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Il soffio della speranza 2007 SOCIETÀ DI SAN VINCENZO DE PAOLI CONSIGLIO NAZIONALE ITALIANO 2008 SUSSIDIO FORMATIVO REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL CENTRO DI SERVIZIO PER IL VOLONTARIATO DEL LAZIO SPES

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SOCIETÀ SAN VINCENZO DE PAOLI

SUSSIDIO FORMATIVO 2007/2008

Il soffiodella speranza

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Supplemento aLA SAN VINCENZO IN ITALIA n. 9/2007

Proprietà e Editore: Società di San Vincenzo De PaoliConsiglio Nazionale ItalianoVia della Pigna, 13/a - 00186 Roma

Direttore responsabile: Marco F. BersaniRedazione di Roma: Via della Pigna, 13/a - 00186 Roma

Tel. 066796989- Fax 066789309www.sanvincenzoitalia.ite-mail: [email protected]

Grafica e fotolito: Adel Grafica s.r.l.Vicolo dei Granari, 10a - 00186 RomaTel. 066823225 - Fax 0668136016

Stampa: Nuova Editrice Grafica s.n.c.Via F. Donati, 180 - 00126 Roma

Roma, settembre 2007

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In copertina:“Cristo Risorto” di ClaudioParmigiani, simbolo del IVConvegno Ecclesiale di Verona 2006“Testimoni di Gesù Risorto, speranzadel mondo”

INDICE

INTRODUZIONE 7

PRESENTAZIONE 9

I SCHEDADALL’AMORE LA SPERANZA 11

II SCHEDAGESÙ CRISTO È LA SPERANZA 15

III SCHEDALA CHIESA EVANGELIZZALA SPERANZA 20

IV SCHEDALA FAMIGLIA CRISTIANATESTIMONE DI SPERANZA 25

V SCHEDAI VINCENZIANI PORTATORIDI SPERANZA AI POVERI 29

VI SCHEDALA CONFERENZA, ANNUNCIODI SPERANZA 33

VII SCHEDAI GIOVANI, SPERANZADELLA CHIESA 37

VIII SCHEDADALLA GIUSTIZIALA SPERANZA 40

IX SCHEDAOLTRE VERONA 44

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INTRODUZIONE

“QUANDO DUE O PIÙ SI RIUNISCONO

NEL MIO NOME”

Essere Società significa anche:● pregare insieme● riflettere insieme● agire di comune accordo● sulla base di regole accettate da

tutti.

Un sussidio formativo è uno stru-mento per aiutare le Conferenze nel-la loro vita spirituale. Si rivolge atutte le Conferenze, ma certamente èindispensabile per le Conferenze chepurtroppo non sono seguite con re-golarità da un consigliere spirituale.

Quello che Vi mando quest’annoè frutto del lavoro dei nostri consi-glieri spirituali nazionali, Padre Gio-vanni Battista Bergesio e Padre Giu-seppe Turati e dei Giovani Vincen-ziani.

Ricordiamo sempre a tutti che lapreghiera e la riflessione non sonoun “optional” che si fa in fretta e sal-tuariamente, se non ci sono “casi ur-genti” da trattare, ma sono invecel’elemento fondante del nostro stareinsieme, lo strumento della nostracrescita, quello che ci distingue daaltre forme di volontariato.

Luca StefaniniPresidente Nazionale

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PRESENTAZIONE

«Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori,pronti sempre a rispondere a chiunque vi do-mandi ragione della speranza che è in voi». (1 Pt3,15)

Dal Convegno della Chiesa Italiana di Vero-na, attraverso la parola del Papa, dei Vescovi e dimigliaia di partecipanti, è uscito questo grido cheè arrivato in ogni angolo delle nostre comunità eassociazioni, invitandoci e impegnandoci tutti adessere testimoni di Gesù Cristo Risorto che è lavera, unica speranza di salvezza per l’umanità.

Non potevamo certo noi Vincenziani non ac-coglierlo, non farlo nostro, non progettare di vi-verlo! È il soffio dello Spirito Santo che geme neinostri cuori e grida la Parola della speranza: “Ab-bà, Padre”, Padre di Gesù, Padre nostro!

Il sussidio formativo per il 2007/2008 partedi lì e sviluppa in modo semplice e lineare questodiscorso. È composto di nove schede, ognunadelle quali propone un percorso di speranza: dallavita affettiva alla centralità di Cristo, dalla Co-munità ecclesiale a quella familiare, dalla SanVincenzo alla realtà giovanile, dall’impegno diprossimità all’impegno socio-politico.

Ogni scheda presenta alcuni testi di riflessionee una traccia per la condivisione in Conferenza.

Il formato e lo stile sono quelli del sussidio2007, che sembra avere incontrato il vostro gra-dimento.

Affido questo piccolo strumento di formazio-ne a San Vincenzo e al Beato Federico, nella spe-ranza che possa essere utile, specialmente nelleConferenze che non hanno l’assistente spirituale.

Il significato della formazione sta tutto inquesto pensiero di san Vincenzo: “non basta fareil bene… occorre farlo bene”.

Non basta servire i poveri...bisogna servirli be-ne!

Il Signore ci doni soprattutto questa intelli-genza e questa buona volontà!

P. Giovanni Battista BergesioConsigliere spirituale nazionale

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I SCHEDA

DALL’AMORE LA SPERANZA

I. La vita affettiva

1. I tempi in cui viviamo sono quelli che Dio ci ha do-nato e in quanto dono di Dio vanno vissuti nella dimen-sione della speranza.

La Speranza da testimoniare è il vangelo dell’amore.L’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est ci dice chel’amore umano si fonda sull’Amore che per primo ci è sta-to donato. Da questo punto di vista è importante renderevisibile la dimensione teologale della vita affettiva fondatasull’amore-carità. È questo fascino del divino che trasparedall’amore umano ciò di cui ha fame e sete l’uomo con-temporaneo.

Non possiamo non partire da questa origine per com-prendere lo spazio della vita affettiva nell’esperienza uma-na. Fondare la vita affettiva su Cristo morto e risorto si-gnifica porre le premesse per una piena umanizzazione eper una testimonianza risplendente di speranza. Tale espe-rienza è struttura portante dell’esistenza umana ed è lamodalità privilegiata attraverso cui le donne e gli uominicercano una risposta alla propria domanda di felicità e disenso.

2. Ma fuori dall’orizzonte etico e religioso, l’affettivitàè ridotta a sentimentalismo ed edonismo. Eros e agapevanno invece posti in un dinamismo circolare.

Si parla oggi di “analfabetismo affettivo” per significarelo stato di immaturità personale diffuso in particolare traadolescenti, ma anche tra giovani o adulti, in difficoltà adassumersi impegni e responsabilità, in particolare quandodevono compiere scelte che richiamano il “per sempre”,peraltro elemento costitutivo dell’amore. La condizione diimmaturità affettiva emerge anche nelle stesse comunitàcristiane, spesso caratterizzate da relazioni formali e chefaticano a pensarsi come luoghi di relazione affettiva e dicondivisione delle responsabilità e, a volte, anche traquanti aspirano alla vita religiosa e al presbiterato.

Tuttavia la vita affettiva, anche se fragile, e proprio at-traverso la propria fragilità, rimane un valore. Ciò vale in

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particolare per la famiglia, che è il luogo per eccellenza ge-nerativo di affetti. Ogni sua componente impara in essagradualmente a vivere le relazioni negli errori come nelleesperienze riuscite.

Se la famiglia è luogo privilegiato dell’esperienza affet-tiva, essa è e deve essere anche soggetto centrale di vita ec-clesiale e ciò richiede che ad essa sia dato spazio e respon-sabilità nel rispetto di tempi, esigenze e fasi del suo ciclodi vita.

Va sottolineata anche la necessità e l’urgenza che le fa-miglie sempre in maggior numero si associno tra loro pro-ponendosi come testimonianza di solidarietà interna e so-stegno reciproco e diventino erogatrici di servizi per le al-tre famiglie in una reale attuazione del principio di sussi-diarietà.

La comunità ecclesiale, in particolare la Parrocchia, èchiamata essa stessa ad essere luogo di vita affettiva: ciò si-gnifica che essa sia poco “struttura”, ma luogo di vita, am-bito aperto, comunità cristiana viva, capace di fare rete,incarnata nel territorio, in grado di ospitare e valorizzarele diversità di ruoli, vocazioni e carismi. In questo senso,sono da valorizzare tutti quei luoghi e momenti capaci dimettere stabilmente in dialogo laici, religiosi e presbiteri.

Il volto della Chiesa da proporre all’uomo d’oggi èquello di una Chiesa Madre oltre che Maestra, capace dicurare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili,delle famiglie disgregate, di camminare a fianco di ognipersona prendendosi cura con tenerezza di ogni fragilità ecapace al tempo stesso di orientare su vie sicure i passi del-l’uomo. Al proposito si è usata l’espressione “pastorale del-la vicinanza” e si è proposta la metafora della comunitàcristiana come “locanda dell’accoglienza”. È importanteche il linguaggio dell’annuncio esprima il calore prove-niente da relazioni affettive profonde anche nella vita ec-clesiale. (Convegno ecclesiale di Verona, Raffaella Iafrate)

II. Comunione e missione

La comunione è la prima forma della missione. Comu-nione e missione sono assolutamente inseparabili: simulstant vel cadunt. Secondo la categorica parola di Gesù,anzi secondo la sua appassionata preghiera: «Come tu, Pa-dre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa so-la, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gio-

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vanni 17,21). La Christifideles laici chiosa così il testoevangelico: «In tal modo la comunione si apre alla missio-ne, si fa essa stessa missione».

Una comunità che non sia una comunione, una Con-ferenza che non cerchi e non viva una autentica dimensio-ne amicale e affettiva al suo interno, ha ben poco da direall’esterno: è necessario che il linguaggio dell’annuncioesprima il calore proveniente da relazioni affettive profon-de nella vita di gruppo.

Questo rapporto ci tocca anche nella concreta comu-nione che di fatto esiste – o non esiste – nelle e tra le no-stre Chiese, nelle e tra le nostre diverse realtà ecclesiali.

Nella prolusione al Convegno, il Card. Tettamanzi af-ferma: «Da parte mia ritengo quanto mai appropriata estimolante la rilettura ecclesiologica del comandamentobiblico dell’ “ama il prossimo tuo come te stesso”, che conrigorosa logica si declina così: ama la parrocchia altrui co-me la tua, la diocesi altrui come la tua, la Chiesa di altriPaesi come la tua, l’aggregazione altrui come la tua».

È un messaggio perfettamente in linea col pensiero disan Vincenzo che non esitava ad anteporre le altre comu-nità a quelle fondate da Lui, e invitava addirittura le per-sone a rivolgersi ad esse che erano più degne e più capaci!

Su questa strada dobbiamo ancora camminare molto.Sovente la San Vincenzo – a livello locale e ad altri livelli– vive in uno splendido isolamento: non è presente inmodo concreto nella vita della comunità, non ha legamiconsistenti con le altre associazioni, si disinteressa tran-quillamente non solo delle altre diocesi, ma anche deiprogetti e delle iniziative della propria diocesi.

Perfino nell’ambito della Famiglia Vincenziana: aldilàdei momenti e delle dichiarazioni ufficiali, è più facile rac-cogliere critiche e apprezzamenti non proprio positivi neiconfronti degli altri rami della Famiglia, che il desiderio dicostruire una autentica comunione. Il principio “ognunoper sé, Dio per tutti” sembra ancora avere molti consensi.

La conclusione non può essere altra che questa: valo-rizzare tutti i luoghi e momenti capaci di mettere stabil-mente in dialogo laici, religiosi e presbiteri, della FamigliaVincenziana e non.

Il dinamismo pastorale deve essere sempre più orienta-to in senso missionario, per incontrare gli uomini dove vi-vono, amano, soffrono e lavorano. La cura pastorale va ri-volta anche alle situazioni difficili e di disordine morale,

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oggi così frequenti. Così che la pastorale diventi la “pasto-rale della vicinanza” e la comunità cristiana “la locandadell’accoglienza”. (G.B.B.)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) Che cosa significa all’interno delle mia Conferenza es-sere “locanda di accoglienza”? – Accetto l’assistito per quello che è, per quello che mi

dà? – Gli offro soltanto delle cose, o cammino insieme a

lui, condividendo nel profondo i suoi problemi?

2) La Conferenza assomiglia a una famiglia o a un gruppodi lavoro?– Accetto i confratelli nei loro limiti e debolezze?– Ho degli esempi concreti da far presenti in Confe-

renza per convincere i confratelli che li amo non soloa parole, ma anche negli atti?

3) La Chiesa è madre e maestra. Una maestra che nonpuò mai abbandonare i sentimenti e i toni tipici dellamaternità: anche quando deve prendere posizione o“sgridare” i suoi figli.– Come parliamo di quelli che non stanno dalla nostra

parte? – Come reagiamo di fronte ad eventuali “aggressioni”?– Che cosa può significare concretamente la parola di

Gesù: “hanno perseguitato me, perseguiteranno an-che voi”?

– Il comportamento di Gesù con i suoi “nemici” checosa ci suggerisce?

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II SCHEDA

GESÙ CRISTO È LA SPERANZA

I. Rigenerati a una speranza viva

...Le letture bibliche, che poc’anzi sono state proclama-te, illuminano il tema del Convegno: “Testimoni di Gesùrisorto, speranza del mondo”. La Parola di Dio pone inevidenza la risurrezione di Cristo, evento che ha rigenera-to i credenti a una speranza viva, come si esprime l’apo-stolo Pietro all’inizio della sua Prima Lettera. Questo testoha costituito l’asse portante dell’itinerario di preparazionea questo grande incontro nazionale.

Quale suo successore, anch’io esclamo con gioia: “Siabenedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (1Pt 1, 3), perché mediante la risurrezione del suo Figlio ciha rigenerati e, nella fede, ci ha donato una speranza in-vincibile nella vita eterna, così che noi viviamo nel presen-te sempre protesi verso la meta, che è l’incontro finale conil nostro Signore e Salvatore.

Forti di questa speranza non abbiamo paura delle pro-ve, le quali, per quanto dolorose e pesanti, mai possonointaccare la gioia profonda che ci deriva dall’essere amatida Dio. Egli, nella sua provvidente misericordia, ha dato ilsuo Figlio per noi e noi, pur senza vederlo, crediamo inLui e Lo amiamo (cfr 1 Pt 1, 3-9). Il suo amore ci basta.

Dalla forza di questo amore, dalla salda fede nella ri-surrezione di Gesù che fonda la speranza, nasce e costan-temente si rinnova la nostra testimonianza cristiana. È lìche si radica il nostro “Credo”, il simbolo di fede a cui haattinto la predicazione iniziale e che continua inalteratoad alimentare il Popolo di Dio. Il contenuto del“kerygma” dell’annuncio, che costituisce la sostanza del-l’intero messaggio evangelico, è Cristo, il Figlio di Diofatto Uomo, morto e risuscitato per noi.

La sua risurrezione è il mistero qualificante del Cristia-nesimo, il compimento sovrabbondante di tutte le profe-zie di salvezza, anche di quella che abbiamo ascoltato nellaprima Lettura, tratta dalla parte finale del Libro del profe-ta Isaia. Dal Cristo Risorto, primizia dell’umanità nuova,rigenerata e rigenerante, è nato in realtà, come predisse ilprofeta, il popolo dei “poveri” che hanno aperto il cuore

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al Vangelo e sono diventati e diventano sempre di nuovo“querce di giustizia”, “piantagione del Signore per manife-stare la sua gloria”, ricostruttori di rovine, restauratori dicittà desolate, stimati da tutti come stirpe benedetta dalSignore (cfr Is 61, 3-4.9).

Il mistero della risurrezione del Figlio di Dio, che, sali-to al cielo accanto al Padre, ha effuso su di noi lo SpiritoSanto, ci fa abbracciare con un solo sguardo Cristo e laChiesa: il Risorto e i risorti, la Primizia e il campo di Dio,la Pietra angolare e le pietre vive, per usare un’altra imma-gine della Prima Lettera di Pietro (cfr 1 Pt 2, 4-8). Cosìavvenne all’inizio, con la prima comunità apostolica, e co-sì deve avvenire anche ora. (Omelia del Papa al Convegnoecclesiale di Verona)

II. L’uomo che incontra Cristo è inondato dalla sua luce

Seguace della scuola di spiritualità francese del suotempo, discepolo per molti anni del Bérulle, san Vincenzocolloca al centro dell’edificio spirituale il Verbo incarnato.È in lui che risplende tutto l’amore del Padre, è da lui cheprocede tutta l’opera della grazia e della salvezza. L’uomoche incontra Cristo viene inondato della sua luce: la lucedi una umanità autentica e rinnovata, la luce della gloriadivina.

Per questo la realizzazione della persona umana consi-ste in una appartenenza totale a lui, nella vita e nella mor-te:

«Ricordatevi che la nostra vita è ripiena di Cristo e chenoi viviamo in lui attraverso la sua morte e che noi dob-biamo morire in Gesù Cristo: e che per morire come Ge-sù Cristo bisogna vivere come lui. Se c’è questo fonda-mento, accetteremo disprezzo, disonore, infamia; non ter-remo in conto né onori, né buona riputazione, né applau-si;e non faremo nulla che non sia per Gesù Cristo».

«Che Dio ci faccia la grazia di non giudicare mai se-condo i ragionamenti umani, poiché essi non raggiungo-no mai la verità né le ragioni di Dio, mai. Cerchiamopiuttosto di giudicare come Gesù Cristo e di fare come luiha raccomandato con le parole e con l’esempio. Non solo,ma penetriamo nel suo spirito per agire con le sue stesseoperazioni».

Ed ecco l’affermazione originale e stupefacente che ècome una sintesi del pensiero di Vincenzo su Gesù: «Gesù

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Cristo è nostro padre e nostra madre: il nostro tutto».(G.B.B.)

III. “La povertà è una cattiva consigliera”

Senza giustificare demagogicamente qualsiasi errore oviolenza commessa in nome della fame o della miseria,san Vincenzo è convinto che queste hanno una forte inci-denza negativa nella maturazione e nella realizzazione del-le persone, mentre facilitano il delitto e l’abbrutimentodelle coscienze.

La carità come prevenzione, da lui e da santa Luisaperseguita tenacemente soprattutto mediante il lavoro el’istruzione, dipende da questa sua convinzione:

«Attraverso le opere di solidarietà sociale – è scritto inuno dei regolamenti redatti dal Santo – i ricchi si acqui-stano un milione di benedizioni in questo mondo e la vitaeterna nell’altro... I poveri vengono istruiti nel timor diDio, ammaestrati a guadagnarsi il pane, assistiti nelle loroinfermità... E finalmente le città saranno liberate da tantifannulloni, tutti viziosi, e migliorate dal commercio delleopere dei poveri».

Ma oltre al lavoro e all’istruzione, c’è un altro tipo diconoscenza che per san Vincenzo è ancora più importanteper la liberazione del povero: la “conoscenza” della fede,quella speciale conoscenza che è esperienza di Dio, sco-perta di Cristo e della sua Parola, visione trascendente del-la vita, comunione con i fratelli nella chiesa.

Se il lavoro e l’istruzione promuovono la persona sulpiano sociale e culturale, l’incontro con Cristo la restitui-sce alla piena dignità di figlio di Dio:

– Cristo è la vita dell’uomo– la miseria allontana l’uomo da Cristo– bisogna riportare Cristo al poveroEgli – secondo il Santo – è venuto solo per loro. «Se si

fosse domandato a Nostro Signore: “Che siete venuto afare sulla terra?”, avrebbe risposto: “Assistere i poveri”. “Eche altro?”: “Assistere i poveri”.

Il mistero del Verbo Incarnato che ci indica la stradadella speranza, ne contiene pure la forza e la grazia. Noinon siamo capaci di amare, se prima non ci è dato l’amo-re; non siamo in grado di sperare, se prima non ci è dona-ta la speranza; non possiamo convertirci se non ci è fattoil dono della riconciliazione. Il Figlio è il sacramento del-

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l’amore del Padre, la speranza d’Israele, il principe dellapace. Accostandoci a Lui – non come esteti alla ricerca diemozioni, ma col desiderio umile e vivo di un incontroprofondo – riceviamo i doni di cui Egli è portatore: l’a-more, la speranza, la pace.

Così ognuno di noi – sano o malato, giovane o anzia-no, ricco o povero – può varcare le soglie della speranza euna vita nuova nell’amore e nella pace». (G.B.B.)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) Gesù Risorto è la speranza del mondo. Il comando cheEgli dà ai suoi discepoli è di testimoniare con la vita lasua risurrezione. Ci sono degli atteggiamenti precisi:

a) chi prega e dialoga col Signore testimonia che Luiè vivo;

b) chi guarda al cielo più che alla terra testimoniache Lui è lassù;

c) chi è ottimista e fiducioso testimonia che Lui havinto la morte.

– Non è importante fare insieme il punto su questi treatteggiamenti?

2) Il Papa afferma: “mediante la risurrezione del suo Figlioci ha rigenerati e, nella fede, ci ha donato una speranzainvincibile nella vita eterna”. – In che modo, come cristiano e vincenziano, mi ren-

do testimone di questa speranza? – Vivo la Conferenza come una realtà in grado di far

crescere in me questo Credo?

3) San Vincenzo afferma: «Gesù Cristo è nostro Padre enostra Madre». L’autorevolezza del Padre e la tenerezzadella Madre sono due atteggiamenti complementari neirapporti con gli altri.– Cerchiamo l’autorevolezza in una vita di verità, di

onestà, di coerenza?– Viviamo la tenerezza con la sensibilità, la delicatezza,

l’affettuosità nei confronti dei confratelli e dei pove-ri?

4) La “lieta novella” che Gesù ci manda ad annunciare aipoveri è questa: Dio è amore, Dio vuole la salvezza ditutti perché è Padre di tutti.– L’annuncio del Vangelo è la prima preoccupazione

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della Conferenza? – Ne parliamo qualche volta, oppure la parola “evange-

lizzazione” non fa parte del vocabolario vincenziano?– Il tempo in Conferenza se lo ingoia tutto la parte or-

ganizzativa e pratica, lasciando solo scampoli insigni-ficanti alla formazione e all’ascolto della Parola?

19Il soffio della speranza

L’incontro con il Risorto e la fede in luici rendono persone nuove, risorti conlui e rigenerati secondo il progetto diDio sul mondo e su ogni persona. Èquesto il cuore della nostra vita e ilcentro delle nostre comunità. Non so-no le nostre opere a sostenerci, ma l’a-more con cui Dio ci ha rigenerati inCristo e con cui, attraverso lo Spirito,continua a darci vita. Da qui deriva ladomanda che, anche dopo la conclu-sione del Convegno, continua a provo-carci: in che modo nelle nostre comu-nità è possibile a tutti fare esperienzaviva del Risorto? (Nota pastorale, 5)

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III SCHEDA

LA CHIESA EVANGELIZZA LA SPERANZA

I. Una Pentecoste perenne

Dal giorno della Pentecoste la luce del Signore risortoha trasfigurato la vita degli Apostoli. Essi ormai avevano lachiara percezione di non essere semplicemente discepolidi una dottrina nuova ed interessante, ma testimoni pre-scelti e responsabili di una rivelazione a cui era legata lasalvezza dei loro contemporanei e di tutte le future gene-razioni.

La fede pasquale riempiva il loro cuore di un ardore edi uno zelo straordinario, che li rendeva pronti ad affron-tare ogni difficoltà e persino la morte, ed imprimeva alleloro parole un’irresistibile energia di persuasione. E così,un manipolo di persone, sprovviste di umane risorse e for-ti soltanto della loro fede, affrontò senza paura dure perse-cuzioni e il martirio.

Scrive l’apostolo Giovanni: “Questa è la vittoria che hasconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5, 4b). La veritàdi quest’affermazione è documentata anche in Italia daquasi due millenni di storia cristiana, con innumerevolitestimonianze di martiri, di santi e beati, che hanno la-sciato tracce indelebili in ogni angolo della bella Penisolanella quale viviamo. Alcuni di loro sono stati evocati all’i-nizio del Convegno e i loro volti ne accompagnano i lavo-ri.

Noi oggi siamo gli eredi di quei testimoni vittoriosi!Ma proprio da questa constatazione nasce la domanda:che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noioggi comunicarla? La certezza che Cristo è risorto ci assi-cura che nessuna forza avversa potrà mai distruggere laChiesa. Ci anima anche la consapevolezza che soltantoCristo può pienamente soddisfare le attese profonde diogni cuore umano e rispondere agli interrogativi più in-quietanti sul dolore, l’ingiustizia e il male, sulla morte el’aldilà.

Dunque, la nostra fede è fondata, ma occorre che que-sta fede diventi vita in ciascuno di noi. C’è allora un vastoe capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si tra-sformi in “testimone” capace e pronto ad assumere l’impe-

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gno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che loanima (cfr 1 Pt 3, 15).

Per questo occorre tornare ad annunciare con vigore egioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuoredel Cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, levapotente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazzaogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano.Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mon-do. Soltanto a partire dalla Risurrezione si comprende lavera natura della Chiesa e della sua testimonianza, chenon è qualcosa di staccato dal mistero pasquale, bensì ne èfrutto, manifestazione e attuazione da parte di quanti, ri-cevendo lo Spirito Santo, sono inviati da Cristo a prose-guire la sua stessa missione. (Omelia del Papa al Convegnoecclesiale di Verona)

II. “Testimoni di Gesù risorto”

Questa definizione dei cristiani deriva direttamente dalbrano del Vangelo di Luca oggi proclamato, ma anche da-gli Atti degli Apostoli (cfr At 1, 8.22). Testimoni di Gesùrisorto. Quel “di” va capito bene! Vuol dire che il testimo-ne è “di” Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e proprio inquanto tale può rendergli valida testimonianza, può parla-re di Lui, farLo conoscere, condurre a Lui, trasmettere lasua presenza.

È esattamente il contrario di quello che avviene perl’altra espressione: “speranza del mondo”. Qui la preposi-zione “del” non indica affatto appartenenza, perché Cristonon è del mondo, come pure i cristiani non devono esseredel mondo. La speranza, che è Cristo, è nel mondo, è peril mondo, ma lo è proprio perché Cristo è Dio, è “il San-to” (in ebraico Qadosh).

Cristo è speranza per il mondo perché è risorto, ed èrisorto perché è Dio. Anche i cristiani possono portare almondo la speranza, perché sono di Cristo e di Dio nellamisura in cui muoiono con Lui al peccato e risorgono conLui alla vita nuova dell’amore, del perdono, del servizio,della non-violenza. Come dice sant’Agostino: «Hai credu-to, sei stato battezzato: è morta la vita vecchia, è stata uc-cisa sulla croce, sepolta nel battesimo. È stata sepolta lavecchia, nella quale malamente sei vissuto: risorga la nuo-va» (Sermone Guelf. IX, in M. Pellegrino, Vox Patrum,177). Solo se, come Cristo, non sono del mondo, i cristia-

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ni possono essere speranza nel mondo e per il mondo.(ibidem)

III. L’obiettivo primario della carità è l’annunciodel Vangelo

Tutti i gruppi creati da san Vincenzo (missionari, suo-re, volontari) – con strutture, mezzi, opere, attività diverse– devono convergere in un unico sforzo e in un’unica vo-lontà: portare ai poveri Cristo, perché Cristo è il nomeunico e definitivo della salvezza.

Vincenzo dice ai primi preti della missione:«La nostra vocazione è dunque una continuazione del-

la sua o, perlomeno, le assomiglia nelle sue circostanze.Quale felicità, fratelli, ma anche quale obbligo di amarla!Un gran motivo di amarla è dunque la sua grandezza: farconoscere Dio ai poveri, annunziare loro Gesù Cristo, dirloro che il Regno dei cieli è vicino ed è per i poveri».

Dice alle Figlie della carità:«È necessario che facciate l’ufficio di pastori e di ma-

dri. I pastori hanno cura delle anime, i principi e i magi-strati dei corpi; ma voi dovete servire ai poveri malati dapastori, da padri e da madri, procurando loro – per l’ani-ma e per il corpo – tutto il bene che potete, perchè nonhanno nessuno che abbia cura di loro all’infuori di voi».

Dice alle Dame della carità:«La confraternita della carità è stata istituita per onora-

re Nostro Signore Gesù Cristo, suo patrono, e la sua santaMadre; e per assistere i poveri malati – nei luoghi dove èstabilita – corporalmente e spiritualmente: corporalmentesomministrando loro da bere, da mangiare, e le medicinenecessarie durante il tempo della malattia; e spiritualmen-te facendo loro amministrare i sacramenti della Penitenza,dell’Eucarestia e dell’Estrema Unzione; facendo in modoche quelli che moriranno partano da questo mondo inbuon stato, e che quelli che guariranno facciano il propo-sito di vivere bene per l’avvenire».

In ogni caso la parola dell’annuncio va accompagnatadal gesto di amore. Gesù Cristo – pensa san Vincenzo –ha reso effettivo il Vangelo sfamando gli affamati e curan-do i malati.

Perciò – dice – «quando i sacerdoti si applicano allacura dei poveri, fanno l’ufficio stesso di Nostro Signore edi molti grandi santi, i quali non solo raccomandarono i

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poveri, ma loro stessi li consolarono, li servirono, li guari-rono. I poveri non sono le membra afflitte di Nostro Si-gnore? Non sono nostri fratelli? E se i sacerdoti li abban-donano, chi volete che li assista? Perciò, se tra noi vi fossequalcuno che pensasse di appartenere alla Missione perevangelizzare i poveri e non per soccorrerli, per provvedereai loro bisogni spirituali e non ai temporali, rispondo chenoi dobbiamo assisterli e farli assistere in tutte le maniere,da noi e da altri, se vogliamo udire queste consolanti pa-role del supremo Giudice dei vivi e dei morti: “Venite, be-nedetti dal Padre mio, a possedere il regno che vi fu pre-parato, perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ero nu-do e mi rivestiste; malato e mi avete assistito”.

Fare questo è evangelizzare con parole e con opere, è lacosa più perfetta, ed è anche quello che Nostro Signore hapraticato e quello che devono fare coloro che lo rappre-sentano sulla terra per il loro carattere e ministero, come isacerdoti; ed ho sentito dire che ciò che aiutò i vescovi afarsi santi, è stata l’elemosina». (San Vincenzo De Paoli)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) L’Abbé Pierre ai volontari: «i poveri hanno bisogno disperanza: solo se siete in grado di portargliela, fate benea visitarli».– Abbiamo noi una speranza da comunicare? Dove la

possiamo trovare?– Nella speranza cristiana la sofferenza non viene eli-

minata, ma illuminata da una relazione affettiva conCristo redentore che la trasforma per la salvezza delmondo. È questa la nostra comprensione della soffe-renza? È questo il messaggio che portiamo ai poveri?

2) «Ne costituì Dodici che stessero con lui, e anche permandarli a predicare» (Mc 3, 14). Il fondamento di ogni apostolato è stare con Gesù.Vincenzo e Federico, eminenti uomini di preghiera,stavano con Gesù.– Quale posto occupa nelle nostre giornate la preghie-

ra?– Quanta fame abbiamo della Parola? La meditiamo

tutti i giorni? – La nostra azione caritativa scaturisce dalla contem-

plazione di Gesù, o puramente da motivazioni filan-

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tropiche o sociologiche?

3) «Essere nel mondo, ma non del mondo. Essere di Cri-sto». Chi è del mondo vive i sentimenti della carne.Chi è di Cristo, vive i sentimenti dello Spirito. «Siate ibenevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdo-nandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cri-sto»: questi sono i sentimenti dello Spirito (Eph 4, 31-32).– Confrontandoci con questi parametri, come giudi-

chiamo il nostro modo di essere in famiglia, in Con-ferenza, col prossimo?

4) Dice san Vincenzo: «Ciò che aiutò i Vescovi a farsi san-ti è stata l’elemosina». Elemosina, ovvero condivisionedei nostri beni materiali con i poveri.– Ci sentiamo interpellati a pagare di persona, o ci li-

mitiamo a distribuire ai poveri ciò che riceviamo da-gli altri?

– Ciò che mettiamo nella borsa della questua esprimeadeguatamente le nostre possibilità?

– Facciamo qualche volta un serio confronto tra ciòche desideriamo e spendiamo per noi, e ciò che met-tiamo da parte per i più poveri?

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IV SCHEDA

LA FAMIGLIA CRISTIANA TESTIMONE DI SPERANZA

I. La chiesa domestica

Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla santaFamiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altroche la “famiglia di Dio”. Fin dalle sue origini, il nucleodella Chiesa era spesso costituito da coloro che, insiemecon tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti. Allor-ché si convertivano, desideravano che anche tutta la lorofamiglia fosse salvata. Queste famiglie divenute credentierano piccole isole di vita cristiana in un mondo incredu-lo.

Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persi-no ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamen-tale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. Èper questo motivo che il Concilio Vaticano II, usandoun’antica espressione, chiama la famiglia Ecclesiadomestica, Chiesa domestica. È in seno alla famiglia che “igenitori devono essere per i loro figli, con la parola e conl’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare lavocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo spe-ciale”.

È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdoziobattesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, ditutti i membri della famiglia, “con la partecipazione ai sa-cramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la te-stimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’ope-rosa carità”. Il focolare è così la prima scuola di vita cri-stiana e una scuola di umanità più ricca. È qui che si ap-prende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, ilperdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il cul-to divino attraverso la preghiera e l’offerta della propriavita.

Bisogna anche ricordare alcune persone che, a causadelle condizioni concrete in cui devono vivere – e spessosenza averlo voluto – sono particolarmente vicine al cuoredi Gesù e meritano quindi affetto e premurosa sollecitudi-ne da parte della Chiesa e in modo speciale dei Pastori: ilgran numero di persone celibi. Molte di loro restano senzafamiglia umana, spesso a causa di condizioni di povertà.

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Ve ne sono di quelle che vivono la loro situazione nellospirito delle beatitudini, servendo Dio e il prossimo inmaniera esemplare. A tutte loro bisogna aprire le porte deifocolari, Chiese domestiche, e della grande famiglia che è laChiesa. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo:la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente perquanti sono “affaticati e oppressi” (Mt 11,28). (BenedettoXVI in America Latina)

II. “Famiglia, diventa ciò che sei”!

La speranza fa “già” la famiglia nuova, che comincia asorgere quando ci si avvicina alla realtà nella luce di Cri-sto. Infatti, la speranza cristiana non è la rincorsa a qual-cosa che non c’è (utopia) per realizzarla, non è l’insegui-mento di un mero ideale. È piuttosto la scoperta, piena dimeraviglia, della realtà soprannaturale che è già data nelmistero, ma che deve farsi evidente nella storia e nella vi-ta. La speranza si situa in questa dialettica di “già” e “nonancora”.

Famiglia, diventa ciò che sei! La famiglia cristiana cheha coscienza della sua identità, cioè della sua natura, dellasua vocazione, quindi del suo carisma e della sua specificamissione secondo il disegno di Dio - in una parola, dellasua realtà sacramentale - deve vitalmente rispondere allasfida della Familiaris consortio: “Famiglia, diventa ciòche sei”!

III. Quali sono le risposte?

1. La ferialità. La caratteristica della spiritualità dellafamiglia sta nella “ferialità”. La vita domestica di solitonon prevede grandi “gesti” ma i piccoli gesti di ogni gior-no: è scandita dalla gioia, dal dolore, dall’attesa, dalla ten-sione; animata dal dialogo, dagli scontri, dalla riconcilia-zione; resa dolce dall’amore, dal perdono, dall’intesa, dallasolidarietà reciproca.

Tutti gli aspetti dell’esistenza familiare, dalla sessualitàalla comprensione, dalla procreazione all’educazione, dallasofferenza alla gioia, dal lavoro al riposo, possono e devo-no diventare strumenti e rivelazione dell’amore di Dio edella presenza di Cristo.

2. Il servizio. Inoltre la spiritualità della famiglia è unaspiritualità di servizio: alla vita, ai piccoli, agli anziani, agli

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handicappati, agli ammalati; diviene così un servizio edu-cativo, un servizio alla società civile, un servizio alla co-munità ecclesiale. La Conferenza delle famiglie non rea-lizza pienamente questa spiritualità?

3. La preghiera. Per realizzare tutto ciò è necessariauna vita di comunione con Dio, una vita di preghiera. Lafamiglia in preghiera è in grado di fare un’esperienza uni-ca della dignità e della ricchezza incalcolabile di ognimembro della famiglia, in quanto tutti i membri della fa-miglia, dal più piccolo al più grande, vengono a ricono-scersi figli dello stesso Padre, scoprono che il loro valorenon nasce dal riconoscimento reciproco né dalle capacitàpersonali ma da questa condizione fondante dell’esistenzache è la relazione originaria con Dio.

Pregare insieme aiuta a rafforzare i legami di unità e diamore. Ogni volta che si prega insieme, anche se non lo sidice espressamente, si riprende il progetto di Dio su que-sta famiglia, si ricorda che la missione principale è quelladi costruire un ambiente di fiducia, di amicizia, di gratui-tà, di benevolenza.

La preghiera poi assolve il compito di allargare l’oriz-zonte della famiglia, di impedire che essa viva rinchiusa suse stessa, occupata soltanto nel garantire la propria identi-tà e la propria comodità. Pregare vuol dire fare propri gliorizzonti di Dio, quindi acquistare una dimensione diuniversalità, affacciarsi alla finestra, comprendere e viverela propria implicazione con le storie di altre famiglie, dialtri popoli. Non si può guardare a Dio senza scorgere inlui tutti quelli che lui ama insieme con noi, senza conside-rare fratelli nostri tutti gli uomini.

Per la vita di preghiera non esistono ore fisse, non esi-stono formule adatte ad ogni famiglia. L’originalità e lapeculiarità di ogni famiglia chiedono di trovare un pro-prio modo e un proprio ritmo di preghiera estremamenteduttili.

Un momento privilegiato è certamente il confrontocon la Scrittura che crea un profondo senso di Dio.(G.B.B.)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) Tutti gli aspetti e le scelte della vita familiare possono edevono diventare strumenti e rivelazione dell’amore di

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Dio e della presenza di Cristo.– Abbiamo mai provato ad offrire ospitalità a famiglie

povere, a ragazzi privi di famiglia, a persone malate,disabili, sole?

2) L’originalità e la peculiarità di ogni famiglia chiedonodi trovare un proprio modo e un proprio ritmo di pre-ghiera estremamente duttili.– Abbiamo cercato di organizzarli? Come e in quale

misura? Riusciamo a coinvolgere anche i figli? – Tentiamo – almeno in certi momenti importanti –

di accostarci insieme ai sacramenti della Riconcilia-zione e dell’Eucaristia?

3) Tra le tante forme di povertà c’è anche quella delle “fa-miglie irregolari”.– Cadiamo nella tentazione di giudicarle e di condan-

narle?– Oppure contestiamo la Chiesa, ritenendola ingiusta

e crudele?– Pensiamo, erroneamente, che queste persone siano

fuori dalla Chiesa?– Abbiamo mai cercato – con prudenza e discrezione –

di invitarle a far parte della Conferenza, secondo ilsuggerimento dei documenti del Magistero?

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Alla famiglia deve essere riconosciuto ilruolo primario nella trasmissione deivalori fondamentali della vita e nell’e-ducazione alla fede e all’amore, solleci-tandola a svolgere il proprio compito eintegrandolo nella comunità cristiana.Il diffuso clima di sfiducia nei confron-ti dell’educazione rende ancor più ne-cessaria e preziosa l’opera formativa chela comunità cristiana deve svolgere intutte le sedi, ricorrendo in particolarealle scuole e alle istituzioni universita-rie. (Nota pastorale, 12)

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V SCHEDA

I VINCENZIANI PORTATORI DI SPERANZA AI POVERI

I. L’amore è la luce di Dio nel mondo

Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce diDio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la pre-sente Enciclica.

Guardiamo ai Santi, a coloro che hanno esercitato inmodo esemplare la carità. Il pensiero va, in particolare, aMartino di Tours († 397), prima soldato poi monaco e ve-scovo. Quasi come un’icona, egli mostra il valore insosti-tuibile della testimonianza individuale della carità. Alleporte di Amiens, Martino fa a metà del suo mantello conun povero. Gesù stesso, nella notte, gli appare in sogno ri-vestito di quel mantello, a confermare la validità perennedella parola evangelica: « Ero nudo e mi avete vestito ...Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questimiei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 36.40).

Ma nella storia della Chiesa, quante altre testimonian-ze di carità possono essere citate! In particolare tutto ilmovimento monastico, fin dai suoi inizi con sant’Antonioabate († 356), esprime un ingente servizio di carità versoil prossimo. Nel confronto «faccia a faccia» con quel Dioche è Amore, il monaco avverte l’esigenza impellente ditrasformare in servizio del prossimo, oltre che di Dio, tut-ta la propria vita.

Si spiegano così le grandi strutture di accoglienza, diricovero e di cura sorte accanto ai monasteri. Si spieganopure le ingenti iniziative di promozione umana e di for-mazione cristiana, destinate innanzitutto ai più poveri, dicui si sono fatti carico dapprima gli Ordini monastici emendicanti e poi i vari Istituti religiosi maschili e femmi-nili, lungo tutta la storia della Chiesa. Figure di Santi co-me Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni diDio, Camillo de Lellis, Vincenzo De Paoli, Luisa de Ma-rillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, LuigiOrione, Teresa di Calcutta – per fare solo alcuni nomi –rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gliuomini di buona volontà.

I santi sono i veri portatori di luce all’interno della sto-

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ria, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e diamore. (Enciclica “Deus caritas est”)

II. L’annuncio tipico dei laici secondo san Vincenzo

L’evangelizzazione che i laici debbono fare, consiste es-senzialmente in una presenza, in un modo di agire e diparlare che lascino trasparire la loro fede e il loro amoreper Dio.

Alla Figlia della carità preoccupata di non poter farel’annuncio a causa dei molti malati da servire, il santo ri-volge queste stupende parole:

«Dite soltanto una parola passando, qualche parola diNostro Signore... Dite, così, una parola secondo il biso-gno. E per renderla efficace, dovete riempirvi dello spiritodi Nostro Signore, in modo che si veda che voi l’amate eche cercate di farlo amare. Colei che sarà piena dello spiri-to di Nostro Signore, non può altro che cogliere moltifrutti. Ma se tra voi vi fossero alcune che appartenesseroalla Carità soltanto di nome e non ne avessero altro che laveste, quelle non diranno nulla; o se diranno qualche co-sa, sarà con tanta freddezza che non commuoverà affatto.E perché? Perché quella suora non ha carità in cuore, nonparla se non a fior di labbra; quello che dice non ha forza,perché viene dalla bocca e non dal cuore. Ma quelle chesono piene di Dio parlano con affetto perché hanno Dionel cuore, e quello che esce da questo cuore è una scintillache entra in quello del malato: è un balsamo che spandeovunque il suo buon odore».

III. Lo Spirito di Gesù

Non basta predicare o parlare: per evangelizzare i pove-ri occorre avere lo stesso spirito di Cristo... Perciò Vincen-zo indaga sullo spirito di Cristo evangelizzatore. Nelle Re-gole date ai Preti della Missione aveva scritto:

«Questa piccola Congregazione, con la grazia di Dio,deve fare il possibile per rivestirsi dello spirito di GesùCristo».

Nella Conferenza di commento su tale articolo, il San-to si domanda: «Che cosa è lo spirito di Nostro Signore?».

E risponde: «È uno spirito di carità perfetta, ripienodi una meravigliosa stima della divinità e di un desiderio

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infinito di onorarla degnamente; una percezione dellagrandezza del Padre suo per ammirarla ed elevarvisi inces-santemente. Ne aveva una così alta stima che gli facevaomaggio di tutte le cose, gli attribuiva tutto, riferiva al Pa-dre anche la sua dottrina. E quale amore! Poteva amarlo dipiù che annientandosi per lui? Le sue umiliazioni eranosolo amore, il suo lavoro amore, le sue sofferenze amore,le sue preghiere amore, tutte le sue azioni interiori ed este-riori nient’altro che reiterati atti d’amore».

Spirito dolce e soave. Un modo dello Spirito di Gesùche San Vincenzo apprezza e sottolinea particolarmente èla dolcezza:

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«Ah! quanto era tenero il Figlio di Dio! Lo chiamano avedere Lazzaro: Egli va; la Maddalena si alza e Gli muoveincontro piangendo; gli ebrei la seguono e piangono an-ch’essi; tutti cominciano a piangere. Che fa Nostro Signo-re? Piange con loro, talmente è tenero e compassionevole.Fu quella tenerezza che lo fece scendere dal cielo; vedevagli uomini privi della sua gloria, fu commosso della lorosventura».

San Vincenzo non si stanca di ricordarlo a tutti. Al certosino che ha dei problemi: «È un principio fermo che lo Spirito di Nostro Signore

agisce dolcemente e soavemente, mentre quello della na-tura e dello spirito maligno agisce al contrario aspramentee acidamente».

Alle suore addette ai malati: «Siete destinate a rappresentare la bontà di Dio verso

quei poveri malati. Orbene, siccome questa bontà si com-porta con gli afflitti in modo dolce e caritatevole, anchevoi dovete trattare i malati come questa medesima caritàinsegna: ossia con dolcezza, bontà e amore, compatendo iloro mali, ascoltando i loro lamenti come una buona ma-dre deve fare; perchè essi vi considerano come loro nutricie come persone mandate da Dio per assisterli».

E più in generale: «Dio ci faccia la grazia di intenerire i nostri cuori verso

i miserabili e di credere che, soccorrendoli, facciamo ope-ra di giustizia e non di misericordia. Sono nostri fratelliche Dio ci comanda di assistere: facciamolo dunque comeincaricati da Lui e nel modo insegnatoci dal Vangelo».

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) Come sperimenti la tenerezza di Dio nella tua quoti-dianità?

2) Nel nostro servizio esprimiamo solo la professionalità oanche l’attenzione del cuore, espressione piena di uma-nità?

3) Come possiamo soccorrere i deboli e i sofferenti pen-sando che stiamo compiendo un atto di giustizia e nondi misericordia?

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VI SCHEDA

LA CONFERENZA, ANNUNCIO DI SPERANZA

I. Riprodurre la Trinità

...Vedete, figlie mie, allo stesso modo che Dio è unosolo in se stesso, e in lui vi sono tre Persone, senza che ilPadre sia più grande del Figlio, né il Figlio dello SpiritoSanto, ugualmente bisogna che le Figlie della Carità, chedevono essere l’immagine della Santissima Trinità, benchémolte, siano tuttavia un cuor solo e un’anima sola.

E, ancora, come nelle sacre Persone della SantissimaTrinità le operazioni, benché diverse e attribuite a ciascu-na di esse in particolare, hanno però rapporto l’una all’al-tra, senza che, per attribuire la sapienza al Figlio e la bontàallo Spirito Santo si intenda che il Padre sia privo di que-sti attributi o che la Terza Persona non abbia la potenzadel Padre e la sapienza del Figlio, ugualmente bisogna chefra le Figlie della Carità, quella che è incaricata dei poverisia in comunione con quella incaricata dei bambini, equella dei bambini con quella dei poveri.

Così farete di questa Compagnia una riproduzionedella Santissima Trinità. (San Vincenzo De Paoli)

II. Chi vede la Conferenza… vede la Trinità!

La Conferenza riproduzione e icona della Trinità! Para-frasando Sant’Agostino: “Chi vede la Conferenza, vede laTrinità”! Occorre quindi che la Conferenza si impegni arendere presenti il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.

a) Come richiamare la persona del Padre?Il Padre è il Creatore, Colui che fa nuove tutte le cose.La Conferenza deve perciò essere creativa, non avere

paura del nuovo, rinnovarsi continuamente, pur nel ri-spetto delle sue tradizioni e della sua storia.

Il Padre condivide totalmente la responsabilità con il Fi-glio e con lo Spirito.

Il presidente della Conferenza deve guardarsi dal pater-nalismo, ma cercare in ogni modo di suscitare in tutti iConfratelli condivisione e corresponsabilità. Il suo primo

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ruolo è quello di aiutare le persone a crescere.«Padre nostro: questo nome suscita in noi, contempo-

raneamente, l’amore, il fervore nella preghiera, ...ed anchela speranza di ottenere ciò che stiamo per chiedere ...Checosa infatti può Dio negare alla preghiera dei suoi figli,dal momento che ha loro concesso, prima di tutto, di es-sere suoi figli?» (Sant’Agostino)

b) Come richiamare la persona del Figlio?Il Figlio è la Parola, il Dialogo tra il Padre e lo Spirito

Santo.È assolutamente fondamentale che nella Conferenza ci

sia comunicazione, condivisione, confronto sulle attività esui servizi, ma prima ancora sulla Parola di Dio, sui pro-blemi e sui metodi formativi, sulla natura profonda e sullefinalità della Società di San Vincenzo.

Occorre con la buona volontà di tutti creare un am-biente di semplicità e di amicizia che permetta a ognunodi parlare liberamente senza sentirsi giudicato.

“Sii benedetto, o Padre, che nel tuo infinito amore ci hai donato l’unigenito tuo Figliofattosi carne per opera dello Spirito Santo nel seno purissimo della Vergine Maria, e nato a Betlemme duemila anni or sono.Egli s’è fatto nostro compagno di viaggio, e ha dato nuovo significato alla storia, che è un cammino fatto insieme nel travaglio e nella sofferenza, nella fedeltà e nell’amore, verso quei nuovi cieli e quella nuova terrain cui Tu, vinta la morte, sarai tutto in tutti”.(Giovanni Paolo II)

c) Come richiamare lo Spirito Santo?Lo Spirito è il rapporto infinito di amore tra il Padre e il

Figlio.La Conferenza lo richiama con l’amicizia e la carità

fraterna.Non si tratta semplicemente di un buon rapporto

umano, ma di quella comunione di spiriti che è “parteci-pazione al dialogo d’amore tra il Padre e il Figlio nellagioia dello Spirito Santo”.

Lo Spirito è il costruttore e l’animatore della Chiesa.I Confratelli devono impegnarsi a costruire una “casa

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fondata sulla roccia”, capace di resistere alle intemperieche qualche volta la possono aggredire, e di diventaresempre di più – attraverso la preghiera, la fiducia, la dia-

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Appartiene alla nostra tradizione il pa-trimonio di una fede e di una santità dipopolo: un cristianesimo vissuto insie-me, significativo in tutte le stagionidell’esistenza, in comunità radicate nelterritorio, capace di plasmare la vitaquotidiana delle persone, ma anche gliorientamenti sociali e culturali del Pae-se. Il carattere popolare del cattolicesi-mo italiano, ben diverso da un “cristia-nesimo minimo” o da una “religionecivile”, è una ricchezza e una responsa-bilità che dobbiamo conservare e ali-mentare facendo brillare davanti allacoscienza di ragazzi e giovani, adole-scenti e adulti, la bellezza e la “vivibili-tà” di una vita ispirata dall’amore diDio, da cui nessuno è escluso. (Notapastorale, 20)

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conia, la gioia – una vera Comunità del Signore.

Preghiera allo Spirito Santo

Vieni, Spirito Santo, perché senza di te Dio è lontano, Gesù risorto resta nel passato, il Vangelo appare una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un puro esercizio del potere, la missione una propaganda, il culto un arcaismo, l’agire morale un agire da servi. Con te, invece, o Spirito Santo, il cosmo è mobilitato, il Risorto si fa presente, Dio è vicino, il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa diventa comunione, l’autorità è un servizio gioioso e forte, la liturgia è memoriale vivente, l’agire umano etico e morale è un cammino costante e costruttivo di libertà”.(Carlo Maria Martini)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) Pensi che la tua Conferenza sia realmente un luogo difraternità e condivisione? Ritieni importante condivi-dere le tue esperienze di vita con i fratelli oppure pensiche la Conferenza sia solo il luogo dove si discutono i“casi”?

2) Ti senti libero di aprire il tuo cuore con i fratelli e con-dividere con loro le gioie e i dolori della tua vita, oppu-re ti senti giudicato?

3) Sei accogliente verso i fratelli? Sei disponibile ad ascol-tare e a consigliare con amicizia e fraternità?

4) La tua Conferenza è ricettiva verso le nuove povertà edesigenze che si manifestano nella Società? Tu pensi dicontribuire con azioni concrete a questa apertura oppu-re ti senti “fermo”?

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VII SCHEDA

I GIOVANI, SPERANZA DELLA CHIESA

I. Siete i giovani della Chiesa

Vi invio perciò verso la grande missione di evangelizza-re i ragazzi e le ragazze che vanno errando in questo mon-do, come pecore senza pastore.

Siate gli apostoli dei giovani. Invitateli a camminarecon voi, a fare la vostra stessa esperienza di fede, di spe-ranza e di amore; a incontrare Gesù per sentirsi realmenteamati, accolti, con la piena possibilità di realizzarsi.

Che anche loro – ha auspicato – scoprano le vie sicuredei Comandamenti e, percorrendole, arrivino a Dio.

Il vero amore cercherà sempre di più la felicità dell’al-tro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desi-dererà esserci per l’altro e, perciò, sarà sempre più fedele,indissolubile e fecondo.

Non sperperate la vostra gioventù. Non cercate – hacontinuato – di fuggire da essa. Vivetela intensamente.Consacratela agli alti ideali della fede e della solidarietàumana.

Voi, giovani, non siete soltanto il futuro della Chiesa edell’umanità, quasi si trattasse di una specie di fuga dalpresente. Al contrario: voi siete il presente giovane dellaChiesa e dell’umanità.

Siete il suo volto giovane. La Chiesa ha bisogno di voi,come giovani, per manifestare al mondo il volto di GesùCristo, che si delinea nella comunità cristiana. Senza que-sto volto giovane, la Chiesa si presenterebbe sfigurata.(Benedetto XVI in Brasile)

II. I giovani e la pastorale vocazionale

La vocazione dei giovani è quella di essere amici diCristo, suoi discepoli. I giovani non temono il sacrificio,ma una vita senza senso. Sono sensibili alla chiamata diCristo che li invita a seguirlo. Possono rispondere a quellachiamata come sacerdoti, come consacrati e consacrate,oppure come padri e madri di famiglia, dediti totalmentea servire i loro fratelli con tutto il loro tempo e la loro ca-pacità di dedizione, con tutta la loro vita. I giovani devo-

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no affrontare la vita come una continua scoperta, senza la-sciarsi irretire dalle mode o dalle mentalità correnti, maprocedendo con una profonda curiosità sul senso della vi-ta e sul mistero Dio, Padre Creatore, e del suo Figlio, ilnostro Redentore, all’interno della famiglia umana. Devo-no impegnarsi anche per un continuo rinnovamento delmondo alla luce del Vangelo. Più ancora, devono opporsiai facili miraggi della felicità immediata ed ai paradisi in-gannevoli della droga, del piacere, dell’alcool, così comead ogni forma di violenza. (idem)

III. I giovani sono più di altri portatori di Speranza

Analizzando la società italiana e dentro essa la condi-zione giovanile, avvertiamo la presenza di segni contraddi-tori e forti ambivalenze. Essi costituiscono lo specchio fe-dele dei nostri tempi. Molte volte sono invisibili, difficilida comprendere e accettare, spesso sottoposti a critichedal mondo adulto proprio perché ci ricordano le nostremanchevolezze educative e la debolezza dei nostri esempi,pensieri e valori. Si è scritto che i giovani sembrano essereun “popolo in attesa”, più orientato ad adattarsi che a tra-sformare la realtà, quasi impauriti nel diventare adulti,nell’uscire da casa, nell’assumersi responsabilità, piegati aduna coabitazione familiare prolungata.

Da molte inchieste emerge una generazione di giovaniin difficoltà nel progettare il futuro, nell’assumersi respon-sabilità di lungo termine, molto centrata sul presente.

Coglierne le preoccupazioni e le attese significa avere ilcoraggio di assumerle su di noi e non liberarcene carican-dole sulle loro spalle. Questo vuole dire assumere comecriterio orientativo il principio di responsabilità, intesoquale obbligo di lasciare alle nuove generazioni un mondomigliore di quello trovato. Principio che dovrebbe guidarela politica e tutte le forme della rappresentanza e che esigesi abbandonino i corporativismi e gli interessi a breve. Ilnostro sguardo deve sempre volgere al domani e le nostreazioni e decisioni puntare verso un bene comune attentoai giovani.

I cristiani devono uscire dalla retorica negativa sulmondo giovanile per vedere la realtà in tutta la sua com-plessità e contraddittorietà. Il problema dei giovani siamonoi adulti: troppe volte veniamo meno al nostro dovere di

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testimonianza e di trasmissione di valori, ideali e visionedel mondo. Cogliendo i segni di Speranza che attraversa-no il mondo giovanile, dobbiamo diventare promotori diuna nuova relazione intergenerazionale fondata su educa-zione, lavoro e trasmissione della fede. (Verona, SavinoPezzotta)

IV. Giovani Vincenziani

La natura del volontariato sociale e del volontariatocristiano, il pensiero e lo spirito di san Vincenzo, calatinella realtà culturale e giovanile odierna, spingono a rivisi-tare alcuni nodi fondamentali dei Giovani Vincenziani:

1) nella vita individuale– riscoperta di Cristo e della Chiesa– il primato dell’amore– il senso vocazionale della vita– l’attenzione al bene comune nelle scelte professionali– la valorizzazione del tempo libero per spazi di cultura

e di preghiera

2) nella vita di gruppo– la valenza sociologica e teologica dell’associazione– l’amicizia fatta di fedeltà, di pazienza e di comunione– il senso dell’accoglienza e della corresponsabilità– il gruppo luogo privilegiato di formazione(G.B.B.)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) Il Papa dice: “siate gli apostoli dei giovani. Invitateli acamminare con voi”.– Siamo davvero un esempio per i giovani?– La nostra fede è testimonianza?

2) Anche noi critichiamo i giovani senza tendere loro lamano nei momenti di difficoltà?

3) Siamo convinti che i giovani sono la speranza del futu-ro?

4) Come possiamo noi Vincenziani proporre loro il no-stro carisma?

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VIII SCHEDA

DALLA GIUSTIZIA LA SPERANZA

I. La Chiesa avvocata della giustizia e dei poveri

Come può la Chiesa contribuire alla soluzione degliurgenti problemi sociali e politici, e rispondere alla grandesfida della povertà e della miseria? Senza dubbio, la que-stione fondamentale sul modo come la Chiesa, illuminatadalla fede in Cristo, debba reagire davanti a queste sfide,ci riguarda tutti. In questo contesto è inevitabile parlaredel problema delle strutture, soprattutto di quelle checreano ingiustizia.

In realtà, le strutture giuste sono una condizione senzala quale non è possibile un ordine giusto nella società. manon nascono né funzionano senza un consenso moraledella società sui valori fondamentali e sulla necessità di vi-vere questi valori con le necessarie rinunce, perfino control’interesse personale.

Dove Dio è assente – Dio dal volto umano di GesùCristo – questi valori non si mostrano con tutta la loroforza, né si produce un consenso su di essi. Non voglio di-re che i non credenti non possano vivere una moralità ele-vata ed esemplare; dico solamente che una società nellaquale Dio è assente non trova il consenso necessario suivalori morali e la forza per vivere secondo il modello diquesti valori, anche contro i propri interessi.

D’altra parte, le strutture giuste devono cercarsi ed ela-borarsi alla luce dei valori fondamentali, con tutto l’impe-gno della ragione politica, economica e sociale. Sono unaquestione della recta ratio e non provengono da ideologiené dalle loro promesse.

Questo lavoro politico non è competenza immediatadella Chiesa. Il rispetto di una sana laicità – compresa lapluralità delle posizioni politiche – è essenziale nella tradi-zione cristiana autentica. Se la Chiesa cominciasse a tra-sformarsi direttamente in soggetto politico, non farebbedi più per i poveri e per la giustizia, ma farebbe di meno,perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autoritàmorale, identificandosi con un’unica via politica e con po-sizioni parziali opinabili.

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La Chiesa è avvocata della giustizia e dei poveri, preci-samente perché non si identifica con i politici né con gliinteressi di partito. Solo essendo indipendente può inse-gnare i grandi criteri ed i valori inderogabili, orientare lecoscienze ed offrire un’opzione di vita che va oltre l’ambi-to politico. Formare le coscienze, essere avvocata della giu-stizia e della verità, educare alle virtù individuali e politi-che, è la vocazione fondamentale della Chiesa in questosettore. Ed i laici cattolici devono essere coscienti delle lo-ro responsabilità nella vita pubblica; devono essere presen-ti nella formazione dei consensi necessari e nell’opposizio-ne contro le ingiustizie.

Le strutture giuste non saranno mai complete in mododefinitivo; per la costante evoluzione della storia, devonoessere sempre rinnovate ed aggiornate; devono essere sem-pre animate da un ethos politico ed umano, per la cui pre-senza ed efficienza si deve lavorare sempre. In altre parole,la presenza di Dio, l’amicizia col Figlio di Dio incarnato,la luce della sua Parola, sono sempre condizioni fonda-mentali per la presenza ed efficacia della giustizia e dell’a-more nelle nostre società. (Benedetto XVI in Brasile)

II. L’impegno socio-politico alta forma di carità

Le sfide che abbiamo di fronte sono straordinarie. Ri-pensare la società e la politica in termini antropologici si-gnifica discernere il senso profondo ed il vissuto personalerispetto ai grandi processi di globalizzazione. Tutto è piùvicino. La realtà dei conflitti ci accompagna quotidiana-mente. Siamo immersi in reti che consentono rapportipermanenti d’amicizia e di lavoro. Attraverso le migrazio-ni che trasformano le nostre città in veri e propri microco-smi, facciamo continuamente esperienza d’incontro conetnie e nazionalità diverse e con nuove forme di cittadi-nanza.

Questo esercizio di presenza deve esercitarsi a tuttocampo. Occorre un impegno socio-politico che si esercitiper strada, nella piazza e nei luoghi della vita e non solo inquelli deputati alla politica, che, purtroppo, tendono sem-pre di più a divenire esclusivi.

L’impegno politico e la cura dalla città restano le formepiù alte di carità. Altrettanto forte però dev’essere la con-vinzione che la politica non si esercita solo nei luoghi del-la rappresentanza politica o nelle Istituzioni. La carità in

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politica si esercita nella cura della città, ma anche nell’a-morevolezza verso le persone, verso la famiglia, verso i po-veri e i deboli. È nell’impegno sociale, nella creazione dilegami e azioni solidali e di cura, che si esercita quella te-nerezza che allena alla pratica del governo e crea le condi-zioni per la formazione di una classe dirigente attenta eresponsabile verso le persone e la comunità. Sono convin-to che un forte impegno sociale può aiutare a frenare ladisaffezione alla partecipazione socio-politica e limitare lecooptazioni tra élites.

L’impegno sociale deve essere assunto come il luogodove è possibile produrre nuovi livelli di solidarietà e dipartecipazione civile e politica attraverso l’applicazione delprincipio di sussidiarietà e con il dinamismo della perso-nalizzazione proprio dell’associarsi. Tutto questo esige chesi operi per ricomporre i tessuti connettivi e comunitari,attraverso un impegno sociale teso a creare, sostenere econsolidare i luoghi della relazione umana e comunitaria.(Verona, Savino Pezzotta)

III. Giustizia e carità

a) Sono intrinsecamente connesse

La giustizia del Regno è un modo di vivere nuovo, ba-sato sulla comunione totale di ciò che siamo, di ciò cheabbiamo e di ciò che facciamo, una superiore qualità divita che vale più del cibo e del vestito (cfr. Mt 7, 25-34).È vivere realmente la condivisione e la solidarietà evange-lica sull’esempio di Cristo che non solo ha amato i poveri,ma si è fatto povero per noi.

L’amore cristiano del prossimo e la giustizia non posso-no essere separati tra loro. L’amore, infatti, implica un’as-soluta esigenza di giustizia, ossia il riconoscimento delladignità e dei diritti del prossimo; la giustizia, a sua volta,raggiunge la sua interiore pienezza unicamente nell’amo-re.

b) Prima la giustizia…Leggiamo nel Decreto conciliare sull’apostolato dei lai-

ci:«A Lui è veramente è donato quanto si dà al bisogno-

so; si abbia riguardo perciò, con estrema delicatezza, allalibertà e dignità della persona che riceve l’aiuto; la purezzad’intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della

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propria utilità o da desidero di dominio; siano anzituttoadempiuti gli obblighi di giustizia perché non si offracome dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giu-stizia; si eliminino non solo gli effetti, ma anche le causedei mali; l’aiuto sia regolato in modo tale che coloro iquali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla di-pendenza altrui e divengano autosufficienti». (Ap. Act.)

c) …ma animata dall’amoreLa carità – che è l’amore stesso di Dio per l’uomo –

deve essere concreta come quella di Dio. La concretezzadella carità è la giustizia.

Nessuno dunque come il cristiano, chiamato ad esseresacramento dell’amore di Dio, è chiamato ad operare perla giustizia. La carità tende alla donazione totale di sé cheva ben oltre il puro diritto dell’altro: la giustizia per il cri-stiano non è che l’ambito minimo della carità!

Il vangelo della carità impegna a diffondere e incarnarela dottrina sociale della Chiesa, che è parte integrantedella sua missione evangelizzatrice e del suo insegnamen-to. Dobbiamo avere sicura coscienza che il vangelo è ilpiù potente e radicale agente di trasformazione e di libe-razione della storia, grazie alla dimensione spirituale etrascendente in cui è radicato e verso cui orienta. (G.B.B.)

Domande per il dialogo e il confronto in Conferenza

1) C’è in noi la disponibilità ad oltrepassare i nostri inte-ressi personali a favore del “prossimo”?

2) La mia giustizia personale a confronto con quella diDio: quali le più evidenti differenze?

3) In campo sociale, politico ed economico penso sia do-veroso l’intervento da parte della Chiesa? In che misu-ra?

4) E per quanto ci riguarda: penso sia doveroso il nostrointervento? In che misura?

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IX SCHEDA

OLTRE VERONA

Il Convegno di Verona: grande evento di Chiesa, doveprotagonista è stato – come non poteva non essere – loSpirito Santo.

Questo concretamente significa che si è trattato di unmomento di annuncio e di magistero molto importanteper tutti i fedeli.

Papa, Vescovi, popolo di Dio che insieme pregano,ascoltano la Parola, s’interrogano, si confrontano…Questaè la Chiesa alla quale Gesù ha promesso l’assistenza delloSpirito Santo!

Di questa Chiesa noi dobbiamo metterci in ascolto:perciò non stancarci di leggere e di meditare gli atti delConvegno, farne oggetto di studio nelle nostre comunità,nelle Conferenze… e, evidentemente, impegnarci nel rea-lizzarne le indicazioni e le direttive.

Gli ultimi due testi del sussidio devono qualificare ilcammino vincenziano del dopo Verona.

I. Dare nuovo valore alla vocazione laicale

L’ottica della testimonianza e della corresponsabilitàpermette di mettere meglio a fuoco le singole vocazionicristiane, senza cadere in una visione puramente funziona-le dei carismi. La vocazione laicale, in modo particolare, èchiamata oggi a sprigionare le sue potenzialità nell’annun-cio del Vangelo e nell’animazione cristiana della società.

A Verona abbiamo sentito echeggiare l’insegnamentodel Vaticano II sul laicato, arricchito dal Magistero succes-sivo e dall’esperienza di tanti laici e comunità che in que-sti anni si sono impegnati a vivere con passione, talvoltacon sofferenza, tali insegnamenti. Il Convegno ha rivelatoil volto maturo del laicato che vive nelle nostre Chiese. Lecomunità cristiane devono trarne conseguenze capaci difarle crescere nella missione, individuando scelte pastoraliche esprimano una conversione di atteggiamenti e dimentalità.

Per questo diventa essenziale “accelerare l’ora dei laici”,rilanciandone l’impegno ecclesiale e secolare, senza il qua-

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le il fermento del Vangelo non può giungere nei contestidella vita quotidiana, né penetrare quegli ambienti piùfortemente segnati dal processo di secolarizzazione. Unruolo specifico spetta agli sposi cristiani che, in forza delsacramento del Matrimonio, sono chiamati a divenire“Vangelo vivo tra gli uomini”. Riconoscere l’originale va-lore della vocazione laicale significa, all’interno di prassi dicorresponsabilità, rendere i laici protagonisti di un discer-nimento attento e coraggioso, capace di valutazioni e diiniziativa nella realtà secolare, impegno non meno rilevan-te di quello rivolto all’azione più strettamente pastorale.

Occorre pertanto creare nelle comunità cristiane luo-ghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare laloro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, iloro pensieri sull’essere cristiani nel mondo. Solo così po-tremo generare una cultura diffusa, che sia attenta alle di-mensioni quotidiane del vivere. Perché ciò avvenga dob-biamo operare per una complessiva crescita spirituale e in-tellettuale, pastorale e sociale, frutto di una nuova stagio-ne formativa per i laici e con i laici, che porti alla matura-zione di una piena coscienza ecclesiale e abiliti a un’effica-ce testimonianza nel mondo. Questo percorso richiede lapromozione di forme di spiritualità tipiche della vita lai-cale, affinché l’incontro con il Vangelo generi modelli ca-paci di proporsi per la loro intensa bellezza. (Nota pasto-rale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale diVerona)

II. Conclusione: essere uniti a Cristo

Cari fratelli e sorelle, i compiti e le responsabilità chequesto Convegno ecclesiale pone in evidenza sono certa-

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L’Eucaristia conduce all’ascesi persona-le e al servizio ai poveri, segni dell’au-tenticità del nostro conformarci a Cri-sto e della nostra testimonianza, perché“un’Eucaristia che non si traduca inamore concretamente praticato è in sestessa frammentata”. (Nota pastorale, 6)

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SUSSIDIO FORMATIVO 2007/2008Si prega compilare e spedire entro marzo 2008

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