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Care lettrici, cari lettori, anche per potersi finalmente dedicare alle letture, magari in spiaggia, come nelle foto della rubrica Bibliopolis, “non c'è che una stagione: l'estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca, la primavera la invidia” (Ennio Flaiano). L'ultimo numero di quest'anno scolastico vuole offrirvi perciò un carico di energia e di freschezza per affrontare i mesi più caldi: non solo romanzi, saggi, poesie e film, con cui rendere più animate le lunghe giornate estive, ma anche qualche capolavoro dell'arte da contemplare e qualche prelibatezza da gustare. In The foreign file, ci siamo poi spostati all'estero, per conoscere quattro diversi modi di condividere il piacere della lettura negli altri Paesi europei. A pagina 6, nella rubrica Il topo di biblioteca, un regalo da parte del prof. Francesco Ricci, docente del Liceo Piccolomini e fine studioso di letteratura, che è stato ospite del nostro Istituto lo scorso 24 febbraio, intrattenendo le classi IV e V sul tema della città in Tasso, Baudelaire e Pasolini. Il nostro grazie di cuore va, come a lui, a tutti gli studenti della nostra scuola, al Preside e ai colleghi che hanno collaborato con i loro interventi a questi cinque numeri. Buone vacanze da tutti noi! Filomena Giannotti Un quaderno per il futuro È stata la memoria a confermare la giustezza delle scelte di Martino Bardotti, internato militare italiano, quando, tra le sofferenze della prigionia di guerra, in mezzo alle macerie del continente e della convivenza civile, lui e altri fecero una scelta e scommisero sulla vittoria della democrazia? L’ho conosciuto oltre mezzo secolo dopo quella scelta, la scelta di non riprendere i gradi sotto la Repubblica di Salò e di rimanere a patire la fame, di rimanere dietro un filo spinato a discutere (pazzesco!) su come ricostruire le nazioni, la loro vita democratica, la loro scuola, mentre tutto bruciava e il male sembrava ancora vincere. Credo che una sensazione forte di essere nel giusto abbia animato quei prigionieri anche mentre la tragedia si consumava secolo dopo quella scelta, la scelta di non riprendere i gradi sotto la Repubblica di Salò e di rimanere a patire la fame, di rimanere dietro un filo spinato a discutere (pazzesco!) su come ricostruire le nazioni, la loro vita democratica, la loro scuola, mentre tutto bruciava e il male sembrava ancora vincere. Credo che una sensazione forte di essere nel giusto abbia animato quei prigionieri anche mentre la tragedia si consumava e credo che la memoria conservata di quei fatti nella vita futura li abbia poi solo confermati. Pensate a come si possa progettare il futuro mentre l’Europa va in fiamme e la brutalità nazifascista compie le più vili tra le sue bassezze, senza sapere come andrà a finire. Eppure il suo diario di prigionia, scritto finché durò un quadernetto che aveva con sé al momento della cattura, racconta di organizzazione di biblioteche improvvisate, lezioni di ogni argomento che le casuali competenze professionali ed intellettuali dei prigionieri potevano consentire, dibattiti sul futuro della nazione, su come organizzarne la vita pubblica. Martino era allora un giovane maestro che era cresciuto nella dittatura ed aveva preso un diploma magistrale. Si era poi trovato le stellette di sottotenente sulle spalle e l’8 settembre del '43 era a Grasse, in Francia. Lì divenne uno degli internati militari, giovane ufficiale ventenne catturato all’improvviso dagli ex alleati tedeschi e deportato in vari campi di prigionia sperduti nell’Europa ancora in mano ai nazisti. Lui e gli altri, disarmati dal nuovo nemico, conservano nei vagoni che li conducono in prigionia solo un tascapane, dove magari si trova qualche libro e anche un quaderno. Dentro a quei fili spinati, in quelle baracche dove si mangia quando va bene una brodaglia di tanta acqua e una rapa rancida, le facoltà dell’intelletto si presentano senza mediazioni, allo stato puro, come un nervo esposto perché scoperto dalle sofferenze. Lì si preparano quei momenti tragici in cui un popolo deve far tacere il diritto positivo, quello scritto, quello mediato dalla dottrina, e far venir fuori il diritto naturale che rifonda la convivenza civile e scrive le Costituzioni.

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Care lettrici, cari lettori,

anche per potersi finalmente dedicare alle letture, magari in spiaggia, come nelle foto della rubrica Bibliopolis, “non c'è che una stagione: l'estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca, la primavera la invidia” (Ennio Flaiano). L'ultimo numero di quest'anno scolastico vuole offrirvi perciò un carico di energia e di freschezza per affrontare i mesi più caldi: non solo romanzi, saggi, poesie e film, con cui rendere più animate le lunghe giornate estive, ma anche qualche capolavoro dell'arte da contemplare e qualche prelibatezza da gustare. In The foreign file, ci siamo poi spostati all'estero, per conoscere quattro diversi modi di condividere il piacere della lettura negli altri Paesi europei. A pagina 6, nella rubrica Il topo di biblioteca, un regalo da parte del prof. Francesco Ricci, docente del Liceo Piccolomini e fine studioso di letteratura, che è stato ospite del nostro Istituto lo scorso 24 febbraio, intrattenendo le classi IV e V sul tema della città in Tasso, Baudelaire e Pasolini. Il nostro grazie di cuore va, come a lui, a tutti gli studenti della nostra scuola, al Preside e ai colleghi che hanno collaborato con i loro interventi a questi cinque numeri. Buone vacanze da tutti noi!

Filomena Giannotti

Un quaderno per il futuro È stata la memoria a confermare la giustezza delle scelte di Martino Bardotti, internato militare italiano, quando, tra le sofferenze della prigionia di guerra, in mezzo alle macerie del continente e della convivenza civile, lui e altri fecero una scelta e scommisero sulla vittoria della democrazia? L’ho conosciuto oltre mezzo

secolo dopo quella scelta, la scelta di non riprendere i gradi sotto la Repubblica di Salò e di rimanere a patire la fame, di rimanere dietro un filo spinato a discutere (pazzesco!) su come ricostruire le nazioni, la loro vita democratica, la loro scuola, mentre tutto bruciava e il male sembrava ancora vincere. Credo che una sensazione forte di essere nel giusto abbia animato quei prigionieri anche mentre la tragedia si consumava

secolo dopo quella scelta, la scelta di non riprendere i gradi sotto la Repubblica di Salò e di rimanere a patire la fame, di rimanere dietro un filo spinato a discutere (pazzesco!) su come ricostruire le nazioni, la loro vita democratica, la loro scuola, mentre tutto bruciava e il male sembrava ancora vincere. Credo che una sensazione forte di essere nel giusto abbia animato quei prigionieri anche mentre la tragedia si consumava e credo che la memoria conservata di quei fatti nella vita futura li abbia poi solo confermati. Pensate a come si possa progettare il futuro mentre l’Europa va in fiamme e la brutalità nazifascista compie le più vili tra le sue bassezze, senza sapere come andrà a finire. Eppure il suo diario di prigionia, scritto finché durò un quadernetto che aveva con sé al momento della cattura, racconta di organizzazione di biblioteche improvvisate, lezioni di ogni argomento che le casuali competenze professionali ed intellettuali dei prigionieri potevano consentire, dibattiti sul futuro della nazione, su come organizzarne la vita pubblica. Martino era allora un giovane maestro che era cresciuto nella dittatura ed aveva preso un diploma magistrale. Si era poi trovato le stellette di sottotenente sulle spalle e l’8 settembre del '43 era a Grasse, in Francia. Lì divenne uno degli internati militari, giovane ufficiale ventenne catturato all’improvviso dagli ex alleati tedeschi e deportato in vari campi di prigionia sperduti nell’Europa ancora in mano ai nazisti. Lui e gli altri, disarmati dal nuovo nemico, conservano nei vagoni che li conducono in prigionia solo un tascapane, dove magari si trova qualche libro e anche un quaderno. Dentro a quei fili spinati, in quelle baracche dove si mangia quando va bene una brodaglia di tanta acqua e una rapa rancida, le facoltà dell’intelletto si presentano senza mediazioni, allo stato puro, come un nervo esposto perché scoperto dalle sofferenze. Lì si preparano quei momenti tragici in cui un popolo deve far tacere il diritto positivo, quello scritto, quello mediato dalla dottrina, e far venir fuori il diritto naturale che rifonda la convivenza civile e scrive le Costituzioni.

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Martino ci ha lasciato qualche anno fa, dopo che ci aveva offerto il privilegio di pubblicare i suoi ricordi, e quello di ascoltare il modo con cui sapeva parlare della nostra Costituzione. Non dimentichiamoci di difendere quella memoria e quella Costituzione.

Antonio Vannini

A proposito di libri

Si è conclusa per la I CAT la gara "Per qualche libro in più", organizzata dalla libreria Becarelli. I ragazzi della I CAT hanno dimostrato che la lettura può essere anche motivo di divertimento e di condivisione. Tre i romanzi letti: L'onda di Todd Strasser, Io robot di Isaac Asimov ed infine La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia.

Angela Ceccarelli

Proteggete le nostre verità Il ricordo di Franco Fortini resta vivo nella memoria dei giovani studenti che, negli ultimi anni ’70,

gremivano, con un entusiasmo quasi irruento, le aule universitarie per seguire le sue lezioni di Critica letteraria. Era l’età dei sogni, delle dispute dialettiche, dei conflitti cercati e

irrisolti, degli slanci generosi e anarchici. L’anima 'spigolosa' e combattiva di Fortini trova conferma, per intensità lirica, nella sua produzione poetica che la casa editrice Mondadori ha pubblicato, in occasione del ventesimo anniversario della sua morte, con il titolo Tutte le poesie, a cura di Luca Lenzini (novembre 2014). Come osserva il critico, “l’itinerario esistenziale e storico dell’io” è segnato in maniera profonda dalla guerra e dalla Resistenza, “una cesura che stabilisce il prima e il dopo, la linea fondante su cui l’opera fortiniana si svilupperà e a cui l’autore tornerà mezzo secolo dopo” (Lenzini). Inizia con Foglio di via (1946) degli anni fiorentini, quelli delle sofferenze di esule antifascista ebreo in Svizzera e di combattente partigiano in Val d’Ossola, attraversa Poesia e errore (1959), Una volta per sempre (1963), Questo muro (1962-1972), Paesaggio con serpente (1984), per giungere alla chiusa testamentaria dell’ultima raccolta Composita solvantur del 1994, approdo “consapevole e drammatico”. Dal momento soggettivo, dunque, a quello collettivo, alla partecipazione, con un accento forte posto sul dovere e la necessità dell’impegno. Un filo rosso lega le diverse sezioni poetiche negli anni delle lotte operaie e studentesche, della guerra del Vietnam, del riflusso e del crollo del comunismo: l’attacco polemico, perfino sprezzante, a chi nega il futuro e la memoria storica, la “tenacia di una resistenza che sostiene il bisogno di verità e che la poesia consente pur con le sue ambiguità” (Luperini). In Traducendo Brecht: “Scrivi mi dico, odia/ chi con dolcezza guida al niente/ gli uomini e le donne che con te s’accompagnano/ e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici/ scrivi il tuo nome [...] La poesia/ non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi”.

Nel suo ultimo testamento, E questo è il sonno, il vecchio poeta si rivolge ai giovani, “a due ragazzi mesti” che“scalciano una bottiglia”, immersi nel loro presente, rievocando l’inverno russo del 1941 (come l’ottobre del 1944 in Val d’Ossola), quando ognuno dovette, per necessità, resistere e rischiare: “Non possiamo più, - ci disse - ritirarci./ Abbiamo Mosca alle spalle”. Si chiamava/ Klockov./ [...] Proteggete le nostre verità”.

Alessandra Gentili

Il questionario di Proust Il “questionario di Proust”, molto in voga nell'Ottocento

tra le famiglie dell’alta borghesia parigina, deve il suo nome allo scrittore francese Marcel Proust, che lo compilò a fine Ottocento. Fu un’amica, Antoinette Faure, figlia del futuro presidente della Repubblica francese Félix Faure, a farglielo conoscere. Il questionario faceva parte di un libro in inglese, Confessions. An album to Record Thoughts, Feelings & c., e consiste in una serie di domande - qui riportate in numero ridotto - che aiutano a riflettere su se stessi, sui propri gusti e le proprie aspirazioni. A rispondere questa volta al “questionario di Proust” è la prof.ssa Rita Petti, storica dell'Arte, pittrice e scultrice. Suo il drappellone per il Palio di luglio 2005. Il tratto principale del mio carattere: la determinazione. La qualità che apprezzo di più in un uomo: una terna per me inscindibile: l’onestà, la coerenza e l’ironia. La qualità che apprezzo di più di una donna: l’onestà, la coerenza e l’ironia. Quello che apprezzo di più nei miei amici: l’autenticità e la disponibilità reciproca. Il mio principale difetto: l’orgoglio spinto all’estremo: credo di avere quasi sempre ragione. La mia occupazione preferita: mi piace creare e quindi potrei elencare molte azioni/situazioni (dipingere, scolpire, ricamare, studiare e ricercare, raccontare…), ma è la situazione mentale totale e autentica con cui si affrontano tutte le cose del vivere, cercate o casuali, a renderle “belle”. Il mio sogno di felicità: la serenità e l’equilibrio in me. Quale sarebbe, per me, la vera infelicità: inseguire fuori da me “motivi” per sentirmi felice. Quello che vorrei essere: minimamente rassicurata sulla mia autonomia economica per poter progettare a breve termine, uscendo dall’immanenza del precariato. Condizione non positiva ma che, però, ha mantenuto alto il ritmo della mia vita, consentendomi di ottimizzare il tempo, stimolando maggiore elasticità e vitalità. Il paese dove vorrei vivere: mi piacerebbe poter viandare per lunghi periodi, a piedi e con pochissime cose, in osservazione lenta di ciò che mi circonda. Tutto è esotico se guardato con occhi curiosi: “il Paradiso è nei dettagli”. Il colore che preferisco: il blu (nella tonalità insistita da Yves Klein).

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I miei autori preferiti in prosa: leggo molto, mi è difficile fare una selezione. Di solito mi piace accompagnare dei momenti e soprattutto dei lavori con un nuovo libro. Nel tempo rimangono memorie forti di sensazioni associate ed emozioni come rivelazioni, epifanie. Una in particolare: la pittura del drappellone del luglio 2005 accompagnata dall’ascolto di Antony and the Johnsons (Divine, Blue Angel…) e la lettura de Il dolore perfetto di Riccarelli. Privilegio nelle mie letture la saggistica, per trovare nuovi stimoli, spunti, occasioni di rinnovamento e arricchimento. Un posto privilegiato: Hessel, Bauman, Don Gallo. I miei poeti preferiti: confesso di nuovo la mia fatica a operare una selezione. Rimbaud, Verlaine, Dino Campana. I miei compositori preferiti: Mozart in assoluto. I miei pittori preferiti: il mio primo amore è stato stimolato dalla censura di mio padre: Hieronymus Bosch, il mio preferito per anni, visto di nascosto e poi analizzato meticolosamente in ogni dettaglio, copiato e dipinto. Poi sono rimasta folgorata da Giovanni Boldini, dalle sue pennellate veloci e sapienti, virtuose ed eloquenti. Infine è arrivato l’oro musicale di Klimt, sensuale e doloroso, e la passione tragica, dirompente, sublime ed esplicita di Schiele assieme ai trascendenti paesaggi di luce di Friedrich. Oggi mi è molto difficile esprimere una preferenza. I miei eroi nella vita reale: chi, forte di ciò in cui crede, vive il presente affrontando le cause dell’esasperazione costruendo speranza. I forti così forti da essere non-violenti, quelli che non perdono, non possono essere distrutti, non muoiono mai. Mio padre, che mi ha mostrato nel quotidiano la via da percorrere per essere felici. Quel che detesto di più di tutto: violenza e tracotanza. La mancanza di rispetto della dignità dell’altro. La disumanità. Il dono della natura che vorrei avere: saper suonare uno strumento. Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza: gli errori che non danneggiano gli altri. Il mio motto: “Creare è resistere. Resistere è creare”(Stéphane Hessel).

La parola all'immagine Il Buono e il Cattivo Governo: un’opera e tanti significati… Dipinto nel periodo che va dal 1337 al

1339 dall’artista senese Ambrogio Lorenzetti, questo ciclo di affreschi decora oggi le pareti della Sala della Pace, o più giustamente, del Governo dei Nove, nel cuore del Palazzo Pubblico di Siena, situato nella celebre Piazza del Campo. L’opera è composta da quattro momenti fondamentali: l’Allegoria del Cattivo Governo, gli Effetti del Cattivo Governo in città e in campagna, l’Allegoria del Buon Governo e gli Effetti

del Buon Governo in città e in campagna. L'opera si può definire come l’asse portante

della concezione politica della città nel Trecento: Lorenzetti venne infatti incaricato del Governo dei Nove di immaginare e rappresentare la situazione di Siena e dintorni guidata da un “Buon Governo” - in cui avrebbero regnato l’armonia, la pace, il benessere, la ricchezza -, e, viceversa, guidata da un “Cattivo Governo” - che avrebbe invece causato un clima di violenza, distruzione e saccheggio. Entrando nel dettaglio, il Cattivo Governo è rappresentato da una figura dotata di corna, la personificazione del diavolo, affiancata dalle figure allegoriche di Crudeltà, Avarizia, Guerra, Superbia, Furore, Tirannide, Frode, Discordia e Vanagloria. La campagna è arida e incolta, la città saccheggiata e rapinata. Al contrario, il Buon Governo è rappresentato da un saggio seduto su un trono, affiancato dalle figure allegoriche di Giustizia, Magnanimità, Pace, Temperanza, Prudenza e Fortezza. Sopra la sua testa volteggiano Fede, Speranza e Carità. Lo scenario è adesso completamente differente: le persone coltivano i campi e costruiscono nuovi edifici in un clima di collettiva armonia. Altro particolare interessante è che l’affresco presenta degli aspetti in comune con la Divina Commedia di Dante Alighieri: la figura allegorica della Giustizia è infatti raffigurata con la scritta Diligite iustitiam qui iudicatis terram che le incorona la testa. Tale scritta compare anche nel canto XVIII del Paradiso, composta dalle anime del VI cielo. Inoltre Fede, Speranza e Carità - presenti sopra la testa del saggio del Buon Governo -, sono rappresentate da Dante come tre stelle nell’VIII canto del Purgatorio. C’è poi la celebre corda che la figura allegorica della Concordia tiene in mano, passante poi per le mani di ventiquattro cittadini che non rimandano ad altro che al Governo dei Ventiquattro, o meglio ai “ventiquattro seniori a due a due coronati” del Purgatorio di Dante. Anche per la ricchezza di questi riferimenti letterari, Il Buono e il Cattivo Governo è un'opera molto importante, non solo per la cultura e la storia di Siena. Senza dubbio da non perdere se ci si trova in Piazza del Campo.

Caterina Carnasciali III TUR

Letti e riletti Il cacciatore di aquiloni è un romanzo scritto da Khaled Hosseini. Narra dell'amicizia di due ragazzi: Amir, che è di etnia afgana, e Hassan, che invece è di etnia hazara e lavora come domestico a casa di Amir e

Baba insieme a suo padre Alì. I due amici crescono insieme a Kabul, e con il passare del tempo si affezionano l'uno all'altro. In particolare Hassan si legherà ad Amir considerandolo quasi come un fratello, mentre invece lui lo vedrà con una certa rivalità, visto che Baba, nonostante sia suo padre, sembra tenere più al domestico che al figlio. Uno degli obiettivi principali dei due è vincere la gara di aquiloni che si svolge nel loro quartiere. Amir tiene tanto alla gara perché crede che, vincendo, suo padre lo amerà di più di Hassan. Si preparano a lungo per questa sfida e alla fine partecipano, riuscendo a

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'tagliare' anche l'ultimo aquilone. Hassan parte di corsa per riuscire a prendere l'ultimo aquilone tagliato da Amir, lo trova, lo prende, ma una banda di bulli lo ferma chiedendogli di consegnare il premio. Lui rifiuta, allora viene picchiato e stuprato in un vicolo. Amir vede tutto ma non cerca di fermare i bulli per paura di essere a sua volta picchiato o di perdere il suo amato premio. Anzi, sentendosi in colpa per non aver difeso Hassan, decide di troncare i rapporti con il domestico e finge un furto per poi incolparlo. Più tardi, durante l'invasione sovietica, Amir e Baba scappano in California. Qui il ragazzo, diventato ormai adulto, si laurea in Lettere e sposa Soraya, mentre il padre si ammala di cancro ai polmoni. Dopo diversi anni, arriva una chiamata dal Pakistan da parte di Rahim, l'amico saggio di Baba, che chiede ad Amir di raggiungerlo. Si incontrano e Rahim gli racconta di come Hassan, in tutto questo tempo, si sia sposato, abbia avuto un figlio e sia andato a vivere nella casa dove abitavano da piccoli. Gli racconta anche di come i talebani abbiano poi ucciso lui e la moglie, facendo così finire il figlio in un orfanotrofio. Amir scopre anche che l'amico non era figlio di Alì, ma di Baba e della domestica Sanaubar. Anche Alì nel frattempo era morto, a causa di una bomba dei talebani.

Amir decide allora di cercare il figlio di Hassan, di nome Sohrab, ma solo dopo una lunga serie di avventure e di colpi di scena, riesce a portarlo con sé in America. Il bambino manterrà per circa un anno il silenzio totale, e farà il suo primo sorriso osservando il cielo di San Francisco pieno di aquiloni. Il libro è molto coinvolgente perché

fa capire come si vive nei paesi dove c’è la guerra, dove si fa distinzione di razza e dove la povertà è all’ordine del giorno.

Elisa Rabissi e Ilaria Vannini I GRAF

Ciak, si legge!

L’estate è appena iniziata e Anna e Francesca si divertono sulla spiaggia di

Piombino. Sono legatissime ed abitano in uno dei casermoni popolari di via Stalingrado. Entrambi i loro padri lavorano all’acciaieria Lucchini ed entrambe le loro situazioni famigliari non sono delle migliori: il padre di Francesca, Enrico, picchia in continuazione lei e sua madre e vuole tenerle sotto controllo in maniera ossessiva. La famiglia di Anna, invece, ha un padre, Arturo, che cerca di fare soldi facili ed è per questo che si licenzia dalla Lucchini. Le due amiche a settembre iniziano la scuola superiore e Francesca ha paura che non riusciranno più a frequentarsi come sempre, ma la loro amicizia è forte come l'amore, amore che tiene in piedi anche Alessio, il fratello di Anna.

Alessio è un operaio in piena regola, che potrebbe avere tutte le ragazze del mondo, ma si ostina a pensare all'unica ragazza che veramente vuole, Elena. Purtroppo Alessio muore in un incidente in fabbrica e lascia un vuoto nel cuore della sua famiglia e dei suoi amici. Nel frattempo Francesca crede di amare Anna e verso metà estate riesce a dirglielo. Tutto finisce con un bacio e il giorno dopo ritornano a passare il loro tempo insieme, unite come sempre. È questa la trama sia del libro sia del film intitolati Acciaio. Il libro, pubblicato nel 2010 dalla Rizzoli, è di una scrittrice emergente, Silvia Avallone, che è nata nel 1984 a Biella e vive a Bologna, dove si è laureata in filosofia. Il film, uscito nel 2012 e diretto dal regista Stefano Mordini, resta fedele alla storia originale, anche se alcune scene non sono nello stesso ordine. Non abbiamo notato grossi cambiamenti e questo è un aspetto che ci è piaciuto, perché la versione cinematografica rispecchia il pensiero dell'autrice. Sia il libro che il film ci hanno appassionato con le crude descrizioni del paesaggio industriale e con le coinvolgenti vicende dei personaggi, che, pur essendo il prodotto dell'immaginazione dell'autrice, toccano problematiche molto attuali.

Rebecca Falchi e Federica Mambrini II B AFM

Prossimamente in biblioteca Che cos’è Stupefatto? “Un breve ma coinvolgente racconto autobiografico

scritto da chi le droghe le ha usate, amate, comprate, vendute, combattute, odiate.” Enrico Comi, nato nel 1966 in un piccolo paesino della provincia di Milano, si avvicina al mondo della droga a soli 14 anni con il suo primo spinello. Poco dopo, a causa della carenza di denaro e della sempre maggiore necessità di assumere sostanze stupefacenti, inizia a spacciare. Intanto arriva a provare LSD, cocaina e addirittura eroina. A 21 anni, la svolta... Oggi, uomo maturo e padre di famiglia, si dedica assiduamente, avendone fatto anche una ragione di vita, ad un’attività di prevenzione e sensibilizzazione sul mondo delle droghe, soprattutto tra i giovani. Ha infatti parlato ad oltre 230.000 ragazzi su tutto il territorio nazionale, continuando nella sua opera di informazione su tutto ciò che di solito non si dice sulle droghe. Il libro è stato ripreso e rappresentato da una compagnia teatrale, poi premiata dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con una medaglia di riconoscimento per l’alto valore civile e sociale dello spettacolo. Un racconto di vita che, in quanto narrato in prima persona, ti permette di vivere quasi le stesse esperienze e le stesse sensazioni dell’autore, catapultandoti nell’universo della droga, un luogo oscuro e labirintico. Capire cosa sono le droghe non è semplice e “leggere stupefatto sarà come affrontare un

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viaggio. Il tuo biglietto, andata e ritorno, in un mondo ambiguo, pieno di trappole ed insidie”.

Alessia Posticci III TUR

El día del libro Desde mediados del siglo XV, el 23 de abril, se celebra cada año en Catalunya la

“Diada” de Sant Jordi (San Jorge). Sant Jordi, es patrón de Cataluña desde el año 1094 y es, para los catalanes, el héroe protector que venció al dragón y salvó a la princesa, símbolo de la victoria del bien sobre el mal. A lo largo de los años, se ha consolidado como una fiesta tradicional en la cual los enamorados se intercambian una rosa y un libro. Es una fiesta popular que exalta unos valores tan humanos como son el amor, la cultura y el patriotismo. Las rosas y los libros, que se regalan a las personas queridas, llenan por un día, las calles y las plazas de todas las ciudades y pueblos de Cataluña. Es por lo tanto, una fiesta de participación popular con unas características probablemente únicas en el mundo, entre otras cosas, porque es un “día festivo”, que los catalanes celebran trabajando. La tradición consiste en que el hombre regala a la mujer una rosa roja con una espiga de trigo

y la mujer le regala a su amado un libro. Porqué una sola rosa roja acompañada por una espiga de trigo y no cualquier otra flor? Porqué según la

tradición, en este obsequio se concentran tres características: una única flor, que simboliza la exclusividad del amor por parte del enamorado, el color rojo de la rosa que representa la pasión y la espiga de trigo, la fecundidad. Por eso es un óptimo presente para regalar a una persona amada en un día tan especial como este. En 1923 Vincet Claver Andrés se dio cuenta de que no había vendido suficientes libros. También se dio cuenta de queel Día de San Jorge coincidía con otra fecha importante, la de la muerte, casi al mismo tiempo, de William Shakespeare y Miguel de Cervantes (23 de abril de 1616). Desde entonces la costumbre de quelos ombre regalen rosas rojas a las mujeres coincide con la que las mujeres recambien el gesto con un libro.

Alessia Esposito II AFM

Le bonjour de Mademoiselle Léa

du Salon du livre de Paris (a cura di Eleonora Ricci – IV TUR)

Bonjour à tout le monde et aux élèves de l'ancienne 3ème Tourisme! Je vous écris pour vous raconter le Salon, parce que j'ai eu la chance d'y travailler cette année. Pour commencer, il faut savoir que le Salon du Livre a lieu tous les ans, durant quatre jours, à la fin du mois de mars, à Paris. Cette année, les invites d'honneur étaient le Brésil et les villes polonaises de Cracovie et de

Wrocław. Le Salon est l'occasion pour toutes les maisons d'édition de faire découvrir leurs livres et leurs auteurs au public. Ainsi, elle sont chacune un stand où ells presentment leurs livres et où ells organisent des séances de dédicaces avec certains auteurs. J'ai commencé à travailler le mercredi, parce que, si le salon ouvre ses portes le jeudi soir, il faut d'abord tout préparer. Donc, mercredi et jeudi, nous avons reçu et installé les livres sur le stand. Le jeudi soir, c'était la soirée d'inauguration: pour y entrer, il faut une invitation d'une maison d'édition. C'est un moment de fête réservé aux professionnels. À partir du vendredi matin jusqu'au lundi soir, le salon est ouvert à tout le monde. Pendant quatre jours, les gens vont pouvoir venir pour découvrir des livres, pour rencontrer des auteurs, pour assister à des débats... Et le lundi soir, tout doit être rangé: les livres retournent dans les cartons, les stands sont défaits... Il faudra attendre l'année prochaine pour que tout recommence!

Léa (assistant de langue française

dans notre lycée l'année dernière)

What is a little free library? "Take a book, return a book" is a little free library which promotes literacy and the love of reading worldwide. Their mission is also to built a sense of community and to share skills, creativity and wisdom across generations. A little free library is a box full of books placed in a public garden or in a gathering place. In 2009 Todd Bol built a model of one room schoolhouse: he filled it with books and put it somewhere in his front yard. His neighbors and friends loved it. Rick Brooks, who saw Bol's project, discussed with him a potential social enterprises. They saw the opportunity to achieve goals for the common good. By the summer 2010 the mission and the purposes, served by the little boxes of books, were becoming more clear: the names "Habitat for the humanities", "House of stories" soon gave way to what more and more people called "Little free library". The first one outside the Hudson area was used by a bike path. In the summer of 2010, Henry Miler became the primary craftsman using recycled wood. Thanks to the website www.littlefreelibrary.org, in the year 2011, the project brought local, regional and national media attention and it had became a movement. In May, 2012, little free library was officially established as a nonprofit corporation with a board of directors and with tax-exempt status. In January 2015 the total number of Little free library was estimated to be nearly 25.000.

Rebecca Ascani e Piermauro Fanetti III SIA

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“Bücherwald”, eine interessante Anregung Im Berliner Ortssteil Prenzlauer Berg findet man Bücherregale direkt an der Straße. Sie befinden sich in Baumstämmen, die vorher zu dem Zweck ausgehöhlt wurden. Jeder kann entweder seine eigenen Bücher, die er nicht mehr braucht, dort hineinstellen oder gratis Bücher ausleihen. Diese Art des Büchertauschs nennt man allgemein bookcrossing, ein Phänomen, das weltweit großen Erfolg hat. Der Verein BAUFACHFRAU Berlin e.V. ist für die Berliner Initiative verantwortlich. Er konnte dieses originelle Projekt durch die Zusammenarbeit von den Azubis aus den Berufsgruppen Forsten, Tischlerei, Buchdruck, Buchhandel und Medientechnik

realisieren. Das Ziel der Initiative ist klar: die Bücher sind gratis und die Bürger haben dadurch die Möglichkeit, mehr Bücher zu lesen und sich weiter zu bilden.

Teresa Bartalini IV TUR

Lo scaffale di Anna Frank

Come mai i nazisti spesero tante energie per sterminare milioni di

uomini, donne e bambini, soltanto perché erano ebrei? Chi sapeva quello che succedeva e chi poteva fare qualche cosa? Perché gli ebrei non hanno opposto resistenza? È scioccante scoprire, nel piccolo saggio di Annette Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia (Einaudi, 1999), come le domande di una bambina, le più banali, le più semplici all’apparenza, non siano affatto diverse dalle domande “dei grandi”, ma solo più spontanee, provenendo dalla bocca dell’innocenza di chi proprio non può spiegarsi come tutto ciò sia stato possibile. La storica francese, che perse ad Auschwitz i nonni paterni, ci propone un libro che definirei - se dovessi descriverlo con un solo aggettivo - banalmente, “diverso”. Diverso perché a volte ci si può sentire sommersi dalla marea di saggi storici e, soprattutto, di libri di testimonianze che ci pervengono sulla Shoah. Ma oserei dire che come questo non ne esistono. Si tratta infatti di un saggio storico, che per sua stessa natura ci permette di separarci, almeno parzialmente, dalla suggestione emotiva, spesso retorica, propria dei libri di testimonianza, fornendoci un quadro storico chiaro e obiettivo del periodo della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, al contrario di altri saggi storici, magari anche più esaustivi e dettagliati, ma al contempo di lettura più faticosa per il grande pubblico, soprattutto di nostri coetanei (si veda, fra tutti, il bellissimo saggio

La Soluzione Finale di Enzo Collotti), la Wieviorka affronta l’argomento in modo diretto e allo stesso tempo leggero, tramite le domande della figlia, che fungono come da brevissimi capitoletti in grado di rendere la lettura agile e scorrevole. Infine, chi può escludere in modo categorico di trovarsi nella stessa difficoltosa situazione della Wieviorka, a rispondere a domande che non hanno risposta, cercando di spiegare il più indicibile degli orrori a una mente troppo buona e innocente per concepirlo? E allora, non potremmo forse definire Auschwitz spiegato a mia figlia un libro utile, anzi necessario?

Lorenzo Gelli IV RIM

Il topo di biblioteca Friedrich Nietzsche, in una pagina de La gaia scienza, si domandava quale fosse

l'importanza (e dunque l'utilità) di un libro incapace “di condurci oltre tutti i libri”. E in effetti il desiderio, più o meno dichiarato, più o meno nascosto, di ogni lettore è proprio quello d'imbattersi prima o poi in un testo che possieda la forza di un uragano e che abbia la natura di una rivelazione. Sappia cioè spazzare via, al pari del primo, ogni abitudine di vita passivamente accolta e stancamente perpetuata, e sia in grado di mostrare, al pari della seconda, significati e valori del nostro essere-nel-mondo sino a quel momento ignorati. Sotto questo aspetto, la scoperta di un libro che, una volta letto, siamo indotti a definire “decisivo”, viene a coincidere con la scoperta di un nuovo modo d'interpretare e di descrivere l'uomo e la realtà esterna all'uomo. Quali sono state le opere della letteratura che hanno avuto su di me questo effetto? Quali libri, vale a dire, sono riusciti a condurmi “oltre tutti i libri” o hanno potuto, come scriveva Franz Kafka a Oskar Pollak nel gennaio del 1904, svegliarmi “con un pugno sul cranio”? Limitandomi a racconti e romanzi, indicherei L'educazione sentimentale di Flaubert, La morte di Ivan Il'ič di Tolstoj, I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Il primo romanzo, che anche Kafka aveva carissimo, al punto da citarlo più volte nelle lettere e nei diari, mi ha fatto cogliere più di qualunque altra pagina che abbia letto (anche più dei capolavori di Seneca, di Agostino, di Proust) come il tempo, nel suo trascorrere, intreccia e separa i fili dell'esistenza e dell'amore, lasciando sempre da ultimo in noi l'amara impressione di non essere mai riusciti a vivere pienamente e del tutto. Il racconto di Tolstoj, invece, è stato per me il più potente invito a non delegare mai agli altri le mie scelte, a non sottomettermi mai a quella che Heidegger una volta ha chiamato “la dittatura del Sì”, ovvero la tendenza a pensare e agire così come gli altri pensano e agiscono. Infine, senza I fratelli Karamazov la mia intelligenza dei concetti di bene e male sarebbe stata infinitamente più povera.

Francesco Ricci (docente del Liceo Piccolomini)

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L'angolo della poesia Nazim Hikmet (Salonicco 1902 - Mosca 1963) è considerato uno dei più importanti poeti della Turchia moderna.

La sua poesia nasce da molti contrasti, sia sociali che esistenziali: dopo vari soggiorni in Russia, lo scrittore ritorna in patria e viene arrestato a causa della sua adesione al partito comunista. Dopo 14 anni di prigionia, viene rimesso in libertà nel 1950, grazie ad

una commissione di cui faceva parte anche il pittore Pablo Picasso, e trova finalmente rifugio a Mosca, dove muore a causa delle frequenti crisi cardiache. Tra le sue opere più conosciute vi è la raccolta Poesie d’amore, di cui fa parte anche Il più bello dei mari, poesia che ho scelto perché riesce in pochi semplici versi ad esprimere tutta la sua profondità.

“Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto”.

Silvia Pianigiani II A TUR

Ricetta... d'autore

Cucina e letteratura sono spesso unite da un forte legame quando lettore e autore si incontrano su un tema basilare e vario

come il cibo. Non fa eccezione Andrea Camilleri che, attraverso gli episodi di Montalbano, ci porta a scoprire i sapori della Sicilia. Il celebre Commissario ama infatti la cucina della sua terra, e spesso le sue riflessioni sui casi da risolvere sono intervallate da pranzi e cene.

Gli arancini di Montalbano (Mondadori, 1999) è la prima raccolta di racconti brevi che hanno come protagonista, appunto, il Commissario Montalbano. Il titolo si deve all’ultimo racconto, in cui il Commissario, la sera di Capodanno, rischia di non potersi

gustare i deliziosi arancini di Adelina (la sua cammarera). Gli arancini non solo rappresentano la gastronomia siciliana, ma racchiudono gli aspetti caratteristici della Sicilia: la forma e il colore ricordano i boschi di agrumi e il calore del sole; la varietà degli ingredienti che si scoprono all’interno, ben amalgamati fra di loro, ma tutti riconoscibili, sembrano quasi richiamare i tanti tesori nascosti di quest’isola. Qui di seguito si riporta la ricetta tradizionale degli arancini siciliani, tratta da Nìvuro di sìccia. Le ricette

ispirate alle avventure del più astuto commissario siciliano (Trenta Editore, 2008). Ingredienti per 4 persone. Per il riso: 1 kg di riso Arborio; 2,5 litri di acqua; 50 g di burro; 2 bustine di zafferano; sale. Per il ripieno: 1 carota; 1 cipolla bianca; 1 costa di sedano; 500 g di manzo tritato; 200 g di piselli freschi; vino bianco secco; 1 cucchiaio di pomodoro concentrato; 1 litro di acqua; olio evo. Per la panatura: 1 uovo; mezzo litro di acqua; farina bianca; pangrattato. Preparazione: portate a bollore abbondante acqua salata e cuocetevi il riso; a cottura ultimata unitevi il burro e lo zafferano e lasciate riposare per 2 minuti circa. Distendete il riso su un piano e completate il raffreddamento. A parte in un tegame fate rosolare con poco olio il trito di carota, sedano e cipolla; aggiungete la carne e i piselli e continuate la cottura a fiamma vivace per qualche minuto. Sfumate con il vino bianco, unite il pomodoro e allungate con l’acqua. Aggiustate di sale e cuocete il tutto per 25 minuti. Preparate tante palline di riso fino ad esaurirlo, inserite al centro un cucchiaio di ripieno e passate gli arancini ottenuti in un preparato di farina, acqua e uovo. Fateli rotolare nel pangrattato e friggeteli. Serviteli subito ben caldi.

Laura Palla IV CAT

Viaggio in Italia

La diversità non è un ostacolo per la sopravvivenza, anzi, è l’opportunità di conoscere nuove culture e abitudini che

altrimenti ci sarebbero rimaste estranee; ma, soprattutto, la diversità è la caratteristica che rende speciale il mondo e ogni suo abitante. Noi, come classe, II B TUR, siamo la dimostrazione vivente di ciò. Le nostre differenze culturali non hanno impedito l’unità e la complicità fra di noi, poiché è proprio la nostra diversità il nostro punto di forza. Veniamo tutti da realtà molto lontane fra di loro, si potrebbe anche dire da mondi totalmente diversi, e abbiamo alle spalle storie più o meno difficili. Tra di noi ci sono persone che hanno vissuto l’orrore della guerra sulla propria pelle, e che proprio per la guerra sono state costrette ad abbandonare il proprio paese, la propria famiglia. Questa terribile esperienza l’ha vissuta la nostra compagna Ayanle Fartun, la quale proviene dalla Somalia, da dove a soli tredici anni è dovuta scappare rischiando la vita. Cosa ci accomuna? Abbiamo in comune l’esperienza vissuta al nostro arrivo in Italia: quella sensazione di smarrimento che abbiamo provato, perché, così lontano da casa, ci sentivamo fuori posto; le mille difficoltà che abbiamo dovuto affrontare per imparare la lingua e stringere amicizie. Ana Tofilat, proveniente dalla Moldavia, e Gino Sina, proveniente, invece, dall’Albania, sono in Italia da neanche due anni, quindi devono ancora fare i conti con la lingua. Come dimenticare le pagine e pagine di libri che abbiamo dovuto imparare a memoria, perché, non

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conoscendo la lingua, era l’unico modo possibile di studiare? O il doverci abituare ad un nuovo stile di vita, con la nostalgia di essere lontani da casa? Questo pesa in particolare sulle spalle delle nostre gemelle senegalesi, Aminata e Sophie Diallo. Malgrado le difficoltà iniziali, abbiamo capito però che dovevamo adattarci, apprezzare questa nuova opportunità che la vita ci stava offrendo e cogliere al volo la possibilità di far parte di due mondi diversi.

Wiliana Valerio II B TUR

Il bello della squola Come si chiamano i famosi vasi etruschi? Butteri. Cosa fonda nel nord Italia Mussolini

dopo l’armistizio? La Repubblica di San Marino. La parte occidentale della Cina è montagnosa. Come si chiama la rima ABBA? Intricata (incrociata). Il sonetto è stato inventato da Giacomo d’Allentini. Il finale a sorpresa mantiene alto l’interesse dell’ettore. Nel mondo ci sono molte religioni tra cui le più diffuse sono il cattolicesimo e il musulmanesimo. La guida ci ha raccontato la famosa storia della riprovazione del Sarcofago degli Sposi. I greci praticavano il commercio e l’artigianismo. Uno dei Regni Ellenistici fondati dopo la morte di Alessandro Magno fu il Regno di Perugia (Pergamo).

A cura di Francesca Zacchei

Bibliopolis: libri, foto e fantasia

Librarsi

“I libri da leggere non potranno essere sostituiti da alcun aggeggio elettronico. Sono fatti per essere presi in mano, anche

a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è

scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati aperti sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, […] ci ricordano (se ci appaiono ancora troppo freschi e intonsi) che non li abbiamo ancora letti, si leggono tenendo la testa come vogliamo noi, senza imporci la lettura fissa e tesa dello schermo di un computer, amichevolissimo in tutto salvo che per la cervicale. Provate a leggervi tutta la Divina Commedia, anche un'ora sola al giorno, su un computer, e poi mi fate sapere (Umberto Eco).

“La nostra epoca ha già nostalgia dei libri. Non li ha ancora eliminati, non è ancora riuscita a sostituirli con lo schermo dei computer. E se l'umanità che legge smettesse di leggere? Interromperemmo una catena virtuosa, che ci consente di collegarci, anche senza internet, con il mondo del passato e del presente lontano da noi. La lettura è esplorazione, esposizione di sé all'esperienza altrui. Poi, si sa, c'è anche l'arte, l'emozione di incontrare l'opera d'arte sotto forma di poesia, di romanzo o di racconto. In breve, diventeremmo molto più poveri. Chi legge sa che, se smette, qualcosa finisce, un mondo scompare. Impossibile? È già accaduto un'infinità di volte” (Paolo Mauri).

Impaginazione a cura di Marius Birlad (III SIA)