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trentadue dicembre 2016 L’ecoapuano Mensile di politica, cultura e ambiente anno 27° * [email protected] * [email protected] * www.ecoapuano.it * tel. 3203684625 dicembre 2016 Carrara I violenti Alessandra Verdini , “Rose, lacrime e sangue - analisi e nuove strategie di contrasto alla violenza di genere a Carrara” edito da Sea P er gentile concessione del- l’autrice, ampi stralci di un capitolo del volume, il tredi- cesimo, intitolato “Il cerchio dei vio- lenti”, nel quale sono state trascritte alcune delle lunghe conversazioni che ha avuto nella casa circondaria- le di Massa con i condannati per femicidio. da pag. 28 a pag. 33 Nell'era dei muri E’ politico il filo spinato «T utto quanto fa busi- ness. Nell'era dei muri che si innalzano come monumenti della vergogna contro l'umanità sconfitta dalle guerre e dalla fame anche la produzione di filo spinato diventa un affare d'oro. Brilla in questo senso l'azienda spa- gnola European Security Fencing (Esf), del Gruppo Mora Salazar (nato nel 1975), con sede a Malaga, che fornisce fili di lamine in accia- io, le cosiddette concertinas, a ben venti paesi, europei e non. segue a pag. 2 Scuola con cane e senza porte Il dialetto nell’arte Alla scoperta delle risorse nascoste della città Sentenza agri marmifesri. Che fare? Legambiente Carrara Francesco De Psquale Giuseppe Scattina

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trentadue dicembre 2016

L’ecoapuano

Mensile di politica, cultura e ambiente anno 27°* [email protected] * [email protected] * www.ecoapuano.it * tel. 3203684625

dicembre 2016

Carrara

I violentiAlessandra Verdini ,“Rose, lacrime e sangue -analisi e nuove strategiedi contrasto alla violenzadi genere a Carrara” editoda Sea

Per gentile concessione del-l’autrice, ampi stralci di uncapitolo del volume, il tredi-

cesimo, intitolato “Il cerchio dei vio-lenti”, nel quale sono state trascrittealcune delle lunghe conversazioniche ha avuto nella casa circondaria-le di Massa con i condannati perfemicidio. da pag. 28 a pag. 33

Nell'era dei muri

E’ politicoil filo spinato

«Tutto quanto fa busi-ness. Nell'era dei muriche si innalzano come

monumenti della vergogna control'umanità sconfitta dalle guerre edalla fame anche la produzione difilo spinato diventa un affare d'oro.Brilla in questo senso l'azienda spa-gnola European Security Fencing(Esf), del Gruppo Mora Salazar(nato nel 1975), con sede a Malaga,che fornisce fili di lamine in accia-io, le cosiddette concertinas, a benventi paesi, europei e non.

segue a pag. 2

Scuolacon cane e senza porte

Il dialetto nell’arteAlla scoperta delle risorse nascoste della città

Sentenza agri marmifesri. Che fare?Legambiente CarraraFrancesco De PsqualeGiuseppe Scattina

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Filo spinato da pag. 1Riescono a fabbricare fino a 10chilometri di reti metalliche algiorno, recinzioni elettrificate,barriere metalliche, dissuasorianti-arrampicata. Il premierungherese Viktor Orban ne haacquistati 176 km per dispiegar-li lungo il confine con la Serbiama anche Grecia, Macedonia,Polonia, Turchia. E ora si appre-stano a farlo i britannici...L'esperienza che ha portato laMora Salazar alla ribalta è statala commessa spagnola per Ceutae Melilla con 8,2 km di reti e filospinato con telecamere e sensoridi controllo acustici e visivi. Unaffare da 30 milioni di euro conla partecipazione di fondi comu-nitari. Naturalmente per essereconcorrenziali sul mercato, que-ste barriere devono essere effi-cienti, ovvero devono fare male epertanto sono studiate in manie-ra tale da ferire seriamente chiintendesse misurarsi col filo spi-nato. A farne le spese sono tuttequelle persone che fuggono daguerra e fame per ritrovarsi difronte a muri insormontabili e,talvolta, letali. Con buona pacedi chi fa affari anche sulla dispe-razione» 15 settembre 2016

Tonio Dell'Olio

Il filo spinato ha una storia,facilmente ripercorribile, per-chè è nato alla fine dell’800,

negli Stati uniti come è noto anchedai film o western dedicati alleguerre del filo spinato. Era il 1874, quando un contadinodell'Illinois, J. F. Gidden ne bre-vettò l’invenzione, poi perfeziona-ta, al fine di permettere la recinzio-ne delle terre messe a colturanell’Ovest dopo che gli Stati Unitiavevano deciso di riprenderel’espansione al di là degliAppalachi, per mettere a disposi-zione dei contadini poveri terrenicoltivabili. Ma la sicurezza e lasopravvivenza dei nuovi insedia-menti agricoli erano messi in peri-colo dagli animali selvatici, dallegrandi mandrie degli allevatori chesfruttavano le praterie senzapadroni, per alimentare e trasferireverso est il loro bestiame e dagliindiani. Il filo spinato, dato il rela-tivo basso costo rispetto alle recin-zioni in legno o pietre, la facilitàdi trasporto e di installazione, laresistenza e l’efficacia nel blocca-re il passaggio di animali e uominifu quindi decisivo nella storia delfar west. La Produzione, che nel

1875, di filo spinato, era di 270tonnellate, nel 1901 arrivò a135.000. Nel 1887 il Dwes At stabiliva lalottizzazione delle terre deiPellirosse a favore dei coloni bian-chi. e il filo spinato servì egregia-mente per dividere lo spazio aper-to e collettivo a cui gli indianierano abituati e che costituiva lecondizioni della loro sopravviven-za. Gli indiani si trovarono così adover vivere entro uno spaziosempre più spezzettato e recintato,

divisi tra di loro r prigionieri dellerecinzioni.

Fine della cultura dei pellirosseIl filo spinato permette quindil’occupazione e l’usurpazionedelle loro terre e comunitaria ren-dendo impossibile il nomadismo ela caccia. Il mondo indiano scom-pare fisicamente e culturalmente.Ma il filo spinato fu causa di altreprofonde trasformazioni.

Fine del Far WestImpedendo la libera circolazionedel bestiame, tramontano anche imodelli di vita dei cow-boy e ilpotere dei grandi allevatori, i baro-ni del bestiame, che tentarono sìall’inizio di opporsi alle recinzionidando vita a feroci guerre del filospinato, ma alla fine dovetterocedere alla coalizione dei grandi

proprietari terrieri, dei politici edei giudici. La vita nei gradi spazisconfinati e nomade dei cow-boyscompare, sconvolta dal filo spina-to, anche se nasce il mito del FarWest. Il filo spinato diventa poi protago-nista di primo piano nelle guerrecoloniali e durante la prima guerramondiale a difesa delle trincee elungo le terre di nessuno, perchè edi facile installazione e resistebene ai bombardamenti.

Il filo spinato e la violenzaPiù tardi il filo spinato divental’elemento centrale dei campi diconcentramento nazisti, dove unadoppia recinzione percorsa da cor-rente elettrica e alta circa quattrometri, permette la gestione totali-taria dello spazio, rivelando il suofine primo, la trasformazione degliuomini in beste senza diritti equindi il suo significato totalmentepolitico, la realizzazione materialedel sogno totalitario, una societàdel dominio totale. E’diventato lametafora della violenza politica ,della brutalità del potere, che col-lega gli stermini moderni: l’etno-cidio degli indiani, la carneficinadel 1914 -’18, la soluzione finalenazista.

Il ritorno del filo spinatoFino a poco tempo fa, però il pote-

re simbolico del filo spinato sem-brava essersi attenuato, esserediventato un ricordo storico difronte a metodi e tecniche di con-trollo e gestione dello spazio, piùdiscrete anche se altrettanto vio-lente e più invasive e generalizza-te. Basterebbe pensare alle fotoca-mere di sorveglianza che ci con-trollano da ogni lato, in ognimomento e in ogni luogo, strade,banche edifici pubblici, supermer-cati, esercizi commerciali, manife-stazioni, riunioni, o alle registra-zioni di tutte le telefonate, attivitàbancarie, analisi sanitarie. Nonpossiamo muoverci e far niente,senza lasciare tracce. Viviamo giànel panopticon sognato da JeremyBantham fin dal 1791 e ripropostocome incubo da George Orwell in1984.

Filo spinato un grande business A cosa quindi potrebbe servireancora il filo spinato, invenzionetecnologica di 150 anni fa?I dati riportati all’inizio e forniti daTonio Dall’Olio, tolgono ognidubbio: produrre filo spinato o retiantiarrampicata è ancora un grossobusiness e il filo spinato restaancora un mezzo economico peraffermare dominio, esclusionegestione politica ed economicadello spazio.”Il simbolo del potererappresentato dalla capacità dichiudere gli spazi, di ostruirli conprepotenza... immagine negativadi una sovranità brutale”.

Guerre e frontiereI motivi sono da ricercare nellastoria europea ed extraeuropea,degli ultimi decenni, storia diguerra, in Yugoslavia, inCecenia, in Ucraina, in Kossovo,e poi in Iraq, in Siria, in Libano,ecc. che hanno determinato esodibiblici dalle zone di guerra efame e segnato il ritorno prepo-tente del filo spinato.

Filo spinato nel mondoNell’America Latina, il filo spina-to è il protagonista di grandiromanzi come quelli del cicloandino di Manuel Scorza, dove siracconta la storia delle espropria-zioni delle terre dei comunerosperuviani da parte dei latifondisti.Ma queste narrazioni epiche delpassato, parlano al presente, dico-no di noi, della storia contempora-nea, occidentale e capitalista,come ci ricorda, ad esempio, J.Douwe van del Poeg ne’ “I nuovicontadini. Le campagne e lerisposte alla globalizzazione”,

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che analizza come le grandi cor-poration impediscono la ripresa ecrescita dell’agricoltura contadina,della ricontadinizzazione, propriosequestrando, recitando terre erisorse come l’acqua, circondandodi filo spinato le comunità conta-dine e quindi impedendone lamobilità. Anche se le grandi cor-poration non esitano a ricorrere,come nel Far West; all’uso dellaviolenza e dell’assassinio, di fron-te alla resistenza delle comunitàcontadine che non sono dispostead abbandonare le loro terre. Nel Sahara occidentale, ilMarocco ha costruito una barrieradi 2400 chilometri di filo spinatocontro i Saharawi del Polisario,difesa da campi di mine e sorve-gliata da 160.000 militari, dotati diradar, mezzi e sistemi di sorve-glianza elettronica. Nel nord del paese, gli spagnolihanno realizzato intorno a Melillauna rete di filo spinato, per impe-dire l’ingresso di emigranti, che èstata finanziata dalla Comunitàeuropea. A guardia della barriera èschierato poi l’esercito marocchi-no che non esita ad allontanare edeliminare chi tenta di scavalcarla acolpi di mitra. Reti di filo spinato ci sono a Cipro,in Libano, a Gaza, da decenni, edovunque ci siano guerre, dispari-tà economiche gravi, povertà, con-fini pericolosi.

Filo spinato in EuropaAncora 15 anni fa, c’era chi scri-veva che “i fili spinati sono scom-parsi dalle frontiere dell’Europacomunitaria e dalle zone urbanedelle democrazie liberali” e che ilcontrollo che la Comunità eserci-tava ai suoi confini era ormaigarantito da sistemi meno visibili epiù discreti, videosorvegliana,metaldetector, metodi di indivi-duazione automatica dei volti dellepersone ricercate, ecc. e si esalta-va, nel 1989, la decisione del mini-stro degli esteri dell’Ungheria ditagliare, col suo omologo austria-co, il filo spinato che costituiva laCortina di ferro tra i due paesi.Niente di più errato di questa con-statazione e di meno esemplificati-vo del comportamento, oggi, diAustria e Ungheria, diventatecapifila, nell’Europa comunitaria,della chiusura delle frontiere.

Filo spinato in ItaliaOgni paese europeo ormai, Italiacompresa, ha i suoi numerosi cen-tri di detenzione, le sue “Jungle”,che chiudono, dentro recinti difilo spinato aggiornato gli immi-

grati in autentiche riedizioni deicampi di concentramento. E’ evi-dente che l’immagine fortementenegativa e politicamente contro-producente del filo spinato inquanto simbolo dei campi di con-centramento e sterminio, ha perso,oggi, gran parte del potere di inter-dizione al suo uso. Non ci evocapiù i campi di sterminio, come ilricordo dello sterminio degli ebrei,non ci ripara più dal razzismoesplicito e rivendicato non solodella destra, ma diventato sensocomune e potente strumento dipropaganda elettorale.

Filo spinato per ricchiMa il tema, l‘angoscia dellasicurezza ha immesso il filo spi-nato, anche nella vita di moltieuropei e americani ricchi. Sistanno moltiplicando, in nomedella sicurezza, quartieri resi-denziali chiusi e separati dal tes-suto urbano che li circonda, sor-vegliati dal polizie private, tele-camere, carte magnetiche e,magari, alla sommità dei muri dicinta la presenza del filo spinatoelettrificato. Anche se sulla effi-cienza di questi metodi di sicurez-za-separazione andrebbe lettoancora, di Jena Jacobs, in “Vita emorte delle grandi città”, il capito-lo dedicato a “Le funzioni dei mar-ciapiedi e la sicurezza”. A 55 annidalla sua pubblicazione, ha ancoramolto da insegnare, nonostante il

ricorso, oggi, a tecnologie più sofi-sticate, allora inesistenti, che ten-dono a soppiantare, solo in questicasi però, l’uso del filo spinato,perché la sua vista resta inquietan-te, per chi cerca sicurezza e sereni-tà privata. Ma per quanto riguarda i cosiddet-ti extracomunitari il filo spinatonon solo non inquieta l’Europa egli occidentali in genere. Al con-trario li rassicura circa la determi-nazione e la ferocia delle politichesecuritarie e di respingimento. concui si affronta l’immigrazione daipaesi poveri, affamati, preda diguerre. La disumanità è diventatarassicurante e il razzismo non èpiù politicamente scorretto.

Conclusione indigeribile Per mantenere attiva la nostra indi-gnazione contro tutte le politichedi respingimento e securitarieeuropee e rendere impossibile latranquillità di coscienza e di dige-stione di chiunque, aggiungo, aconclusione, anche se con pochesperanze, una citazione dall’opera“I vivi e la Morte. Saggio sullamorte nei paesi capitalisti,Milano,1989, di Jaen Ziegler:“Sono partito per l’Africa nel1961. Prima in Congo, poi nelBurundi... Massacri orribili , care-stie spietate devastavano in quelmomento il Congo. In meno di 4anni il paese ha perso più di 2dei suoi 14 milioni di abitanti. I

bambini dei sobborghi diKinshasa, sdraiati su un fianco,torturati dalla fame, che gli avan-zi dei ristoranti di lusso di Kalinasarebbero bastati a saziare,vivranno in me fino alla fine deimiei giorni. I bambini neri nonpotevano entrare nella zona bian-ca: persino la mendicità eraloro proibita. Io li ho vistirifiutarsi di morire, rimettersi inpiedi. Fragili, con un’andaturagrottesca, simili a ragni gigante-schi in piedi o carponi, appog-giandosi gli uni agli altri, i piùgrandicelli portando o trasci-nando i fratelli più piccoli, ibambini scheletrici dei sobborghiavanzano verso il filo spinato diKalina. Al di là dello sbarramen-to i Gurka (mercenari indianiarruolati con i Caschi Blu delleNazioni Unite) facevano laguardia all’Hotel Royal e al quar-tiere bianco. Uno di loro puntò ilmitra verso l’alto. Una raffica asalve. Gli scheletri continuavanoa venire avanti. Giunti alla cintatutti crollarono. Rimasero sdraia-ti sul fianco, con gli occhi spa-lancati, in un’agonia che, peralcuni di loro, sarebbe durata oreintere. Altri in un ultimo guizzo, si butta-rono contro il filo spinato e virestarono impigliati, altri ancoraricaddero sulla pista, a bracciaspalancate e morirono”. Da allora la situazione non è miglio-rata: allora i poveri morivano a casaloro, di neocolonialismo, davantiagli alberghi di lusso, oggi, vengonoa morire davanti alle nostre coste eai nostri confini, per la democraziache gli abbiamo portato e non pos-siamo più far finta di non vederli edi non sapere.

* Di questa nota, suggerita dall’inter-vento di Tonino Dall’Olio sulla produ-zione di Filo spinato in Europa e scrit-ta per il numero di settembre, era statarinviata la pubblicazione, per motividi spazio, Va precisato che si tratta di un colla-ge di testi altrui. In buona parte pro-vengono da “Storia politica del filospinato”di Oliver Razac (OmbreRosse editore, 1991), singolare e poconoto saggio breve, da cui derivano,non solo l’impostazione generale diquesto articolo, ma le citazioni e il ria-dattamento di molti passi e frasi chenon sono state virgolettate, per nonappesantirne la lettura. Io mi sono limitato ad aggiungere eintercalare qualche aggiornamento ecommento, dati i 25 anni passati dallacomparsa del libro e a concludere conla citazione di Jean Ziegler. M. P.

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PerchéCastro non fu un dittatoreIntervista a Pérez Esquivel

Trovo sempre sbagliatoesprimere giudizi su per-sonaggi che hanno attra-

versato la nostra storia per lun-ghi anni e partecipato a grandiavvenimenti, sulla base di uno opochi lati emomenti della loroattività, tanto piùse su di essa ci sonopiù punti di vistadiversi, anche det-tati dalla propa-ganda e non analisie ricerche oggetti-ve. Ancor più sba-gliate e da rifiutarequelle valutazioni,ma sarebbe megliodire pregiudizi,che non tenganoconto del momentostorico e delle cir-costanze materialiin cu la vita di que-sti personaggi e leloro attività si sonosvolte. Per questoritengo inaccettabi-li le polemiche e leaccuse rivolte, inquesti giorni, contro FidelCastro di essere stato un dittato-re sanguinario e feroce. Su di luicorre una leggenda nera nonpropriamente favorevole, disin-teressata e autonoma, fruttodella propaganda ideologica, chenon ha molta attinenza conquanto da lui fatto. Non essendoun esperto di questioni cubane,ho deciso di pubblicare un’inter-vista a Pérez Esquivel, grandecombattente per la libertà e idiritti umani, che contro la vul-gata correte anticubana, difendeCastro dall’accusa di esserestato un dittatore.

di PAOLO G. BRERA

Si può essere contemporanea-mente un’icona viventedella difesa dei diritti umani

e della libertà dei popoli, e il piùgrande sostenitore di un leadercontroverso come fu Fidel Castro?

“Sì, Fidel era un era un fratello,per me; ed è stato uno dei più gran-di statisti del XX e del XXI seco-lo”, dice Adolfo Pérez Esquivel,premio Nobel per la pace nel 1980e professore di Cultura della pacee dei diritti umani all’Università iBuenos Aires, nell’Argentina incui nacque nel 1931. Dopo il golpemilitare si ribellò al regime tra-scorrendo più di un anno in carce-re, e per una vita intera ha lottatocontro le oppressioni. Ora è inItalia e presenta il suo ultimo libro,La forza della Speranza (Esperia,13 euro) scritto con il maestroDaisaku Ikeda, leader buddista epresidente della Soka Gakkai

Qual è la forza della speranza?“Sono i giovani, a cui dobbiamodare una speranza di vita. La pacenon si regala, si costruisce conazioni concrete; ma nessuno puòdonare quello che non ha. Quindila domanda è: come costruiamoun mondo migliore, una societàmigliore?”.

Fidel Castro ci provò. Ha falli-to?“Non esistono mondi ideali, solomondi possibili che dobbiamorendere migliori. In America Latina è miglioratamolto la costruzione della solida-rietà. Siamo popoli solidali, i giovanistanno assorbendo questa coscien-za e credo saranno loro a cambia-re questo mondo. Insieme alledonne, che erano emarginate eoggi stanno rivoluzionando moltecose”.

Con Fidel vi conoscevate perso-

nalmente, lo stimava e ne hascritto giudizi molto positividopo la sua morte; ma lei è pre-sidente di un’associazione inter-nazionale che difende i dirittiumani e la libertà dei popoli,entrambi concetti piuttosto rela-tivi nella Cuba di Fidel. Comeconcilia le due cose?“Fidel è sempre stato un rivolu-zionario e un grande intellettuale:è stato uno dei più grandi statistidel ventesimo e del ventunesimosecolo. Poca gente è arrivata alsuo livello di lucidità, e comerivoluzionario lavorò per la libertàdel suo popolo. Tutti lo attaccanodicendo che è un dittatore, ma

sapete chi è un dittatore?Chi gli ha preso la terra per

costruire Guantanamo, chi hacostruito le carceri di Guantanamoe tortura e uccide e fa sparire lagente”.

Si riferisce agli Stati Uniti?“Certo, al governo degli StatiUniti. Come possono gli Usa bloc-care un paese per più di 50 anniperché non gli piace? Quindi chi è un dittatore? Fidel ha formato le scuole e la retedi solidarietà sociale più grandedel mondo. E l’operazioneMilagro, che opera gratuitamentealla vista le persone in difficoltà inogni parte del mondo. I grandi paesi come gli Usa nonfanno niente, gratis. Con gli edu-catori del suo programma di alfa-betizzazione,Yo, sí puedo, Fidelha sradicato l’analfabetismo.Quindi di cosa stiamo parlando?”.

Questi sono i grandi valori e le

grandi imprese di Fidel Castro,quelli per cui disse “la Storia migiudicherà”. Ma si possonodimenticare i migliaia di mortiuccisi dal suo regime? E le cen-tinaia di migliaia di personescappate dall’isola perché noncondividevano le idee di Fidel enon potevano restare? Moltisono stati carcerati: possiamocancellare questo aspetto dellasua vicenda?“Le persone che sono andate aMiami erano appoggiate dagliUsa: sono controrivoluzionari.Non volevano la rivoluzione diFidel perché volevano mantenere iloro privilegi. Non quelli di tutti: i

loro.

Mi ha fatto unasensazione moltobrutta questo deni-grare Fidel dopo lasua morte. Che bas-sezza. Dev’essererispettato il ricordodi tutti i morti.Ma torno al discorsodi prima: Kennedyvoleva attaccareCuba ed è statosconfitto da Fidel edal popolo cubano. Certamente ci sonoprezzi da pagare, mabisogna guadare lacausa di questi prez-zi. Non sono semplice-mente oppositori materroristi. Bisognaavere una visuale

più ampia di come un uomo conpochi mezzi e in un paese blocca-to riuscì a mantenersi libero difronte all’oppressione di una gran-de potenza come gli Stati Uniti.Nessuno parla di questo, negliUsa. Non vogliono parlare diGuantanamo, né di Abu Ghraib,né di tutti i misfatti degli Usa inAmerica Latina”.

Cambieranno le cose, conTrump? In quale direzione?“Trump non capisce assolutamen-te niente. Gli direi: analizzi e indaghi, ma non può parlare con questa leggerezza per bocca deicubani che stanno a Miami. Pensoa tutte le difficoltà che ha affron-tato Obama in questo avvicina-mento a Cuba negli ultimi tempi,che è stato positivo anche seavrebbe dovuto farlo molto prima.Cuba è un simbolo della lotta perla libertà, e questo nessuno glielopotrà mai togliere”.

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Renzi in sette mossedi Massimo Michelucci

1) Su Arcore e Renzi

Nell’ambito della discussio-ne infinita sulla dialetticatra servo-padrone, che

Hegel usò addirittura per rifletteresul processo di autocoscienza, c’èchi ha scritto che una persona chesi fa aiutare ad indossare un cap-potto è di per sé già un “corrutto-re”, perché fomenta un atteggia-mento servile utile ad ottenerequalcosa. Accettato questo principio non misembra azzardato considerare cheun uomo che rappresenta il poterepubblico e che riceve questuantiistituzionali nella sua casa privata,e non nella casa del governo,appartenga alla stessa identicacategoria.Opportunità, contingenze, disponi-bilità di orari e tempi, sono, perentrambe le parti, solo miserimotivi che non reggono, nellasostanza, per giustificare la neces-sità di un incontro in un luogo dav-vero improprio.Se il paragone regge ed è validoesso impone una cruda valutazionedella visita, fatta ad Arcore, alPresidente del Consiglio SilvioBerlusconi da parte del Sindaco diFirenze Matteo Renzi. Il primo èun corruttore, mentre il secondonon è uno stupido, ma un corrotto.Naturalmente, ripeto, se si accettal’equiparazione al principio.21 Dicembre 2010

2) La decrescitaBauman ha spiegato l’incertezzache padroneggia il nostro mondoglobalizzato con il fatto che ormaiesistono solo consumatori immersinel brodo frenetico dell’acquisto,un mostro che considera l’uomo, e

la sua appartenenza alla societàcivile, solo ed unicamente attra-verso le cose che riesce a compra-re, in una sorta di obbligata omolo-gazione che comporta l’alienazio-ne di sé, ed ha definito tale situa-zione come Società liquida.Questa sua figura comporta meta-fore a vari livelli.Se si pensa all’Italia, infatti, nonpuò non venir in mente una vera epropria liquefazione, ossia unaliquidazione, che non può cherimandare al fallimento.

Non so ben individuare una solu-zione futura a tale situazione, madi certo so che il curatore fallimen-tare difficilmente diventa arteficedella nuova società che può scatu-rire dalla fine-salvataggio dellavecchia, perché egli è appunto un

tecnico, che si intende di tagli, dieconomie, di quadrature di conti,di correttezza delle carte, ecc.,mentre per rifondare una societàoccorre soprattutto anche animo,cioè soffio vitale. Per questo, cioè per come la inten-do io, non vedo proprio un futuroper Monti, né tantomeno perRenzi.Se si pensa al mondo in generale,la liquidità di Bauman alla fine favenire alla mente il mito del dilu-vio, e di conseguenza quello del-

l’arca. Io c’ho le mie idee sul chi farvi sali-re, ma mi sembrano quisquilie difronte al tema del disastro totale, eoltretutto non sono un vendicativo.Intravedo invece con maggioresicurezza una risposta sul che faredopo: aspettare che tutto asciughi epoi tornare alla terra.Anche questa è una metafora che siapre a moltissime interpretazioni divario genere: filosofico, sociale,materiale, etico, economico e viadicendo. La mia si può riassumere in unaparola: decrescita, che se intesa inmaniera giusta e positiva, e noncerto come accade nel senso del-l’impoverimento, non deve spaven-tare assolutamente nessuno. Ineffetti la decrescita deve essereintesa come riequilibrio. Che a suavolta non deve essere visto, con isentori miopi dell’homo economi-cus, come l’atto che permette la sal-vaguardia del bilancio di una s.p.a..Io in verità penso più propriamenteall’uomo e alla natura e lo intendocome un ritorno alla vita, un ritornodella vita. Riequilibriamoci!(6 ottobre 2012)

3 A scatola chiusaA scatola chiusa non ho mai com-prato niente, nemmeno Arrigoni,anche perché la conserva di pomo-dori e le marmellate in famiglia sison sempre fatte da noi. A dir la verità un tempo fui tenta-to di comprare una Citroen AXperché prometteva di blindare ilcofano motore con garanzia di 100mila km, la cosa mi attirava perchécon le auto non ho mai voluto per-dere tempo. Ma andai a vederla ed

segue a pag. 6

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Castro non fu un... da pag. 4E l’atteggiamento degli europeicome lo giudica?“Qui in Europa si parlava tantissi-mo del presidente venezuelanoHugo Chávez: era un visionario,un uomo dell’integrazione latinoamericana e continentale. È statoun leader, ma in Europa ne parla-no come un dittatore. Ma chi sonoi veri dittatori? Perché non parlia-mo dell’Iraq e delle bugie di Bushper invaderlo. La stampa europeadeve adottare un’ottica più pro-fonda riguardo al diritto alla liber-tà dei popoli. Fidel era mio amico,mio fratello. Abbiamo parlato tan-tissimo, e ha sempre avuto unagrande responsabilità sociale eun’etica rigorosa. E questo è

l’esempio di un rivoluzionario perla libertà, non per l’oppressione. Al contrario, gli Usa sono unpaese oppressore, non solidale colpopolo”.

Quante volte vi siete incontrati,con Fidel Castro?“Molte; ma avrei voluto fossero dipiù”.

L’ultima?“Tre anni fa: abbiamo parlatonove ore! Abbiamo discusso ditutto il mondo parlando di svilup-po e sfruttamento, di risorse natu-rali e dei danni che provocherannolo sfruttamento irrazionale delpetrolio e il fracking. E di come bisognerebbe unire i

popoli, per essere liberi: attraver-so l’unione latino americana, conil diritto all’autodeterminazione”.

E del diritto alla proprietà pri-vata? Di quelle altre libertà chea Cuba stanno lentamente avan-zando solo adesso, ne avete par-lato?“La proprietà privata non ha piùsenso quando tutti hanno la possi-bilità di avere una casa degna.Una cosa è l’individualismo,un’altra è la solidarietà”.

Cosa l’ha colpita di più, diFidel?“Il suo umorismo”.

Era simpatico?

“Molto, abbiamo riso tantissimoinsieme. Non era affatto un uomotriste, era molto allegro. Sonoandato con lui nei villaggi diCuba: conosceva le donne, i mari-ti, i bambini, tutta la famiglia, echiamava tutti per nome. Ora vi racconto una piccola storiadi Fidel: aveva molti amici religio-si, tra cui Sergio Méndez Arceo, ilvescovo di Cuernavaca inMessico. Un lottatore incredibile.Il vescovo aveva detto a Fidel: tusei l’uomo mandato da Dio per ilsuo popolo. E io guardavo Fidel che lo ascolta-va pensoso, accarezzandosi labarba. Poi di colpo gli ha detto:Sergio… non ti credo, pero mipiace!”.

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Renzi in sette mosse da pag. 5era davvero brutta, un muso dascemetto, e mi dissi: Eh no!Proprio così no! Anche la bellezzanella vita vuole la sua parte. E cirinunciai. Ma davvero è statol’unico mio tentennamento.Spero che questo mio ricordo nonsia inteso come metafora negativaverso Renzi, la sua faccetta e lasua offerta a scatola chiusa, pren-dere o lasciare. No davvero!Anche perché la mia avversioneverso di lui è più profonda ed asso-luta. Non riguarda, infatti, il conte-nuto della scatola, ma il metodocon cui la si costruisce. Devonoessere in tanti a farla, a partecipareal progetto, ed alla sua realizzazio-ne, altrimenti non mi inganna piùnessuno, nemmeno con il più belpacco di natale del mondo.Ormai ho capito, abbiamo capito,che non è il contenuto o il pesodella scatola che ci può far felici,ma il costruirla assieme, ognunooffrendo le sue braccia e le sueidee, tutte uguali al pari delle altre.Mi rendo conto che con tale discri-mine butto a mare anche il Grilloed il Casaleggio, che una certasimpatia me la suscitano, e certescatole le hanno fatte addiritturacon 20 o 30 mila indicazioni diret-te, che equivalgono, nel nostropaese, ad una vera bomba didemocrazia!Però al contempo mi rinfranco checon tale livella sarà impossibileper chiunque cascare nelle trappo-le del Berlusca, che matto com’èpotrebbe regalare scatole da 1000euro ogni mese, e nemmeno nellebraccia del democraticissimoObama che lusinga con la scatoladell’ordine mondiale, costruitaperò con le bombe.Il problema grosso e come dire aGrillo, Renzi, al loro maestroSilvio, nonché all’Obama, chenon siamo più socialisti, né comu-nisti, ma dopo tante vicissitudinied evoluzioni, con fatica ma orgo-glio, siamo ritornati ad esserefinalmente anarchici. Si cagheranno sotto?(15 aprile 2014)

4) Renzi ha detto che iSindacati ce l’hannocon lui perché toglieloro il potereMi sembra che si possa dire che intal modo abbia di fatto confessatola sua strategia politica: toglierepotere ai partiti, al parlamento, allebanche, agli industriali, ai giudici,alle leggi, alla corte Costituzionalee ai Tar, ed anche alla Corte deiConti, etc.

Peccato abbia iniziato proprio daisindacati, avesse iniziatodall’Assindustria sarebbe statomeglio, invece l’ha sistemata nelsuo governo. Ma a parte questebazzecole resta un neo di fondo: alui chi gli ha dato il potere ditogliere il potere? E a chi rimane ilpotere se viene tolto a tutti? A unosolo che dice o si fa così o si va acasa? Le cose però non funzionanocome pensa lui.Il problema ora è: chi glielo dirà?Non c’è più nemmeno Di Pietroche almeno a Berlusconi in parla-mento, mentre questi sorridente e

strafottente stava uscendo con lamanina alzata a salutare tutti, gligridò: “Ecco esca da quest’aula,abbia coraggio, vada a consegnar-si alla giustizia”.Bei tempi! Viene quasi da dire:c’era più democrazia.(10 maggio 2014)

5) Su Arcore Legge AcerboPiù che alla legge truffa di DeGasperi, che truffa invero non era,perché prevedeva un premio a chiavesse ottenuto il 50% + 1 dei voti,di fronte ai pericoli della leggeelettorale promossa dall’attualegoverno di Renzi il richiamodovrebbe andare più propriamentealla legge elettorale detta Acerbo,discussa e approvata nel 1923.Con essa il Fascismo si accomunaal Reichtag tedesco che votò ipieni poteri a Hitler nel 1933, oalla riforma di Petain del 1940.Con la Legge Acerbo, infatti, checoncedeva i 2/3 del parlamentoalla lista che a livello nazionaleavesse ottenuto il 25% dei voti, di

fatto si regalava la maggioranzaparlamentare all’esecutivo: “per-mettendogli di introdurre, senzaviolare la legalità formale, le inno-vazioni più traumatiche e più lesi-ve della legalità statuaria sostan-ziale, compresa quella che consi-steva nello svuotare di senso leprocedure elettorali, trasforman-dole in rituali confirmatori da cuiera esclusa ogni possibilità di scel-ta”. Questo giudizio severo è diuno dei massimi storici delFascismo, Giovanni Sabbatucci,che mette in mostra con parolesemplicissime la valenza del NO a

leggi elettorali come la Renzi-Boschi.Del resto il gran vecchio storico,maestro di molti di noi, GiorgioCandeloro, aveva annotato che ilRe, il piccolo re che aveva cedutoal fascismo, non aveva inserito lalegge elettorale nei pieni potericoncessi a Mussolini, nominatocapo del governo, con legge 3dicembre 1922, n. 1601.Anche questo, per chi non è sordoo cieco, dovrebbe pur significarequalcosa, il nostro piccolo Re èconsiderato uno che aveva conse-gnato l’intero paese a Mussolini,senza alzare la voce su niente.Queste riflessioni e questi fattidovrebbero far ben pensare tuttigli italiani.Non si sta discutendo in effetti dinoccioline, nemmeno di quelleamericane!(18 maggio 2016)

6) L’art. 70 della costituzione renzianaL’art. 70 delle riforma costituzio-nale Boschi-Renzi, che ho provato

a leggere, è davvero indecifrabileper la gente comune come me, maormai è assodato anche per fior dicostituzionalisti che ne hanno con-dannato la farraginosità e la ogget-tiva incomprensibilità.Tanto è vero che ormai è l’obietti-vo sacrosanto di chi critica lalegge di riforma.Anche in ciò Renzi ha deluso per-ché era stato vissuto come promo-tore di semplificazione della buro-crazia, ed anch’io, per esempio, seavessi trovato un articolo chiaro,sarei stato più facilitato a scenderenel merito e a scegliere di conse-guenza, senza rischiare di finire inatteggiamenti preconcetti.Una legge scritta in tal modo servesolo a portare acqua ad atteggia-menti sociali superficiali, per iquali si è portati a ritenere lagestione del potere (legislativo,esecutivo, giudiziario), per tutto loStato e i suoi Organi, fin giù finoai Comuni, come un compito com-plesso e difficile, che abbisogna dispecialisti. L’esatto opposto delprogramma annunciato da Renzi.In effetti la gente comune si senteestromessa dalla possibilità digestione e finisce per condannareancor di più tutto e tutti, in quantola complessità diventa una giustifi-cazione per chi si è arreso allapolitica, per chi esprime una con-danna a priori della stessa, in varieforme, dalla scelta di voto populi-sta della destra, a quella certo piùarticolata ma ancora con caratteredi rifiuto della politica dei CinqueStelle, a quella dell’esercito degliastensionisti.La gestione del potere non sarebbecioè accessibile alla cosiddetta“gente comune”.Del resto come dimenticare chenella nostra città ci sono stati sin-daci eletti proprio da questo sensodi antipartitismo contro il sistemapolitico che pervadeva il tessutosociale, in modo ormai così forteda provocare appunto un rigettospontaneo, non ragionato, nonappunto politico? Sulla base del discorso del tecnici-smo delle leggi e della famosagovernabilità è stata da più partecitata la famosa frase di Lenin che,secondo Majakovskij, disse: “Noi,anche ad ogni cuoca insegneremoa dirigere lo stato”. Forse la frase è una leggenda,comunque il senso della politica diLenin fu quello di far arrivaredirettamente anche gli operai e isoldati all’amministrazione delloStato, e non solo la nomenclaturadella borghesia e dell’aristocrazia,

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1949 - 2014

Una storia ininterrottadi alluvioni annunciate

Pubblico qui gli appunti del miointervento nella giornata di ricordoorganizzata a Marina di Carraradal Movimento 5 Stelle il 5 novem-bre 2016 a due anni di distanzadall’alluvione del 2014. Erano statiinvitati come relatori vari tecnici,esperti e giornalisti non apparte-nenti al movimento, come legitti-mamente ci tenne a precisare ilmoderatore all’inizio del dibattito.Tra gli invitati c’erano AlbertoGrossi, la rappresentante dellaLegambiente, Antonioli, il profes-sor Pizziolo, il sottoscritto comedirettore di Trentadue - Ecopuano ealtri. M. P.

Qualche anno fa ci fu il refe-rendum per affermare chel’acqua era un bene pub-

blico. Il risultato non è stato poirispettato, ma l'affermazione diprincipio almeno resta. Però, pensandoci ora, col senno dipoi, mi sembra che sia stato unreferendum molto limitato: abbia-mo difeso e affermato che l’acquache arriva ai rubinetti di casa è unbene pubblico, ed è giusto che siacosì, ma non abbiamo abbastanzasottolineato invece che tutta l’ac-qua e il sistema della sua circola-zione naturale, i fiumi, i torrenti, iruscelli, le falde, le fonti ecceterasono beni indisponibili della collet-tività e che chi li vuole utilizzaredovrebbe rispettare regole ferree erisponderne alla collettività. Dico questo perchè mi sembrainvece che sull’acqua - come anche

sull’aria - sia ancora diffusa l’ideache si tratti di una risorsa rinnova-bile senza limiti, di cui si può fareuso e abuso libero e impunemente,per i propri business, produzioni,

profitti e interessi privati. O megliose ne possono appropriare impune-mente alcuni, per le proprie produ-zioni, per i propri affari, per utiliz-zarla senza limiti e rispetto, persinoper commercializzarla, facendoselapagare a caro prezzo (penso a Gaia)e limitandone l’utilizzo. E questoha permesso e permette abusi e cri-mini di ogni genere, sui quali c’èstata scarsa sensibilità collettiva daparte della maggioranza dell’opi-nione pubblica, ancora oggi troppodistratta e indifferente.Le inondazioni che hanno funestatoquesto territorio negli ultimi quin-dici anni, ne sono la dimostrazione. Ce ne sono volute quattro almeno,quella del 2003, quella del 2010,quella del 2012 e quella del 2014,senza parlare degli allagamentiminori intermedi, perchè finalmen-

te si mobilitasse l’opinione pubbli-ca e si costituisse un movimentoconsapevole e duraturo a Carrara,ma non a Massa dove la situazionenon è migliore.

Privatizzazioni, espropriazioniabusive e sistematicheEppure gli abusi nei confronti delleacque e della loro rete di circolazio-ne, del sistema idrogeologico delterritorio sono evidenti e gravi dasempre. Da almeno 70 anni, quelli chericordo io, l’acqua e i corsi d’ac-qua sono stati rapinati, violentati,devastati, privatizzati, eliminatiimpunemente, nonostante il pesoevidente e negativo che tutto que-sto ha avuto anche sulla vita quo-tidiana degli abitanti di questoterritorio. E non intendo parlare qui di quelche è avvenuto alle cave, causaprima delle più gravi ricadute nega-tive sul territorio. Però già per l’al-luvione dell’ottobre 1949, i gior-nali dell’epoca (Il Corriere della

Sera, La Stampa, ecc.) miserosotto accusa la produzione dimarmo per come avveniva.

Alcuni crimini contro l’acquaPrima però di parlare dei fatti del‘49, voglio elencare alcuni deimaggiori crimini compiuti contro laproprietà collettiva delle acque, inquesto territorio, senza, con questo,voler essere esaustivo. Comincio da lontano. * Nel dopoguerra la Rumianca tra-sferì da Pieve Vergonte, inValdossola, la produzione deidiserbanti per le risaie e di altripesticidi, ad Avenza. Perchè unaproduzione per il diserbo del riso dauna zona di risaie, come il novare-se, a una dove non ce n’era neancheil sentore? Perchè i rifiuti chimici diqueste produzioni, per legge nonpotevano essere scaricati in acqueinterne (nel caso, il fiume Toce e ilLago Maggiore), ma potevanoessere invece sversati in mare,mancando leggi e proibizioni inmerito. Noi non lo sapevamo, mafacevamo il bagno, alla Partaccia,nelle acque inquinate di pesticidiper il riso e di chissà quanti altriveleni. * La falda della nostra zona indu-striale è avvelenata e irrecuperabileper molti decenni almeno. Comemai? Perchè La Rumianca, laMontecatini-Montedison, la Far-moplant e altre aziende chimicheminori scavavano, al propio internopozzi profondi, non per attingereacqua, ma per farci sparire i lororifiuti pericolosi e tossico-nocivi.Avendo tutte perpetrato questo cri-mine, oggi, nessuna intende pagarele bonifiche, giocando tutte a scari-cabarile sulle altre e pretendendo laprova della propria colpevolezza daparte dei danneggiati.* Dagli anni ‘’60 in poi, torrenti ecorsi d’acqua minori sono stati con-siderati occupazione abusiva e

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Renzi in sette mosse da pag. 6la cosiddetta intellighenzia che luidisprezzava.L’invito di Lenin fu in passatomesso in pratica dal vecchio PCIche aveva la scuola delleFrattocchie dove promuoveva l’in-segnamento della prassi politica-amministrativa ai suoi militanti,soprattutto giovani.Ancor più restringendo l’esempionella piccola Massa dipinta, nellaseconda metà del Novecento ope-rai delle fabbriche della ZIAarri-varono attraverso il PCI a fare i

consiglieri comunali, gli assessori,anche regionali e i deputati in par-lamento. Alla scuola del PCI noninsegnò Lenin, ma sicuramente DiVittorio, per il quale il libro piùimportante era il Vocabolario, eper il quale la cosa più significati-va in politica era farsi capire, nelparlare e nello scrivere.23 settembre 2016

7) Coerenza ai valori“La sicurezza dei diritti e dellelibertà di ognuno risiede nella sta-bilità della Costituzione, nella cer-

tezza che essa non è alla mercédella maggioranza del momento, eresta la fonte di legittimazione e dilimitazione di tutti i poteri. IlPartito Democratico si impegnaperciò a ristabilire la supremaziadella Costituzione e a difendernela stabilità, a metter fine alla sta-gione delle riforme costituzionaliimposte a colpi di maggioranza,anche promuovendo le necessariemodifiche al procedimento di revi-sione costituzionale. La Costituzione può e deve essereaggiornata, nel solco dell’espe-

rienza delle grandi democrazieeuropee, con riforme condivise,coerenti con i princìpi e i valoridella Carta del 1948, confermati alarga maggioranza dal referendumdel 2006”. Questa frase l’ho sco-perta nel “Manifesto dei valori delPD” - approvato nel febbraio2008, e credo tutt’oggi in vigore.Per la sua contraddizione con gliintenti di Renzi vien da ridere, senon da piangere, e riflettere: il PDera pur sempre un patrimonio, inche mani è finito?(19 novembre 2016)

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Una storia ininterrotta da pag. 7inutile di aree appetibili per le spe-culazioni edilizie. La loro rete dif-fusa e capillare, distribuita su tuttoil territorio, è stata eliminata in varimodi. Si sono interrati i corsi d'ac-qua minori, quelli che accoglievanoacque solo durante le piogge, senzapreoccuparsi di trovare loro alter-native. Altri, più importanti sonostati tombati e abbandonati a sestessi. Sopra si sono costruite piaz-ze, strade, complessi edilizi. Dopodecenni di inerzia istituzionale edisastri, il sindaco ha chiesto discoperchiare i torrenti tombati, maper scoperchiarli spesso bisogne-rebbe abbattere palazzi o chiuderestrade. Si chiude la stalla dopo chei buoi sono scappati.*Non è uno scherzo: nei primi anni‘70 si aprì una discussione pertombare l‘intero Carrione colduplice scopo di eliminare lo spet-tacolo del greto, dove finivanodirettamente gli scarichi dei liqua-mi delle abitazioni costruite sugliargini e venivano gettati libera-mente i rifiuti dalle finestre e diaprire una nuova strada di scorri-mento verso il mare che magariavrebbe potuto essere riservata aicamion delle cave. * Lungo la costa esisteva un siste-ma di dune che proteggeva l’inter-no e alimentava una vegetazionespontanea ricca e necessaria. Sonostate tutte spianate per favorire icampeggi, per farci bagni e locali,per costruirci strade e depositi per ilporto. Non ce n’è più traccia.* Le zone umide sono state tuttecementificate. L'ultima è quella delNoa, il nuovo ospedale costruitodentro una zona paludosa, con tantodi scantinati che sono finiti sott’ac-qua ancor prima che entrasse infunzione. Saranno sempre necessa-rie idrovore per impedire a questastruttura di affondare nel fango.* In altre zone paludose, si è per-messa un’urbanizzazione selvaggiae senza regole, sanata da successiveamnistie, che ha eliminato unavastissima rete di circolazione delleacque, che serviva a impedire inon-dazioni e allagamenti. Ogni piccoloproprietario si è costruita la propriavilletta con garage e taverna sotter-ranea, bonificando il proprio terre-no paludoso con riempimenti,innalzamenti e interramenti dicanali e rigagnoli. Ovvio che leacque destinate alla propria porzio-ne di terreno, finivano per riversar-si su quelle dei vicini. E questo haportato anche i vicini a innalzare illivello della propria porzione di ter-reno in una corsa devastante a chidiventava più alto a danno degli

altri. E’ quanto è successo ad esem-pio nella zona di Ricortola-Bondano che va sott’acqua unavolta almeno ogni due anni.* Di quel che è avvenuto alle cave,accenno appena perchè richiede-rebbe una lunga analisi che delresto è stata fatta già egregiamente

da altri. Ai monti, nella zona del-l’escavazione gli abusi sono pre-senti in modo concentrato e all’en-nesima potenza. C’è un torrente?Lo si sposta, lo si confina a un latodel suo letto naturale e nella parterestante ci si realizza, con pochespese, una bella strada per i camion.Un corso d’acqua minore? Si rico-pre di sassi e chi s’è visto s’è visto.Le sue acque dove vanno a finire?Per la strada che diventa il suonuovo alveo. Si interseca una venad’acqua mentre si escavano bloc-chi? Nessun problema. L’acquascorre per la cava, esce lungo iravaneti e le strade di arroccamen-to, Magari a valle si è seccata unafonte, ma chi lo potrà mai stabilire?Nessuno. Il crimine resterà impuni-to per sempre. Tutto questo è suc-cesso e succede, in assenza totaledi interventi e di interessamento daparte delle istituzioni, ma anchedell’opinione pubblica.

Corso d’acqua un sistema socialeUn corso d’acqua qualsiasi, impor-tante o meno, non può essere consi-derato una semplice condotta d’ac-qua o spazio per costruzioni, macostituisce storicamente, cultural-mente, socialmente, economica-mente il centro di un sistema disocietà e di vita complessi. Certo il rapporto tra uomini eacqua, tra uomini e fiumi è sempre

stato difficile e conflittuale e lealluvioni ne sono uno dei motiviprincipali. Si è sempre tentato diimbrigliare i fiumi e di utilizzarnele acque per la sopravvivenza e peril lavoro, e quasi sempre chi hadiretto la società ha sottovalutatoacque e fiumi, considerandoli risor-

se sempre disponibili o rinnovabilifacilmente. Non mi risulta, adesempio, che a Carrara sia mai esi-stito un “magistrato” alle acque e aicorsi d’acqua. Segno che non c’èmai stato il senso dell’importanza,utilità e pericolosità di questa risor-sa e della necessità di regolamen-tarne l’utilizzo o di normarne i rap-porti con gli abitanti, salvo per que-gli aspetti che comportavano ecomportano la possibilità di riscuo-tere tributi e imporre balzelli. Gaiaconta, l’acqua no. Il disinteresse per il sistema com-plesso e integrato delle acque e deifiumi, dei torrenti, dei ruscelli,delle fonti, delle vene d’acqua,delle risorgive, ecc., salvo per ciòche poteva ricavarsene fiscalmente,ha portato al marasma attuale. Il Carrione con le sue ricorrentiinondazioni ravvicinate ne èl’aspetto più evidente, ma ciò cheaccade e monte e a valle, non èmeno grave e drammatico, perchècontribuisce ad aggravare i disastridel Carrione ed è sempre più diffi-cile pensare che qualsiasi interven-to solo sul Carrione possa essererisolutivo.

Il “fiume” è cambiatoSe penso al Carrione di settant’annifa, al tratto che va da Carrara cittàalla foce, penso a una realtà chenon esiste più. Per quanto giàampiamente manipolato dall’uomo

era ancora un fiume libero e in rap-porto con la collettività. Non vogliolodare il tempo passato, nè dire cheera migliore, le alluvioni c’eranoanche allora, ma solo sottolinearecome il fiume e il sistema delleacque siano profondamente cam-biati, senza che la qualità della vitadi noi cittadini del comune siamigliorata, almeno sotto questorispetto e lo vedremo poi nel con-fronto tra l’alluvione del ‘49 e quel-la del 2014.Nel ‘49 il “fiume” era ancoraaccessibile e vissuto dalla popo-lazione. E aveva un corso dove learee di espansione per casi diemergenza erano ancora nume-rose e vaste.

L’alveo privatizzatoTutte queste aree che si trovavanoquasi a livello del fiume e quindierano molto più basse rispetto allestrade attuali e agli edifici sonostate successivamente riempite dicocciame, terre di risulta, probabil-mente rifiuti, alzate fino a livellostradale, arginate con cementoarmato e trasformate in aree edifi-cabili. Non so se sia ancora possibi-le ricostruire la storia e i tempi diquesti riempimenti; sarebbe la sto-ria degli abusi che sono stati eser-citati contro il Carrione, restringen-dolo, costringendolo ad anse strettee ad angolo retto, escludendolo dallfrequentazione e quindi dal control-lo umano. Basta guardarlo quandoesce da dietro la Fossa dei Leoni, ilvecchio Campo sportivo che indub-biamente, per natura, costituiva,basso com’è, una cassa di espansio-ne contro possibili alluvioni.Sull’altra sponda, ci sono abitazio-ni costruite su terreni di riporto concui è stata colmata e sottratta alfiume un’altra area di espansione. Ilrisultato è un'ansa ad angolo retto,stretto e innaturale. Poco più giù,dall’altra parte del viale, sulla spon-da sinistra, troviamo il grande piaz-zale delle Chiesa della Fabbrica, eun buon numero di palazzi. Un tempo quella era una zona libe-ra che scendeva fino al livello delfiume. Un’intensa attività di riem-pimento l’ha trasformata in areaurbanizzata, mentre il fiume risultaaffondato e irraggiungibile. Se si segue il coso del Carrione, diaree di questo genere, un tempolibere, diventate oggetto di specula-zioni pericolose, se ne trovanomolte, compresi i piazzali di variesegherie che nel corso del tempo sisono miracolosamente espansi, grazie a provvidenziali riempimen-ti abusivi e tollerati. Dove si

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Una storia ininterrotta da pag. 8trovano anse strette e a novantagradi, si può essere certi che lì èstato perpetrato un abuso. Quando,è difficile dirlo, perchè è probabilesiano cominciati dal tempo delleprime segherie, ma ce ne sonoanche di recenti, più facilmentedimostrabili, grazie alla possibilitàdi confrontare fotografie di periodidifferenti. Tutto questo è avvenutoper decenni, anche se c’è stataun’espansione esponenziale degliabusi negli ultimi anni. Ed è avve-nuto senza che nessuna delle istitu-zioni delegate alla salvaguardia delterritorio e della sicurezza dei citta-dini abbia mai sollevato obiezioni,o si sia posta almeno il problema.Si mandano i vigili urbani a con-trollare severamente le licenze edi-lizie di chi si ristruttura la casa emagari cerca, con qualche sotterfu-gio, di aggiungerci una stanza, per-chè i suoi figli sono cresciuti, manon ci si è mai domandati qualipotessero essere le conseguenze deigrandi complessi edilizi realizzatisu aree che appartenevano all’al-veo del fiume o dell’occupazione emodifica abusiva e criminale del-l’alveo per allargare i propri piazza-li. Da per tutto si è usato il territoriocome se l’acqua non ci fosse,come se non esistesse nessunsistema idrogeologico in atto, conla connivenza e la sottovalutazio-ne istituzionale.

Il “fiume” estraniatoQuesta politica edilizia e speculati-va non solo ha favorito abusi e cor-ruzione, ma ha anche reso il fiumesempre più estraneo, sequestrato,lontano anche fisicamente dallagente. Il Carrione è uscito dallavita della popolazione (non ovvia-mente da quella degli speculatori);non viene più percepito come pro-prio, perchè l’accesso e l’uso delfiume è quasi impossibile ormai,ed è difficile pensare che qualcunopossa desiderarlo, visto il suodegrado, lo squallore della suacementificazione e del suo abban-dono e l’acqua sempre sporca. Eccoperchè poi se ne può abusare facil-mente, non ci sono più uomini edonne che lo frequentino, lo utiliz-zino e controllino e se ne interessi-no. Solo quando è entrato prepoten-temente nelle case della gente,attraverso le inondazioni è tornatoad essere considerato. Ma per quan-to?

L’alluvione del ‘49Nel 1949, abitavo a Marina diCarrara, nella zona adiacente a

Villa Ceci. Era la fine di ottobre, il27, o, forse il 26, sicuramente non il3 novembre come si trova scritto inInternet, perchè era giorno feriale,di lavoro e di scuola, mentre il 3novembre allora era, per la scuola,sempre festivo. Ne sono sicuro per-ché non ero potuto andare, con miagrande soddisfazione, a scuola eneanche mio padre, che andava a

lavorare nella Zona Industriale inbicicletta aveva potuto muoversi dicasa, perchè era venuto, durante lanotte e più ancora al momento didover uscire di casa, un diluviod’acqua che ci aveva bloccati. Saranno state le nove, la pioggiaera finita da un po’ ed era compar-so il sole. Mio fratello decise conun compagno di andare a scuola adAvenza, a piedi, passando lungo ilviale. Io mi rifiutai e mi fermai sullasoglia di casa, in Via Dante, paral-lela a Villa Ceci, a chiacchierarecon mio padre. Improvvisamentevedemmo arrivare da Via Firenze,perpendicolare al mare, dalla partedi Villa Ceci una fiumana d’acquadi colore rosso argilla. Sarà stataalta mezzo metro e trascinava consè, con una certa violenza rami,sassi e materiali vari. Guardavo stu-pefatto e impaurito. Mio padrecommentò tranquillamente: “Daqualche parte il fiume ha rotto gliargini”. La cosa mi preoccupòancor di più perchè avevamo vissu-to in Valdossola e là le inondazioniraggiungono anche altezze di metri.Mio padre mi rassicurò: “Il mare èa 200 metri in fondo alla strada,lapiena si scaricherà dentro il porto”.Mi sembrò logico e mi rimisi adosservare la fiumana che però con-

tinuava a salire e a diventare piùaggressiva a forte. Rientrò mio fra-tello, arrancando nell’acqua ormaialle cosce. Era stato sorpreso dal-l’inondazione sul viale. Ma l’acquacontinuava a crescere. E ad esserevorticosa e violenta.

L’acqua non si riversava in mareContro logica cresceva, perchè non

era possibile che l’acqua non aves-se ormai raggiunto il mare distanteduecento metri. Ormai lambiva ilprimo scalino di casa, poi lo superòed entrò prepotente. Già per pauradel peggio ci eravamo messi tutti,in famiglia, a tirar su quanto erapossibile salvare dall’acqua.Finirono sui tavoli materassi, bian-cheria, abiti, i cassetti più bassi, ilibri, le seggiole che avevano ini-ziato a galleggiare. Anche il gattoterrorizzato si accovacciò su unmaterasso sul tavolo di cucina. Incasa non c’era la quantità di ogget-ti che c’è oggi.Ancora si sentivano gli effetti dellaguerra, la società del benessere eradi là da venire e si fece presto amettere in alto quanto era facile sol-levare. Certo i mobili, gli armadi, lereti dei letti, la poltrona letto i tavo-li rimasero nell’acqua. Ormai incasa c’erano quaranta centimetrid’acqua. Era evidente che anche se final-mente fosse riuscita a gettarsi inmare, per un po’non avremo potu-to abitare in casa. Fuori l’acquache ancora arrivava da Villa Ceci,aveva raggiunto poco meno di unmetro e la corrente era forte.

Davanti a casa nostra c’era unpalazzotto di tre piani e una fami-

glia ci invitò a rifugiarsi da loro.Tentai di attraversare la strada, mala corrente era troppo forte e nonriuscivo ad avanzare. Non so chi miprese in braccio, ero molto min-gherlino, e mi depositò dell’altraparte. Mentre i miei continuavano alavorare in casa per vedere di salva-re il salvabile, io, i miei fratelli e ilgatto, bagnati abbondantemente, cirifugiammo da questa famiglia epotevamo contemplare dall’altouna buona parte di Marina allagata.Il paese era allora molto più picco-lo di oggi, e ancora ben poco defi-nito.

Anche le muccheDietro la casa dove eravamo sfolla-ti, c’era una piccola fattoria, pro-prio davanti all’ingresso delle scuo-le costruite anni dopo, dentro VillaCeci. Sentimmo per molte ore imuggiti delle vacche impaurite,fino a quando, verso la metà delpomeriggio le portarono via inbarca. La stessa Stampa di Torino, in unacronaca del 28 ottobre notava, conuna po’ di puzza al naso, propriola presenza del bestiame tra gli eso-dati. Le barche e i pattini, qualche gozzoche non aveva un pescaggio pro-fondo erano diventati di colpo ilmezzo di locomozione più naturaleper tutti. C’era sempre qualcunoper strada che ti dava un passaggio,se volevi. Qualcuno viaggiava inbicicletta, coi piedi che a ognipedalata finiva sott’acqua. Le auto-mobili, inutile dirlo, non circolava-no, perchè allora ce n’erano benpoche. Il boom economico verràdieci anni dopo.

Arriva l’esercito, con l’acqua...Verso mezzogiorno o, forse, un po’più tardi, arrivarono anche i camiondell’esercito, alti e a prova di inon-dazione a portare acqua da bere,pane, coperte e altri aiuti. Nella strada dove abitavo metàdelle case finì sott’acqua, l’altrametà, che era rialzata dal pianostradale quasi un metro, rimaseall’asciutto e divenne il rifugio ditutti noi alluvionati, ma in certezone di Marina, verso il “fiume”,dove le case erano state costruite aldi sotto del livello stradale, di fattoai bordi dell’alveo, finirono anchesotto due metri d’acqua. Ora posso ricordare tutto con unpo’ di ironia, ma allora era dram-matica la situazione. Eravamo dapoco usciti dalla guerra e la pover-tà, la mancanza di benessere era ditutti.

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Una storia ininterrotta da pag. 9L’acqua non scendeDi ora in ora, andavamo a control-lare il livello dell’acqua, che,imperterrito, non decresceva, anchese, fortunatamente, aveva smessodi crescere. Si era fermato sui set-tanta ottanta centimetri di media edi lì non si muoveva. Eppure daVilla Ceci e dal Viale 20 settembredi acqua non ne arrivava più molta. L’argine era crollato ad Avenza, amonte dell’attuale ponte Puccia-relli, a poca distanza da dove è crol-lato due anni fa. E come due annifa, l’acqua aveva imboccato impe-tuosamente i terreni di villa Ceciarrivando alle spalle Marina in bre-vissimo tempo. Una parte delleacque aveva però guadagnato velo-cemente il Viale e da lì aveva rag-giunto senza ostacoli e velocemen-te il centro di Marina, la Piazzadella Chiesa. Verso ovest la fiuma-na si era invece fermata contro lascapata delle vecchia ferrovia mar-mifera che finiva, in quella che èpoi diventata piazza Nazioni Unite,agli scambi per il porto, mai piùrientrati in funzione dopo i danneg-giamenti della guerra. Al di là diquesta linea rialzata della scarpatadella Marmifera i danni sono statiminori. La mattina dopo l’acqua era allostesso livello. Il paese era bloccato.Piazza della Chiesa era un lago.L’acqua, stranamente, contro tuttele previsioni e la logica, continua-va a non volersi scaricare in mare.La colpa, si diceva, era del mareagitato che non riceveva.Un’assurdità. Poteva valere per lafoce del Carrione, forse intasatadalle onde del mare e forse ostruitadal materiale, che il “fiume” avevatrascinato giù dai monti. Ma cosaimpediva all’acqua di attraversareil Viale a Mare e gettarsi nelle rela-tivamente calme acque del porto?Allora non c’erano i piazzali e molidi oggi. Il viale litoraneo confinavadirettamente con l’acqua del porto,attraverso pochi metri di sterratoutilizzati come libero cantiereall’aperto per piccole imbarcazionie un barriera smilza di scogli che loproteggevano dall’erosione. L’accesso a questi scogli sottostra-da era libero e senza ostacoli espesso noi ragazzi andavamo a fareil bagno dentro il porto scendendoall’acqua proprio da quella parte.

Il viale a mare era più altoEppure l’acqua non calava e lecase, i campi, i giardini, le botteghecontinuava ad essere sotto.L’ostacolo non poteva essere ilmare mosso, perchè nel porto era

solo agitato e non poteva impedireil deflusso delle acque, l’ostacoloera il viale. Nessuno si era accortoche il viale a mare era più alto delpaese e faceva argine all’uscitadelle acque. Fu necessario aprire due o tre trin-cee che tagliavano in profondità ilviale perchè finalmente il paeseemergesse in poche ore dalle acque. Anche se poi rimasero scantinati,orti e avvallamenti vari da svuotaree ci vollero settimane, visti i mezzidi allora. E rimasero il fango, unlimo finissimo e persistente e,soprattutto l’umidità, tanto piùgrave questa perchè allora nessunoaveva il riscaldamento in casa e si

avvicinava l’inverno.

Niente mobili per le stradeRispetto al 2014 non ci furono perle strade le cataste di mobili, ogget-ti e elettrodomestici buttati via. Glielettrodomestici non c'erano eneanche l’Ikea; il consumismo eradi là da venire e ben pochi avrebbe-ro potuto permettersi di rifarsi l’ar-redamento. Si asciugarono i mobili alla bell’emeglio, col fon, le stufette elettri-che o in cucina accanto alle stufeeconomiche e si tennero anchequelli sciupati. Giocò a favore anche il fatto che imobili di allora erano un po’ piùrobusti di quelli di oggi, erano dilegno o alla peggio di compensato enon di materiali come il truciolare.

La solidarietàLa solidarietà fu allora di vicinato.Il volontariato allora non c’era.C’erano appunto i vicini che ciaprirono le loro abitazioni e ci det-tero da dormire e da mangiare.Anche se ricordo che la signora checi accolse non fu propriamente con-

tenta che gli portassimo anche ilgatto e non nascose la soddisfazio-ne quando quello si fece aprire laporta e scappò dileguandosi ericomparendo a casa nostra adacque scomparse.

Non abbiamo imparato nienteSe penso ad allora però devo direche la storia non ha insegnatoniente. * L’argine è crollato nello stessotratto del Carrione, nonostante cheai terrapieni si sia sostituito ilcemento. * L’alluvione del 2014 ha interessa-to una zona molto più vasta e hafatto molti più danni.

* In compenso si è accusato anco-ra il mare mosso del fatto che leacque non defluissero, avendodimenticato che, già nel 1949, si eravisto che il fenomeno dipendevadel viale a mare più alto rispetto alpaese. Si è dovuto perdere, anchequesta volta, tempo prezioso primadi riscoprire che il viale e ancor piùle strutture che nel frattempo sonostate costruite tra il viale e le acquedel porto, erano di ostacolo aldeflusso.*Anche allora la causa principaledell’alluvione venne indicata,anche da grandi giornali come IlCorriere della Sera e la Stampa,sulla base della quantità e qualitàdel materiale trascinato a valle, nel-l’escavazione del marmo, nei modidi lavorazione, nella produzione diterre e sassi e nei ravaneti.

Un’alluvione dimenticataIn internet, si trova ben poco suquesta alluvione del ‘49 e sulle suc-cessive. Pochissime fotografie e unfilmato poco chiari. Bisognerebbefare qualche ricerca, perchè èimpossibile non ci sia qualcosa di

meglio. I buoni fotografi c’eranoanche allora.

La data è sbagliata Ma più significativo ancora dellasottovalutazione di questa vicenda,è il fatto che se ne indica come datadi inizio, il 3 novembre. Ho già detto che non poteva essereil 3 perchè a quei tempi era un gior-no festivo per la scuola. Sono anda-to alla ricerca, in internet, di giorna-li di allora. Non ho trovato molto,ma la conferma dei miei ricordi chel’alluvione fosse avvenuta alla finedi ottobre sì. La Stampa ne dà noti-zia, il 28 ottobre, come iniziata lanotte precedente. Dati i tempi di stampa e trasmissio-ne delle notizie del tempo, pensereicome data di inizio dell’alluvione il26, ma resto incerto, perché, nellamemoria, mi è rimasto il giorno 27.

Altre alluvioniImportanti o meno devastanti chesiano state, il numero delle alluvio-ni in questa zona è più alto di quel-lo che si crede. Dopo quella del ‘49, c’è stata quel-la del 1955 che allagò Avenza finoalla zona paludosa delle Prade euna parte di Marina; quella del1968, che colpì ancora Marina; il“tornado” del 1977 che fece disa-stri, allagando vaste aree e abbat-tendo anche molti alberi. Poi quelle, recenti, del 2003(Avenza e Carrara), del 2010(Parmignola), del 2012 e del 2014.Ma credo che una ricerca più atten-ta scoprirebbe che ce ne sono statealtre, a dimostrazione dell’estremacriticità di questo territorio, dellamancanza di consapevolezza diffu-sa della gravità del problema e del-l’inerzia colpevole delle istituzioni.

TrentadueMensile. Aut. Trib. di Massa n.399 del dell’9.9.2008 Direttore: Marcello Palagi Redazione: Viale XX Settembre,Avenza. Tel. 320 3684625 E mail: * [email protected] * [email protected] * www.ecoapuano.itHanno collaborato alla realizza-zione di questo numero.Francesco De Pasquale,Legambiente Carrara, GiorgioLindi, Massimo Michelucci,Nando Sanguinetti, GiuseppeScattina, Alessandra Verdini. Stampa: Impronta Digitale, Viasan Giuseppe Vecchio, MassaChiuso in tipografia il 7 dicem-bre 2016

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Pro Loco Avenza

DallaTerradi mezzoIntervista al presidente Sascha Biggi

32- Le origini della Proloco?S. B. - L'attuale Proloco di Avenzaè nata dalla Festa medievale periniziativa di un gruppo di cittadini,della Circoscrizione allora ancoraesistente, del CCN, un'associazio-ne di commercianti del centro sto-rico e altri. E’ stata soprattutto il CCN che haportato avanti col proprio nome,negli anni questa Festa, anche sedi fatto, l’impegno e il lavoroorganizzativo, ora, se lo sonoassunto in massima parte i volon-tari della Pro Loco.

Perchè una festa medievale adAvenza?La Festa Medievale è la rispostadel paese al rilancio e riscopertadella Via Francigena che passavadi qui. E’ per partecipare alle iniziativelocali e regionali su questa storiache viene organizzata la FestaMedievale, alla quale, più tardi si èaggiunto il Carneval Profano, neltentativi di recuperare antiche tra-dizioni popolari.E’ grazie alla Festa e intorno aquesta che si forma e consolida,nel tempo, un gruppo di cittadiniche dall’impegno per la sua orga-nizzazione, passano a progettareun lavoro duraturo per il rilanciodella frazione, della sua identità,della sua storia e cultura.

Per quale motivo si prende que-sta iniziativa dal basso per valo-rizzare il paese e la sua storia?Da una parte c’è il senso cheAvenza non rientri propriamentetra i pensieri principali delleamministrazioni pubbliche, men-tre ci sarebbe necessità di rilan-ciarla, anche a livello economico.E’ significativo che iniziative cheportano poi alla nascita dellaProLoco sono dovute a commer-cianti del centro storico, abbando-nato, fatiscente e in crisi, per piùmotivi, dalla crisi generale chepreoccupa tutti, al fatto che laparte nuova del paese si sia svilup-pato ormai lontana e separata delcentro storico, depauperandolo dimolte attività tradizionali e di

qualsiasi intervento estemporaneodi tipo culturale, turistico e altroancora. Gli inizi della Pro Loco?Sono stati abbastanza movimenta-ti, perché è nata, spontaneamente enaturalmente, dalle attività già inatto come quella della Festa. Cisembrava naturale incrementare ilnostro impegno volontario e deltutto gratuito, a favore del paese.Ma non avevamo tenuto conto cheanche iniziative di impegno disin-teressato, che nascano autonoma-mente, vengono guardate consospetto dalla politica.

Ma c’era in voi una volontà dipresa di distanza da politica eamministratori?No, non ci avevamo neanche pen-sato. Ci sembrava e ci sembraanche ora che iniziative di tipoprevalentemente, culturale daparte di cittadini di varia prove-nienza politica, di età anche moltodiverse, con formazioni e specia-lizzazioni anche tecniche diversis-sime...

Qual'è, diciamo così, la composi-zione sociale della Pro LocoVoglio prima ribadire che la ProLoco è costituita da persone cheagiscono volontariamente, senzafini di lucro, senza intenzioni elet-toralistiche e che dedicano il pro-prio tempo limitato alla valorizza-zione del paese. Non c’è niente dilocalistico e di rionale in questo. Sono giovani e anziani, uomini edonne, artigiani, commercianti,operai, dipendenti pubblici, casa-linghe, studenti, laureati, inse-gnanti, disoccupati, pensionati.Ognuno di noi , può pensare quel-lo che vuole e agire di conseguen-za, ma per sé, non come aderentealla Pro Loco. Ma la politica nonsempre ha gradito questa indipen-denza, tanto più che siamo stati

molto attivi, realizzando iniziativevisibili, che hanno coinvolto moltagente. Non ci siano limitati a farequalche conferenza chiusi in spaziristretti e coinvolgendo poche per-sone. La nostre iniziative hannocoinvolto migliaia di persone.

Ma non c’era già stata, intornoagli anni ‘90, ad Avenza, una ProLoco? C’è continuità tra quellaesperienza e la vostra?La vecchia Pro Loco, aveva proba-bilmente finalità molto differentidalle nostre, tant’è che divenne unvero e proprio movimento politico(che dette vita anche a una listacivica) sulla scia della protestacontro il Centro Multietnico. Nellenostre intenzioni e nei nostri pro-grammi non c’è niente di simile.La vecchia Pro Loco si è scioltada anni e alcuni avenzini non neconservano un ricordo positivo.Noi siamo un’associazione che hadei precisi scopi statutari, che sonola promozione turistica, sociale eculturale del territorio e su questiabbiamo costruito i nostri rapportitra i soci e con la cittadinanza.

Quindi la Pro Loco è lontana dapartiti, liste elettorali future...Certamente. Anche se questo nonvuol dire che i problemi di Avenzanon ci interessino e che intendia-mo parlare solo di storia medieva-le. Al contrario, nella Festa medie-vale, nei riferimenti allaFrancigena, nel recupero delle tra-dizioni, vediamo la riconquista diun’identità del paese e del suorilancio oggi e per il futuro. Non siamo nostalgici, ma siamoconvinti che le proprie radici stori-che siano garanzia di futuro. Ed èquesto lo scopo per cui ci siamoorganizzati e lavoriamo anche perlasciare alle generazioni future ilricordo di quello che come paese,siamo stati e siamo oggi, perchè a

loro volta su queste basi possanocostruire il loro futuro.

Parliamo di AvenzaAvenza è un paese abbandonato ase stesso. Un dormitorio, dove gliabitanti, vivono isolati gli unidagli altri, senza consapevolezzadi far parte di una collettività.Diviso, perchè c’è una forte con-trapposizione tra “di là dall’aquae di qua dall’aqua” cioè tra centrostorico, con via Giovan Pietro,fino alla Centrale, per capirci, e lazona delle Prade dove ci sono pro-blemi diversi d quelli del centrostorico. Si tratta di un’area densa-mente abitata, ma relativamenterecente, con abitanti che proven-gono da zone diverse del territorioe dove quindi l’integrazione è piùdifficile. Essendo un territorio cosìvasto e complicato sarebbe neces-sario che l’amministrazione, oltread essere presente direttamente,supportasse maggiormente l’asso-ciazionismo, le due parrocchie e lescuole. Queste sono le sole luciche tengono ancora in vitaAvenza.

Come vi siete mossi nei confron-ti del centro storico?Crediamo che debba essere ilcuore pulsante come tutti i centristorici, della nostra città, perchè èintorno a questo antico nucleo abi-tativo che si costruisce la nostraidentità. Dal primo anno dellanostra attività abbiamo sostenutoun progetto di riqualificazionedella Torre di Castruccio, sotto ladirezione scientifica del GruppoSpeleologico Archeologico di Pisae della Soprintendenza dei beniArchitettonici e Paesaggistici diLucca. L’obbiettivo della ricerca èdi studiare le cavità artificiali sot-tostanti la Torre e fare un progettoper renderle fruibili al pubblico.L’anno scorso, grazie al sostegnodella Fondazione CRC siamo riu-sciti a salvare i graffiti del XVIsecolo, ascrivibili alla fase carce-raria del monumento, con unrestauro condotto dalla dittaCarrara Restauri. Il progetto staandando un po’ a rilento per itempi della burocrazia, però abbia-mo già inoltrato allaSoprintendenza la richiesta peraccedere alle camere sotterraneedella fortezza, di cui sappiamol’esistenza da alcune mappe delXIX secolo.

Siete intervenuti anche per ilmuro della Casa bombardata divia Menconi ad AvenzaOvviamente. Appresa la notizia

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che l’amministrazione avrebbeprovveduto alla sua demolizione,per la pubblica sicurezza, ci siamomobilitati, anche presso laSoprintendenza per far sì che quelpezzo di storia di Avenza venissemesso in sicurezza e valorizzato.Oltre ad essere importante perchéparte dell'impianto medievale delborgo, è una testimonianza vivadel terribile bombardamento cheha segnato Avenza alla fine dellaguerra. Il muro non è stato demoli-to, ma ancora attende la messa insicurezza e un progetto che valo-rizzi il suo enorme significato sto-rico.

Deciso anche il vostroimpegno per difende-re la Biblioteca chel’amministrazione difatto stava smobili-tando e riducendo aluogo di consegna dilibri, per poche orealla settimana.Sì, l’amministrazionevoleva ridurre drastica-mente, come ha fatto evoleva fare, anche peraltri servizi (assistenzasanitaria, ad esempio),il servizio di bibliotecaad Avenza. Erano quat-tro anni che laBiblioteca di Avenzanon svolgeva più il suoregolare servizio. Lagiustificazione era lasolita mancanza di fondi e, in unaprospettiva di tagli, quella diCarrara aveva la priorità. EppureAvenza ha una popolazione piùche doppia rispetto di quella diCarrara e la biblioteca è frequenta-ta da molti studenti, anziani,appassionati di lettura sia la matti-na che il pomeriggio. Per smantel-lare la biblioteca, senza che gliavenzini se ne accorgessero, si èiniziato portando via molti libri diconsultazione, poi riducendo leore di apertura. Allora ci siamomobilitati assieme ad altri gruppi eassociazioni commercianti eabbiamo lanciato la raccolta dilibri da collocare ad Avenza, insostituzione di quelli che venivanoportati via. L’amministrazione havisto male, almeno all’inizio, que-sta iniziativa, perchè interferivacon la sua volontà di centralizzarea Carrara il servizio bibliotecarioE’ evidente che non ci occupiamosolo a parole di cultura.Denunciamo i problemi concretidel territorio e operiamo per risol-verli. E qualche volta ci riusciamo. Noi crediamo che la cultura, possa

partire da situazioni locali, le sto-rie, ad esempio, degli avenzini chehanno avuto una parte piccola ogrande nella storia di tutti. Penso apersonaggi come Gino Lucetti oGino Menconi, i Petacchi, per direi più noti oggi, della lotta antifasci-sta e partigiana. Cerchiamo diricostruirne le vicende, di trovaregli ultimi testimoni viventi di quelperiodo e di questi personaggi, mail solo fatto di interessarcene ciproietta verso storie nazionali einternazionali, perchè sono statitutti partecipi non di fatti limitatial territorio, ma molto più ampi. Si

parte dal particolare, ma la finalitàè di arrivare alla grande storia.Non c’è niente di localistico inquesto. Lo dico perchè per svalo-rizzare le iniziative di tutte le asso-ciazioni che si le loro radici nelterritorio e giustificare il rifiutoistituzionale di finanziarle, vengo-no accusate di localismo, mentre sifinanziano generosamente progettidi manifestazioni calati dall’alto,che non hanno un rapporto effetti-vo con le componenti del territo-rio. e che finiscono per averepochissime ricadute sul territorio.Avenza è un contenitore vuoto, lagente ci abita e basta, non c’è piùun’identità collettiva, il sentirsiparte di un’entità definita.Noi cer-chiamo di reagire e di non rasse-gnarci e abbiamo individuato nellacultura e nella memoria storica lapossibilità di riempire questo con-tenitore vuoto di contenuti e comestrumento per coinvolgere gli abi-tanti. Anche se ribadisco che inostri cavalli di battaglia sono laFesta Medievale e il CarnevalProfano, che sono egualmentememoria.

So che vi rivolgete anche allescuole con le vostre iniziative.Sì. Molte delle nostre iniziative sifondano sul contributo delle scuo-le. Progetti come il CarnevalProfano, Mondi di Vivere e Apiena voce, nascono grazie alleidee e al lavoro messi in campodalle scuole. L’Istituto Comprensivo G.Menconi, infatti rappresenta unaparte importante della nostracomunità. Ospitando un numerorilevante di studenti, di cui moltifigli di immigrati è diventato unlaboratorio di idee, di progetti e di

attività per la diffusione della cul-tura ad Avenza, grazie alla dispo-nibilità di docenti competenti e diuna dirigente scolastica, comeMarta Castagna.

Quando sviluppiamo un progettod’intesa con le scuole, cerchiamodi rivolgerci principalmente aibambini e ai ragazzi attraversol’utilizzo di mezzi di comunicazio-ne fruibili da loro. Ad esempio perla prossima edizione di A pienavoce è stata ideata la“ConTeatroferenza”, un sistema dinarrazione che impiega filmati,tracce audio, rappresentazioni tea-trali e musica per raccontare i fattidella memoria anche a loro, senzascadere nella retorica delle cele-brazioni.La memoria va tramandata. Nonvogliamo fare storia e ricerca pernoi stessi, ma rivolgerci anche aibambini e ai ragazzi e quindi cisiamo posti, come prioritario ilproblema della comunicazione.

I finanziamenti da parte del-l’amministrazione comunale per

le vostre iniziative, sono sempremolto problematici.Pensiamo che non ci sia niente dimale a chiederli. Al contrario.Siamo dei cittadini che offrono illoro lavoro e le loro competenzeprofessionali, gratuitamente, avantaggio della collettività. E sonosoldi della comunità che ritornanoalla comunità. Creiamo anchedelle occasioni di lavoro, comequello per le restauratrici dei graf-fiti della Torre. Mentre noi, pernostra scelta, non abbiamo neppu-re rimborsi spese. Se telefono, semi muovo in auto per la Pro Loco,

lo faccio a mie spese.Mi sembra che lenostre attività sianooccasioni importantiper la città. E’ giustoche l’amministrazionele sostenga, a costicontenuti, quelli dellespese vive e documen-tate. Eppure troviamosempre più difficoltà aottenere piccoli finan-ziamenti per le nostreattività, mentre vengo-no impegnate cifrenotevoli per quantoavviene a Carrara e aMarina. Non vogliosuscitare polemiche eistituire confronti trale nostre attività equelle di altri, ma certosono solo le nostre chetrovano molte difficol-

tà di finanziamento pubblico. Abbiamo mantenuto il nostroimpegno con l’amministrazione,presentando un programma dieventi per tutto il 2016 e tuttavia cisiamo ritrovati senza sostegnomorale ed economico da parte delPalazzo Civico, che ci ha liquidatodicendoci che non c’erano piùrisorse da spendere per Avenza. In Commissione turismo ci siamosentiti dire dall’assessore Coppolache la priorità è della città diCarrara. Studiando le delibere, e le determi-ne dei dirigenti abbiamo riscon-trato un anomalo accentramentodelle risorse su Carrara e Marinadi Carrara a danno delle altre fra-zioni. Addirittura sono stati spesi24.400 euro a favore di una dittadi Pietrasanta, per l’ideazione diuna manifestazione, che in totale ècostata alla comunità 60.000 euro(Carrara’s duel). Non sarebbemeglio spendere cifre di questogenere per valorizzare e promuo-vere le risorse che già ci sono nelterritorio? Evidentemente l’asses-sore pensa che a Pietrasanta abbia-

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Il programma di A PIENA VOCE 2016

La pacificazioneDalla piccola Avenza allagrande Italia: la guerra intempo di pace

PRESENTAZIONEQuest’anno l’Associazione ProLoco Avenza, in collaborazionecon il Comune di Carrara,l’Istituto Comprensivo GinoMenconi, il Circolo Culturale laLuce, la Pubblica Assistenza diAvenza, l’ ANPI Carrara e ilMuseo Audiovisivo dellaResistenza di Massa Carrara e LaSpezia, propone la seconda edi-

zione della Rassegna sullaMemoria “A Piena Voce”Un progetto nato nel 2015 con loscopo di promuovere i valori dellamemoria attraverso la riscopertadi fatti, contesti e personaggi chehanno segnato la nostra recentestoria, secondo un approccio squi-sitamente interdisciplinare e l’im-piego di forme di comunicazionediversificate. La Rassegna, infatti,è un contenitore all’interno delquale vanno a strutturarsi confe-renze, laboratori didattici, proie-zioni di filmati, rappresentazioniteatrali e mostre di arte visiva.Quest’anno grazie alla coopera-zione tra operatori didattici, attoriprofessionisti e figure professio-nali che lavorano nell’ambitodella ricerca storica, proponiamo

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no più competenze tecniche di noino. Credo non ci sia bisogno dicommenti. Sarà anche per questoche il nostro territorio perde sem-pre più terreno, in tutti i settori,rispetto a realtà come Pietrasantache hanno saputo valorizzarequello che da noi stiamo svenden-do. Credo che anche qui da noi cisiano competenze tecni-che adeguate, non siamodei selvaggi arretrati. Cisono giovani che studiano,giovani e non giovani chehanno acquisito compe-tenze tecniche nei settoripiù vari, perchè non sipossono utilizzare le ener-gie locali?

Probabile sopravviva lavisione di Avenza cometerritorio di violenti eribelli, di primitivi e dinon luogo. Come spiega-te che gli amministratorisono così restii a finan-ziare le vostre iniziative?Non so o non voglio nean-che alimentare polemiche.Dico solo che l’amministrazionepuò riservarsi il diritto di nonfinanziare le nostre inziative, main questo caso deve assumersil’onere di promuovere iniziativeculturali, sociali e turistiche afavore anche di Avenza, un città di20.00 abitanti che, se abbandonataa se stessa, rischia di trasformarsiin un’enorme sacca di degradosociale.

Per cosa, in dettaglio, avetechiesto dei finanziamenti?Noi facciamo due grandi manife-stazioni di massa, la FestaMedievale e il Carneval Profanoche attirano ad Avenza migliaia dipersone e che danno lavoro a deci-ne e decine di uomini e donne.L’ultima volta abbiamo invitatocirca 100 artisti di strada chehanno soggiornato e mangiato adAvenza, negli alberghi, nei risto-ranti, nei bar. E ci sono i bancarel-lari, gli artigiani, gli agricoltoriche intervengono e partecipano evendono i loro prodotti. C’è unaricaduta oggettiva, anche econo-mica sul territorio. Non so seMarble Week, che ha ricevuto140.000 euro di finanziamentipubblici, senza contare i privati equello che non si sa, riesce amobilitare altrettanti visitatori epartecipanti e a promuovere cosìtante occasioni di lavoro dalbasso. I nostri costi sono minimi,abbiamo chiesto per queste mani-festazioni e le altre iniziative per

le scuole e sulla memoria, in pro-gramma per tutto l’anno, 55.000euro. Ma ci hanno detto che nonhanno più soldi. Per noi evidente-mente, non per altri, dato cheancora continuano a finanziareiniziative di vario genere.

Questa estate avete animato

alcuni luoghi di Avenza conl’iniziativa CinePicnic, cioèlegando la possibilità di picnicfamiliari alla proiezione di film;una formula molto originale perle famiglie, che favoriva il tro-varsi assieme, la socializzazionee la riconquista e riqualificazio-ne di spazi abbandonati o tra-scurati. Come è andata?Bene, molto bene. Le famiglievenivano con panini, pizze, bibite,quello che volevano, si mettevanoseduti per terra, portandosi dietroanche sedili, guanciali, tovaglie.mangiavano, conversavano con ivicini, guardavano i bambini gio-care e anche il film, se volevano.Una bella cosa, molto apprezzatadai partecipanti. Abbiamo in pro-gramma di ripetere l’iniziativa, ilprossimo anno, portandola intera-mente alla Prada. Pensiamo di farele proiezioni, nelle aree indefiniteche sono rimaste tra gli edifici diedilizia popolare, per favoriresocializzazione, riqualificazione eriappropriazione di spazi abban-donati.

Un progetto ambizioso, perchè èun quartiere enorme, ma senzaidentità, pensato per confinarciquelli che si voleva allontanaredal centro di Carrara o dallefrazioni, costruito come veniva,per cui accanto a strutturedignitose, ce ne sono moltedegradate, costruite con mate-riali scadenti, senza manuten-

zione, senza spazi comuni, piaz-ze e parchi. Sì. E’ un insieme di non luoghi acui invece bisogna dare dignità eidentità. Perchè le persone che ciabitano hanno diritto a un ambien-te vivibile, dignitoso e organizzatoanche collettivamente. Nel nostropiccolo pensiamo che iniziative

culturali come quella delCinePicnic, possano contribuire acreare relazioni e autorganizzazio-ne dal basso. Soprattutto però è ilcomune che deve fare la sua parteper questa realtà. Ovviamente anche il CinePicnic,si è svolto senza il sostegno del-l’amministrazione. Avevamo chie-sto solo il pagamento del noleggiodelle strumentazioni necessariealle proiezioni, poche centinaia dieuro. A parole ce li hanno assicu-rati, ma quando siamo andati achiederli, hanno scoperto che non

esisteva la delibera e quindi cisiamo dovuti autotassare per paga-re noi le spese. Voglio anche precisare, che dopola proiezione dei film, abbiamoprovveduto sempre noi a ripulirele aree utilizzate. Anche da questo punto di vistaquindi non abbiamo pesato sui

conti del comune.

I programmi attuali? A novembre volevamoripetere l’iniziativa dellaMemoria, focalizzandolasu diversi momenti impor-tanti del primo dopoguerrain questa zona. Tra gliargomenti “il conflitto traanarchici e comunisti”, “losviluppo della zona indu-striale”, “il processo allaBrigata nera di Apuania” e“le vicende della“Marvenza”, degli anni‘50.Abbiamo presentato unprogramma dettagliatoall’amministrazione (vedisotto, ndr), ma il rifiuto dei

finanziamenti è stato immediato.La cosa ci ha sorpreso, perchépensavamo che almeno su questitemi, un comune medaglia d’oropotesse impegnare almeno 3.000euro per la memoria Vedremo di riprendere l’iniziativaa febbraio. Abbiamo speranza chela Giunta, questa volta ci dia ifinanziamenti necessari. Non cipiacciano le polemiche fine a sestesse, per cui cercheremo di tro-vare un accordo con l’amministra-zione, anche se dovesse esserefaticoso.

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per la seconda edizione di “APiena Voce”, un metodo di comu-nicazione innovativo e assoluta-mente alternativo rispetto ai siste-mi di divulgazione canonici ado-perati per dibattiti e conferenze, dicui daremo ulteriori dettagli nellavoce dedicata. Si tratta di vere eproprie “storie parlanti” dove lanarrazioni dei fatti storici sarà affi-data ad un relatore, il quale grazieall’ausilio di attori professionisti,contributi audio e video, presente-rà storie inedite e fatti accadutinell’immediato dopoguerra adAvenza e nel territorio apuano.L’obbiettivo è di stimolare un inte-resse attivo verso i temi dellamemoria, iniziando un processo diacquisizione della nostra storiarecente, attraverso la riscoperta diluoghi e personaggi che hannocontribuito a formare la nostraidentità.Quest’anno inoltre, sarà realizzatoun filmato in cui verranno raccoltele testimonianze disponibili dicoloro che furono bambini neglianni della guerra e nel periodoimmediatamente successivo, dadestinare alle scuole e gli entiimpegnati nelle politiche dellamemoria.

TEMI DELLA RASSEGNAIl tema della seconda edizione sarà“la pacificazione” nel primo trava-gliato decennio che segue il 1945.Attraverso alcuni fatti accaduti adAvenza e nel territorio apuanosaranno ripercorse le vicende chehanno segnato il primo dopoguer-ra in Italia e da cui sono germinatii presupposti della nostra demo-crazia parlamentare. Si tratta di unperiodo piuttosto controversoall’interno del quale hanno convis-suto, miseria, dolore, voglia dirinascita e tentativi di superamen-to delle tragedie della guerra:sono, infatti, gli anni della neonatarepubblica, delle lotte sindacali,della grande disoccupazione, dellaricostruzione delle città, dell’emi-grazione della manodopera italia-na, dell’affermazione dei partitinella vita politica della Repubblicae di molti altri fatti che hanno resocruciale questo decennio per glisviluppi successivi della nostrastoria.Di seguito i temi che saranno trat-tati e che ispireranno anche i con-tenuti delle conferenze e dei dibat-titi che animeranno la Rassegna:

CONTENUTIA) Le “ConTeatroferenze”Le “ConTeatroferenze” sono unstrumento di comunicazione pro-

posto dalla Pro Loco di Avenza, inconcertazione con figure profes-sionali che lavorano nell’ambitodel teatro, della ricerca storica edelle produzioni artistiche, cheimpiega, teatro, filmati, audio, fotoe disegni all’interno di un’unicanarrazione. Non si tratta di unaconferenza o di una rappresenta-zione teatrale soltanto ma dientrambe le cose. Ci sarà di fattoun relatore che, coadiuvato daattori professionisti, da una scenain cui si muoveranno fatti e perso-naggi e da dispositivi multimedia-

li per proiezioni di immagini eriproduzioni audio, presenterà gliinterventi della rassegna. Lo scopoè di fornire una rappresentazionecompleta dei fatti storici affrontati,stimolare un interesse partecipatoverso i temi della Memoria daparte di tutte le fasce di età, macon particolare attenzione airagazzi delle scuole. Questa nuovaforma di comunicazione, infatti, sirivolge principalmente a loro, cer-cando di adattarsi al loro linguag-gio, senza imporre monologhi elunghe dissertazioni. Di seguito gli argomenti delle nar-razioni:

1∞ ConTeatroferenza: La guerra in tempo di paceNarrazione incentrata su alcuniscontri avvenuti ad Avenza nel1948 tra anarchici e comunisti, cheebbero come protagonisti tra i piùimportanti esponenti locali dellalotta antifascista. Un viaggio chedalla guerra di Spagna arriva finoalle lotte sindacali del primo dopo-

guerra per mettere in luce il con-trastato rapporto tra anarchici ecomunisti e le difficoltà di reinse-rimento in una nuova società“pacificata” di chi, fino a quelmomento, aveva speso la propriavita a combattere contro il fasci-smo inseguendo una civiltà sogna-ta e si è ritrovato invece a fare iconti con il cinismo della storia.

2∞ ConTeatroferenza: Mio Nonno? Una brava personaIl processo alla Brigata Nera diApuania rivissuto attraverso la

vicende di una spia carnefice. Unviaggio a ritroso nel tempo che ciporterà nei meandri più foschi delpassato di un simpatico “nonnetto”di cui, nello svolgimento della nar-razione, si scoprirà il coinvolgi-mento nelle stragi di Vinca,Bardine e San Terenzo. Sarannosviscerati i temi che riguardano ilritorno alla normalità dei fascistinell’Italia democratica e il traumapsicologico che le popolazioni col-pite dagli eccidi nazifascisti hannodovuto affrontare subito dopo leloro tragedie personali e collettive.

3∞ ConTeatroferenza: Una vita da fabbricaLa Zona Industriale Apuana harappresentato un simbolo di lace-ranti contraddizioni. Fin dall’erafascista la radicale trasformazionedi una realtà rurale e contadina inun’area industriale specializzatanelle produzioni chimiche hasegnato fortemente la mentalità ele abitudini delle popolazioni loca-li. Un racconto sulla nostra zona

industriale nel dopoguerra, attra-verso le testimonianze di chi vi halavorato, per capire oggi quanto laZ.I.A pesi sulle nostre vite.

4∞ ConTeatroferenza: Sempre controUna divertente e avvincente storiadi Avenza e della sua gente dalrisorgimento ai primi anni 50’ delsecolo scorso, da cui emergerannoi caratteri di una popolazioneorgogliosa e spigolosa ma chesempre è stata in prima linea quan-do si è trattato di difendere la pro-pria libertà e quella degli altri.

B) A Pieno CinemaRassegna cinematografica sui temidella seconda edizione di “A PienaVoce” che potrebbe svolgersi nellabiblioteca civica di Avenza, secon-do le disponibilità della sala e leindicazioni forniteci dagli uffici dicompetenza. Si tratta di quattroproiezioni (una per ciascuna setti-mana del mese)

C) Due passi nella memoriaPasseggiata guidata nei luoghidella memoria di Avenza e dintor-ni a cura di Pietro di Pierro.

D) Concerto musicale di chiusuraConcerto di chiusura dellaRassegna a cura del gruppo musi-cale Antica Rumeria Lagrima deOro in piazza C. Finelli, in occa-sione del quale saranno offertidalla Pro Loco caldarroste e vinbrulé a tutti i partecipanti.

LE COLLABORAZIONIConcorrono alla realizzazionedella manifestazione l’IstitutoComprensivo Gino Menconi, ilComune di Carrara, la PubblicaAssistenza sez. Avenza e l’ANPICarrara. Sarà inoltre richiesto ilpatrocinio della Provincia diMassa Carrara, del MuseoAudiovisivo della resistenza diMassa-Carrara e La Spezia edell’Istituto Storico dellaResistenza Apuana.

PERIODO DI SVOLGIMENTOLa Rassegna si svolgerà nell’arcodell’intero mese di novembre 2016

COSTI DELLA MANIFESTAZIONEArtisti impiegati nelleConteatroferenze: 1500,00 euroGruppo musicale: 800,00 euroService audio luci: 500,00 euroSpese SIAE: 180,00 euroPubblicità: 400,00 euroTotale costi: 3380,00 euro

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Morte di un cavatore

Oh, mi è scivolatauna “lastra”

Muore un cavatore, l’en-nesimo sotto un blocco.Si scatenano le indigna-

zioni, le esecrazioni, le esclamazio-ni di sdegno, la denunce. E’ la fieradella retorica e dell’ipocrisia chedura come quella di Sant’Andrea,due giorni e poi tutto continuacome prima. Solo che la fiera diSant’Andrea viene una volta l’an-no, questa invece si ripete più e piùvolte, considerato anche il grannumero dei feriti. Per cogliere il livello disgustosodelle dichiarazioni e dell’ipocrisiaspudorata di istituzioni, enti pubbli-ci, sindacati, forze politiche, laloro convenzionalità senza idee esenza interesse, la loro inutilitàbasterebbe anche solo scorrere ititoli dei massmedia locali. Gli arti-coli quasi sempre sono, salvo ecce-zioni, altrettanto scontati e conni-venti, se non peggiori. Di seguitouna serie di titoli ripresi dai giorna-le del giorno successivo all’“omici-dio”.

Parole insulse Gran parte dei titoli dei quotidianilocali dedicati a questa morte sonoscontati, risaputi, sempre uguali. Dimorto in morto, si ripropongonosenza variazioni e con la stessainsulsaggine. In altre parole noncomunicano niente.“Sangue sulle Apuane!”,(che sem-bra il titolo di un film di RaffaelloMatarazzo). “Mai più!” “Basta!” “Come è pos-sibile?” “Non è davvero piùammissibile” (Perché. finora loera?). “Città attonita e arrabbiata ma chenon si rassegna” (che significa“non si rassegna”? Niente, mapermette di far credere che tuttocambierà e invece tutto continuacome prima, come da sempre). “I compagni attoniti: «Una tremen-da fatalità»” (Cavatori che defini-scono “fatalità” questo omicidioda lavoro?).“I sindacati: basta, troppi martiridel lavoro” (Martiri? Mortiammazzati, buttati via, senza nes-suna aureola, senza senso. Unamorte che si dimenticherà, come leprecedenti, da secoli, assieme atutte le buone intenzioni annuncia-te).

“Di lavoro si continua a morire”(Bella scoperta e difficile da farsi).“Quarta vittime del 2016 nel setto-re lapideo, la scia nera non si spez-za” (Numeri e horror).“Ancora un incidente inaccettabile,non bisogna rassegnarci alla fatali-tà” (Sempre “incidente” invece diomicidio. Esistono “incidenti”accettabili? Forse per chi chiama“incidente”, un omicidio). “Un’altra tragedia sul lavoro.Marmo rosso sangue. Muore nellacava davanti al fratello” (Patetico).

Promesse mendaciI titoli che annunciano azioni ebuoni propositi da parte dell’esta-blishment: “Non ci sono più parole, fermarsi afare i conti in cava” (I conti per

chi? Per il mercato e gli industria-li, come finora è stato fatto?).“Troppi sottovalutano i rischi allecave: una cosa inspiegabile”(Fatalità o colpa dei lavoratori?).“Ritmi di lavoro troppo elevati?L’Asl tende a escluderlo” (Quandol’Asl prenderà posizione contro idatori di lavoro? La colpa è sempredegli operai che lavorano “poco”,ma non “rispettano le regole dellasicurezza”).“Si accertino le responsabilità”(Cazzo! Che decisionismo origina-le e innovativo, di un esponentepolitico che non si è mai occupatodi cave e non sa nulla). “Oggi il lapideo incrocia le braccia.Zubbani: «La sicurezza è una prio-rità”. (Il sindaco, come sempre - èuna sua virtù naturale - scopre

l’acqua calda). “Bisogna fermare la mattanza”“Serve più prevenzione” (Altragrande scoperta. Chi direbbe ilcontrario?). “Subito due nuove assunzioni”(Per potenziare i controlli? Unprovvedimento del tutto insufficien-te, specchietto per le allodole. LaGiunta ha sempre detto, irridendochi sosteneva il contrario, che nonsi può controllare i blocchi in cavae ora vuole, con due assunzioni,controllare come avvenga la produ-zione? Ma intanto gli industriali ecommercianti di marmo paganomeno le autorizzazioni le conces-sioni e il marmo).“La scia di sangue. Uno stillicidiosenza fine e un ferito ogni due gior-ni”. “Tutte le volte che il monte si ètinto di rosso. Tredici le vittimenegli ultimi undici anni” (Ma se lecose le sanno, perchè aspettano imorti, per denunciarle? Per poter-sele dimenticarsene dopo due gior-ni?). “L’incidente a Carrara. Morte nellacava operaio schiacciato dallalastra di marmo. Rossi: basta mat-tanza. (Anche il presidente dellaRegione dice la sua banalità:“Basta”, ma non basta affatto).“Cgil: urlo di sdegno. Oggi sciope-ro” (Se avessero scioperato di più,se avessero contestato di più padro-ni, padroncini, multinazionali emafie, i sindacati oggi non dovreb-bero urlare, per accreditarsi pressoi lavoratori e continuare a farecome niente fosse).“Crollo nella cava, si stacca unalastra. Ucciso da due tonnellate dimarmo”. (Qui è il giornalista chenon sa niente. La “lastre” si trova-no nelle segherie e nei laboratori,non alle cave, dove ci sono blocchi,informi, scaglie, ecc.). “Nel 2016 quattro vittime: Non c’èsicurezza” (Altra grande scopertafondamentale).“Un’altra tragedia sul lavoro.Marmo rosso sangue. Muore nellacava davanti al fratello”.(Melodrammatico e declamatorio). “Ferri; «Ora servono risposte con-crete»! (Ci voleva anche il sottose-gretario per scoprire l’acquacalda).

La neolinguaDi fronte a queste morti sul lavoro,il linguaggio corrente e accettatoderubrica il crimine a fatalità, inci-dente, disgrazia imprevedibile “Si è staccata una lastra” ha scrit-to come si è visto un giornale.Eccome no: lo sanno tutti che lelastre alle cave si staccano, fatal-

segue a pag. 16

15trentadue dicembre 2016

Un accampamento di minatoridi Enrico Nori (1987)

“Carrara, la mia città, è ormai ridotta a un accampamento diminatori tenuto in maniera turpe, depredato e con dirittodi saccheggio in cui trionfano povertà, indifferenza,

ignorante arroganza, mancanza di imprenditorialità e buffalmacca ser-vile politica. Lassù ci sono le cave dove uomini dannati della fatica edel rischio vitale cavano marmi. Li cavano da secoli di sudore sottoimprenditori che tali non sono; chè fedeli al motto Soldi in Bocca, tantoil Marmo non marcisce, recitano una sorta di epitaffio alla loro incul-tura. La vita dei cavatori poco importa a nababbi e lacchè loro.Trascorso il momento luttuoso emozionale, dismessa la maschera del-l’ipocrisia, tutto torna presto come prima. Ma sotto - sotto sono daccor-do in tanti all’ombra dei cieli grigi e corruschi di Carrara: epifenome-ni del Monte, del Piano e del Palazzo. Essi ... cementati dall’intrallaz-zo, dall’ invidia, dalle scopate pretese e mal fatte, regnano, non gover-nano, sull’accampamento nel villaggio della desolazione procurata.Laddove non agisce neanche uno sceriffo di passaggio. Oppure sepassa, fa finta di agire”.

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16 trentadue dicembre 2016

Oh, mi è scivolata la... da pag.mente. E’ uno stravolgimento dellalingua perché comunichi il contra-rio della realtà, utilizzato in tutte leoccasioni di morte sul lavoro, qua-lunque sia il settore produttivo. Le morti sul lavoro diventano“morti bianche” cioè innocentisenza cause umane, senza respon-sabili. Anche quelle dellaThyssenKrupp, dove sette operaifinirono carbonizzati, tutti mortibianchi. Si provino a leggere i quotidiani del30 novembre 2016. Quattro operaimorti a Messina, più due feritigravi, dentro una cisterna. Mortibianche, fatalità e/o, irresponsabili-tà dei lavoratori. Come sempre.

Devono cambiare i modi di produrre Mai che si metta in discussione ilsistema di produzione e di organiz-zazione del lavoro in funzione delmassimo profitto. Ma se non cam-bia questo, ne hai voglia di mettere

qualche guardiano in più. Se, perottenere maggiori profitti diminui-sci il numero dei lavoratori eaumenti la richiesta e le rese dellaproduzione, anche con innovazionitecnologiche, che non riguardanoperò la sicurezza dei lavoratori e lasalvaguardia della loro salute, irischi aumentano inevitabilmente.

Leggi contro la sicurezzaPoi ci sono le leggi che fanno laloro parte: da anni si moltiplicanole limitazioni al diritto di controlloda parte delle istituzioni, si favori-sce la deregolamentazione del lavo-ro e della sicurezza e si sono deru-bricati da penali a civili i reati con-tro la sicurezza, per evitare la gale-ra ai datori di lavoro.Gli basterà,eventualmente, pagare qualchemulta.Molti non lo ricordano o non ohanno mai saputo, ma laMontedison aveva teorizzato eordinato ai propri stabilimenti, dinon fare manutenzione degli

impianti, perchè costava meno assi-curarli contro eventuali danni ailavoratori che garantirne la sicurez-za. In questi anni si sono ridotti anchei diritti sindacali e quindi la possibi-lità per i lavoratori di aprire verten-ze efficaci contro la propria aziendain materia di sicurezza. Chi prote-sta, rischia il licenziamento Anche la magistratura, imbrigliatae ostacolata dalle leggi vigenti e dauna mentalità e cultura, sostanzial-mente favorevole, per appartenenzae formazione, agli imprenditori eproprietari, si dimostra più debolecon i forti e forte con i deboli chenon viceversa. Non è facile vedereche si renda giustizia alle vittime. Dei crimini della Farmoplant chi hapagato? Crimini come quello dellaThyssenKrupp, ad esempio, nonvengono mai severamente puniti,anche se di mezzo c’è la perditadella vita, in modo orribile, di 7lavoratori. Ma si pensi anche allalentezza e al rischio di prescrizione

per la strage di Viareggio.Si obietterà che il morto alle cavelavorava con un fratello in una cavadi proprietà della famiglia. Non sose sia vero, ma qui non interessaneanche, perchè anche il piccoloproprietario che lavora manual-mente in cava, non può sottrarsi aimeccanismi del profitto e quindialla necessità di non rispettare leleggi in materia di sicurezza e lavo-ro. Utilizzerà meno mano d’operapossibile, forzerà i tempi di produ-zione, rischierà manovre pericolo-se, per velocizzare la produzione enon uscire dal mercato, perchè giàci sono gli sciacalli pronti a fagoci-tare la tua cava e la tua azienda.

Almeno taccianoIn conclusione, quando un lavora-tore perde la vita sul lavoro e acausa del lavoro, per lo meno sieviti di abbandonarsi a scontatisproloqui dettati solo dall’ipocrisia.Meglio il silenzio: è più rispettosodella dignità del morto.

Carrara

Giunta bacchettona

Arrivano le reliquie diPadre Pio a Gragnana,per una tre giorni di pre-

ghiere. Niente di male. Ognuno èlibero di pregare o non pregarecome e chi vuole e di credere o dinon credere, soprattutto alla san-tità e alle stimmate di questodiscusso, popolarissimo frate. Ma non era proprio il caso che laVicesindaco, Fiorella Fambrini,andasse ad accogliere “a nomedell’amministrazione le sacrereliquie solennemente esposte”(Il Tirreno 22 - 9 - 2016). NellaCostituzione il diritto e il doveredella laicità dello Stato e quindidegli enti pubblici è affermatasenza mezzi termini. E’ vero che dal regime democri-stiano di un tempo e da quellopost comunista di oggi, non è maistata molto rispettata, ma eraalmeno dagli anni ‘50, che non sivedeva andare un rappresentantedi una giunta ad omaggiare unareliquia. Forse sperano di ingra-ziarsi Padre Pio perchè faccia ilmiracolo di farli vincere alleprossime amministrative, ma, seè per questo, hanno sbagliatosanto. Padre Pio è sempre stato didestra. E’ vero che anche loro...

Massa: Benedetti

Ma c’è di peggio e non è satira

Egregio Sindaco,... l’ amministrazione dovrebbeprovvedere alla realizzazione diun Presepe sotto il comune egarantire il passaggio di babbiNatale per il piacere dei tantibambini che frequenteranno ilcentro con i genitori. Nel merito,lo stesso Sindaco potrebbe trave-stirsi da Babbo Natale e conse-gnare doni e quant’altro nelrispetto della tradizione nataliziae di conseguenza anche gli asses-sori magari in Re Magi e pasto-ri. Sembrano banalità, forse anchecose paradossali, ma sono certoche potrebbero in qualche modoravvivare il centro storico e riem-pire il cassetto dei negozi...Massa, li 02 dicembre 2016Stefano Benedetti ConsigliereComunale

Ha capito tutto: il bambin Gesùnato per promuovere il turismoper riempire cassetti di soldi eravvivare il centro storico. Beneanche gli assessori trasformati inMagi e pastori, ma l’asino chi lofa? Benedetti?

Benedetti

Nataliziaguerradi civiltà

“Iniziativa di sensibilizzazionealla cristianità, Crocifissi ePresepi esposti nei luoghi pubbli-ci come simboli della comunitàcristiana” A fronte di ciò che sta accadendonel mondo con atti di violenzainaudita ed indiscriminata controtutta la comunità Cristiana, credoche sia indispensabile, oggi piùche mai, reagire con un fortecolpo di reni da parte di tutta la

comunità Cristiana ... in partico-lare chiedo al Commissario dell’Asl 1 di Massa Carrara di realiz-zare all’ingresso del NuovoOspedale delle Apuane, unPresepe Cristiano che possa rap-presentare per tutti i visitatori,dipendenti e degenti della struttu-ra un momento di particolare rac-coglimento religioso. ... Certo chesaprete accogliere favorevolmentela mia umile e sincera proposta, Viporgo un caloroso abbraccioCristiano all’insegna di un BuonNatale. Massa, li 21 novembre 2016Stefano Benedetti

Il pio e devoto Benedetti a Natalevuole il presepe in comune e gliimmigrati fuoi dalle balle.

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Bernardi civico

Comicafinale

Di Bernardi Massimiliano,assessore, non è ben chia-ro a cosa, distaccato da

tempo immemorabile, daRifondazione presso le giunte diCarrara, non si ricorda niente, néun atto, né un provvedimentoamministrativo o una proposta eneanche una parola di sinistra.Vuoto totale. Un grigio burocrateche il suo partito non ha mai tro-vato il coraggio di cacciare, nono-stante le proteste della base e deglielettori. Solo quando Rifondazio-ne ha deciso, troppo tardivamente,di uscire dalla giunta, il sinistroBernardi ha mostrato il suo voltodi conservatore accanito di poltro-ne e si è dimesso, diventando di“centrosinistra”. In vista delle prossime ammini-strative, grazie a lui e all’acquie-scenza alla giunta Zubbani, la piùscreditata e insulsa della storia diCarrara, Rifondazione ha un pro-blema irrisolvibile di credibilità.

Chi può ancoravotarla, dopo l’ap-poggio garantitoall ’ impresentabilegiunta Zubbani, per-fino quando gli elet-tori erano in piazza achiederne, a ragione,le dimissioni? Bernardi però ha unproblema in più, hasempre vissuto inpolitica e non puòandare in pensionecome i vecchi rifon-datori. Che fare?Darsi solo al lavoro?.Dentro il Pd, non lovogliono; ne hannoanche troppi di vec-chi arnesi decisi, aqualsiasi costo, arimanere a galla. Un’improbabile coalizione di sini-stra lo caccerebbe a vista. Nessunoormai lo vuole. Non è neanchestato capace di attirarsi simpatiepersonali. Rigido, scostante,immusonito com’è e facile all’in-cazzereccio, è merce politica sca-duta. Eppure non demorde e sirilancia (si fa per dire) con una sualista civica che è tutto un program-

ma di comicità involontaria sin dalnome: “Alternativa per Carrara”.Alternativa al degrado, lui, peroltre un decennio, assessore dellagiunta che più ha disastrato e sgo-vernato la città? Ma mi “facci” ilpiacere, diceva Totò, ma in unafarsa, non in una pochade! Ma alpeggio non c’è limite: primario perla sua lista il “rapporto tra ammini-

strazione e cittadini, perchè biso-gna migliorare il dialogo, la parte-cipazione e il confronto”. Lui,prono assessore della giunta piùdistante e contestata dai cittadini,di tutta la storia democratica dellacittà, lui, vuole migliorare il rap-porto con i cittadini? Sembra, manon è satira. E giusto per dare unadimostrazione di cosa intenda perdialogo con i cittadini ha fatto unalitigata feroce con un’esponentedella Assemblea Permanente, fini-ta con denunce alla magistratura.Un tranquilizzante biglietto davisita per un dialogante “alternati-vo civico”. O forse le sue parole vanno, piùcorrettamente, interpretate come“alternativa al dialogo”? Più credi-bile. I conti tornano. Anche la precisazione che tantalista resterà nel centrosinistra, faridere, ma ha gettato nel panico, ipartiti che se lo ritroveranno allea-to. Con il suo apporto elettorale(boh!), restano pochi dubbi: ameno di non prevedibili miracoli,dopo 60 anni, le probabilità giàalte che il comune passi a un’am-ministrazione di diverso colore,sono considerevolmente aumenta-te.

17trentadue dicembre 2016

Benedetti natalizio

Bel mioErodeAfricani in biciclettatroppo veloci

Al sindaco di Massa... Diversi cittadini mi hannosollevato il problema di decinee decine di profughi, soprattuttoafricani, che tutti i giorni peda-lano anche a forte velocità, per-correndo il territorio per lungo eper largo... sono già diversi gliincidenti accaduti e le auto stru-sciate e danneggiate dalle bici-

clette degli extracomunitariche non sono in grado di risar-cire il danno... e viaggiano conmezzi non assicurati. ... possia-mo affermare che tutti i giornile auto, ma anche i pedoni, sonoa rischio di incidente “ senzapossibilità di risarcimento ...Per tutto ciò, la INTERROGOper sapere se era già statomesso al corrente della questio-ne e come intende intervenireper risolvere la problematica. Vorrei anche sapere se leCooperative e Associazioni cheospitano i profughi, possonoessere considerate responsabilidi eventuali incidenti e danni

procurati a persone e cose, anchein forza del fatto che molte dellebiciclette, attualmente in uso,sono state consegnate propriodai centri di accoglienzaMassa, li 30 ottobre 2016

Stefano Benedetti

All’aperto sotto le stelle o installe e capannoni abbandonatigli immigrati con biciletta civivono già. Potremmo ovviare atanta velocità pericolosa e acco-glienza senza assicurazione,adottando i metodi efficaci eradicali utilizzati dai Erode coni cosiddetti “innocenti”.

Benedetti

Natale?Con Erode ...Furti nei cimiteri di MassaMassa, 05.11.2016... per quanto riguarda i cimiteri diMirteto e Turano, la sicurezza nonesiste più e ... i furti sono all’ordi-ne del giorno, pezzi di marmo, fiori,lumini, vasi di rame, oggetti appog-giati accanto alle lapidi, ancheombrelli e piccoli ricordi ... Sarà

sicuramente un caso, ma questi duecimiteri sono frequentati giornal-mente da Rom e Sinti che chiedonol’elemosina e proprio di fronte aquello di Mirteto insiste l’accam-pamento abusivo che il SindacoVolpi continua a tollerare ... . Anche nel piazzale del Cimitero diTurano, vi stazionano spesso cara-van e roulotte con a seguito zin-gari che vivono di espedienti e diaccattonaggio e quindi i sospetti,purtroppo, non possono che ricade-re su di loro. Per quanto sopra, Lainvito ad assumere dei provvedi-

menti per eliminare questo fenome-no ... Chiedo alla PoliziaMunicipale di eliminare il fenome-no di accattonaggio che normal-mente si svolge ai cancelli di ingres-so dei cimiteri di Mirteto e Turano eper quanto riguarda l’accampamen-to degli Zingari di effettuare unsopralluogo contestando agli stessi... la grave situazione di abusivismoe omissioni di atti d’ufficio.Stefano Benedetti Cons. Com.

Non bastano presepi per essere cri-stiani, ma, ad esempio, non accusa-

re nessuno senza prove. I nomadi, al tempo di Gesù, erano ipastori, malvisti, perseguitati ecalunniati, come, oggi, i rom e isinti. Sempre i primi ad esseresospettati, furono il prototipo deidestinatari dell’annuncio dellanascita di Gesù, a differenza di re,sacerdoti e loro consiglieri. Il pio Benedetti vuole, come re,sacerdoti e consiglieri di allora, chespariscano dal nostro orizzonteurbano, ope legis et manu militari,in Africa, come Maria, Giuseppe eil figlio in Egitto, a morir di fame,

PrecisazioneNell’ultimo numero dell’Ecoapuano-Trentadue è comparso l’articolo ”Norme,indifferenza, spietatezza” sui mestieri deipoveri, firmato “Un raccoglitore di ferri vec-chi”, che, pur agitando un problema attualeper le attività dei marginali, risultava quasiincomprensibile perché si riferiva, nella suaprotesta, alla Dc, a Cossiga, all’Udr, aMaastricht, a Ronchi e altri personaggi politi-ci e avvenimenti che sembrano non appartene-re più alla nostra epoca. Purtroppo, per unerrore tecnico, è saltata l’ultima riga del tra-filetto dove si precisava che quell’articolo erastato ripreso dal n° 5-6, 1998 dell’Ecoapuano.Ce ne scusiamo con i lettori.

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18 trentadue dicembre 2016

Carrara Con-vivere

Salvarsi l’animaGli stanchi riti di unfestival che ha esauritola sua carica innovativa

Dieci anni fa scrissisull’Ecoapuano una lungariflessione sulla prima edi-

zione di Con-vivere”. Mi era pia-ciuta, ne sottolineavo il successo,mi sembrava capace di dare uncontributo alla rivitalizzazionedella città sempre più smorta emoribonda e per farle riscoprire lasua identità, mi auguravo che l’ini-ziativa avesse seguito e osservavoche “se centinaia di persone sierano mosse per andare ad ascolta-re antropologi e filosofi, demogra-fi e semiologi, sociologi e storici,su questioni complesse e difficili,dimostravano che c’era un ampiobackground culturale e democrati-co in città, che aveva voglia diconfrontarsi, di capire, di entrarein contatto con quanto di meglio epiù aggiornato offriva la culturaitaliana ed europea e non eradisposto ad arrendersi all’insigni-ficanza della globalità consumisti-ca e massmediologica”. Però facevo presenti anche le mieperplessità e timori. Innanzituttosulla “formula festival” che “perquanto di successo, doveva susci-tare dubbi e inquietudini. L’”effi-mero”, - se di effimero si trattavae il sospetto c’era -, al di là deisuoi contenuti, era di per sé omo-logato e omologante, consumismoglobalizzato e globalizzante,anche e soprattutto quello di origi-ne televisiva, che si sarebbe volutoesorcizzare e battere e faceva inve-ce rientrare agevolmente dallafinestra, quello che dichiarava divoler fare uscire dalla porta”. Inaltre parole il festival, per quantoricco e stimolante, non garantivanessuna futura e duratura ricaduta“culturale” e concreta, se non l’im-pegno per la sua riproposizione,l’anno successivo, con un budgetsuperiore, dato il successo, e unapiù numerosa presenza di “star”della filosofia, dell’antropologia,della letteratura, della sociologia,dell’arte, del cinema, eccetera.

Visto il moltiplicarsi di questo tipodi festival e il loro indubbio suc-cesso di pubblico non era illegitti-mo domandarsi se non si fossetrattato di consumistiche “sagrepopolari e fast food per il ceto

medio riflessivo”. Di un festivalcioè, all’insegna di un effimerosapere filosofico, sociologico eantropologico medio, anzichèdella birra? Una conseguenzadiretta della cultura televisiva emassmediatica, di cui utilizzavagli “esperti-star”, Augé, Bodei,Scoppola, Bauman, Cardini, ecc.,noti al grande pubblico medio,come personaggi televisivi, e nonper la loro attività di ricerca scien-

tifica e le loro opere. Anche laquasi unanimità degli elogi a “con-vivere” dovevano mettere in allar-me, perché, se si piace a tutti indi-stintamente, quando si parla di cul-tura critica, forse vuol dire che dicritica se ne è fatta poca, che sisono sfondate porte aperte e si èespresso quello che il senso comu-ne vuol sentirsi dire. Ma se si sod-disfa il senso comune si blandiscela mediocrità e con la mediocritànon si rinnova la cultura dellacittà. Di fronte a tutte le relazioni(performance), l’impressione erache si trattasse di discorsi scontati,banalizzanti e già conosciuti eassimilati dagli spettatori.Belle “lezioni”, che avevano finitoper dire e ridire genericità, nonfosse che per i tempi tagliati con-cessi ai relatori e la mancanza didibattito.“Sarà il dopo festival - dicevo - achiarire se è avvenuto qualcosacapace di contribuire a far cresce-re la città o solo discorsi senzaricadute sulla qualità della vita,dell’impegno e della consapevo-lezza dei sui cittadini e abitanti. I marginali, gli stranieri, i migran-ti, i senza identità o con l’identitàspappolata e in crisi, le periferie, i

confini, l’invisibilità, sono tra noie siamo noi, in Piazza Farini e aCaina, tra i rom del Lavello e traquelli che Conti, che pure ha par-lato di pluralismo, multiculturali-tà, migrazioni, ecc., fa sistemati-camente cacciare da sotto i pontidell’autostrada ogni due mesi. Sono i co.co.co., i disoccupati, igiovani senza speranze e prospet-tive, i pensionati, i venditorimarocchini o cinesi, i marginali

senza assistenza, i cassintegrati, ilavoratori a progetto e part time,gli handicappati senza sostegno a scuola, i vecchi soli, gli impossibi-litati a pagare le bollette di Gaia, iconsumatori di droghe, i malati, iclandestini, ecc., ecc., - dei quali non si è parlato a sufficienza, nelfestival e ai quali non riesce perniente bene con-vivere, con e nel-l’attuale società -, che interpella-no concretamente il festival e isuoi spettatori, e costituiscono ilbanco di prova dell’utilità ed effi-cacia di iniziative, ottime sullacarta, come questa.In altre parole, il successo delfestival non è valutabile solo etanto per il numero degli spettato-ri e la qualità dello spettacolo, mase, nel concreto, la qualità dei rap-porti tra tante identità e diversitàcomplicate e difficili, comincerà acambiare, a crescere e a trasfor-marsi anche in iniziative politichee amministrative “con-viventi”.Perchè “chi, ad esempio, è preca-rio non con-vive, ma sopravvive(forse), chi sbarca fortunosamentea Lampedusa non ha problemi didiversità culturale, ma di fame e leguerre in Iraq, Afghanistan eLibano non nascono dal fonda-

mentalismo religioso, ma dalpetrolio. Problemi di con-vivenza,ma che hanno origini materialissi-me e ben poco filosofiche, antro-pologiche e culturali”. Che era però quanto, di cruciale edeterminante, il festival non avevadetto: che era necessario e dovero-so, per capire, agire e convivere,anche “parlare dei rapporti diproprietà”, per dirla col vecchioBrecht che, intervenendo alCongresso internazionale degliscrittori per la difesa della cultura”nel 1935, indicava come condizio-ne indispensabile per fare cultura,poesia, arte, ma soprattutto per“con-vivere”, in modo libero epacifico. E’ di questo che il suc-cessivo, auspicabile festival,avrebbe dovuto tener conto percontribuire a far crescere la città. A dieci anni di distanza un rendi-conto anche di queste valutazioni,va fatto. E del festival.Lo dico subito, credo che i timoriche avanzavo allora fossero giu-stificati e che abbiano trovato con-ferma nel susseguirsi delle edizio-ni del festival che è cresciutoquantitativamente, si è contornato,gonfiato, di altre iniziative, spetta-coli, musica, concerti, giochi per ibambini, teatro, cinema, ma èandato sempre più turistizzandosie consumistizzandosi. Gli spetta-tori sono cresciuti in funzionedello spettacolo e delle star cultu-ral-televisive offerte, delle modeculturali promosse dai massmedia, dei giochi di società orga-nizzati e dei bignami delle variediscipline proposti. Poteva essereil festival, e inizialmente l’inten-zione sembrava esserci, una pro-posta culturale antiaccademica eanticonformista, ma ha finito perdiventare una proposta “di medie-tà culturale, funzionale allariproduzione dei rapporti dipotere nella società”. Alloraauspicavo uno “screening” delpubblico che aveva assistito aspettacoli, dibattiti e conferenze, -molti giovani (ma chi sono?), inse-gnanti, professionisti, tecnici delleistituzioni, politici, imprenditori,medici e avvocati, impiegati, cioèpersone acculturate e già al corren-te e aperte ai problemi trattati -,per poter capire quanto una simileiniziativa potesse contribuire allacrescita di coscienza e di consape-volezza critica della città”. Direi che oggi non ce ne sia piùbisogno: il pubblico del festival (edei festival perche ce n’è ormaiuna quantità in giro per l’Italia) èquello che si riconosce nel pensie-

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Salvarsi l’anima da pag. 17ro e nella cultura dominanti, cioènell’accademismo, nei sottopro-dotti facili e facilitati degli epigonitelevisivi dei capiscuola, nellamerce culturale che ha fatturati dirispetto. Dei discorsi da salottotelevisivo (di cui il festival finisceper essere un prolungamento aduso dei fan colti che possono cosìavvicinare, vedere e toccare i loroidoli, non diversamente dai teenagers che vanno in estasi per qual-che cantante). Da dove si possono ricavare que-ste valutazioni? Dal fatto che laconvivenza in città è peggiorata eche tra i tanti assidui ed entusiastidel festival non ne vedo che prote-stino apertamente contro chi mal-

tratta i mendicati, caccia via glizingari, denuncia il nigeriano chevenda cianfrusaglie. Non vedo chisi scandalizzi per il giovane disoc-cupato e senza mezzi, per la fami-glia sfrattata, per la madre che sidispera in pubblico contro l’assi-stenza sociale sempre più burocra-tica e spietata, per le code davantialla Caritas in attesa di un piatto diminestra, per i destri che imperver-sano chiedendo, tra il consensocrescente della gente, espulsioni distranieri poveri e diritti solo per i“nostri” e per i blocchi stradalicontro l’accoglienza nel propriopaese di pochi bambini e madrifuggiti da guerre e fame,e neancheper le proteste contro il vescovo diMassa sospettato di voler utilizza-

re una chiesa abbandonata perdistribuire cibo e vestiario ai pove-ri e per accogliere qualche extra-comunitario. Ma gli amministratori pubblici,mentre entusiasticamente siautoincensano e autopromuovonocon stanchi riti postaristocratici eneooligarchici come la concessio-ne della cittadinanza onoraria aBodei, organizzatore del festival,non fanno niente contro il razzi-smo, l’emarginazione, la povertà,la disoccupazione, il disagio socia-le, la disperazione, la mancanza diprospettive e di senso della vitaper i giovani (e non solo per loro)che crescono ogni giorno sotto inostri occhi. Al contrario, si riem-piono la bocca di astrazioni inno-

cue sul con-vivere, ma emettonospietate ordinanze contro i margi-nali, sgomberano stranieri senzacasa perfino da sotto le tende,mobilitano forze dell’ordine, vigiliurbani e l’assistenza sociale controi poveri, si disinteressano di handi-cappati, di vecchi bisognosi diassistenza, di chi non ce la fa. Maa cosa serve la cultura se non saimpegnarsi, spendersi contro tuttoquesto? Forse, al di là dell’ipocri-sia evidente dell’establishment, adare l’illusione a gran parte deglispettatori - consumatori del festi-val di salvarsi l’anima, e di sentir-si in pace con la propria coscienza,ma non con la realtà. Ed è invecesolo questo il metro di giudizioche conta.

Scuolacon cane e senza porte

Sono sistematiche le denuncesullo stato di degrado edili-zio delle scuole. Nessuna è a

norma terremoti, ci sono crepe,cadono soffitti, la manutenzioneordinaria non si può fare per man-canza di fondi, ogni spesa non pro-priamente straordinaria, comel’imbiancatura di un’aula diventaoggetto di dibattito pubblico e igenitori o gli studenti più grandi sela devono fare loro.Molte cose ho visto accadere omeglio cadere nella scuola doveinsegnavo, compreso il soffitto diuna mia aula e la chiusura per peri-coli di crolli di due sedi doveavevo insegnato per anni. E peranni ho lavorato in un edificio sco-lastico dove corridoi e aule eranotransennati e ricordo un’aula dove,quando pioveva, scendeva unadiscreta cascata che bagnavaun’intera parete. Eravamo cosìabituati che non ci facevamo nean-che più caso. Ma queste sono altrestorie. Che certo non giustificanoil degrado di oggi, con quello diallora. E’ la notizia riportata dalle crona-che locali, “In una scuola per l’in-fanzia una classe è senza porta”,che ha stimolato i miei ricordi, ditanti anni fa, quando facevo questomestiere. Due volte alla settimanafacevo lezione a due classi di stu-denti, già maturati che dovevanoseguire un corso per poter accede-re all’Università. La scuola era

mal sistemata in un edificio monu-mentale dell’era fascista, pensato(male) per l’educazione fisica.Dati i muri portanti da regime,dello spessore anche di un metro epiù, gli spazi erano rimasti inevi-tabilmente quelli costruiti per leattività ginniche dei balilla e degliavanguardisti, il premilitare e ilsabato fascista. Le palestre piùgrandi erano diventate aule, graziea qualche divisorio posticcio incartongesso, che non impediva ilpropagarsi delle voci e dei rumorida una parte all’altra. Nella cap-pella era stata realizzata megliocollocata l’aula dei professori, lapresidenza aveva sostituito l’infer-meria. L’ingresso principale, unenorme mausoleo con tantomarmo sprecato, aveva perso lasua funzione originaria ed eradiventato l’aula magna, anche sequotidianamente vi si svolgevano

lezioni. La cosa piaceva molto aglistudenti, perchè ogni tanto apriva-no i paletti e uscivano per andarse-ne al bar. Nella bella stagione, nonessendoci finestre, il portone sullastrada restava aperto, e ogni tantoarrivava dentro una frotta di turistiche pensavano fosse un museo oun’opera architettonica da visitare.Altre volte si affacciava qualchevecchio del quartiere nostalgico arimirare i luoghi della sua giovi-nezza e si intratteneva amabilmen-te con insegnante e studenti.C’erano aule che sembravanopiazze e aule piccolissime. Un soloelemento le accomunava: i soffittialtissimi creavano effetti acusticiperversi: anche stando sedutiintorno a un tavolo era quasiimpossibile sentirsi. Nel pomerig-gio però facevo lezione in aulamolto piccola, dove per lo meno lavoce non si disperdeva, ma erava-

mo costretti a stringerci per starciin 25, quanti eravamo, più un cane,D’inverno però c’era caldo e nonci pioveva, come invece all’ultimopiano, e alla fine dell’anno scola-stico, gli spessi muri fascisti el’esposizione a nord ovest, cigarantivano dai caldi eccessivi. Perchè il cane? La mia era unascuola molto tollerante e rispettosadi ogni forma di vita, per cui, neltempo, gli si era venuta creandointorno una colonia di grossi caniben pasciuti e grassi che staziona-vano ogni mattina sui marciapiediin attesa delle 10,30, ora in cui glistudenti facevano l’intervallo,uscivano nel cortile e dividevanofraternamente con tutti i canifocaccine, panini imbottiti, brio-che e paste. I cani entravano tran-quilli e fiduciosi, dall’esterno ericevevano la loro parte di refezio-ne. Poi, ordinatamente e indolenti,tornavano a distendersi sui marcia-piedi che, a sud, ricevevano iraggi del sole. Si trattava di caniper lo più randagi, ma tranquilli eben inseriti nel quartiere, più gras-si che magri, nessuno era denutri-to. Dopo l'intervallo scolastico,verso mezzogiorno, si spostavanoin branco verso la zona dell’ospe-dale, dove non so se i degenti o ilpersonale sanitario o dei privatidel circondario, offrivano loro ilpranzo. Qualche accalappiacaniaveva tentato di eliminarli, manonostante le cacche che distribui-vano equamente su tutti i marcia-piedi, la gente, che ai cani volevabene, vecchie signore, uno nettur-bino che recuperava cibo dai cos-sonetti, i commercianti stessi sierano ribellati e i cani si erano sal-vati. La sera poi, ma riferisco

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Handicap

Vita difficile poverino!Le barriere architettonichenon esauriscono i problemidi relazione dell’handicap

Quest’estate, un incidentemi ha costretto a muover-mi, per due mesi con la

stampelle e ho sperimentato chegli scivoli, invocati, giustamentecontro le barriere architettonicheper chi gira in carrozzella, sonoinvece di ostacolo alla sicurezza dichi si muove aiutato da bastoni.Niente di grave. Il disagio, è sicu-ramente minore di quello di chi sitrova davanti a un cordolo di mar-ciapiede, dovendosi muovere suruote e i percorsi alternativi sonopiù facili e numerosi. E’peròl’idea e l’immagine di barrieraarchitettonica offerta dalla sempi-terna foto di uno in carrozzelladavanti a una ripida scalinata cheva modificata e resa più comples-sa. Pochi lo sanno, ma ci sono, adesempio, persone con difficoltà dideambulazione che devono cam-minare, a seconda dell’handicap, osolo sulla destra delle strada e solosulla sinistra, perché l’inclinazionedel manto stradale o del marcia-piede, costituisce per loro un graveostacolo, impedendo ai piedi l'ade-

renza al terreno e determinandonepiuttosto il ribaltamento. Si posso-no eliminare la curvatura dei mantistradali, la pendenza verso il cen-tro dei marciapiedi o le salite e le

discese? Evidentemente no. Sitratta di barriere architettonicheineliminabili, almeno per ora. Imarciapiedi in marmo che funesta-no pervasivamente ormai il territo-rio sono barriere architettonichepericolose, specie quando sianobagnati, per chi deambula male

che dovrebbero essere eliminateal più presto, invece di venir entu-siasticamente promosse dalleamministrazioni locali, nonostantele leggi che impongono di rimuo-

verle e di non introdurne di nuoveGià questo dimostra la superficia-lità e l’indifferenza con cui leamministrazioni pubbliche tratta-no il problema.Comunque sia, va preso atto chegli handicap sono tanti e diversi econ bisogni diversi, molti fisici,

molti anche psicofisici e che, pertutti, anche per i cosiddetti normo-dotati in particolari momenti dellaloro vita, esistono barriere di variogenere, difficili da classificare enon tutte facilmente prevedibili edeliminabili. In altre parole ancora,l’immagine buonista della carroz-zella davanti a una scalinata, costi-tuisce un pregiudizio positivo, cheimpedisce, come quelli negativi dicomprendere la complessità deifenomeni reali, le dimensioni mol-teplici dell’handicap. Le barriere insomma sono tante ediverse, perchè tanti e diversi sonogli handicap, ma le barriere piùdiffuse e difficili da abbattere sonoquelle che nascono dai pregiudizie dall'indifferenza che circondanoe affliggono l’handicap.

Positivi o negativi. ma sempre pregiudizi sonoE’ noto che i pregiudizi possonoessere negativi e positivi, ma tuttiegualmente nocivi. Fino a quandonon si considererà l’handicappatoun cittadino a tutti gli effetti, por-tatore di diritti e non di handicap enon un capite deminutus, uno nonpienamente umano e adulto e finoa quando non si formerà una men-talità diffusa che veda l’handicap come “normalità” possibile di cuinon avere paura, o provare orrore edisagio, fino a quando cioè non cisarà un’educazione all’handicap,al diverso, alla complessità della“normalità”, senza mai dimentica

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Scuola con cane... da pag. 19quanto mi è stato raccontato, lamigrazione si volgeva verso un’al-tra parte, sempre per il cibo, versouna piazza in cui c’erano piccoletrattorie e bar che servivano anchecibo. Il ciclo ricominciava la mat-tina seguente. Tra questi cani ce n’era uno, gros-so, dal pelo lungo tra nero e bion-do, bello, pacifico, probabilmentedi una certa età. Calmo e affettuo-so, mai che l’abbia sentito abbaia-re o ringhiare. Godeva dei favoridi tutti gli studenti e aveva, unicotra quei cani un nome noto, Bruno.Verso le tre lui, a differenza deglialtri, tornava a scuola, entrava nelcortile e mi aspettava. Non so se lofacesse tutti i giorni e con altriinsegnanti, con me lo ha fatto perqualche anno. Quando arrivavo, mi si affiancavaed entrava disinvolto e tranquillonella scuola. A quell’ora, i custodierano in genere a pulire le aule e

quindi non c’erano controlli. Nèper me. né per lui. In classe, inattesa che arrivassero gli studenti,mi sedevo alla cattedra e lui sisdraiava vicino a me, non tantoper amore del sapere filosofico eneanche perchè amico dell’uomo,ma perchè la cattedra era di fiancoa un termosifone ben caldo. Finitele lezioni, dopo tre ore, mi alzavoe uscivo e anche lui si alzava eusciva con me, senza che dovessiordinarglielo. Tra gli sguardi scan-dalizzati dei custodi, attraversava-mo quello che un tempo era statoil magazzino della Gil, ed era statotrasformato in ingresso e guada-gnavamo l’uscita del cortile. Alcancello, senza salutarci, ognunoandava per la propria strada.Succedeva però a volte che, nelpomeriggio, io arrivassi a scuolacon un certo anticipo, per sbrigarequalche incombenza burocratica eche il cane, quindi, che era invecemolto puntuale, non mi intercet-

tasse. Appena gli studenti si eranosistemati nell’aula iniziavo lalezione, ma, immancabilmente,poco dopo la porta si apriva edentrava, in ritardo, Bruno. Forseaveva atteso che l’ingresso fosselibero da custodi, non avendo lamia protezione. Tranquillo, flem-matico e silenzioso veniva verso lacattedra e si sdraiava accanto altermosifone. Ma sarebbe sbagliatocredere che avesse imparato adaprire la porta, abbassando lamaniglia con le zampe, come unqualsiasi cane Rex televisivo.Molto più semplicemente, la serra-tura non c’era, da decenni, ebastava una lieve spinta alla portaperchè si spalancasse. Sarebbestato una manifestazione didisprezzo del buon senso chiedere,nella scuola “cattiva”, senza maiuna lira nei bilanci, che venisseripristinata una maniglia. A onor del vero, devo riconoscereche non l’ho mai chiesta e non mi

è mai neanche venuta l’idea dichiederla.Non so se sia un motivo di onore,per me, ma Bruno è certo stato unodei più assidui alle mie lezioni. Mai assente, direi. Anche se ovviamente auguro aibambini in questione che la“buona” scuola doti la loro aula diuna porta, devono però sapere chequesta impedirà al Bruno di turnoche certo si aggira intorno alla loroscuola, di dar loro la gioia dientrargli in aula e stendersi soddi-sfatto sotto il termosifone. E va ricordato che a quel tempo, inquella “cattiva” scuola, frequenta-ta anche dal cane Bruno, il bulli-smo (sarà per la pratica diffusa dirispetto dei cani? Anche se imma-gino gli igienisti.. e gli accalappia-cani...) era del tutto sporadico enon una tendenza di massa, e ipochi casi che si verificavano, la“cattiva” scuola era in grado diindividuarli e di risolverli.

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“...ma il metro non è uguale per tutti”*

Handicap è, come tutte le parole che esprimono idee generali,utile, ma pericolosa. Rende più agevole il nostro comunica-re, ma semplifica e riduce la realtà su un letto di Procuste da

cui si alza solo deformata e indistinta.Perché di fronte all’handicap gli atteggiamenti in positivo dei “nor-mali” sono stati o la compassione che porta alla beneficenza, al “fareassistenza a...”, o la compassione che porta alla rivendicazione di“servizi per...”, in quanto diritti fondamentali.Sotto tutte queste buone intenzioni, anzi a loro fondamento, la con-vinzione che “l’handicappato in generale” è un “minorato”, un “disa-bile”, un non “autonomo”, un “essere umano non completo” e perciòbisognoso, come un bambino, di “tutela”.Questo vale, sia ben chiaro, per qualsiasi tipo di handicap: anchequando questo sia “lieve”, e permetta la massima autonomia fisica eintellettuale, l’handicappato è vissuto dai “normali”, a partire dal suohandicap, prima che sotto ogni altro punto di vista. Naturale quindiche l’handicappato abbia sempre cercato e cerchi di nascondere ilsuo handicap agli altri, ma spesso anche a se stesso. Quanto piùl’handicap è occultabile, tanto più sarà facile stabilire rapporti “nor-mali” con i “normali”. “Non sembra neppure handicappato”; è lamassima conquista possibile di fronte ai “normali”.Ma i concetti di beneficenza, servizi e diritti garantiti dai “normali”,esplodono radicalmente, se colui che è definito “handicappato”comincia a pensare se stesso e afferma il suo handicap, come “mododiverso di essere”, come differenza anziché come disabilità e, soprat-tutto, se questo viene fatto collettivamente, assieme ad altri chehanno lo stesso tipo di “handicap”. “Ma come? Un cieco è un cieco, non vedrà mai. Un sordo è un sordo,gli manca la capacità di udire, cioè manca di qualcosa. E non parlia-mo dei down che hanno capacità intellettuale ridottissime o dei para-plegici, dei tetraplegici, degli autistici. Vogliamo confinarli nel grup-po dei loro simili e ricacciarli nei ghetti?”.In una trasmissione televisiva è stato mostrato un gruppo di bambiniaffetti dalla sindrome di Down, che rivendicavano questa loro condi-zione come modello di vita piena e realizzata e sognavano di poteravere figli con le loro stesse caratteristiche. I sordi oggi rivendicano la Lingua dei Segni, la loro lingua, dopo mil-lenni di oppressione e violenze e dopo un secolo e più di sistematicae intenzionale negazione di questo loro modo nativo di esprimersi,sopravvissuto ed evolutosi nonostante persecuzioni e censure deter-minatissime da parte della cultura e della pedagogia “udente”, com-presa quella progressista e di sinistra. E l’esistenza di una loro cultu-ra, altra rispetto a quella degli udenti, ma, antropologicamente, noninferiore e di una loro storia. Affermano cioè non solo il diritto di restare sordi, di fronte soprattut-to a una implantologia uditiva sostanzialmente pericolosa e devastan-te, ma la positività di non essere come i “normali”, di non udire.Vogliono riconoscersi come “etnia”. Vogliono, dopo che per tantotempo i democratici e le sinistre, hanno lottato per l’integrazionedegli “handicappati” nella scuola dei “normali”, una loro scuola,separata, nella quale semmai siano i “normali” ad integrarsi.Ma allora, per dirla con gli antichi sofisti, capire e non capire, udiree non udire, camminare e non camminare sono la stessa cosa? Forsesì. Nel senso che di queste cose, se se ne vuole parlare, non si puòprescindere dalle soggettività di quelli che le vivono, perché “di tuttele cose misura è l’uomo: di quelle che sono per ciò che sono, di quel-le che non sono, per ciò che non sono”(Protagora 80 B 1). O come dice Elisabeth Auerbacher: “Noi non possiamo far finta diessere come gli altri, col rischio di non essere più noi stessi. Noiabbiamo il nostro proprio ritmo...” (in: Babette, pag. 92, EDB,Bologna 1991). M. P.

*. - da Gabriella Bertini - Al canto della civetta, p. 14, Firenze 1989Da L’Ecoapuano febbraio 1994

Vita difficile poverino ... da pag. 19re però che l’handicap è sempre dif-ficoltà, la realizzazione di qualchescivolo in più, potrà costituire argo-mento per le campagne elettorali,ma non modificherà la qualità dellavita degli handicappati.

Liberare gli handicappatiTra le centinaia di handicappati cheesistono e vivono in questa provin-cia, quanti ne vediamo circolare,soli o accompagnati, nelle strade epiazze o sulla spiaggia? La maggio-ranza è invisibile e non ha relazionicon il territorio, ma solo con lafamiglia e con poche istituzioni chese ne devono occupare.Ma anche quando ci siano istituzio-ni come la scuola che per statuto sidevono occuparsi del loro inseri-mento e della loro integrazione, irisultati sono ampiamente fallimen-tari, perché la scuola non ha compe-tenze vere, non ha mezzi e in com-penso ha una cultura fondata suipregiudizi, positivi, ma sempre pre-giudizi.

Alla scuola dei pregiudiziI progetti di inserimento che fa lascuola, quali sono? Sempre di bassolivello, perchè ci si aspetta poco dauno che non è “normale”. All’handicappato si chiede poco esi dà poco. Che si accontenti eaccontentiamoci. A scuola verràconsiderato sempre un intralcio perlo svolgimento dei programmi euna presenza imbarazzante, se noninguardabile, che crea difficoltà,anche dagli gli studenti “normali”.Se va bene, cioè se non darà troppanoia, se non sarà troppo ingombran-te la sua presenza, l’handicappatoverrà trattato paternalisticamente dainsegnanti e studenti. “Poverino,

non è normale” “Fa anche troppo lascuola per lui” “Non si può preten-dere da lui”. Così si giustifica loscarso e qualitativamente bassoimpegno nei suoi confronti, la scar-sa presa di coscienza delle sueeffettive difficoltà e delle sue possi-bilità, e la sua sostanziale emargi-nazione nella classe. Verrà promos-so sicuramente, perchè “Poverino,non si può pretendere da lui comedagli altri...” e non perchè la scuo-la se ne assuma effettivamente leresponsabilità, se ne occupi e siimpegni a promuoverne la realizza-zione. Lo si promuove a priori e ci si sca-rica delle responsabilità nei suoiconfronti. “Cosa può pretendere dipiù?”. Passa da una classe alla suc-cessiva, perchè non gli si chiedeniente, non si hanno aspettative sudi lui. Perchè è considerato un per-dente a priori, nella società dellacompetitività,, del successo, del“merito”, delle “performance”. Esarà sempre considerata una perdi-ta di tempo e risorse occuparsene.Poverino! Sarà affidato in modo esclusivo aun insegnante di sostegno, se c’è,spesso del tutto ignaro di handicapo di quell’handicap specifico, per-chè dirottato sugli handicappati acausa della contrazione delle catte-dre e nelle sua mani farà soprattuttotirocinio di emarginazione, di soli-tudine, dell’indifferenza dei suoicompagni e insegnanti, di perdente.E non essendoci aspettative su dilui, poverino, si abituerà anche anon appartenere, se non come peso,anomalia, costo sociale, alla suasocietà. I paraocchi del “poverino”,lo massacrano, proprio tra chi credein questo modo di rispettarlo e pro-muoverlo.

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Giuseppe Pezzica

Il dialettonell’arteAlla scoperta delle risor-se nascoste della cittàUna bella mostra, che arricchisce l’identità dellacittà

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Una comunità, se haun’identità propria in cuiriconoscersi, è viva quan-

do riesce a valorizzarla, e a farlacrescere grazie alle sue energie erisorse non solo e tanto economi-che, ma culturali, sociali e storicheche spesso sono invisibili e opera-no sotto traccia. Succede però,sempre più spesso che si rinuncifacilmente alle proprie radici, perla pressione della cultura domi-nante che si diffonde attraverso imolti canali di cui dispone, daimassmedia alla scuola, dalla poli-tica alla burocrazia, dalle mode aiconsumi di massa, molti anchepositivi e necessari, ma mai pensa-ti, fino ad oggi, anche in funzionedelle moltissime diversità su cuivengono a sovrapporsi. Basta pen-sare ai dialetti. Vivi fino a qualchedecennio fa, perché la scuola nonaveva trovato modo, nonostante selo proponesse, di soppiantarli,oggi sono, salvo alcune regioni,decisamente residuali, per cultoridel passato, per i poeti del vicina-to, ma difficili da rivitalizzare. Oalla cultura contadina, spazzata vianon solo dall’industria, ma anchedall’applicazione di tecnologie,macchine, additivi chimici, pesti-cidi, specie altamente selezionatee organismi geneticamente modifi-cati, che hanno soppiantato edisperso il sapere e il fare tradizio-nali e la società che nella cono-scenza di essi aveva la sua forza evitalità. Perfino le galline, sembraabbiano perso la capacità di cova-re. Anche se oggi, specie tra i gio-vani,qualcuno prova a ripercorreree ritrovare i metodi e le colture delpassato. Quanti sono oggi gli artigiani,capaci di riprodurre statue inmarmo da una fotografia? Anchela grande tradizione dei laboratorista scomparendo e, nonostante glisforzi, la stessa scuola del marmo,scuola unica in Italia, ma forseanche nel mondo, con i suoi scarsiiscritti e frequentanti, non riesce a

tenere il passo, con le nuove tecno-logie e i prezzi di mercato. Disbozzatori, scultori, rifinitori,lucidatori eccetera, c’è sempremeno bisogno. Fanno tutto loro, lemacchine, anche se in modo menosoddisfacente, per ora. Giusto osbagliato che sia, molte culture,molti saperi, molte forme di vita elavoro, sono destinate a scompari-

re. Perfino gli storici laboratori discultura, come quelli di Nicoli, aCarrara, stanno chiudendo. La nostalgia è inevitabile, ma nonsempre e non per tutti (il punto divista conta) ed è vero che non tuttele perdite sono positive, ma nean-che tutte negative. Non penso cisiano contadini che, di norma, pre-feriscano arare con i buoi anzichécon un trattore. Non tutto quelloche appartiene al passato deve per-ciò apparire vantaggioso e da rim-piangere rispetto al presente.Quello che invece avremmo l’ob-bligo di conservare del nostro pas-sato prossimo e remoto, al di là diinutili e comprensibili nostalgie, èla memoria anche di ciò che di persè non è eccezionale e della quoti-dianità, da cui sono costituite lenostra radici più profonde, lanostra storia di lunga durata, diffi-cile da cogliere perchè data perscontata e di cui subiamo la scom-parsa senza accorgercene o quasi.Un esempio televisivo, e per resta-re a fatti che non coinvolgonoattualmente l’opinione pubblicacorrente in dibattiti: per chi ha unacerta età il 25 aprile costituisceuno spartiacque della nostra storianovecentesca, ancora motivo discontro con la conservazione che,conoscendone bene il senso, vor-rebbe consegnarla alla storia deglistorici e abolirla dal calendario,ma un sondaggio televisivo recen-te, ha accertato che chi è intorno aiventi anni, anche se scolarizzato,ne ha vaghe notizie e non ne cono-

sce l’origine e ne ignora il signifi-cato. E’ però questo della quotidianità,del lento modificarsi di abitudini,stili di vita, modi di lavoro, cono-scenze, convinzioni, ideologie,credenze e ideali, un terreno stori-co poco arato dagli storici e piùdifficile da cogliere e da comuni-care. Una o due generazioni e il

suono, l’atmosfera, i sensi di qua-ranta o cinquanta anni fa evapora-no per le nuove generazioni; i fatti,le cronache restano, le ricostruzio-ni storiche quando ci siano, sullascorta delle documentazionioggettive, vengono congelate neilibri, ma solo in astratto; i veri pro-tagonisti del passato gli uomini ele donno in carne ed ossa di undeterminato periodo anche recen-te, come osservava Hans MagnusEnzensberger, dove possiamo sen-tirli e ritrovarli?Mi è capitato, poco tempo fa, didiscutere con un giovane appassio-nato ed esperto di storia del dopo-guerra in Italia. E’ molto difficilefar comprendere che il ricorso allaviolenza, collettiva e, magari, conle armi in pugno, anche in modiferoci e spietati, negli anni succes-sivi alla Liberazione aveva unsenso molto diverso rispetto adoggi. Il paese usciva da venti annidi dittatura che aveva educato allaguerra, al disprezzo, alla despecifi-cazione anche razziale di chi dis-sentiva, all’odio, alla persecuzio-ne, all’umiliazione e all’elimina-zione fisica di chi non era allinea-to col regime fascista. C’eranostati poi gli anni delle guerre colo-niali, della guerra mondiale, e legrandi carneficine, i campi di con-centramento e di sterminio, i mas-sacri di massa delle popolazioniinermi e, negli ultimi due annianche la guerra civile, durante iquali si erano gettate sì le basidella Costituzione e quindi della

convivenza delle diversità ideali epolitiche, ma era anche maturatal’esigenza di giustizia (se non divendetta) rispetto ai crimini delventennio, e la volontà di chi lotta-va per la libertà di rinnovare anchesocialmente l’Italia liberata. Loscontro politico, nel dopoguerra fuduro, intransigente,spesso senzapietà. Non potevano essere dimen-ticati e superati facilmente isoprusi fascisti e le stragi nazifa-sciste, perchè non eravamo affattoun popolo di “santi”, le sofferenzesubite per anni e la lotta partigianacon tutte le sue vittime, che avevafatto sperare in una umanità eciviltà di eguaglianza e giustiziasostanziali. Quando non giungevala giustizia o sembrava non giun-gere (e le varie amnistie di fattoimpedirono di rendere giustizia efavorirono gli armadi della vergo-gna) era facile, in quel clima, difarsi giustizia da soli, individual-mente. Quello che allora sembra-va normale, e certo appartenevaalla mentalità corrente e non stupi-va, oggi, col senno di poi, sarebbeconsiderato, giustamente, orribilee delittuoso. Ma è un’estrapolazio-ne non autorizzata, giudicare queitempi, alla luce di quelli di oggi. Eallora? Se la storia non è arrivatae forse non arriverà mai a renderconto di quel periodo, a restituirce-ne il suono, non resta che rivolger-si alla produzione artistica. H. M. Enzensberger, ha parlato, inmodo problematico che qui nonc’è bisogno di approfondire, dinecessità di ricorrere alla letteratu-ra come storiografia. Penso che lostesso procedimento analiticopossa essere applicato, anche adaltre forme di espressione “artisti-ca”, egualmente in grado di rivela-re il senso di un periodo storico.Perchè, senza voler offendere nes-suno, non mi sembra che esista, danoi una letteratura locale significa-tiva nel senso che si è detto. Maesiste invece un’ampia produzionescultorea, architettonica, grafica epittorica (per limitarsi alle artifigurative) che solo in minimaparte ha avuto circolazione ed èstata fatta vedere. Mi sembra che questa strada siastata imboccata, in questo annoche sta per chiudersi. a Carrara contre mostre, dedicate ad autorisignificativi anche della nostra sto-ria locale e non solo culturale:Giovanni Tognini, GiuseppePezzica e Maria Teresa MazzeiFabbricotti. Finalmente si è inizia-to a scavare nella nostra storia piùintima, quotidiana e autentica, benoltre le scontate memorie agiogra-

Giuseppe Pezzica. lezione all’aperto, fine anni ‘60

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fiche dei soliti e spesso immerite-voli che hanno alimentato e ali-mentano le stucchevoli e, a volte,vergognose strenne delle banche.

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Qui mi sono proposto dariflettere solo sulla mostradi pittura, scultura e gra-

fica, di Giuseppe Pezzica, organiz-zata dal figlio Giancarlo e daEnrica Frediani, perché, nono-stante le dimensioni ridotte (unacinquantina di pezzi, scelti da unaproduzione di almeno settantaanni), si è rivelata importante, pro-prio per la regioni dette sopra, per-ché, al di là dello stesso giudizio dimerito sulle opere esposte, da unaparte fa finalmente emergere dellerisorse umane e culturali nascostedella città, dall’altra, come testi-monianza di prima mano di unlungo periodo storico, dal tempodel fascismo, al dopoguerra e aglieventi successivi, fino agli inizidel ventunesimo secolo, ci aiuta eguida a coglierne le diverse atmo-sfere e il senso storico complessi-vo. Riadattando alle arti figurative,quanto detto sopra a propositodella letteratura da Enzensberger,molto spesso e in questo caso sicu-ramente, la produzione “artistica”ci fa conoscere un periodo e gliuomini di un tempo molto più inti-mamente che le ricostruzioni deglistorici, tanto più che su questolungo periodo della città non esi-stono davvero, ed è singolare einquietante, molte analisi e rico-struzioni storiche. Non so se percaso o intenzionalmente, ma delperiodo tra l’affermazione delfascismo e l’inizio della resisten-za, nella nostra zona, ben poco èstato scritto, ricercato, ricostruito,un buco nella conoscenza dellanostra storia di quasi venti anni:

Dico subito che la mostra diGiuseppe Pezzica mi è piaciuta emi ha coinvolto e sorpreso più diquanto non pensassi. Sapevo già, perchè me lo avevaconfidato lui stesso, che GiuseppePezzica, di cui sono stato collegadi lavoro per molti anni, avevauna sua produzione artistica ampiae sistematica, che si rifiutava peròdi rendere nota. Così, salvo qual-che pezzo comparso in qualcheesposizione collettiva, conoscevoben poco di questa sua attività eavrei continuato ad ignorarla,senza questa mostra, che lo fa

conoscere finalmente al pubblico,anche se in modo solo parziale. Non è un rimprovero ai curatori.Al contrario, perchè hanno dovutofare i salti mortali per farla e, men-tre la stavano montando, si sonotrovati a dover fare i conti anche

con gli spazi messi loro a disposi-zione inopinatamente invasi daigessi restaurati della Gipsoteca,che l’hanno deformata sia spa-zialmente che dal punto di vistadella fruizione estetica. Va anche aggiunto e premesso chePezzica è stato un protagonistadella vita politica, sociale e cultu-rale di questa città, come antifasci-sta, partigiano combattente, politi-co e amministratore pubblico,organizzatore delle principalimostre avvenuta in città dagli anni‘50 fino ai ‘70 (Biennali e Mostredell’Artigianato) e architetto. Lacittà, però, ne ha poi trascurato lamemoria, per tanti motivi, com-preso il suo carattere schivo da unaparte e fortemente reattivo, pole-mico, sanguigno, intransigente,dall’altro, e per le sue posizionipolitiche di partigiano autonomo edi repubblicano. Del suo antifascismo voglio ripor-tare una testimonianza disinteres-sata e “en passant”.Remo Corsi(Carichin) partigiano gappista ecomunista, era a Carrara, in licen-za - lo racconta in un suo smilzolibretto di memorie, di molti annifa - quando si sparse la notizia cheMussolini era stato “licenziato”

dal re e sostituito con Badoglio.Esultante, a sera, decise, con altridi leva, di andare a manifestare aVezzala, dove il fascismo era statopiù virulento e incontrastato, nellaconvinzione che ormai non vales-sero più le leggi fasciste che proi-

bivano la manifestazioni politichee che la caduta del fascismo signi-ficasse anche la fine della guerra edella naia. Invece, mentre manifesta, arrivanoi “Regi” Carabinieri che voglionoarrestarlo con i commilitoni. Per leurla e schiamazzi che ne seguono,si affaccia a una finestra GiuseppePezzica che si mette a inveire con-tro i carabinieri e a difendere imanifestanti.Della sua attività di partigianocombattente troviamo testimo-nianza nel volume, edito dall’Anpidi Carrara, “La meglio gioventù”,dove compare una relazione diOvidio Cupini sulla FormazioneCeci di cui Pezzica era vicecoman-dante. Ma credo sarebbe necessa-ria qualche ulteriore ricerca stori-ca, perchè di questa formazioneben poco è stato scritto.

Non sono un critico e lascio lavalutazione delle opere esposte achi ne ha titolo e competenze e albel catalogo della mostra. Mi limi-to ad alcune considerazioni gene-rali, quelle per cui penso che lamostra abbia un valore di testimo-nianza storica che va oltre quantoesposto.

Pezzica si era formato, lo vediamoanche dalle foto significative inse-rite nel catalogo, all’Accademia diBelle Arti di Carrara. Formazionesevera e selettiva, che consentival’acquisizione di capacità tecnico-manuali architettoniche e figurati-ve sicure. Ma, dati i tempi, da unpunto di vista artistico-culturale, laformazione era strettamente acca-demica e di regime. Imodelli epunti di riferimento erano, a partel’arte classica, Dazzi, accademicoscultore di Carrara, Piacentini, DelDebbio, tutti “artisti di regime”che hanno ben incarnato la suaretorica monumentale dedicataalla celebrazione del fascismo. Lacultura artistica italiana più inno-vativa, come era stato ad esempioil Futurismo - finito però con i suoiinterpreti principali nel fascismo enell’Accademia d’Italia -, difficil-mente arrivava nelle scuole d’arte,di quella straniere neanche a par-larne. Per venti anni e più il nostropaese è stato chiuso all’influenza eal confronto con l’arte europea emondiale. L’autarchia e la presun-zione dominava anche in questocampo. Non che mancasseroanche fronde rispetto all’arte e almonumentalismo celebrativo uffi -ciali e la contrapposizione traFarinacci e Bottai era proverbiale,ma le caute aperture del secondosono state sopravvalutate e certonon compensavano la fuoruscitadel nostro paese dai grandi circuitidell’arte e della cultura contempo-ranea e la condanna sostanziale eaprioristica di quanto veniva dal-l’estero.

L’Accademia di Carrara poi, conla sola specializzazione in scultu-ra, era ancora più chiusa, margina-le e asfittica, fuori dagli stessilimitati circuiti artistici nazionali,Del tutto provinciale. Basterebbeconsultare i nomi degli insegnantidi allora, per capire che si trattava,per lo più, di una questione cittadi-na, per cui mancava anche l’appor-to che avrebbero potuto portaredegli insegnanti provenienti daaltre città, accademie ed esperien-ze. E piuttosto chiusa, provincialelo è rimasta anche nel dopoguerra,se è per questo. Ancora oggi, dalle nostre parti, siconsiderano grandi artisti e sculto-ri personaggi minori e minimi, acominciare da Dazzi per finire aButtini, Vatteroni e ai realizzatoridelle statue del Foro Mussolini edei due orribili statuoni davantialle poste. Solo a questi personag-gi “riconosciuti” si dedicano lesolite corrive e desolanti monogra-

Autoritratto 1980

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fie bancarie, che ne ribadiscono ilprovincialismo e la strapaesanità.Non che non si debbano studiare eleggere storicamente anche i

Dazzi, i Buttini e altri ancora peg-giori, ma è necessario ricollocarlinel loro contesto di scultura e pit-tura “trivial”, “kitsch”, di bassoconsumismo e forte propagandadi regime. Una quantità sicura-mente enorme di produzioni diregime, celebrative, retoriche,ripetitive, cortigiane, servili,mediocri, senza nessuna originali-tà. Sottoprodotti artistici di massa,finalizzati a costituire un’epopeadi cartapesta per educare le masse,emotivamente ed esteticamente,alla forza, alla guerra, alla violen-za, alla virilità, all’ordine, bloc-candone la crescita culturale e ilsenso critico e riportandole indie-tro a un presunto classicismo e unapresunta inesistente romanitàsenza più senso e lontani dallarealtà e dalla storia. Il regime non solo impedisce l’in-gresso, in Italia, delle esperienzeartistiche più importanti dell’epo-ca provenienti dall’estero, maemargina anche quanti, sia purefaticosamente e in modi quasiautarchici, cercano nuove stradeper la scultura e la pittura. Allafine anche nell’architettura che,inizialmente, forse, è la più liberadal monumentalismo pseudoro-mano, arriva il predominio deiPiacentini e della littorialità: dallebelle colonie Torino e Olivetti, perrestare a questo territorio, al lit-torio esibizionismo della TorreFiat. Alla marea di monumenti e

sculture di cui l’accademico Dazziè responsabile in tutta Italia, sipossono contrapporre i pochissimiche il povero e tormentato Martini,

pure lui “fascista” (anche se permiseria, come opportunisticamen-te si giustificò), riuscì a realizzare.

Pezzica esce dall’Accademia diCarrara negli anni di maggior suc-cesso della dittatura; imperanti, inloco, Dazzi, Del Debbio, Riccitutti prodotti apuani e il verbosoAngeli che la dirige. Non ci sonoaperture agevoli per chi cerca diesprimersi attraverso le arti figura-tive. L’originalità e la consapevo-lezza culturale emarginano, tantopiù se si dissente anche solo mini-mamente dal regime. Con la fine della guerra, irrompo-no, in Italia, di colpo, comeun’inondazione, la cultura e l’arteeuropee e quelle americane, tenutefuori dai confini dal regime e gliintellettuali e gli artisti italiani sitrovano costretti a un lungo, diffi-cile tirocinio per recuperare il ven-tennio perso e fare i conti con lacontemporaneità e la propria attar-data formazione. Nelle opere di Pezzica esposte aPalazzo Binelli, mi sembra siaoggi possibile cogliere (e lo sareb-be ancora di più se si potesseavere accesso a tutta la sua produ-zione, specie quella giovanile) letappe dello sforzo e il disorienta-mento che dovettero affrontarequelli che operavano nel campodelle arti figurative (ma in lettera-ture, nella musica, in filosofia,,nella psicologia, nella ricerca

scientifica, ecc.,. si presentano lestesse difficoltà e necessità direcupero), con l’aprirsi improvvi-so e selvaggio, delle frontiere el’affermazione rapidissima del-l’egemonia americana. Le sue prime opere esposte, inci-sioni a partire dal ‘40, mostranol’influsso di Viani che permetteperò a Pezzica di sottrarsi all’acca-demismo scolastico. Poi, via via,compaiono nuove aperture eacquisizioni e si avvertono pro-gressivamente le influenze euro-pee, non senza disorientamenti eincertezze. E’una storia di passio-ne e ricerca che andrebbe rico-struita passo passo, perchè emble-matica, mi sembra di un’interagenerazione che non solo ha fattola Resistenza, ma ha dovuto ancheliberarsi dalle pastoie più duraturedi una cultura ufficiale e di regime,nella quale era stata educata e for-mata. Via via, in Pezzica, la ricer-ca di una propria strada originalesi fa più forte fino agli ultimi anni,operosi e creativi.Direi e non deve suonare svaluta-zione, ma al contrario, valutazione

positiva che, con Pezzica e altri,compreso Tognini, la ricerca e ilrapporto con la cultura e l’artefigurativa contemporanea avvieneattraverso un linguaggio “dialetta-le”: Come avviene per la poesiache nell’Italia dai mille dialetti, hauna grande e illustre tradizione dialtezza pari a quella in “lingua”(da Porta a Belli, fino a BiagioMarin, Pasolini e tanti altri gran-di), così avviene nelle arti figurati-ve, dove accanto alle forme tradi-zionali e canoniche si sviluppanolinguaggi dialettali, locali che nonsono affatto provinciali, ma ilrisultato dello scontro tra la tradi-zione accademica, in questo caso,il sequestro della cultura italianadovuto al fascismo, la scoperta diquanto era avvenuto nel resto delmondo l’esigenza della quotidiani-tà e dell’esistenzialità. I conti vennero fatti, in quel momento e ine-vitabilmente, con quanto, ciascunoera riuscito ad essere e compren-dere nel ventennio, con quel lin-guaggio e quella cultura che cia-scuno era riuscito a elaborare da sée per sé. Notturno a Venezia 1980

Mascherone, tempera 1976

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Niente folklore quindi, ma utiliz-zo, scoperta di linguaggi che nonpossono essere che dialettali,essendo stati faticosamente ali-mentati e covati, per decenni, inmodi appartati e con grande pudo-re, lontani dalla storia generale edalle sperimentazioni sconosciutedelle avanguardie, ma anche dagliaccademismi e dai conformismiscolastici.Penso, per Pezzica, ai ritratti deifigli e al suo o alla bellissima Cavacon filo elicoidale o alla Cava del1959. Ma gli esempi si possonomoltiplicare: Maschera con stele,,Testa di toro, La scultura Volod’angelo. ....Non dico cosa nuova riconoscendoche Pezzica ha nell’incisione enella grafica la sua strada maesta.Le xilografie rappresentano unpercorso sempre sicuro e in ascesa,mentre in pittura il suo passo sem-bra più indeciso e faticoso, menolibero e spregiudicato, con alti ebasso, anche se dagli anni ‘70nascono opere di grande sensibili-tà come l'acquerello Notturno aVenezia, bellissimo, o la temperaAutoritratto, forte e drammaticonei suoi scarsi, spenti, gelidi colo-ri con cui Pezzica guarda a se stes-so, con grande forza d’animo,impietoso e consapevole del pas-sare degli anni (ma ci sono notevo-li eccezioni pittoriche ancheprima, come alcune “Cave” daglianni ‘60 e ‘70, fino alla Cava confilo elicoidale del ‘94). Penso che il percorso dell’attivitàfigurativa di Pezzica vada ancoraanalizzato, perchè le scarne indi-cazioni che appaiono nel catalogoche alludono a influenze espres-sioniste, impressioniste, simboli-ste, astrattiste, eccetera, sonoancora troppo generiche e schema-tiche. Ma forse la rivelazione maggioredi Pezzica viene delle sue bellesculture. Sgarbi ha lamentato inPezzica una scultore mancato, nonnel senso che le opere esposte nonsiano pienamente realizzate ecompiute, ma nel senso che lascultura avrebbe dovuto essere laforma espressiva più propria diPezzica, quella in cui avrebbepotuto raggiungere i risultati piùalti, se ci si fosse dedicato a tempopieno. E’ molto probabile. Anche sedubito che la scultura di Pezzicapossa nascere da suggestioni deri-vanti dalle culture precolombiane,come si sostiene, e non piuttostodalla frequentazione assidua ediretta dei grandi maestri italiani estranieri del ‘900, reinterpretati nel

suo dialetto. Perché Pezzica ha avuto il privile-gio, unico a Carrara, di aver cono-sciuto e frequentato, per l’allesti-mento delle Biennali fino al ‘72,tutti i grandi scultori italiani e stra-nieri, che hanno operato a cavallotra la prima e la seconda metà del‘900, di entrare nei loro studi, didialogare con loro, di vederli allavoro, di vederne i metodi dilavoro, di toccare le loro opere. Pezzica scultore nasce di qui, dallascultura, dagli atelier dei grandiartisti del ‘900, non dai libri, nonda culture esotiche. Sono statiloro, i grandi scultori i suoi mae-stri (altro che Accademia!), quellisu cui si è formato una cultura, ungusto, un sicuro senso critico chepoi gli hanno permesso di diventa-re un originale e buon scultore eun protagonista della realizzazionee della qualità della prima fasedelle Biennali. Dovendo partecipare anche allascelta delle opere da esporre alleBiennali aveva affinato e acuito ilsuo senso critico e sapeva distin-guere tra solidi professionisti e gliimprovvisatori e opportunisti, chepure riuscivano ad entrare nelleBiennali, decretandone nel tempo

la morte. Per questo era anchedisincantato e spesso molto sarca-stico e sfottente nei confronti ditante opere esposte e dei critici chele avevano proposte e imposte. Ricordo che, una volta, mentrestava allestendo una Biennale,trovò per terra una specie di tappodi plastica nera e ridendo lo infilòsu uno spunzone di bronzo di unascultura che doveva essere d’avan-guardia ed era solo orribile. Loguardai un po’meravigliato e luimi rispose - Tanto non se ne accor-ge nessuno e questa roba non peg-giora l’opera -. Dubito molto che una biennalecome l’ultima, ma direi tutte quel-le dopo l’ultima allestita da lui,quella del 1973, avrebbero potutointeressarlo e piacergli. Sonocerto, invece, per come lo cono-scevo e lo avevo visto lavorare eper i valori estetici, solidi cheaveva, che non l’avrebbe soppor-tata. La sua ritrosia ad esporre le sueopere fin quasi alla fine della vita,credo nasca di qui, dal contatto einevitabile confronto con i grandimaestri del ‘900, da un atto di forteautocritica, quindi. E dalla convin-zione, visto che, sia pure privata-

mente, ha continuato a dipingere,fare incisioni e anche a scolpireche la sua intensa attività pubblicadi politico, amministratore delcomune, di allestitore di grandimostre, di insegnante, di architet-to, non gli permettesse di dedicaresufficienti energie e tempo all’atti-vità artistica e che la considerasse,perciò, non secondaria, ma nonancora matura. Nella sua vecchia-ia operosa, ma più appartata, ilmeglio, quella compiutezza chevoleva, alla fine l’ha trovata. La proposta di GiampaoloPezzica, di creare un museo civi-co con le opere di chi ha operatonel settore dell’arte durante il‘900, a Carrara, è una buona, intel-ligente e concreta proposta daseguire. Non costerebbe molto,valorizzerebbe la città, con un veromuseo, espressione vera della cul-tura della comunità, spingerebbe ascoprirne le grandi risorse nasco-ste e ne farebbe comprendere lastoria effettuale, molto diversa daquella retorica e astratta, conven-zionale e strapaesana della moltoimprobabile strada dei musei edalla politica artistico-narcisisticadi amministratori pubblici e ban-che.

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CarraraAmarcordEvandro Dell’Amico

Venerdì 25 Novembre 2016,dalle ore 17,30 -19,30 alCinema Garibaldi, in con-

comitanza con altre iniziative poli-tiche referendarie, al di qua e di làdalla foce, si è concluso il percor-so culturale che ha riproposto 6 fil-mati della Cineteca BRUNO DEL-L'AMICO.La rassegna ha esordito il 4Novembre con un documentariodel 1966, “Il PERICOLO el'ATTESA”, girato nella ZonaIndustriale Apuana in occasionedel Convegno Nazionale organiz-zato dal Comune di Carrara, con ilpatrocinio del Ministero dellaSANITA' (che allora esisteva) pervalutare scientificamente gli effet-ti dell'inquinamento dell'aria, delleacque e del suolo sulla salute del-l'uomo, sia nell'ambiente urbanosia nei luoghi di lavoro.Il filmato ha destato viva sorpresatra il pubblico, essendo un' antici-patoria denuncia ecologista rispet-to a quanto mai fu più disatteso, inseguito, ai piedi delle Apuane …Venerdì 11/11, in sessione mattuti-na, dedicata agli studenti del poloartistico “A. Gentileschi” com-prensivo della Scuola del Marmo,si sono succeduti;“ULTIMA FUMATA” (anno1963-4) storia dell'epopea e dellafine, nel 1964, della FerroviaMarmifera Privata Carrarese;“...E IL PANE S'E' FATTODURO” (anno 1963) filmato asoggetto che narra di un incidentemortale in cava;“UNDERGROUND” (anno 1976-77) sul duro lavoro nella cava sot-terranea in località”Fantiscritti”.Il 18/11 è stata proiettata “LAMINIERA BIANCA” sul ciclo dilavorazione del marmo nella cava“Polvaccio” dell' imprenditoreFurio Nicoli e nella segheria“Bufalini e succ.ri).Protagonista della serata del 25/11 è stato il lungometraggio "ILMARMO PROPULSORE dell'ECONOMIA APUANA che hadocumentato storicamente , nellaprima parte, il Progetto "Padula",iniziato, interrotto più volte e adoggi non ancora concluso; nellaseconda parte, la realizzazionedella 1^ Fiera MARMI e MAC-CHINE , a Marina di Carrara.

L'Assessore alla Cultura delComune di Carrara, GiovannaBernardini, forzatamente assente,ad Evandro e Lia Dell'Amico,ideatori del Cineforum, ha rila-sciato questo comunicato finale:"...All'importante appuntamento

dedicato alla memoria di vostropadre, del suo lavoro ed alla storiadi Carrara, oggi vedrete anche leimmagini relative alla realizzazio-ne di Carrara Fiere e della IMM,un progetto fortemente voluto daGiulio Conti nel quale si legge lasua lungimiranza, la sua visione alunga gittata di economista che saconfrontarsi con la storia e la

vocazione di un territorio. Sonodisponibile per realizzare altre ini-ziative utili a far conoscere nonsolo quanto vostro padre ha lascia-to e voi avete documentato, maanche quell'esempio di cittadinan-za attiva, di passione per il reporta-ge e quindi per la testimonianzache egli ha incarnato"..

La famiglia Dell'Amico, oltre alComune di Carrara, ringrazia per ilpatrocinio la Fondazione Cassa diRisparmio di Carrara el'Associazione A.C.S.I. di MassaCarrara che, sin dal 2014, hannoaccompagnato le fasi di restauro,digitalizzazione e valorizzazionedelle 33 pellicole che compongonola Cineteca.Evandro e Lia Dell'Amico si sonomossi con volontà di ripensamentocollettivo della memoria storicaapuana, dagli anni '40 agli anni'80, attraverso il tratteggio dellafigura del padre …Soldato carrista nella 1^ campagnad'Africa Settentrionale della 2^G.M., venne fatto prigioniero inLIBIA degli Inglesi e, successiva-mente, deportato in AUSTRA-LIA, prevalentemente nelCOWRA Camp (Nuovo Galles delSud), dal dicembre 1941 al 1946,ove maturo' la rivoluzione interio-re che lo porto' a determinare lesue successive scelte di vita.Riportato in patria nel gennaio

1947, lavorò come operaio allaSMG di Massa, divenendo ilprimo Segretario del sindacatolocale dei metalmeccanici FIOMCGIL ; fu dirigente e segretario diFederazione del P.S.I. di MassaCarrara (sino al 1964) e delP.S.I.U.P. (sino al 1970); assessoreal Comune di Carrara, ininterrotta-mente dal 1956 al 1970.

Terminata la carriera politica,come dipendente dell'EnteOspedaliero di Carrara attivò ilservizio di microfilmatura dellecartelle cliniche e collaborò con ilservizio di educazione sanitaria,con l'ausilio dei sussidi audiovisi-vi. E' stato sindacalista CGIL degliOspedalieri dal 1970 al 1980. Pensionato, fu Past Presidente dell'Associazione Diabetici Carrara deiMarmi, sino alla morte avvenuta il1° Maggio 1998.Evandro e Lia Dell'Amico hannoutilizzato, preliminarmente adogni proiezione, una carrellata difoto d'epoca, per documentare imomenti di visibilità pubblica delpadre (inaugurazione parchi pub-blici, lavatoi, asili etc.).Animatoredella vita culturale della città,ridette impulso al Teatro Animosi,come punto di riferimento dellalunga stagione delle rassegne difilm a passo ridotto 8/16 mm.Sostenne+, da melomane, le sta-gioni operistiche al Politeama “G.Verdi”, ridando slancio alla Scuoladi Musica comunale diretta dalMaestro Enrico Salines.Con dolore è stata ricordata daifigli “anche l'ingiusta patita deten-zione dal 22 giugno al 22 luglio1964, a cui seguì, nel dicembre1968, la sentenza di assoluzione“perché il fatto non sussiste”.Nella serata introduttiva del

Cineforum del 4 Novembre 2016ha avuto spazio “ LACINETECABRUNO DELL'AMICO INAUSTRALIA”, presentazione difoto della Missione di Memoria,Pace ed Amicizia tenutasi nell'Agosto 2016.Evandro Dell'Amico assieme all'amico Prof. Giancarlo Tassinari, ètornato, sulle orme del padreBruno, nel COWRA Camp, ove, a70 anni di distanza, vengono anco-ra commemorati, da Associazionidi amicizia italo-australiana, iPOW italiani ed i caduti di tutte leguerre ( per la sua dedizione allacausa della pace, la Città di Cowraospita la copia della campanadella pace che è all' O.N.U.).Nel corso della missione australevi è stata anche la consegna didoni da parte della RegioneToscana, Comune di Carrara,Massa, A.N.P.I., CGIL, ACSI MSal Mayor of Cowra. La famiglia Dell'Amico ha donato,alla “Cowra BreakoutAssociation” ed alla “COWRA-ITALIA Friendly Association”,copie del libro scritto da Evandrosulla vita di Bruno Dell'Amico,“L'UOMO TORNATO DA LON-TANO” e copie di 13 filmati delcineasta carrarese, sugli episodidella Resistenza Apuolunigianesee sulla storia della FerroviaMarmifera Carrarese e la lavora-zione del marmo nelle Apuane.

Prima delle proiezioni delle pelli-cole è stata evidenziata l'imperfe-zione tecnica del sonoro e delleimmagini, in particolare del filma-ti anni '60, girati nella fase cinea-matoriale, che solo un “miracolo-so” recupero da parte delLaboratorio di Claudio GAVIOLIdi Bordighera, dopo un anno dilavoro di restauro, ne ha permesso,di nuovo, la fruizione pubblica.E' giusto ricordare, in conclusione,il “carattere militante” della cine-matografia di Bruno Dell'Amicoche, da socialista e sindacalistamassimalista, ha sempre rimarca-to, nelle sue opere, accanto ad unacoscienza “verde ante litteram”, ivalori della pace, della solidarietàe giustizia sociale.Non a caso, tutti suoi filmati chetrattano della lavorazione e delleproblematiche inerenti il settoredel marmo, sono dedicati, senzaretorica, ai cavatori, “attori prota-gonisti”, con i loro volti e le loromani operose, a cui va un appas-sionato riconoscimento, per il loroforte carattere, la loro tenacia finoad un ingiusto tributo di sangue.

Se vi saranno altre EDIZIONI diun simile CINEFORUM o unaserie di pubbliche proiezioni nellepiazze della Città di Carrara ...LOSAPREMO...SOLO VIVENDO...

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27trentadue dicembre 2016

Torna in auge la Venere-Frine di Buttini,ripulita, restaurata e difesa dalle ingiu-rie della natura con l’abbattimento degli

alberi che le facevano da cornice e la ricopriva-no delle loro resine. In questa nuova veste (si faper dire) è stata anche illuminata (non sapreidire perché) di luce viola, per sostenere un’as-sociazione che si batte, meritoriamente, controil cancro al pancreas

Evidentemente si continua a considerare laVenere un’opera d’arte, come del resto avvie-ne per gli altrettanto insignificanti, brutti e con-tigui statuoni davanti alle Poste. Ma prescin-dendo dal fatto che a Carrara, “capitale mon-diale della scultura”, di scultura sembra se necapisca sempre poco, sono le luci colorate chemi hanno fatto ricordare il finale di un libropassato sotto ermetico silenzio, su Carrara«Sandro Zanotto La Venere del Buttini. DiarioAnarchico ‘66-67». pubblicato da Scheiwillernel 1979, ma risalente, di fatto, al periodo indi-cato nel titolo. E’il “diario”- romanzo, lo defi-nirei, di un anno passato in città da questo inse-gnante padovano diventato di ruolo. A CarraraZanotto, provenendo dal profondo nord con-servatore e reazionario, scopre il mondo delmarmo e l’anarchia, la vivacità del dibattitopolitico cittadino e le cantine, i laboratori e ilricordo di Arturo Martini, ma anche l’anticon-formismo di accatto di qualche suo scolaro (erail tempo dei “capelloni”, beatnik, provos) e liinterpreta, mescolando dati reali e inventati,approssimazioni e assurdità, incomprensioni einterpretazioni azzardate, voci e chiacchiere,simpatie e antipatie, fecendone gli elementiportanti di una presunta improbabilissimaavanguardia anarco-surrealista . Al di là delsuo anticonformismo piuttosto goliardico,buono per épater le bourgeois Zanotto restafiglio della provincia padovana e gli anarchicidi Carrara e la città gli sfuggono, non ne cogliela storia e soprattutto la dimensione politica eculturale, che c’era e non vede. I suoi anarchi-ci si riducono quasi soltanto al gruppetto deisuoi allievi in vena di ribellione adolescenziale,perché quelli “veri” di Carrara si sarebbero isti-tuzionalizzati e imborghesiti. Se, perciò, silegge, il Diario, come opera di fantasia, il testoregge e ha senso, ma non è una lettura dellavita di Carrara in quell’anno (in realtà furonopiù di uno), perchè da questo punto di vistaresta esterno, erratico, sfilacciato, anche fatuo esupponente; vorrebbe essere etnografico, manon riesce ad andare oltre il folkloristico. E daquesto viene deviato. Anche se ci sono osservazioni criticheacute,valore. (Tra l’altro scrisse allora e pubbli-cò su Comunità, un breve saggio sulla scultura

popolare a Carrara, serio e documentato, anco-ra oggi, tra i migliori dedicati sull’argomento)anche, se, come al solito, non mancano nean-che qui, notizie e affermazioni gratuite e senzafondamento. Solo quando l’autore guarda lacittà, le sue strade, le sue architetture, i suoimonumenti, la vita minuta della città, senzapretese etnografiche e storico-politiche, coglie

nel segno, con sensibilità e partecipazione e silibera dalla sua sfottente e irritante supponenza.

Qui di seguito la narrazione dell’ultima nottepassata a Carrara dal protagonista, alla fine del-l’anno scolastico (anche se penso non fosseil’67, come vuol far credere e i motivi ci sonoe spiegano - penso - anche il ritardo prudenzia-le con cui il libro, già scritto prima del ‘70, èstato pubblicato) e dell’incursione contro la“Venere del Buttini”. E’ questa che fornisce iltitolo al Diario e costituisce fin dalle primepagine la chiave di lettura della città e il simbo-lo della bruttezza, del cattivo gusto, della bana-lità e della mentalità grettamente borghese e delprovincialismo di Carrara «Il (suo, di Buttini)unico canone estetico... fare una donna gras-soccia il più sensuale possibile, di un erotismoda caporali». Per forza i carrarini lo hannoignorato. Eppure andrebbe letto, perché è unbel “romanzo d’invenzione” che guarda, anchesbagliando molto, in modo critico a questa pro-vincia e ha il coraggio di dirlo, con accattivan-te ingiustizia e cattiveria. «Resta un’ultima cosa: la cena con il gruppet-to di quelli che si diplomeranno quest’anno. Naturalmente non con tutti, solo con gli anar-chici e con quegli sbandati che sono venuti adiplomarsi qui per disperazione. dopo avermendicato a tutta Italia una qualsiasi promo-zione. Il mio gruppo di poveri scelto razzistica-mente, anche se sono di famiglia ricca.Cenammo in una bettola dove servono un

caciucco violento, i totani fritti e la torta di risotipica di Carrara, il tutto innaffiato da fiaschidi questo vino locale aspro all’apparenza, macon la sua vena di bizzarro.Naturalmente occorreva confrontarlo conquello di altre bettole, e così siamo andati percantine a tener concioni, forti del numero.Notai che tutti mi davano ragione anche separlavo in veneto.

Si parte, ed è stato bello pisciare tutti assiemecontro il portone dell’Accademia illuminatodalla luna. Il poliziotto di guardia alla bancanon disse niente perché l’accademia non rien-trava nelle sue competenze. Volevo viaggiare di notte, per guidare col fre-sco, ma c’era qualcosa che continuava a farmirinviare la partenza, un conto in sospeso conCarrara che andava definito. Era la Venere delButtini che biancheggiava alla luna sullospiazzo erboso davanti al mausoleo delle poste.Dopo esserci rinfrescati alla fontana pubblica,coi piedi a mollo, ho spiegato a quella pattu-glia di diseredati perché quella statua fosse perme un simbolo, che rappresentava molte dellecose che odiavo al mondo e contro cui avreivoluto combattere, ma ero solo. Ho trovatocomprensione immediata e perciò si è deciso dichiudere quel mio conto con Carrara e di com-piere un’azione sovversiva, quella che glianarchici del «Germinal» non sono in grado dicapire. Nella nuova morale del gruppo i mieiconti diventavano collettivi. Si era formata inclima anarchico la società di mutuo soccorso.Abbiamo preso un bidone di vernice e abbiamodipinto di rosso la Venere del Buttini, sottoline-andone le parti erotiche con un tubetto di nero.Ho tirato un sospiro. Avevo dipinte di rosso lamentalità borghese che aveva prodotto quel-l’insulto, avevo dipinto di rosso quella sculturaprovinciale che si era espressa in quel modo, ilvescovo che non la voleva perché era nuda,l’impiegato delle poste che sognava una donnacome quella, i giornali che avevano polemizza-to in nome della libertà contro il vescovo chenon la voleva, avevo dipinto di rosso gli inno-minabili attentati al mio buon gusto che avevosopportato all’Accademia, i discorsi dei colle-ghi, le disposizioni del Ministero, le circolaridella Direzione, quel che dovevo insegnare, laserietà della scuola, l’impegno civico e mora-le. Merda!Siccome era tardissimo, sono andato a lettofelice anziché partire.Al mattino mi sono goduta così la scena dellasquadra degli operai del Comune col bilancioin passivo che stavano raschiando la statua. Disicuro la renderanno più bolsa e tozza a forzadi smeriglio. Accanto a me, sul sedile della macchina, c’èuna copia del «Telegrafo » con il titolo a duecolonne Ignoti vandali deturpano le bellezze diCarrara artistica. A nessuno, né alla stampa,né ai funzionari del comune, né ai curiosi cheguardavano, è venuto in mente che potesseessere l’opera di una azione sovversiva, unabattuta minore di una rivoluzione culturale.

(Sandro Zanotto La Venere del Buttini Dario anar-chico ‘66-67, Vanni Scheiwiller 1979, pp. 82-85.)

La bruttezza

La Venere del ButtiniUn vecchio libro su Carrara, e la dissacrazione dei monumenti della città

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Carrara

I violentiNo alla violenza sulle donne

E’ uscito nei giorni scorsi il libro“Rose, lacrime e sangue - analisie nuove strategie di contrasto allaviolenza di genere a Carrara”edito da Sea e scritto dalla crimi-nologa Alessandra Verdini al ter-mine di un ampio e dettagliato stu-dio sulla violenza di genere aCarrara durato due anni e realiz-zato in collaborazione conl’Università di Pisa e il ministerodella Giustizia. Pubblichiamo diseguito, per gentile concessionedell’autrice, ampi stralci di uncapitolo, il tredicesimo, intitolato“Il cerchio dei violenti”, nel qualesono state trascritte delle lungheconversazioni avute nella casa cir-condariale di Massa con i condan-nati per femicidio.

Alessandra Verdini

Prima di “incontrare” i dete-nuti voglio ribadire il mas-simo rispetto per le donne

uccise protagoniste di queste sto-rie, donne che ho quasi l’impres-sione di conoscere. Negli incontrila loro presenza era palpabile. Hocercato però di non fare troppedomande su di loro perché, pur-troppo, sulla loro personalità e suiloro comportamenti non esiste lapossibilità di un’opinione oppostaa quella di coloro che le hannouccise, eccezion fatta in parte perle carte processuali, il cui studionon è tuttavia oggetto di questolibro. Se le vittime purtroppo nonci sono più, in molti casi ci sono iloro cari: parenti e amici che stan-no ancor oggi soffrendo e a cuinon posso che esprimere grandevicinanza. Anche il loro dolorenon ha fine.Infine un’ultima premessa, peraltro già fatta nei precedenti capi-toli. I paragrafi che seguono sonospesso una riproduzione testualedelle conversazioni, talvolta unampio riassunto. La scelta che hofatto nello scriverli è stata quelladi non presentare un testo giornali-stico, sintatticamente perfetto eaccattivante nel linguaggio, ma leprecise parole di coloro che hoincontrato per capirne meglio illinguaggio, i pensieri, le contrad-dizioni e anche le sofferenze.Vorrete quindi perdonarmi i perio-

di scorretti dal punto di vistagrammaticale così come le parolea sproposito.

S.B.Ha ucciso la donna che amava piùdi qualsiasi altra cosa al mondo,l’unica donna che ha amato davve-

ro. Il loro rapporto stava attraver-sando una fase difficile. È unuomo giovane, toscano, un profes-sionista tecnico informatico, cheprogettava con lei di cambiare vitain Russia. È padre di una bambinaavuta dal primo matrimonio. S. èun persona dai modi garbati, hauna buona cultura. Il fatto risale al2013. Una domenica mattina, dopo averfatto colazione con un dolce pre-parato da lei la sera prima, l’hastrangolata e poi gettata in dirupo.Poi il buio. Ha denunciato la suascomparsa e si è rivolto anche allatrasmissione “Chi l’ha visto?”. Ildolore che prova è quasi palpabile.Di fronte a lui è difficile trattenerele emozioni. Racconta la sua vitanei dettagli, una vita caratterizzatada una normalità che quasi scon-volge considerato l’epilogo, unanormalità fatta di piccoli gestiquotidiani, delusioni e speranze.Lo incontro più volte, perché fa

fatica a parlare e ad aprirsi. Laprima volta che ci siamo incontra-ti abbiamo parlato di varie cose,senza entrare nello specifico, maad oggi, è sicuramente la personache più di tutti ha mostrato apertu-ra al dialogo. Nel nostro ultimoincontro era particolarmente agita-

to, aveva paura di farmi del male.Gli auguro tanta pace.“Da ottobre 2013 fino a fine gen-naio 2015 sono stato detenuto aGrosseto e ho fatto un percorsocon uno psicologo della struttura,abbiamo fatto dei ragionamentianche sulla violenza di genere. Ègiusto che ci siano i centri per levittime, ma il problema si vedesempre a metà. Bisognerebbe pen-sare anche agli uomini che com-mettono questi reati. Anche fuori,prima del fatto, mi arrivavano lenotizie con fatti più o meno gravi,si pensava che fossero cose orribi-li che non sarebbero mai accadute,invece è una situazione chepotrebbe verificarsi con chiunque,quindi non si deve adottare unachiusura totale. Quando poi mi èsuccesso questo fatto le notizie chearrivavano su questi casi da unaparte non volevo sentirle, dentrodi me mi dicevo “non è la miasituazione”. Una specie di rifiuto,

ma anche una sorta di attenzioneinconscia.Nel carcere mi trovo abbastanzabene, però non parlo molto, sonochiuso. Tendo a parlare degli altri,ad aiutarli, è più facile che parla-re di me. È molto faticoso ricorda-re quello che ho fatto, ho provato ascrivere, ma scrivo solo quello cherientra nella normalità. Nonostante siano passati dueanni. Però voglio cercare di par-larne, mi serve per me! Cerco difare di tutto per tenermi occupato.Ma so che devo affrontare la real-tà, per questo ho accettato di par-lare con lei. Mi fa paura andare acercare certi ricordi, perché nonriesco a rivedermi, mi spaventascoprirmi diverso da quello checredevo, da una parte ho cercatodi affrontare, ma anche di evitareperché sinceramente… (grandesilenzio) è come se ci fosse uninterruttore, quando penso a lei,per me è sempre viva”.Mi chiede scusa perché non riescea trattenersi, comincia a singhioz-zare per molti minuti. Io lo lasciofare, ascolto tutto il suo dolore, easpetto che sia pronto a ricomin-ciare.“Io lavoravo in una grossa azien-da. Ho due sorelle, con cui si sonorotti i rapporti prima del fatto. Perora non ci sono parenti che mivengono a trovare, a livello telefo-nico non parlo con nessuno, prefe-risco scrivere, anche con l’avvo-cato, pensi *--che non ho nemme-no preso la scheda telefonica.Sono separato, ho alle spalle diecianni di matrimonio da cui è natauna bimba, poi con la mia ex èsuccesso di tutto (comincia a rac-contarmi molte cose del suo matri-monio). La bimba ha compiuto 7anni, l’ultima volta che l’ho vistane aveva 5 anni. Ho conosciutoIrina dopo il matrimonio, facendouna cosa che non avevo mai fatto,ballare, che per il mio carattereera una fobia. Era bionda, primaera mora, ma era bellissima,all’inizio ci salutavamo, ma finivalì per il discorso dei pregiudizisulle donne dell’est; glielo dissi,era un po’ un chiederle scusa, leici si rimase male. Di fatto nonaveva un lavoro fisso, seguiva unacoppia di persone anziane, poifaceva la baby-sitter, si dava moltofa fare, era sempre in movimento econtrariamente a quello che si puòpensare, non cercava un uomo chela mantenesse, si offendeva se levolevo dare del denaro. Abbiamoco|minciato a convivere a casamia dopo 8 mesi che ci si frequen-tava, la convivenza è durata poco,

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meno di un anno. Sono diventatola persona che prima giudicava inmodo sbagliato. (Piange)Se penso alle cose che abbiamofatto insieme! Sono ancora inna-morato, l’ho amata più di tutte,con lei ho amato per la primavolta. Con lei era diverso, riuscivoa parlare di tutto, qualunque cosa,dalla più intima alla più difficile, esoprattutto, entrambi ci siamoritrovati, come dire, un po’ adole-scenti, infatti ci si comportava damatti, non ci importava nientedegli altri e di cosa potevano pen-sare di quello che facevamo, cade-va ogni remora, ogni inibizione, ilnostro mondo eravamo noi, tantevolte ci siamo detti che ci dispia-ceva per gli altri perché vedevamocoppie con il rapporto che andavaavanti stagnante. C’era un po’ digelosia, da entrambi. Da partemia c’era gelosia, ma ritengo a unlivello normale, lei è una belladonna... è normale che in giro siaoggetto di occhiate.Aveva un figlio grande, lo ha avutoche aveva 20 anni, poi si è separa-ta, mi ha raccontato un po’ la sto-ria, ha avuto le sue belle vicissitu-dini.Il punto di partenza potrebbe esse-re tre mesi prima, il mese di luglio2013. In quel mese ho cominciatoad avvertire che c’era qualcosa inlei che non andava.Non ha mai avuto l’abitudine dichiedere del denaro, invece nelmese di luglio ci sono state dellerichieste, tipo 500, 600 euro…siccome c’era il discorso dellacasa in Russia per la quale stavapagando il mutuo, ho chiesto spie-gazioni, ma non ho avuto unarisposta diretta, sentivo, non so sefastidio, quasi una reazione stizzi-ta, come se non volesse che miimpicciassi, però sapevo chec’erano problemi con il figlio.In quell’anno abbiamo fatto unviaggio in Russia, dove mi sonosentito a casa. L’atmosfera eramolto famigliare e raccolta. Unapremessa, lei aveva problemi conil padre, che ha avuto una vita dif-ficile (racconto lungo, legato allaguerra mondiale che per lui è statoun trauma). Lui non era riuscito atrasmettere molto affetto proprioperché non sapeva farlo, lei e lasorella hanno sempre sofferto perquesto motivo. Il padre non ha maicompreso le sue scelte, il fatto disepararsi e venire in Italia a cer-care chi sa cosa. Ma ci ha sorpre-so perché quando è entrato in casaci ha salutato in italiano (piange,piange tantissimo, si sente in colpanei loro confronti), per i suoi geni-

tori ero un figlio, la madre misequestrava per portarmi dalle sueamiche a farmi conoscere. Si puòdire tutto ma posso dire non c’eranessuna avvisaglia che la storiasarebbe finita. Io rientrai prima inItalia, per questioni di lavoro.Quando Irina tornò era moltodistesa, tutto a posto, nella primasettimana c’è stata un intensificar-si del nostro rapporto per il futuro,

pensavamo al discorso casa, era-vamo più propensi ad andare inRussia.Volevamo aprire una attività, vistoche lei possiede un terreno gran-de, dove si poteva realizzare unallevamento per prodotti caseari(racconto lungo), avevamo giàcontatti in Italia per dei macchina-ri. Facevamo tutto insieme, pensiche per chiedere informazioni usa-vamo la stessa mail. Poi, daun’estrema euforia, siamo cadutiin una depressione. Lei continuavaa chiedermi soldi, e stavolta vole-vo sapere. Mi aveva raccontato unpo’ del suo passato, poco inRussia, di più nel periodo in Italia,dove i primi anni ha vissuto daclandestina, infatti insieme abbia-mo fatto in modo di avere un per-messo di soggiorno permanente,nel dicembre 2012, prima di con-vivere. Ma quando le chiedevo ache cosa servissero i soldi si irrigi-diva, io li avrei dati comunque, mavolevo capire. Iniziarono liti furi-bonde tant’è che cominciò a dirmiche ero ossessionato, che avevoproblemi, che dovevo curarmi.Continuavo a chiedere se le richie-ste di denaro fossero legate a unpassato di prostituzione, io le dice-vo che era il passato, che non le

avrei chiuso la porta, anzi per mesarebbe stata una persona ancoradi più da aiutare, c’era pienadisponibilità, ma quando ho dettoquesta cosa un giorno ha comin-ciato a colpirmi con un sopram-mobile, io sono rimasto sconvolto,non era Irina.Sì, qualche volta, l’ho offesa, peròqualcosa del tipo “voi donne del-l’est”, un paio di volte, ma lei era

colpita. Sì, sono convinto che leifacesse la prostituta, io pensavoche lei dovesse pagare per esserelibera. Infatti in quel periodocominciai a guardare il cellulare escoprii che nel telefono mettevaun’altra sim. Davo per scontatoche fosse una cosa simile, non leho detto nulla della sim perché misembrava inutile approfondire unacosa che sapevo. Io le avevo dettoche non mi interessava (lo sottoli-nea molto), ma questa cosa lafaceva arrabbiare, quindi avevoanche smesso di chiedere.(Chiedo di arrivare al punto)Qualche giorno prima dalla psico-loga si era alzata di scatto e rivol-gendosi in maniera minacciosa “epoi lui vuol sapere del passato, sìho fatto la prostituta, e allora?”. Ela psicologa disse che ci saremovisti dopo una settimana ma, seb-bene lei sembrasse scaricata,avvertivo che era chiusa, non pre-sente, come se ci fosseun muro tra noi, ma nonostantequesto si riusciva andare avantiassieme.Al sabato si doveva uscire per farela spesa, ma sono venute le miesorelle a casa per un discorsofamigliare, lei sapendo che eranovenute, si è arrabbiata ed è uscita

perché non voleva incontrarle.Quando poi le ho telefonato, manon era raggiungibile, mi sonomesso a cucinare pensando“vabbè ci si va il pomeriggio”.A noi piaceva andare assieme, sicuriosava negli scaffali, poi siandava in altri negozi, questo lafaceva distendere. Poi verso l’oradi pranzo l’ho chiamata per dirleche era pronto, lei mi disse chesarebbe arrivata. Quando entrò incasa disse “me ne vado a lettosenza pranzare”. Sono andato incamera, ma era agitata, fra l’altroio non volevo sapere se avevaincontrato qualcuno o cosa avevafatto, ma solo per sapere cosavoleva fare. Mi sono seduto sulletto, ma mi ha dato uno spintone,sono caduto, ci sono rimasto male,non era una reazione normale, hoanche pensato di averle fatto male.Sono andato a fare la spesa dasolo, la sera abbiamo cenato,abbiamo visto un po’ di tv e poi adormire, ma separati, lei dicevache russavo, ho dormito sul diva-no, non c’era verso di starle vici-no, io non volevo che andasse suldivano perché non era comodo eallora mi sono arrangiato io. Poi,domenica 13 ottobre 2013, ho pre-parato la colazione, c’era ancorala porta chiusa della camera, nonsono andato svegliarla: era abitu-dine che chi si svegliava per primofaceva la colazione. Quella dome-nica, preparai la colazione inmodo facile perché lei aveva pre-parato un dolcetto due giorniprima, poi sono andato in camera,lei era sveglia, si stava preparan-do, sembrava normale, delle volteè uscita con amiche, era libera dipotersi muovere, però quella mat-tina era distaccata, diversa. Diriflesso ci si comportava come dueestranei. Sono tornato in cucina,lei fa la doccia e poi va di nuovo incamera, io avevo ancora l’accap-patoio, non avevo ancora fatto ladoccia, non sarei uscito perchéstavo sistemando una stanza incasa che non potevo fare durantela settimana. Quindi se lei uscivanon avrei avuto problemi, non miricordo se abbiamo fatto colazioneassieme.Non ricordo l’ora in cui abbiamocominciato a discutere. Ho inizia-to credo io perché volevo dare unascossa per cercare una reazione.(Tocca l’anello di lei che porta almignolo e piange, mi dice che eraun regalo della sorella, io le rega-lai un anello vistoso, questo è finee le lasciva il segno e allora leregalai un anello per il complean-no e in cambio mi diede questo)

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30 trentadue dicembre 2016

Per cercare di smuoverla le dissiche fosse sarebbe stato il caso dinon continuare...Non ricordo la reazione che haavuto, si è voltata ed è tornata incamera senza dire nulla, forse,però era come se la rabbia uscissedappertutto, credo di essermi pen-tito di aver detto quelle parole,quindi ho provato ad abbracciar-la, si è divincolata e voltata versodi me, ho provato ancora adabbracciarla, ma lei mi ha morsonel collo o sulla spalla, non ricor-do, non l’ho lasciata, ma ho cerca-to di guardarla bene, volevovederla… credo ci siamo stacca-ti… lei è rimasta davanti a me nonso quanto tempo e non dicevanulla. C’era qualcosa, un attimoin cui sembrava fosse sbollita larabbia, mi sono riavvicinato e cisiamo baciati. Da una parte lacosa mi faceva un piacere immen-so perché sembrava quasi chefosse finito un incubo... però senzareazione violenta ci siamo stacca-ti, l’abbraccio si è sciolto inmaniera normale… lei è andata incamera e io l’ho seguita, si èmessa seduta sul letto e io a fiancoa lei. Non credo ci siamo dettiniente, non ricordo di aver dettoniente o sentito niente. Siamorimasti lì seduti, ma non so quan-tificare il tempo, ci si guardava eho cominciato ad accarezzarle ilpolso, a lei piaceva il contatto suquesto punto, sembrava che cistessimo riavvicinando (si blocca).È successo che lei con una manomi ha fermato, come se volesse chefinisse, ma poi l’ha tirata su versoil suo petto, come faceva spesso,mi ha guardato, ma non so se erauna sguardo di affetto, non sodecifrarlo ancora oggi. Si è china-ta, mi ha aperto l’accappatoio emi ha detto “nessun altra” e poimi ha morso il pene. Da li siamocaduti dal letto e credo sia statoquello il momento, l’ho stretta alcollo non riuscivo a liberarmi,dicono che l’ho strangolata!Quando mi sono sentito liberosono corso in bagno per fermare ilsangue, non so per quanto temposono rimasto in bagno, quandosono tornato lei era ancora a terracon lo sguardo fisso verso il soffit-to. La prima reazione è stata dicorrerle sopra e provare a riani-marla perché sapevo che nonrespirava. Ho pensato a tantecose, anche a mia figlia, le horotto una costola per rianimarla.Facevo attività subacquea, e sape-vo come rianimare, ma era troppotardi, mi sono messo accanto a leie credo di aver passato tanto

tempo seduto accanto a parlaledel futuro, poi guardandola l’hotirata su a sedere contro il letto eio mi sono messo accanto a lei.Nel guardarla ho visto che si era

fatta la pipì addosso, lei che erasempre attenta a curata, e mi hadato fastidio, quindi ho preso isuoi abiti e li ho messi in lavatrice,poi nel portabiancheria, poi incamera, sul pavimento, ho provatoa rivestirla, ma non ci riuscivo, mitremavano le mani, non riuscivo afar niente, nemmeno a pensare,non so nemmeno quando mi sonorivestito io, credo di essere uscitoe di aver girato nel pomeriggio,non mi ricordo se sono andato afare la spesa. Quando sono torna-to era sotto le coperte, ho provatoa scuoterla per vedere se non fossesuccesso niente, poi ho preso deisacchi neri della spazzatura esono sceso in auto e li ho messi inmacchina, con cose vecchie eanche abiti di Irina, non mi ricor-do, credo di aver usato la macchi-na dell’azienda, poi sono risalitoin casa non so dopo quando, sonorisalito in casa”.(Gli chiedo se non aveva paura diessere visto, mi dice che non eralucido).“Quando sono sceso per la spaz-zatura mi hanno detto che hoincontrato un vicino che ha unforno nello stesso palazzo che tor-nava dal lavoro. Lui si ricorda diavermi visto scendere con questeborse. Sono risalito, c’era Irinasotto le coperte, non lo so cosa miè passato per la mente, l’ho presain braccio, sono sceso, senza pen-sare se avessi potuto incontrarequalcuno, non so se non mi impor-tava o ci pensavo… Sono andato

nella mia auto, era buio. Avevopaura di farle del male e l’homessa seduta dietro, appoggiatacontro lo schienale, credo di esse-re tornato in casa e di essere risce-

so, fatto sta che era notte e misono ritrovato a girare alla roton-da sotto l’ospedale, ho fatto due otre giri (spiega i luoghi precisi).In tutto questo tempo le parlavo,mi sembrava che mi rispondesse,infatti due o tre volte mi sono fer-mato a guardare se fosse solo sve-nuta. Poi quando le altre macchi-ne suonavano tornavo alla realtà.C’era una strada dove si andavaspesso, lei la conosceva, le piace-va, io lì andavo a fare immersione.Lei c’era andata con le amiche,poi la vedeva nei giornali con leville dei vip. Ci andavamo a fare lepasseggiate. Ci siamo seduti sulciglio della strada, sul bordo. Hocontinuato a parlarle, le descrive-vo quello vedevo. Tante volte siparlava di comprare una casa inquella zona, anche un monolocale,ma sapevamo che era impossibile,dati i prezzi ma era il nostro sogno(Piange…) Credo di aver sentitoun rumore, forse di un’auto, sonosalito in auto, non so che mi èpreso, l’ho lasciata li, sono torna-to a casa, era mattina, ricordo diessere andato in ufficio. Dopo duesettimane l’hanno trovata. Eravisibile e non visibile, io l’holasciata sul bordo, ma è una zonaun po’ selvaggia, privata, ci si vaanche a piedi per le passeggiate,molto scoscesa… Lei scivolavamentre parlavo... L’hanno trovatadei cacciatori.Ricordo che il giorno dopo io losapevo quello che è successo, glialtri non si sono accorti di niente,

dopo, con il passare del tempo sisono accorti della mia stranezza.Il mercoledì sono andato dai cara-binieri a denunciare la scomparsa,ma prima, così dicono, sono anda-to in stazione, il martedì a prende-re dei biglietti per Roma, per lei, ciera già andata e ci doveva rianda-re. A posteriori sono stati rico-struiti i movimenti che ho fatto.Mercoledì io telefonavo a Irina enon avevo risposta, il telefono eraa Roma, mi ha risposto un extra-comunitario… (Io chiedo come faa essere Roma, lui non risponde...)Io chiesi all’extracomunitariodelle notizie, io avevo il terroreche fosse successo qualcosa aIrina e chiedevo a questo dovefosse Irina, dai carabinieri abbia-mo chiamato Irina, poi questo èstato fermato dalla polizia ferro-viaria, era un senzatetto che fre-quentava la stazione di Roma,credo Roma Ostiense. L’ho porta-to io. Il martedì sono andato aRoma e l’ho lascito lì e sono tor-nato, non so neppure se viaggiavocon o senza biglietto.Ho portato ai carabinieri l’altrotelefono di lei, perché avendolousato poteva essere utile. Sonopartite le ricerche. Io spesso tele-fonavo per sentire se c’era qualco-sa di nuovo, avevo il numeroappuntato sotto il telefono di casa,credo anche di essere tornato,quella settimana o quella dopo,non so collocarlo, dove ho lascia-to lei, sapevo che lì c’era qualco-sa, ma non ho visto niente. In quel-le settimane andavo al lavoro eandavo sempre al Mac a mangia-re, dagli scontrini, pensi che perme e Irina il Mac è sempre statol’ultima spiaggia, credo di avermangiato due settimane da Mac.Mi sono trascurato molto perchégli altri vedevano, avevo ripreso astare in ufficio la sera, ero strano,capivano, perché da quando c’eraIrina scappavo sempre, ero trascu-rato, ma nel lavoro ero maniacale,la barba non la facevo più, pensiche anche qui in carcere mi dàfastidio il fatto che si può fare ognidue giorni. Il venerdì mattina, il25, mi telefonano alle sette dallacaserma, forse c’era qualche novi-tà. Mi hanno chiamato e mi hannodetto che hanno trovato il cadave-re di una donna, mi hanno chiestoi segni particolari.Irina aveva l’alluce valgo e usavalo smalto di un colore metallizzatocome rame, le stava molto bene.Non mi partiva l’auto, allora sonoandato a piedi, arrivai alle sette emezza, un quarto alle otto. Mihanno accompagnato in ospedale

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per vedere se c’erano dei riscontrie poi per il riconoscimento. Unodei carabinieri mi diceva “lo sentiquesto odore?”. Un odore che nonso descrivere, non somigliava eniente. Poi si aprì la tenda, ricor-do la finestra con le veneziane, emi hanno chiesto se era lei. Il voltoera devastato, io dissi quella èIrina ma non è lei. Poi c’è stato ilfermo, in caserma”(piange, dice di avere un forte maldi testa).Per favore non voglio che diano lacolpa a lei”.

P. S.Pizzaiolo, cameriere, foggiano, maresidente in Toscana, dove è avve-nuto il fatto. Ha ucciso la donnacon la quale aveva un relazionesparandole con una calibro 9 nonregolarmente denunciata, poi l’habruciata e fatta a pezzi, per farlaentrare nei sacchi, e abbandonatain una discarica, ma buttando lebraccia in due cassonetti diversi.Pochi giorni dopo ha ucciso ancheil cane della donna, Briciola. Neltentativo di depistare le indagini,aveva denunciato la scomparsa e siera rivolto anche alla trasmissione“Chi l’ha visto?” Al momento del-l’arresto affermò di aver uccisoanche altre donne, facendo trape-lare l’ipotesi di essere un serial kil-ler, ma le indagini non conferma-rono questa circostanza.Mi racconta quanto è bravo sullavoro in sartoria dalle 8 alle cin-que del pomeriggio, il comporta-mento degli altri detenuti e dellasua attività di studente di econo-mia all’università di Pisa a cui èiscritto da quattro anni e mi spiegache due anni fa ha avuto un crollo.La seconda volta mi porta dei donie delle caramelle. P. si arrabbia, selo chiamo a colloquio mentre stalavorando e durante i colloquicerca sempre di provocarmi. Conlui è una lotta continua.È un uomo insicuro e sempre allaricerca di riconoscimento e diattenzione.Mi chiede se il reato che ha com-messo mi fa impressione. Io glifaccio notare che è lui, in fondo, apiangere di fronte a me.

“Sono nato a San Severo in pro-vincia di Foggia, ho 46 anni. Miricordo come se fosse ieri l’incon-tro di gruppo di questa estate,quando hai presentato il progetto,ho fotografo e memorizzato quelloche hai detto, sai, gli altri detenu-ti hanno mentito…Ride perché gli faccio notare chemi deve raccontare la sua vicenda.

Ho ucciso la mia compagna.Stavamo insieme da due anni, piùo meno. Lei era 19 anni più gran-de di me, ciò che mi ha spinto allarisoluzione dell’atto finale (diceche non trova termine migliore), èun mix di cose che mi sono succes-se da quando avevo 16 anni, una

specie di ritorno all’oblio che hascaturito quello che è successo.L’intenzione di fare del malec’era, ma non doveva essere lei, siè trovata lì nel momento sbagliato.A 14 anni ero timido ed egoista, siviveva con lo stipendio di papà,mamma faceva i salti mortali,quando uscivo con gli amici avevomille lire in tasca e rifiutavo diuscire o di mangiare un gelato, ouna pizza. Ho iniziato a fare ilpanettiere, poi il carpentiere, erosempre tirato, davo i soldi in casa,sono sempre stato solitario, poipapa iniziò a dirmi di essere gene-roso e ho cambiato le mie abitudi-ni, da troppo avaro a molto altrui-sta. Aiutare gli altri anche nonsolo economicamente, ma anchemoralmente. A tredici o dodicianni mia madre mi mandò a ritira-re le scarpe dal calzolaio e da lì,quando ero disponibile, andavo afare i servizi da questo. Facevoanche altri lavori per sconfiggerela timidezza, anche nei confrontidelle donne, bastava che una midicesse “ciao” che diventavorosso, però con questo calzolaionacque un’amicizia, papà non lovedevo tra il lavoro in campagna equello di bidello a Udine, lo vede-vo una volta al mese, quindi que-sto calzolaio lo sentivo come unpadre. È da lui che parte tutto. Adun certo punto, dopo diversi anni,

ne avevo 20, dopo il militare, luiebbe uno sfratto dalla casa doveabitava e io mi offrii di dargli unamano con un prestito in banca di 4milioni.Dopo averlo aiutato la primavolta, ebbe uno sfratto anche nellabottega e anche li l’ho aiutato, i

primi tre mesi mi ha restituito ildenaro, dal quinto mese non mi hapiù dato nulla, ma l’ho aiutatoaltre volte per una cifra di 15, 16milioni, lui aveva figli ma nonerano in grado di aiutarlo. Ma nonera ancora scattato niente di anor-male nella mia rabbia, io le stu-diavo tutte per tornare in possessodel mio denaro chiedevo almeno10 mila lire la settimana. Poi consuo figlio aprimmo un supermer-cato, è durato una settimana, peròa quel punto ho detto basta, sonoandato a confidarmi con miopadre, non mi ha dato uno schiaf-fo, ma gli ho visto lacrimare gliocchi ( si commuove)… Forse nonsarei arrivato a tanto… Quellasera mi consigliò di andare dal-l’avvocato, che poi è diventato unmio amico, e il giorno dopo siamoandati al supermercato, per lafirma di alcune cambiali, tramitequesto avvocato ho conosciutoispettori, giudici, altri avvocati,questi erano i miei amici. (mi rac-conta tutta una lunga storia con gliavvocati per rientrare in possessodel denaro) lui mi denunciò perestorsione, sono stato avvisatoalla fine dei tre mesi, e da lìconobbi un penalista e il giorno incui ci fu il processo scattò lamolla, e dissi “ora lo ammazzo”,anche se non mi hanno condanna-to. Quello che mi fa fatto più male

è che lui ha denunciato mio padre.Se avesse denunciato solo me eradiverso, io l’ho detto apertamenteanche all’avvocato “io lo ammaz-zo”. Sono riusciti a placarmi, mal’idea non è mai andata via.In un piccolo paese rimane semprela vergogna, nonostante l’assolu-zione è come diversi secoli fa,come quando chi si macchiava diadulterio che era costretta a por-tare il marchio, una donna daemarginare.Poi mi sono trasferito a Grosseto,feci la prima stagione estiva in unristorante e poi lavoravo anche alcinema. La solitudine da un lato fabene, ma dall’altro ti fa cadere incattivi pensieri. Dopo un annosono dovuto tornare dall’avvocatoper la questione e mi si è riaccesala cosa, è vero l’avvocato è unamico, ma voleva essere pagato.Quindi rinasce l’idea. Acquistoun’arma tramite amici. Una pisto-la, calibro 9, è potente? Non lo so,non sono esperto. (Comincia afarmi domande sul mio lavoro).Ogni tre o quattro mesi venivo aSan Severo, invece di uscire congli amici, studiavo le mosse perbeccarlo, un anno dopo, un giornodecisi, partiti alle due del pome-riggio, arrivai verso le nove, sape-vo che stava a casa dalle ragazzae verso le dieci usciva, lo pedinai,arrivai sotto casa di sua madre,ma quando scesi persparare… erabuio, ero a dodici metri da lui, mivenne in mente mio padre e mimancò il coraggio, sono tornatoindietro e sono ripartito perGrosseto. Mi ha fermato la delu-sione di mio padre... Sono tornatoa casa, ero nervoso e ansioso per-ché ero in possesso di un’arma, latenevo nascosta in macchina equando mi fermavano avevopaura... anche perché non sapevocon quell’arma cosa ci avevanofatto, non era nuova, che poi io daprofano delinquente… da ingenuo,principiante, mi tremavano legambe ogni volta.All’epoca avevo un relazione conuna romena e quindi dovevotogliere la pistola da casa. Questarelazione era iniziata un paio dimesi prima, nel giugno 2002, hoperso il conto delle relazioni, nonricordo come si chiama questaragazza che era sposata, a Pasquadel 2002 conobbi anche M., silavorava tutti e tre insieme, M. incucina, andavo con tutte e due,lavoravamo nello stesso ristoran-te. La rumena era 13 anni piùgrande di me. Mi sono capitatespesso e volentieri le donne adulte.M. su di me aveva un ascendente,

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ero quasi succube, anche se avevoaltre storie, non mi sentivo libero,ero come braccato (mi raccontadei figli di M.) lei non voleva cheio avevo altre relazioni, dopo unanno, che siamo stati insiemesiamo stati anche diversi mesi lon-tani, lei voleva stare con me io no,nonostante avesse saputo dellediverse relazioni si litigava ma sistava insieme, io ero stanco di liti-gare, ero stato chiaro con lei, ledicevo che lei aveva due figlie ioho bisogno di farmi una mia fami-glia, io avevo un’idea del mio futu-ro, lei un’altra che non era conci-liabile, lei mi indicava le cameret-te e faceva progetti.Ad un certo punto prendo contatticon l’altro figlio del calzolaio, chesi chiama come me, mi sembravadiverso e a febbraio del 2003 aprouna società con lui, per sfuggireda Mirna, ma è andata male purelì… io e lei nei sei mesi che siamostati lontani ci siamo sentiti duevolte, io avevo già una relazionequando tornai a Rimini, e leivenne nel luogo di lavoro e cosìriprese la relazione rocambolescadove mi sentivo usato, e siccomesono stato usato da piccino, dalcalzolaio, si è riaperta questa feri-ta. Allora si litigava spesso, anchein modo furibondo (mi raccontadiversi episodi, serate con amici).Un giorno, durante una di questeliti, lei mi insultò e mi disse “lodico a tutti che sei un donnaiolo”,poi aggiunse un mix di cose e lìsono scoppiato, l’ho ammazzata, ilprimo colpo alla nuca, poi lei sigirò e mi disse “ti denuncio” poisecondo colpo in testa… era aterra, stava soffrendo, e allora hotirato il terzo colpo. Dopo qualchesecondo di silenzio sono rinsavito,e ho detto “che cosa ho fatto?” leiera davanti alla porta sdraiata aterra, mi appoggiai sul letto e miaddormentai, mi sono svegliatocinque ore dopo, alle sette, lì nonsapevo cosa fare non ragionavo eallora cosa feci? Ho lavorato per15 anni nel cinema, quante volteho visto persone che bruciano…Davanti a casa c’era un pezzo diterra, comprai due litri di benzina,non sapevo la quantità che ci vole-va, convinto che nei film accadecosì… ma mi rendo conto che nonsi brucia, continuava a uscireacqua che spegneva il fuoco, eraridotta a un legno, tutto un pezzo,si era indurita, parte del volto sivedeva, era schiumatizzata.Essendo che non ci sono riuscito,sempre come fanno nei film, laavvolgo in un lenzuolo e cerco diinfilarla nel cofano. Lei ci entrava,

solo che le braccia erano rigide ealte, lei come lunghezza ci entravama le braccia no. Per sistemare lebraccia avevo un accetta nel giar-dino e ho tolto le braccia, eranoloro che ingombravano.Poi l’ho caricata in macchina. Neipressi di T. penso, ci siamo passa-ti per gita o per lavoro, e quindiconoscevo la strada, c’era unascarpata. Non l’hanno trovata,gliel’ho fatta trovare. Perché nellasua borsa c’era il cellulare, invecedi buttarlo, come un imbecille,sono andato a venderlo, anche seho cercato di sviare le indagini,dopo un mese e mezzo sono statoarrestato, anche se mi ero reso

conto da subito che sarei andato incarcere, perché chi fa una cattivaazione è sempre è stato acchiappa-to. Il cane di M. non andava moltod’accordo con me. Lo prese nelperiodo in cui io sono stato aRimini, era un bastardino, lo tene-va per compagnia. Quando uccisiM. il cane rimase a casa e ioandai, lo prelevai e lo portai acasa mia perché se rimaneva lìaveva bisogno di mangiare eavrebbe abbaiato e fatto confusio-ne. L’ho tenuto 48 ore, inizialmen-te volevo portarlo ad Arezzo edabbandonarlo, solamente chearrivato a un centinaio di km mifermarono i carabinieri e li hoavuto paura perché se trovano uncane solitario ad Arezzo a me miavevano fermato ad Arezzo, Mirnaera scomparsa… Allora sono tor-nato indietro ed è stato a casaancora un giorno, ma non trovan-do nessuna soluzione, una seramentre andavo per la strada chefacevo per il lavoro, una strada di

case isolate, ho preso la pistola el’ho ucciso, lo misi in un sacchet-to, lo caricai in macchina, e poil’ho messo nel bidone nella spaz-zatura, (Dice di vergognarsimolto) non l’hanno mai trovato,come anche le braccia di M. che leavevo messe in due bidoni diversi.(Mi chiede se non mi fa effetto) leho divise le braccia, non so per-ché. Quello che è successo dalle 7alle tre di notte, lo ricordo perchél’ho raccontato, ho io portato gliinquirenti nella scarpata, ma icassonetti erano già stati svuotati.A questo punto gli chiedo di par-larmi della famiglia.La personalità più forte era papà,

nel cattivo esempio, mamma eraspigliata, solo che non ha avuto ilcoraggio di lasciare papà giàquando io avevo tre anni, o ancheprima, doveva scappare, papà nonla considerava erano più impor-tanti gli amici e le sorelle, non lagratificava, non so dire se la trat-tava bene o male, forse non la trat-tava proprio, lanciava i piatti,ricordo un giorno che lanciò unpiatto in cui mangiavo io, qualchevolta ho preso dei ceffoni, maniente di particolare.Il rapporto tra loro era che litiga-vano, lui era troppo presuntuoso,c’era sempre atmosfera che haspinto me e l’altra sorella ad averedei disagi. Quando al militare mihanno chiesto dove volevo andare,io ho detto “lontano”. Ho sempreavuto disagi caratteriali, difficoltàa prendere iniziative in un rappor-to di coppia. Dai miei 14 ai 18anni non sopportavo neppure unciao. Dal punto vista affettivo ci èmancato tutto. La prima ragazza

l’ho avuta a 20 anni. Ero timido.La mia prima ragazza era piùgrande. Una volta sono rientratoalle tre e papà mi aspettava sulloscalino delle scale, a 20 anni cipensi? Sotto questo punto di vistasentivo la preoccupazione, ma nonsentivo il calore umano, non ricor-do che lui mi abbia detto “bravo”,non ricordo un abbraccio o unacarezza, ogni mia scelta o decisio-ne si doveva combattere perchénon erano giuste, come trattavamamma (piange) allo stesso modotrattava me.Con mamma non ho mai avuto liti-gi, era sempre a coccolarmi, midiceva “che devi fa”? mio padreha preso la terza media a 40 anni,andava alla scuola serale.Anche mia sorella mi disse che luici ha insegnato quello che a luihanno insegnato, per questo da unlato sono rassegnato, ho unasorella che è morta di meningite,quando mia madre era incinta dime. Ricordo che da bambino fan-tasticavo su come sarebbe statoavere una sorella più grande,magari sarei stato meno timido,nei momenti del bisogno ci pensa-vo, ogni volta che in casa circola-va una farfalla la mamma diceva“non la uccidere perché ti ricordatua sorella” perché è un angelolibero, mi sarei rifugiato tra le suabraccia, si chiamava Angela, poilo stesso nome lo hanno dato amia sorella minore.Non mi bastava mamma, non pote-va darmi tutto quello che volevo,mi è mancato qualcuno che misapesse prendere o indirizzare,mamma più di tanto non potevafarlo, mi diceva “ impara l’arte”ogni volta che uno zio veniva afare dei lavori in casa mi faceva diguardare. Anche la madre di miamadre sminuiva un po’ mia madre,e quindi siamo stati una famigliasminuita… Ciò ha influito, daragazzo cercavo quello che man-cava a me, perché il matrimoniodeve essere una compensazione,volevo affetto, calore, una donnacapace di trascinarmi, perchéessendo stato succube di certicomportamenti, perché io devo farpassare agli altri quello che hosubito?Io non sono mai stato violento,anzi, ricordo una ragazza cono-sciuta alla festa di San Antonio,che era arrabbiata con i fratelli econ il padre e io che già avevo unsentimento forte, le dissi:“Prendimi a schiaffi per sfogarti”,ero protettore delle donne.Io chiedo allora come spiega ilfatto di aver ucciso una donna

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Io le amavo, più le avevo e più levolevo, è un paradosso, l’omicidioè stato un raptus perché la rabbiaera per un altro, ma non ci ho maipensato in fondo… ora che ne stia-mo parlando mi rendo conto che èun paradosso.Chiedo se si è mai sentito amato.Tutto nasce dalla mia primadonna, avevo 20 anni, ero militare,era un’amica che frequentavo. Ungiorno di settembre le faccio unasorpresa a casa, non le dico cheero San Severo, lei rientra verso leotto e mezzo e mi dice “devo dartidue notizie, una bella e una brutta:sono incinta, non è tuo figlio”.Sono stato mesi chiuso in casa chenon ne volevo sapere di nessuno,non volevo più soffrire, e questomi ha portato ad avere tantedonne, ma in modo superficiale...eh, mancanza d’amore a casa,mancanza d’amore con le donne…Gli faccio notare che non ha soloucciso una donna, ma l’ha massa-crata, con rabbia e lucidità.Io sono diventato insensibile...però su queste cose che mi dici misa che devo riflettere…”L’ultima volta che l’ho chiamato acolloquio, si è rifiutato di venire.Mi ha fatto sapere che non potevainterrompere il lavoro.

M.B.Toscano, 58 anni stimato geometrae iscritto all’elenco dei periti delTribunale di Prato. Ha ucciso lasua convivente con una calibro 9Beretta, detenuta legalmente. Duecolpi, uno all’addome e uno allatesta, il terzo lo ha rivolto controse stesso: il proiettile schizzandovia ha ferito di striscio la figlia16enne della coppia. Oggi è insedia a rotelle e con grossi proble-mi di salute.La sofferenza di quest’uomo rie-sco a toccarla. Anche lui, appenaarriva, mi dice che non vuole par-lare. È bloccato dal dolore. Faticomolto a farlo restare e a tranquil-lizzarlo.“Io 58 anni, i miei antenati face-vano gli agricoltori io invece ilgeometra, in più, mentre facevo ilgeometra, lavoravo per due ditte epoi ho fatto anche il tecnico dilaboratorio, il direttore commer-ciale (mi racconta una vicendalunga di una carriera fortunata).Nel periodo di gioventù ho vintocinque titoli italiani in tre discipli-ne del campionato italiano, nellostesso tempo sono stato nellanazionale italiana pesca sub, poiistruttore di primo, secondo eterzo grado, brevettavo allievi eistruttori sia in Italia che all’este-

ro. Poi, con i soldi, ho cominciatoa comprare case e terreni, homesso su anche una società immo-biliare per gestirli, poi ho acqui-stato la mia ultima casa, con unatorre con i terreni e cominciato afare anche l’agricoltore: ho vissu-to dieci vite.Sono tre anni che sono in carcere,prima a Pisa e poi qui a Massa daun anno e mezzo, io sto sempre aletto, mi trovo bene sto chiuso nelmio guscio, ci sono i miei pensieri

che mi sbucciano dalla mattinaalla sera, i detenuti non sono almio livello, sono di basso profilo,al massimo una barzelletta… incella sono con altre due persone.Mi mantengo e li mantengo, pagoquasi sempre tutto io, da quandosono venuto dietro le sbarre hosempre mantenuto gli altri e gli hoaiutati, se è possibile. Io ho uccisomia moglie, mi può giudicare per-ché mi sto giudicando anche io. Iosono stato sposato, separato edivorziato poi ho conosciuto que-sta donna e dopo dieci anni è natala prima figlia, poi altre due, intutto ho tre figlie di 22 anni 18 euna 9.Dopo 30 anni c’è stato qualcosache non ha funzionato. Io lavoravodalla mattina alla sera, miamoglie seguiva la bambine, è sem-pre mancata la cultura del padre,le decisioni venivano prese senzadi me per non fare discussioni nonmi mettevo di traverso... l’unicodispiacere è che le tre figlie hannopreso strade diverse nello studio,ma ho lasciato tutto a loro, attivi-tà, casa, aziende. Non vengono atrovarmi, non parlano neppure

con la nonna, perché mi viene atrovare, e che ha 82 anni (Mi rac-conta della madre e delle figli).Il fatto è successo il 12 aprile2012. C’è tutta una storia… ilfinale era che io ero seduto sulgradino di casa con la pistola allatempia… avevo il porto d’armi dacaccia, escono i cani, esce miamoglie e a quel punto gli ho spara-to perché non ricordo nulla, solo“Mario aspetta parliamone”. Lafamiglia si era allontanata perché

io lavoravo, non ero presente, e miavevano chiesto di avere vite sepa-rate, io volevo farlo gradualmente,ma in un giorno sono stato cata-pultato al pian terreno della casa,dormivo abbracciato a un grossopesce di peluche. Erano dieci gior-ni che non mangiavo, avevo mal ditesta, rimandavo gli appuntamen-ti, malessere totale. Prendevo laverdura dal campo e la lasciavodavanti alla porta, lei un giornomi disse “ah molte grazie, ciaociao” Sa dottoressa, son martella-te nel cuore. Parlai con un amico psicologo chemi stava indirizzando verso unospecialista.. io gli mandai un smsdi ringraziamento per l’aiuto, a unaltro amico dissi “ ricordaticom’ero”. Io ho lavorato e fattotutto solo per la famiglia, si sonosempre offerte le donne, ma nonho mai tradito la moglie, e saquante donne potevo avere, miraccontavano le loro storie… (rac-conta).La donna ha una marcia in più,una raffinatezza, attenta ai parti-colari, anche nel lavoro, l’uomo èpiù grezzo e poi ha la creatività

che l’uomo non ha, la donna è uneessere bellissimo, io ero moltoinnamorato di mia moglie, con lemie figlie il rapporto era buono,baci abbracci, escluso con unaperché 14 anni fa diedi uno schiaf-fo a mia moglie e una delle figliese lo legò al dito, era sfuggente,c’è stato solo quell’episodio. Nonera un matrimonio con conflitti,anche perché non c’ero. Avreidovuto portare più fuori nell’altasocietà, avrei dovuta farla svaga-re, perché lei mi disse “sai, vorreimettere su una pasticceria” iolavoravo con grosse società chegestiscono una serie di immobili esapevo che ci sarebbe stata questaprofonda crisi, io nel 2010 smisi dilavorare non c’erano più marginie vendetti, e quando lei mi dissequesto mi misi a ridere, lei rimasesul suo pensare poi feci l’errore didirgli che l’avevo seguita e da lì fupeggio. Mi diceva che era inbanca e invece era altrove, a stopunto non so se ha fatto anchequalcosa altro. Non veniva in uffi-cio e quindi mi insospettivo, hoperso giornate di lavoro, gli face-vo ... in casa ci saranno stati 15 o20 tipi di profumi. Lei voleva avereuna sua dignità lavorativa, nonessere sulle mie spalle per unorgoglio personale, ma non si èresa conto che io facevo quel chefacevo perché c’era lei, era lei chemi permetteva di fare quello chevolevo fare.Dopo il fatto ci hanno parlatoall’ospedale, io mi son sparato intesta per quello son paralizzato. Ioho fatto quello che avevo deciso,sfortunatamente sono ancora qui,questa non è una vita che si puòvivere, devo essere seguito da duepersone.Con le figlie ci ho rinunciato, lapiccina è in affidamento a unafamiglia di Prato. O mi mandano acasa, o buttano via la chiave, cosìsono anche un grosso peso perloro, non mi vergogno, ma non èuna vita semplice. Alle volte hofede, alle volte no, è un rapportocomplicato.I detenuti mi hanno dato unamano, poi ci sono gli infermieri, ioho enormi dolori, comunque quel-lo che vorrei dire, anzi, il mio con-siglio è fare una linee di demarca-zione tra l’omicidio che ho fatto ecoloro che assalgono, che marto-rizzano le donne, perché è unacosa diversa, il mio è stato unflash (piange disperatamente).Lei dottoressa cerca di scrivere unlibro, io son a cercare di capirequello che avrei dovuto e potutofare”.

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Cave, marmo e sentenze

In medio virtusFrancesco De Pasquale

Per capirciI dati della tabella riguardano esclusivamentela produzione di blocchi (per gli anni 2016 e2017), siano essi sani squadrati, difettosi osemisquadrati, o informi, perché, per quantoriguarda le scaglie, i massi da scogliera e leterre, i valori sono legati ad altre procedure (sipaga solo il contributo di estrazione ma non ilcanone concessorio).

Qualche valore Lo statuario e il Calacatta di prima scelta val-gono 4.500Û a tonnellata, ma se i blocchi sonodifettosi o semisquadrati valgono meno dellametà (2.000Û) e informi un misero 400Û a ton-nellata. Le stesse qualità di seconda scelta val-gono rispettivamente 2.250Û, 1.000Û e 300Û atonnellata. Per il Cremo di prima scelta abbia-mo 1.800Û, 900Û e 250Û a tonnellata.Stessi valori per Venatino, Cremo seconda scel-ta, Paonazzo e Zebrino: 800Û, 400Û e 175Û. IlBianco C è in compagnia del Venato C edell’Arabescato: 480Û, 240Û e 100Û a tonnel-lata. Il Bianco C/D, il Venato C/D e il Verdellosono a 280Û, 140Û e 70Û la tonnellata.Nuvolato e Bardiglio sono a 200Û, 100Û e60Û la tonnellata. Bianco D e Venato D: 140Û,70Û e 40Û a tonnellata. Chiudono la carrellatai Marmi scuri con 90Û e 50Û, gli informi inve-ce sono a ufo.

Il meglio di meno, il peggio di piùNon stiamo qui a discutere se i valori siano omeno congrui (lasciamo questo compito aicommercianti del marmo, che invitiamo a scri-verci i loro “valori di mercato”), certo lasciaperplessi il fatto che gli informi valgono più del(o il) 50% dei difettosi e semisquadrati solo peri materiali dal Bianco C/D al Venato D, mentreper le qualità migliori, guarda caso, valgonomeno della metà. Altro elemento anomalo è il fatto che la diffe-renza di valore tra blocchi difettosi o semisqua-drati e blocchi sani e è del 50% per i materiali“intermedi”, dal Cremo al Venato D, mentre èsuperiore per i Marmi scuri e stranamente infe-riore per i materiali di maggior pregio(Statuario e Calacatta). Insomma sembranotariffe ritagliate apposta per dare maggiori gua-dagni a chi ha i materiali migliori.

Da valori a produzioniQuesti sono i valori di mercato su cui ilComune effettua le sue stime per calcolare ilvalore medio della produzione annua, cava percava. Peccato che, sulla produzione annua totale iblocchi sani rappresentino percentuali moltobasse mentre gli informi spesso costituiscono ilgrosso della produzione. Attenzione, abbiamodetto stime, per cui se in una cava la produzio-ne di blocchi sani è stimata al 30% ma quellareale, per un fortuito e fortunato caso in realtà

è del 50%, indovinate un po’ in quali taschefinisce la differenza di valore? Stessa cosadicasi per le percentuali tra materiali diversi: seun anno produciamo ad es. più Bianco C e C/Ddel previsto, rispetto al Bianco D, la differenzain positivo non la incassano certo le pubblichecasse.

Cave attive e cave passiveLe cave senza indicazione di azienda escavatri-ce e di valore medio della produzione sonocave ad oggi inattive. Quindi, da tabella, abbiamo 21 cave ferme traquelle che erano in produzione dagli anni postalluvione 2003, data che ha segnato, volenti onolenti, una svolta nella percezione collettivadelle attività al monte. Quindi, “all’inverso” le cave con indicazione diazienda escavatrice e di valore medio della pro-duzione (e relative percentuali di canone e con-tributo) sono le cave che “sfornano” i materialiregistrati alle pese di Miseglia.

Finte attive e finte passiveIn realtà non è così, tanto per ingarbugliare lamatassa. La cava 161, ad esempio, è una cavadi cui si conosce l’azienda escavatrice, unacava che fino all’anno scorso era in produzio-ne, con un valore medio di 90Û (6,67Û dicanone concessorio e 4,73Û di contributo diregionale) ma siccome c’è in corso un procedi-mento giudiziario la cava è solo momentanea-mente ferma. Perché non si è provveduto a sta-bilirne il valore medio, dato che tra poco ritor-nerà in produzione? Ancora: le cave 16, 26, 87,138 e 190 sono ferme da anni e allora che cosasignifica che ne è stato predisposto il valoremedio di produzione se non che se ne prevedela riapertura a breve?

Ilegalità a gogóPeccato che il vigente Regolamento degli agrimarmiferi preveda che (art.11 comma 2 letterac)) “Il Comune dichiara la decadenza della con-cessione nei seguenti casi:…per inattività della

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cava, ai sensi dell’art. 6, lettera f), del presenteregolamento;”. Vediamo cosa stabilisce l’art.citato. L’art.6 lettera f) del regolamento comu-nale per la concessione degli agri marmiferiprevede che “II concessionario ha l’obbligo ditenere la cava in attività. Si considera inattivala cava quando non sia stata lavorata con piùoperai per almeno otto mesi continui nel bien-nio…Sui motivi dell’inattività e sulla loro rile-vanza decide la Giunta Comunale”. Si dà ilcaso che la cava ferma da meno tempo sia lan.26, da “soli” 5 anni.

I datiPer capire appieno il documento dobbiamo fareriferimento all’attuale legge regionale che pre-vede l’applicazione di una percentuale sulvalore della produzione (art.36: 10% del valoremedio di mercato del materiale). Siccome ilmedesimo art. 36 prevede che l’entità comples-siva delle somme dovute come contributo diestrazione e canone concessorio “è fissata entroil limite del 15 per cento del valore di mercatodei materiali medesimi” è ovvio che per ilcanone il Comune applichi la percentuale del5%.

MaMa come mai il contributo di estrazione nellatabella è il risultato della divisione per diecidell’importo di sinistra, mentre quello di destranon è la sua metà? Non sappiamo più dividereper 2? Perché per 7 cave (41, 60, 64, 67, 115,175 e 177) è addirittura pari a 0, mentre per 3cave (36, 40 e 46) è prossimo allo zero, per nonparlare di altre la cui riduzione è superiore al50%?

Fantasmi del passatoSono ancora una volta i cosiddetti ‘beni estima-ti’, quelle superfici di agri marmiferi che ilComune si ostina a considerare privati senzaesserlo. Non solo, il Comune non va a verifica-re se il marmo estratto proviene veramente dasuperfici “estimate” o da agri marmiferi“comunali”; basta avere una superficie “esti-mata” nel perimetro dell’autorizzazione e subi-to si ha il diritto allo sconto evidenziato nell’ul-tima colonna. Non male, no? Esattamentecome gli sconti che fa Gaia per l’acqua o ilComune per la spazzatura a chi ne ha diritto! Oforse no?

Consulta E torniamo alla Consulta. Non è bastata la sen-tenza del 1995 per far capire agli amministrato-ri di Carrara che cosa dovevano fare, passanocosì le amministrazioni Fazzi-Contigli (checomunque ha il merito di aver portato a terminel’approvazione del primo Regolamento degliagri marmiferi, con soli 66 anni di ritardo),Segnanini, Conti e Zubbani 1 e 2. Arriviamocosì alla sentenza di quest’anno e ancora l’am-ministrazione comunale è qui a dirci che nullapuò fare. Sarà vero?

Sentenza 1 Vediamo alcune considerazioni “in diritto”della sentenza (che ha dato ragione allaRegione) del 1995. “Una parte della legislazio-

ne estense è incompatibile con i principi fissatidalla legge dello Stato, e perciò non coordinabi-le con quest’ultima.”. Quindi la normativa cheriguarda i cosiddetti ‘beni estimati’ è incompa-tibile con le leggi della Repubblica, in partico-lare per quanto riguarda la “perpetuità dellaconcessione” o “il divieto di alienazione dellaconcessione o di cessione del suo eserciziosenza l’autorizzazione dell’amministrazioneconcedente”. In sintesi, dice la Consulta “In generale i duesistemi si differenziano profondamente in ordi-ne al perseguimento delle finalità di interessepubblico”. E ancora “la disciplina delle cavenella legge mineraria del 1927, al pari di quelladelle miniere, ha un’impronta schiettamentepubblicistica, direttamente ordinata a fini di uti-lità generale e comportante l’assoggettamentodella coltivazione della cava alla vigilanza dellapubblica amministrazione”.

Stoccata finale

“L’art. 64 ha mantenuto in vigore la legislazio-ne preunitaria solo in via transitoria, fino algiorno dell’entrata in vigore dei detti regola-menti: ai Comuni di Massa e Carrara è attribui-to un potere regolamentare autonomo, con effi-cacia analoga a quella della legge - e quindi abi-litato anche a incidere sui rapporti privati - infunzione di un rinnovamento della disciplinadella coltivazione delle cave in conformità dellalegge mineraria e nei limiti della legislazioneregionale protettiva del territorio e dell’ambien-te.”. Notare il sottolineato, da noi inserito.

Sentenza 2: il bluffSiccome fin qui i nostri amministratori si sonodimostrati “complici, incompetenti o ladri”, perdirla con un noto personaggio politico della lorostessa sponda, siamo arrivati alla sentenza diquest’anno (che ha dato torto alla Regione). Alpt 5.1 dice la suprema Corte: “Con la leggeregionale n. 35 del 2015 la Regione Toscana ha

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In medio virtus da pag. dettato un’organica disciplina dell’attivitàestrattiva nell’ottica di salvaguardare, comerisulta dallo stesso preambolo della legge, le«particolarità storiche, giuridiche ed economi-che che caratterizzano i beni compresi nel suoterritorio», tra i quali rientrano anche i cosid-detti beni estimati, di cui all’editto delladuchessa Maria Teresa Cybo Malaspina del 1°febbraio 1751.” Quindi non è vero che laRegione ha inteso ‘abolire’ con questa legge icosiddetti ‘beni estimati’, anzi ha fatto il con-trario, li ha salvaguardati!

Sentenza 2: cronistoriaAncora la Corte: “In base allo statuto (lo statu-to albericiano del 1574, ndr) tutti gli agri marmi-feri erano di proprietà delle antiche vicinanze, dachiunque fossero detenuti e utilizzati, e i detento-ri erano perciò tenuti al pagamento alle vicinanzedell’annuale livello. L’editto di Maria Teresa silimitava a cancellare l’obbligo del livello per lecave per le quali esso non fosse stato pagato dapiù di venti anni. Le cave così identificate venne-ro definite «beni estimati». Segue poi una cronistoria delle vicende che termi-na con le seguenti affermazioni della Corte: “Levicende successive all’editto del 1751, dunque,sono segnate da una sequenza di plurisecolariinefficienze dell’amministrazione, che hannoimpedito le verifiche e gli accertamenti necessaria porre ordine alla materia.”. Inefficienze del-l’amministrazione (comunale).

Sentenza 2: bocciatureSempre la Corte (non l’autore del presente artico-lo) afferma: “È un fatto che il Comune di Carraranon ha mai incluso i beni estimati tra quelli appar-tenenti al proprio patrimonio indisponibile; e che,quando, nel 1994, ha adottato il suo primo rego-lamento che, ai sensi della legge mineraria del

1927, poneva fine alla vigente legislazione esten-se, quei beni non sono stati trattati.”. Bocciaturadelle varie amministrazioni.

Sentenza 2: conclusioneLa Corte ancora: “Di conseguenza, la riconduzio-ne dei beni estimati ai beni del patrimonio indi-sponibile del Comune operata dall’impugnato art.32, comma 2, si configura alla stregua di un’inter-pretazione autentica dell’editto di Maria Teresa,effettuata con legge della Regione, in palese con-trasto con tutta la prassi precedente. Ciò, in base alla giurisprudenza di questa Corte,esula, nella materia, dalle competenze dellaRegione.”

Deduzioni (ovvie) Tirando le somme, cosa dice la Corte? Se accusa

l’amministrazione di “una sequenza di pluri-secolari inefficienze” e boccia la riconduzio-ne dei ‘beni estimati’ ai beni del patrimonioindisponibile del Comune “effettuata conlegge della Regione, in palese contrasto contutta la prassi precedente” è di tutta evidenzache intende dire che questa “riconduzione dei‘beni estimati’ ai beni del patrimonio indispo-nibile del Comune” doveva essere fatta nien-tepopodimenoche dal? Dal Comune diCarrara col Regolamento degli agri marmife-ri, come stabilito fin dal 1927 (legge minera-ria).

FinaleApparentemente Incompetenti, sicuramenteComplici, nei fatti ..… in relazione agli scon-ti di cui alla colonna 6.

Marmo e cave

Che fare?Dopo la sentenza pilatesca della Corte costituzionale

Giuseppe Scattina

Il pronunciamento della CorteCostituzionale sulla questione dei beniestimati ci conferma che i poteri forti sono

sempre all’opera per non sottostare alle regoleed alle leggi della collettività e per sfruttarne lerisorse a proprio vantaggio. In attesa della solu-zione della questione beni estimati, è doverosonon rimandare più tutte le decisioni possibili,necessarie e giuste sulle cave che il Comunepuò prendere a tutela del bene della collettività.

Vergognosa inerziaSi è perso troppo tempo e perfino la CorteCostituzionale denuncia l’inerzia sistematicadella amministrazione comunale di fronte allepolitiche privatizzatorie, sempre in attesa che

fosse qualcun altro a tirar fuori una soluzioneper non inimicarsi le baronie del marmo.

Prendiamo atto che la questione beni estimatinon è risolta e che quindi il Comune deve, perora, rinunciare ad esigere i canoni per una partedel patrimonio delle cave.

Decidere senza sudditanzeSe non possiamo legiferare sui beni estimatilegiferiamo però con decisione e senza suddi-tanze, servilismi e timori reverenziali su tuttociò che ci compete, senza attendere più laRegione che ci ha fatto perdere anni per fareuna legge pessima che ha permesso al Governonazionale (dello stesso colore politico di quelloregionale) di impugnarla immediatamente,cosa che fa pensare anche a un gioco delleparti, contro la collettività.

Un regolamento che difenda la collettivitàLe cave che sono su superficie di proprietà delComune sono agri marmiferi; quelle ritenuteprivate in base ad un editto della Duchessaestense del 1751 sono beni estimati e poi vi

sono cave che sono su superfici in parte agromarmifero e in parte bene estimato.

Ebbene, il Regolamento degli agri marmiferispetta al Comune. Lo si faccia a difesa degli interessi della collet-tività e non alla ricerca di compromessi alribasso con la controparte che, quando ci sonodi mezzo i suoi interessi, non cerca nessuncompromesso, ma si rivolge direttamente allamagistratura, fa ricorsi e ricatta, nel senso chepromette investimenti e lavoro (pochissimi) incambio della concessione di altri privilegi. E’di pochi giorni fa la richiesta oscena di conces-sioni della durata di 50 anni, contro ogni logicae interesse della collettività e leggi europee, incambio di appena 250 posti di lavoro che, si sa,saranno nei fatti molti di meno e nel giro dipochi anni verranno eliminati col turn over e ipensionamenti.

Concessioni e BolkensteinAttualmente la maggior parte delle cave di pro-prietà del Comune, cioè gli agri marmiferi,vengono lavorate senza concessione comunale.

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Che fare? da pag. 35Questa è una violazione della legge.Il Comune deve dare le concessioni, ma solonel rispetto delle leggi nazionali ed europee(Bolkenstein). Le cave vadano all’asta e imigliori offerenti se le aggiudicherannoper il numero di anni che sarà stabilito.Non ci devono essere più paure e sogge-zioni nei confronti degli industriali. Se gliattuali “cavatori” dovessero perdere leconcessioni, vorrà dire che le acquisteran-no altri, probabilmente meno tradizionali-sti e chiusi e più disponibili al rinnova-mento del settore, di quanto non si sianodimostrati gli attuali imprenditori assen-teisti.

No alle valutazioni medieVa anche immediatamente affrontata l’eli-minazione del calcolo del valore delmarmo asportato in base a presunte valu-tazioni medie di ciascuna cava. Il calcolodi quanto ogni escavatore deve alla collet-tività in cambio dello sfruttamento dellenostre risorse, deve essere fatto sul valorereale di mercato di quanto prodotto, cosache certamente agli industriali non piace,a dimostrazione che con il ricorso allevalutazioni medie ci guadagnano di più, ilnero è più facile e l’evasione fiscale pure.

Controllare la produzionePer raggiungere questo obiettivo il Comunedeve porsi seriamente il problema del controllodella produzione in modo capillare, così chenon sfuggano né i blocchi, nè gli informi, né i“sassi” e le terre bianche e nere. I sistemi per-ché ci sia un controllo capillare possono essereelaborati e le proposte possono essere anchediverse. Il problema è aperto, basta che le solu-zioni funzionino.

Controlli in cava.La Montecatini lo facevaNon si capisce perchè ad esempio laMontecatini Marmi, molti anni fa, era in gradodi controllare la produzione delle sue cave,blocco per blocco, definendone qualità, tipolo-gia e quantità sul posto, e questo non possafarlo ora anche l’amministrazione pubblica. LaMontecatini, dopo la costituzione delle coope-rative di Canalgrande, Lorano e Gioia, avevadegli agenti che, quotidianamente, visitavanole cave e controllavano lo stato dei lavori e laproduzione blocco per blocco, perchè le coope-rative venivano pagate in base alla qualità,tipologia e quantità del prodotto effettivo e nonsulla base di una valutazione media. Si puòpensare alla costituzione di un corpo di tecnicidel Comune che esercitino questo tipo di accer-tamenti per conto della collettività? Non cisono controindicazioni e il Comune ha il pote-re di stabilire un Regolamento per le cave checontempli questi controlli alla produzione. Nonnecessitano leggi o regolamenti regionali onazionali in base alle leggi vigenti.

Creare un corpo di tecnici comunaliNon credo sia possibile sperare in una conver-

sione ecologica degli industriali del marmo,visto che per mantenere l’ambiente sicurodovrebbero spendere. E’ necessario pretendereche rispettino le regole della salvaguardia edella sicurezza dell’ambiente e del lavoro, in

relazione al territorio, e non solo alle cave, maper ottenere questo sono necessari controllicapillari e sistematici. Questo si può otteneresolo creando un corpo di agenti e tecnici comu-nali che siano presenti alle cave e denuncinoogni abuso e trasgressione a danno della collet-tività.

Controlli alle peseSi potrebbe altrimenti esercitare questi control-li alle pese, senza accettare come veritiere leautocertificazioni dei produttori, visto che nonè facile credere all’autocertificazione di chi hatutto l’interesse a dichiarare il meno possibileper pagare meno tributi. Del resto casi di abusiaccertati ci sono. Si può cioè prevedere che deitecnici comunali accertino il reale carico chearriva alle pese (qualità - tipologia - peso). Lacosa non è utopistica. Chi compra del marmo inblocchi ha dei metodi oggettivi per accertarsidella reale qualità di cosa compra; se questo èpossibile ai privati, perchè non dovrebbe esse-re possibile al all’amministrazione pubblica?

Calcolare la produzione di materiali di scarto dispersi nell’ambienteIn questo modo si potrebbe anche calcolarequante terre vengono effettivamente prodotte equante invece vengono trasportate a valle. Nonè un problema marginale, ma centrale dellaproduzione alle cave. Anche la pur modesta e accomodante, oltre chesostanzialmente inattuabile, relazione del Prof.Seminara denuncia che le alluvioni hanno leloro principali cause nella produzione alle cavedi detriti che non vengono correttamente tratta-ti ed eliminati, in particolare terre e marmetto-la.

Deposito comunale Tra i sistemi di controllo della produzione sipuò anche ipotizzare la creazione di unDeposito Comune (o anche più), a gestionecomunale, ad imitazione di ciò che fanno i

grossi produttori di materiali simili oanche di altro genere, ad esempio quellidel Botticino. Si potrebbe organizzare un’area (o piùaree, se necessario) di stoccaggio comuneper i blocchi, che sono quelli su cui più siappunta il sospetto di sottovalutazione edi vendita in nero o sottocosto, con paga-menti di consistenti quote all’estero.Deposito Comune, a gestione comunale,dove i blocchi dovrebbero essere classifi-cati per qualità e prezzo a disposizione dichiunque voglia acquistarli.

Vantaggi per i grandi produttori:avere tutta la propria merce in un magaz-zino gestito gratuitamente dal Comune diCarrara e vendere al piano anziché incava, con un maggior numero di clientiche si avvicinano al prodotto.

Vantaggiper i produttori più piccoli:

la possibilità di vedere la loro produzioneesaminata dalla clientela dei maggioriproduttori. Questo permetterebbe loro unmiglior programma di produzione a van-

taggio di tutti. Da sottolineare la possibilità diottenere finanziamenti sul depositato da partedi istituti finanziari con cui si potrebbero stipu-lare accordi sulla base dei regolamenti giàampiamente sperimentati da consorzi o magaz-zini generali.

Vantaggi per il Comune: maggiori introiti essendo tutta la merce valuta-ta al prezzo reale, non lasciando spazio a sotto-valutazioni. I maggiori introiti coprirebbero lemaggiori spese. Con questo si eliminerebberoanche le interminabili contestazioni legali cheaffliggono i rapporti tra produttori e Comune. Ci saranno controlli certi sulla produzione e lagaranzia per morosità sia per la concessioneche per il pedaggio (tra un anno dovrà esserepagato il pedaggio per la Strada dei Marmi).

Vantaggi per la collettività: lo stoccaggio permetterebbe il libero accesso aicommercianti e imprese locali che potranno piùfacilmente soddisfare le richieste che proven-gono per lavorati, generando un aumento del-l’occupazione e quindi di ricchezza locale. E’prevedibile che ci sarebbero anche maggioriinvestimenti nella trasformazione locale delprodotto data la certezza della reperibilità delprodotto. Con questo sistema si potrebbe final-mente affrontare anche la questione della deter-minazione del “Marchio”, che attualmente nonesiste, cosa che dà modo a terzi di appropriarsidell’origine del prodotto con dolo, e accedere aprogetti che prevedono il Bianco di Carrara.

Osservatorio dei prezziPer ultimo, ma non ovviamente per importanza

segue a pag. 38

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Che fare? da pag. 37occorre, sempre in funzione della necessità delcontrollo da parte dell’ente locale, istituire unOsservatorio dei Prezzi del Marmo, cosa deltutto legittima ed immediatamente possibile,dato che le competenze ci sono già tra gli stes-si dipendenti comunali. Sono anni e anni che se ne parla, ma l’inerzia dell’am-ministrazione conferma la sua sudditanza storica neiconfronti degli industriali del marmo e le sue difficol-tà nel voler controllare lo sfruttamento delle risorse diquesto territorio. Cosa si oppone alla sua costituzione?Il no degli industriali?

Contro i difensori della prepotenza

dei produttori anche la CorteCostituzionaleImmagino già le obiezioni da parte di chi difen-de l’establishment e gli interessi e la prepoten-za dei produttori di marmo, criticando e irri-dendo ogni proposta di intervento dell’ammini-strazione comunale per riappropriarsi del con-trollo delle risorse della collettività. Si dirà e sidice già che queste proposte, tutte modificabili,sostituibili e perfettibili, prospetterebbero stra-de impercorribili, data l’attuale libertà diimpresa e di commercio; ma se non si ripensa-no e si impostano diversamente i problemi, irri-solti da due secoli e mezzo, non si risolverannomai.

Si vadano a rileggere le accuse della CorteCostituzionale, nella sentenza di un mese fa,per l’inerzia connivente dei nostri amministra-tori locali che da due secoli sono proni allostrapotere abusivo dei baronetti del marmo.

La sovranità è del popolo:Siamo noi collettività i proprietari delle cave;la proprietà delle cave non è degli escavatori,ma dei cittadini di Carrara. Delle nostre pro-prietà collettive siamo noi a deciderne e nonaltri. Le condizioni per poter partecipare alleaste e per ottenere le concessioni delle cavesiamo noi proprietari a deciderle non quelli cheottengono le concessioni.

Concessioni

Agri marmiferiLegambiente Carrara

Al sindaco di CarraraAi consiglieri comunali

Da un paio di mesi le com-missioni consiliari sonoimpegnate a ritmo serrato

nell’esame e nella revisione dellabozza del nuovo regolamentocomunale relativo alla concessionedegli agri marmiferi predispostadagli uffici comunali. Con la pre-sente, Legambiente intende contri-buire in modo propositivo alladiscussione.Mentre si rinvia all’appendice perle modifiche puntuali proposte, neesponiamo qui i principi ispiratori,relativamente, oltreché alla parte-cipazione, a due tematiche fonda-mentali: ambientale ed economica.La prima è finalizzata alla tutelaambientale e a ridurre il rischioalluvionale grazie al riassetto idro-geologico del bacino montano; laseconda è volta a garantire la trac-ciabilità dei blocchi e il pagamen-to di un canone commisurato alreale valore di mercato dei quanti-tativi effettivamente estratti di cia-scuna qualità e tipologia di marmo(anziché un canone annuo fisso).

Tutela ambientale: fiumi e sorgentiSebbene, fin dall’art. 1, la bozza diregolamento comunale dichiari lafinalità di «salvaguardare l’assettoambientale, paesaggistico ed idro-geologico in un contesto di soste-nibilità dell’attività estrattiva», nelseguito non specifica le modalitàconcrete da attuare per il conse-guimento di tali finalità e si limi-ta a riproporre genericamente–come del resto già oggi avviene–l’obbligo di rispettare le prescri-zioni che saranno precisate nel-l’autorizzazione.L’inadeguatezza di questoapproccio è evidente a tutti:fiumi torbidi ad ogni pioggiaintensa, sorgenti inquinate da mar-mettola, versanti devastati ecostellati da discariche di terre,ravaneti soggetti a colate detritiche

che invadono gli alvei sottostanti,reticolo idrografico sepolto dadetriti, estremo degrado paesaggi-stico. Merita evidenziare come questadesolante realtà non sia (solo) ilfrutto di violazioni delle prescri-zioni da parte delle cave ma, ancorprima, dell’assoluta inadeguatez-za delle prescrizioni emanate dalComune: a nostro parere, in aper-ta violazione della normativaambientale nazionale, le autoriz-zazioni finora rilasciate sonoillegittime, come puntualmenteargomentiamo nel nostro docu-mento Dossier marmettola: l’in-quinamento autorizzato.

In ogni caso, considerati i risultatifallimentari di questo approccio,riteniamo indispensabile che ilregolamento segni un deciso puntodi svolta, stabilendo espressa-mente, almeno nelle linee essen-ziali, le principali misure di tute-la ambientale che le cave devonorispettare.A tal fine Legambiente propone diinserire nel testo del regolamento

l’ adozione delle migliori prati-che per rendere ambientalmentesostenibile l’attività estrattiva. Tra

queste:sistematico allontanamento deidetriti, con divieto di scarico neiravaneti (compreso lo stoccaggiotemporaneo);mantenimento di una rigorosapulizia di tutte le superfici, anchecon macchine pulitrici;divieto di utilizzo di materialifini nella realizzazione di vied’arroccamento, rampe, piazzalio riempimenti di qualsiasi genere;accorgimenti per evitare l’esposi-zione di terre e marmettola agliagenti meteorici; stoccaggio deimateriali fini esclusivamente incontenitori a tenuta stagna;Affinché tali misure non siano rin-viate di anni (al momento del rila-scio della nuova concessione) pro-poniamo che nell’ambito delledisposizioni transitorie entro il 31dicembre 2017 il Comuneaggiorni le autorizzazioni esi-stenti prescrivendo l’adozionedelle sopra citate migliori prati-che, inserendo le inadempienzetra le cause di revoca dell’auto-rizzazione.

Riassetto idrogeologico deibacini montani per ridurre ilrischio alluvionale

Da molti decenni i bacini montanisono gestiti per rispondere alle piùdisparate esigenze del momento,senza una lucida e coerente strate-gia d’insieme. Le amministrazio-ni comunali hanno così inconsa-pevolmente operato come una“fabbrica del rischio alluviona-le”, accentuandolo progressiva-mente grazie ad interventi attivi(es. sottrazione di spazio ai torren-ti per realizzare la viabilità difondo valle, cementificazionedegli alvei) o a comportamentiomissivi (es. permettendo allecave di seppellire il reticolo idro-grafico con i ravaneti).Le recenti alluvioni impongonouna svolta radicale che pongarimedio agli errori del passato e,anzi, realizzi un riassetto struttura-le dei bacini montani in grado diridurre il rischio alluvionale. A tal fine è necessaria la totalerimozione dei ravaneti e la lororicostruzione esclusivamentecon scaglie pulite (prive di mar-mettola e di terre, che ne innesca-no la franosità); i ravaneti cosìripuliti, comportandosi come spu-gne che assorbono grandi quantitàdi acqua, rilasciata lentamente inseguito, rallenteranno il deflussodelle acque e ridurranno i picchi dipiena.È inoltre necessario il ripristinodel reticolo idrograficomontano, a partire dall’elimina-zione delle strade di fondo valleche ne occupano gli alvei, da rico-struire ad una quota più elevata.La necessità di tali interventi,autorevolmente confermata dalrecente studio svolto dall’universi-tà di Genova (prof. Seminara) suincarico della Regione, è ben argo-mentata nei documenti diLegambiente dell’ultimo decen-nio, tra i quali: Contributo alla for-mazione del Piano Regionale Cave(10/10/16); Gestire in sinergiacave, ambiente e rischio alluviona-le (2° contributo alla VAS dei pianiattuativi estrattivi)(24/9/16); Pianiattuativi dei bacini estrattivi: unaproposta di buonsenso (quindirivoluzionaria) (10/8/16);Marmettola: dalle cave alle sor-genti (Video) (24/7/16); Caveapuane: stop al disastro ambienta-le e all’illegalità (14/6/16);Carrione: rivedere i calcoli, inter-venire sui ravaneti, ripristinare gli

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alvei soffocati da strade(31/3/16);Fermare la fabbrica del rischioalluvionale. Salvare i ponti inter-venendo su ravaneti e strade inalveo (16/3/16); Come fermare lafabbrica del rischio alluvionale(7/11/15); Come opera la fabbricadel rischio alluvionale (la bonificadei ravaneti)24/10/15); Carrione:le proposte di Legambiente per ilpiano di gestione del rischio allu-vioni (7/7/15); Carrara: le alluvio-ni procurate. Come difenderci(VIDEO) (15/12/14); Basta allu-vioni: meno opere, miglior politicaurbanistica (15/11/14); Carrara:dopo l’alluvione serve un’ideasana di sviluppo(20/11/12); Inattesa della prossima alluvione:porre ordine alle cave(15/3/2007);Alluvione Carrara: analisi e propo-ste agli enti(11/10/2003).

In sintesi, il rischio alluvionale èaumentato perché le diverseamministrazioni comunali hannoagito nel tempo con politiche set-toriali (viabilità, ambiente, attivitàestrattive, ecc.), senza tener contodelle loro ripercussioni sul deflus-so delle acque. Per interrompere questo circolovizioso è necessaria una strate-gia multiobiettivo, che consideril’insieme delle ripercussioni diogni politica. In quest’ottica, ladisciplina delle attività estrattivedeve integrare come obiettivo ilriassetto strutturale dei bacinimarmiferi che, oltre a ridurre ladevastazione ambientale, per-metta la riduzione del rischioidrogeologico.

Per dare concreta attuazione a que-sta impostazione strategica,Legambiente ha già presentatocontributi al percorso di formazio-ne del Piano regionale cave e deiPiani attuativi di bacino estrattivoe, coerentemente, propone oggi diinserire nel regolamento degli agrimarmiferi le seguenti prescrizio-ni:adozione delle migliori praticheper conseguire il riassetto struttu-rale dei bacini montani (tra le qualil’integrale rimozione dei ravane-ti esistenti e la loro ricostruzionecon sole scaglie pulite);nei versanti è consentita la collo-cazione delle sole scaglie pulite,purché espressamente autorizzatae previa rimozione dei materialifini eventualmente presenti;sistematico allontanamento deidetriti, salvo il caso che ne sia pre-scritto l’utilizzo per il riassettostrutturale dei bacini montani,volto alla riduzione del rischioidrogeologico (per tali detriti,ovviamente, non è dovuto il paga-mento del contributo d’estrazio-ne);in tali aree è consentita anche larealizzazione della viabilità dicava (escludendo l’impiego dimateriali fini, dilavabili dalleacque), con i limiti e con le moda-lità previste dai piani di coltivazio-ne autorizzati;la pianificazione della viabilitàdi cava è integrata negli inter-venti di riassetto strutturale

finalizzato alla riduzione delrischio idrogeologico. Gli inter-venti di sicurezza e di manutenzio-ne, sia ordinaria che straordinaria,sono a carico dei concessionari; le prescrizioni di cui ai punti pre-cedenti devono essere inseriteanche nelle autorizzazioni esi-stenti e nelle concessioni rilascia-te in assenza di procedura di garaad evidenza pubblica; le relativeinadempienze vanno inserite tra lecause di decadenza dell’autorizza-zione e della concessione.

No al canone fisso: si paghiper il valore del marmo effet-tivamente estratto Dopo anni di polemiche sulla per-dita di entrate comunali conse-guente alla sottostima del valoredel marmo estratto, la nuova

bozza di regolamento insiste nelprevedere un canone annuo fissoper tutta la durata della concessio-ne (salvo piccoli aggiornamenti),basato sì sulla stima del valoremedio del marmo estraibile (effet-tuata al momento della gara adevidenza pubblica per il rilasciodella concessione), ma indipen-dente dalle quantità, qualità e tipo-logie che saranno poi effettiva-mente estratte.Legambiente, peraltro condividen-do alcune proposte avanzate nellecommissioni comunali, ritiene cheil canone annuo posto a base digara debba servire solo per con-frontare le diverse offerte dei par-tecipanti, ma che nel corso dell’at-tività estrattiva debba essere cor-risposto un canone unitario (cioèa tonnellata) basato sul realevalore di mercato del marmoeffettivamente estratto, stabilitodall’Osservatorio dei prezzi sullabase della qualità del marmo (sta-tuario, calacata, bianco C, bianco,D, ecc.) e della tipologia dei mate-

riali (blocchi e loro categoriadimensionale, semisquadrati,informi).Così, ad esempio, se in fase di garaè stato stimato che da una datacava i blocchi di prima sceltasaranno il 6% dei blocchi estratti,per questa tipologia il concessio-nario pagherà il doppio se la loropercentuale effettiva risulterà il12% e la metà se risulterà il 3%:una banale misura di equità.Si propone dunque che il canoneeffettivo da corrispondere nelcorso dell’attività estrattiva siacalcolato in base al valore unitariodi ciascuna qualità e tipologia dimateriale offerto dal vincitoredella gara, moltiplicato per lerispettive quantità effettivamenteestratte (e proporzionalmenteritoccato, in aumento o in diminu-

zione, ad ogni aggiornamento deivalori di mercato prodottodall’Osservatorio del marmo). Per assicurare la corretta applica-zione del canone e la tracciabilitàdei marmi estratti, ogni bloccoestratto dovrà essere contrasse-gnato in cava (in posizione benvisibile in modo da essere ripresadal sistema video-fotografico infunzione presso le pese pubblichecomunali), da una sigla di identi-ficazione contenente il numerodella cava di provenienza, l’annodi riferimento, la qualità, la tipolo-gia, un numero progressivo nonripetibile e il codice dell’aziendacui il materiale è destinato.Il Comune svolgerà controlli siasulla corretta classificazione mer-ceologica dichiarata dei materialiestratti sia sul rispetto della con-venzione per la lavorazione nellafiliera corta. Agli stessi fini puòinoltre richiedere l’installazionesui mezzi di trasporto di dispositi-vi di georeferenziazione e registra-zione del percorso e la consegna

dei relativi dati.

Trasparenza,partecipazione (e altro)Considerato che il Comune disci-plina le attività estrattive per contodei cittadini, Legambiente propo-ne l’aggiunta di un articolo inte-ramente dedicato alla trasparen-za e alla partecipazione, conside-rate un prezioso contributo e, alcontempo, uno stimolo per gli uffi-ci comunali alla corretta e tempe-stiva applicazione delle disposi-zioni del regolamento.L’articolo prevede la pubblicazio-ne sul sito istituzionale delComune di dati e documenti rela-tivi al comparto marmo. Tra que-sti:piani, programmi, documenti rela-tivi alle gare ad evidenza pubblica,piani di coltivazione e progetti diinterventi attinenti alle attivitàestrattive o che, comunque, influi-scono sull’assetto strutturale deibacini montani;dati di dettaglio e d’insieme suimateriali estratti da ciascunacava: quantità, qualità, tipologiamerceologica, canone unitario,destinazione (filiera corta o espor-tazione), nonché sulle relativeaziende estrattive (ragione sociale,occupazione, eventuale situazionedebitoria nei confronti delComune);schede di ciascun livello territoria-le ottimale contenenti i dati gene-rali, il piano attuativo e stato direalizzazione, le eventuali proble-matiche;rapporti periodici sulle attivitàispettive in cava, sui controllieffettuati per accertare la correttadesignazione delle qualità e tipolo-gie dei materiali estratti, suglieventuali procedimenti (ordinan-ze, ingiunzioni, sanzioni, ecc.).Prevede inoltre che, su richiestadegli interessati di conoscere everificare la situazione reale neisiti estrattivi e nei livelli territoria-li ottimali, che il Comune favori-sca la partecipazione dei cittadi-ni a sopralluoghi nelle cave,accompagnati da personale del-l’ufficio marmo.

Tra le altre proposte di modificadel regolamento è meritevole disegnalazione la durata contenutadelle concessioni (10 anni, anzi-ché gli attuali 29 anni). Quanto alsuo possibile incremento fino adun massimo di 25 anni previstodalla L.R. 35/15, Legambientepropone di collegarlo alla per-centuale di blocchi lavorati nellafiliera locale. Propone pertanto ilprolungamento delle concessionifino ad un massimo di 13, 16, 19,22, 25 anni qualora l’impegno allalavorazione nel sistema produttivolocale riguardi rispettivamentealmeno il 60%, 70%, 80%, 90%,100% dei blocchi estratti.Ci auguriamo che su queste propo-ste di buonsenso e di buona ammi-nistrazione possa ottenersi il piùlargo consenso di tutte le forzepolitiche.

Carrara, 28 novembre 2016

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SottovoceClaudio Cargiolli

Alcuni giorni fa, dall’amico Claudio Gianninimi è stato chiesto di scrivere una nota autobio-grafica utile a comprendere le motivazioni che

mi hanno indotto ad intraprendere 1’attività di pittore.Sarò breve, consapevole del rischio di annoiare il letto-re disattendendone le legittime aspettative.Sono nato a Ponzanello, piccolo borgo di mezza mon-tagna e per questo profondamente grato a mia madre emio padre. Mi ritengo molto fortunato, anche se parti-colarmente ansioso, incostante e disordinato.Ho ascoltato fin da bambino il silenzio incantato delbosco con i suoi leggeri rumori, il canto primaveriledegli uccelli trasformato in suadenti, intriganti armoniee le voci a me più care registrate su di un nastro inde-lebile conservato gelosamente nel profondo del cuore.Ho annusato l’umido muschio invernale appena raccol-to per allestire il presepe, conservo nelle narici il pro-fumo dell’erba appena recisa stesa al sole per diventa-re fieno e l’odore pungente di stalla dove ero solitonascondermi giocando con gli altri bambini.Ho toccato con mano incerta la soffice lana di piccoliagnelli, accarezzato le piume gialle di minuscoli pulci-ni appena nati messi ad asciugare vicino al fuoco delcaminetto, sfiorato gli orditi e i morbidi tessuti stesi sultavolo da sarta di mia sorella Valeria.Ho succhiato il nettare del glicine in fiore assaporando-ne la fragranza, gustato le aspre ciliegie amarene, lepiccole dolcissime fragole di bosco e sorseggiato ilcandido latte schiumoso appena munto.Mi sono immerso in meravigliosi colorati tramonti, hocavalcato i colori dell’arcobaleno e danzato nel turbi-nio della polvere accesa da un raggio di sole entratonella stanza, così da trasformarla in infiniti corpuscolirifulgenti.Mi auguro con tutto il cuore, che questi frammenti divita, importanti per la mia formazione di uomo, possa-no essere anche utili per cogliere l’essenza del miolavoro di pittore.

Claudio Cargiolli, Dittico cm. 40 x 40 olio su tela/tavola: “Nel silenzio di Piero” 2016.Collezione privata.Claudio Cargiolli, Stanza su Caravaggio, cm 65 x 50 Olio su tavola. Dalla mostra: Stanzeed altri luoghi d’autore 2016.