Suor Bianca Agnese, delle Figlie della Chiesa, racconta la … · 2013. 9. 8. · RUBANO (PD) >...

1
Quella “gn” i turchi non la possono proprio pronunciare. E così suor Agnese è diventata Maria, ma non solo lei. Le uniche tre cristiane su 246mila abitanti, presenti a Tarso, città di Paolo, per la popolazione (246mila abitanti) sono... le tre Marie. Così è più facile. Ed è anche un segno, visto che il culto mariano è trasversale. Le tre Marie al secolo sono la vicentina suor Bianca Agnese Trabaldo, la trentina suor Cornelia Daprà e la milanese suor Maria (lei sì, di nome e di fatto) Ballo, suore della congregazione delle Figlie della Chiesa. Che ci state a fare in un Paese to- talmente musulmano? Chiedo a suor Bianca Agnese, incontrata a Vicenza, nella casa della sorella, dove ha alloggiato per un periodo di riposo. «A Tarso non facciamo nulla, perché siamo considerate nulla». Mi sembra sconfortante, ma suor Bianca precisa: «La nostra missione è una missione di pre- senza e di testimonianza. Bisogna esserci e basta. Questo è il nostro apostolato. Una missione di vita, non di parole. Anzi, con le parole bisogna andarci proprio piano. Ser- vono buon senso e prudenza, per- ché tutto è considerato proselitismo. E, se dovessimo es- sere accusate di questo, il giorno dopo dovremmo andarcene dal Paese. Allora, come facciamo? Siamo fortificate ogni giorno dalla Parola di Dio. Noi seguiamo il van- gelo, che ci dice “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, an- date”». Pellegrine, come pellegrini sono quanti arrivano a Tarso da tutto il mondo. «Noi li accogliamo e viviamo con loro un momento di fede, cele- brando la messa nella chiesa-museo di San Paolo. Ma dobbiamo chiedere ogni volta il permesso, perché non si tratta di un edificio di culto, bensì di un edificio protetto dalle Belle Arti. Prepariamo per la celebrazione eucaristica, e poi “sbaracchiamo” tutto, affinché torni a essere luogo di visite turistiche». Tutto con grande rispetto, perché «all’Islam bisogna avvicinarsi con le mani cro- cifisse, come il Cristo». Con le mani crocifisse sì, ma non con le “mani in mano”, perché, a trenta chilometri, affacciata sul Me- diterraneo, c’è la parrocchia di Mer- sin, vicariato apostolico dell’Anatolia, di cui era vicario mons. Luigi Padovese, ucciso due anni fa. Da allora, la sede è vacante, ma sono presenti i padri Cappuccini della provincia di Parma e Bologna (dal 1853!). Bianca Agnese, Cornelia e Maria seguono i giovani, si occupano della catechesi dei piccoli, dell’anima- zione liturgica, del decoro dell’al- tare, dei poveri, delle adozioni a distanza («amiamo i nostri bambini e vogliamo che siano amati anche dai nostri parenti, amici e sosteni- tori»). Dove c’è una chiesa aperta al culto, si può fare. La Costituzione turca non impedisce la conversione dall’Islam ad altra religione, ma è pur sempre un passare dall’altra parte. «A Tarso in 18 anni, nessuno si è mai avvicinato per dirci che è cristiano. Neanche a Mersin è facile. Si immagini un giovane, unico cri- stiano in una classe con 40-50 com- pagni musulmani. Necessita di grande sostegno». La popolazione guarda a voi con be- nevolenza. «Tutti ci conoscono, ci salutano, sono persone molto affabili. Io sono a Tarso da 12 anni, ma la nostra mis- sione è aperta da 18. All’inizio per loro eravamo una sorta di punto in- terrogativo. Nei Paesi islamici, biso- gna essere testimoni, ma testimoni veraci, con i gesti, con le parole, con piccoli gesti che arrivano al cuore delle persone, che hanno imparato a volerci bene, hanno imparato a co- noscere il volto del cristiano e ce l’hanno detto». Più volte ho intervistato sacerdoti e religiosi che vivono in Medio Oriente, e torna sempre la parola martirio. Il pensiero va a mons. Pa- dovese e a don Santoro; avete paura? «Certo che abbiamo paura. Siamo in una situazione molto delicata e mettiamo in conto anche il martirio. Ma lo viviamo con serenità. Finché il Signore ci vorrà per quella missione, noi staremo lì; quando il Signore ci vorrà per una missione più grande, noi saremo pronte». Com’è il rapporto con il clero mu- sulmano? «Abbiamo la moschea vicino; quando passiamo, l’imam si alza e si toglie il cappello. Quando sono arri- vata, mi disturbava il grido del muezzin che mi rimbombava nella testa alle 4 del mattino. Poi ho im- parato che è il loro invito alla pre- ghiera. Da quel momento, quasi non lo sento più. A volte, mentre noi preghiamo il vespero, l’imam chiama dal minareto, e ci guardiamo». Siete a 300 chilometri dal confine con la Siria, ne state risentendo? «Quello che succede in Siria lo conosciamo attraverso i media. Sen- tiamo passare gli aerei, perché siamo vicine all’aeroporto, ma non sappiamo se sono di linea o militari. I campi profughi sono ad Antiochia, proprio sul confine, ma cinque fa- miglie sono arrivate a Mersin, ed es- sendo cristiane, la prima cosa che hanno fatto, è stata avvicinarsi alla parrocchia. Ci hanno raccontato di essere fuggite per paura di essere uccise, dopo aver visto distruggere la loro casa. Le stiamo aiutando, so- prattutto per il permesso di sog- giorno. Potranno rientrare un giorno? Chi lo sa». Oggi è qui a casa sua, potrebbe re- starci, invece non vede l’ora di ri- partire. «È vero, nessuno mi obbliga, posso dire non me la sento. Invece, devo ritornare. Io e le mie sorelle abbiamo imparato ad amare quella piccola, povera, porzione di Chiesa che è l’Anatolia, ma soprattutto ab- biamo imparato a soffrire insieme alla gente. Ho vissuto trent’anni in America Latina: ho aperto case, la- vorato nella promozione della donna, sono stata in miniera ac- canto ai minatori. Là ho fatto la mis- sionaria, a Tarso ho imparato a essere missionaria. Non tornare, sarebbe privarmi di quello che ho ricevuto fino ad adesso, la gioia di sentirmi cristiana in un Paese islamico. Nella nostra cappella abbiamo un piccolo taber- nacolo, l’unico della città. Se ce ne andassimo, anche questo taberna- colo se ne andrebbe con noi. La lampada sempre accesa si spegne- rebbe e Tarso sarebbe ancora di più nell’oscurità». Romina Gobbo Bisogna esserci e basta! Turchia Suor Bianca Agnese, delle Figlie della Chiesa, racconta la missione di Tarso Le tre consorelle, al centro, con un gruppo di pellegrini

Transcript of Suor Bianca Agnese, delle Figlie della Chiesa, racconta la … · 2013. 9. 8. · RUBANO (PD) >...

Page 1: Suor Bianca Agnese, delle Figlie della Chiesa, racconta la … · 2013. 9. 8. · RUBANO (PD) > Prova gratuita > Test dellʼudito gratuito U vie ... che la frammentazione dei catto-

La Voce dei Berici Domenica 11 novembre 2012 7

Un apparecchio acustico piccolo... come una goccia d’acquavieni a provare il nuovo apparecchio endoauricolare IIC

praticamenteinvisibile

chiama e prenota un appuntamento

Tel. 0444 911244VICENZA

MONTECCHIO MAGGIORE (VI)SANTORSO (VI)

BASSANO DEL GRAPPA (VI)LONIGO (VI)RUBANO (PD) > Prova gratuita

> Test dell’udito gratuito

Uvie

A servizio del Paese: i cattolicitra protagonismo e rischio di ir-rilevanza è il titolo del convegnosociopolitico che si terrà a Vicenzail 18 novembre, a partire dalle9.30, nel Palazzo delle Opere So-ciali di Piazza Duomo. Interver-ranno Andrea Olivero, presidentenazionale delle Acli e portavocedel Forum del Terzo Settore, edErnesto Preziosi, storico e diret-tore dell’Istituzione Promozione

dell’Università Cattolica di Milano.L’appuntamento è organizzato daAcli, Azione Cattolica, Agesci, Cif,Csi e Ucid, in collaborazione con laConsulta delle aggregazioni laicali.

Il tema è particolarmente inte-ressante e attuale, perché ripro-pone un dibattito che attraversa inquesto momento il laicato catto-lico. «Dobbiamo rispondere anzi-tutto ai problemi del disimpegno edella rassegnazione, che alberganoanche in casa cattolica», anticipaAndrea Olivero, facendo riferi-mento a indagini demoscopiche ea rilievi emersi dall’associazioni-smo ecclesiale.

Il lavoro che sta compiendo ilForum delle associazioni di ispira-zione cattolica nel mondo del la-voro, di cui Olivero è portavoce, èculminato a Todi in un manifestoper la “buona politica”, che sicura-mente sarà argomento del conve-gno annunciato. I contenuti sonochiari, come sintetizza il presi-

dente delle Acli: «È necessario ri-mettere al centro un’idea alta dellapolitica, che non sia intesa comesemplice gestione dell’esistente o,peggio, di interessi particolari. Ilpunto di riferimento è la dottrinasociale della Chiesa che ci spingea scelte nette e forti, specialmentein questo momento dove nonbasta uniformarsi al mondo e serverecuperare credibilità. ComeForum delle associazioni e comecattolici siamo impegnati a contri-buire al rinnovamento dei conte-nuti, sintetizzati bene nelmanifesto di Todi2, e a crearenuovi modelli di partecipazione».

Naturalmente la curiosità e l’at-tesa per il contenitore è forte. Cisarà un nuovo partito dei cattolici?Chiariti i contenuti, la domanda difondo è appunto questa: sul sog-getto politico.

La risposta di Olivero è precisa:«Dobbiamo avere la consapevo-lezza che l’unità politica attorno a

un unico soggetto non è undogma, né risultato a cui potremotornare. Ma è ugualmente chiaroche la frammentazione dei catto-lici deve ridursi e trovare una sin-tesi delle diverse culture ispirateal cattolicesimo. Procediamo in-tanto a mettere in campo un’of-ferta nuova, che sta suscitandointeresse, ma anche preoccupa-zione e ansia da parte di chi vor-rebbe che i cattolici rimanesserouna specie di “ruota di scorta”. Poivedremo se ci sarà una radicale ri-visitazione dei partiti esistenti op-pure un soggetto politico nuovo, dicui non intendiamo essere co-struttori, ma, caso mai, semplicipromotori, senza cedere alle facilietichette che ci dipingono spessocome fiacchi, eccessivamente mo-derati e conservatori».

Anche il prof. Ernesto Preziosiè convinto che i cattolici debbanocontinuare a impegnarsi in poli-tica, «anzitutto come conseguenza

del proprio credere, che non puòcondurre al disimpegno, allo scet-ticismo, all’indifferenza, cioè allepiù diverse forme dell’antipolitica.È stato così in diversi momentistorici - precisa Prezioni, autore dinumerosi saggi di storia contem-poranea -, per esempio quando icattolici si sono distinti nella co-struzione della società civile, nellapromozione di istituzioni, enti,opere di carità divenute fruttuoseper tutti».

Ma per il prof. Preziosi non ènemmeno il caso di scomodare“corsi e ricorsi storici”, oppure diriproporre soluzioni del passato insalsa nuova. «La storia offre conti-nui inediti - sottolinea Preziosi -,questo è il momento che impone lacostruzione di nuove sintesi,chiede di tirare conseguenze perandare oltre la situazione pre-sente, verso una nuova e qualifi-cata offerta».

Michele Pasqualetto

Vita della Chiesa

VICENZA Si terrà al Palazzo delle Opere Sociali, il 18 novembre, il convegno sociopolitico sul ruolo dei cattolici

Andrea Olivero: «È ne-

cessario rimettere al

centro un’idea alta

della politica.

Il punto di riferimento

è la dottrina sociale

della Chiesa»

Il disimpegno alberga anche in casa cattolica

Quella “gn” i turchi non la possonoproprio pronunciare. E così suorAgnese è diventata Maria, ma nonsolo lei. Le uniche tre cristiane su246mila abitanti, presenti a Tarso,città di Paolo, per la popolazione(246mila abitanti) sono... le treMarie. Così è più facile. Ed è ancheun segno, visto che il culto marianoè trasversale. Le tre Marie al secolosono la vicentina suor BiancaAgnese Trabaldo, la trentina suorCornelia Daprà e la milanese suorMaria (lei sì, di nome e di fatto)Ballo, suore della congregazionedelle Figlie della Chiesa.

Che ci state a fare in un Paese to-talmente musulmano? Chiedo asuor Bianca Agnese, incontrata aVicenza, nella casa della sorella,dove ha alloggiato per un periododi riposo. «A Tarso non facciamonulla, perché siamo consideratenulla». Mi sembra sconfortante, masuor Bianca precisa: «La nostramissione è una missione di pre-senza e di testimonianza. Bisognaesserci e basta. Questo è il nostroapostolato. Una missione di vita,non di parole. Anzi, con le parolebisogna andarci proprio piano. Ser-vono buon senso e prudenza, per-ché tutto è consideratoproselitismo. E, se dovessimo es-sere accusate di questo, il giornodopo dovremmo andarcene dalPaese. Allora, come facciamo?Siamo fortificate ogni giorno dallaParola di Dio. Noi seguiamo il van-gelo, che ci dice “Non voi avetescelto me, ma io ho scelto voi, an-date”».

Pellegrine, come pellegrini sonoquanti arrivano a Tarso da tutto ilmondo.

«Noi li accogliamo e viviamo conloro un momento di fede, cele-brando la messa nella chiesa-museodi San Paolo. Ma dobbiamo chiedereogni volta il permesso, perché nonsi tratta di un edificio di culto, bensìdi un edificio protetto dalle BelleArti. Prepariamo per la celebrazioneeucaristica, e poi “sbaracchiamo”tutto, affinché torni a essere luogodi visite turistiche». Tutto congrande rispetto, perché «all’Islambisogna avvicinarsi con le mani cro-cifisse, come il Cristo».

Con le mani crocifisse sì, ma noncon le “mani in mano”, perché, atrenta chilometri, affacciata sul Me-diterraneo, c’è la parrocchia di Mer-sin, vicariato apostolicodell’Anatolia, di cui era vicariomons. Luigi Padovese, ucciso dueanni fa. Da allora, la sede è vacante,ma sono presenti i padri Cappuccinidella provincia di Parma e Bologna(dal 1853!).

Bianca Agnese, Cornelia e Mariaseguono i giovani, si occupano dellacatechesi dei piccoli, dell’anima-zione liturgica, del decoro dell’al-tare, dei poveri, delle adozioni adistanza («amiamo i nostri bambinie vogliamo che siano amati anchedai nostri parenti, amici e sosteni-tori»). Dove c’è una chiesa aperta alculto, si può fare. La Costituzioneturca non impedisce la conversionedall’Islam ad altra religione, ma èpur sempre un passare dall’altraparte. «A Tarso in 18 anni, nessuno

si è mai avvicinato per dirci che ècristiano. Neanche a Mersin è facile.Si immagini un giovane, unico cri-stiano in una classe con 40-50 com-pagni musulmani. Necessita digrande sostegno».

La popolazione guarda a voi con be-nevolenza.

«Tutti ci conoscono, ci salutano,sono persone molto affabili. Io sonoa Tarso da 12 anni, ma la nostra mis-sione è aperta da 18. All’inizio perloro eravamo una sorta di punto in-terrogativo. Nei Paesi islamici, biso-gna essere testimoni, ma testimoniveraci, con i gesti, con le parole, conpiccoli gesti che arrivano al cuoredelle persone, che hanno imparatoa volerci bene, hanno imparato a co-noscere il volto del cristiano e cel’hanno detto».

Più volte ho intervistato sacerdoti ereligiosi che vivono in MedioOriente, e torna sempre la parolamartirio. Il pensiero va a mons. Pa-dovese e a don Santoro; avetepaura?

«Certo che abbiamo paura. Siamoin una situazione molto delicata emettiamo in conto anche il martirio.Ma lo viviamo con serenità. Finché ilSignore ci vorrà per quella missione,noi staremo lì; quando il Signore civorrà per una missione più grande,noi saremo pronte».

Com’è il rapporto con il clero mu-sulmano?

«Abbiamo la moschea vicino;quando passiamo, l’imam si alza e si

toglie il cappello. Quando sono arri-vata, mi disturbava il grido delmuezzin che mi rimbombava nellatesta alle 4 del mattino. Poi ho im-parato che è il loro invito alla pre-ghiera. Da quel momento, quasi nonlo sento più. A volte, mentre noipreghiamo il vespero, l’imam chiamadal minareto, e ci guardiamo».

Siete a 300 chilometri dal confinecon la Siria, ne state risentendo?

«Quello che succede in Siria loconosciamo attraverso i media. Sen-tiamo passare gli aerei, perchésiamo vicine all’aeroporto, ma nonsappiamo se sono di linea o militari.I campi profughi sono ad Antiochia,proprio sul confine, ma cinque fa-miglie sono arrivate a Mersin, ed es-sendo cristiane, la prima cosa chehanno fatto, è stata avvicinarsi allaparrocchia. Ci hanno raccontato diessere fuggite per paura di essereuccise, dopo aver visto distruggerela loro casa. Le stiamo aiutando, so-prattutto per il permesso di sog-giorno. Potranno rientrare ungiorno? Chi lo sa».

Oggi è qui a casa sua, potrebbe re-starci, invece non vede l’ora di ri-partire.

«È vero, nessuno mi obbliga,posso dire non me la sento. Invece,devo ritornare. Io e le mie sorelleabbiamo imparato ad amare quellapiccola, povera, porzione di Chiesache è l’Anatolia, ma soprattutto ab-biamo imparato a soffrire insiemealla gente. Ho vissuto trent’anni inAmerica Latina: ho aperto case, la-vorato nella promozione delladonna, sono stata in miniera ac-canto ai minatori. Là ho fatto la mis-sionaria, a Tarso ho imparato aessere missionaria.

Non tornare, sarebbe privarmi diquello che ho ricevuto fino adadesso, la gioia di sentirmi cristianain un Paese islamico. Nella nostracappella abbiamo un piccolo taber-nacolo, l’unico della città. Se ce neandassimo, anche questo taberna-colo se ne andrebbe con noi. Lalampada sempre accesa si spegne-rebbe e Tarso sarebbe ancora di piùnell’oscurità».

Romina Gobbo

Bisogna esserci e basta!Turchia Suor Bianca Agnese, delle Figlie della Chiesa, racconta la missione di Tarso

Le tre consorelle, al centro, con un gruppo di pellegrini