogo di estrema tranquillità, in cui il tempo scorre serenamente scandito dai rintoc-chi dell’orologio della Chiesa Madre. Il fertile terreno pugliese ha da sempre permesso una ingente produ-zione di grano, tanto da essere denominato “Il Granaio d’Italia”, ma oltre alla coltura di questo cereale, impor-tante è quella del carciofo, prodotto grazie al quale il paese vanta la più grande produzione d’ Europa. Am-malia la semplicità nel trovare quiete da una passeg-giata senza termine tra le campagne, nell’accogliente, seppur breve, area pedonale o sul viale denominato dagli abitanti del posto “Lungo Mare”, nonostante l’unico panorama offerto sia quello di distese di gra-no. L’apparenza ti fa credere di essere tornato indietro nel tempo, di essere tornato bambino, di passare gior-nate intere per strada a giocare a palla con gli amici, e mentre ti immergi nei ricordi e immagini di sentire la voce della mamma che urla per dirti di tonare a casa, ti squilla il cellulare e ti ritrovi catapultato nella vita reale tra stress e problematiche sul lavoro. Vuoi tornare in-dietro, immagini le urla chiassose di prima mattina del fruttivendolo, ti rivedi tra i banchi di scuola, rivedi i li-tigi, i primi amori, poi ti addentri nelle viuzze e ti emo-zioni guardando con occhi nostalgici le vecchie signo-re tessere la lana, offrirti biscotti, preparare pasta fatta in casa, stendere fuori dall’uscio di casa la biancheria e gli anziani fare interminabili giri in piazza con coppola sulla testa e bastone alla mano. Non può che salire la tentazione di entrare nei negozietti per far provare al tuo palato le sensazioni dovute alla degustazione di molteplici prodotti tipici. Non contento sazi, poi, il tuo stomaco con un pranzo che delizia con piatti caratte-ristici della cultura contadina, di cui i sapori vengono esaltati grazie ai vini locali…il mix rende il back to the past sempre più vivo e completo.

La città di Herdoniadi Anna Pastore

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Ogni paese aveva il suo scemo, potremmo dire che dietro ogni scemo c’era un paese. Era una figura leggendaria.vQuando passava in tanti sorridevano e i ragazzi lo canzonavano. Io non sono mai riuscito a divertirmi, vedevo un’anima in pena che recitava una parte che gli consentiva di essere riconosciuto e riconoscibile, che pur allontanandolo da quelli “buoni” lo faceva sentire parte di quella stessa col-lettività che si prendeva gioco del suo essere non proprio tutto a posto, ma, appunto per questo parte integrante della stessa comunità. Si chiamava Pep-pino, tutti lo chiamavano “Peppin u preis” e credo pochi sapessero le sue vere generalità, ma a chi im-portava. Lo scemo era un individuo che rallegrava la vita dei concittadini urlando e a volte urinando per strada ma non c’era scandalo, glielo si perdonava, in fondo era solo un povero scemo, un adulto con il cuore e la testa da bambino. iveva nelle piazze, a volte dormiva sulle panchine, ma a differenza degli accattoni non chiedeva soldi e non accettava nulla da nessuno. Aveva una casa che non occupava mai, le gote di un acceso colore rossastro potevano farlo apparire perennemente ubriaco. I grandi mi diceva-no “stagli alla larga, quello può essere pericoloso” e sicuramente non sarebbe stato bello farsi vedere in giro con quello sciroccato e poco di buono. Spesso lo osservavo alla distan-za, tentavo di capire quali pensieri lo accompagnas-sero nel suo girovagare senza una meta e quando i nostri occhi si incrocia-vano vedevo un animale selvatico spaventavo e perso; allora pensavo al suo posto e provavo a in-terpretare quello sguardo, mi sembrava che volesse dirmi: “prova ad avere un mondo nel cuore e a non riuscire ad esprimerlo con le parole”. amminava, pe-rennemente in giro per la città, con entrambe le mani dietro la schiena, l’una che stringeva il pol-so dell’altra, oppure aveva sotto l’ascella un bastone che agitava minacciosa-mente in direzione dei monelli che a volte lo fa-cevano segno di lanci di

piccole pietruzze e gli fa-cevano il verso. La sua ca-ratteristica principale era quella di parlottare e bor-bottare tra sé e sé di sva-riati e incomprensibili ar-gomenti, parlando di vari vaneggi e inutili inutilità.Si muoveva apparentemente cercando di passare inosservato, poi, all’improvviso si girava e puntan-do il primo che gli capitava gli urlava: “cosa siete detto,cosa siete fatto” quasi a cercare una complice provocazione per iniziare ad imprecare e raccoglie-re il suo momento di notorietà a cui inevitabilmente si arrivava tra ilarità e insulti del popolino. Ricordo il fratello, che spesso arrivava in suo soccorso, era un uomo taciturno che aveva famiglia e pare lavoras-se per il Comune, si avvicinava e con gesti risoluti e tranquillizzanti lo prendeva sotto braccio, spes-so spingendolo e ripentendo all’infinito “spicciala” (ovvero smettila) e a volte gli accarezzava la testa …. allora guardando i suoi “nemici” si allontanava pronto alla prossima uscita per sfidare il mondo dei normali.

Lo scemo del paesedi Giuseppe Selvaggi

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L’edizione 2012 è la continuità di un’iniziativa, germogliata dalla volontà di dare un riconoscimento a chi negli anni ha contribuito alla valorizzazione del patrimonio umano, culturale e sociale della Puglia. Il Premio “Ambasciatore di terre di Puglia” nasce con l’intento di scoprire, conoscere e far conoscere attraverso le proprie eccellenze, il pensiero, la cultura, la laboriosità e l’ingegno di quelle genti, che sono divenute popolazione delle terre di Puglia. L’evento mira a creare momenti di aggregazione, confronto e condivisione nello spirito di integrazione delle vecchie e nuove migrazioni. Il logo ufficiale è una rappresentazione del faro di S. Maria di Leuca, punta estrema e fine delle terre di Puglia (de finibus terrae). Il faro di Santa Maria di Leuca, luogo di incontro dei due mari pugliesi, vedetta di una terra protesa verso altre terre, rappresenta per gli organizzatori, il simbolo della vocazione delle genti di Puglia all’accoglienza.

SpecialeVIIa Edizione ECCELLENZE DI PUGLIA

Premio Ambasciatore di terre di Puglia

Vuoi avere maggiori informazioni sul Premio? Scansiona il QR-Code con il tuo Smartphone e verrai subito collegato con la pagina ufficiale del Premio Ambascia-tore di terre di Puglia e potrai accedere a tutti i contenuti presenti sul sito web.

Albo d’oroEdizione 2011 premio assegnato a:Pino Cordella, Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, Ospedale Casa Sollievo della Sofferen-za.

Edizione 2010 premio assegnato a:Renzo Arbore, Ennio Capasa, Gaspare Cardamone e Peppino Principe

Edizione 2009 premio assegnato a: Edoardo Winspeare, Matteo Salvatore (alla memoria viva), Luca Medici (in arte Checco Zalone)Riconoscimento Eccellenze di Puglia a:Camillo Guerra e Fernando Colazzo Edizione 2008 premio assegnato a:Sergio Rubini, Paride De Masi, Luca Montrone, Sergio Blasi, Antonio Piccininno Edizione 2007 premio assegnato a: Albano Carrisi, Livia Pomodoro e Vincenzo Buonassisi Edizione 2006 premio assegnato a: i Negramaro

il ManufattoIl manufatto che ver-rà consegnato ai pre-miati è stato creato e realizzato dall’artista Nande (in foto). Egli giunto a quasi 50 anni di attività artisti-ca ha voluto omag-giare il premio con una sua riproduzione in bassorilievo del faro di S. M. di Leuca, località dove egli vive attualmente e continua gli studi e le sue ricerche pittoriche sul tema del recupero. Il faro situato nella punta più estrema d’Italia, punta Meliso (il tacco dell’Italia) vuole essere il simbolo di una luce che il pugliese porta dentro di sé ovunque si sposti.

Per accedere al sito ufficiale dell’artista Nande scansiona il QR-Code con il tuo Smartphone.

Speciale

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L’ azienda Quarta Caffè S.p.A. nasce nella Lecce degli anni cinquanta, una piccola torrefazione artigianale con bar di degustazione nel pieno centro della città. Un tostino della portata di 5 kg, una miscela e poche decine di clienti. Ben presto quel bar

diventa un punto di riferimento per i leccesi e per l’intero Salento. Un via vai continuo di nuovi clienti e soprattutto mili-tari, in particolare quelli della vicina aerostazione di Galatina. Il colore delle di-vise degli ufficiali dell’aria si trasforma così nel nome di quel Bar e della storica miscela della Torrefazione Quarta: il Bar Avio e la miscela Avio “Primato di Qualità”. Qualità e freschezza del prodotto, declinata sia nella realtà Bar che nelle miscele Famiglia, per un impegno quotidiano e una

ricerca continua fatta di investimenti e di passione. L’attenzio-ne nella selezione dei migliori caffè verdi, la tostatura separata e la cura della miscela hanno caratterizzato i nostri prodotti e collocato l’azienda tra le prime 10 aziende di torrefazione in Italia. Il caffè Quarta Caffè ha accompagnato gli ultimi cin-quanta anni di storia salentina, diventando un piacevolissimo, immancabile, insostituibile classico. Non è solo diffuso in tut-ta la Puglia ed in varie zone d’Italia ma anche in Svizzera, in

Germania, in Gre-cia, in Albania ed in Belgio. Il gruppo aziendale “Quarta Caffè” comprende i marchi: Quarta Caffè, Mokaffé, De-caffeinato Sereno e Moka/2. L’Azienda

ha una spiccata attitudine alla salvaguardia dell’ambiente con la produzione di energia alternativa grazie alla realizzazione di un grande parco fotovoltaico e di una torre eolica nel proprio stabilimento sito nella zona industriale di Lecce.

Per essere divenuto un marchio di pregio e di conoscibilità pugliese ben oltre i confini del proprio territorio, passando da piccola torre-fazione artigianale negli anni cinquanta a leader il cui prodotto ha la capacità emozionale di far rivivere olfattivamente gli odori, le

atmosfere e i colori delle terre di Puglia.

Speciale

QUARTA Caffè S.p.a.

Antonio Quarta

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Il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca è nato nel 1975 su iniziativa di un gruppo di appassionati musicofili

capeggiati da Alessandro Caroli, primo presidente del Festival, con il determinante supporto di Franco Punzi, allora Sindaco di Martina Franca, e di Paolo Grassi, all’epoca sovrintendente del Teatro alla Scala. Fin dagli esordi il Festival si è caratterizzato per la coraggiosa riproposta di un repertorio e di una prassi esecutiva sottovalutati: hanno contribuito alla sua affermazione le messe in scena di opere qualiTancredi di Rossini (nel 1976, ancor prima della Rossini re-naissance che ha caratterizzato i decenni successivi) e della Norma nella versione originale con la protagonista dal timbro più scuro ri-spetto alla giovane Adalgisa. Dal 1980, con la presidenza di Franco Punzi e la direzione direzione artistica di Rodolfo Celletti, grande esperto di vocalità, il Festival ha accentuato la sua identità origina-ria di rivalutazione del repertorio belcantista (da Monteverdi al pro-toromanticismo) e della Scuola musicale napoletana di cui grandi protagonisti furono i compositori pugliesi, pur senza trascurare il grande repertorio eu-ropeo e, in particolare, la valorizzazione di elementi del belcanto italiano presenti in opere di autori stranie-ri. Con la direzione artistica di Sergio Segalini, dal 1994 al 2009, il Festival ha ulteriormente sviluppato la dimensione internazionale delle scelte di repertorio a partire dalla Medée di Cherubini nella versione originale francese con i dialoghi parlati, per poi affrontare capolavori come Robert le diable di Meyerbeer, La Grande-Duches-se de Gérolstein di Offenbach, fino alla versione francese di Salomé di Richard Strauss. Alberto Triola, che ha assunto la direzione ar-

tistica del Festival nel 2010, riportando, da un lato, l’at-tenzione sul repertorio bel-cantista e sul teatro musicale barocco, si propone di allar-gare l’orizzonte del Festival all’opera del Novecento e contemporanea. Le produ-zioni del Festival distinguo-no per l’autenticità dei testi (spesso rappresentati in ver-sione integrale) e il rispetto dei tipi vocali, fedeli agli spartiti e alle interpretazioni originali. Il Festival ha contribuito all’affermazione di artisti che avrebbero scritto la storia dell’interpretazione quali Mariella Devia,

Martine Dupuy, Paolo Coni, Daniela Dessì, Patrizia Ciofi, Fabio Luisi, Renato Palum-bo, per citarne solo alcuni. Dal 1975 sono

state oltre cento le opere presentate al Festival della Valle d’Itria. Tra l’altro va ricordato che, nel corso della sua attività, il Festival ha ottenuto per ben cinque volte l’ambito riconoscimento del Premio Abbiati da parte dell’Associazione nazionale dei critici musicali ita-liani; è inoltre membro di associazioni importanti, tra cui l’EFA [Eu-ropean Festivals Association], il CIDIM [Comitato Nazionale Italiano Musica] e Italiafestival, di cui è socio fondatore.

Per la qualità delle proposte artistiche e l’elevato livello professionale e organizzativo che ne fanno una manifestazione di interesse internazio-nale contribuendo nei campi dell’arte, della musica e della cultura a far

conoscere e apprezzare la Puglia ben oltre i confini nazionali.

FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIASpeciale

Franco Punzi

Speciale

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Pasquale Zagaria in arte Lino Banfi, nasce ad Andria nel 1936. A diciotto anni emigrò a Milano per tentare l’avventura nel teatro di varietà. Proprio qui, dopo essere entrato nella com-pagnia di Arturo Vetrani, iniziò il suo percorso di comico, por-tando in scena elementi tipici del suo paese: detti, modi di dire, giochi. Come continuerà a fare nel seguito della sua carriera, egli affidò le risorse della sua comicità irruente ed immediata al suo dialetto canosino, oltre che alla sua parlata buffa ed ori-ginale. Successivamente si trasferì a Roma dove ebbe le prime apparizioni di un certo rilievo. Negli anni seguenti ottenne i primi successi esordiendo in tv su Rai 2 nel 1969 a Speciale per voi di Renzo Arbore. L’incontro con Franco Franchi e Ciccio In-grassia fu determinante per la sua affermazione artistica. Lino Banfi, rappresenta uno dei mostri sacri delle commedia all’italiana degli anni settanta – ottanta. In questo decennio Tra le sue migliori interpreta-zioni sono da considerare Cor-netti alla crema (1981), Vieni avanti cretino (1982), L’alle-natore nel pallone (1984) e Il commissario Lo Gatto (1986) di Dino Risi. Rientrato in RAI dopo una breve parentesi a Ca-nale 5, gli venne affidata la conduzione di Domenica in (1987-88), Stasera Lino (1989) e Aspettando Sanremo (1990), in

cui emersero le sue doti di intrattenitore e di attore misurato ed equilibrato. Banfi quindi ha mostrato ulteriormente doti di atto-re non comico. Dal 1998 al 2009 ha ottenuto un gran-de successo nella fiction Un medico in famiglia, in cui interpreta il ruolo di Libero Martini, un nonno completamente diverso dai personaggi biz-zarri interpretati negli anni settanta e ottanta. Nel 2001 viene nominato ambasciatore dell’UNICEF e nello

stesso periodo prende parte a numerose fiction tra le quali Un di-fetto di famiglia (2002) e Un posto tranquillo (2003), recitando in en-trambe al fianco di Nino Manfredi.

Dal 1994 è Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repub-blica Italiana e dal 1998 è Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana 1994.

Che nella sua lunga e prestigiosa carriera ha saputo infondere in tutti i suoi personaggi una modernità espressiva tale da renderli vi-cini e riconoscibili. Umanità e calore lo rendono un indimenticabile protagonista nel mondo dello spettacolo, simbolo di una pugliesità verace che ha contribuito a far conoscere le terre di Puglia di cui è

autentico Ambasciatore.

Speciale

PASQUALE ZAGARIA in arte LINO BANFI

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Immaginiamo la Puglia come un luogo battezzato “Anamnesis”.Un luogo di memoria.

La Puglia è come un grande cervello.Ogni giorno si crea, ogni giorno nascono nuove idee.

Un luogo dove possiamo sentirci vivi anche semplicemente nominandola …. Puglia

Persone che vogliono farsi attraversare dalle emozioni.Persone che sanno cosa sono i sensi, le sensazioni, i sentimenti, le emozioni.

e Le persone sono musica, cinema, danza, poesia.sono elementi sacri che distinguono una regione.

Una serata per ricordare che in Puglia tutto è connesso.

Andrea Forte Calatti

Speciale

La serata verrà contornata da piccole suite del Balletto “EMOTION LOVE” ideato da Andrea Forte Calatti - creatore di “SHOCK” ( Teatro degli Arcimboldi, 2009 ) e assistente alla drammaturgia per “L’ALTRO CASANOVA” (Teatro alla Scala, 2011).Le coreografie di Marco Messina si muovono sulle note di Caterina Forte, arrangiate da Gabriele Semeraro.

Conduce la serata: Nicla Pastore

Nicla Pastore è giornalista televisiva. Con-duce programmi di intrattenimento, svol-ge interviste, servizi, collegamenti in diret-ta telefonica e video dimostrando grande capacità di coinvolgimento degli ospiti in studio e di approfondimento dei temi trat-tati. A Milano ha brillantemente e profes-sionalmente condotto la quinta e la sesta edizione del Premio Ambasciatore Terre di Puglia.

Con la Regia di Andrea Forte Calatti

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I Maestri Principe e Palumbo legati da antica amicizia

Quando qualche anno fa ebbi l’invito per assistere ad uno spettacolo di Peppino Principe non esitai neanche un istante, perché già il solo nome di Peppino Principe mi ri-portava in un sogno lontano, legato alla mia fanciullezza. Ero infatti un fanciullo (avevo 10 o 12 anni) quando, ag-gregandomi alle mie quattro sorelle e a mio fratello, tutti di età maggiore di me, mi recavo alle feste organizzate in casa di qualcuno, feste nelle quali c’era da mangiare, si ri-deva e soprattutto si ballava. Ricordo che la stanza dove si sarebbe ballato veniva svuotata dei mobili, con le sedie tutt’intorno e, in un angolo un mobiletto con su un giradischi, al cui braccio di tanto in tanto bi-sognava cambia-re la puntina sot-to cui giravano i dischi, altrimenti non si sarebbe sentito bene il suono. I dischi erano tutti in vi-nile, 78 e 45 giri. Ecco, il mio posto era lì, perché già allora, anzi allora più di ora, la musi-ca era la mia grande passione e guai a staccarmi da dove c’era la musica. Il mio compito era quello di mettere i di-schi: valzer, mazurche, tanghi, polche. E la maggior parte dei brani erano eseguiti con la fisarmonica; indovinate da chi?... Peppino Principe!! I suoi brani erano richiestissi-mi e sempre trasmessi per radio. I pezzi più richiesti nelle serate da ballo erano i tanghi. In particolare “El bandido”, poi c’era “Il tango delle capinere”,” Il tango della gelosia”. E poi il valzer, “Carnevale di Venezia”, ricco di bellissime e difficilissime variazioni. E poi “Il volo del calabrone”, diffi-cilissima esecuzione che soltanto lui poteva interpretare. Ogni disco aveva la sua copertina sulla quale imperava un giovane artista, capelli neri e un bel sorriso e, in primo piano, la fisarmonica. Non potevo sapere allora che quel Peppino Principe non era soltanto un autore di tanghi e valzer; solo da adulto ho capito che quei brani che co-noscevo da bambino erano soltanto un diversivo, brani che hanno dato più popolarità (e tanti quattrini) a que-sto artista e che il vero genio della fisarmonica era quel-

lo che si sentiva nei pezzi jazz, eseguiti con i più grandi nomi della musica nel mondo. Di Sante Palumbo non ho ricordi, non perché fosse meno famoso. Ho scoperto da adulto la sua fama mondiale; é stato ed é ancora il piani-sta delle più grandi star della canzone (Iva Zanicchi, Mina etc.) Autore di tantissimi brani, apprezzati ed eseguiti dai più grandi musicisti di jazz, classico, moderno e persino di musiche per bande sinfoniche. Ha collaborato con la Rai per oltre 20 anni come arrangiatore e solista. Alcu-

ni dei nomi più famosi con i quali ha collaborato e suonato sono Franco Cerri, Lino Patruno, Tullio De Pi-scopo, Gorny Kramer e, al di là dell’ocea-no ricordiamo Charly Mingus, Tony Scott, Astor Piazzol-la e tanti altri “grandi” del jazz. Ha col-laborato con Tito Fontana per musicare le poesie di Papa

Woityla. Uomo di grande sensibilità, in onore dei nostri soldati caduti a Nassiriya, ha composto l’opera “Concerto per Nassiriya”, che fa parte di un CD insieme a musiche di Mozart, Brhams ed altri famosi. Noi dell’Associazione Regionale Pugliesi, abbiamo il privilegio (quale Puglie-se anche lui, di Cerignola) della sua presenza in alcune nostre manifestazioni, nelle quali non disdegna di farci ascoltare qualche sua esecuzione al pianoforte. Nella sua grande semplicità accompagna le nostre funzioni religiose eseguendo musiche sacre con l’organo. Quan-do mi sono trovato a cantare l’Ave Maria di Schubert per la prima volta con lui, da grande artista e grande uomo com’é, mi ha messo subito a mio agio e siamo entrati subito in simbiosi facendo sentire un pochino “grande” anche me. Eccoli ora questi “mostri”, ancora in mezzo a noi, in occasione del “Premio”. Per loro non ci sarà mai un premio tale da compensarli di quanto hanno reso famo-sa l’Italia e la nostra terra di Puglia.

di Armando Pisanello

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La fede, l’arte, la passione. Racchiude in sé tutto questo la grande Focara di Novoli, che alta 25 metri con un diametro di 20, viene costruita con i tralci di vite e viene accesa il 16 gennaio di ogni anno per festeggiare Sant’Antonio Abate, il pro-tettore di Novoli, paese che si trova ad appena 15 chilometri a Nord di Lecce. E’ il più grande falò del bacino mediterraneo, “un fuoco che ag-grega e che unisce, il fuoco buono di Puglia”, dice il sindaco di Novoli, Oscar Marzo Vetrugno, presidente della neo costituita Fon-dazione Focara di Novoli (www.fon-dazionefocaradino-voli.com), un am-ministratore che ha saputo promuovere il valore della gran-de festa religiosa fa-cendola diventare un appuntamento di livello nazionale.L’edizione 2012 è stata ricca di impor-tanti novità. Iscritta tra i Beni Immate-riali della Regione Puglia e candidata a divenire Patrimo-nio immateriale dell’Umanità Une-sco, la grande festa di Novoli ha aggre-gato intorno al fuo-co prestigiose firme dell’universo artisti-co internazionale. E’ Mimmo Paladino, a firmare infatti il ma-nifesto d’autore per la focara e 80 seri-grafie d’autore. Antonio Romano, il designer che ha ideato tra i tanti la farfalla della Rai e il qua-drato della Cgil, ha creato il marchio della Fon-dazione Focara di Novoli, operativa da quest’an-no, mentre a grandi fotografi come Uliano Lucas e Mario Cresci è stato affidato il compito di ri-

trarre le emozioni e gli istanti più belli di questa grande festa. In particolare Uliano Lucas è sta-to premiato l’anno scorso come miglior foto-grafo e quest’anno, nell’edizione 2012, si potrà vedere la mostra di fotografie realizzate da lui un anno fa intorno al Fuoco. Quest’anno inve-ce sarà premiato Mario Cresci, di cui potremo vedere la mostra fotografica il prossimo anno. Mimmo Paladino ha dato il suo imprimatur an-che alla grande focara, dove si incontrano l’arte

contadina con l’ar-te contemporanea. Sei cavalli, realizza-ti a grandezza na-turale in cartapesta dalla cartapestaia leccese, Carmen Rampino, campeg-geranno sulla gran-de focara, testimo-niando l’amore che Sant’Antonio aveva per gli animali. In-fatti nel pomerig-gio del 16 gennaio a Novoli avviene la tradizionale bene-dizione degli ani-mali.La notte poi, intor-no al fuoco, che continua ad ardere per giorni e giorni si potrà ballare al rit-mo della musica di Roy Paci e dell’Or-chestra del fuo-co al suo esordio. Concerti in piazza fino al 18 gennaio, ultimo giorno della festa. La focara di

Novoli è strettamente legata alla cultura e alle tradizioni del territorio. Infatti viene costruita con una tecnica che si tramanda di padre in fi-glio e utilizzando i tralci della vite di cui è ricco Novoli e tutto il territorio circostante. Siamo in-fatti nel Parco del Negroamaro, contrassegnato

A NOVOLI... ...PER LA GRANDE FOCARA

di Giuliana de Antonellis

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dalla produzione di ben tre vini doc: il Salice Salentino, (di cui Novoli fa parte), lo Squinza-no e il Leverano, grandi vini nati dall’abbraccio tra negroamaro e malvasia nera di Lecce. Non a caso contemporaneamente alla festa religiosa si svolge la rassegna delle cantine del Parco del Negroamaro, cui partecipano anche i Primitivi di Manduria. “La nostra focara”, dice il presiden-te della Fondazione e sindaco di Novoli, Oscar Marzo Vetrugno, “è il simbolo dell’accoglienza e dell’unione perché chiama ormai a raccolta gen-ti da tutte le parti d’Italia. Affidandoci a grandi artisti come Mimmo Paladino abbiamo voluto far dialogare l’arte contadina con l’arte con-temporanea”. In pochi anni la festa è diventata un polo d’attrazione per il turismo invernale. E’ considerata infatti la versione invernale della Notte della Taranta, che ogni anno attrae a fine agosto, 100mila presenze in una sola notte. Uno studio condotto dall’Università Bocconi di Mila-no e finanziato con il Bando regionale Principi attivi della Regione Puglia ha messo in evidenza come la Festa sia stata in grado di rilanciare le attività legate al turismo. I bed and breakfast di Novoli registrano in quei giorni il tutto esauri-to, le trattorie tipiche sono al completo, mentre

i turisti prenotano anche negli alberghi di Lec-ce, pur di essere presenti alla grande cerimonia dell’accensione. Il giorno più importante è il 16 sin dalle prime ore del mattino, anche se la co-struzione della focara è iniziata un mese prima, il giorno dell’Immacolata con carretti tradizionali e trattori coordinati dal professore Guido Paglia-ra. Il comitato, guidato da Toni Villani, dà luogo alla cerimonia della bardatura. Con una lunga scala di legno i costruttori della focara, forman-do una vera e propria catena umana, vi depon-gono in alto l’effigie del Santo, passandosela di mano in mano con devozione. Nel primo pome-riggio avviene la benedizione degli animali, cui il Santo era legato. Così si vedono cagnolini, gat-ti, ma anche uccellini nelle loro gabbiette e pic-coli criceti con i loro padroni. Nella tarda serata, dopo la processione con la Statua del Santo, che attraversa le vie del paese, avviene l’accensione della Focara tra Fuochi d’artificio e luminarie.Nel Salento, del resto, operano tra le più grandi ditte al mondo specializzate nell’arte dei fuochi d’artificio e delle luminarie, la cui arte si ispira al barocco leccese. Infatti su impalcature di legno intagliato si montano tantissime lampadine co-lorate che ricordano il barocco delle chiese.

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Giovedì primo marzo in una gremi-ta sala Radetsky di palazzo Cusani, il Gen. Samuele Valentino ha pre-sentato la sua fatica letteraria “Un tesoro nascosto”. Il Generale medico dell’Esercito Italiano ha ripercorso le orme della sua vita, citando aneddo-ti e episodi significativi che hanno tratteggiato la sua carriera militare, ma anche l’attività di medico presso l’ospedale militare di Milano e che ha voluto riassumere in un volume che pur partendo da un viaggio a ritroso nel tempo, non aveva solo il sapore della nostalgia, ma anche una proiezione al futuro e quindi alla ri-cerca del “tesoro nascosto”, attività che ogni essere umano ha quasi il dovere di perseguire. Qualcuno ascoltando le parole provenienti dal libro, ha po-

tuto rivivere momenti della propria infanzia, magari persi nei pensieri del tran tran quoti-diano e riaffiorati dai cassetti della memoria all’improvviso. La serata, iniziata con l’intro-duzione del Gen. Camillo De Milato, padrone di casa, che ha redatto un profilo dell’autore e del libro, è stata ancora una volta brillante-mente moderata dall’Avv. Agostino Picicco, abilissimo a dettare i tempi della conferenza, garantendole un grande interesse da parte del pubblico in sala. A presentare il volume di Samuele Valentino sono altresì intervenuti, oltre al già citato Gen. de Milato, il Cav. Dino Abbascià, presidente dell’Associazione Regio-

nale Pugliesi di Milano, e il Dott. Giuseppe Selvaggi, in qualità di studioso di tradizioni popolari. Il Cav Abbascià, con sobrietà, ma con una forma tutt’al-tro che banale, ha sottolineato, oltre al viaggio nel

tempo, l’umanità che contraddi-stingue l’opera, mentre il Dott. Sel-vaggi ha sottolineato che un’opera del genere va riletta almeno un paio di volte per assimilare tutti i valori che contiene. Ospite d’onore della serata è stato l’attore-regista Gerardo Placido, che ha ulterior-mente valorizzato l’arte contenu-ta nel libro grazie ad una brillante interpretazione di alcuni passi. E a chiudere il tutto un rinfresco che ha permesso ai numerosissimi par-tecipanti di fermarsi ancora anche per farsi autografare dal Generale le copie dei volumi.

Un tesoro nascosto del Generale Samuele Valentino

di Stanislao De Guido

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Lo studio del giornali-sta pugliese Angelo Te-done descri-ve le vicende accadute nel-la provincia

b a re - se (in parti-colare a Ruvo, Bitonto, Gio- vinazzo) tra il 1848 e il 1865, ricostruendo meticolosamente la vicenda degli “sbandati” di Giovinazzo e Bitonto, con ampia do-cumentazione originale tra cui la pubblicazione dell’atto di accusa e della sentenza del 23 dicembre 1861, posta in appendice. Uno dei motivi, già auspicati dal Presidente della Repubblica per i festeggiamenti del 150° dell’Uni-tà d’Italia, era quello della riscoperta e promozione delle vicende minori del periodo risorgimentale. Lo studio di Tedone ben si colloca in questa scia, ricostruendo una pagina infelice della nostra storia locale grazie alle carte rinvenute presso l’Archivio di Stato di Bari e Trani rela-

tivamente a vicende prece-denti e successive all’Unità d’Italia, ben presentate all’inizio dagli scritti intro-duttivi del Presidente del Centro Studi Meridionali, Giuseppe Tulipani, e del Direttore dell’Istituto pu-

gliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contem-poranea, Vito Antonio Leuzzi. Quando si parla di Risorgi-mento tutti pensano ai grandi personaggi storici come Cavour, Garibaldi, Mazzini, re Vittorio Emanuele II. Ma il Risorgimento ha avuto anche in Puglia le sue tappe stori-che, le sue date importanti, le sue battaglie, i suoi martiri, le sue eroine che hanno pagato con la vita l’attaccamen-to a un ideale di unità, di liberazione e di risollevamento delle condizioni sociali: persone di ingegno, precursori nel campo delle scienze e del pensiero, personaggi che una scarsa valorizzazione delle glorie locali e della diffu-sione della loro memoria ha fatto si che ora siano ignoti a tutti. Nonostante ci siano strade a loro dedicate, nessuno sa chi sono o ricorda le loro gesta. Sempre il Presidente della Repubblica Napolitano in questo periodo ha spes-so ricordato che la storia non rappresenta solo il passato ma anche l’identità di un popolo e per questo contribui-sce a costruire il futuro della Nazione. Che sia questo un auspicio perché vengano ancora effettuati e divulgati studi documentati su personaggi di quel periodo, da sot-trarre all’oblio nel quale il tempo e l’indifferenza li han-no collocati, per ritornare ad essere esempio e monito per tutti anche oggi, dove non è richiesta l’effusione del sangue per professare le proprie idee, ma è richiesta la presenza di idee sostenute da fattivo impegno e dai va-lori di lealtà, abnegazione, disinteresse e generosità per la causa pubblica e per la crescita della collettività. Il vo-lume può essere acquistato in esclusiva dal Centro Studi Meridionali scrivendo a [email protected].

Il parroco della concattedrale di Giovinazzo, don Bene-detto Fiorentino, dopo le fatiche estive culminate nel volume sull’icona della protettrice, del quale si è già detto in queste pagine, si cimenta ancora con la scrit-tura e produce un’altra opera di carattere culturale e pastorale. Questa volta il parroco giovinazzese ha vola-to alto cimentandosi in tematiche nazionali. Ha messo a frutto la sua esperienza di padre spirituale di quattro confraternite giovinazzesi e ha valorizzato un’attività di collaborazione con la Confederazione delle confraterni-te delle diocesi d’Italia con sede a Roma, pubblicando il volumetto Confraternite, identità e carisma, risultato di intenso studio e della sua esperienza sul campo. Il vo-lumetto, pubblicato su richiesta della Confederazione italiana delle confraternite, infatti, è destinato ai sodalizi di tutta Italia e si avvale del prezioso supporto scientifico del prof. Danilo Zardin dell’Università Cattolica di Milano, un’autorità nel campo degli studi confraternali. Lo stile è semplice, la struttura chiara: dopo un’ampia introduzio-

ne sulla storia e le caratteristiche dei sodalizi confraternali, il volume

tratteggia linee di impegno e spiritualità del confratello alla luce della liturgia, della pietà popolare e dell’attività caritativa. Alcuni paragrafi significativi riguardano la pre-senza delle donne e dei giovani, e accenni di diritto ca-nonico utili per risolvere questioni relative agli usi e alla tradizione. La Confederazione, che si occupa della diffu-sione del volume, ha altresì annunciato che tale testo è il primo di altri studi relativi al mondo confraternale.

Angelo Tedone, Ruvo di Puglia verso l’Unità d’Italia, Centro Studi Meridionali, Giovinazzo 2011

Confraternite, identità e carisma

RECENSIONI A CURA DI AGOSTINO PICICCO

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La Puglia mi ha fatto sentire a casa. Parlare della Puglia, dei suoi sapori e dei suoi colori non è difficile. Il mio primo contatto con quella terra, mi ha dato un’immensa allegria al cuore. Gente assolutamente cordiale, gentile, genuina e sorridente. Vivo al nord Italia, dove sono abituata a vedere gente che corre costantemente e che spesso non ha tempo per dedicarsi un po’ ai propri affetti, “Il lavoro” una priorità assoluta, bisogna correre e fare il meglio possibile per far fruttare al massimo le opportunità lavorative che si trovano qui. Io, che sono brasiliana e che vivo lontana dalla mia terra da diversi anni, ho la sensazione di avere tante cose in comune con i pugliesi e credo che anche i pugliesi che vivono al nord Italia da diversi anni per motivi lavorativi o famigliari, sentano costantemente quella dolce nostalgia, come capita spesso anche a me, della mia dolce e calorosa terra. Per questo, vorrei esprimere attraverso queste parole tutta la mia ammirazione per “L’associazione dei Pugliesi a Milano”, dove ho potuto trovare, non soltanto un gruppo di persone in gamba, sensibili alla cultura in generale e con grande tenacia nel portare ai propri conterranei un po’ della AMADA PUGLIA! Ma sono felicissima di dire che ho trovato anche un gruppo di amici, con cui spesso ho il piacere di condividere meravigliosi momenti di scambio culturale e di sorrisi gioio-si, come nell’ultima occasione del “Premio ambasciatore delle Terre di Puglia”, un bellissimo evento, che mi ha lasciato davvero nel cuore l’immagine di un popolo che custodisce l’amore, l’allegria e la genuinità della propria terra con molto impegno e serietà, cercando di mantenere viva la Puglia anche se in mezzo ci sono tanti chilometri di distanza. L’altra cosa di cui vorrei parlare è la Rivista “Tacco e Sperone” diretta dal Dott. Agostino Picicco. Perché questa rivista è un altro modo per tenere la fiamma culturale sempre accesa, un modo di portare a piccoli e grandi pugliesi che vivono lontani dalla Puglia, la cultura, le tradizioni e valori in modo assolutamente impeccabile.Complimenti a voi, che avete attraverso un sogno realizzato concretamente: Associazione, Premio Amba-sciatore di terre di Puglia, la rivista Tacco e Sperone e sicuramente tante altre belle cose. Quello che fate è un grande esempio d’amore verso il vostro popolo, valori, cultura e tradizioni. I miei amici Pugliesi, a cui sono molto affezionata, ogni giorno mi sorprendono per la capacità di fare una cosa secondo me stupenda: il condividere! Condividere tanto, ricordandosi sempre da dove sono usciti e con quale onore vivono l’orgoglio delle proprie radici. Con ciò posso solo dire che meritate APPLAUSI, gente come voi merita APPLAUSI, ed io fiera delle parole che ho scritto dico con grande am-mirazione: VIVA LE TERRE DELLA PUGLIA, un pezzo caloroso e genuino d’Italia. Un abbraccio forte al Pre-sidente Dino Abbascià, Giu-seppe Selvaggi, Agostino Picicco, Giuseppe De Carlo, Maria Rosaria Chirulli (cara amica pugliese che mi ha fatto conoscere il suo mera-viglioso popolo e la sua bel-lissima terra) e a tutti i cari amici Pugliesi.

Geovana Cléa(Pittrice Brasiliana)

“SE DOVESSI NASCERE ITALIANA, E POTESSE SCEGLIERE, SCEGLIEREI DI NASCERE NELLE

TERRE DELLA PUGLIA”

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E’ molto in sintonia con il perio-do di Quaresima che stiamo vi-vendo la mostra sul tema della Crocifissione, dedicata da orga-nizzatori e artisti al caro Dome-nico Montalto, giornalista di Av-venire e critico d’arte versatile e apprezzato, venuto a mancare al termine dell’ultima estate. Il tema della croce ha molto “in-teressato” Domenico - che in qualche modo aveva anche pro-grammato questa mostra - e ha costituito per lui il punto di rife-rimento per una interpretazione dell’esistenza nel suo orizzonte di redenzione. La croce, simbolo di morte e di sconfitta, è diventa-ta la metafora attorno alla quale si articolano i dolori, le amarezze, le sofferenze, le delusioni, i tradi-menti, le solitudini e le incom-prensioni dell’uomo. La croce segna i drammi sociali (guerre, terremoti, ingiustizie planeta-rie) e le meschinità quotidiane (invidie, maldicenze, piccole cattiverie). Ma la morte di Cristo crocifisso, grazie alla sua glorio-sa risurrezione, ha riscattato il simbolo di infamia e di dispera-zione che la croce rappresenta-va, per indicare che al termine della vita, dopo la morte, c’è ap-punto la risurrezione, il riscatto, la felicità, il dono totale di sé. La croce diventa allora un passag-gio obbligato, un cammino di dolore per favorire la maturazio-ne dell’uomo e permettergli di comprendere eventi non calco-lati e non previsti, come pure è stato per la morte di Domenico. Una morte inaspettata, dura da accettare dato che si trattava di

un uomo nel pieno vigo-re umano e professiona-le, all’apice del suo pen-siero artisti-co. In questo contesto maturavano i suoi alti ideali e prendevano corpo i tanti progetti artistici e letterari che metteva in cantiere e che erano caratterizzati dal suo modo di fare discreto, amichevole, rispet-toso, sempre carico di premure e attenzioni verso chi ha avuto la fortuna di condividere un tratto di strada con lui. La dimensione poetica della vita, la competen-za non ostentata, la bontà inna-ta, le capacità organizzative che lo rendevano appassionato, vul-canico e determinato operatore di cultura, la delicatezza nei rap-porti, la giovialità del tratto sono tutti elementi che chi l’ha avvi-cinato e l’ha avuto amico sicu-ramente riconosce e rimpiange. Una morte fatale quella di Do-menico, che trova la sua motiva-zione nella fede e nell’amore. La sua scomparsa, nella prospetti-va della croce, ci fa misurare ogni giorno col dolo-re e con l’amore, che sono gli ele-menti attraverso i quali si manife-sta e si realizza la volontà di Dio. E solo l’amore ci permette di es-sere fedeli agli

appuntamenti col Signore, ap-puntamenti che non seguono la nostra logica e i nostri tempi, ma ci chiedono una sequela e un’at-tesa da innamorati. L’amore è la fonte della croce: nell’orizzonte della croce ammiriamo (e medi-tiamo) queste opere d’arte, tutte così significative, tutte unitaria-mente legate ad un messaggio di salvezza, reso attraverso l’ori-ginalità, la sensibilità personale e l’esperienza di vita del singolo artista, grazie alla raffigurazione di intense espressioni, miste di dolcezza e malinconia, evocative di mistero. Tale mostra, che ha il merito – pur nella durezza della Crocifissione - di farci intravede-re le gioie, le speranze, le novità e i fulgori della risurrezione, non ci offre segnali di morte, ma di vita. Anzi di vita eterna!

In ricordo di DOMENICO MONTALTOdi Agostino Picicco

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A Kerch non fa freddo... Il ricordo delle sofferenze subite 70 anni fa, il 29 gennaio 1942, quando per volere di Stalin oltre duemila ita-liani da tempo residenti in Crimea furono arrestati e deportati in Ka-zakhstan, i singhiozzi, il pianto ri-tuale e liberatorio scaldano l’ani-mo della piccola comunità degli italiani, per lo più pugliesi soprav-vissuti alla tragedia, e dei loro discendenti, figli e i nipoti degli emigrati, che in due ondate, ne-gli anni ’30 e ’70 dell’Ottocento, si erano trasferiti in Crimea, ormai ben integrati nella società locale. La cerimonia è stata preceduta da un incontro con la comunità italiana il giorno prima nella sede della Associazione Cul-turale “Il Cerchio”, dove la infatica-bile presidente Giulia Giacchetti Boico tiene vivo il lume delle origi-ni, organizzando dei corsi di lingua italiana. L’incontro è l’occasione per la presentazione della delegazione, che partecipa quest’anno alla cerimonia, in-viata dall’Associazione Regionale Pugliesi di Milano e della Associa-zione Uomo Libero di Trento. Un piccolo locale dove trova posto l’essenziale e sulla parete gli ele-menti distintivi della loro italia-nità: le foto, le cartoline illustrate di città italiane, la bandiera trico-lore e la carta geografica politica dell’Italia. Un angolo del nostro paese, come si può capire, ricco di suggestioni e di emozioni, so-prattutto quando si sentono par-lare questi nostri connazionali dai cognomi italiani, i vari Fabiano, i di Fonzo, i De Martino, gli Scolarino,

i Giacchetti, ecc. che conservano anche nei nomi l’origine italiana. Veramente commovente questa adesione ad una tradizione e ad un paese che, almeno finora, non si è meritato tanto attaccamen-to. La cerimonia del 29 gennaio inizia con la celebrazione della messa, officiata da don Casimiro in lingua russa. Ma quando risuo-na nella Chiesa, costruita proprio dagli emigranti italiani nel 1840, “Il Padre Nostro” recitato in ita-liano dal sacerdote allora l’emo-

zione si scioglie. …Anzi a Kerch fa freddissimo, la temperatura scende fino a –13 gradi mentre la piccola comunità italiana di ori-gine si reca, a fine funzione, sul pontile del porto della città per onorare le vittime della deporta-zione con un minuto di silenzio e con il lancio di garofani multi-colori in mare, che resta gelato. Da qui partirono i convogli della disperazione che trasportavano come carne da macello su vago-ni piombati alcune migliaia di italiani in direzione delle step-pe del Kazakhstan e delle lande ghiacciate della Siberia. Molti non sopravvissero alla fame, agli

stenti e alle malattie. I pochi su-perstiti restarono nei vari luoghi della deportazione e altri ritorna-rono a Kerch, la città di partenza. Una diaspora che non si riesce a ricomporre perché nel frattempo l’Unione Sovietica si è suddivisa in numerosi stati e la deportazio-ne della nostra comunità non è stata finora riconosciuta. Questo riconoscimento assume perciò un obiettivo imprescindibile per la nostra comunità. Da qui i con-tinui appelli alle Autorità Ucraine

e a quelle Italiane perché se ne fac-ciano interpreti. Inoltre gli italiani di Crimea si at-tendono azioni di solidarietà e di generosità dagli italiani della ma-dre patria e dalle comunità di ori-gine, soprattutto quelle pugliesi di Bari, Bisceglie, Molfetta e Trani, perché stabili-scano rapporti di conoscenza e di amicizia attraver-so azioni concre-te, quali borse di studio per i gio-

vani, inviti agli anziani che non hanno mai visto le terre di origine dei loro genitori e nonni, viaggi turistici che creino legami e indu-cano a visitare la Crimea, una ter-ra mitica, e la città di Kerch posta a guardiana sull’istmo fra il Mar Nero e il Mar d’Azov, luoghi fre-quentati già dagli antichi greci, che qui avevano fondato l’antica Panticapeo e avevano immagina-to i viaggi leggendari degli Argo-nauti alla ricerca del vello d’oro, e dalla Repubblica di Genova che aveva fondato Caffa, oggi Feodo-sia, e aveva sulla sponda opposta dei fiorenti presidi commerciali a Trebisonda e a Istanbul.

Gli Italiani di Crimea ricordano a Kerch il 70° della deportazione

di Paolo Rausa