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Sull’ultima stellaLa poesia

di Else Lasker-Schülera cura di Nicola Gardini

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Chi di noi, anche avendola trova-ta, non ha mai sofferto l’angosciastraziante della mancanza di unluogo familiare?

“Sono nata a Tebe (in Egit-to), quando sono venutaal mondo anche a Elber-feld, nella regione del Re-no. Fino a undici anni so-

no andata a scuola, sono diventataRobinson, ho vissuto per cinque anniin Oriente, e da allora vegeto”. Conquesta nota, nel 1920, Else Lasker-Schüler comunicava i fatti più signi-ficativi della sua vita a Kurt Pinthus,che l’aveva inclusa in un’antologia dipoeti espressionisti. Di vero qui tro-viamo solo il nome di Elberfeld, do-ve la poetessa era nata l’11 febbraio1869, da genitori ebrei. Il resto è in-venzione della tristezza.

Protagonista e autrice di un’esi-stenza fiabesca, Else Lasker-Schülerera abituata a recitare la parte del-l’esotica. Firmava le sue lettere con inomi di “Jussuf Principe di Tebe”,“Tino Principessa di Bagdad”, “Prin-cipe Onit” o “Giaguaro azzurro”. IlPrincipe Jussuf – la sua mascherapreferita – è anche il protagonista delsuo romanzo autobiografico Il miocuore – “romanzo d’amore” (uscito apuntate, tra il 1910 e il 1911, sulla ri-vista “Der Sturm”). A Karl Kraus, inuna lettera del 24 agosto 1909, cosìspiega il significato del suo doppio:“A Bagdad una volta un’indovina midisse che io ero stata una mummia eavevo giaciuto per diversi millenni inuna tomba, e che ero proprio Giu-seppe, che in arabo si dice Jussuf. In-fatti anch’io credo che i vivi e i mortisi trasmutino gli uni negli altri, e i ree le principesse in chi è loro pari, eLei conosce forse una persona piùnobile di Giuseppe d’Egitto, il figliodi Giacobbe e di Rachele che fu get-tato nella cisterna? Sempre egli vesti-va la tunica sanguinante d’agnello.Lei guarderà a lungo il suo anello esognerà di lui per tutta la sera. Sonotriste proprio come Giuseppe d’Egit-to…” (trad. M. Gigliotti e E. Pedotti,in E. L.-S., Il mio cuore e altri scritti,

Giunti 1990). Nel 1910 lo stesso KarlKraus definisce l’autrice di queste ri-ghe “il più forte e il più impervio fe-nomeno lirico della Germania”.

Gottfried Benn, quando lei era giàmorta, la ritrasse in una memorabilepagina: “Era piccola, allora aveval’esilità di un ragazzo e capelli nericome la pece, tagliati corti, cosa an-cora rara a quel tempo, grandi occhimolto neri e molto mobili, con unosguardo sfuggente e inesplicabile.Né allora né poi si poteva andare ingiro con lei senza che tutti si fermas-sero a guardarla: gonne o pantalonierano larghi e stravaganti, il resto del-l’abbigliamento impossibile, collo ebraccia coperti di vistosi gioielli falsi,catene, orecchini, anelli d’oro falsoalle dita; e poiché era continuamenteoccupata a scostare dalla fronte i ciuf-fi di capelli, quegli anelli da donna diservizio – bisogna pur chiamarli così– erano sempre al centro degli sguar-di di tutti. Non mangiava mai regolar-mente, mangiava pochissimo, spessoviveva di noci e frutta per settimane.Dormiva spesso sulle panchine, e fusempre povera in tutte le situazioni ele fasi della sua vita” (trad. LucianoZagari, Lo smalto sul nulla, Adelphi1992). Qualche riga più sotto si leggeche questa donna “era la più grandepoetessa che la Germania avesse maiavuto”.

* * *

Else Lasker-Schüler visse la parte piùimportante della sua vita a Berlino,dove si trasferì nel 1895, accompa-gnando il primo marito, Berthold La-sker (del quale adottò il cognome).In quella città sarebbe rimasta – vi-sionaria, attaccabrighe, apocalittica –fino al fatale 1933. I suoi esordi poe-tici risalgono al 1899, quando pub-blicò alcune poesie sulla rivista “DieGesellschaft”. Quello stesso annonacque Paul, il suo unico figlio. Nel1902 uscì il suo primo libro, Styx .L’anno dopo, separatasi da Lasker,Else sposò Herwarth Walden. Questomatrimonio doveva durare ancormeno del precedente, i soli sette pro-verbiali anni. Gli uomini più impor-

tanti di Else sarebbero stati – oltre alfiglio, che morì di tubercolosi nel1927, aggravando la sua perenne tri-stezza – gli amici: Gottfried Benn, so-pra tutti, Adolf Loos, Franz Marc,Georg Trakl, Paul Cassirer (suo edito-re), George Grosz, Karl Kraus, Tho-mas Mann e diversi altri, più e menocelebri, che credevano nel suo talen-to e la aiutavano anche materialmen-te (fino a che, almeno, lei non li man-dava platealmente al diavolo, accu-sandoli di non essere stati abbastan-za riguardosi o utili).

L’amicizia con Benn ebbe inizionel 1912, l’anno prima che uscisserole Hebräische Balladen, il libro chela consacrò agli occhi della comunitàletteraria. Lei, che era più vecchia di17 anni, si innamorò subito. Lui la re-spinse con un certo tatto. Della vi-cenda è testimonianza tutto un ciclopoetico, Gottfried Benn (quello cheaprono i versi di “Oh, deine Hände”).Lui vi è invocato con i nomi di “Bar-baro” o “Giselheer”. Nella prima edi-zione del ciclo Else incluse una pro-sa introduttiva, “Il dottor Benn”, tuttafervore di iperboli e di metafore. Va-le la pena di citarla per intero: “Scen-de nel sotterraneo del suo ospedale eseziona i cadaveri. Un’anima insazia-bile che vuole carpire segreti. Egli di-ce: ‘Quando uno è morto, è morto’.Poiché è devoto pur non credendo,ama le case di preghiera, altari so-gnanti, occhi che vengono da lonta-no. È un pagano evangelico, un cri-stiano con la testa di un idolo, il nasod’aquila e il cuore di leopardo. Il suocuore è di pelliccia pezzata e batteveloce. Egli ama le pellicce, l’idrome-le e i caproni arrostiti su un fuoco dicampo al limitare di un bosco. Unavolta gli dissi: ‘Lei ha di ogni ruvidez-za un po’, Lei è uno scoglio, un’asprapianura, anche tranquillità silvana, efaggiole e cespugli e biancospinorosso e castagni ombrosi e fogliamedorato, foglie marroni e canneti. Op-pure Lei è terra con radici e selvaggi-na e fumi autunnali e denti di leone eortica e tuono’. Egli è saldo come unaroccia, non vacilla mai, porta sullespalle il tetto di un mondo. Quandodanzo tutta la notte e poi non so do-

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Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

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ve andare, vorrei essere una grigiatalpa vellutata e sollevare la suaascella per rintanarmici dentro. Sonouna zanzara e svolazzo sempre vici-no al suo volto. Ma vorrei essereun’ape, così ronzerei attorno al suoombelico. Sono stata una sua lettricemolto prima di aver fatto la sua co-noscenza; il suo volume di poesieMorgue era sempre posato sulla miacoperta: terrificanti prodigi dell’arte,fantasticherie di morte che prendonoforma. Le sofferenze spalancano leloro fauci e tacciono improvvisamen-te, i camposanti s’insinuano nelle sa-le degli ospedali e si fermano davan-ti ai letti degli infelici. Le donne conuna creatura in grembo si sentonogridare dalle sale parto fino agliestremi confini del mondo. Ogni suoverso un morso di leopardo, un bal-zo di animale feroce. L’osso è la suamatita, con la quale risveglia la paro-la” (trad. M. Gigliotti e E. Pedotti).

Non sarà, questa pagina, il megliodi Else, ma ci vediamo in atto, nellaforma più elementare, i procedimen-ti tipici della sua fantasia: la meta-morfosi, una certa stilizzazione Ju-gendstil, la ricerca di un esotismocompensatorio e patetico, nutrito diillusione e delirio… La poetessa agi-ta freneticamente la sua bacchettamagica per trasformare, “trasfigura-re” (verklären, un suo verbo) ciò cheha davanti, urlando formule, sortile-gi, maledizioni, ma chissà quanto diquella materia oggettiva, ovvia, delu-dente, le obbedisce. Si ha, tutto som-mato, l’impressione che la magia sifermi all’estasi della parola, alla mi-naccia; che lì, nella pura intenzione,in una innocua tenerezza, si accumu-li ed esploda tutta la forza stregone-sca del dire poetico.

Da certi racconti dei contempora-nei sappiamo che Else, quando leg-geva pubblicamente i suoi testi, bat-teva nacchere e scuoteva crotali, a lu-me di candele. Insomma, metteva inpiedi tanto di rito incantatorio. “De-moniaca” appariva, nelle sue vestinere, con quella sua bella voce, dellaquale purtroppo non ci è arrivatanessuna registrazione.

Citiamo, per fare un altro esempio

del suo “metodo”, ancora dalla lette-ra a Kraus: “Una volta, nel deserto,andavo assieme ai beduini a rubaregli stalloni – come Gliene vorrei rega-lare uno! I cavalli arabi, quelli bian-chi, sono uccelli danzanti, principiprigionieri di un incantesimo, sonofiabe che nitriscono. Un pianto dirot-to mi assale – sente come piango? –perché vorrei provare di nuovo l’eb-brezza del mio cuore, quella che sisente solo quando il cuore salta dallagioia, vorrei tornare nel deserto, unir-mi ai re nelle loro scorrerie. Ha maiassistito a una caccia agli struzzi? Do-vrebbe vederli nella loro corsa, quan-do sono inseguiti dal sole paiono del-le nubi d’oro sospese sulla terra. Leimi crede, vero, se Le dico che a Bag-dad possedevo venticinque struzzi?Giuro che Le sto dicendo la verità”(trad. M. Gigliotti e E. Pedotti).

Else Lasker-Schüler si prende terri-bilmente sul serio, ma la sua serietà,per fortuna, è fatta principalmente diironia (“umorismo tragico” avrebbedetto lei). Da questo punto di vista Ilmio cuore è un vero e proprio reper-torio di “battute” geniali – che echeg-giano anche nella cassa armonica deiversi. Qualche esempio: “Chi cono-sce il mio cuore? Tutti solo sempredalla mappa geografica. Sto fra maree deserto: un mammut”; “Cari ragaz-zi! Perché non mi avete mai chiestocosa intendessi con la misteriosa fra-se: ‘Non parlatemi di Roma’? Volevoaprire uno studio di chiromanzia conil nome ‘Non parlatemi di Roma’, madal momento che l’avete tutti e dueignorato in silenzio, come potrebbe-ro cascarci degli estranei? Piuttostovado a chiedere l’elemosina”; “Carinordici! Mi sento vecchia, così comedi colpo è invecchiato questo giorno.Devo vegliare o riposare? Vale la pe-na di vivere la vita o se la si può la-sciar sfuggire? Varrebbe la pena di vi-vere ogni cosa, anche ciò che nonesiste. Io so che da qualche parte unAdriano o un Faraone mi desidera ar-dentemente”; “Caro Ludwig Ull-mann! Era notte quando è arrivata laSua lettera, io mi ero appena impic-cata, solo che la mattina non sonoriuscita a ritrovare l’albero”.

* * *

Due cose sono essenziali nella vita enell’opera della Lasker-Schüler: lavoluttà del mascheramento e la voca-zione al sacrificio. L’una esprime ilbisogno di identità e di appartenen-za, impedendo nel contempo, con labarriera di un “secondo volto”, la sod-disfazione di quello stesso bisogno(Kafka, tra parentesi, odiava i trasfor-mismi narcisistici della Lasker-Schü-ler); l’altra, la disperazione di un es-sere non integrato, che si vede co-stretto all’esilio e alla solitudine. Persfuggire a Hitler, lei riparò, finalmen-te, in Palestina. Ma neppure lì, nella“Terra degli Ebrei” (titolo di una suaopera in prosa), dove sarebbe mortail 16 gennaio 1945, si sentì mai “una”.

Il dualismo percorre tutta la poesiadella Lasker-Schüler, nella forma divarie opposizioni: occidente/oriente;Germania/Terra degli Ebrei, uomo/donna, vita/morte; o accoppiamenti,come Faraone e Giuseppe, David eGionata (accoppiamenti, in questocaso, addirittura omosessuali)… No-nostante la potenza e l’irriducibilitàdei dissidi, questa autrice sembra mi-rare comunque alla “composizione”,per quanto momentanea, delle diffe-renze, al “contatto a qualsiasi costo”– nella scrittura come nella vita (cor-rispondeva con decine di persone,vicine e lontane, ogni giorno, mania-calmente smaniosa di sentirsi vicinaagli altri).

Un simile bisogno di avvicinamen-to appare, sul piano grammaticale,nel gran numero di parole composte,quasi tutte neologismi, che lei, sfrut-tando creativamente una proprietàdella lingua tedesca, dissemina nellasua scrittura. Spesso troviamo avvici-nati, “costretti a fare parola”, elemen-ti semantici che appartengono a ordi-ni concettuali molto lontani (giusta-mente la Lasker-Schüler chiama ilpoeta “domatore” in quel suo capola-voro di velenosissima facondia che èil pamphlet L’atto d’accusa contro imiei editori , uscito a Zurigo, a suespese, nel 1925). Il traduttore, in que-sti casi, non può far altro che scio-gliere l’espressione, la nuova parola,

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nelle sue parti costitutive, parafra-sando il senso. L’importante è sapereche, per un attimo, tout se tient, la co-sa è detta, a dispetto di qualunqueostacolo; il contatto c’è stato.

Nella poesia della Lasker-Schüler,su ogni opposizione, trionfano il nar-cisismo, l’invadenza delpoeta, il flusso ingoverna-bile dell’ispirazione, cheafferra e amalgama le dis-sonanze nella sua materiaincandescente. Si veda iltesto della nota lirica “MeinVolk” – che si legge spessosolo in chiave politica. Ilpoeta qui ci vuole inse-gnare prima di tutto unacosa: che, in sostanza,conta solo la sua voce; ilsuo canto è indipendenteda qualsiasi origine e, allafine, parla solo di sé.

* * *

Per quanto “rigogliosa” (adetta di Benn), la linguapoetica della Lasker-Schü-ler è notevolmente portataalla ripetizione e all’auto-citazione. Come tutti i bra-vi lirici, anche lei cade nel-l’imitazione di se stessa, inun suo personale petrar-chismo. Alcuni sostantiviricorrono in modo ossessi-vo: “stella”, “casa”, “dan-za”, “azzurro” (il coloredell’utopia, l’unico coloreche Benn tollerasse inpoesia), “grembo”, “mor-te”, “Dio”, “cuore” (sededel dolore). Il personaggiosi muove verticalmente,dal basso all’alto, e vice-versa, secondo lo schemabiblico della caduta. An-che se il poeta racconta lasua vita (la morte della madre, lamorte del figlio, l’inseguimentodell’amato etc.), le parole salgono allivello del mito, svincolandosi daogni contatto diretto con l’occasionee con l’esperienza. Dell’esperienzaquesta poesia è un commento. Non è

neppure esperienza in sé – comepretendono le avanguardie, secondocui il vero evento, se pure ce n’è uno,è la poesia stessa. La Lasker-Schülerscrive a cose fatte – quando non c’èpiù niente da fare. Verrebbe da dire,se non sembrasse banalizzante, che

scrive per sfogo, scrive perché nonce la fa più, e perché le sono venutein mente delle frasi: una, due, tre, insuccessione, come risulta evidentedalla struttura più comune dei suoitesti.

Lo sperimentalismo della Lasker-

Schüler non va scambiato per quellodi certi suoi contemporanei. Nellasua opera la sperimentazione è delpoeta, non della lingua. Per quantaoscurità questa scrittura contenga,non vi troveremo mai un attacco allalingua in quanto istituzione o menzo-

gna. La lingua, per lei, èverità e dichiarazione. Lecose stanno così per unmotivo semplicissimo:perché così vuole il poeta.

La Lasker-Schüler ha da-to vita a uno dei personag-gi lirici più solidi e “pre-suntuosi” che possiamotrovare nella recente tradi-zione. Orfana, abbando-nata dall’amato, scacciatadall’uno e dall’altro, com-preso Dio, la “donna” del-le sue poesie non smetteper un momento di sentir-si “necessaria”. Quandoprende a parlare, è perchédavvero sente di dover di-re qualcosa, comunquequesto qualcosa esca. Ilsuo egocentrismo è inossi-dabile. È una fonte peren-ne di eloquenza.

Non va dimenticato ilcompiacimento ludicocon cui la Lasker-Schülercompone i suoi testi, ri-schiando a volte anche diconfidare eccessivamentenelle sue forze. Non tuttole riesce impeccabile. Avolte “marca”, come si di-ce dei danzatori o degliatleti che non spingono ilmuscolo e “fanno solo fin-ta” – cosa non infrequentenei poeti che danno perscontata la loro ispirazio-ne. Il testo può apparireun collage di frammentimnemonici, un campiona-

rio di topoi ... Certo, i suoi topoi . Ilgioco, comunque, è dei più seri. Sitratta pur sempre di creazioni. Il poe-ta è come Dio: “Noi miniature di Diocreiamo miniature del mondo”.

Nicola Gardini

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Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

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L’ultima stella

Il mio argenteo guardare stilla nel vuoto,Mai presagii che la vita fosse cava. Sul mio raggio più leggeroScivolo come su trame d’ariaIl tempo in cerchio, a palla,Instancabile la danza mai danzò.Freddo serpente scatta il fiato dei venti,Colonne di pallidi anelli salgonoE crollano di nuovo.Che cos’è la silenziosa voglia d’aria,Questa oscillazione sotto di me,Quando io mi giro sopra i fianchi del tempo.Un lieve colore è il mio movimentoMa mai baciò il fresco albeggiare,Mai l’esultante fiorire di un mattino me.Si avvicina il settimo giorno –E la fine non è ancora creata.Gocce su gocce finisconoE si sfregano di nuovo,Nelle profondità barcollano le acqueE si accalcano là e cadono a terra.Selvagge, scintillanti ebbre-braccia Schiumano e si perdonoE come tutto si accalca e si stringeNell’ultimo movimento.Più breve respira il tempoNel grembo dei Senzatempo.Arie vuote striscianoE non raggiungono la fine,E un punto diventa la mia danza Nella cecità.

Faraone e Giuseppe

Faraone ripudia le sue donne fiorenti,Profumano dei giardini di Amon.

La sua testa regale riposa sulla mia spallaChe odora di grano.

Faraone è d’oro.I suoi occhi si muovonoCome le onde cangianti del Nilo.

Ma il suo cuore è nel mio sangue;Dieci lupi vennero al mio abbeveratoio.

Sempre Faraone pensaAi miei fratelliChe mi gettarono nella fossa.

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Der letzte Stern

Mein silbernes Blicken rieselt durch die Leere,Nie ahnte ich, daß das Leben hohl sei.Auf meinem leichtesten StrahlGleite ich wie über Gewebe von LuftDie Zeit rundauf, kugelab,Unermüdlicher tanzte nie der Tanz.Schlangenkühl schnellt der Atem der Winde,Säulen aus blassen Ringen sich aufUnd zerfallen wieder.Was soll das klanglose Luftgelüste,Dieses Schwanken unter mir,Wenn ich über die Lende der Zeit mich drehe.Eine sanfte Farbe ist mein BewegenUnd doch küßte nie das frische Auftagen,Nicht das jubelnde Blühen eines Morgen mich.Es naht der siebente Tag –Und noch ist das Ende nicht erschaffen.Tropfen an Tropfen erlöschenUnd reiben sich wieder,In den Tiefen taumeln die WasserUnd drängen hin und stürzen erdenab.Wilde, schimmernde RauscharmeSchäumen auf und verlieren sich,Und wie alles drängt und sich engtIns letzte Bewegen.Kürzer atmet die ZeitIm Schoß der Zeitlosen.Hohle Lüfte schleichenUnd erreichen das Ende nicht,Und ein Punkt wird mein TanzIn der Blindnis.

Pharao und Joseph

Pharao verstößt seine blühenden Weiber,Sie duften nach den Gärten Amons.

Sein Königskopf ruht auf meiner Schulter,Die strömt Korngeruch aus.

Pharao ist von Gold.Seine Augen gehen und kommenWie schillernde Nilwellen.

Sein Herz aber liegt in meinem Blut;Zehn Wölfe gingen an meine Tränke.

Immer denkt PharaoAn meine Brüder,Die mich in die Grube warfen.

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Colonne diventano nel sonno le sue bracciaE minacciose!

Ma il suo cuore sognanteMormora sul mio fondo.

Per questo le mie labbraVanno poetando grandi dolcezze,Nel frumento del nostro mattino.

Dire piano –

Tu ti prendesti tutte le stelleSul mio cuore.

I miei pensieri si increspano,Io devo danzare.

Tu fai sempre quello che mi fa guardare in alto,Stancare la mia vita.

Non posso più sopportareLa sera sopra le siepi.

Nello specchio dei ruscelliNon ritrovo la mia immagine.

All’arcangelo tu hai rubatoI fluttuanti occhi;

Ma io spizzico il mieleDel loro azzurro.

Il mio cuore va lento sottoIo non so dove –

Forse nella tua mano.Dovunque lei si impiglia alla mia rete.

Sono triste

I tuoi baci fanno buio, sulla mia bocca.Io non ti sono più cara.

E come giungesti – !Azzurro di paradiso;

Alla tua più dolce fonteIl mio cuore faceva il giocoliere.

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Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

Säulen werden im Schlaf seine ArmeUnd drohen!

Aber sein träumerisch HerzRauscht auf meinem Grund.

Darum dichten meine LippenGroße Süßigkeiten,Im Weizen unseres Morgens.

Leise sagen –

Du nahmst dir alle SterneÜber meinem Herzen.

Meine Gedanken kräuseln sich,Ich muß tanzen.

Immer tust du das, was mich aufschauen läßt,Mein Leben zu müden.

Ich kann den Abend nicht mehrÜber die Hecken tragen.

Im Spiegel der BächeFinde ich mein Bild nicht mehr.

Dem Erzengel hast duDie schwebenden Augen gestohlen;

Aber ich nasche vom SeimIhrer Bläue.

Mein Herz geht langsam unterIch weiß nicht wo –

Vielleicht in deiner Hand.Überall greift sie an mein Gewebe.

Ich bin traurig

Deine Küsse dunkeln, auf meinem Mund.Du hast mich nicht mehr lieb.

Und wie du kamst – !Blau vor Paradies;

Um deinen süßesten BrunnenGaukelte mein Herz.

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Ora lo voglio truccareCome le puttane il rosaAppassito dei fianchi di rosso.

I nostri occhi sono socchiusi,Come un cielo morente –

La luna è invecchiata.La notte non si sveglia più.

Tu non ti ricordi di me.Dove me ne andrò con questo cuore?

A Dio

Tu non impedisci le buone e le cattive stelle;Tutti i loro capricci hanno corso.Sulla mia fronte il solco duole,La profonda corona dalla luce tetra.

E il mio mondo tace –Tu non impedisti il mio capriccio.Dio, dove sei?

Vorrei origliare al tuo cuore,Con la tua estranea vicinanza scambiarmi,Quando auro-trasfigurate nel tuo regnoDalla mille-beata luceTutte le buone e le cattive fonti scrosceranno.

Al cavaliere

Non c’è più sole,Ma il tuo viso splende.

E la notte senza meraviglia,Tu sei il mio sonno.

Il tuo occhio scatta come stella cadente.Sempre io mi auguro qualcosa.

Oro sonante è il tuo riso,Il mio cuore danza verso il cielo.

Quando arriva una nuvola –Muoio.

Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

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Nun will ich es schminken,Wie die FreudenmädchenDie welke Rose ihrer Lende röten.

Unsere Augen sind halb geschlossen,Wie sterbende Himmel –

Alt ist der Mond geworden.Die Nacht wird nicht mehr wach.

Du erinnerst dich meiner kaum.Wo soll ich mit meinem Herzen hin?

An Gott

Du wehrst den guten und den bösen Sternen nicht;All ihre Launen strömen.In meiner Stirne schmerzt die Furche,Die tiefe Krone mit dem düsteren Licht.

Und meine Welt ist still –Du wehrtest meiner Laune nicht.Gott, wo bist du?

Ich möchte nah an deinem Herzen lauschen,Mit deiner fernsten Nähe mich vertauschen,Wenn goldverklärt in deinem ReichAus tausendseligem LichtAlle die guten und die bösen Brunnen rauschen.

An den Ritter

Gar keine Sonne ist mehr,Aber dein Angesicht scheint.

Und die Nacht ohne Wunder,Du bist mein Schlummer.

Dein Auge zuckt wie Sternschnuppe –Immer wünsche ich mir etwas.

Lauter Gold ist dein Lachen,Mein Herz tanzt in den Himmel.

Wenn eine Wolke kommt –Sterbe ich.

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A Giselheer il pagano

Piango –I miei sogni cadono nel mondo.

Nella mia oscuritàNessun pastore si avventura.

I miei occhi non mostrano la viaCome le stelle.

Io mendico sempre davanti alla tua anima –Lo sai?

Almeno fossi cieca –Crederei d’essere nel tuo corpo.

Verserei tutti i fioriNel tuo sangue.

Io sono molto ricca,Non può cogliermi chiunque;

O i miei doni portarsiVia.

Io voglio teneramente insegnarmi a te;Già sai dire il mio nome.

Guarda i miei colori,Nero e stella

E non amare il freddo giornoChe ha un occhio di vetro.

Tutto è morto,Solo tu ed io no.

O Dio

Dovunque solo più breve sonnoNell’uomo, nel verde, nel calice del convolvolo.Ognuno fa ritorno nel suo morto cuore.

– Vorrei che il mondo fosse ancora un bambino –E a me sapesse raccontare dal primo respiro.

Prima era una grande devozione per il cielo,Le stelle si mettevano a leggere la Bibbia.Potessi una volta prendere la mano di DioO vedere la luna al suo dito.

O Dio, Dio, come ti sono lontana io!

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Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

Giselheer dem Heiden

Ich weine –Meine Träume fallen in die Welt.

In meine DunkelheitWagt sich kein Hirte.

Meine Augen zeigen nicht den WegWie die Sterne.

Immer bettle ich vor deiner Seele;Weißt du das?

Wär ich doch blind –Dächte dann, ich läg in deinem Leib.

Alle Blüten täte ichZu deinem Blut.

Ich bin vielreich,Niemandwer kann mich pflücken;

Oder meine Gaben tragenHeim.

Ich will dich ganz zart mich lehren;Schon weißt du mich zu nennen.

Sieh meine Farben,Schwarz und stern

Und mag den kühlen Tag nicht,Der hat ein Glasauge.

Alles ist tot,Nur du und ich nicht.

O Gott

Überall nur kurzer SchlafIm Mensch, im Grün, im Kelch der Winde.Jeder kehrt in sein totes Herz heim.

– Ich wollt die Welt wär noch ein Kind –Und wüßte mir vom ersten Atem zu erzählen.

Früher war eine große Frömmigkeit am Himmel,Gaben sich die Sterne die Bibel zu lesen.Könnte ich einmal Gottes Hand fassenOder den Mond an seinem Finger sehn.

O Gott, o Gott, wie weit bin ich von dir!

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Ascolta

Io mi prendo nelle nottiLe rose della tua bocca,Che nessun’altra ci beva.

Quella che ti abbracciaMi deruba dei miei brividiChe intorno al tuo corpo io dipinsi.

Io sono il tuo ciglio di strada.Quella che ti sfioraPrecipita.

Senti il mio vivereDovunqueCome orlo lontano?

Solo te

Il cielo si porta nel cinto di nuvoleLa luna ricurva.

Sotto la forma di falceIo voglio riposarti in mano.

Sempre devo fare come vuole la tempesta,Sono un mare senza riva.

Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,Mi si illumina il cuore.

StregatoGiace sul mio fondo.

Forse il mio cuore è il mondo,Batte –

E cerca ancora te –Come ti devo invocare?

Oh vorrei partire dal mondo

Poi tu mi piangi.Faggi sanguigni attizzanoI miei sogni guerrescamente.

Scura sterpaglia Devo attraversare

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Höre

Ich raube in den NächtenDie Rosen deines Mundes,Daß keine Weibin Trinken findet.

Die dich umarmt,Stiehlt mir von meinen Schauern,Die ich um deine Glieder malte.

Ich bin dein Wegrand.Die dich streift,Stürzt ab.

Fühlst du mein LebtumÜberallWie ferner Saum?

Nur dich

Der Himmel trägt im WolkengürtelDen gebogenen Mond.

Unter dem SichelbildWill ich in deiner Hand ruhn.

Immer muß ich wie der Sturm will,Bin ein Meer ohne Strand.

Aber seit du meine Muscheln suchst,Leuchtet mein Herz.

Das liegt auf meinem GrundVerzaubert.

Vielleicht ist mein Herz die Welt,Pocht –

Und sucht nur noch dich –Wie soll ich dich rufen?

O ich möcht aus der Welt

Dann weinst du um mich.Blutbuchen schürenMeine Träume kriegerisch.

Durch finster GestrüppMuß ich

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E fossati e acqua.

Sempre colpisce un’ondaSelvaggia il mio cuore;Intimo nemico.

Oh vorrei partire dal mondo!Ma anche lontano di quiIo erro, il mio lume vacilla

Intorno alla tomba di Dio.

Il mio popolo

La roccia è fradiciaDa cui sgorgoE i miei inni innalzo a Dio…All’improvviso cado a precipizio dal corsoE fluisco in meLontano, sola sopra lamentosa pietraVerso il mare.

Mi sono scorsaDal mosto-fermentatoDel mio sangue.E ancora, ancora l’ecoIn me,Quando orribile verso orienteLa roccia d’ossa fradicie,Il mio popolo,Grida a Dio.

David e Gionata

O Gionata, io impallidisco nel tuo grembo,Il mio cuore cade solenne in scure pieghe;Nella mia tempia assisti tu la luna,Tu devi conservare l’oro della stella.Tu sei il mio cielo, tu il mio compagno d’amore.

Dall’orlo il freddo mondo ho guardatoDi lontano soltanto nel ruscello…Ma ora che mi cade dagli occhi,Sciolto dal tuo amore…O Gionata, prendi tu la lacrima regale,Brilla tenera e ricca come una sposa.

O Gionata, sangue del dolce fico,Pendente odoroso al mio ramo,Anello nella pelle del mio labbro.

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Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

Und Gräben und Wasser.

Immer schlägt wilde WelleAn mein Herz;Innerer Feind.

O ich möchte aus der Welt!Aber auch fern von ihrIrr ich, ein Flackerlicht

Um Gottes Grab.

Mein Volk

Der Fels wird morsch,Dem ich entspringeUnd meine Gotteslieder singe…Jäh stürz ich vom WegUnd riesele ganz in mirFernab, allein über KlagegesteinDem Meer zu.

Hab mich so abgeströmtVon meines BlutesMostvergorenheit.Und immer, immer noch der WiderhallIn mir,Wenn schauerlich gen OstDas morsche Felsgebein,Mein Volk,Zu Gott schreit.

David und Jonathan

O Jonathan, ich blasse hin in deinem Schoß,Mein Herz fällt feierlich in dunklen Falten;In meiner Schläfe pflege du den Mond,Des Sternes Gold sollst du erhalten.Du bist mein Himmel mein, du Liebgenoß.

Ich hab so säumerisch die kühle WeltFern immer nur im Bach geschaut…Doch nun, da sie aus meinem Auge fällt,Von deiner Liebe aufgetaut…O Jonathan, nimm du die königliche Träne,Sie schimmert weich und reich wie eine Braut.

O Jonathan, du Blut der süßen Feige,Duftendes Gehang an meinem Zweige,Du Ring in meiner Lippe Haut.

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Reliquia

Brucia una stella a festa…Un angelo l’ha accesa per me.Non ho mai visto la nostra santa città nel Signore,Mi chiamava spesso nel sogno del vento.

Io sono morta, i miei occhi brillano lontano,Il mio corpo crolla e la mia anima sboccaNelle lacrime del mio orfanello,Di nuovo seminata nel suo tenero centro.

Il mio piano azzurro

A casa ho un piano azzurro,Ma note non conosco.

Sta all’ombra della porta della cantinaDa quando il mondo è perduto.

Lo suonano quattro mani di stelle – La Donnaluna cantava nella barca –Ora danzano i ratti nel cigolio.

Rotta è la tastiera…Io piango l’azzurra morta.

Ah, caro angelo, aprimi– Il pane amaro ho mangiato –Nonostante il divietoA me viva la porta del cielo.

Sulla ghiaia scintillante

Potessi tornare a casa –Le luci si spengono –Svanisce l’ultimo saluto di lei.

Dove devo andare?O madre mia, tu lo sai?Anche il nostro giardino è morto…

Un grigio mazzo di garofani è buttatoNell’angolo come nella casa paterna.Aveva acquistato grande precisione.

Inghirlandava il benvenuto alle porteE si consegnava interamente nel suo colore.O cara madre!…

Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

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Reliquie

Es brennt ein feierlicher Stern…Ein Engel hat ihn für mich angezündet.Ich sah nie unsere heilige Stadt im Herrn,Sie rief mich oft im Traum des Windes.

Ich bin gestorben, meine Augen schimmern fern,Mein Leib zerfällt und meine Seele mündetIn die Träne meines nun verwaisten Kindes,Wieder neu gesäet in seinem weichen Kern.

Mein blaues Klavier

Ich habe zu Hause ein blaues KlavierUnd kenne doch keine Note.

Es steht im Dunkel der Kellertür,Seitdem die Welt verrohte.

Es spielen Sternenhände vier– Die Mondfrau sang im Boote –Nun tanzen die Ratten im Geklirr.

Zerbrochen ist die Klaviatür.....Ich beweine die blaue Tote.

Ach liebe Engel öffnet mir– Ich aß vom bitteren Brote –Mir lebend schon die Himmelstür –Auch wider dem Verbote.

Über glitzernden Kies

Könnt ich nach Haus –Die Lichte gehen aus –Erlischt ihr letzter Gruß.

Wo soll ich hin?Oh Mutter mein, weißt du’s?Auch unser Garten ist gestorben!.....

Es liegt ein grauer NelkenstraußIm Winkel wo im Elternhaus.Er hatte große Sorgfalt sich erworben.

Umkränzte das Willkommen an den TorenUnd gab sich ganz in seiner Farbe aus.Oh liebe Mutter!.....

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Spruzzava il rosso della seraAl mattino una tenera nostalgiaPrima che il mondo nella vergogna e nel bisogno.

Non ho più sorelle né fratelli.L’inverno ha giocato con la morte nei nidiE la brina ha intirizzito tutte le parole d’amore.

Quanto tempo è passato…

Io sogno così remota da questa terraCome se fossi mortaE più non avessi forma.

Nel marmo del tuo gestoLa mia vita meglio si ricorda.Il cammino però mi è ignoto.

Ora mi opprime la sfera scintillanteSotto il manto di diamante.Ma io mi appiglio al vuoto.

Nel mio grembo

Nel mio gremboDormono le nuvole scure.Perciò io sono così triste, mio bene.

Io devo chiamare il tuo nomeCon la voce dell’uccello del paradisoQuando le mie labbra si colorano.

Già dormono tutti gli alberi nel giardino –Anche l’instancabileDavanti alla mia finestra –

Frulla l’ala dell’avvoltoioE mi porta per l’ariaFin sulla tua casa.

Le mie braccia si appoggiano ai tuoi fianchi,Per rispecchiarmiNella trasfigurazione del tuo corpo.

Non spegnere il mio cuore –Tu che trovi la strada –Eternamente.

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Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

Versprühte AbendrotAm Morgen weiche Sehnsucht ausBevor die Welt in Schmach und Not.

Ich habe keine Schwestern mehr und keine Brüder.Der Winter spielte mit dem Tode in den NesternUnd Reif erstarrte alle Liebeslieder.

So lange ist es her.....

Ich träume so fern dieser ErdeAls ob ich gestorben wärUnd nicht mehr verkörpert werde.

Im Marmor deiner GebärdeErinnert mein Leben sich näher.Doch ich weiß die Wege nicht mehr.

Nun hüllt die glitzernde SphäreIm Demantkleide mich schwer.Ich aber greife ins Leere.

In meinem Schoße

In meinem SchoßeSchlafen die dunkelen Wolken –Darum bin ich so traurig, du Holdester.

Ich muß deinen Namen rufenMit der Stimme des ParadiesvogelsWenn sich meine Lippen bunt färben.

Es schlafen schon alle Bäume im Garten –Auch der nimmermüdeVor meinem Fenster –

Es rauscht der Flügel des GeiersUnd trägt mich durch die LüfteBis über dein Haus.

Meine Arme legen sich um deine Hüften,Mich zu spiegelnIn deines Leibes Verklärtheit.

Lösche mein Herz nicht aus –Du den Weg findest –Immerdar.

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Io costeggio l’amore

Io costeggio l’amore nella luce del mattino,Da molto vivo dimenticata – nella poesia.Tu una volta me l’hai detto.

Io so l’inizio –Di me di più non so.Però mi sono sentita singhiozzare nel canto.

Sorridevano propizi gli Immortali nel tuo volto,Quando tu nell’amoroso salmo della nostra melodiaI popoli immergesti e poi portasti in alto.

Ad Apollo

È la sera d’aprile.Il coleottero striscia nel muschio fitto.Ha così paura – il mondo così grande!

I vortici del vento litigano con la vita,Devotamente placida tengo le mani Sul mio grembo vinto di pietà.

Un angelo giocava lieve sui tasti azzurri,Lontano dissolta fantasia.E tutti i pesi dei miei carichiSi trasfigurarono leggeri.

Di colpo mi fa male il mio orfanissimo cuore –Fili insanguinati spaccano la sua quiete.Due occhi scrutano feriti attraverso il suo involucro

di marmoIl mare del mio palpitante granato.

Un incendio appiccò nella terra del mio cuore –Nemmeno il suo divino sorrisoMi lasciò in pegno.

Traduzione di Nicola Gardini

Sull’ultima stella / La poesia di Else Lasker-Schüler

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Ich säume liebentlang

Ich säume liebentlang durchs Morgenlicht,Längst lebe ich vergessen – im Gedicht.Du hast es einmal mir gesprochen.

Ich weiß den Anfang –Weiter weiß ich von mir nicht.Doch hörte ich mich schluchzen im Gesang.

Es lächelten die Immortellen hold in deinem Angesicht,Als du im Liebespsalme unserer MelodieDie Völker tauchtest und erhobest sie.

An Apollon

Es ist am Abend im April.Der Käfer kriecht ins dichte Moos.Er hat so Angst – die Welt so groß!

Die Wirbelwinde hadern mit dem Leben,Ich halte meine Hände still ergebenAuf meinem frommbezwungenen Schoß.

Ein Engel spielte sanft auf blauen Tasten,Langher verklungene Phantasie.Und alle Bürde meiner Lasten,Verklärte und entschwerte sie.

Jäh tut mein sehr verwaistes Herz mir weh –Blutige Fäden spalten seine Stille.Zwei Augen blicken wund durch ihre MarmorhülleIn meines pochenden Granates See.

Er legte Brand an meines Herzens Lande –Nicht mal sein GötterlächelnLieß er mir zum Pfande.