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SUSSIDIO PER I RITIRI SPIRITUALI Collana Sussidi - 37 «Ne costituì Dodici » (Mc 3,14) La fraternità presbiterale Ritiri spirituali per sacerdoti e diaconi nell’Anno pastorale 2016-2017 Diocesi di Treviso

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Collana Sussidi - 37

«Ne costituì Dodici»

(Mc 3,14)

La fraternità presbiterale

Ritiri spirituali per sacerdoti e diaconi

nell’Anno pastorale 2016-2017

Diocesi di Treviso

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AUTORE: Commissione diocesana per la formazione permanente del clero

TITOLO: «Ne costituì Dodici» (Mc 3,14). La fraternità presbiterale.Ritiri spirituali per sacerdoti e diaconi nell’Anno pastorale 2016-2017

COLLANA: Sussidi - 37

FORMATO: 13 x 21 cm

PAGINE: 144

ISBN: 978-88-99354-10-7

© 2016 Editrice San LiberaleOpera San Pio X - Diocesi di TrevisoVia Longhin 7 - 31100 TrevisoTelefono 0422 576850 - Fax 0422 576992E-mail: [email protected]

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IDIO

PER

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TIRI

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RITU

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Collana Sussidi - 37

«Ne costituì Dodici»

(Mc 3,14)

La fraternità presbiterale

Ritiri spirituali per sacerdoti e diaconi

nell’Anno pastorale 2016-2017

Diocesi di Treviso

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I testi della liturgia inseriti nella presente pubblicazione riproducono quelli approvati della Liturgia delle Ore; i brani evangelici sono ripresi dalla traduzione della Bibbia in lingua italiana approvata e pubblicata dalla CEI nel 2008.Alla composizione e stesura del testo hanno collabora-to: Pizzato don Luca, Chioatto don Stefano, Guidolin don Antonio e Pavone don Donato.

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Presentazione

Le tappe dell’itinerario

L’itinerario che condivideremo quest’anno vorrebbe aiu-tarci a mettere al centro della nostra preghiera il tema della fraternità presbiterale.L’esperienza della Collaborazioni Pastorali e il prossi-mo Cammino Sinodale ci chiedono infatti con sempre più urgenza di passare da una vocazione percepita come “mia”, ad una chiamata vissuta come nostra. La radice etimologica del termine comunione (cum-munus) ci orienta a pensare il proprio ministero pastorale come parte di un Presbiterio, come credenti che condividono una medesima grazia, un dono comune, che li trascende e li anticipa.Come di consueto, ad accompagnarci nel cammino sa-ranno non solo alcuni brani della Sacra Scrittura e dei documenti del Magistero riguardanti la vita e il ministero del prete, ma anche dei passi scelti da qualche libro di teo logia spirituale. Tutto il materiale proposto ha lo sco-po di offrire stimoli per la rifl essione personale.Il primo ritiro è dedicato alla chiamata dei Dodici. Se l’esperienza della chiamata è indubbiamente una realtà personale, non è mai una realtà individuale; il chiamato fi n da subito si scopre accanto ad altri, chiamato a cre-scere insieme nella comunione e nella missione: “Ne co-stituì Dodici”.Il secondo ritiro riguarda la fraternità presbiterale da vivere tra le diverse generazioni. I presbiteri non solo hanno doni e sensibilità diverse, ma anche età e quin-di esperienze diverse. Questa diversità non sempre viene valo rizzata, eppure intuiamo tutti la fecondità del travaso del l’esperienza da un lato e dell’accoglienza di nuove sen-sibilità dall’altro.

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Il terzo ritiro vuole aiutarci a considerare l’importanza di promuovere ed attuare forme concrete di fraternità, corre-sponsabilità e collaborazione. Siamo chiamati a crescere nella passione per l’unità e a scegliere di procedere insieme trovando il modo di superare anche i confl itti, affi nché di-vengano una preziosa occasione di crescita e conversione.L’ultimo ritiro mette al centro dell’attenzione di tutti la nuova fraternità sostenuta dal dono dello Spirito Santo. Vorremmo sostare sulle forme pratiche necessarie affi n-ché crescano e si manifestino la novità e la gioia che il Vangelo inaugura nelle comunità a cui siamo inviati, non nascondendoci la complessità delle situazioni che siamo chiamati ad affrontare.

La struttura del testo

Il presente sussidio, volutamente semplice, intende es-sere un agile ed utile strumento per la rifl essione, il di-scernimento e la preghiera. Il materiale ivi riportato è strutturato, ma soltanto quanto basta per sostenere la ricerca di ciascuno, alla quale niente e nessuno possono sostituirsi. Il libro si articola in sei capitoli. I primi quattro, che rac-colgono i testi per la meditazione e l’orazione dei preti che parteciperanno ai ritiri intervicariali, si strutturano nel seguente modo: 1. Adorazione eucaristica, con i brani, le orazioni e i can-

ti per l’adorazione del mercoledì sera.2. Brani biblici di riferimento, con le citazioni della

Scrittura per l’ascolto della Parola. 3. Testi per l’approfondimento, con frammenti di rifl es-

sione tratti da documenti del Magistero, dal Concilio ad oggi, libri di spiritualità, capaci di stimolare, soste-nere e alimentare il lavoro personale di discernimento e attualizzazione.

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Il quinto capitolo, poi, presenta il profi lo e gli scritti di Antonio Chevrier, Michele Pellegrino, Mario Bortoletto e Luigi Cecchin, che nella vita di tutti i giorni si sono dimo-strati annunciatori gioiosi e credibili del Vangelo.Il sesto capitolo, infi ne, raccoglie alcune preghiere da uti-lizzare in occasione dell’adorazione serale o della preghie-ra personale.

I ritiri intervicariali

I ritiri avranno inizio con la recita dei vespri del mercoledì sera e termineranno con il pranzo del giorno dopo. Quello che segue è il programma suggerito:

– Mercoledì sera: 19.00 preghiera dei vespri 19.30 cena 21.00 adorazione con breve intervento del predicatore 22.00 preghiera di compieta e benedizione eucaristica

– Giovedì mattina: 7.30 celebrazione delle lodi e dell’uffi cio delle letture 8.15 colazione 9.00 proposta di meditazione 9.50 tempo di preghiera personale e confessioni 11.45 condivisione spirituale (facoltativa) 12.15 preghiera dell’ora media 12.30 pranzo

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PRIMO RITIRO

Un ministero condiviso La chiamata dei Dodici (Mc 3,13-19)

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

1. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noicon il tuo Corpo che ci offri ancora;dona la fede nel gran Misteroai tuoi fedeli che si accostano a te.

Rit. Noi ti ringraziamo, Dio di salvezza, per tutto quello che tu dai a noi;

ogni giorno, riconoscenti, fa’ che ti lodiamo,fa’ che ti serviamo in umiltà. (2 v.)

2. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noinella tua Chiesa che trasformi in te;dona vigore nella speranzaai tuoi fedeli che si accostano a te. Rit.

3. Sei qui presente, Signore, in mezzo a noiin chi è solo e nella povertà;dona coraggio e forza d’amareai tuoi fedeli che si accostano a te. Rit.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Invito alla preghiera

Cel. Gesù risorto, pane spezzato davanti ai nostri occhi, anche oggi Tu ci parli e chiami per nome. Da Te im-pariamo il nostro vero nome.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

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Cel. Come il Padre ha amato Te, così Tu hai amato noi di amore infi nito.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Tu ci vuoi bene e vuoi il nostro bene.Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Ci ritroviamo pieni di stupore perché fatichiamo a credere che Tu ci ami così come siamo, con la nostra povertà e il nostro peccato.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Tu sei qui per noi, Tu cerchi proprio noi. Il tuo sguardo d’amore si posa su ciascuno di noi.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Il nostro cuore trabocca di gratitudine. Come pos-siamo ringraziarti? Come possiamo ricambiare il tuo amore? Tutto ciò che esiste è tuo.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. La nostra stessa vita viene da Te. Ecco, la mettiamo nelle tue mani.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Vogliamo rispondere con tutta la nostra persona alla vocazione per cui ci hai messi da parte prima ancora che venissimo al mondo.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Riconosciamo la sproporzione che c’è tra il nostro fragile essere e la missione che hai pensato per noi.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

Cel. Non confi diamo sulle nostre forze, ma ci affi diamo alla tua potenza.

Ass. Mio Dio, mi abbandono a Te.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Preghiera corale

Signore Gesù, noi ti ringraziamo perché, nel sacramento dell’Eucaristia, come un mendicante continui a bussare alla porta del nostro cuore. Ma poiché siamo coscienti che non dà frutti il nostro impegno se tu non sei con noi ed è vano il nostro agire pastorale se non scaturisce dall’intima comunione con te, così ti preghiamo: dona a noi, tuoi servi, la Grazia di accoglierti e adorarti, per poter essere veri missionari del tuo Vangelo. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

In ascolto della parola di Dio (MC 3,31-35)

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, manda-rono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stan-no fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fra-tello, sorella e madre».

Intervento del predicatore

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Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si può meditare avvalendosi anche del se-guente testo di sant’Agostino, vescovo.

I buoni pastori dell’unico Pastore

Cristo ti pasce come è giusto, con giudizio, e distingue le sue pecore da quelle non sue. Le mie pecore, egli dice, ascoltano la mia voce e mi seguono (cfr. Gv 10,27). Qui trovo tutti i buoni pastori come concretizzati nell’uni-co Pastore. Non mancano infatti i buoni pastori, ma tut-ti si trovano impersonati in uno solo. Sarebbero molti, se fossero divisi, ma qui si dice che è uno solo, perché viene raccomandata l’unità. Per questo solo motivo ora non si parla di pastori, ma dell’unico Pastore, non per-ché il Signore non trovi uno al quale affi dare le sue peco-re. Un tempo le affi dò, perché trovò Pietro. Anzi proprio nello stesso Pietro ha raccomandato l’unità. Molti erano gli apostoli, ma ad uno solo disse: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). Dio voglia che non manchino ai nostri giorni i buoni pastori; Dio non permetta che ne rimaniamo pri-vi; la sua misericordiosa bontà li faccia germogliare e li costituisca a capo delle chiese.Certo, se vi sono delle buone pecore, vi saranno anche buoni pastori; perché dalle buone pecore si formano i buoni pastori. Ma tutti i buoni pastori si identifi cano con la persona di uno solo, sono una sola cosa. In essi che pa-scolano, è Cristo che pascola. Gli amici infatti dello sposo non fanno risuonare la loro voce, ma esultano di gioia alla voce dello sposo. Perciò è lui stesso che pascola, quando essi pascolano, e dice: Sono io che pascolo, perché è in essi la sua voce, in essi il suo amore.Quando Cristo affi dò le pecorelle a Pietro, certo gliele af-fi dò come fa uno che le dà ad un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa sola con sé. Cristo capo affi da le pecorelle a Pietro, come fi gura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cri-

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sto e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa.Perciò per affi dargli le pecore, non come ad altri che a sé, che cosa gli chiede prima? Pietro, mi ami? E rispose: Ti amo. E di nuovo: Mi ami? E rispose: Ti amo. E per la terza volta: Mi ami? E rispose: Ti amo (cfr. Gv 21,15-17). Vuole renderne saldo l’amore per consolidarlo nell’unità con se stesso. Egli solo pertanto pascola nei pastori, ed essi pa-scolano in lui solo.Da una parte non si parla di pastori e nello stesso tem-po vengono menzionati. Si gloriano i pastori, ma: «Chi si vanta, si vanti nel Signore» (2Cor 10,17). Questo vuol dire pascere per Cristo, pascere in Cristo, non pascere per sé al di fuori di Cristo. Non certo per mancanza di pasto-ri. Quando Dio per bocca del profeta diceva: Pascolerò io stesso le mie pecorelle perché non trovo a chi affi darle, non intendeva preannunziare tempi tanto calamitosi da vederci privi di pastori. Infatti anche quando Pietro e gli stessi apostoli erano in questo corpo e in questa vita, egli, il solo che nella sua persona compendia tutti gli altri pa-stori, preannunziò parole consimili: «E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo con-durre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10,16). Cristo dunque è lui solo che pasce il gregge, ma lo fa impersonandosi nei singoli pastori.Tutti dunque si trovino nell’unico pastore, ed esprimano l’unica voce del pastore. Le pecore ascoltino questa voce e seguano il loro pastore, e non questo o quell’altro, ma uno solo. E tutti in lui facciano sentire una sola voce, non abbiano voci diverse. «Vi esorto, fratelli, ad essere tutti unanimi nel parlare perché non vi siano divisioni tra voi» (1Cor 1,10). Questa voce purifi cata da ogni divisione e da ogni eresia, ascoltino le pecore e seguano il loro pastore che dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce... ed esse mi seguono» (Gv 10,27).

AGOSTINO, Discorso sui pastori (Disc. 46, 29-30; CCL 41, 555-557)

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Preghiera di Compieta

INNO

Gesù, luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo. In te, santo Signore, noi cerchiamo il riposo dall’umana fatica, al termine del giorno. Se i nostri occhi si chiudono, veglia in te il nostro cuore; la tua mano protegga coloro che in te sperano. Difendi, o Salvatore, dalle insidie del male i fi gli che hai redenti col tuo sangue prezioso. A te sia gloria, o Cristo, nato da Maria vergine, al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

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Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

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Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

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Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

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Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

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Antifona mariana

Sub tuum præsidium confugimus, sancta Dei Genitrix; nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus; sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,santa Madre di Dio:non disprezzare le supplichedi noi che siamo nella prova,e liberaci da ogni pericolo,o Vergine gloriosa e benedetta.

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2. Brani biblici di riferimento

Libro dell’Esodo (18,13-27)

Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fi no alla sera. Allora il suocero di Mosè, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: «Che cos’è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?». Mosè rispose al suocero: «Perché il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l’uno e l’altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi». Il suocero di Mosè gli disse: «Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; non puoi attendervi tu da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini vali-di che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità, per costituirli sopra di loro come capi di migliaia, capi di cen-tinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà u-na questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e Dio te lo ordina, potrai resistere e anche tutto questo popolo arriverà in pace alla meta».

Mosè diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito. Mosè dunque scelse in tutto Israele uo-

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mini validi e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di de-cine. Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari diffi cili li sottoponevano a Mosè, ma giudi-cavano essi stessi tutti gli affari minori. Poi Mosè congedò il suocero, il quale tornò alla sua terra.

Vangelo di Marco (3,7-19)

Gesù, intanto, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Geru-salemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiac-ciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti ave-vano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.

Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò aposto-li –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, fi glio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «fi gli del tuono»; e An-drea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, fi -glio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.

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Prima lettera di Paolo ai Corinti (4,1-13)

Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministrato-ri è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustifi ca-to. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fi no a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le inten-zioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profi tto, perché impariate dalle nostre persone a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfi ate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?

Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi po-tremmo regnare con voi. Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo per-cossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo la-vorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; persegui-tati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifi uto di tutti, fi no ad oggi.

Per la meditazione personale

Dt 1,9-18 Sal 133 Lc 9,1-6.10-17 Rm 8,28-39

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3. Per l’approfondimento

Dall’esortazione apostolica Pastores dabo vobis di Giovanni Paolo II

17. Il ministero ordinato, in forza della sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il pre-sbitero è unito a Cristo mediante l’inserimento sacra-mentale nell’ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione gerarchica con il proprio vescovo. Il ministero ordinato ha una radicale «forma comuni-taria» e può essere assolto solo come «un’opera col-lettiva». Su questa natura comunionale del sacerdo-zio si è soffermato a lungo il Concilio, esaminando distintamente il rapporto del presbitero con il pro-prio vescovo, con gli altri presbiteri e i fedeli laici.

Il ministero dei presbiteri è innanzitutto comunio-ne e collaborazione responsabile e necessaria al mi-nistero del vescovo, nella sollecitudine per la chiesa universale e per le singole chiese particolari, a ser-vizio delle quali essi costituiscono con il vescovo un unico presbiterio [...].

18. [...] Inoltre, proprio perché all’interno della vita della chiesa è l’uomo della comunione, il presbitero dev’essere, nel rapporto con tutti gli uomini, l’uomo della missione e del dialogo. Profondamente radicato nella verità e nella carità di Cristo, e animato dal desi-derio e dall’imperativo di annunciare a tutti la salvez-za, egli è chiamato ad intessere rapporti di fraternità, di servizio, di comune ricerca della verità, di promo-zione della giustizia e della pace, con tutti gli uomini.

[...] Oggi, in particolare, il prioritario compito pasto-rale della nuova evangelizzazione, che investe tut-

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to il popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuo-vi metodi e una nuova espressione per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti ra-dicalmente e integralmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale, segnato dalla profonda comunione con il papa, i vescovi e tra di loro, e da una feconda colla-borazione con i fedeli laici, nel rispetto e nella pro-mozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all’in-terno della comunità ecclesiale [...].

43. [...] Di particolare importanza è la capacità di relazione con gli altri, elemento veramente essen-ziale per chi è chiamato a essere responsabile di una comunità e a essere «uomo di comunione». Questo esige che il sacerdote non sia né arrogante né liti-gioso, ma sia affabile, ospitale, sincero nelle parole e nel cuore, prudente e discreto, generoso e disponi-bile al servizio, capace di offrire personalmente, e di suscitare in tutti, rapporti schietti e fraterni, pron-to a comprendere, perdonare e consolare (cfr. anche 1Tm 3,1-5; Tt 1,7-9). L’umanità di oggi, spesso con-dannata a situazioni di massifi cazione e di solitudi-ne, soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane, si fa sempre più sensibile al valore della comunione: questo è oggi uno dei segni più eloquenti ed una del-le vie più effi caci del messaggio evangelico.

Da Mi ami più di costoro? Regola di vita per il presbiterio diocesano

28. Ci sono atteggiamenti e operazioni che fondano relazioni costruttive. Pensiamo, ad esempio, all’im-portanza del riconoscimento reciproco per come si è; all’ospitalità generosa nel nostro cuore e nella no-

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stra vita dell’altro con i suoi bisogni; alla comunica-zione che, pur autorevole, è aperta e fi duciosa; alla disponibilità a collaborare condividendo gli obiettivi e lasciando spazio ad ognuno; alla solidarietà affi da-bile e costruttiva. Se il prete si esercita in questi de-cisivi atteggiamenti, grazie al ministero cresce nella santità, cioè in una carità pastorale e verginale sem-pre più purifi cata.

30. Le relazioni umane più importanti per un prete diocesano sono quelle con il vescovo e con tutti i con-fratelli. Lo stile di rapporti che Gesù indicò al gruppo dei dodici può animare la comunità del presbiterio attorno al vescovo. Come per gli apostoli attorno a Gesù, così per il sacerdote il presbiterio è la “nuova famiglia” non generata da carne e da sangue, ma dal-lo Spirito Santo (cfr. Mc 3,331-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21). Perciò il presbiterio, fondato sulla grazia del sacramento dell’Ordine sacro, è il luogo più con-creto per crescere nelle virtù della relazione fraterna.

32. Il sacramento dell’Ordine sacro e l’identica mis-sione della Chiesa rendono, nel presbiterio, tutti fra-telli senza differenze e senza esclusione di nessuno.

1) La condivisione della preghiera, dell’ascolto della parola di Dio e della celebrazione dell’Eucaristia o-gni volta che ne abbiamo l’opportunità, alimenta la fraternità tra preti.

2) La fraternità si concretizza nella comunione di vita e ministero secondo le forme e le misure pos-sibili. Le collaborazioni pastorali, sulle quali stiamo impostando la vita e la pastorale delle comunità cri-stiane, hanno bisogno di sacerdoti che, per primi, sappiano volersi bene e lavorare insieme. Questa è una prospettiva di conversione alla quale il Signore ci chiama senza incertezze.

3) Là dove i preti possono vivere insieme, la cano-nica deve essere la casa di tutti con un’organizzazio-

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ne della vita che favorisca la comunione e la colla-borazione. La preghiera comune, la fedeltà ai pasti, i momenti di programmazione e verifi ca, l’uso comu-ne dei mezzi sono impegni per ognuno e sono segni concreti di fraternità.

4) Vanno valorizzate tutte le occasioni di comunio-ne tra preti (congreghe, pranzi in comune, incontri di studio del Vangelo, incontri tra amici e compa-gni di classe...), impegnandosi in prima persona a sostenerle.

Da Ai presbiteri di Enzo Bianchi

Il presbitero è un «servo della comunione ecclesia-le»: questo è il suo compito, unitamente al ministe-ro dell’evangelizzazione. Ma il presbitero è anche impegnato in una comunione precisa e particolare, quella con l’intero presbiterio presieduto dal vesco-vo. Non si dimentichi mai che nella cattolica è pre-sente il ministero apostolico, dono meraviglioso fat-to da Cristo alla sua chiesa, ministero che non si è esaurito con la morte degli apostoli, dal momento che essi hanno trasmesso la loro funzione ad altri credenti incaricati, quali loro successori, di pascere il gregge di Dio loro affi dato (cfr. At 20,28; 1Pt 5,2). Vescovi e presbiteri sono nella catholica, oggi, quel-li che svolgono questo servizio apostolico, e in ogni chiesa locale voi presbiteri, sebbene destinati a mini-steri diversifi cati, costituite con il vostro vescovo un unico presbiterio. Ogni chiesa locale è dunque anche il luogo della koinonia presbiterale: comunione dei presbiteri tra di loro, comunione tra vescovo e pre-sbiteri.

Non si può essere servi della comunione nella co-munità cristiana senza esercitarsi continuamente

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in quest’arte della comunione all’interno del presbi-terio. Soprattutto oggi, acquisita la consapevolezza dell’ecclesiologia di comunione, non si può «vivere la chiesa» senza intensifi care, continuamente rin-novare, rendere trasparente e visibile la comunione intra-presbiterale. E ciò va manifestato non tanto e non solo a livello di una logica di collegialità, ma soprattutto tramite una logica di sinodalità, cammi-nando insieme nella storia, verso il Regno.

Anche tra vescovo e presbiteri ciò che più conta è la possibilità di costruire relazioni improntate all’a-more: voi presbiteri dovrete trovare nel vescovo un fratello maggiore, un padre, un amico leale, dove-te avere sempre la possibilità di accedere a lui, di essere da lui ascoltati, di vivere con lui la solleci-tudine apostolica e le consolazioni del ministero. Solo così potrete accettare gioiosamente di essere confermati nella fede e nella vocazione, di essere obbedienti al vescovo e al suo discernimento per la costruzione della chiesa, di trovare presso di lui mi-sericordia. Il vescovo, dal canto suo, non dovrebbe mai dimenticare che egli presiede certamente tutta la chiesa locale, nella sua composizione di presbite-rio e fedeli, ma che la sua prima cura deve andare ai presbiteri [...].

Camminare insieme, vivere la sinodalità, questa è la sfi da cui la chiesa nei prossimi decenni sarà chiamata per vivere autenticamente la comunione: camminare insieme come cristiani, camminare in-sieme fedeli e presbiteri, presbiteri e vescovo, vesco-vi e vescovo di Roma... Solo una chiesa «sinodale» sarà un’autentica comunione, a immagine della co-munione divina trinitaria, in cui unità e differenza non sono contraddittorie ma essenziali a una comu-nione plurale!

(E. BIANCHI, Ai presbiteri, Qiqajon, Magnano (BI) 2004, pp. 57-60).

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SECONDO RITIRO

Dentro una tradizione di presbiterio La scelta di Mattia per il collegio apostolico (At 1,12-26)

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

1. Adoro te devote, latens Déitas, quæ sub his fi guris vere latitas: tibi se cor meum totum subjicit, quia te contemplans totum defi cit.

2. Visus, tactus, gustus in te fállitur, sed auditu solo tuto créditur: credo quidquid dixit Dei Fílius: nil hoc verbo veritatis vérius.

3. In cruce latebat sola Déitas, at hic latet simul et humánitas: ambo tamen credens atque cónfi tens, peto quod petivit latro pænitens.

4. Plagas, sicut Thomas, non intúeor: Deum tamen meum te confíteor: fac me tibi semper magis crédere, in te spem habére, te dilígere.

5. O memoriale mortis Domini, Panis vivus, vitam præstans homini: præsta meæ menti de Te vivere, et Te illi semper dulce sapere.

6. Pie pellicane Iesu Dómine, me immundum munda tuo sánguine cuius una stilla salvum fácere totum mundum quit ab omni scélere.

7. Iesu, quem velatum nunc aspício, oro fi at illud quod tam sítio:

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ut te revelata cernens fácie, visu sim beatus tuæ gloriæ. Amen.

1. Come uno che l’amore rende pronto, io Ti adoro, o Dio che ti nascondi e in questi simboli a noi vero ti dai, inafferrabile. In-teramente a te si sottomette il cuore: ché troppo sei grande, e vinci ogni sua forza di penetrazione.

2. Se mi lascio guidare da ciò che vedo, o tocco, o gusto, io cado nell’inganno. Posso soltanto udire: mi basta, a dare sicurezza alla mia fede. Tutto quello che il Figlio di Dio disse, io lo credo: di questa tua parola di verità, nulla è più vero.

3. Quando fosti crocifi sso, il divino era nascosto; ma qui, anche l’umano tuo ci vien sottratto. E proprio qui, l’uno e l’altro cre-dendo e proclamando, ti faccio anch’io la preghiera del ladrone in pentimento.

4. Neppure, come a Tommaso, mi è dato di scrutare le tue piaghe; e, nonostante, ti rendo confessione: “Sei tu il mio Dio!”. Fa’ che a te sempre di più io creda, e in te abbia speranza, e che ti ami.

5. O memoriale della morte del Signore! O pane vivo che all’uomo vai donando vita! Fammi un dono: viva di te l’anima mia, e sem-pre abbia gusto per te, come per un sapore grato.

6. La tua tenera e santa dedizione, Gesù Signore, giunge a donare interamente il sangue. Di questo sangue, anche una goccia pic-cola è in grado di salvare il mondo intero. Con questo sangue fai nettezza in me! Sono un immondezzaio.

7. Ti sto guardando, Gesù, che ti sei messo un velo. Sono assetato; e ti faccio una preghiera: fi ssare quel tuo volto d’uomo e senza più schermi ormai; e, dal veder direttamente la tua divina glo-ria, tutto restarne beatifi cato. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Invito alla preghiera

Cel. Figlio di Dio, tu sei la via: noi seguiamo te. Tu sei la verità: noi crediamo in te. Tu sei la vita: noi vi-viamo per te. Consapevoli che la nostra fede, che confessiamo con convinzione e passione, è fragile e debole, ti chiediamo con umiltà e fi ducia: Aiutaci, Signore, e salvaci!

Ass. Aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Cristo Gesù, tu che sei diventato come noi e hai par-tecipato alla nostra natura umana:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Tu che, mediante la tua morte, ci hai liberato dalla paura di cadere nel nulla eterno:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Tu che sei diventato in tutto simile a noi per essere per noi un sommo sacerdote misericordioso:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Tu che hai patito per noi e ci hai lasciato il tuo esem-pio perché ne seguiamo le orme:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Tu che hai provato la tentazione e sperimentato la fatica di portare la croce:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Tu che ti sei consegnato completamente alla volontà del Padre, fi dandoti del suo amore provvidente:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

Cel. Tu che hai dato la vita per il regno di Dio e la sua giustizia:

Ass. aiutaci, Signore, e salvaci!

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Preghiera corale

La nostra pace tu sei, o Signore, l’inimicizia antica è distrutta: di due hai fatto un popolo solo su tutti stende le braccia la croce. Per questo ti preghiamo: la comunione sempre più intensa al mistero della tua presenza ci faccia crescere e maturare nella tua armonia; e tutti, come un solo essere, fa’ che tendano a te le loro braccia per essere inondati della tua luce e manifestarti sulla terra. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

In ascolto della parola di Dio (2TM 1,1-14)

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, fi glio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.

Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno. Mi tornano alla mente le tue la-crime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce, e che ora, ne sono certo, è anche in te.

Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di ca-

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rità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testi-monianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il su-o progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fi n dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la mani-festazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo, per il quale io sono stato costituito mes-saggero, apostolo e maestro.

È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergo-gno: so infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fi no a quel giorno ciò che mi è stato affi dato. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Ge-sù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affi dato.

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale è possibile rifl ettere avvalendosi dei se-guenti passi dell’omelia del card. Stella in occasione del ritiro per sacerdoti (Riese Pio X, 29 settembre 2014).

La comunione nella fraternità sacerdotale

La comunione è essenziale per la vita ordinaria, della Chiesa e di ogni presbiterio, e in modo particolare quella tra i sacerdoti, che si fonda su una realtà sacramentale, in quanto, con l’ordinazione sacerdotale, siamo tutti confi -

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gurati a Cristo, unico Sacerdote e Capo della Chiesa. Con i Vescovi di cui sono collaboratori, i presbiteri sono una cosa sola in Cristo.Come si può far sì che questa esigenza del nostro essere sacerdoti sia concreta e visibile? Certo, essa si manifesta innanzitutto nella collaborazione pastorale, agendo come membri di un unico presbiterio, aiutandoci a vicenda, cer-cando insieme i modi per annunciare il vangelo oggi, sin nelle più remote periferie. Un tale orizzonte e intento di fondo non dovrebbe mai mancare nelle nostre program-mazioni pastorali.Tuttavia, occorre essere attenti a non considerare la co-munione solo come una forma strutturata di collaborazio-ne; essa si fonda sul sacramento dell’Ordine e genera una vera “fraternità sacramentale” (PO, 8). Occorre, pertanto, che l’unità si manifesti nella quotidianità e che la frater-nità sacerdotale penetri nel nostro “fare”. Occorre unire le nostre forze per coltivare insieme, e meglio, il campo del Signore, ma è necessario unire anche le nostre vite, per sentirci una vera “famiglia sacerdotale”, dove i giovani collaborano con gli anziani e i sani aiutano i malati.L’essere celibi è una vocazione da parte del Signore, ma non ci deve portare a diventare “solitari” o, peggio, “in-dividualisti”. La possiamo coltivare dentro quegli spazi di solitudine e di perseverante capacità di stare alla presenza del Signore nel raccoglimento [...].Consolidati così nella nostra vocazione personale, esisto-no varie modalità per tradurre in pratica con i confratelli la fraternità sacramentale. La prima consiste nell’incon-trarsi spontaneamente, soprattutto per condividere la Pa-rola di Dio e pregare insieme, ma anche per condividere soddisfazioni e fatiche, magari a tavola, durante i pasti, che rendono più facile e immediata la condivisione, giova-ni e anziani insieme.Come in ogni famiglia, infatti, anche tra noi sacerdoti ci sono quegli anziani, per cui il Santo Padre ha varie volte espresso la sua sollecitudine; la fraternità che ci unisce

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non è legata all’età, pertanto è bene che essa si traduca anche nell’accogliere i confratelli anziani, che hanno dato tanto alla loro Chiesa e che possono costruire un “tesoro” di esperienza pastorale e spirituale.Anche la direzione spirituale tra preti è un’altra forma squisita della fraternità sacerdotale. Ogni sacerdote mette a servizio del fratello la propria grazia sacerdotale per so-stenerlo, aiutarlo a crescere nella sua dedizione a Cristo e alla Chiesa. Si tratta di un ministero fondamentale, sia tra noi sacerdoti, che da offrire ai fedeli. È auspicabile che in tale fraternità trovi posto anche un frequente ricorso al ministero della riconciliazione, per donarsi a vicenda la misericordia di Dio. La misericordia, ovviamente, non deve mai mancare anche nei rapporti quotidiani tra sa-cerdoti, attraverso un perdono reciproco e profondo, sen-za strascichi di risentimento, che permetta di andare ol-tre gli screzi e le incomprensioni, inevitabili anche nelle migliori famiglie.

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Preghiera di Compieta

INNO

Al termine del giorno, o sommo Creatore, veglia sul nostro riposo con amore di Padre.

Dona salute al corpo e fervore allo spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte.

Nel sonno delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell’alba intoni la tua lode.

Sia onore al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio trino ed unico nei secoli sia gloria. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

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Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

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Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

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Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

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Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

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Antifona mariana

Salve, Regina, dolce madre nostra tutta bontà, tutta clemenza e amor a te gemendo l’anima si prostra, sola speranza all’umano dolor, a te gemendo l’anima si prostra, sola speranza all’umano dolor. Orsù, quegli occhi tuoi, dolce Maria, pieni d’amor a noi rivolgi tu, sì che si sveli nella patria, o pia, il puro fi or del tuo seno, Gesù! Sì che si sveli nella patria, o pia, il puro fi or del tuo seno, Gesù!

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2. Brani biblici di riferimento

Libro di Giosuè (1,1-9)

Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, fi glio di Nun, aiutante di Mosè: «Mosè, mio servo, è morto. Ora, dunque, attraversa questo Giordano tu e tut-to questo popolo, verso la terra che io do loro, agli Israeli-ti. Ogni luogo su cui si poserà la pianta dei vostri piedi, ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè. Dal deserto e da questo Libano fi no al grande fi ume, l’Eufrate, tutta la terra degli Ittiti, fi no al Mare Grande, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confi ni. Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò né ti abbandonerò.

Sii coraggioso e forte, poiché tu dovrai assegnare a questo popolo la terra che ho giurato ai loro padri di dare loro. Tu dunque sii forte e molto coraggioso, per osservare e mettere in pratica tutta la legge che ti ha prescritto Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, e così avrai successo in ogni tua impresa. Non si allontani dalla tua boc-ca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fi ne il tuo cammino e avrai successo. Non ti ho forse comandato: “Sii forte e coraggioso”? Non aver pau-ra e non spaventarti, perché il Signore, tuo Dio, è con te, do-vunque tu vada».

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Libro degli Atti degli Apostoli (1,12-26)

Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli U-livi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permes-so in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolo-meo e Matteo, Giacomo fi glio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda fi glio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Ma-ria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.

In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli – il nume-ro delle persone radunate era di circa centoventi – e disse: «Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella Scrit-tura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide ri-guardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è divenuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue”. Sta scritto infatti nel libro dei Salmi:

La sua dimora diventi deserta e nessuno vi abiti, e il suo incarico lo prenda un altro.

Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fi no al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimo-ne, insieme a noi, della sua risurrezione».

Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannomi-nato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e aposto-lato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava». Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

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Prima lettera di Paolo ai Corinti (3,1-23)

Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non sie-te forse carnali e non vi comportate in maniera umana?

Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qual-cosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga so-no una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricom-pensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edifi cio di Dio.

Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sag-gio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi co-struisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quel-lo che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fi eno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di cia-scuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcu-no fi nirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salve-rà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapien-te in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo

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della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani.

Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tut-to è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Per la meditazione personale

Dt 31,1-8

1 Re 19,9-21

Sir 2,1-23

Ef 3,1-3

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3. Per l’approfondimento

Dal decreto Presbyterorum Ordinis del Concilio ecumenico Vaticano II

8. Tutti i presbiteri, costituiti nell’ordine del pre-sbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti fra lo-ro da un’intima fraternità sacramentale; ma in mo-do speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio vescovo [...] È chiaro che tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l’edifi cazione del Corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamen-ti, soprattutto in questi tempi. Pertanto è oltremo-do necessario che tutti i presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda in modo da essere co-operatori della verità.

Di conseguenza ciascuno è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità: il che vie-ne rappresentato liturgicamente fi n dai tempi più antichi nella cerimonia in cui i presbiteri assisten-ti all’ordinazione sono invitati a imporre le mani, assieme al vescovo che ordina, sul capo del nuovo eletto, o anche quando celebrano unanimi la sacra eucaristia. Ciascuno dei presbiteri è dunque legato ai confratelli col vincolo della carità, della preghiera e della collaborazione nelle forme più diverse, ma-nifestando così quell’unità con cui il Cristo volle che i suoi fossero una cosa sola, affi nché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre.

Per tali motivi, i più anziani devono veramente trat-tare come fratelli i più giovani, aiutandoli nelle pri-me attività e responsabilità del ministero, sforzan-

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dosi di comprendere la loro mentalità, anche se dif-ferente, e guardando con simpatia le loro iniziative. I giovani, a loro volta, abbiano rispetto per l’età e l’esperienza degli anziani, sappiano studiare insieme ad essi i problemi riguardanti la cura d’anime e col-laborino volentieri.

Animati da spirito fraterno, i presbiteri non trascuri-no l’ospitalità, pratichino la benefi cenza e la comu-nità di beni, avendo speciale cura di quanti sono in-fermi, affl itti, sovraccarichi di lavoro, soli, o in esilio, nonché di coloro che soffrono la persecuzione. È be-ne che si riuniscano volentieri per trascorrere assie-me qualche momento di distensione e riposo, ricor-dando le parole con cui il Signore stesso invitava gli apostoli stremati dalla fatica: “Venite in un luogo de-serto a riposare un poco” (Mc 6,31). Inoltre, per far sì che i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collabora-re più effi cacemente nel ministero, ed eventualmen-te evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggia-ta fra di essi una certa vita comune o una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni per-sonali o pastorali: può trattarsi cioè di coabitazione, là dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni.

[...] Infi ne, sappiano i presbiteri che, a causa della partecipazione al medesimo sacerdozio, essi sono specialmente responsabili nei confronti di coloro che soffrono qualche diffi coltà; procurino dunque di aiutarli a tempo, anche con un delicato ammo-nimento, quando ce ne fosse bisogno. E per quanto riguarda coloro che fossero caduti in qualche man-canza, li trattino sempre con carità fraterna e com-prensione, preghino per loro incessantemente e si mostrino in ogni occasione veri fratelli ed amici.

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Omelia della missa crismale di papa Francesco (5 aprile 2007)

La Chiesa ci invita a guardare al nostro sacerdozio con lo stesso sguardo del popolo semplice e creden-te. [...] A volte, nel mettere il cuore qui, in mez-zo all’Assemblea Santa, in mezzo al nostro popo-lo fedele, la nostra coscienza sacerdotale recupera la memoria dell’unzione, qui “rivive in noi il dono di Dio”, ricevuto con l’imposizione delle mani, qui sentiamo la nostra appartenenza e ridiventano netti i tratti della nostra identità sacerdotale.

Siamo unti: lo sappiamo ancora di più se guardia-mo con umiltà Gesù e ci lasciamo guardare dagli occhi saggi del nostro popolo. Questi occhi mendi-canti del nostro popolo fedele che non permettono che la nostra coscienza si isoli in alcuna forma set-taria di auto-unzione elitaria o eticista senza bon-tà. Questi occhi riconoscenti del nostro popolo fe-dele che ci premiano con la gratitudine ogni volta che lo serviamo con affetto e generosità e non per-mettono che fi ssiamo il nostro sguardo né su nessu-na gerarchia né su capricci mondani. Questi occhi del nostro popolo fedele, che hanno sofferto, che ci spingono al lavoro, a una vita laboriosa e alimenta-no il nostro fervore apostolico riscattandoci da ogni pigrizia borghese, l’ “olio cattivo” che unge paraliz-zandoci nel narcisismo e nella comodità. Questi oc-chi pazienti del nostro popolo fedele che tante vol-te ci supplica di aiutarlo a curare le sue divisioni, quelle che distruggono amicizie e famiglie, e – in questa richiesta di unità – ci fanno sentire come an-che le lacerazioni tra noi, lo spirito lagnoso, la mal-dicenza e le critiche che ci rendono meno fratelli sono frutto dell’”olio cattivo”. Questi occhi ricchi di pietà del nostro popolo fedele che guardano e ado-rano Gesù sacramentato, che contemplano l’imma-

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gine della Vergine come rifugiandosi nella sua ma-ternità protettrice, questi occhi devoti ci supplicano che il nostro cuore sacerdotale sia orante e adora-tore. Quando noi ci lasciamo ungere dallo sguardo del nostro popolo e ci prepariamo a dargli l’unzione con dedizione, rivive la prima unzione sacerdotale che abbiamo ricevuto con l’imposizione delle mani e partecipiamo della bellezza di questo olio di letizia con cui fu unto il Figlio prediletto.

Il prete, uomo per questo tempo

Il prete è un uomo di sincera obbedienza al suo ve-scovo. Non gestisce in proprio il suo ministero, il su-o sacerdozio. Sa di vivere un servizio, di essere man-dato dove già altri in precedenza hanno sofferto e pregato e di dover consegnare a sua volta, ad altri, il frutto del suo lavoro. è come colui che passa, fa-cendo del bene, perché solo Gesù rimane. Per que-sto ha stima e attenzione per il sacerdozio del suo vescovo, del quale è fatto partecipe. Ha il gusto della comunione ecclesiale con il vescovo e del vescovo col papa, senza idealizzazioni inutili e fanatiche. Sa, invece, che il vescovo lo inserisce nella comunione apostolica e lo unisce a Gesù Cristo. Vive per lui un sincero affetto e una sincera obbedienza.

Il prete è un uomo capace di servire perché attento collaboratore dei suoi fratelli nel ministero. La con-cordia deve essere il desiderio di tutti i preti, da per-seguire anche a costo di una minore operatività. La capacità di collaborazione è un altro segno positivo della vocazione. È un uomo di pronta disponibilità a una progettualità più ampia. Accoglie i piani pasto-rali, si sforza di attuarli, non si innervosisce se non riesce a fare tutto.

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Il prete è un uomo libero rispetto al successo e al fal-limento. Per questo è capace di servire, senza cedere allo scoraggiamento e senza lasciare che orgoglio, presunzione o vanità si impadroniscano del suo cuo-re. Questa è una grande gioia.

[...] Il prete favorisce l’unità oltre ogni divisione. È capace di fare il primo passo per andare incontro a-gli altri. Talora può essere molto diffi cile, ma il prete è colui che dimentica il torto subito ed è libero dai risentimenti: è uomo di comunione. per questo riu-scire a tenere insieme la propria comunità è una ve-rifi ca importante per ogni prete.

Mandato dal Signore, il prete saprà annunciare non se stesso, ma Colui che lo ha mandato. Avrà a cuore di annunciare il Vangelo, anche se incontra la con-traddizione. Il prete è uno che ha creduto al Vangelo. Trasmetterà lo Spirito di Gesù, Spirito che promuo-ve la vivacità delle esperienze. Non è un uomo comu-ne, non è represso, deluso. È capace, per sé e per gli altri, di arricchire la propria comunità, diffondendo e alimentando la vita spirituale. Il prete prega, vive, trasmette e fa circolare lo Spirito di Gesù. Il prete conosce la croce: sa che la misura dell’amore di Gesù arriva fi no a lì.

(S. PAGANI, Tra Gesù e la gente. Il prete, uomo per questo tem-po, V&P, Milano 2005, pp. 41-42)

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TERZO RITIRO

Con stile fraterno L’assemblea di Gerusalemme (At 15,1-35)

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

Cristo Gesù, Salvatore, tu sei parola del Padre, qui ci raduni insieme, tu. Qui ci raduni insieme.

Cuore di Cristo Signore, tu cambi il cuore dell’uomo, qui ci perdoni e salvi, tu. Qui ci perdoni e salvi.

Luce che rompe la notte, noi ti cerchiamo feriti, a te volgiamo gli occhi, a te. A te volgiamo gli occhi.

Pane spezzato alla cena, corpo del Cristo vivente, in te restiamo uniti, in te. In te restiamo uniti.

Vino versato ai discepoli, sangue di un Dio crocifi sso, in te la nostra gioia, in te. in te la nostra gioia.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Invito alla preghiera

Cel. Signore, dona ai tuoi sacerdoti un cuore puro, capace di amare te solo con la pienezza, con la gioia, con la profondità che tu solo sai dare, quando sei l’esclusivo, il totale oggetto dell’amore di un cuore umano.Ass. Un cuore puro, che non conosca il male se non per defi nirlo, combatterlo e fuggirlo. Un cuore puro, come quello di un fanciullo, capace di entusiasmarsi e di trepidare.

Cel. Signore, da’ a questi tuoi ministri un cuore grande, aperto ai tuoi pensieri e chiuso ad ogni meschina ambizione, ad ogni miserabile competizione umana.Ass. Un cuore grande, capace di uguagliarsi al tuo e di contenere dentro di sé le proporzioni della Chiesa, le proporzioni del mondo, capace di tutti amare, di tutti servire, di tutti essere interprete.

Cel. Signore, un cuore forte, pronto e disposto a sostenere ogni diffi coltà, ogni tentazione, ogni debolezza, ogni noia, ogni stanchezza, e che sappia con costanza, con assiduità, con eroismo servire il ministero che tu affi di a questi tuoi fi gli fatti identici a te.Ass. Un cuore, Signore, capace veramente di amare cioè di comprendere, di accogliere,

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di servire, di sacrifi carsi, di essere beato nel palpitare dei tuoi sentimenti e dei tuoi pensieri. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

Preghiera corale

O Signore tu ci doni il sacramento della nuova ed eterna alleanza che per la tua misericordia hai stipu-lato con noi.

Fa’, ti preghiamo che in virtù di questo sacramento possiamo diventare ciò che già siamo e dobbiamo es-sere: persone nelle quali la presenza della tua grazia trova un segno per rivelarsi e operare in coloro ai quali dobbiamo prestare il nostro servizio.

Ciò che celebriamo nel culto e nell’adorazione di questo sacramento, fa’ che si compia e si celebri, in virtù della tua grazia, nella nostra vita. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

In ascolto della parola di Dio (MT 18,15-22)

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guada-gnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo al-la comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

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In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si mette-ranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fra-tello commette colpe contro di me, quante volte dovrò per-donargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fi no a sette volte, ma fi no a settanta volte sette».

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si possono riprendere le seguenti rifl essio-ni di W. Breuning e K. Hemmerle, tratte da «Presbiteri: vivere non sopravvivere».

Vivere l’unità nel presbiterio

Uno potrebbe volgersi unicamente verso la comunità che gli è stata affi data e dire: “È qui che la chiesa mi è più prossima”. È vero! E quanto segue non signifi ca che vi sarebbe una chiesa di chierici, una comunità speciale di amici di Cristo. Ma la comunione con i confratelli e con il vescovo fa ugualmente parte della chiesa, di quella chiesa che noi viviamo in modo immediato e concreto. Senza la comunione dei presbiteri le nostre comunità non possono diventare “comunione”; se non siamo originati dalla “co-munione” e non siamo radicati in essa, nessuna comunio-ne potrà nascere e crescere a partire dal nostro ministero!Il mio lavoro, in quanto mio lavoro, resterà una pura idea e un progetto individuale fi nchè non prenderà vita nella chiesa come realtà vivente in cui sono inserito. Essa appare

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talora come una realtà che fa resistenza, ma è proprio così che conduce alla verità, una verità che rende liberi. Con le mie sole idee, non posso fare esperienza della vita. Con altri uomini, lo posso. Ma non cercherò solamente perso-ne sulla mia stessa lunghezza d’onda. La chiesa fatta dai miei confratelli e dal vescovo mi impedisce di considerare la chiesa come una questione di gusto, di stile, di scelta. Ecco perché vivere l’unità nel presbiterio è più importante che lasciarmi assorbire, da solo, dal mio lavoro.[...] Giovanni Paolo II parlava di una collegialitas affectiva et effectiva dei vescovi. Questa collegialità deve prolungar-si in una fraternitas affectiva et effectiva dei presbiteri, in una fraternità tanto cordiale e umana quanto concreta e attiva. È una cosa che si invera molto spesso: il tempo che il prete si prende per i suoi confratelli è, in defi nitiva, tem-po dato alla sua comunità, a coloro che gli sono affi dati. (W. BREUNING - K. HEMMERLE, Presbiteri: vivere non sopravvivere, Qiqa-jon, Magnano 2012, pp. 24-25 e 27-28).

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Preghiera di Compieta

INNO

Rit. Nella notte, o Dio, noi veglieremo, con le lampade, vestiti a festa: presto arriverai e sarà giorno.

Rallegratevi in attesa del Signore:improvvisa giungerà la sua voce.Quando lui verrà sarete prontie vi chiamerà “amici” per sempre. Rit.

Raccogliete per il giorno della vita,dove tutto sarà giovane in eterno.Quando lui verrà sarete prontie vi chiamerà “amici” per sempre. Rit.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (Lc 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

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Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

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Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

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luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’

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che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

Antifona mariana

Alma Redemptoris Mater, quæ pervia caeli porta manes, et stella maris, succurre cadenti, surgere qui curat, populo: tu quæ genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem,

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Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore sumens illud Ave, peccatorum miserere.

O santa Madre del Redentore, porta dei cieli, stella del mare, soccorri il tuo popolo che anela a risorgere. Tu, che accogliendo il saluto dell’angelo, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine, pietà di noi peccatori.

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2. Brani biblici di riferimento

Vangelo di Marco (10,35-45)

Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i fi gli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quel-lo che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel batte-simo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Libro degli Atti degli Apostoli (15,1-35)

Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non pote-te essere salvati».

Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano anima-tamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e

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alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitan-do grande gioia in tutti i fratelli. Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro. Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè». Allora si riuniro-no gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.

Sorta una grande discussione, Pietro si alzò e disse loro: «Fratelli, voi sapete che, già da molto tempo, Dio in mez-zo a voi ha scelto che per bocca mia le nazioni ascoltino la parola del Vangelo e vengano alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo an-che a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purifi cando i loro cuori con la fede. Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro».

Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Bàrnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro.

Quando essi ebbero fi nito di parlare, Giacomo prese la pa-rola e disse: «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fi n da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. Con questo si accordano le parole dei profe-ti, come sta scritto:

Dopo queste cose ritornerò e riedifi cherò la tenda di Davide, che era caduta; ne riedifi cherò le rovine e la rialzerò, perché cerchino il Signore anche gli altri uomini e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa queste cose, note da sempre.

Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle

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unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni cit-tà, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».

Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia in-sieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a tur-barvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune perso-ne e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Pa-olo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giu-da e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli ani-mali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

Quelli allora si congedarono e scesero ad Antiòchia; riunita l’assemblea, consegnarono la lettera. Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, con un lungo discorso inco-raggiarono i fratelli e li fortifi carono. Dopo un certo tempo i fratelli li congedarono con il saluto di pace, perché tornas-sero da quelli che li avevano inviati. Paolo e Bàrnaba invece rimasero ad Antiòchia, insegnando e annunciando, insieme a molti altri, la parola del Signore.

Lettera di Paolo agli Efesini (4,17-32)

Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insen-

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sibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità.

Ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se dav-vero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, se-condo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguen-do le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. 25Perciò, bando alla men-zogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché sia-mo membra gli uni degli altri. Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date spazio al diavolo. 28Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edifi cazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli al-tri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha per-donato a voi in Cristo.

Per la meditazione personale

Sal 110

Mc 9,33-41

Col 3,1-17

Gal 1,11-14

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3. Per l’approfondimento

Dall’Esortazione apostolica Pastores Dabo Vobis

31. Come ogni vita spirituale autenticamente cri-stiana, anche quella del sacerdote possiede un’essen-ziale e irrinunciabile dimensione ecclesiale: è par-tecipazione alla santità della Chiesa stessa, che nel Credo professiamo quale «Comunione dei Santi».

La santità del cristiano deriva da quella della Chiesa, la esprime e nello stesso tempo l’arricchisce. Questa dimensione ecclesiale riveste modalità, fi nalità e si-gnifi cati particolari nella vita spirituale del presbite-ro, in forza del suo specifi co rapporto con la Chiesa, sempre a partire dalla sua confi gurazione a Cristo Capo e Pastore, dal suo ministero ordinato, dalla sua carità pastorale.

In questa prospettiva occorre considerare come va-lore spirituale del presbitero la sua appartenenza e la sua dedicazione alla Chiesa particolare. Queste, in realtà, non sono motivate soltanto da ragioni orga-nizzative e disciplinari. Al contrario, il rapporto con il Vescovo nell’unico presbiterio, la condivisione del-la sua sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cu-ra evangelica del Popolo di Dio nelle concrete condi-zioni storiche e ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali non si può prescindere nel delineare la confi gurazione propria del sacerdote e della sua vita spirituale. In questo senso la incardi-nazione non si esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggia-menti e di scelte spirituali e pastorali, che contri-buiscono a conferire una fi sionomia specifi ca alla fi -

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gura vocazionale del presbitero. È necessario che il sacerdote abbia la coscienza che il suo «essere in una Chiesa particolare» costituisce, di sua natura, un e-lemento qualifi cante per vivere la spiritualità cristia-na. In tal senso il presbitero trova proprio nella sua appartenenza e dedicazione alla Chiesa particolare una fonte di signifi cati, di criteri di discernimento e di azione, che confi gurano sia la sua missione pasto-rale sia la sua vita spirituale.

74. All’interno della comunione ecclesiale, il sacer-dote è chiamato in particolare a crescere, nella sua formazione permanente, nel e con il proprio presbi-terio unito al Vescovo. Il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium: infatti è una realtà sopranna-turale perché si radica nel sacramento dell’Ordine. Questo è la sua fonte, la sua origine. È il «luogo» della sua nascita e della sua crescita. Infatti, «i pre-sbiteri mediante il sacramento dell’Ordine sono col-legati con un vincolo personale e indissolubile con Cristo unico sacerdote. L’Ordine viene conferito ad essi come singoli, ma sono inseriti nella comunione del presbiterio congiunto con il Vescovo».

Questa origine sacramentale si rifl ette e si prolunga nell’ambito dell’esercizio del ministero presbiterale: dal mysterium al ministerium. «L’unità dei presbiteri con il Vescovo e tra di loro non si aggiunge dall’ester-no alla natura propria del loro servizio, ma ne espri-me l’essenza in quanto è la cura di Cristo sacerdote nei riguardi del Popolo adunato dall’unità della San-tissima Trinità». Questa unità presbiterale, vissuta nello spirito della carità pastorale, rende i sacerdoti testimoni di Gesù Cristo, che ha pregato il Padre « perché tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). La fi sio-nomia del presbiterio è, dunque, quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell’Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani, psi-

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cologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si con-cretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali ma anche quelle materiali.

La fraternità presbiterale non esclude nessuno, ma può e deve avere le sue preferenze: sono quelle evan-geliche, riservate a chi ha più grande bisogno di aiu-to o di incoraggiamento. Tale fraternità «ha una cu-ra speciale per i giovani presbiteri, tiene un cordiale e fraterno dialogo con quelli di media e maggior e-tà e con quelli che per ragioni diverse sperimentano diffi coltà; anche i sacerdoti che hanno abbandonato questa forma di vita o che non la seguono, non solo non li abbandona ma li segue ancor più con fraterna sollecitudine».

Da Servi e nulla più

Per non cadere nel pericolo di separare ciò che in-vece di sua natura deve rimanere unito dobbiamo e-splicitare un pensiero: il nostro essere ministri ordi-nati ci qualifi ca come persone essenzialmente rela-tive: relative al popolo di Dio, al cui servizio siamo chiamati e inviati, e relativi alla Chiesa, nella quale il vescovo svolge un ruolo speciale. “Relativi” non signifi ca meno importanti, non comporta alcuna squalifi ca: dice solo che la relazione con le altre due grandezze in gioco ci defi nisce per quello che siamo. Detto in modo ancor più chiaro e forte: quello che siamo noi lo siamo in forza della relazione.

A ben considerare essa caratterizza sia la persona del singolo presbitero sia il presbiterio nel suo insieme. Come singoli presbiteri dobbiamo essere pienamen-te consapevoli di questa verità perché da essa dipen-de ogni nostra possibilità di realizzarci secondo il

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progetto del Signore risorto. Dobbiamo dire chiara-mente che il segreto per vivere in pienezza la spiri-tualità diocesana non sta nella nostra volontà perso-nale, ma nell’accoglienza del progetto di Dio come si è rivelato a noi in Cristo per mezzo della Chiesa. Parimenti il fondamento della spiritualità diocesana non sta nella nostra personale ricerca della comu-nione per fare comunità, ma nella gioiosa adesione al progetto di Dio che ci è stato rivelato mediante la chiamata alla quale abbiamo aderito.

Ma anche come corpo presbiterale è importante che ci rendiamo conto di questo. In caso contrario po-tremmo concepire e vivere la vita presbiterale con u-na mentalità quasi sindacale, diametralmente oppo-sta a quello che invece siamo chiamati ad essere. Un presbiterio che ha le idee chiare a questo proposito pone le premesse necessarie per una testimonianza lineare ed effi cace in seno alla Chiesa particolare.

Ne consegue che la spiritualità di ogni ministro or-dinato deve rifuggire da ogni pretesa autosuffi cienza e, al contrario, deve costruirsi sull’umile sottomis-sione alla volontà di Dio così come essa si manife-sta nelle diverse circostanze e stagione della nostra vita. Il presbitero che coltiva la sua spiritualità nel segno della totale dedizione a Cristo e al popolo di Dio non potrà non sperimentare una gioia immensa, dono dello Spirito Santo; nello stesso tempo gli sarà data la possibilità di sperimentare la verità del detto: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (Salmo 132,1).

La stessa cosa vale anche per la spiritualità del pre-sbiterio diocesano. Quel presbiterio che esercita la sua ministerialità nella duplice proiezione verso il popolo di Dio e verso il vescovo potrà crescere se-renamente e certamente vedrà i frutti che desidera vedere. Potrebbe inoltre sperimentare la verità della promessa che il Signore fa a chi si dedica anima e

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corpo alla ricerca e alla salvaguardia della vera fra-ternità: Frater a fratre adiuvatus tamquam civitas munita (Proverbi 18,19 secondo la Volgata). Chi po-trebbe non ingolosirsi di una simile promessa oppu-re disattendere l’invito divino che essa sottende?

Tutto si tiene, dunque, in questo nostro approccio alla spiritualità diocesana dei ministri ordinati, a condizione però che sia rispettata la gerarchia dei valori in gioco: Cristo Signore al centro e al vertice di tutto, la Chiesa come habitat naturale dei mini-stri ordinati, e il popolo di Dio considerato nella sua dignità regale al quale è dovuto il nostro ministero di “servi inutili” (si veda Luca 17,10). Solo ed esclu-sivamente all’interno di questa scala di valori sarà possibile costruire insieme un presbiterio diocesano veramente degno di questo nome.

(C. GHIDELLI, Servi e nulla più. La spiritualità dei presbiteri, Tau, Todi - PG 2011, pp. 81-83)

Il grande orizzonte e i piccoli passi

Qualche volta mi capita di dover ricordare i semina-risti che, con l’ordinazione, essi diventeranno “pre-sbiterio”. Certo, diventano presbiteri, ma nel presbi-terio. Quindi dovremmo dire che vengono ordina-ti “con-presbiteri”. Perché non è concepibile il pre-te fuori o sopra o a fi anco al presbiterio. La Lumen gentium afferma: “Presbyteri… cum suo episcopo unum presbyterium constituunt (I presbiteri con il loro vescovo costituiscono un unico presbiterio)” (n. 28). Un unico presbiterio, sempre ricordando che unità non signifi ca uniformità, ma indica “un’anima sola e un cuore solo”, dove le varie “spiritualità”, i-spirate ai diversi carismi, hanno la grande funzio-ne di accentuare la spiritualità diocesana e non di

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diventare “corsie parallele”. Infatti, la vita presbite-rale ha una radicale forma comunitaria, e per que-sto, la prima missione del presbiterio è la comunio-ne. “Il dono più prezioso che i presbiteri devono fare alla Chiesa e al mondo non è l’attivismo, ma la te-stimonianza di una fraternità concretamente vissu-ta, leggiamo nel Catechismo degli adulti della CEI (n. 724). Possiamo dire, quindi, che la formazione permanente non solo è fi nalizzata a vivere una “fra-ternità permanente”, ma avviene e si realizza come una “fraternità permanente”. Purtroppo in questo campo noi preti non godiamo di buona fama, per-ché il presbiterio talvolta si presenta a elevato tasso di confl ittualità e ad alto volume di tensioni polemi-che. Si dice – e talvolta succede – che i preti si pesta-no i piedi, che non si stimano tra di loro, che “perdo-nano ma non dimenticano”, e potremmo continuare con la lunga serie di una sloganistica clericale, dav-vero raggelante anche solo al sentirla.

In un tempo di individualismo dilagante, nella so-cietà civile (e non solo!), che valore profetico ha una fraternità concretamente vissuta? Non è infrequen-te incontrare preti allergici a questi discorsi, perché si portano dentro tanti sogni traditi, molti deside-ri spezzati. Dobbiamo fare i conti con le ferite che ci sono state procurate, e anche con quelle che noi stessi abbiamo procurato, per cui spesso si fi nisce con un pilatesco “meglio non parlarne”, così da non caricarsi di altre frustrazioni. Ma non c’è altra carti-na di tornasole: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,14-15).

(F. LAMBIASI, “Il grande orizzonte e i piccoli passi”, in COMMIS-SIONE EPISCOPALE PER IL CLERO E LA VITA CONSACRATA DELLA CEI, Fare i preti. Esperienze e prospettive per la formazione permanente, EDB, Bologna 2014, pp. 17-18)

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QUARTO RITIRO

Le forme della fraternità Il valore della comunione per una Chiesa in uscita (At 2,42-47; 4,32-35)

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1. Adorazione eucaristica

Cantico eucaristico durante l’esposizione

1. Pane di vita nuova, vero cibo dato agli uomini, nutrimento che sostiene il mondo, dono splendido di grazia.

2. Sei l’Agnello immolato nel cui sangue è la salvezza, memoriale della vera Pasqua della nuova Alleanza.

Rit. Pane della vita, sangue di salvezza, vero corpo, vera bevanda, cibo di grazia per il mondo.

3. Manna che nel deserto nutri il popolo in cammino, sei sostegno e forza nella prova per la Chiesa in mezzo al mondo.

4. Segno d’amore eterno, pegno di sublimi nozze, comunione nell’unico corpo che in Cristo noi formiamo. Rit.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Invito alla preghiera

Cel. O Signore Gesù, tu sei realmente qui presente nel sacramento dell’Eucaristia, che manifesta la verità del tuo amore per noi:

Ass. rendici capaci di accogliere questo mistero di unità.

Cel. O Signore Gesù, tu sei realmente qui presente nel sacramento dell’Eucaristia, che ci viene donato per-ché non ci sentiamo mai senza di te:

Ass. rendici capaci di testimoniare che tu sei sempre tra noi.

Cel. O Signore Gesù, tu sei realmente qui presente nel sacramento dell’Eucaristia, grazie al quale possiamo adorarti vivo nella storia:

Ass. rendici capaci di seguirti per tutta la vita.

Cel. O Signore Gesù, tu sei realmente qui presente nel sacramento dell’Eucaristia, per mezzo del quale edi-fi chi la tua Chiesa:

Ass. rendici degni del tuo dono.

Cel. O Signore Gesù, la tua Chiesa guarda a te, che operi per mezzo dello Spirito:

Ass. apri le nostre menti al suo soffi o divino e insegnaci che non è con le nostre sole forze che noi saremo una cosa sola.

Cel. O Signore Gesù, la tua famiglia guarda a te, che la edifi chi ogni giorno:

Ass. rinnova il nostro cuore affi nché sappiamo amare fi no in fondo la nostra Chiesa, che è tuo corpo e tua sposa.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

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Preghiera corale

Ti ringraziamo, Signore Gesù, di averci mostrato l’inutilità delle discussioni per conoscerti e indicato il silenzioso gesto della frazione del pane come segno che ti manifesta. Ti chiediamo lo slancio dell’anima per esprimere sempre la tua presenza con la frazione del tuo e nostro pane. Amen.

BREVE MOMENTO DI SILENZIO

In ascolto della parola di Dio (EF 4,1-11)

Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: com-portatevi in maniera degna della chiamata che avete rice-vuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportan-dovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’u-nità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto:

Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.

Ma cosa signifi ca che ascese, se non che prima era disceso quag-giù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.

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Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il mi-nistero, allo scopo di edifi care il corpo di Cristo, fi nché arri-viamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fi no all’uomo perfetto, fi no a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Intervento del predicatore

Tempo di adorazione silenziosa

Nel tempo personale si possono riprendere le seguenti rifl es-sioni di Giuseppe Colombo sulla Chiesa come mistero di co-munione.

Chiesa «corpo di Cristo»

In derivazione permanente dall’eucaristia, la Chiesa si qualifi ca come «corpo di Cristo». L’espressione è presa da san Paolo, dove intende suggerire un duplice signifi cato mutuato rispettivamente dalla cultura semitica e dalla cultura ellenistica: 1) che la Chiesa rende visibile e operante nelle relazioni interpersonali lo Spirito di Gesù Cristo, così come il no-stro corpo dà visibilità e operatività alla nostra anima; 2) che la Chiesa è un corpo nel senso che i cristiani sono uniti fra loro come le membra di un medesimo corpo.Non è però da dimenticare che la Chiesa è in ogni caso il corpo «di Cristo», la cui caratteristica essenziale, mesa in piena luce nel momento unitario ultimo cena/Calvario, è quella di essere un corpo «dato», donato, sacrifi cato. Con-segue che l’attribuzione alla Chiesa della qualifi ca «corpo

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di Cristo», precisamente in derivazione diretta dall’euca-restia, è, ancora una volta, la prescrizione alla Chiesa e quindi concretamente ai cristiani che la costituiscono, a vivere tra gli uomini come ha vissuto Gesù Cristo, ovvia-mente nel rimando allo Spirito di Gesù Cristo, il «princi-pio» assolutamente necessario ma immancabile.È da riconoscere che, sotto questo profi lo, la Chiesa, in quanto comunità storica che esprime il «corpo di Cristo», appare più come un ideale che non come una realtà. Co-erentemente la qualifi ca di «corpo di Cristo» è sempre da comprendere più come un comandamento o una vocazio-ne a diventare il «corpo di Cristo» che non come rico-noscimento di una condizione acquisita. La condizione è acquisita solo quando lo Spirito di Gesù Cristo s’impos-sessa realmente del nostro spirito, lo purifi ca dall’amore egoistico di sé e lo trasforma ispirandogli il vero amore, l’amore per gli altri, principio di nuovi rapporti, di servi-zio invece che di sfruttamento, di pace invece che d’inimi-cizia, di fi ducia invece che di sospetto, ecc.Fosse veramente acquisita la condizione di «corpo di Cri-sto», la Chiesa non potrebbe passare inosservata nel mon-do; né sarebbe temuta e discussa solo in quanto potere giuridico e/o forza popolare; e la sua voce critica contro la società incapace d’istituire rapporti umani tra gli uo-mini, risuonerebbe più pura e convincente. Soprattutto al suo interno, dov’è posto il principio vitale, la condizio-ne di «corpo di Cristo» muterebbe la Chiesa nei suoi rap-porti tra i cristiani, ancora troppo segnati dalle divisioni, contrapposizioni, sopraffazioni, oppressioni, mancanza di trasparenza, ecc., come se non fosse il «corpo di Cristo» e non fosse lo Spirito di Gesù Cristo il suo spirito.Fin che il comandamento di essere il «corpo di Cristo» non è veramente attuato, è solo non senza umiliazione e ama-rezza che la Chiesa continuerà a professarsi il «corpo di Cristo». È un’amarezza antica, fi n dai primordi della Chie-sa, ma il suo ostinato perdurare non porta consolazione.(GIUSEPPE COLOMBO, L’ordine cristiano, Glossa, Milano 1998, pp. 63-65).

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Preghiera di Compieta

INNO

Gesù, luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo. In te, santo Signore, noi cerchiamo il riposo dall’umana fatica, al termine del giorno. Se i nostri occhi si chiudono, veglia in te il nostro cuore; la tua mano protegga coloro che in te sperano. Difendi, o Salvatore, dalle insidie del male i fi gli che hai redenti col tuo sangue prezioso. A te sia gloria, o Cristo, nato da Maria vergine, al Padre ed allo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

SALMO 30,2-6 SUPPLICA FIDUCIOSA NELL’AFFLIZIONE

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46).

In te, Signore, mi sono rifugiato, †mai sarò deluso; *per la tua giustizia salvami.

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Porgi a me l’orecchio, *vieni presto a liberarmi.Sii per me la rupe che mi accoglie, *la cinta di riparo che mi salva.

Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, *per il tuo nome dirigi i miei passi.Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, *perché sei tu la mia difesa.

Mi affi do alle tue mani; *tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Tu sei la mia difesa e il mio rifugio, Signore.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore! †

SALMO 129 DAL PROFONDO A TE GRIDO

EGLI SALVERÀ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI (MT 1, 21).

Dal profondo a te grido, o Signore; *† Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attenti *alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono, *perciò avremo il tuo timore.

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Io spero nel Signore, *l’anima mia spera nella sua parola.L’anima mia attende il Signore *più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore, *perché presso il Signore è la misericordia,grande è presso di lui la redenzione; *egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Dal profondo a te grido, o Signore!

LETTURA BREVE (EF 4,26-27.31-32)

Non peccate (Sal 4,5); non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

RESPONSORIO BREVE

R. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.V. Dio di verità, tu mi hai redento: nelle tue mani affi do il mio spirito.Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Signore, nelle tue mani affi do il mio spirito.

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Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

CANTICO DI SIMEONE LC 2,29-32CRISTO, LUCE DELLE GENTI E GLORIA DI ISRAELE

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo *vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza *preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti *e gloria del tuo popolo Israele.

Gloria al Padre e al Figlio *e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre, *nei secoli dei secoli. Amen.

Ant. Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.

Benedizione eucaristica

Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù.

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Gloria al Padre onnipotente, gloria al Figlio redentor, lode grande, sommo onore all’eterna Carità. Gloria immensa, eterno amore alla Santa Trinità. Amen.

Cel. Guarda, o Padre, al tuo popolo, che professa la sua fede in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, crocifi sso e risorto, presente in questo santo sacramento e fa’ che attinga da questa sorgente di ogni grazia frutti di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.

Ass. Amen.

BENEDIZIONE

Cel. Dio sia benedetto.Ass. Benedetto il suo santo nome.

Cel. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.Ass. Benedetto il nome di Gesù.

Cel. Benedetto il suo sacratissimo Cuore.Ass. Benedetto il suo preziosissimo sangue.

Cel. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.Ass. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Cel. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.Ass. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.

Cel. Benedetta la sua gloriosa Assunzione.Ass. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Cel. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.Ass. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

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Antifona mariana

Regina cœli, lætáre, alleluia: quia quem meruisti portare, alleluia, resurréxit, sicut dixit, alleluia. Ora pro nobis Deum, alleluia.

Regina del cielo, rallegrati, alleluia: perché colui che meritasti di portare, alleluia, è risorto come aveva promesso, alleluia. Prega per noi il Signore, alleluia.

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2. Brani biblici di riferimento

Vangelo di Giovanni (15,1-17)

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tral-cio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via co-me il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorifi cato il Padre mio: che portiate molto frutto e diven-tiate miei discepoli.

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rima-nete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comanda-menti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli al-tri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più ser-vi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portia-te frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

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Libro degli Atti degli Apostoli (2,42-47; 4,32-35)

Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nel-la comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e ave-vano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di cia-scuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla co-munità quelli che erano salvati.

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonian-za della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, per-ché quanti possedevano campi o case li vendevano, porta-vano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponeva-no ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

Lettera di Paolo ai Romani (12,1-13)

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a of-frire i vostri corpi come sacrifi cio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vo-stro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in mo-do saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo mol-te membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo

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corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la e-serciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero at-tenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.

La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggia-te nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nel-la preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premu-rosi nell’ospitalità.

Per la meditazione personale

Is 9,1-6 Sal 133 Ger 31,31-34 Rm 15,1-13

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3. Per l’approfondimento

Dalla lettera apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II

43. Fare della Chiesa la casa e la scuola della co-munione: ecco la grande sfi da che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al di-segno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo.

Che cosa signifi ca questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, fa-cendola emergere come principio educativo in tut-ti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli o-peratori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione signifi ca innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta an-che sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiri-tualità della comunione signifi ca inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Cor-po mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vede-re innanzitutto ciò che di positivo c›è nell›altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «do-no per me», oltre che per il fratello che lo ha diretta-mente ricevuto. Spiritualità della comunione è infi -

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ne saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazio-ni egoistiche che continuamente ci insidiano e ge-nerano competizione, carrierismo, diffi denza, gelo-sie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammi-no spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita.

45. Gli spazi della comunione vanno coltivati e di-latati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessu-to della vita di ciascuna Chiesa. La comunione de-ve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali. A tale scopo devono essere sempre meglio valorizzati gli organismi di partecipazione previsti dal Diritto canonico, come i Consigli presbiterali e pastorali. Essi, com’è noto, non si ispirano ai criteri della de-mocrazia parlamentare, perché operano per via con-sultiva e non deliberativa; non per questo tuttavia perdono di signifi cato e di rilevanza. La teologia e la spiritualità della comunione, infatti, ispirano un reciproco ed effi cace ascolto tra Pastori e fedeli, te-nendoli, da un lato, uniti a priori in tutto ciò che è essenziale, e spingendoli, dall’altro, a convergere normalmente anche nell’opinabile verso scelte pon-derate e condivise.

Occorre a questo scopo far nostra l’antica sapienza che, senza portare alcun pregiudizio al ruolo auto-revole dei Pastori, sapeva incoraggiarli al più am-pio ascolto di tutto il Popolo di Dio. Signifi cativo ciò che san Benedetto ricorda all’Abate del mona-stero, nell’invitarlo a consultare anche i più giovani: «Spesso ad uno più giovane il Signore ispira un pa-rere migliore». E san Paolino di Nola esorta: «Pen-

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diamo dalla bocca di tutti i fedeli, perché in ogni fe-dele soffi a lo Spirito di Dio».

Se dunque la saggezza giuridica, ponendo precise re-gole alla partecipazione, manifesta la struttura ge-rarchica della Chiesa e scongiura tentazioni di arbi-trio e pretese ingiustifi cate, la spiritualità della co-munione conferisce un’anima al dato istituzionale con un’indicazione di fi ducia e di apertura che pie-namente risponde alla dignità e responsabilità di o-gni membro del popolo di Dio.

Da Orientamenti e norme per le Collaborazioni pastorali nella diocesi di Treviso

13. Il presbiterio diocesano condivide con il Vesco-vo l’impegno di rinnovamento e di conversione per favorire in modo nuovo la presenza della Chiesa nel territorio.

Pertanto tutti i sacerdoti, in particolare i parroci, “ai quali come a pastori propri è affi data la cura delle anime in una determinata parte della Diocesi sotto l’autorità del Vescovo” (CD 30), sono i primi responsabili della vita e della crescita delle Collabo-razioni Pastorali.

Nell’esercitare il loro ministero, accogliendo gli o-rientamenti pastorali maturati in seno alla Colla-borazione Pastorale, si impegnano ad attuarli nelle comunità di cui sono responsabili.

16. Quale segno di comunione e di testimonian-za evangelica, e per favorire il servizio ministeriale nella Collaborazione, si promuovono forme di vi-ta comune tra presbiteri: esse si esprimono nella

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condivisione dell’ascolto della Parola di Dio e del-la preghiera, della pratica del confronto schietto e fraterno, dei pasti e possibilmente anche dell’abi-tazione.

Nelle canoniche che ospitano più sacerdoti vanno garantiti sia spazi personali adeguati che spazi co-muni per la vita fraterna, distinti da quelli ad uso parrocchiale.

23. I presbiteri, impegnati in virtù del loro ministe-ro di guida nel favorire le Collaborazioni, si avval-gono degli organismi di partecipazione previsti. La Collaborazione richiede che i presbiteri si incontri-no con una certa frequenza; si tenga presente tutta-via che le scelte più importanti vanno maturate con l’apporto di tali organismi.

Ciò favorirà anche l’assunzione di una doverosa cor-responsabilità da parte delle persone consacrate e dei laici.

Da La paura di amare

Una mano tesa deve sempre essere messa alla pro-va. Come si mette alla prova un nuovo responsabile, qualunque sia la sua responsabilità, per sapere chi è e fi no a dove si può contare su di lui, così, nel caso nostro, la persona ferita vuol sapere. In silenzio ti domanda: “Che cos’hai dentro? Quanto posso fi dar-mi di te? Ti interessi veramente di me? Quale grado di forza e di vita c’è in te?”.

L’autorità spirituale, a maggior ragione, deve essere messa alla prova. Quando un sacerdote arriva in u-na parrocchia, i parrocchiani devono sapere se pos-sono avere fi ducia in lui, e questo è molto impor-tante. Questo vale per ogni responsabilità umana.

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Ed è ancora più vero per una persona emarginata che vede una mano tendersi verso di lei; deve sa-pere un certo numero di cose: “Quali sono le tue motivazioni? Perché vuoi amarmi? Lo fai per la tua gloria, per lo stipendio, per i tuoi interessi? Cerchi di provare a te stesso che sei qualcuno?”.

[...] Succede che persone molto povere interior-mente sentano il bisogno di comandare, di vedere gli altri obbedire, per avere la sensazione di esi-stere. Certo, non bisogna generalizzare, ma si de-ve sapere che questo avviene. Quando si comanda per avere la sensazione di essere, e non per aiutare l’altro a diventare libero, è una forma di comando spaventosa.

Ecco perché io non posso obbedire a qualcuno, spe-cie se sono fragile e vulnerabile. Devo sapere se è là unicamente per avere la sensazione della propria potenza o perché è veramente interessato a me. Ci sono mille modi per mettere alla prova le motiva-zione di qualcuno. La persona ferita percepisce con rapidità estrema le motivazioni di colui che le tende la mano. Le sente, le intuisce dal volto, dalle mani, dal tono di voce. Il tono della voce dice sempre più delle parole stesse!

[...] Non è facile tendere la mano con verità e non è facile nemmeno prendere questa mano. In molte persone emarginate e in molti di noi c’è un’immen-sa paura dell’autorità. L’autorità è un cosa diffi cile da vivere, sia per colui che la esercita sia per colui che la subisce, specie se ha avuto una brutta esperienza in questo campo quando era piccolo: l’autorità, in-fatti, rivela la nostra dipendenza.

La cattiva autorità è la legge senza la fi ducia. È ricevere ordini senza aver fi ducia in colui che li dà. È l’autorità spaventosa, quella che ferisce, che rende inferiori, che è per la gloria di chi comanda e non per la crescita di colui che obbedisce. Alcuni

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bambini hanno subito un’autorità intollerabile per molti anni e, diventati adulti, hanno paura di ogni autorità. Ci sarebbe molto da dire in proposito.

In effetti, l’autorità, la legge, dovrebbero essere vissute sempre sotto la forma di amore, di fi ducia e perdono.

(J. VANIER, La paura di amare, San Paolo, Cinisello Balsamo - MI 2014, pp. 13-16)

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Testimoni esemplari

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Padre Antonio Chevrier

Profi lo personale

Nato nel 1826, Antonio Chevrier si orienta al sacer-dozio fi n dall’età di undici anni. Di origine popolare, fu un ragazzo e un giovane che non eccelleva per particolari doti. “Un seminarista senza storia”, che aveva pensato anche alle missioni estere, ma vi aveva poi rinunciato. Ordinato prete nel 1850, fu inviato come vicario nella periferia di Lione, tra il proleta-riato operaio.

Numerose testimonianze dicono quanto fosse ango-sciato per la situazione umana e religiosa della sua gente. In un’omelia sull’amore dei poveri, parlava “dello spettacolo sempre più spaventoso della miseria umana che cresce. Si direbbe che nella misura in cui i grandi della terra si arricchiscono, la povertà cresce, il lavoro diminuisce, i salari non sono pagati”.

Le inondazioni del Rodano nel 1865 portarono Che-vrier a un contatto più immediato con le famiglie dei sinistrati e a una conoscenza più diretta della loro misera condizione. Parlerà più tardi della “compas-sione” che s’impadronisce del nostro essere dinanzi alla sventura umana. Insieme a tanta compassione avvertiva però l’impotenza nell’agire di conseguen-za. Diceva al riguardo: “Conosco tante miserie ed è doloroso per un prete non poterle alleviare”. Nel contempo era angosciato anche per la miseria reli-giosa del proletariato. Eppure non condannava gli operai come fossero essi stessi i responsabili della loro scristianizzazione. Chevrier non era un uomo che si accontentava delle analisi, cercava come pote-va di fare il possibile per tale miseria umana e reli-giosa, ma non vedeva risultati.

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Fu in questo contesto che si pose la sua “conversio-ne”, come lui stesso defi nisce quanto accadde in lui la notte di Natale 1856. Confi derà: “È meditando la notte di Natale sulla povertà di nostro Signore e sul suo abbassamento tra gli uomini che ho deciso di la-sciare tutto e di vivere il più poveramente possibile”. In quella notte Chevrier avvertì anche che il Signore gli domandava di associare a sé altri. Doveva, dun-que, formarli, persuaso che il Signore gli domandas-se di formare preti poveri. Fu all’interno del mistero dell’incarnazione e nella contemplazione della po-vertà di Gesù che Chevrier comprese che non bastava avere compassione per i poveri e cercare di sollevarli dalla loro miseria. Se si vuole evangelizzarli, si deve fare quello che Gesù ha fatto: si deve condividere la loro vita e diventare poveri come loro. Nei suoi scrit-ti, soprattutto nel “Vero discepolo” e nelle sue lettere, Antonio Chevrier ha espresso pienamente che cosa signifi cava la sua decisione di seguire Gesù più da vi-cino. In quella stessa epoca il Chevrier era entrato in contatto con il Curato d’Ars, di cui apprezzava il sen-so della preghiera, il modo di predicare e la povertà. Più volte ha detto che il Santo Curato lo aveva inco-raggiato nei suoi progetti. Ma non poteva certamente copiare un parroco di campagna dentro la realtà pro-letaria di Lione. Il 10 dicembre 1860 padre Chevrier fondò un’opera per il catechismo di prima comunio-ne, in un vecchio locale destinato al ballo pubblico e chiamato il Prado. Non si deve minimizzare questa attenzione alla preparazione catechistica, perché nel XIX secolo i bambini del mondo operaio erano i più poveri dei poveri, e per molti di loro un soggiorno gratuito in un’opera che li accogliesse era il mezzo più effi cace per evangelizzarli e prepararli alla prima Comunione. Chevrier vedeva nella catechesi ai bam-bini una buona preparazione a quella predicazione nella vita concreta che voleva per i suoi preti. È lì, al Prado, che padre Chevrier comincia, dunque, a rea-

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lizzare la sua opera principale: la formazione di preti poveri per il servizio dei poveri.

Parecchi preti e seminaristi venivano ad aiutarlo, ma nessuno vi rimase defi nitivamente, accettando pie-namente il suo orientamento. Egli soffrì molto per questo, ma non si scoraggiò. Si vide allora costretto a formare lui stesso i preti che voleva unire a sé: per cui nel 1865 cominciò la scuola dei chierici del Pra-do, che sarà un vero e proprio Seminario minore. Da questo momento fi no alla morte, continuò la sua opera di prima comunione, l’apostolato presso i po-veri nella cappella del Prado, la formazione dei futuri preti, rimanendo sempre in contatto con loro quan-do passavano al Seminario maggiore. Approfi ttava, poi, dei rari momenti liberi per redigere il Vero di-scepolo che sarà la regola di vita di coloro che, come lui, vorranno essere dei “preti secondo il Vangelo”, cercando di seguire Gesù Cristo più da vicino, spe-cialmente imitando la sua povertà e mettendosi al servizio dei poveri.

Tutto quello che Chevrier faceva era sempre gratui-to, non domandava nulla a coloro che voleva forma-re. Ci teneva molto a questo modo di agire; per lui era un segno che Dio voleva l’opera che stava com-piendo. Contava solo su Dio.

Antonio Chevrier morì il 2 ottobre 1879, a soli 53 anni, consumato dal lavoro e dalla malattia. Malgra-do fallimenti e incomprensioni, la perseveranza è uno dei tratti che più impressionano nella sua vita, con i suoi due aspetti complementari: la certezza di essere chiamato da Dio a fare quest’opera e la fedeltà nel rispondere alla chiamata del Signore. Nonostan-te questa certezza, Chevrier ha conosciuto per molto tempo una lotta interiore: era convinto che Dio lo chiamasse a quest’opera, ma nello stesso tempo si sentiva incapace di realizzarla sia dal punto di vista umano che spirituale. “Una volta – racconta un te-stimone – tormentato dai suoi pensieri si ritirò in

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un bosco e vi rimase un giorno intero e pregò. Fu in quel momento che, vinto da una voce interiore, disse a Dio: “Se hai bisogno di un povero, eccomi; se hai bisogno di un pazzo, eccomi”. Da quel gior-no non lottò più e continuò risolutamente quel che Dio voleva da lui. Umanamente il Chevrier avrebbe rischiato di scoraggiarsi, ma la sua fede in Dio è di-ventata per lui sorgente di luce e di forza. La sua disponibilità a Dio gli permise di resistere sino alla fi ne e nel suo testamento spirituale troviamo tutta un’azione di grazie. Ringrazia il Signore di averlo scelto per fare la sua opera e aggiunge: “C’è qui il compimento di quella verità di Dio che sceglie ciò che vi è di più piccolo per fare le sue opere: me così povero per scienza e per virtù. E avermi chiamato a fare quest’opera di Dio, che deve portare grandi frut-ti nelle anime e nella chiesa”.

(ALFRED ANCEL, Discepoli secondo il Vangelo, EDB Bologna 1985)

Testi

Preghiera

“Questa preghiera nella quale padre Chevrier sembra averci offerto l’intimità del suo cuore, sempre custodendo quella discrezione alla quale teneva tanto, contiene i due aspetti della sua preghiera contemplativa: essa è insieme stupore, nell’amore e nella lode, e disponibilità totale all’a-zione di Dio che prende possesso del l’anima” (A. Ancel)

O Verbo, o Cristo, come sei bello, come sei grande! Chi saprà conoscerti, chi potrà comprenderti? Fa’, o Cristo, che io ti conosca e ti ami. Poiché tu sei la luce, lascia venire un raggio di questa luce divina sulla mia povera anima, affi nché io possa vederti e compren-derti. Metti in me una grande fede in te, affi nché tut-

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te le tue parole siano per me altrettanti luci, che mi illuminano e mi facciano venire a te, per seguirti in tutte le tue vie della giustizia e della verità.

O Cristo, o Verbo, tu sei il mio Signore e il mio solo e unico maestro! Parla, io voglio ascoltarti e mettere in pratica la tua parola. Voglio ascoltare la tua divina parola, perché so che viene dal cielo. Voglio ascoltar-la, meditarla, metterla in pratica, perché nella tua parola c’è la vita, la gioia, la pace, la felicità. Parla, Signore, tu sei il mio Signore e il mio maestro e io non voglio ascoltare che te.

(da Il vero discepolo)

Alcuni pensieri

La parola di Dio è così elevata, così pura e celeste, così al di sopra di noi, che quando l’ascoltiamo, le nostre mille passioni si sollevano e si ribellano per-ché si trovano in diretta opposizione con questa pa-rola che le condanna e le distrugge.

Il nostro cuore e il nostro spirito gridano. La nostra pigrizia, la nostra avarizia e negligenza, l’amore del benessere e dei propri comodi, l’orgoglio, la ricerca di se stessi e delle proprie soddisfazioni, tutto questo si ribella contro questa divina parola e la considera esagerata, impossibile, dice che il vangelo è una fol-lia e che non è possibile metterlo in pratica.

Allora si dice che non bisogna esagerare, che ci vuo-le prudenza, che il vangelo va bene solo per un nu-mero assai piccolo, per i santi, che è troppo diffi cile arrivarci. Allora si ascolta con precauzione e riserva e, col pretesto della prudenza, si lascia il Vangelo per seguire la propria piccola ragione. Questo si vede tutti i giorni per quanto concerne la povertà, la penitenza, il sacrifi cio, la dedizione, le virtù vera-mente evangeliche.

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Il prete, più di tutti, deve lavorare tutta la giornata. I muratori lavorano tutto il giorno, i carpentieri, i falegnami, i contadini, i sarti ecc... Tutte queste per-sone lavorano tutto il giorno e talvolta persino di notte, per guadagnare da vivere per sé e per i propri fi gli: il prete avrà dunque una condizione più agevole degli altri, lui che ha un compito ben più grande di costoro?... Perdere tempo è una cosa irreparabile, è essere ingiusti verso il prossimo... Se qualcuno deve lavorare sulla terra, è soprattutto il prete, poiché il suo lavoro è così sublime, così importante, per sé e per gli altri: poiché la sua missione viene da Dio, e dal suo lavoro sulla terra dipendono la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

Domanderemo a Dio di far nascere in noi una grande compassione per i poveri e i peccatori, che è il fonda-mento della carità; non faremo mai nulla senza que-sta compassione spirituale. Ecciteremo in noi questa divina carità per potere andare incontro alle miserie del prossimo e dire come Gesù Cristo: Venite a me.

Imiteremo nostro Signore nella sua bontà per i fan-ciulli, che chiamava a sé, dando loro speciali testi-monianze di tenerezza e di affetto. Saremo per loro come padri e madri, occupandoci di loro con un sincero affetto per guadagnare le loro anime a Dio. Quando l’occasione si presentasse, riceveremo alla nostra tavola i genitori dei ragazzi, e anche i poveri, cercando la gioia di servirli e di mostrar loro tutto il nostro affetto.

Perdoneremo, ricordando bene quella parola del Maes tro: Misericordia io voglio e non sacrifi cio, e che bisogna guadagnare i cuori con l’amore e non con la rigidità e la severità.

Faremo la carità a tutti coloro che ce la chideranno, fosse anche solo con un’immaginetta o una buona parola, ricordando la parola di san Pietro: Non pos-

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siedo né oro, né argento, ma quello che ho te lo do. Non rifi uteremo mai di rendere servizio a qualcuno, con gioia piacere, considerandoci come servitori di tutti nella carità.

Prenderemo come motto di acrità questa parola di nostro Signore: “Prendete e mangiate”, consideran-doci come un pane spirituale che deve nutrire tutti con la parola, l’esempio e la dedizione.

Prima di essere un pane di vita, bisogna passare per il presepio e per il calvario. Il grano bisogna batterlo, spogliarlo della paglia, poi macinarlo, e fargli perde-re la sua forma: allora può diventare un pane utile per il nostro corpo. Così, non possiamo essere utili al prossimo, per l’anima e per il corpo, se non quando siamo passati per la morte... Più si è morti, più si ha la vita, più si dona la vita.

Dalle “Lettere”

Questo mistero (dell’incarnazione) mi ha condotto a domandare a Dio la povertà e l’umiltà... Desidero e domando ogni giorno a Dio che voglia colmare i sacerdoti dello Spirito di Cristo e che noi rassomi-gliamo sempre più a Gesù nostro divino modello, il grande modello dei sacerdoti. Se noi fossimo con-formi a Gesù Cristo nostro salvatore, quanto bene, quante buone opere si farebbero nella santa Chiesa di Dio. Convertiamoci, mio buon fratello; aiutatemi a convertirmi e preghiamo insieme per divenire i de-gni rappresentanti di Gesù Cristo sulla terra: quanto è bello. Pregate perché io lo divenga davvero.

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Card. Michele Pellegrino

Profi lo personale

Il card. Michele Pellegrino è stato, nell’immediato de-cennio post-conciliare, un punto di riferimento impor-tante per la Chiesa italiana, come lo sarà il card. Carlo Maria Martini negli ultimi due decenni del millennio.

Michele Pellegrino nasce a Roata Chiusani, frazione del Comune di Centallo, in provincia di Cuneo e in diocesi di Fossano il 25 aprile 1903, fi glio di Giusep-pe e di Angela Ristorti. La sua famiglia è di modeste condizioni, ma ricca di fede. È battezzato il 26 apri-le 1903 nella chiesa parrocchiale del paese. Quattro mesi dopo, la mamma muore improvvisamente di tifo. Il 4 maggio 1911 riceve la cresima dal vescovo mons. Giosuè Signori. A 10 anni, nell’ottobre 1913, entra nel Seminario minore di Fossano, perché sen-te il desiderio di diventare sacerdote. Il 26 marzo 1923 parte per il servizio militare, con destinazione Mantova: saranno 13 mesi molto importanti.

Viene ordinato sacerdote il 19 settembre 1925 a Cen-tallo da mons. Quirico Travaini. Un mese dopo ottiene il consenso dal Vescovo di andare a Milano a studiare all’Università Cattolica del Sacro Cuore, iscrivendosi alla Facoltà di Lettere e Filosofi a. L’argomento del-la tesi di laurea riguarda “La poesia di San Gregorio Nazianzeno”. Don Michele si laurea in Lettere il 12 luglio 1929 con la votazione di 110 e lode. Nel 1931 si laurea anche in Teologia presso la Facoltà Teologica di Torino e nel 1933, a trent’anni, ancora a Milano all’Università Cattolica si laurea in Filosofi a. 

Nel 1930 viene nominato Direttore spirituale nel Se-minario vescovile di Fossano. Sempre nel 1930 viene

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nominato direttore del settimanale diocesano di Fos-sano “La Fedeltà”. Nell’aprile 1931 diventa segretario dell’Uffi cio catechistico diocesano e in seguito re-sponsabile del Segretariato Scuola dell’Azione catto-lica. Il 27 novembre 1933 è nominato Vicario genera-le della diocesi di Fossano. Successivamente diventa canonico teologo del Capitolo della Cattedrale.

Inizia la carriera accademica il 10 marzo 1938: mons. Michele Pellegrino diventa Lettore di lin-gua latina all’Università di Torino. Nel 1940 ottiene la libera docenza in Letteratura Cristiana Antica e l’assegnazione dell’incarico della stessa disciplina sempre nell’Università di Torino. A partire dall’anno accademico 1941-42 diventa titolare della Cattedra di Letteratura Cristiana Antica nella medesima Uni-versità. Nel 1951 la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino gli affi da l’incarico dell’insegnamento di Grammatica greca e latina. Diventa collaboratore di numerose riviste scientifi che.

Mons. Michele Pellegrino viene nominato Arcivesco-vo di Torino il 18 settembre 1965 ed è consacrato Ve-scovo nella Cattedrale di Fossano il 17 ottobre 1965. Fa l’ingresso a Torino il 21 novembre 1965. Parte-cipa all’ultima fase del Concilio Ecumenico Vatica-no II con interventi particolarmente signifi cativi. Da papa Paolo VI è creato cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967. 

La sua azione pastorale è incentrata sull’impegno di attuazione del Concilio e si distingue per una specia-le attenzione ai problemi concreti dei fedeli, in par-ticolare a quelli dei poveri e del mondo del lavoro. Il suo magistero episcopale coglie i “segni dei tempi” ed è ricordato soprattutto per la Lettera Pastorale “Camminare insieme” dell’8 dicembre 1971.

Durante il suo episcopato a Torino compie la visita pastorale di tutte le parrocchie dell’arcidiocesi; ri-struttura il suo territorio in zone vicariali e incre-

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menta il ruolo dei laici nella vita della comunità ecclesiale. Dà vita con convinzione agli organismi consultivi diocesani. 

Attento ai problemi del mondo della cultura, è arte-fi ce della rinascita della Facoltà Teologica in Torino, come sezione staccata di quella di Milano.

Cura la prima ostensione televisiva della Santa Sin-done (23 novembre 1973) e promuove studi sulla preziosa reliquia. 

La sua rinuncia al governo dell’arcidiocesi di Torino viene accolta il 27 luglio 1977. Negli anni seguenti il cardinale risiede nella casa parrocchiale di Vallo To-rinese e dedica la sua attività allo studio e alla predi-cazione in Italia e all’estero fi no all’8 gennaio 1982, quando è colpito da un ictus, che lo rende testimone silenzioso di sofferenza offerta per il bene della Chie-sa. Viene quindi ricoverato all’Ospedale Cottolengo di Torino dove rimane fi no al giorno della morte, ve-nerdì 10 ottobre 1986. I funerali sono celebrati nella Cattedrale di Torino lunedì 13 ottobre e subito dopo la sua salma viene portata a Roata Chiusani, dove viene tumulata, per sua precisa disposizione testa-mentaria, nella tomba di famiglia.

(Pier Giorgio Giorgis)

Testi

Fraternità tra i sacerdoti

21. La fraternità costituisce un impegno particolare per i vescovi e i sacerdoti. Questi sono chiamati a costituire “col loro vescovo un unico corpo sacerdo-tale, sebbene destinati a vari uffi ci... In virtù della co-mune sacra ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un’intima fraternità, che deve

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spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale, e materiale, pastorale e personale, nei convegni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità”. Dobbiamo essere i primi a dare questa testi-monianza di fraternità incontrandoci fra noi intorno a Cristo, il vero Fratello maggiore, Colui nel quale solo possiamo trovare la sorgente dello spirito au-tentico di fraternità.

Incontrarci per pregare insieme, non solo quando lo esigono o io suggeriscono circostanze particola-ri, per esempio nelle concelebrazioni solenni, ma, per quanto è possibile, abitualmente, per la liturgia delle ore, per la meditazione sulla parola di Dio, per l’adorazione eucaristica. Sono convinto che in que-sti ultimi anni si sono fatti e si fanno dei progetti., da parte, per esempio, di preti della parrocchia-che ogni giorno pregano insieme e si ritrovano periodi-camente per una preghiera comune più prolunga-ta, di compagni di corsi, di gruppi particolarmente impegnati a coltivare la vita interiore e lo spirito di fraternità. Ma molto si può e si deve ancora fare.

Pregare insieme, lavorare insieme. Non si insisterà mai abbastanza sull’affermazione che il lavoro pa-storale deve essere attuato come Chiesa, comunita-riamente. Il lavoro pastorale d’insieme, tra i preti, nello studio, nell’analisi della situazione, nella pro-grammazione dell’attività, nell’esecuzione, dev’esse-re preso come criterio irrinunciabile. Non sarebbe certo lavorare insieme accettare semplicemente una divisione del lavoro in determinati settori, senza che l’uno si interessi di quello che fanno gli altri. Que-sto non soltanto nell’ambito della parrocchia, ma nell’ambito della zona e della diocesi. Anche qui il cammino da fare è ancora lungo.

22. Ma lavorare insieme non basta. Lo spirito di fraternità deve portarci a vivere insieme, a pratica-re più largamente tra i sacerdoti la vita comune. Si

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parla moltissimo di vita comune, di comunità, di spirito comunitario, ma in realtà siamo ben lontani da quelle attuazioni che si potrebbero raggiungere senza troppa fatica, sacrifi cando soltanto un poco i propri gusti, mentre basterebbero un po’ di buona volontà, un po’ di sacrifi cio dei propri gusti, un po’ di adattamento ai gusti e alle esigenze degli altri per realizzare una comunità di vita che darebbe una testimonianza che i fedeli hanno diritto di at-tendere da noi.

(MICHELE PELLEGRINO, Camminare insieme. Linee programma-tiche per una pastorale della Chiesa Torinese, 1971, nn. 21-22)

La comunione nella pratica

Interroghiamo ancora la parola di Dio per imparare come nella pratica quotidiana possiamo e dobbiamo vivere la comunione nella Chiesa, particolarmente tra presbiteri e vescovi.

La comunione si vive stando insieme, come Gesù, che durante tutto il suo ministero ha voluto vicino a sé gli apostoli, li vuole vicini nell’ultima sera della sua vita. Paolo inizia così il suo discorso: «Voi sapete in qual modo, dal primo giorno in cui venni in Asia, mi sia diportato con voi per tutto questo tempo» (At 20,18), cioè per tre anni, come dirà poco dopo (v. 31). E qui verrebbe opportuno commentare, riferen-doci a quella comunità di vita e soprattutto di pasto-rale a cui il Concilio si richiama con tanta insistenza e che trova tanta diffi coltà a realizzarsi nella Chiesa.

Essere in comunione vuol dire servire insieme: «Ser-vendo il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove subìte per le insidie dei giudei» (At 20,19).

Servire insieme per rendere testimonianza al Van-gelo, come Paolo che aspira soltanto a «condurre a termine la (sua) corsa e il servizio che (gli) fu affi da-

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to dal Signore Gesù, di testimoniare cioè la buona novella della grazia di Dio» (ivi 24).

Servire insieme richiede che i pastori badino a se stes-si e a tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo li ha posti, «come sorveglianti, a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistato con il suo sangue» (ivi 28).

Servire insieme vuol dire operare in pieno disinte-resse: «Non ho desiderato né argento né oro, né il vestito di alcuno. Voi sapete che alle necessità mie, e di quelli che erano con me, hanno provveduto que-ste mani», perché, l’ha detto Gesù: «È più felice il dare che il ricevere» (ivi 33-34). La comunione tra vescovi e presbiteri nel servizio della Chiesa si at-tua se questi operano veramente, e i vescovi come tali li riconoscono, quali «necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione d’istruire, santifi care e governare il popolo di Dio» (P0 7).

La comunione si attua soffrendo insieme. «Per loro io consacro me stesso, perché siano essi pure consa-crati nella verità» (Gv 17,19). Se anche il signifi cato di hagiazo non è, come alcuni interpretano, propria-mente quello di «sacrifi care», l’esigenza di unione fra Cristo e i suoi nel sacrifi cio traspare da tutto il contesto e soprattutto tenendo presente il momento in cui egli pronuncia questa preghiera.

Abbiamo udito l’allusione di Paolo alle «lacrime e le prove subìte per le insidie dei giudei» (At 20,19). Su-bito dopo egli dichiara: «Ed ecco che ora, incatenato dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere quello che là mi accadrà: so solo che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni» (ivi 22-23).

Ecco la bella testimonianza che dà Eusebio del-la comunione con cui i suoi fedeli partecipavano alle sofferenze del vescovo: «Avete colmato di gio-ia il mio cuore, come dice il beatissimo Paolo (cf

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Fil 2,7), adempiendo i comandamenti divini come conveniva ai cristiani di adempierli verso un vesco-vo o un altro ecclesiastico che sapevate soffrire in esilio per la fede».

Pregare insieme. Nel Vangelo di Giovanni solo Gesù prega, ma non è solo mentre prega. Egli attira con sé nella preghiera al Padre i discepoli che lo circon-dano.

Paolo, terminato il discorso di addio, «si pose in gi-nocchio e pregò insieme a tutti loro».

Anche noi preghiamo insieme, vescovi e sacerdoti, nella concelebrazione liturgica, espressione tra le più eloquenti della comunione gerarchica dei pre-sbiteri con l’ordine dei vescovi (PO 7).

«Padre, quelli che mi hai dato, voglio che siano anch’essi con me dove sono io, perché contempli-no la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della costituzione del mondo» (Gv 17,24).

Per questo Gesù ha pregato, fratelli carissimi; per questo preghiamo e per questo operiamo, perché sempre più si realizzi tra noi e con i nostri vesco-vi e con il successore di Pietro la comunione nella fede, nell’amore sincero e operoso, nell’impegno pastorale, testimonianza al mondo della presenza di Cristo salvatore.

(MICHELE PELLEGRINO, Omelia tenuta a Vercelli il 26 ottobre 1970 al Convegno Sacerdotale Regionale in occasione del XVI cen-tenario della morte di S. Eusebio, in Essere Chiesa oggi. Scrit-ti pastorali del card. Michele Pellegrino, LDC, Leumann - TO 1983, pp. 148-149).

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Don Mario Bortoletto

Profi lo personale

Nell’omelia tenuta alla messa esequiale, mons. An-drea Bruno Mazzocato disse: “Possiamo già affer-mare con sicurezza che don Mario Bortoletto è un patrimonio della nostra Chiesa di Treviso e del suo presbiterio di cui non perderemo la memoria”.

Nato il 17 maggio del 1938 a Padernello di Paese, Mario è il terzo fi glio dopo altri due, tra i quali Bru-no, che diventerà sacerdote. Nel 1950 entra nel Se-minario vescovile di Treviso. La sua famiglia ritorna, nel 1960, a San Trovaso, paese di origine dei genito-ri. Il 1º settembre 1963 viene consacrato sacerdote con altri dodici compagni da mons. Antonio Mistro-rigo. Inviato cappellano a Croce di Musile di Piave, vi rimase fi no al 1966, trovando nella pastorale giova-nile il suo ambito di lavoro. L’alluvione del Piave lo costringe a raggiungere in barca le famiglie isolate, quasi un anticipo della sua attività missionaria che lo vedrà visitare, attraverso la foresta africana, le fa-miglie più lontane.

Sono gli anni in cui si va preparando l’apertura di una Missione diocesana in collaborazione con il Pime, che approderà nella Missione di Ambam in Ca-merun. Il vescovo di Treviso, mons. Antonio Mistro-rigo, il 20 novembre 1966 fi rma una “Convenzione triangolare” con il Superiore generale del Pime e il Vescovo di Sangmelima. Due sacerdoti diocesani e due missionari del Pime, espulsi dalla Birmania, compongono l’équipe che lavorerà insieme ad Am-bam. Nel frattempo, mons. Mistrorigo accoglie la disponibilità di don Mario per un servizio missiona-

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rio in America Latina o in Africa. Il 29 giugno 1967, nella Cattedrale di Treviso viene celebrato l’invio in missione con la consegna del crocifi sso. Con don Mario partirà per Ambam anche don Angelo Santi-non. Don Mario, dopo aver fatto un pellegrinaggio con la mamma a Lourdes, il 5 novembre si imbarca a Genova con don Angelo Santinon e padre Granzero. Il 27 novembre entrano nel porto camerunense di Doula, per poi continuare il viaggio via terra verso Ambam, dove arrivano domenica 17 dicembre e con-celebrano la loro prima messa in missione.

Dopo alcuni mesi di studio della lingua e un periodo di iniziazione agli usi e costumi locali, a don Mario viene affi data tutta la zona a sud del fi ume Ntem. Dal 1968 al 1981 copre pure la zona oltre il fi ume. Dal 1981 al 1987 è parroco di Ambam, dal 1987 cura altri settori del territorio, mentre dal 1989 diventa parro-co del settore di Ma’an fi no al 2005, quando vi suben-trerà un sacerdote camerunense. Don Mario lascerà l’incarico con una certa sofferenza, ma consapevole di non riuscire più a percorrere i 229 chilometri a piedi oltre il fi ume Netem per visitare i cristiani nelle loro piccole comunità, come era abituato a fare due o tre volte all’anno. Anche se il vescovo locale vuole dissuadere don Mario dal lasciare la diocesi, accetta la sua scelta di diventare “associato” del Pime a Yaoun-dé. Riprende così, all’età di 67 anni, il suo servizio missionario nella periferia della capitale, un basso-fondo con grossi problemi di spostamento durante la stagione della pioggia, nel pendio di una zona non riconosciuta come abitabile, perché paludosa.

Molti sono i problemi legati all’agglomerazione, alla promiscuità, alla mancanza di lavoro, alla salute. Don Mario anima una serie di attività giovanili, in-coraggia la collaborazione con i laici. La formazione spirituale e biblica, l’attenzione alla scuola e alla cul-tura in genere sono al centro del suo servizio nella nuova realtà.

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Racconta il vangelo di Matteo che “Gesù percorreva tutte le città e villaggi, insegnando nelle loro sina-goghe, annunciando il Vangelo del Regno e guaren-do ogni sorta di infermità” (Mt 9,35). Così ha fatto don Mario, camminando fi no a sfi ancarsi sulle piste della sua parrocchia, curando con affetto i poveri e annunciando loro il Vangelo di Gesù. Sobrio nelle parole, preferiva “gridare” il Vangelo con la vita. Si trovò a lavorare con i fratelli protestanti. All’arrivo di don Mario ad Ambam, più del 75% della popolazione era protestante. Diceva sempre col “piccolo sorriso” che esistono due tipi di ecumenismo, quello “visto a tavolino” e quello che si vive “sul terreno”. Assicu-rava di conoscere bene il secondo. Sul piano della solidarietà e del servizio ai poveri non ha mai fatto distinzione. Era sul piano della “dottrina cattolica” che don Mario non ha mai fatto sconti. Chiedeva ai membri di tutte le confessioni di conoscere bene il proprio credo per un dialogo fruttuoso. Domanda-va rispetto reciproco. Reagiva all’accusa di rubare nel gregge delle comunità protestanti. Ci teneva a chiarire che “per nessuno aveva preso l’iniziativa di invitarlo a farsi cattolico”, anche se era felice di ac-cogliere quanti facevano domanda, attratti dallo stile fraterno della comunità cattolica.

Per le comunità cristiane da lui fondate sognava un clero indigeno. Ha seguito e aiutato con passione i giovani chiamati al sacerdozio. Lascia tredici sacer-doti alla Chiesa del Camerun.

La salute sembra reggere ancora bene, nonostante gli acciacchi dovuti all’età. Nel febbraio del 2008, dopo una visita ad una donna ammalata, mentre scende verso la chiesa parrocchiale scivola sul terreno reso viscido da un acquazzone e cade a terra fratturandosi il femore. Viene trasportato immediatamente all’o-spedale, dove rimane otto giorni in attesa del rimpa-trio in Italia. Sabato 21 febbraio arriva nella clinica di Monastier; martedì 24, durante la preparazione

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all’intervento chirurgico, i medici constatano la pre-senza di una fi brosi polmonare, che era stata diagno-sticata una ventina d’anni prima. Viene trasferito all’ospedale di Treviso, dove il venerdì successivo vie-ne operato con trapianto della parte lesa del femore. Continua ad esprimere il desiderio di ripartire al più presto per il Camerun. Ma la malattia ha il soprav-vento e dopo pochi giorni trascorsi in rianimazione in coma farmacologico per evitargli le sofferenze provocate dalla fi brosi, il 9 marzo 2009 verso le nove del mattino conclude la sua vita terrena.

Il 13 marzo viene celebrato il funerale nella Catte-drale di Treviso. Una grande folla gremisce il Duo-mo. La sepoltura avviene nel cimitero di San Trovaso di Preganziol, dove riposano i genitori di don Mario. Un anno dopo la morte il Vescovo di Ebelowa chiede che il corpo di don Mario possa ritornare tra la sua gente africana e venga sepolto nella chiesa che lui stesso ha ideato e costruito nella parrocchia di Ma’an che tanto ha amato.

(tratto da FRANCO MARTON, Un corpo donato, Editrice San Libe-rale, Treviso 2010)

Testi

Pensieri di don Mario

Una cosa è sicura, o ci meritiamo l’appellativo di “bea ti” facendoci poveri, o quello di “benedetti” amando e servendo i poveri.

Quanta strada a piedi... Diffi cile era l’ultimo trat-to di ciascuna delle due piste di Ma’an. Quattordici chilometri di foresta con dodici colline che biso-gnava ad ogni costo salire e scendere, sia nell’anda-

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ta che nel ritorno. E ancora altri trenta chilometri di pura foresta senza alcuna capanna e alcun rifu-gio... Era diffi cile perché per lunghissimi tratti non si vedeva dove si posavano i piedi. Poteva capitare di tutto: inciampare e cadere, mettere i piedi tra le formiche fornite di tenaglie, trovarsi un serpente attorcigliato alla gamba... Di queste camminate ri-cordo in modo particolare il peso della stanchezza. E infi ne si arriva in un piccolissimo villaggio che contava cinque persone!

Ero in “tournée” come di consuetudine. Il sentiero che stavo percorrendo in piena foresta, era tutt’al-tro che riposante anche perché la pioggia, caduta il giorno prima, lo aveva reso scivoloso e in certi tratti paludoso. Senza contare i soliti alberi caduti sul sentiero che bisogna scalare per andare oltre, e quelle erbacce che assomigliano ai rovi e che tro-vano gusto a graffi arti le braccia per vedere se c’è ancora sangue sotto la pelle.

Quel giorno ero veramente stanco e avanzavo più con la forza dei muscoli. Incontro una donna che camminava curva sotto il peso di una grossa gerla sovraccarica di prodotti dei campi. Davanti a lei una fi glioletta di circa sei anni portava sul dorso un fra-tellino, un ciccione di bambino che doveva avere cir-ca tre anni e mezzo. Saluto la mamma e poi mi rivol-go alla bambina dicendole: “Non ti stanchi a portare quel peso grosso sul dorso?”. E lei, guardandomi con due occhioni luminosi e un volto sprizzante gioia dappertutto: “Ma non è un peso, è mio fratello!”.

Non era dunque un peso anonimo che stava por-tando, un peso inutile, ma un peso che faceva parte della sua vita: suo fratello. Quella risposta mi aveva fatto svanire quasi del tutto la stanchezza, perché anch’io stavo percorrendo quel lungo e faticoso sen-tiero per i miei fratelli.

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Testimonianza di don Jean Blaise Mbang Belinga

Sono don Jean Blaise Mbang Belinga, sacerdote della dioecesi di Ebolowa nel Camerun, dove don Mario Bortoletto ha lavorato, anzi ha portato la Parola di Gesù per più di quarant’anni.

Noi lo chiamiamo affettuosamente père Mario, non tanto perché era sacerdote, ma soprattutto perché ci ha generato alla fede, alla nuova vita.

È stato anche il nostro Patriarca, il Patriarca del po-polo ntoumou.

Don Mario mi ha battezzato quarant’anni fa nel-la parrocchia di Amban, dove il mio papà lavorava all’uffi cio delle poste. Quando avevo tredici anni sono stato mandato da lui in Seminario, prima nel Seminario minore e dopo in quello maggiore.

Undici anni fa don Mario, insieme a monsignor Al-berto Bottari, sacerdote di questa stessa diocesi, an-che lui fi dei donum, mi ha accompagnato all’ordi-nazione sacerdotale. Subito dopo l’ordinazione, per sei anni ho lavorato con lui come suo vicario nella parrocchia di Ma’an da lui fondata, distaccandola da Ambam. Don Mario mi ha insegnato a celebrare la santa messa nella mia lingua materna, lingua che egli conosceva bene, penso più dell’italiano.

Da lui ho imparato come si gestisce la parrocchia, ad organizzare i campi scuola dei giovani che egli ha istituito nella mia diocesi.

Don Mario, ogni anno, faceva il giro dei villaggi per le visite alle famiglie, camminando a piedi per più di 150 chilometri, sotto la pioggia, sotto il sole, attraver-sando con le piroghe i fi umi infestati dai coccodrilli! E questo non una volta sola, ma varie volte all’anno.

Caro don Mario, tu non hai avuto paura di vivere in mezzo a noi, tu ti sei fatto povero fra i poveri. Calza-va sempre dei poveri sandali o ciabatte, hai condiviso con noi gratuitamente tutto ciò che avevi.

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Come dimenticare la tua ultima opera a Ma’an, que-sta bellissima chiesa costruita tre anni fa e dedicata ai santi Pietro e Paolo?

Come dimenticare il tuo catechismo in lingua ntou-mou, il rituale di passaggio dalla confessione prote-stante alla Chiesa cattolica?

Tredici sacerdoti camerunensi sono stati formati da te e anche molte suore.

Questi sono alcuni dei tanti ricordi. Don Mario ha segnato la storia della Chiesa Cattolica

e del Popolo della grande foresta equatoriale del Ca-merun, il tuo nome rimarrà sempre vivo nella nosra Chiesa e nel nostro cuore ovunque andremo.

Adesso riposa in pace con i nostri antenati e ricevi la corona di gloria promessa dal Signore ai suoi ser-vitori.

Grazie, Eccellenza, per l’onore che mi ha concesso di ricordare in questa cattedrale il “nostro père Mario”.

Grazie alla Diocesi di Treviso e alla sua famiglia per averci donato questo grande sacerdote e fratello.

Akiba, akiba, abui. (Testimonianza del 13 marzo 2009 nella Cattedrale di Treviso)

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Don Luigi Cecchin

Profi lo personale

Luigi Cecchin nasce a San Martino di Lupari (PD) l’11 dicembre 1924, ma viene battezzato a Galliera Veneta che diventa la sua parrocchia. Entra in Se-minario a Treviso nel 1935 ed è ordinato sacerdote dal vescovo Antonio Mantiero il 26 giugno 1949. Viene inviato come cappellano nelle parrocchie di Cornuda, Martellago, Vedelago e infi ne a Resana fi no al 1963.

Dal 1964 al 1968 è padre spirituale nel Seminario maggiore di Treviso, nel corso del rettorato di mons. Guido Santalucia. Vi giunge in un momento molto delicato, di forte tensione tra il gruppo degli educa-tori e quello degli insegnanti. Nel 1968 ottiene dal Vescovo il permesso di andare in missione come fi dei donum in America Latina. Dopo una veloce prepa-razione, riceve il mandato dal vescovo Mistrorigo il 6 gennaio 1969 nel corso di una celebrazione euca-ristica a Galliera. S’imbarca a Genova nello stesso mese e giunge a Limoeiro, nella diocesi di Nazarè de Mata nel Nord-est del Brasile, il 28 febbraio 1969. Si è da poco conclusa a Medellin la II Conferenza gene-rale dell’episcopato latinoamericano che segnerà la pastorale del continente per un decennio.

L’impegno e le attività pastorali di don Luigi si ri-volgono particolarmente ai bambini – nel 1971 av-via il “Centro di formazione dei minori” – nella co-stante testimonianza della vicinanza, della presenza e dell’amore di Dio tra i poveri, amandoli e facen-dosi povero egli stesso. Don Luigi riesce a togliere centinaia di bambini dalla strada e a dare una vita dignitosa a moltissime persone povere e sofferenti.

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La sua vita è segnata anche da gravi malattie e da persecuzioni da parte della dittatura militare. Egli realizza e cura un programma che viene trasmesso regolarmente alla radio in tutto il territorio per po-ter diffondere il Vangelo, che si rivela un importante sostegno per la fede di tante persone. Infi ne, si preoc-cupa di portare a conoscenza della gente l’uso della medicina alternativa, in modo che ci si possa curare autonomamente in maniera corretta, dal momento che il servizio sanitario, per i poveri, non esiste af-fatto. Don Luigi riesce a cambiare la coscienza dei sacerdoti che grazie al suo esempio hanno allargato i loro orizzonti lavorando per i poveri ed occupandosi dei loro problemi.

Muore in Italia, dove era venuto per curarsi, il 26 febbraio 2010, assistito anche dal suo vescovo brasi-liano. La popolazione di Limoeiro ha chiesto che il suo corpo potesse riposare tra la “sua amata gente” e così è avvenuto: don Luigi attende la Resurrezione in Cristo in Brasile, nel suo paese di missione.

Don Luigi ha vissuto gioiosamente confi dando sem-pre nella provvidenza e nella presenza del Signore. Diceva che la missione era stata per lui una vera e propria “grazia di Dio” perché “ha purifi cato la mia mentalità ecclesiale”. Era passato dal “prete che fa molte cose” e si sente effi cace, forte e magari “pa-drone”, al prete che si scopre “un piccolo e limitatis-simo strumento nelle mani di Cristo buon Pastore”. Dal prete che “non dà spazio e fi ducia ai laici”, al prete che “scopre tra i cristiani quelli toccati dal-lo Spirito Santo”, i laici capaci di essere essi stessi “annunciatori di Gesù e del suo Vangelo”. Il Signore lo ha guardato innanzitutto nei Vangeli. Li leggeva con i poveri nei “Circoli biblici” dove, come raccon-tava, si faceva “una lettura orante della Parola di Dio, che illuminava il cuore e la vita, sia personale che sociale”.

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Testi

Amare i poveri come li ama Gesù (Natale 2009)

I Poveri mi hanno aiutato ad avvicinarmi di più a Gesù Cristo, povero e appassionato per i poveri.

Lavorando, convivendo con ragazzi, adolescenti, fa-miglie povere, sono arrivato alla convinzione che il Povero prima di tutto ha bisogno di amore.

Amare il Povero come egli è: buono o cattivo, sporco O pulito, grato o ingrato, maleducato o rispettoso, sincero o bugiardo...; amarlo cosi come egli è.

In una società che dà importanza ai grandi della ric-chezza, del potere, della fama, i Poveri non hanno nessun valore.

Questa mentalità è presente anche nel Povero stesso: egli non ha stima di sé; pensa di non valere niente.

Qualsiasi aiuto fatto al Povero senza amore non lo fa alzare dal profondo senso di disistima che egli ha di se stesso. L’elemosina può alleviare la sua sofferenza, ma non l’aiuta a far di se stesso un uomo, a dargli dignità, a scoprire che anch’egli è persona umana, che anch’egli è un fi glio di Dio e ha ricevuto da Dio una missione che deve compiere per il bene di tutti e per essere felice.

Solo l’amore libera il Povero dalla tentazione di di-ventare un miserabile, cioè un accattone, che sa solo chiedere e, per ricevere, si vende in tutto, anche a chi lo sfrutta.

Gesù, venendo al mondo, ha scelto la condizione del Povero e si è dimostrato appassionato dei Poveri. Come noi dovremmo guardare ai Poveri? Quale aiu-to vero dare ai Poveri?

Solo l’amore elimina la distanza che separa il Pove-ro dal ricco. Solo l’amore apre gli occhi del Povero, perché arrivi a scoprire che anch’egli è una forza per fare un mondo migliore.

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Accolto con rispetto e uguaglianza nella società, come in una grande famiglia dove regna una relazio-ne fraterna, egli sarà un attivo e prezioso componen-te per il bene suo e la felicità di tutti.

Sempre e solo dall’amore sboccia la vita, la vita con dignità, in chi dà e in chi riceve.

(FRANCO MARTON, Chi siete andati a vedere nel sertão? Profi lo di don Luigi Cecchin missionario “fi dei donum” in Brasile, San Liberale, Treviso 2012, pp. 97-98)

L’incontro con il presbiterio diocesano

In Seminario vescovile di Treviso moltissimi preti e seminaristi il 14 aprile del 2005 ascoltarono questa testimonianza di don Luigi Cecchin sui preti fi dei donum.

Davanti al mio Vescovo di questa Chiesa di Gesù che vive in Treviso, e a voi sacerdoti, componenti il presbiterio, io mi sento completamente come voi, membro dello stesso presbiterio. Ho esercitato il ministero sacerdotale durante 20 anni qui in diocesi e da 36 lo sto esercitando in Brasile. Non mi sento più prete adesso, di quanto lo fossi prima. Non è più facile svolgere il ministero sacerdotale qui in dioce-si che in Brasile.

Il Signore al quale ci siamo consacrati per l’annun-cio di Lui e del suo Vangelo ai fratelli, certamente ci offre momenti di grazia che ci consolano, facen-doci vedere qualche buon frutto. E ci ha fatto speri-mentare anche momenti di dolore, di tristezza nei quali, dopo molto lavoro e sacrifi ci, ci siamo visti con le mani vuote. La vita di Gesù, nei suoi 33 anni visibili, è stata così.

[Il mio invio come fi dei donum in Brasile] era un gesto di aiuto a una chiesa povera di preti, ma era so-prattutto una collaborazione nello Spirito di scam-

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bio di doni tra chiesa e chiesa, era un dare e un rice-vere i doni che Dio concede ad ogni chiesa. Da Lui, Cristo, “tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’e-nergia propria di ogni membro, cresce in modo da edifi care se stesso nella carità” (Ef 4,16). È in questo ‘dare e ricevere’ che dobbiamo collocare nella giusta posizione la parola ‘donum fi dei’, dono della fede. Dalla bontà misericordiosa di Dio, tutti noi abbiamo ricevuto il dono della fede fi n dal Battesimo. “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Andate e predicate il Vangelo a tutte le genti”.

Che cosa ha signifi cato per me esercitare il mio mi-nistero sacerdotale in Brasile?

È stata una grazia di Dio: ha purifi cato la mia men-talità ecclesiale (il prete che fa molte cose e non dà spazio e fi ducia ai laici). Mi ha fatto scoprire che sono un piccolo e limitatissimo strumento nelle mani di Cristo buon Pastore.

L’impegno di noi preti è guardare Gesù umile e ser-vo. Chiamò i dodici apostoli perché rimanessero con lui e andassero a predicare. Ho capito meglio, per necessità, che la Chiesa è ministeriale. Il primo pas-so da fare è scoprire tra i cristiani quelli toccati dallo Spirito Santo: invitarli e animarli ad essere annun-ciatori di Gesù e del suo Vangelo.

L’amore e la stima della Bibbia è, un dono specia-le di Dio al popolo brasiliano. Nei circoli di lettura della Bibbia si fa una lettura orante della Parola di Dio, che illumina e trasforma il cuore e la vita, sia personale che sociale. Senza molte speculazioni teo-logiche, il popolo semplice ascolta la parola di Dio e la passa direttamente nella vita.

Ci sono molti ministeri: della catechesi, della pasto-rale degli ammalati, dei ragazzi di strada, dei poveri, dei gruppi di giovani.. Siamo arrivati alla formazio-ne di piccoli gruppi missionari che due a due alla

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domenica (sacrifi cando il proprio riposo) vanno nei villaggi distanti dalla città a visitare le famiglie casa per casa per ascoltare, conoscere le persone e le si-tuazioni, per dialogare, avviare una amicizia e an-nunciare Gesù e le esigenze del Vangelo nella misura della disponibilità della persona.

La grande verità che la conversione viene solo dalla grazia del Signore, sollecita il prete e i missionari laici ad un impegno profondo di conversione. Siamo semplici strumenti: è necessaria molta preghiera e vera amicizia con Gesù.

In tutto il lavoro pastorale occorre anche molta pa-zienza: saper aspettare fi duciosi l’ora della grazia, camminare con il passo del popolo, spogliarsi della mania della fretta. Nostro dovere è seminare, se-minare il seme buono, senza la pretesa di vedere subito i frutti.

Sul rapporto con le persone, soprattutto col povero, occorre grande rispetto per quello che egli è, e saper ascoltare molto. L’aiuto materiale al povero non va dato da benefattore, ma come lo dà un amico: sia sempre un aiuto che porta il povero all’auto-stima, a scoprire quello che egli ha di buono, che Dio lo ama, lo vuole felice, ha fi ducia in lui e lo chiama a passare dalla miseria ad una povertà dignitosa.

(FRANCO MARTON, Chi siete andati a vedere nel sertão?, op. cit., pp. 93-96)

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Raccolta di preghiere

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Tu sei la luce

Stai con me, e io inizierò a risplenderecome tu risplendi;a risplendere fi no ad essere luce per gli altri.La luce, o Gesù, verrà tutta da te:nulla sarà merito mio.Sarai tu a risplendere,attraverso di me, sugli altri.Fa’ che io ti lodi così,nel modo che tu più gradisci,risplendendo sopra tutti coloroche sono intorno a me.Da’ luce a loro e da’ luce a me;illumina loro insieme a me, attraverso di me.Insegnami a diffondere la tua lode,la tua verità, la tua volontà.Fa’ che io ti annunci non con le parolema con l’esempio,con quella forza attraente,quella infl uenza solidaleche proviene da ciò che faccio,con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,e con la chiara pienezza dell’amoreche il mio cuore nutre per te Card. Henry Newman

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Aiutami a vivere di te

Chiamato ad annunciare la tua Parola,aiutami, Signore, a vivere di Te,e a essere strumento della tua pace.Assistimi con la tua luce,perché le persone che mi hai affi datotrovino in me un testimone credibile del Vangelo.Toccami il cuore e rendimi trasparente la vita,perché le parole, quando veicolano la tua,non suonino false sulle mie labbra.Esercita su di me un fascino così potente,che io abbia a pensare come Te,ad amare la gente come Te,a giudicare la storia come Te.Concedimi la gioia di lavorare in comunione,e inondami di tristezza ogni volta che,isolandomi dagli altri,pretendo di fare la mia corsa da solo.Ho paura, Signore, della mia povertà.Regalami, perciò, il confortodi vedere crescere le personenella conoscenza e nel servizio di Te.Fammi silenzio per udirle.Fammi ombra per seguirle.Fammi sosta per attenderle.Fammi vento per scuoterle.Fammi soglia per accoglierle.Infondi in me una grande passione per la Verità,e impediscimi di parlare in tuo nome se primanon ti ho consultato con lo studioe non ho tribulato nella ricerca.Salvami dalla presunzione di sapere tutto,dall’arroganza di chi non ammette dubbi;dalla durezza di chi non tollera ritardi;dal rigore di chi non perdona debolezze;dall’ipocrisia di chi salva i principi e uccide le persone.

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Trasportami, dal Tabor della contemplazione,alla pianura dell’impegno quotidiano.E se l’azione inaridirà la mia vita,riconducimi sulla montagna del silenzio.Dalle alture scoprirò i segreti della «contemplatività»,e il mio sguardo missionario arriverà più facilmente agli estremi confi ni della terra.Affi dami a tua Madre.Dammi la gioia di custodirei miei fratelli come Lei custodì Giovanni.E quando, come Lei, anch’io sarò provato dal martirio,fa’ che ogni tanto possa trovare riposoreclinando il capo sulla sua spalla. Amen. Mons. Tonino Bello

Tu attendi la mia conversione

Signore,la tua bontà mi ha creato,la tua misericordia ha cancellato i miei peccati,la tua pazienza fi no ad oggi mi ha sopportato... Tu attendi, o Signore misericordiosola mia conversionee io attendo la tua graziaper raggiungere attraverso la conversioneuna vita secondo la tua volontà.Vieni in mio aiuto, o Dio che mi hai creatoe che mi conservi e mi sostieni.Di te sono assetato, di te sono affamato,te desidero, a te sospiro,te bramo al di sopra di ogni cosa. Anselmo di Aosta

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Ricordati, Maria

Madre di Dio, Vergine Maria,venerabile Madre della Chiesa,a te affi diamo l’intera Chiesa.Tu che sei chiamata con il dolce nome di «aiuto dei vescovi»,custodisci i pastori sacrinello svolgimento del loro compitoe sii loro vicina, insieme ai sacerdoti,ai fratelli religiosi e ai fedeli laici,a tutti coloro che li aiutanonel sostenere l’arduo impegnodel compito pastorale.Tu che dallo stesso Salvatore divino, tuo Figlio,mentre moriva sulla croce sei stata affi dataquale Madre di immensa caritàal discepolo che egli amava,ricordati del popolo cristianoche a te si affi da.Ricordati di tutti i tuoi fi gli;avvalora le loro preghierecon la tua forza particolaree la tua autorità presso Dio;mantieni integra e solida la loro fede,rafforza la loro speranza,fa’ risplendere la loro carità.Ricordati di quanti sono nella povertà,nel bisogno, nel pericolo,soprattutto di coloro che patiscono violenzee che per la fede cristiana sono incarcerati.Chiedi per essi, o Vergine Maria,la fortezza d’animoe affretta l’atteso giorno della dovuta libertà.Rivolgi i tuoi occhi misericordiosiai nostri fratelli separatie fa’ che nuovamente un giorno ci riuniamo,

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tu che hai generato il Cristo,tramite e artefi ce dell’unitàfra Dio gli uomini.Tempio di luce purissima e sempre splendente,prega il tuo unigenito Figlio,per mezzo del quale ora siamo stati riconciliati,affi nché abbia misericordiadelle nostre mancanze,allontani ogni tipo di separazione,ci conceda la gioia di amare i fratelli.Affi diamo al tuo Cuore immacolato,o Vergine Madre di Dio,tutto il genere umano;guidalo alla conoscenza di Gesù Cristo,unico e vero Salvatore;allontana da lui i danniche portano con sé i peccatie procuragli la paceche è verità, giustizia, libertà e amore.Concedi infi ne a tutta la Chiesadi poter cantare al Dio delle misericordieun solenne inno di lode e di ringraziamento,inno di gioia e di esultanza,perché cose grandi ha fatto per te Colui che è potente,o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.Amen. Paolo VI

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Signore, grazie

Signore Gesù,Tu hai chiamato Pietro e Andrea,Giacomo e GiovanniE una schiera innumerevole di uominiAi quali hai regalato la Tua fi duciaPer continuare la Tua opera,per seminare la vera speranza,per curare l’infelicità umana.Grazie, Signore, per il dono del sacerdozio!Grazie per aver chiamatodegli uomini peccatoria lottare contro il peccato degli uomini!Donaci, o Signore, uno stupore inesauribilee una fede grandeper accogliere questo donoche nasconde il Dono del Tuo Amore.Grazie, Signore, per averci amato così!Grazie per il sacerdote che ci ha battezzato,per il sacerdote che ci ha datoil primo perdono,per i sacerdoti che ci perdonano ogni giornoe ogni giorno ci regalano la Santa Eucaristia;grazie per il sacerdoteche ci darà l’ultimo perdononell’ultimo giorno della nostra vita!Signore, abbi pietà di noie manda oggi santi sacerdoti alla Tua Chiesa.Amen. Angelo Comastri

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Signore, aiutami

Signore Gesù, mia vita, mio tutto,Tu mi chiedi di dare gratuitamentequanto gratuitamente mi hai donatonella Chiesa dove mi hai chiamato a seguirti.Aiutami a condividere con gli altri i doni ricevutinello spirito del dialogoe dell’accoglienza reciproca.Fa’ che io riesca a farmi prossimoper tutti coloro cui Tu mi invii,specialmente i più deboli e bisognosie quelli che sono più diffi cili da amare.Mi stimola in questo l’esempio di tanti santiche nella storia hai dato a questa nostra Chiesa:anche alla loro intercessione mi affi doperché sia vigile e responsabilenella lettura dei segni del tempoe testimoni il primato del Padrenel mio lavoro quotidianoe nei rapporti ecclesiali e sociali.Aiutami ad essere sobriocercando in tutto l’essenziale,che piace a te e mi fa vicino ai tuoi poveri,liberandomi da maschere e difese tranquillizzanti.Dammi amore vero alla tua Chiesa,che riconosco mia Madre nella grazia,perché mi ha generato alla fede in Te e nel Padre tuomediante il dono del Consolatore.E fa’ che da una viva e forte esperienzadi comunione ecclesialescaturisca nel mio cuore il bisognodi testimoniare ad altricon generosità e passionela bellezza del dono che tu hai fatto a me,

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insieme a tutti coloro che vivono l’ansia missionariaper il tuo regno.E Tu, Vergine Madre Maria,che ti sei fatta terreno dell’avvento di Gesùnell’ascolto umile ed accogliente dell’Angeloe sei stata attenta, tenera e concretanel comunicare ad Elisabetta la gioiadi quanto avevi ricevuto,aiutami ad essere come Tevigile ed impegnato nell’accoglienzae nella trasmissione del donoche viene da Dio. Amen. Card. Carlo Maria Martini

Voglio amare come te

Signore mio Gesù,voglio amare tutti coloro che tu ami.Voglio amare con te la volontà del Padre.

Non voglio che nulla separi il mio cuore dal tuo,che qualcosa sia nel mio cuoree non sia immerso nel tuo.Tutto quel che vuoi io lo voglio.Tutto quel che desideri io lo desidero.

Dio mio,ti do il mio cuore,offrilo assieme al tuo a tuo Padre,come qualcosa che è tuoe che ti è possibile offrire,perché esso ti appartiene. Charles de Foucauld

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Donaci il tuo Spirito

Ecco, Signore, noi vogliamo ricominciare ogni giornoa diventare quali ci hai chiamati ad essere.Affronteremo ogni giornata con nuova gioia e nuovo coraggio,perché dobbiamo crescere sempre più come apostolie preti della tua santa Chiesa.Tu stesso ci mandi per le vie degli uomini,spesso interminabili, faticose e squallide per il nostro cuore debole e impaziente.Perciò ti preghiamo: donaci il tuo Santo Spirito; donaci in questo nostro pellegrinaggiosempre nuovo lo Spirito del tuo sacerdozio,lo Spirito del timore di Dio,lo Spirito della contrizione,lo Spirito dell’umiltà e del casto timore di offendere Dio con il peccato,lo Spirito della fede e dell’amore alla preghiera,lo Spirito della purezza e della disciplina virile,lo Spirito della scienza e della sapienza,lo Spirito dell’amore fraterno e dell’unitàche non conosce invidie e litigi,lo Spirito della gioia e della fi ducia,lo Spirito dell’obbedienza,della pazienza e dell’amore alla tua croce santa.Concedici di aver davanti agli occhi Dio tuo Padre in questo cammino; di camminare alla sua santa presenza;di lavorare onestamente alla formazione del nostro cuore,di esercitare tra di noi la solidarietà dei fratelli,di portare l’uno i pesi dell’altroe così adempiere la tua legge.Abbiamo promesso a te e a noi di essere tuoi preti:preti e nient’altro,preti in un servizio indiviso.

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Tu ci guardi, il tuo occhio penetra la nostra coscienza,il tuo amore arriva sino ai nostri cuori.e dici: “Siete miei amici, se farete quanto vi ho comandato”.Con umiltà e fi ducianoi osiamo alzare a te il nostro sguardoe dire: con la tua grazia saremo tuoi amicie faremo quel che ci hai comandato. Amen. Karl Rahner

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Indice

PRESENTAZIONE ......................................................................5

PRIMO RITIRO

Un ministero condivisoLa chiamata dei Dodici (Mc 3,13-19) ....................................9

SECONDO RITIRO

Dentro una tradizione di presbiterioLa scelta di Mattia per il collegio apostolico (At 1,12-26) ....31

TERZO RITIRO

Con stile fraternoL’assemblea di Gerusalemme (At 15,1-35) .........................55

QUARTO RITIRO

Le forme della fraternitàIl valore della comunione per una Chiesa in uscita (At 2,42-47; 4,32-35) .....................79

TESTIMONI ESEMPLARI

Padre Antonio Chevrier...............................................103 Card. Michele Pellegrino .............................................110 Don Mario Bortoletto ..................................................117 Don Luigi Cecchin ......................................................124

RACCOLTA DI PREGHIERE ......................................................131

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