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Metacognizione negli animali, e nelle macchineLa metacognizione è dawero una caratteristica esclusivadegli esseri umani? Certo, non possiamo chiedere a unanimale di giudicare verbalmente il proprio comportamento,ma esperimenti ingegnosi possono riuscire a sondare se altrecreature abbiano pensieri riguardo ai propri pensieri.ln un esperimento pionieristico, lo psicologo David Smithdell'Università di Butfalo insegnò a un delfino di nome Natuaa nuotare verso una leva o un'altra a seconda se sentiva unsuono ad alta o a bassa frequenza. Quando Natua rispondevacorrettamente, riceveva un pesce in premio. Ma alcuni suonierano più ditficili di altri da valutare. Quindi Smith introdusseuna terza leva, che risultava in un'altra prova più facile. lldelfino imparò a premere la terza leva solo quando la provaoriginale era troppo difficile.Smith dedusse che Natua premeva la terza leva perchériconosceva la propria mancanza, e quindi riusciva a rifletteresulla propria conoscenza. Questa conclusione ebbe ulterioreconferma dall'osservazione che più a lungo il delfino esitavatra le due prime leve, più era probabile che scegliesse laterza. Quindi, la terza opzione sembra basata su sensazioni diincertezza. Come dimostrato da esperimenti successivi, anchei macachi mostrano un comportamento metacognitivo simile,mentre altre specie di scimmie, come le cappuccine, no.Un altro esperimento sulla metacognizione imita il giudizio sullasicurezza di una risposta espressa verbalmente da soggettiumani in laboratorio. Come nell'esperimento del delfino, unanimale decide quale sia la risposta corretta. Poi gli si dà lapossibilità di confermare la scelta, oppure di scegliere un'altraopzione più sicura, che è sempre uno stuzzichino. Scommettere

sulla propria scelta originale è più rischioso: il risultato è unaporzione di cibo più grande se la risposta è giusta, niente seè sbagliata. I macachi passano l'esame a pieni voti: scelgonola strada più rischiosa quando sono più sicuri della rispostagiusta. l-attività dei neuroni nella corteccia frontale dellescimmie esprime la loro sicurezza, e getta luce su come lametacognizione sia implementata a livello dei circuiti neurali.Perfino i ratti imparano a sostenere un esame di questo tipo,eppure non possiamo ancora concludere che gli animali hannouna sorta di metacognizione. Per cominciare, la cortecciaprefrontale anteriore, un'area chiave per la metacognizionenel cervello umano, è più grande negli esseri umani che nellescimmie, e nei ratti non esiste. Questa ditferenza anatomica nonelimina necessariamente la possibilità di roditori introspettivi,perché la metacognizione potrebbe essersi evoluta in formediverse nelle varie specie. Forse si manifesta sia come unasensazione implicita di incertezza, che gli animali condividonocon gli umani, sia come la consapevolezza della propriaconoscenza che potrebbe essere unicamente umana.Perfino alcuni computer potrebbero contenere una forma dimetacognizione. Ouando Watson, la macchina dell'lBM chegiocava a Jeopardy, vinse contro due campioni umani nel 201 1,

si basava su una capacità simile alla consapevolezza umanadella propria conoscenza. Watson îon solo trovava le risposte,ma generava anche un punteggio di cerlezza per ognuna.ll supercomputer usava questo punteggio per decidere sepremere il pulsante. ll risultato era che Watson riusciva a intuireche cosa sapeva più velocemente dei campioni umani, e questogli diede il vantaggio.necessario a vincere.

do a capire come funziona la metacognizione,e il perche del suo malfunzionamento. Secolidopo il precetto di Socrate <conosci te stesso)r,gli psicologi stanno trovando gli strumentiper seguire questo consiglio in modo più efE-cace: esercitare la metacognizione e migliora-re il giudizio delle nostre capacità.

) [a mente metacognitiuaRiflettere sui proprio pensieri è un'attivi-

tà antica quanto la civiltà. Il suo studio ebbeil primo grande impulso con Sigmund,Freudcon il concetto che Ia conoscenza di se stes-si può essere sbagliata, perche gran parte del-la mente umana rimane inaccessibile alla co-scienza. Freud era convinto che scavando nelprofondo si possano portare alla luce le for-ze nascoste che guidano le nostre azioni, ri-velando così le nostre vere convinzioni allaluce della coscienza. Ma presto gli psicologisi resero conto dell'inafftdabilità di un'anali-

si di questo tipo, e la pura introspezione ven-ne gradualmente abbandonata, come metododi conoscenza della propria mente.

Flavell, che ha osservato lo sviluppo deibambini per lungo tempo, ipotizzò che unaspetto dell'introspezione (cioè proprio lametacognizione) fosse la chiave per il succes-so nell'apprendimento. In un esame sulla me-moria, per esempio, scoprì che ni soggetti piumaturi studiano per un po', dicono di esserepronti, e di solito lo sonon, mentre <i bambinipiù piccoli studiano per un po', dicono di es-sere pronti, e di solito non lo sonor.

Le sue osservazioni su$$eriscono che, cre-scendo, certe aree o reti neurali nel cervelloabbiano bisogno di stabilizzarsi nelle giova-ni menti, per migliorare il giudLio del proprioapprendimento. Perverificare questa idea, pe-rò, i ricercatori dovevano risolvere un pro-blema: come studiare i pensieri sui pensie-ri. Siccome non ci sono marcatori owi della

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metacognizione, io e i miei colleghi abbia-mo dovuto prendere una scorciatoia. Misuria-mo quanto un individuo è sicuro di un certogiudizio, e vediamo se Ia loro certezza è con-fermata. Nella vita di tutti i giorni si trovanocontinuamente esempi di certezze mal ripo-ste. Quando un cuoco inesperto pensa sia unabuona idea provare una nuova ricetta quan-do ha a cena una dozzina di amici e brucia ilsalmone, scuoce il riso e dimentica di condireI'insalata, il fiasco potrebbe essere il risultatodi una scana metacognizione.

Nei miei esperimenti, il compito da svolge-re è molto piu semplice della preparazione diuna cena per dodici persone. I volontari sie-dono di fronte a un computer, e vedono duegrandi cerchi che si illuminano per un attimo.I cerchi sono riempiti di puntini, e lo scopoè decidere quale cerchio contiene piu puntini.Il compito risulta difficile per gran parte deipartecipanti, ma il mio scopo non e trovare la

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risposte giuste, bensi capire quanto le penonesiano sicure della propria scelta. Esperimen-to dopo esperimento, i volontari scelgono uncerchio e danno una valutazione della sicu-rezza nella loro risposta, e infine emerge unoschema. Se il soggetto è molto sicuro quandola risposta è giusta, e viceversa, allora la suametacognizione è in buono stato. Esperimentisimili aiutano a quantificare la metacognLio-ne in relazione ad altri aspetti, come I'appren-dimento o la memoria.

Fer mezzo di questi esperimenti, insieme aimiei colleghi abbiamo scoperto che I'accura-tezza della metacognizione è molto variabileall'interno della popolazione. Alcune personeconoscono pochissimo i loro pensieri, mentrealtre riescono a valutare correttamente il pro-prio processo cognitivo. Tuttavia e importan-te sottolineare che la capacità metacognitivanon ha nulla a che fare con I'abilità in sé. Sipuò benissimo essere all'oscuro delle proprie

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capacità, e allo stesso tempo essere bravissimia contare tutti i puntini nel cerchio (o a cuci-nare cene di grande successo).

) Anatomia dell'introspezioneUsando gli strumenti delle attuali neu-

roscienze, i ricercatori hanno cominciato aidentificare i meccanismi cerebrali alla ba-se della metacognizione. I primi indizi arri-varono da pazienti con danni cerebrali singo-lari. Negli anni ottanta il neuroscienziato ArtShimamura era dottorando con Larry R. Squi-re all'Univenità della Califomia a San Diego.Studiavano pazienti sofferenti di amnesia, cheavevano subito danni all'ippocampo, una re-gione del cervello fondamentale per la memo-ria, quando osseryarono uno strano effetto.Gran parte dei pazienti aveva scarsa memoria,come ci si aspettava, ma solo alcuni erano co-scienti del loro problema nel ricordare le cose.I pazienti che non si rendevano conto di esse-re amnesici (cioè quelli con scarsa metacogni-zionel sofÍÌivano della sindrome di Korsakov,spesso associata all'alcolismo. I pazienti sof-ferenti di questa sindrome non solo erano di-ventati amnesici a causa di un danno all'ip-pocampo, ma avevano anche subito danni alIobo frontale. Questo dato fece sospettare Shi-mamura e Squire che Ia metacognizione siagovemata dal lobo fiontale.

Per confermare la loro intuizione, cerca-rono pazienti con danni al lobo ffontale, mamemoria intatta. Collaborando con il loro col-Iega Jeri Janowsky, scoprirono sette personecon lesioni a-l lobo Íìontale, e osservarono chein effetti la loro metacognizione era limitata:quando gli scienziati mosharono loro una li-sta di frasi e chiesero di valutare la probabilitàdi riconoscere le stesse frasi in futuro, le pre-visioni dei soggetti furono poco accurate. Laloro memoria, pero, era intatta. Questi furonoi primi studi a mostare che Ia metacognizio-ne è una funzione indipendente, non solo unaparte integrante delle abilità cerebrali neces-sarie alla vita quotidiana.

Il lobo frontale copre una vasta area neu-rale, e con i miei colleghi vogliamo scopri-re il punto esatto in cui si trova il centro del-la metacognizione. In uno studio pubblicatonel 2010 con Rimona S. Weil, Geraint Rees ealtri colleghi dello University College di Lon-dra, mostrammo ad alcuni volontari due im-magini, e chiedemmo quale fosse piu lumi-nosa. Poi chiedemmo di valutare la sicurezzadella loro risposta. Dopo una serie di esperi-menti calcolammo un punteggio per la meta-

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cognizione di ogni individuo. Per eliminareIe differenze nella percezione visiva, ci assi-curammo che i nostri volontari fossero tuttiugualmente capaci di identificare la lumino-sità, e la loro percentuale di successo era cir-ca il 70 per cento.

Dopo aver assegnato il punteggio di meta-cognizione eseguimmo una scansione del lorocervello, scoprendo che le persone con miglio-re metacognizione avevano piu materia grigianella corteccia preÍÌontale anteriore, una re-gione cerebrale verso I'esterno del lobo ÍÌon-tale, che è sproporzionatamente grande ne-gli esseri umani rispetto agli altri primati. Lamateria grigia consiste principalmente di par-ti centrali di neuroni (soma), al contrario del-la materia bianca, costituita da assoni che siestendono dal soma e trasmettono impul-si elettrici ad altri neuroni. I soggetti con me-tacognizione più alta avevano anche tratti dimateria bianca piu densa a collegare la cortec-cia prefrontale anteriore al resto del cervello.

Altri srudi basati su neuroimmagini sugge-riscono che I'attività neurale nella cortecciaprefrontale anteriore sia strettamente colle-gata con Ia sicurezza di sé. Inoltre si è scoper-to che colpendo I'area con impulsi magneti-ci, che interferiscono temporaneamente conI'attMtà neurale, la metacognizione dei sog-getti risulta ridotta, senza nessun effetto sualtri aspetti della percezione, o della capacitàdi prendere decisioni.

Molti di questi studi quantificano la me-tacognizione in scenari artificiali, ed erava-mo curiosi di scoprire se gli stessi principi eregioni del cervello avessero un ruolo anchein decisioni piu complesse. Insieme ai neu-roscienziati Benedetto De Martino, Ray Do-lan e Neil Garrett, allora allo University Col-lege di Londra, progettammo un esperimentopiu simile alla vita reale, sebbene si svolges-se all'intemo di una macchina per la risonan-za magnetica. Chiedemmo ai partecipanti didecidere tra due tipi di stuzzichino, per esem-pio Ie Pringles e un KitKat. Poi chiedemmouna valutazione di quanto erano certi di averscelto il migliore. Usciti dalla macchina, cidissero quanto erano disposti a spendere perognuno, e questa era semplicemente un'altravalutazione di quanto erano sicuri della ri-sposta, questa volta in dollari.

Questa procedura ci aiutò a separare le at-tMtà cerebrali a supporto delle nostre azio-ni dal marasma neurale che govema ciò chepensiamo delle nostre azioni. Ci si aspetta-va che ognuno avrebbe pagato di piu per il

Visto che lameditazionecompontaun'attenzionepensistentesu sé stessi,

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cibo preferito, ma non fu questo il risultato.Inoltre, alcuni erano piu coscienti di altri delproprio comportamento incoerente. Come ri-portammo nel 2013, questi indMdui aveva-no piu collegamenti tra una regione cerebra-le coinvolta nelle valutazioni quantitative e lacorteccia prefrontale anteriore. Sebbene nonfacessero sempre scelte ottimali, almeno sirendevano conto che stavano sbagliando.

Abbiamo ancora molto da imparare. Peresempio non sappiamo come la cortecciaprefrontale anteriore contribuisca alla meta-cognizione, o perché un volume maggiore inquesta regione del cervello implichi cambia-menti nell'introspezione. Eppure queste sco-perte sono un primo passo cruciale per iden-tificare modi di rafforzare la metacognizione,la cui assenza può avere effetti devastanti.

) Mancanza di consapeuolezzaQuando una persona malata non si rende

conto della propria malattia, i medici usanoil termine (anosognosiar, derivato dal greco,

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che significa (mancanza di conoscenza sullamalattiar. I malati di demenza, per esempio, avolte non si accorgono che la loro memoriase ne sta andando. Il risultato è che non chie-dono aiuto, non si ricordano di prendere lemedicine, non si rendono conto di non esse-re piu in grado di guidare in sicurezza. Anchela schizofrenia, la dipendenza e I'ictus pos-sono danneggiare Ia metacognizione. Quan-do qualcuno non si rende conto della propriamalattia, gli effetti sulla sua famiglia e i suoiamici sono strazianti, perché la realtà condi-visa su cui si basano le relazioni sociali è mi-nata alla base.

Tradizionalmente gli psichiatri credonoche questi pazienti semplicemente rimuo-vano il problema. Da questo punto di vista,i pazienti riconoscono le loro mancanze, masi rifiutano di ammetterle a se stessi, al medico e ai familiari. Ora invece le mancanze me-tacognitive sono viste come una delle con-seguenze di certe malattie. Per esempio granparte degli alcolizzati non riconosce di ave-

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re un problema, anche se razionalmente san-no che bere troppo fa male alla salute. Comescrisse la psichiatra Rita Z. Goldstein, insie-me ai suoi colleghi, nel 2009, <una delle sfidemaggiori nella cura della dipendenza è cheI'individuo non si rende nemmeno conto diaver bisogno di aiuto terapeuticor.

Non è ancora chiaro se Ia metacognizione eI'anosognosia siano due facce della stessa me-daglia, pero sappiamo che sono strettamen-te collegate. Pazienti schizofrenici che nonsi rendono conto della propria malattia, peresempio, hanno tendenzialmente lobi frontalipiu piccoli di quelli consapevoli: la stessa co-sa si nota nelle persone sane con deficienzenella metacognizione di cui si parlava prima.(Siccome le malattie psichiatriche hanno nu-merosi effetti diversi sul cervello, le disfunzio-ni in una rete di aree cerebrali sono probabil-mente alla base dell'anosognosia).

che la consapevolezza dei soggetti riguardoai propri sintomi era migliorata dopo sei mesidi trattamento. I medicinali però ebbero an-che I'effetto di ridurre i sintomi stessi, quindii ricercatori avevano difficoltà a distinguerequale aspetto dell'esperimento aveva aiutatola metacognizione.

Di recente.lo psicologo Robert Hester,dell'Università di Melbourne, e i suoi colle-ghi hanno scoperto che il metilfenidato (Ri-talin), usato principalmente per trattare il di-sturbo da deficit dell'attenzione e iperattività(ADHD), potrebbe migliorare la metacogni-zione in soggetti sani. In questi esperimenti ivolontari dovevano svolgere un difficile com-pito di riconoscimento dei colori in condizionidi stress, e poi dovevano valutare se avevanodato la risposta giusta, cioe esprimere un giu-dizio metacognitivo. I partecipanti che aveva-no preso il Ritalin, ma non quelli a cui eranos

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iala,i\!,l:t'tati somministrati altri farmaci, come gli anti-depressM, riuscivano a rendersi conto di unapercentuaìe maggiore dei propri errori.

Forse anche la stimolazione elettrica delcervello aiuta a migliorare la metacognizio-ne. Usando lo stesso esperimento, un'équipedel Trinity College di Dublino scopri che unadebole corrente elettrica attraverso la cortec-cia frontale di volontari anziani miglioravala consapevolezza dei propri errori. Questecorrenti deboli eccitano temporaneamente ineuroni, il che forse pone il lobo frontale inuno stato <caricor che favorisce la metaco-gnizione. Ma siamo ancora lontani dal capirecome i medicinali o la stimolazione cerebralepossano migliorare la nostra capacità di ra-gionare sui nostri stessi ragionamenti.

Un modo piu abbordabile di migliora-re I'autoconsapevolezza è la meditazione. Inuno studio condotto nel 2Ol4 dagli psicolo-gi Benjamin Baird e Johathan W. Schoolerall'Università della California a Santa Bar-bara, un corso di due settimane sulla medita-zione miglioro la metacognizione dei parteci-panti durante un esperimento sulla memoria(ma non in un esperimento sulla percezio-ne visiva). Siccome la meditazione comportaun'attenzione persistente su sé stessi, e la ca-pacità di concentrarsi sul proprio stato men-tale, potrebbe avere un effetto positivo sullacapacità di giudicare i propri pensieri. In ve-

Le neunoscienze e i modelli matematici computazionalisono gli stnumenti pen il pnogresso in questo campo

Forse scopriremo che I'anosognosia e sem-plicemente una forma di carenza metacogni-tiva. Studi recenti suggeriscono che I'abilitàintrospettiva di ogni individuo possa esse-re diversa in ambiti diversi; magari l'anoso-gnosia e uno di questi ambiti. A sostegno diquesta teoria, gli scienziati hanno documen-tato differenze nell'attMtà cerebrale associa-ta con la metacognizione mnemonica (<nonsono sicuro di ricordarmi di pagare l'affitto,quindi mi scrivo un bigliettinor) e la metaco-gnizione percettiva (nho veramente visto unoscarabeo, o era solo una grossa cimice?u). As-sieme ai miei collaboratori all'Università diNew York abbiamo scoperto che gli indMduicon danni alla corteccia preÍÌontale anterio-re hanno difficoltà nella metacognizione per-cettiva, ma non sembrano fare fatica a daregiudizi accurati sulÌa propria memoria. Identi-ficare le radici neurali dei diversi tipi di caren-ze introspettive porterà alla scoperta di terapieper curare I'anosognosia, il che, forse, aiuterài pazienti a riconoscere di aver bisogno di aiu-to, e gestire correttamente i farmaci.

F f;afforzare la rnetacognieioneI tentativi di ripristinare la metacogni-

zione iniziarono nei tardi anni novanta. Unesperimento su piccola scala studio gli effet-ti della clozapina, un farmaco antipsicoti-co, su pazienti schizofienici. Lo studio scoprì

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r:ì{ rità, altri studi hanno trovato che la medita-zione provoca un cambiamento nella strut-tura, nella funzione e nei collegamenti dellacorteccia prefrontale anteriore, il che sugge-risce I'affascinante ipotesi che questa attM-tà induca neuroplasticità in circuiti cerebralicoinvolti sia nella meditazione sia nella meta-cognizione. Ma nessuno ha ancora dimostratocambiamenti neurali che persistano a segui-to di un miglioramento nella metacognizione.

Semplici strategie psicologiche posso-no aiutare la metacognizione negli studenti.Nei primi anni novanta Io psicologo Thomas0. Nelson e il suo studente John Dunlosky,dell'Università di Washington, riferirono uneffetto interessante. Quando si chiedeva ai vo-lontari di valutare la propria memoizzazionedi una lista di coppie di parole, il loro giudi-zio era migliore dopo un certo periodo di tem-po, rispetto a immediatamente dopo averlelette e imparate. Molti studi hanno conferma-to questa scoperta. Suggerire a uno studentedi prendersi una pausa prima di decidere seha studiato abbastanza per un esame potreb-be aiutare I'apprendimento in modo sempli-ce ed efficace.

Gli studenti potrebbero avere benefi-ci dall'inventare le proprie parole chiave perI'argomento. Lo psicologo educativo KeithThiede, della Boise State University, insiemeai suoi colleghi, scopri che se uno studenteinventa da sé alcune parole chiave per rias-sumere un certo argomento il risultato è unamaggiore precisione metacognitiva.

Ma forse migliorare Ia metacognizionenon è sempre auspicabile: in certi scenari i ri-sultati possono essere traumatici. Un malatodi Alzheimer, per esempio, sarebbe con tut-ta probabilità fortemente turbato dalla pro-pria incapacità di ricordare. Gli avanzamentinel campo della metacognizione portano consé la necessità di affrontare dilemmi etici diquesto tipo.

Attraverso la lente della metacognizio-ne abbiamo percezione dei nostri pensieri e

delle nostre emozioni, ma il fuoco della lentee molto fragile. Una metacognizione distor-ta puo risultare in una scarsa conoscenza disé, e portare a conseguenti errori decisiona-li. In casi estremi, per esempio in presenza didisturbi psichiatrici, si puo non riuscire piu acollegarsi con Ia realtà sociale condivisa da-gli altri. Aggiustare il fuoco della lente po-trebbe essere Ia chiave per il miglioramen-to di certi aspetti misteriosi e devastanti dellemalattie psichiatriche. r

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