Sulle Ali Di Un Sogno
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Sulle ali di
un sogno
Deborah Fedele
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Sulle Ali Di Un Sogno (Romanzo)
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Copyright © 2012 by Deborah Fedele Tutti i diritti riservati Edizione Novembre 2012
Alla mia lettrice preferita,
mia madre, e a Nino, che ha
letto questo libro per primo.
Alle mie sorelle, a mio padre, e ai miei
affezionati nonni.
Una foto è un pezzo di mondo,
è una parte di te,
un libro che ti racconta. Può farti notare cose che prima non avevi visto.
Può sorprenderti. Una foto può cambiarti la vita.
PARTE PRIMA
CAPITOLO UNO
FOTOGRAFIE E RICORDI
ra mezzanotte e la città dormiva. Il cielo era coperto da nuvoloni scuri e rigato da fulmini,
che suggerivano che di lì a poco sarebbe scoppiato un
temporale; da uno scorcio di finestra aperta, Alice Cafarelli
respirava l’odore della pioggia in arrivo. Casa sua, la città stessa, erano silenziose e addormentate, ma lei non
riusciva a prender sonno.
Sedette alla scrivania e analizzò attentamente un gruppetto di foto
sparse sulla superficie del tavolo; mordicchiava una matita
lentamente, quel gesto pareva infonderle concentrazione, e
avvicinava a una a una le foto alla luce dell’abat-jour. L’ispirazione
giunse d’improvviso: scarabocchiò qualche simbolo sulle foto, tirò
fuori dal cassetto le forbici, e iniziò a ritagliare. Quando ebbe finito,
Alice raccolse il gruppetto di pezzi di foto, si avvicinò a un vecchio
cavalletto da pittore e gli sedette di fronte. Il foglio era liscio e
bianco, come un mappamondo da disegnare, e quei pezzi di foto tutti
vicini, tra le sue dita, le davano quasi la sensazione di poter viaggiare
indietro nel tempo. La ragazza ricompose i ritagli a suo piacere, su quel foglio bianco,
creando un collage di volti, di cose, d’istanti. Quando andò a dormire, quella sera, si sentì soddisfatta: aveva creato
un altro mondo che, a suo dire, era perfetto.
E
<<Brava, e così ieri notte ti sei data da fare a tagliuzzare foto,
anziché dormire?>> esclamò Ilenia, fissando nervosamente il
semaforo rosso. <<E soprattutto anziché studiare.>> puntualizzò dal sedile posteriore
Lucia. Alice sorrise, nascosta dietro enormi occhiali da sole. <<Mi è venuta l’ispirazione!>> si giustificò, con un sorriso
innocente. Lucia alzò gli occhi al cielo esasperata, richiudendo il grosso libro di
latino che stava mandando giù a memoria, parola per parola. <<Spero t’ispiri anche la versione di latino che dovrai tradurre tra
poco>> aggiunse, sistemandosi gli occhiali sul naso. Non c’era da
sorprendersi che fosse la più brillante della scuola, non faceva altro
che studiare! Lucia Piccolo e Ilenia Famoso erano le migliori amiche di Alice, e
lei le considerava come sorelle. Erano così diverse da lei, eppure
sentiva che in qualche modo la completavano. Lucia, dai capelli neri
a caschetto e quei limpidi occhi azzurri, era sicuramente la “mamma”
del gruppo, quella che diceva sempre la cosa giusta e che teneva tutti
con i piedi per terra. Ilenia invece era un vulcano attivo, esuberante,
piena di vita. Era anche molto bella, con lunghissimi capelli biondi
che le incorniciavano il viso, leggere efelidi che donavano puerilità
alla sua sensualità, labbra disegnate, un sorriso bianco e, a dispetto di
quella malizia che dominava i suoi occhi, angelico. La ragazza accelerò e superò con un sorriso una vecchia automobile
guidata da due giovani. Nello specchietto, i suoi occhi verdi
brillarono di puro divertimento: adorava sfidare gli uomini,
soprattutto in attività in cui si credevano insuperabili. In quanto ad Alice non era né la più popolare della scuola né
tantomeno il genio della classe; però era brillante, originale e
creativa. La sua passione era la fotografia, ma amava anche scrivere
poesie (mai ordinate in quaderno, ma sempre sparse in pezzi di carta
o addirittura foglie) e dipingere. Era bella, nella sua disarmante
semplicità. Aveva i capelli rossi, di un riccio morbido, occhi nocciola
e un viso pulito.
Ilenia si fermò nel parcheggio della scuola e guizzò fuori dall’auto
come una gazzella, chiudendosi dietro la portiera con un teatrale
movimento di capelli. <<Basta con i rimproveri … per oggi saremo clementi. Però tu devi
offrirmi un gelato questo pomeriggio, così con la scusa ci
vediamo!>> esclamò con un tono imperativo, al quale sarebbe stato
quasi impossibile rispondere di no. Lucia non si contenne e rispose con voce quasi implorante, ancora
prima che Alice potesse aprir bocca: <<Non è possibile, Ile! Quest’anno hai gli esami e domani avrai
verifica di fisica! In quanto a noi, abbiamo il compito in classe di
filosofia!>> soffiò, mentre si trascinava goffamente fuori dalla
macchina, schiacciata dal peso di libri e vocabolari. Alice le andò
incontro per prenderle di mano qualche libro, trattenendo le risate. <<Non preoccuparti per me, copierò qualcosa, vedrai!>> rispose
allegramente, e Lucia impallidì dietro la pila di libri. Ilenia rise sonoramente. <<Per l’amor del cielo, Lucy! Sai tutti i libri a memoria, non puoi
negare alle tue amiche un pomeriggio con te! E poi Alice deve
raccontarci tutto di ieri sera!>> <<Oh, giusto, dimenticavo che ieri tu e Alex avevate una delle
vostre … serate speciali …>> bofonchiò Lucia. Diventava sempre
rossa e s’imbarazzava quando si parlava di ragazzi e appuntamenti. <<Serate speciali? Starai scherzando spero, ieri Alice e Alex
festeggiavano dodici mesi insieme. Non è vero, Alice?>> Alice annuì e si strinse i libri al petto. Sembrava trovare
particolarmente interessante la processione di un gruppo di formiche
per strada. Si scostò i capelli dal viso, raccogliendoli dietro
l’orecchio. Era solita farlo ogni volta che avrebbe preferito cambiare
discorso o trovarsi dall’altra parte del mondo, anziché nella sua
situazione. E chi meglio di Ilenia, sua migliore amica da sempre,
avrebbe potuto capire? <<Non dirmelo! Non anche ieri! Alex ha di nuovo fatto lo
stronzo?>> <<Ilenia!>> la rimproverò Lucia.
Alice si strinse nelle spalle sorridendo, ostentando il suo inguaribile
orgoglio. <<Quel ragazzo è un idiota, Ile, lo sai… per lui non litigare è troppo
noioso. Ha fatto una delle sue scenate, come sempre!>> Sorrise appena, poi s’incupì. Sì, erano passati dodici mesi, dodici mesi con lui. Un anno non
esattamente sereno a essere sinceri. Ricordava bene il caldo pizzicante del pomeriggio in cui lo aveva
conosciuto: era diretta al bar con Lucia e mentre l’amica le parlava
(dissertava, esattamente) di un qualche filosofo, una macchina,
ignorando il semaforo rosso, era sfrecciata in strada rischiando di
travolgerle. Al volante c’era Alessandro, ai tempi neppure maggiorenne.
Preoccupato, era sceso dall’auto, si era scusato e alla fine aveva
offerto loro qualcosa al bar. Era iniziata così la loro storia, da uno spiacevole evento, poi avevano
continuato a vedersi (Alessandro continuava a dire che doveva farsi
assolutamente perdonare), finché l’amore non era sbocciato. Adesso però, più di un anno dopo, Alessandro Puglisi si era rivelato
tutto meno che il gentiluomo che fingeva di essere. Lui l’amava, ma
sapeva essere odiabile e i suoi atteggiamenti rasentavano quasi la
violenza. Era il ragazzo più egoista che Alice conoscesse, oltre che il
più superbo, presuntuoso, possessivo (e ossessivo) che avesse mai
avuto per fidanzato. Bè, non che Alice potesse vantare una vasta
gamma di ragazzi passati. Alessandro era la sua prima storia seria,
era stato veramente il primo amore. <<Ti offendi Alice, se ti dico che lo odio? Dovresti fare come me
amica mia, niente uomini, solo avventure!>> disse Ilenia ridendo
allegramente, mentre le guance di Lucia avvampavano di
disapprovazione. Ilenia non era davvero una mangiatrice di uomini,
come cercava di apparire, la maggior parte delle volte esagerava per
divertirsi a irritare Lucia. <<Non ascoltare i suoi consigli, Alice … piuttosto, come mai avete
litigato? Questa volta è stata una gonnellina troppo corta o uno
sguardo di troppo al cameriere?>> domandò Lucia, ma sembrava
troppo tardi per ricevere una risposta. La campanella di entrata suonò,
e le ragazze dovettero salutarsi. <<Ci vediamo questo pomeriggio allora!>> disse Alice con un tono
che suonava più come una promessa. Ilenia andò via, accompagnata dagli sguardi di ammirazione di molti
ragazzi, mentre Lucia – il topo da biblioteca Lucia –annunciava che
avrebbe tardato qualche minuto per fare una ricerca. Alice proseguì da sola lungo il corridoio dell’edificio, diretta in
classe, mentre fissava distrattamente gli altri ragazzi del liceo.
Quando passò davanti alla porta della 5 A, la classe di Alessandro,
uno sguardo curioso le scappò inevitabilmente dentro. Non sapeva neppure se lui fosse a scuola. A dire il vero, non sapeva
neppure se fosse sveglio; Alessandro aveva perso da mesi ormai
l’abitudine di darle per telefono il quasi scontato, ma sempre bene
accetto, buongiorno, e lei, forse per troppo orgoglio, aveva smesso di
farlo anche prima di lui, quando aveva sentito in quel gesto odore di
routine. Forse in realtà tutti quei mesi iniziavano a sapere di
monotonia: le cose stavano cambiando tra loro, e il giorno
precedente, il giorno dell’anniversario, nuovi litigi erano saltati a
galla. Alice si rabbuiò. Quegli ultimi mesi erano stati quasi infernali,
con Alessandro.
Per fortuna aveva le sue amiche e le sue passioni, senza le quali,
forse, si sarebbe fatta trascinare dalla follia di Alessandro. La ragazza sospirò, forzandosi i capelli dietro l’orecchio. Nonostante
Alessandro fosse testone, presuntuoso e cocciuto … lei gli voleva
bene.
Il cielo quel giorno aveva qualcosa di speciale. L’azzurro era
macchiato dal panna, nuvole morbide e a batuffoli lo accarezzavano. Alice lo fissava incantata, attraverso la finestra circolare della sua
stanza. La cosa che più amava della sua camera, la piccola mansarda
di casa, era proprio quella finestra, ampia e spalancata sul mondo
come un occhio curioso. Passava spesso il suo tempo lì davanti,
scattando foto alle nuvole dalla forma più buffa, e divertendosi a
scarabocchiare sopra un vecchio diario strani disegni, fantasie che le
forme di quelle nuvole le suggerivano.
<<Toc, toc, posso entrare?>> Alice trasalì. <<Sì, mamma, vieni pure.>> La porta si schiuse ed entrò in camera la signora Cafarelli, graziosa e
rotondetta. Stava ridacchiando. <<Perché non vieni di sotto? Tuo padre ha fatto i biscotti e…>> rise
ancora, preda dell’ilarità: <<dovresti assaggiarli, ma mi raccomando
di’ che sono ottimi!>> aggiunse, spostandosi con il braccio paffuto
dei capelli spettinati dal viso, rossi come quelli di Alice. <<Accidenti, papà ai fornelli! Perché non me lo hai detto prima,
potevo fotografarlo!>> <<Oh, Alice, con queste foto!>> disse Rosa, con un pizzico di
disapprovazione, e si chinò per raccogliere dal pavimento dei vestiti,
brontolando qualcosa sul disordine di quella stanza. <<Comunque credo che l’assaggio–suicidio dovrà aspettare fino a
stasera! Sto uscendo con le ragazze. Anzi, è tardi, vado!>> Alice si alzò dal pavimento, si spazzolò i jeans con le mani e sfilò
con aria birbante davanti allo sguardo crucciato di sua madre. Alice
aveva sempre amato quell’espressione, che metteva in risalto le
guance paffute e i suoi occhi rotondi, azzurrissimi. <<Non hai qualcosa da studiare?>> obbiettò Rosa, i suoi occhi
dardeggiavano dal viso sorridente di Alice alla scrivania sommersa
da fogli, che avevano tutto l’aspetto di compiti non svolti. <<No!>> rispose Alice con un sorriso innocente. Baciò la madre sulla fronte e corse a gran passi al piano di sotto.
Salutò il padre che, proprio come si era immaginata, era seduto al
tavolo, perplesso, a chiedersi come i biscotti potessero essersi
bruciati e soprattutto come potessero essersi attaccati tutti tra loro, e
uscì da casa. A volte Alice invidiava i suoi genitori. Nella loro umiltà e semplicità,
vivevano una vita felice e perfetta. Lui lavorava come impiegato in
una posta privata, mentre lei gestiva la casa e ogni tanto dava lezioni
di recupero agli studenti delle medie. Alice li amava teneramente ed era molto grata loro per tutto quello
che facevano per lei. Non poteva permettersi un tenore di vita
esagerato, come Ilenia magari, ma non aveva mai sentito la
mancanza di nulla e soprattutto, quello che in casa sua non mancava
mai, oltre ai dolci, era l’amore. Alice arrivò al bar dopo qualche minuto, a gran passi, e rischiò di
farsi investire da un’automobile perché, così come si giustificò dopo,
il rosso era scattato all’improvviso mentre lei stava già attraversando.
Lucia e Ilenia la stavano aspettando già sedute, la prima con un
vecchio romanzo tra le mani, la seconda armata di uno smalto dal
colore vivace e luccicante, che si stava passando sulle unghie. C’era
anche Roberta con loro, l’ultima componente del gruppo, la giovane
“new entry”. L’avevano conosciuta l’estate precedente e, forse per la
sua simpatia e semplicità, forse semplicemente perché aveva fatto di
tutto per essere una di loro, l’avevano a poco a poco conosciuta e
apprezzata. Roberta era graziosa: aveva dei brillanti occhi neri e lunghissimi
capelli castani, che accompagnavano morbidi un viso dalla
carnagione olivastra. <<Alice!>> esclamò Roberta salutandola con la mano, ridendo di
cuore insieme alle amiche per aver goduto di uno dei quotidiani
episodi di sbadataggine di Alice. <<Questa volta stavi per rimetterci le penne! Si attraversa con il
verde Ali, con il verde.>> disse Lucia senza staccare gli occhi dal
libro, e Alice la guardò come se avesse di fronte un alieno. Come
faceva a vedere tutto senza alzare neppure gli occhi dal romanzo? <<Guarda che è vero, il rosso è scattato d’improvviso.>> rispose,
indignata. <<Cosa vi porto?>> Arrivò un cameriere con il suo taccuino, e Ilenia gli rivolse
un’occhiata ammaliatrice. Si divertiva a mettere i ragazzi in
imbarazzo, sapeva di aver un forte ascendente su di loro grazie alla
sua bellezza, e non mancava mai di sfoderare le sue armi migliori. <<Tu cosa mi consigli?>> cinguettò. Il ragazzo avvampò, sotto lo sguardo sensuale di Ilenia. <<Ehm… non saprei… beh…>> Roberta salvò il malcapitato dalle grinfie dell’amica, parlando per
tutte: <<Quattro frappè per favore. Uno alla fragola, uno nocciola,
due cioccolato!>>
<<E i biscotti per favore, come puoi dimenticare i biscotti, Roby?>>
aggiunse Alice. Quando il cameriere se ne andò con l’ordinazione, le ragazze
scoppiarono a ridere. Fu lo squillo del telefono ad interromperle; Alice guardò il suo
cellulare, la foto con il viso di Alessandro lampeggiava sullo
schermo. <<Alex! Avevo dimenticato di dirgli che stavo venendo qua!>>
sospirò, battendosi una mano sulla fronte. <<Devi pure chiedergli il permesso?>> borbottò Ilenia stizzita, ma
Alice stava già rispondendo alla chiamata. <<Pronto?>> <<Dove sei?>> la voce altisonante di Alessandro rimbombò nel suo
orecchio, e Alice dovette allontanare il telefono. <<Ciao anche a te!>> commentò, più a se stessa che a lui, poi
continuò: <<Sono al bar con le ragazze… se ti va, puoi fare un
salto…>> Roberta sorrise e mimò con le mani un applauso per la proposta,
mentre Ilenia scuoteva il capo con vigore dicendo “no” e si portava
le mani alla gola minacciando di uccidersi. Alice fu assalita dalla
voglia di ridere, e nel tentativo di trattenersi le esplose sul viso un
forte color cremisi. <<Fare un salto? Vengo subito a prenderti!>> esclamò Alessandro,
con lo stesso tono arrabbiato. Alice perse l’ilarità e sbuffò. <<Ma erano giorni che non uscivo con loro…>> rispose con un tono
arreso. Ilenia faceva strani gesti con le mani e preoccupanti smorfie con il
viso, probabilmente stava “uccidendo” Alessandro in quel momento,
nella sua fantasia. <<Dove sei esattamente?>> Ilenia lanciò un’occhiata pietosa all’amica, e disse sottovoce:
riattacca. Alice rispose stancamente: <<Al bar all’angolo di casa mia… ci
vediamo tra poco.>> Alessandro riattaccò senza troppe cerimonie e l’umore di Alice
sprofondò.
I frappè e i biscotti arrivarono in tempo per evitare che la discussione
vertesse totalmente sull’argomento “Cento motivi per mollare
Alessandro”. Cento motivi per mollare Alessandro; Ilenia amava ripeterli spesso e,
addirittura, aveva stilato una lista per Alice, completa di disegni e
consigli vari. Alice aveva riso di cuore quando l’aveva letta, e per un
attimo era stata tentata di farla leggere anche a lui. Poi però aveva
cambiato idea; tra Ilenia e Alessandro i rapporti erano disastrosi e
sicuramente Alessandro – il permaloso Alessandro– non avrebbe
compreso l’ironia di quella lista. Alice ricordava che, dopo averci riso su, aveva preso coscienza che
la maggior parte di quelle affermazioni elencate da Ilenia erano vere.
Era stata la prima volta che rifletteva sul problema che negli ultimi
mesi attanagliava la sua vita, derubandola del piacere di vivere una
storia d’amore. Lì aveva capito che qualcosa più non andava. Alessandro, quando lo aveva conosciuto, era un ragazzo dolcissimo,
allegro, divertente. Spedirle i fiori a casa era d’obbligo a ogni
occasione, l’aveva viziata di tenerezze e doni, l’aveva fatta sentire la
regina di un regno che si erano creati insieme, era riuscito per un po’
a entrare in quel piccolo mondo di cui Alice era morbosamente
gelosa. E poi era cambiato. A poco a poco era diventato prepotente,
scorbutico, arrogante, un vero e proprio dominatore. Alice viveva nel
ricordo di ciò che lui era stato, ma la realtà di ciò che ora era,
dominava su tutto. Alessandro non si fece aspettare molto; mentre Alice, immersa nei
suoi pensieri, sorseggiava il frappè (senza essersi accorta che era già
finito) e Ilenia e le altre parlavano di borse, il ragazzo arrivò nel
locale, stagliandosi in tutta la sua bellezza. Perché di fatto, una delle
tante cose che nascondevano i numerosi difetti di Alessandro, era il
suo aspetto. Era alto, i suoi capelli erano biondo scuro, di un falso disordine
praticamente voluto, e aveva due occhi scuri e profondi. Aveva un
viso squadrato e pulito, eccetto che per quell’ombra di barba lasciata
di proposito. Il suo fisico scolpito era il risultato di anni e anni di
allenamento, visto che giocava nella squadra di calcio della scuola.
<<Ma guarda chi è venuto a farci visita, Alessandro Puglisi! Che
piacere!>> disse la voce sarcastica e pungente di Ilenia. <<Ciao Alessandro!>> aggiunse con molto più entusiasmo Roberta,
salutandolo con due baci sulle guance. Lucia fu una via di mezzo tra l’entusiasmo mostrato da Roberta e
l’insofferenza di Ilenia, limitandosi a sorridere muovendo la mano, e
immergendosi nuovamente nella sua appassionante lettura. <<Ragazze, è un piacere rivedervi.>> disse Alessandro. Ilenia fece per ribattere, ma Alice le pizzicò la coscia, mentre
Alessandro la salutava con un bacio frettoloso, sfiorandole appena le
labbra. Roberta gli fece spazio con la sedia, invitandolo a sedere tra sé e
Alice. Quest’ultima aveva sul viso, ben stampato, un sorriso di
circostanza, poco credibile. In verità, nonostante si sforzasse di
nasconderlo, si sentiva terribilmente tesa. Sapeva che Alessandro era
già pericolosamente irritato e temeva una piccola scintilla, di
qualunque tipo, che avrebbe causato lo scoppio di un fuoco proprio lì,
nel bel mezzo di un bar, nel bel mezzo di un tranquillo pomeriggio
tra amiche. Il suo pomeriggio tra amiche. Sospirò sforzandosi di apparire tranquilla. <<Come stai Alessandro? Da quanto tempo non ci vediamo?>> disse
Lucia con il suo solito tono diplomatico. Alessandro aveva appoggiato la sua mano sul pugno chiuso e rigido
di Alice; la ragazza gli rivolse ancora un po’ il suo sorriso grinzoso,
mentre Roberta (morbosamente romantica) minacciava di sciogliersi
persino di fronte ad un gesto tanto semplice. Roberta era forse
l’unica del gruppo a invidiare una storia d’amore come quella di
Alice. <<Almeno un mese, Lucia.>> rispose Alessandro con disinvoltura. <<Che peccato…>> bofonchiò Ilenia tra sé, ma Alessandro la udì e
le puntò gli occhi addosso. <<Già che peccato non esserci visti per così tanto tempo. Certamente
Giacomo penserà la stessa cosa, Ilenia. In fin dei conti l’hai illuso e
sfruttato per due mesi, prima di fingerti improvvisamente ispirata alla
religione e desiderosa di diventare suora.>>
Le guance di Ilenia esplosero di un forte color cremisi. Colpo basso. Terribile colpo basso. Giacomo era stato l’ultima
“fiamma” di Ilenia, che aveva scaricato un mese prima in seguito a
una riscoperta fede religiosa. Solo bugie, simpatiche – a dire di
Ilenia– scorciatoie per dire ad un ragazzo che tutto era finito. Ilenia stava per rispondere a tono, ma Alice decise di intervenire. <<Alex ed io stavamo per andare, ragazze.>> disse sfoggiando un
sorrisone, fingendo di aver considerato l’interventaccio di
Alessandro una simpatica battuta priva di malizia. Ilenia però non avrebbe ignorato un simile attacco. <<Certamente, caro Alessandro, tu meglio di me conosci tutti i
trucchi per trattare male e ferire le persone più vicine.>> Alice si sentì cadere la mascella. No, non un altro litigio! Non
chiedeva altro! <<Ehm… Alessandro, perché non mi racconti com’è andata la
trasferta?>> Roberta s’intrufolò quasi con violenza nella conversazione, ma il
danno ormai era fatto. Alessandro le rispose con superficialità,
accennando qualcosa del viaggio, ma Alice non lo stava a sentire, era
come assente. Si era chiusa nel suo mondo, desolata, si sentiva già
addosso l’ansia e il senso di claustrofobia che avrebbe provato
mettendo piede nella macchina di Alessandro, quando lui avrebbe
iniziato a gridarle contro, come se lei avesse colpa di qualcosa. Un
terribile senso di soffocamento l’assalì. E allora provò anche un mal
di testa, un terribile, lancinante mal di testa.
Alice si riprese solo quando Alessandro la chiamò, per due volte, e la
trascinò alla realtà. Il mal di testa era passato, ma la terribile
sensazione di angoscia la stava ancora tormentando. <<Alice mi senti?>> ribadì irritato Alessandro, prendendole il viso
tra le mani. Gli occhi di Alice incontrarono i suoi e annuì con scarsa
convinzione. <<Bene. Noi ce ne andiamo. E’ stato un piacere vederti Roberta,
Lucia.>> quel tono gentile fu susseguito da una frecciatina
gelida: <<Ciao Ilenia.>> Solo Roberta e Lucia risposero al saluto, mentre Ilenia specificò: <<A presto, Alice.>>
E Alice sospirò, pensando a qualcosa che non fosse il litigio che
l’aspettava. E che sarebbe arrivato presto. Troppo presto. <<Che cosa dici alle tue amiche? Che non sei felice?! Che io ti tratto
male?!>> Alessandro, in macchina, imitava fastidiosamente la voce di Alice
enfatizzando un tono piagnucoloso. <<E NON DEVI USCIRE PIU’ CON QUELLA… QUELLA…>>
Alessandro guidava come un forsennato al volante della sua BMW,
mentre Alice, appiattita al sedile, aspettava solo il momento in cui
fosse arrivata finalmente sana e salva – forse– a casa. Si strinse con
le unghie e con i denti a quel pensiero e rispose sforzandosi di
apparire tranquilla. <<Te la sei cercata Alex, Ilenia non ti aveva detto niente di male. Sei
stato offensivo.>> <<Certo, difendila! Sono sempre io ad avere le colpe! Mi sono rotto,
Alice, mi sono rotto a morte di sopportare questi tuoi insopportabili
infantilismi!>> Alessandro gridava, e mentre la sua voce scoppiava tra i vetri
dell’abitacolo dell’auto, con i finestrini chiusi, tra le fioche note di
una canzone, Alice sentiva la rabbia assalirla e scoppiarle dentro.
Cercò di contenersi, cercò disperatamente di trattenere la rabbia ma
comprese che se l’avesse fatto, se anche quella volta avesse taciuto,
sarebbe esplosa. <<Infantilismi? Infantile a me? Vogliamo parlare invece dei tuoi
autoritarismi? Ma con chi credi avere a che fare, Alessandro? E osi
anche dire di essere stanco! Che cosa dovrei fare io con te, sempre
messa sotto accusa, sempre criticata e giudicata! Era un normale
pomeriggio questo, e sei riuscito a trasformarlo in un incubo!>> <<Povera vittima! Povera piccola Alice! Avanti, corri da papà a
piangere!>> Alessandro accelerò in una curva, e Alice fu sospinta contro la
portiera. La ragazza non trattenne un grido di terrore che sembrò
irritare ancora più Alessandro. Decelerò guardando dritto davanti a sé. Sembrava essersi calmato.
La quiete prima della tempesta.
<<La realtà, Alice, è che non sei abbastanza matura per me. Non sai
cosa voglia dire ragionare in due.>> disse con tono con diffidente,
autorevole, come se avesse davanti una bambina cocciuta da educare. <<Ragionare in due per te, significa seguire le tue regole! Ragionare
in due, per te, significa che devo sottostare ad ogni tua decisione, che
tu sei libero di andare dove diamine ti pare e con chi diavolo vuoi,
mentre a me è vietato andare in certi luoghi e con certa gente!>>
disse Alice con rabbia. Era inutile, con un colosso di presunzione come Alessandro le sue
parole erano solo fiato sprecato. <<Oh Alice…>> rispose lui scuotendo il capo, mentre una specie di
falso sorriso gli storpiava il viso in una smorfia obliqua. Alice odiava quando Alessandro metteva su quell’espressione,
avrebbe avuto voglia di prenderlo a schiaffi, era la faccia che aveva
ogni volta che stava per dirle qualcosa che, secondo lui, lei era
troppo immatura per capire. <<Non è come dici tu, lo sai. Ciò che detesto è che tu frequenti
persone non adatte a te!>> Alice rise, che idiota, come se lui sapesse cosa fosse adatto per lei. <<Io cerco solo di proteggerti. E Ilenia è una compagnia… non mi
piace. Potresti uscire di più con Lucy, che so, fare un giro in
biblioteca, guardare un film da te…>> <<Sei patetico Alessandro, sei veramente ridicolo. E non cercare di
giustificarti! Sai cosa penso? Che Ilenia è l’unica persona che riesca
davvero a capirmi!>> Alessandro la guardò con rabbia, poi, imprudentemente, frenò
all’improvviso. <<Sai cosa penso io, invece? Che Ilenia è una puttana! E tu… forse
non sei da meno. Cosa faresti, se non stessi con me?>> Fu troppo. Alice gli rivolse uno sguardo disgustato, incredulo e pieno
di ripulsione. <<Mi fai schifo.>> disse con fin troppa sincerità e finalmente vide
sorgere la sorpresa sul viso di Alessandro. <<Portami subito a casa, e non farti mai più rivedere.>> Alice non disse altro.
Come un piccolo riccio indifeso si richiuse in sé, e si esiliò dal
mondo. Il tragitto le parve interminabile. Pensieri, parole, le ronzavano in testa dolorosamente, minacciando di
farla impazzire. Vedeva flash back, ricordi del passato, stralci di
momenti e felicità vissute. Ora era tutto grigio, si sentiva soffocata
dal grigio, il più anonimo dei colori. Quando vide casa sua le sembrò un sogno. Non attese neppure che
l’auto fosse del tutto ferma per slacciarsi la cintura e scendere. Ignorò Alessandro, non lo salutò neppure. Scattò fuori come un gatto
in fuga, e si allontanò a gran passi. Inaspettatamente, Alessandro scese dalla macchina. <<Alice…>> mormorò con tono docile, quasi amorevole. Lei non si
voltò. Stava tremando. <<Alice, scusa… credo di aver esagerato.>> Sembrava incredibile. Alessandro, orgoglioso e testardo, che chiedeva scusa. Alice pensò che valesse la pena di girarsi, ma a quel punto la sua
piccola speranza si distrusse dolorosamente. Forse il tono sembrava
onestamente dispiaciuto, ma nell’espressione di quel bel viso c’era
tutto meno che dolore. La guardava con sufficienza. Sembrava che le
avesse chiesto scusa solo per farle un favore, per chiudere la
questione. In fin dei conti, perché preoccuparsi? Era uno dei soliti
litigi dove Alice finiva con il minacciare di lasciarlo e poi, una parola
gentile finiva per risolvere tutto. <<Avanti dammi un bacio e facciamo pace.>> aggiunse Alessandro
allungando un braccio e cercando di afferrarla, ma Alice fu più
veloce a ritrarsi da lui. <<Non questa volta. Sono stufa di essere trattata così. Vattene.
Venerdì parto, vado a trovare mia nonna. Non cercarmi. Se mi andrà,
ci rivedremo lunedì. E se vuoi scusarti, sforzati di mettere su almeno
un’espressione decente. Questa fa proprio schifo. Odio essere presa
in giro.>> Alice non aggiunse altro. Aprì il cancello di casa, e corse a gran passi
verso il portone.
Mentre correva via da lui, in cuor suo sperava solo che la fermasse,
che sinceramente dispiaciuto la convincesse che da quel momento
tutto sarebbe stato diverso. Ma Alessandro non lo fece. Se ne andò
spavaldo, e partì sgommando. Pioveva. Alice guardava malinconicamente fuori dalla finestra della sua
camera, e fissava le goccioline di pioggia scendere giù frettolose per
poi schiantarsi sul davanzale. Erano infinite, il loro continuo moto
era angosciante. Persino il suono che emettevano lo era, sembrava
quasi il lamento di piccole, minuscole vite che finivano. Alice rotolò sul tappeto e si rannicchiò di lato, fissando il suo
cellulare. Dalla sera precedente aveva ricevuto moltissimi messaggi
di scuse da parte di Alessandro, ma li aveva cancellati tutti, evitando
di rispondergli. Sforzandosi di non rispondergli. Anche Ilenia aveva cercato di scusarsi, ma non aveva voglia di
sentire neppure lei in quel momento. Ripensò all’ultima e– mail che
le aveva mandato. L’aveva fatto sorridere, in particolare le ultime
righe: “Perdonami Ali, e sarò tua schiava per una settimana, anzi
che dico, per tutta la vita!”. Dopotutto avere una schiava come Ilenia a vita sarebbe stato comodo.
Alice si sentì d’improvviso in colpa: Ilenia le era sempre stata
accanto, dandole il meglio dell’amicizia. Non era il caso di
prendersela troppo con lei. Decise di chiamarla. Ilenia rispose al primo squillo e Alice sospettò che avesse tenuto per
tutto il tempo il cellulare in mano aspettando quella telefonata. <<Alice! Tesoro! Sorellina mia! Come stai? Sono così felice che tu
mi abbia chiamato per… oddio, non vorrai insultarmi? Oh, Alice, mi
dispiace! Ti prometto che mi scuserò con quello… ehm… con
Alessandro e poi…>> Ilenia era un fiume in piena, inarrestabile, e sarebbe stata capace di
continuare in quel modo per ore. <<Sta’ tranquilla Ilenia. Non ce l’ho con te.>> Ilenia trasse un sospiro di sollievo. <<Se vuoi mi scuserò con Alex, sai che per me è contro natura, ma
lo farò.>>.
<<Non c’è bisogno. E comunque sarebbe anche inutile ora come
ora…>> Un silenzio pieno di parole sembrò circondarle. <<Oh Alice … è stato lui?>> <<No, sono stata io. Gli ho detto di stare alla larga per un po’.>> Alice si sdraiò per terra, mentre il suo sguardo si perdeva fuori dalla
finestra, in quei nuvoloni grigi che le ricordavano tremendamente il
suo stato d’animo. <<Scusami Ali, ma non riesco proprio a essere dispiaciuta per questa
momentanea pausa. E’ meglio che tu rifletta un po’ per conto tuo
riguardo a questa situazione. Non può farti che bene. Se vuoi, posso
venire da te stasera. Prometto che non sarò di parte, ti ascolterò
parlare e basta.>> La voce di Ilenia era sicura e confortante, un vero e proprio pozzo di
sincerità. Alice le voleva bene sinceramente, e nonostante si
mostrasse a volte frivola ed evasiva, era soprattutto mente e cuore,
altruista, dotata del grande dono della sincerità. <<Grazie, Ilenia.>> rispose Alice con un tono di voce più tranquillo. <<Comunque avevo già pensato di prendermi una pausa, nel fine
settimana. Domattina presto parto, vado a trovare la nonna.>> <<Cosa? E con chi ci vai?>> <<Da sola.>> rispose Alice facendo spallucce, mentre fissava
distrattamente il pc, sul quale era arrivata l’ennesima e– mail di
Alessandro. <<Te lo scordi! Decidi di partire in quel paesino sperduto e
romantico, immerso nel verde e lontano dal mondo, meraviglioso e
selvaggio, senza di me? Non ci pensare neanche. Veniamo con te.
Ovviamente io, Lucia e Roberta! E’ fantastico! Lucy adorerà studiare
all’ombra di un cipresso! Ci vediamo domani mattina alle sei a casa
tua, passo a prenderti! Puntale!>> Ilenia riattaccò, lasciando Alice esterrefatta. Era matta. Matta da legare. Alice scoppiò a ridere e scosse il capo. Il
suo fine settimana di tristezza e pensieri, si era appena trasformato in
una vacanza tra amiche. L’allegria la invase, dandole d’un tratto una gran voglia di scrivere.
Sedette alla scrivania, poi si fermò i capelli in alto, con un vecchio
pennello che aveva praticamente quel solo scopo. L’ispirazione
arrivò immediata, insieme a quel fulmine che squarciava il cielo:
scrisse una poesia che parlava di un sole splendente, in mezzo ad una
tempesta, come simbolo di continua speranza.
CAPITOLO DUE
UN ANGOLO DI PARADISO
lenia rispettò il suo impegno: alle sei del mattino si trovava
già sotto casa Cafarelli, con un immancabile sorriso. Era
bellissima in quella tuta bianca (che non rendeva del tutto
giustizia alle sue forme) abbinata all’elastico bianco– peloso ed
eccentrico– che teneva uniti i suoi capelli biondi in un’elegante coda
alta. Alice si avvicinò a gran passi alla Mercedes rombante, sfoggiando un
gran sorrisone e mettendo in bella vista la sua favolosa macchina
fotografica. Era stata un regalo di Ilenia, il più bello che Alice avesse
mai ricevuto. Solo dopo essersi accomodata in macchina, Alice si accorse che
anche Lucia e Roberta erano già a bordo. Lucia dormiva come un
sasso, sicuramente distrutta da una nottata passata insonne sui libri
(come sarebbe potuta partire per tre giorni senza mettersi a buon
punto con i compiti?) mentre Roberta guardava con sguardo assente
davanti a sé. <<Buongiorno…>> sussurrò Alice per non svegliare Lucia, e
Roberta le rispose muovendo con poca allegria la mano. Ilenia riservò all’amica un altro trattamento:<<Buongiorno a te!>> Era euforica, e partì sgommando. Si preparava una bella mattinata di sole, niente male, per una
giornata di novembre. Alice si sentì rincuorata per l’atmosfera meravigliosa che quel sole
appena nato creava, abbinata alla melodia dolcissima e appena
accennata che suonava nella Mercedes. E poi c’era quel venticello,
quell’apprezzatissima brezza mattutina che odorava ancora della
pioggia della sera precedente. Tutto perfetto. Alice scattò una foto al
cielo e Ilenia ridacchiò.
I
<<Datti una calmata, Ali, questo fine settimana è tutto per te.
Scatterai un’infinità di foto, vedrai!>> disse rassicurante, e imboccò
l’autostrada. In giro c’erano poche auto, la città dormiva ancora. Alice trasse un profondo, lunghissimo sospiro, prima di tirare su il
finestrino e concedersi un brivido di freddo. Non voleva pensare che quel viaggio fosse una codarda fuga da
Alessandro e dal suo tortuoso presente: preferiva invece considerarlo
come una pausa dalla sua stessa incasinata vita, per rifugiarsi in un
angolo di paradiso. Un angolo di paradiso; Alice aveva sempre considerato così Brunello,
il meraviglioso paesino di montagna in cui viveva nonna Carmen.
Era un luogo bellissimo, lontano dalla tecnologia e
dall’inquinamento, un posto pieno di alberi, di piante, di fiori.
Correva persino un ruscelletto da quelle parti e Alice, da bambina,
molte volte si era immaginata di essere una principessa sirena che
viveva lì dentro, in attesa del suo principe azzurro. Alice si lasciò
sfuggire un borbottio scettico, solo a pensare alle parole “principe
azzurro”, che prese separatamente potevano significare ben poco, ma
in coppia, potevano essere letali per lei in quel momento. Quella
mattina però sarebbe stato difficile distruggere il suo buon umore:
voleva andare dalla nonna. Quando era piccola passava i due mesi estivi sempre lì a Brunello,
ma le cose erano cambiate da quattro anni a quella parte, da quando
era morto il nonno. La nonna, solitaria com’era, non ne aveva voluto
sapere nulla di andare a vivere in città, ma di contro, Rosa e Mario,
non avevano voluto lasciarle la responsabilità di gestire
un’indomabile ragazzina come Alice tutta da sola in estate,
considerate le mille cose che ogni giorno aveva da sbrigare. E così,
Alice, era da quattro anni ormai che non viveva più a Brunello.
Sentiva molto la mancanza di quegli anni… le piaceva quando al
mattino la nonna le canticchiava una canzoncina all’orecchio per
svegliarla, mentre con la mano morbida e calda le accarezzava la
fronte. Era una sensazione di pace e benessere che Alice non avrebbe
mai voluto abbandonare… l’odore delle lenzuola fresche, il sole che
le baciava gli occhi chiusi con i suoi raggi più dolci, quel sorriso,
quella voce soave. Brunello era davvero un piccolo paradiso. Ma ancor più, Alice
sentiva la mancanza del nonno. Buono, intelligente, tuttofare,
all’apparenza timido, sembrava averle trasmesso tutta la sua
personalità. Anche il nonno era un inguaribile sognatore… e se n’era
andato così, di notte, forse sognando qualcosa di meraviglioso. La mattinata si svolse per la maggior parte del tempo tranquilla, tra
le tante foto scattate da Alice e le tante chiacchiere di Ilenia; dopo
qualche ora anche Lucia e Roberta si svegliarono, e iniziarono ad
animare il viaggio cantando e raccontando storie divertenti. Fu un albero a far tornare in mente ad Alice un episodio vissuto a
Brunello da bambina; stava giocando a pallavolo con Ilenia e Lucia,
che erano andate a trovarla, e all’improvviso, tra un salto e l’altro,
aveva messo un piede in fallo, cadendo come un fagotto. Si era
sorbita due punti di sutura, ma che divertimento! Se l’avesse raccontato ad Alessandro, lui avrebbe riso. Alice si ammonì: che sciocca. Ancora una volta pensava a lui. Eppure era vero, Alessandro avrebbe riso di cuore di quel racconto,
le avrebbe baciato la fronte e l’avrebbe chiamata con quel nomignolo
che aveva coniato per lei. L’avrebbe chiamata “sbadatotta”. Ma non
lì. Non quel giorno. Forse tantissimi giorni fa. Sembravano passati
secoli. Ma erano solo… tre mesi? Forse quattro? Che differenza
c’era? Faceva male ugualmente. Un’ultima curva nascondeva ancora gelosamente casa della nonna,
ancora per poco, per fortuna. D’improvviso una baita apparve tra gli
alberi, unica struttura nelle vicinanze; era perfetta, il tempo per
fortuna non l’aveva cambiata, le aveva lasciato il suo colore
giallastro, il suo tetto di mattoni color legno, quel comignolo fumante,
quelle porticine e quelle finestre verdi, un verde che in apparenza
stonava con il resto della facciata, ma che era perfetto, inserito nel
più ampio quadro della vegetazione. Lo rendeva parte della foresta. I ricordi riaffiorarono inarrestabili e non ci fu modo per controllarli.
Ed ecco l’altalena, sulla quale molte volte da bambina Alice si era
dondolata… la cuccia di un cane che un tempo, tantissimi anni fa,
aveva amato profondamente… la sua bicicletta! Quante avventure,
quante cadute! Apparve l’orto del nonno, sul retro della casa, con
tutti i frutti che mostrava spavaldo. C’era ancora il suo cappellino blu
affisso a un chiodo, accanto alla zappa e al rastrello. Sembrava quasi
che il nonno non se ne fosse mai andato. Alice si sentì stringere un nodo allo stomaco. La nonna si era
occupata anche di quell’orticello, tanto amato dal marito,
mantenendo in vita almeno parte di tutto quello che nonno Marco era
stato. D’improvviso ogni tristezza fu spazzata via: ecco la nonna.
<<Nonna!>> gridò Alice, sventolando la mano con entusiasmo. Scese dalla macchina in fretta, trascinandosi dietro a fatica la valigia,
che poi lasciò cadere ai suoi piedi; la nonna scuoteva il capo,
divertita. <<Oh, Alice!>> esclamò, e allargò le braccia pronta a ricevere un
abbraccio. Alice dovette resistere all’istinto di sollevare la nonna di
peso, per stringerla meglio. Non se la ricordava così minuta. La strinse per secondi che le parvero interminabili, poi la guardò in
viso, in quelle rughe profonde, in quegli occhi furbi; le somigliava
moltissimo. Anche i capelli della nonna, nonostante fossero oramai
bianchi, mantenevano ancora tonalità rossastre, e gli occhi nocciola
scintillavano su un viso che nascondeva la sua effettiva età. Nonna
Carmen aveva trasmesso a sua figlia Rosa e a sua nipote Alice
brillanti capelli rossi e leggere lentiggini, da buona spagnola quale
era. Sì, perché nonna Carmen aveva vissuto in Spagna fino a diciotto
anni, prima di incontrare suo marito, Marco, italiano avvincente e
sognatore. Da sposati, l’aveva portata a vivere in Italia, a Brunello,
donandole una vita che mai, mai avrebbe cambiato. Ilenia, Roberta e Lucia arrivarono dopo pochi secondi, sfoggiando i
loro sorrisi migliori. <<Ma cosa ci fate ancora qui fuori? Santo cielo come sono scortese!
Venite dentro! Tra qualche minuto pioverà!>> esclamò la nonna. <<Ma nonna, il cielo è bellissimo!>>
Alice fece accomodare le sue amiche, ma prima di entrare guardò il
cielo, dove il sole brillava, leggermente coperto da nuvole grigie
appena addensatesi. <<Perché credi che debba…piovere…>> Un fulmine squarciò il cielo, seguito da un tuono che rimbombò
minaccioso tra le pareti di casa. Alice rimase interdetta, sulla soglia,
fissando il cielo esplodere in una leggerissima e freschissima pioggia
improvvisa. Un acquazzone! A Brunello tutto era magia. Le ragazze raggiunsero tutte l’interno della casa, e la nonna le invitò
a mettersi a loro agio. Alice si guardava intorno estasiata: non era cambiato nulla. La porta
d’ingresso dava a un piccolo androne giallo antico, arredato con
antichissimi mobili costruiti dal nonno Marco stesso, moltissimi anni
prima. C’era una piccola libreria, un mobile pieno di foto e di
bamboline, delle mensole, che esponevano suppellettili chissà quanto
importanti per la nonna. Un vecchio lampadario mandava una luce
fioca sulle loro teste, mentre la pioggia picchiettava insistente ai vetri
della finestra, con le tende bianche e fresche, le stesse tende di
sempre. Una scala a chiocciola saliva al piano di sopra, e una porta
aperta dava accesso a un corridoio che portava nella zona pranzo, in
bagno e in una stanzetta piccolissima in cui la nonna e il nonno
conservavano, da giovani, le cose a loro care. La sala da pranzo,
collegata alla cucina, era la parte più bella della casa, perché si
affacciava grazie a una grande porta a vetri sul giardino, regalando la
meravigliosa panoramica di Brunello. Alice sospirò lentamente, voleva respirare quell’odore insuperabile,
l’odore di Brunello. <<Avanti, raccontatemi tutto della vostra vita!>> Nonna Carmen, a cena, riempì per l’ennesima volta i piatti delle
ospiti di cibo, distraendole dando loro discorso. <<Le cose vanno sempre nello stesso modo in città, nonnina. Scuola,
compiti, uscite tra amici… non è la stessa di cosa di stare qui.>>
<<E i tuoi genitori cara, hanno ancora quel negozio di fiori?>>
domandò la nonna a Lucia. Aveva un tono di voce gentile, melodico
e i suoi occhi castani scrutavano tutto con interesse. <<Oh, sì, adesso hanno anche aperto un vivaio! La prossima volta, se
lei me lo permetterà, le porterò una pianta! Anche se qui a Brunello,
il verde non scarseggia!>> <<Oh Lucia, ti prego, dammi di tu! Non mi piacciono i formalismi.
Mi fanno sentire vecchia. E comunque, io adoro le piante. Ti
ringrazio.>> La nonna sorrise mentre Lucia prometteva di rivolgersi a lei in tono
più confidenziale. <<Oh nonna, ma non devi sentirti vecchia!>> esclamò Alice fervente.
Alice era sempre stata una sostenitrice della bellezza femminile,
quella vera però, che andava aldilà delle rughe, di un chilo in più o di
un taglio di capelli alla moda. La bellezza di una donna proveniva da
dentro, scaturiva dal suo genio e dal suo sentimento. Alice credeva
che la giovinezza coincidesse con la capacità di amare la vita, mentre
la vecchiaia con la noia e l’apatia per il mondo esterno. Ne
conosceva tante, Alice, di sue coetanee già vecchie. Ma nonna
Carmen era giovane, e non sarebbe invecchiata mai. Alla fine della cena, le ragazze aiutarono la nonna a ripulire casa,
opponendosi energicamente ai suoi tentativi di spedirle a letto. Poi, sbadigliando, salirono le scale a chiocciola e raggiunsero la loro
camera. Aveva smesso di piovere; Brunello ora odorava di fiori e di piante, di
terra umida e di notte. Le ragazze unirono il lettino singolo al letto matrimoniale e
dormirono tutte insieme. Si addormentarono subito, erano sfinite. Alice riuscì a resistere ancora un po’, decisa a non dimenticare mai
niente di quella giornata. In punta di piedi per non far rumore (il vecchio pavimento di legno
ricoperto di moquette scricchiolava a ogni passo) si avvicinò alla
finestra, e sbirciò fuori, nell’oscurità della notte. Non credeva di aver
mai visto tanto buio e tanta luce naturale al contempo. Erano le stelle, dall’alto, a dare colore alla notte, rendendo
leggermente macabra la foresta nera sotto di loro.
Ad Alessandro sarebbe piaciuto senza dubbio tutto ciò; Alice sentì
un piccolo tonfo in fondo allo stomaco quando, inconsapevolmente
pensò a quel nome, e il viso di Alessandro le apparve subito in mente.
Sentiva la sua mancanza come mai. Aveva voglia di sentire la sua
voce. Alice prese il telefono dalla tasca, e lo guardò, combattuta. Avrebbe
potuto provare a chiamare Alessandro, con l’anonimo, giusto un
attimo per sentire la sua voce. La luce del cellulare invase la stanza e sembrò una cosa terribilmente
innaturale nel silenzio dei sospiri rilassati delle ragazze addormentate.
Guardò il desktop e il cuore iniziò a batterle più forte. C’era un
messaggio di Alessandro. Non letto. Alice si morse il labbro inferiore
con foga, esitante. Le mancava, era assolutamente vero, ma non
poteva perdonargli anche quella. Non dopo quelle terribili parole
dette. Sospirò, risoluta, e decise di leggere il messaggio senza
chiamare. Il messaggio diceva: Ti amo. Ti amo. Un brivido l’assalì. Ti amo. Era così bello, sapere che
Alessandro la stava pensando. Sospirò e dovette costringersi a
spegnere il telefono e tenerlo lontano da lei. Allora andò a letto, con l’ombra di un sorriso, sentendosi un po’
meglio. Era come Alice lo ricordava, il giorno, a Brunello; il sole entrava
dalla finestra con i suoi primi raggi, regalando una luce tiepida e
timida, mentre fuori, lontani, gli uccellini cantavano, porgendo in
qualche modo il loro “buongiorno”. La musica di una radio
proveniva, un po’ disturbata, dal piano di sotto, mentre più vivido e
chiaro giungeva il canto della nonna. Alice si lasciò andare in un grande sbadiglio, stiracchiandosi
soddisfatta tra le lenzuola. Aveva dormito benissimo, si sentiva piena
di energia e forte. Si rigirò tra le coperte, incontrando il viso di
Roberta, ancora addormentata, con le labbra leggermente schiuse.
Un’incontrollabile allegria l’assalì, guardando la buffa espressione
sul viso dell’amica; si allungò per afferrare la fotocamera dal
comodino, e le scattò una foto. Roberta mugugnò appena e Alice,
ridacchiando, si tuffò tra Lucia e Ilenia.
<<SVEGLIA!>> Ilenia fu la prima a saltare dal letto gridando, mentre Roberta
bofonchiava insulti in una lingua incomprensibile e Lucia lanciava
minacce molto credibili. <<Gli alieni, sono gli alieni…>> diceva Ilenia guardandosi intorno
impaurita. Aveva i capelli spettinati, gli occhi ancora chiusi e il
broncio. <<Ma che alieni! Alzatevi! Guardate, splende il sole!>> strillò Alice
con più energia, strappando di dosso le lenzuola a Roberta, che si
raggomitolava come un acrobata su se stessa. <<Ma sono le otto del mattino Alice, santo cielo…>> mormorò
Lucia sbadigliando e Alice le scattò una foto. <<Sei venuta benissimo.>> assicurò. <<Uccidiamo Alice?>> propose Ilenia. Stranamente, tutte trovarono piacevole la proposta e travolsero
l’amica, schiacciandola con i cuscini e avvolgendola tra le lenzuola. Braccia e gambe scalpitanti sbucavano ogni tanto dall’arrotolato
umano e dopo secondi di pura lotta, il risultato fu un curiosissimo
“Alice–involtino”, ottenuto dopo aver arrotolato la ragazza tra le
coperte, immobilizzandola con un cuscino sulla pancia e uno sotto la
schiena, in modo che uscissero fuori solo le mani ed il viso. <<Vi odio.>> bofonchiò Alice, muovendo debolmente i piedi. <<Sorridi Ali, immortaliamo questa scena!>> esclamò Lucia ed un
attimo dopo, il flash invase la stanza, illuminando l’espressione torva
di Alice. <<Onestamente, sei quasi più carina delle mummie. Siamo state
brave.>> commentò con estrema professionalità Ilenia, facendosi
passare da Lucia la fotocamera e scattando un’altra foto. Alice tirò
fuori la lingua. <<Strabiliante, meravigliosa interpretazione di una mummia, quasi
più spaventosa!>> Roberta scoppiò a ridere e Alice rotolò sul letto, investendola.
Liberarono Alice solo dopo averle fatto promettere di essere loro
schiava per un giorno, poi corsero a fare colazione.
Le aspettava una lunga mattinata; in programma c’era un’escursione
alla ricerca di un ruscelletto che scorreva da quelle parti e la raccolta
di asparagi selvatici. Le ragazze uscirono da casa molto presto, armate di cappellini,
scarpe da ginnastica e, ovviamente, macchina fotografica.
La nonna le guardava da lontano, con quell’immancabile sorriso;
nonostante l’invito delle ragazze a essere loro guida per quella
mattina, aveva preferito stare in casa e sbrigare le sue quotidiane
mansioni. Vivere sola in una casa di campagna significava un sacco
di cose ed un giorno non bastava mai: aveva una lista di cose da fare
attaccata con una calamita al frigorifero, tra le quali potare le piante,
curare l’orto, nutrire gli animali, far giocare un po’ Billy eccetera.
Billy, naturalmente, era l’amato cane da pastore della nonna, il suo
migliore amico nonché compagno di vita. Le ragazze non impiegarono molto tempo a raggiungere il ruscello, e
dopo aver scattato qualche foto, sedettero intorno ad esso. Era limpido, appena increspato da un leggerissimo venticello, e delle
foglie verdi e gialle vi navigavano dentro, come barchette di avidi
scopritori di terre. Alice fotografò una foglia, mezza verde e mezza
gialla, che si faceva trascinare spensierata, quasi pigramente,
disinteressata da tutto ciò che non fosse l’armonia del vento. <<Allora Alice, adesso che siamo qui, lontane da orecchi indiscreti e
soprattutto da lui, credo che tu possa raccontarci cosa è successo...>>
disse Ilenia. Alice iniziò a pensare a mille scuse plausibili per evitare l’argomento,
ma lo sguardo irreprensibile di Ilenia annullò ogni tentativo. <<Quel pomeriggio al bar eravate già freddi… si può sapere cos’è
successo all’anniversario?>> iniziò, senza troppo cerimonie. <<Abbiamo litigato…>> tentò Alice, sforzandosi di apparire
disinvolta. Roberta sospirò e scosse il capo: <<Questo l’avevamo capito. Ma
che è successo?>> Alice sospirò. <<Bè, Alex ha prenotato in un ristorante. Un ristorante di lusso
esattamente…e stava molto bene in smoking…!>> Roberta rise entusiasta.
<<Oddio, eccolo mentre fa lo splendido!>> esclamò invece Ilenia
irritata. <<Comunque, abbiamo cenato, scherzato e… stranamente non ha
tirato fuori discussioni spiacevoli, come quelle dell’ultimo periodo…
che so, uscite con gli amici, miei atteggiamenti che non gli piacciono
o semplicemente Ilenia. Ah… Ile mi sento in dovere di dirtelo. Alex
ci è andato giù pesante con te, l’altro pomeriggio. Ha detto che
sei…>> <<Non ripetere le parole che quell’infame riesce a sputare da quella
boccaccia.>> disse Ilenia seriamente, tutto d’un fiato. <<E’ geloso persino di me, è ridicolo.>> aggiunse sprezzante. Lucia decise di interrompere sul nascere un monologo d’Ilenia pieno
d’ingegnosi insulti verso Alessandro, intervento che avrebbe
sicuramente ferito Alice. <<Comunque, che è successo dopo cena?>> chiese. <<Siamo usciti dal locale e lui… mi ha bendata.>> <<E’ così romantico…>> mormorò Roberta, mentre Lucia e Ilenia le
scoccavano un’occhiataccia. <<Eravamo in macchina e non ho saputo dove mi avesse portata
finché non mi ha tolto la benda. Fuori pioveva e… mi ha preso in
braccio. Una volta al riparo, mi ha appunto sbendata e…>> <<E?>> incalzò Roberta con il fiato sospeso. <<E qui gatta ci cova.>> aggiunse Ilenia. <<E mi sono accorta di essere in casa sua… in camera sua. Luce
soffusa, candele…>> Alice e Lucia avvamparono insieme, non era facile sancire chi delle
due si fosse imbarazzata di più. Roberta si lasciò scappare un
gridolino divertito, taciuto all’istante dallo sguardo serio di Ilenia. <<E?>> domandò, improvvisamente isterica, fissando Alice torva. <<E ovviamente ci siamo baciati. Dovevo chiederti il permesso
mammina?>> Ilenia alzò gli occhi al cielo, probabilmente avrebbe voluto
rispondere: sì! <<Ma è finita lì.>> Alice alzò le sopracciglia come se stesse alludendo a qualcosa. Ilenia
non si risparmiò i commenti.
<<Non credevo che Alessandro potesse cadere così in basso. Avete
litigato perché non hai voluto fare sesso con lui?>> disse senza peli
sulla lingua. <<Santo cielo non metterla così, Ile!>> rispose Roberta, in difesa di
Alessandro. <<Sì, e come allora? Non hai capito un bel niente tu, sei troppo
giovane!>> <<Alessandro, in effetti, l’ha presa male, visto che stiamo insieme
già da un anno…>> rispose Alice sospirando, sconfortata. <<Mi ha ferito il suo atteggiamento. Ha cercato di convincermi a
cambiare idea, finché non ha perso le staffe. Allora ha iniziato a
gridarmi contro che sono una… bambina, e immatura>> <<E tu cosa ne pensi?>> chiese Lucia precedendo Ilenia, pronta a
fare una sfuriata contro di lui. Alice sbuffò e appoggiò il capo contro
un albero. La corteccia era ruvida e fresca, umida, profumava. <<Prima di me ci sono state altre ragazze, per lui. Forse sente
nostalgia di quel tipo di rapporto. Ma io… non credo di essere
pronta.>> ammise, ed ebbe la sensazione che la temperatura fosse
salita di qualche grado. <<Ma hai diciassette anni…>> obbiettò Roberta, e Ilenia la fulminò
letteralmente con lo sguardo. <<L’età non conta, Alex è un porco e vuole solo fare sesso.>> Alice si sentì sprofondare per l’imbarazzo. Ilenia era la solita. <<Non è per l’età… è che quella sera ho trovato tutto sbagliato, non
era il momento. Lui l’aveva… programmato, capite? E poi
ultimamente litighiamo così spesso...>> <<Guarda che non ti devi giustificare di niente, Ali… non c’è fretta,
devi volerlo…>> disse Lucia, carezzevole, prendendole una mano. Alice sospirò. <<Vorrei che la pensasse come te.>> disse amaramente. <<E quindi adesso che farai?>> chiese ancora Ilenia. <<Vedremo.>> rispose Alice. In realtà non sapeva ancora come
sarebbe andata. <<Ma basta parlare di lui! Ho una voglia matta di divertirmi!
Andiamo ragazze!>>
Alice scattò in piedi, rapida come una scintilla, afferrò Lucia per i
polsi e la costrinse a fare lo stesso, saltellando. <<Si parte! Gara a chi arriva prima a quell’albero!>> Le ragazze ritornarono a casa al tramonto, felici ed esauste. Avevano
raccolto una buona dose di asparagi! La nonna le accolse con calore, e face trovare loro in tavola la
merenda. Quando Alice, Ilenia, Lucia e Roberta, ebbero finito di mangiare,
fecero una doccia, poi aiutarono la nonna a cucinare. Alice e Ilenia si rivelarono un fiasco ai fornelli: Alice si tagliò un
dito e Ilenia, che non aveva ben compreso cosa fare, pulendo gli
asparagi gettò nel cestino la parte da cucinare. Furono entrambe
relegate al lavello, a lavare verdure e piatti.
Era sicuramente Roberta la cuoca della situazione, dopo la nonna
naturalmente. Avevano trovato una certa armonia le due,
collaborazione che avrebbe portato sicuramente a risultati molto
apprezzabili. Di sera, dopo cena, aiutarono nonna Carmen a sparecchiare e ripulire
e poi, tutte e cinque, guardarono un film. <<Per fortuna ho portato il lettore dvd e film a volontà!>> esclamò
Roberta tirando fuori dallo zaino il tutto. Ilenia la guardò interdetta: <<Ma ci sono solo film d’amore!>>
esclamò, lanciandole occhiatacce bieche, e Roberta annuì
allegramente. Nonostante Ilenia si fosse opposta energicamente alla proiezione di
un film d’amore, le altre decisero di accontentare la romantica
Roberta; alla fine, il film piacque a tutte al punto tale che, a fine
riproduzione, stavano piangendo. <<Quell’attore somigliava molto a mio marito.>> disse la nonna. Era seduta su una sedia a dondolo marrone e il suo viso riluceva di
un sorriso commosso. <<Avevo la vostra età, più o meno, quando lo incontrai. Ero in
vacanza in Italia, e quando lo vidi, mi piacque subito. Aveva capelli
neri come l’ebano, pelle abbronzata dal sole… e quel sorriso sicuro.
Tutto iniziò da lì. Il primo giorno che lo vidi sentii che non lo avrei
più dimenticato. E così avvenne, infatti. Passai i tre mesi estivi in
Italia, con la mia famiglia e con lui. Era un giovane avvincente e
intelligente, d’idee aperte e pieno di vita. Voleva fare il medico.>> La nonna sorrise teneramente, mentre Alice, sbalordita, ascoltava
rapita quelle parole, che descrivevano una parte del nonno che non
aveva mai conosciuto. <<Tuttavia, non andò così. Ci innamorammo. Un giorno i miei
genitori, erano così severi, ci videro insieme, e m’impedirono di
rivederlo. Così fuggimmo. Quella notte stessa, davanti a Dio, ci
promettemmo amore eterno. Le nostre vite cambiarono radicalmente:
lui abbandonò gli studi e venimmo a vivere qui. Non fu facile per me
abituarmi a una vita fatta di sacrifici e lavoro. Ma è stata la vita più
felice e piena che qualunque essere umano possa desiderare.>> la
nonna rise, con gli occhi lucidi e una mano stretta al petto. <<Lo porto dentro come se fosse una parte di me.>> Alice ebbe un brivido. <<Amate bambine mie, amate. Fate lavorare il vostro cuore, non
inaridite l’anima, non privatevi del grande dono della vita. Ma amate
solo chi si merita l’amore… e non accontentatevi di mezzi sorrisi,
mezzi baci, mezzo cuore. Desiderate e prendetevi tutta l’anima di chi
ve la offre. Niente per metà. Se così fosse, avreste sbagliato cuore.>>
La nonna sospirò, e si chiuse in un silenzioso pensare. Alice la guardò spiazzata, era colpita, le sue parole avevano
raggiunto una parte profonda di lei, le avevano spalancato una
finestra, dalla quale era entrato un vento gelido.
Sbagliare cuore. Accontentarsi di un cuore a metà. La nonna aveva ragione, avrebbe dovuto pretendere tutto di
Alessandro, ogni sua singola cellula, e invece aveva in pugno solo un
mucchio di parole e promesse infrante.
Alice non dormì bene quella notte, non faceva che pensare alle
parole della nonna. E se avesse “sbagliato cuore”? E se tutto ciò che
stava facendo per tornare a esser felice con Alessandro, se i sacrifici,
le lacrime, le volte in cui aveva soffocato tutto il dolore dentro, non
avessero portato a niente? E se stesse commettendo l’ennesimo,
stupido errore?
Alice si rigirò tra le coperte, inquieta, invidiando i respiri regolari
delle sue amiche addormentate. Che fortunate che erano, non
amavano! La loro vita non era quotidianamente tormentata da sbalzi
d’umore e tristezze, litigi e poi riappacificazioni. Alice si passò una mano sulla fronte e si accorse di stare tremando.
Era nervosa, non riusciva a ragionare lucidamente. Contò fino a dieci,
dopodiché decise: doveva uscire. Si vestì in fretta, di quel che trovò sparso per la stanza, poi afferrò la
macchina fotografica e corse precipitosamente al piano di sotto. La casa era addormentata, vuota, di un colore mesto, tra il sonno e la
veglia, tra il buio e la luce. Tra non molto sarebbe sorto il sole, un
nuovo giorno era sul punto di nascere. Si trascinò fuori di corsa. Billy, il cane della nonna, quando la vide passare correndo, le andò
dietro scodinzolando e sollevandosi sulle zampe posteriori si
appoggiò alla sua schiena, quasi pretendendo una carezza per saluto.
Alice allungò una mano tremante verso di lui e si sentì meglio. Si
sentiva libera, nel verde e nell’immensità del cielo di Brunello. Alice passeggiò per il bosco e non si rese conto di quanto tempo
passò, né di quanto si stesse allontanando da casa. D’improvviso la
foresta, prima folta e verdeggiante, divenne più rada, finché non
arrivò a schiudersi sopra una grande distesa di erba bassa, giallo
verde, che ammirava timidamente le immense montagne davanti a
sé. Meraviglioso. Alberi grandissimi andavano nascendo oltre la distesa pianeggiante,
circondati da fiori e cespugli, mentre dalle montagne alle loro spalle,
sorgeva il sole. Pura bellezza. Luce e colore, nuvole sommerse di oro, alberi che si
protendevano con i loro rami verso l’infinito, sempre più in alto. Non sembrava vero. Alice aveva il fiato corto, mentre la luce si spandeva, illuminando
anche lei di oro. Si sentiva parte di quel quadro. Decise di rubare alla
natura un po’ di quello splendore: prese la macchina fotografica,
inquadrò tutto, e scattò una foto.
Respirò a pieni polmoni, con gli occhi chiusi, e si concentrò sulle
sensazioni che quella frescura le provocava. Era così rilassante, così
al disopra di ogni preoccupazione umana. Alice si avvicinò a un albero e sedette ai suoi piedi. Appoggiò il capo
contro la corteccia e respirò l’odore umido della terra smossa, della
rugiada, dell’erba bagnata. Da lì il cielo si vedeva meglio, mentre si svegliava pigramente. Alice chiuse gli occhi e con le dita penetrò il terreno morbido e
umido, poi si portò le mani vicino al viso, per respirare l’odore della
terra. In quel momento notò una foglia, dal colore giallo oro, un po’
appassita. Ma la cosa più curiosa, erano le scritte che apparivano,
evidenti, sulla superficie. Si appoggiò con le ginocchia per terra, la
prese tra le dita, e lesse:
“Triste
vedere come la rosa, mentre sboccia per raggiungere il culmine della bellezza, si prepari inesorabilmente
ad appassire.” Alice rilesse stupefatta quelle parole, mentre un brivido le saliva
lungo la schiena; qualcun altro viveva lì nei paraggi, qualcun altro
aveva passeggiato in quel suo paradiso. Alice deglutì. Non era la
paura di potersi imbattere in qualcuno di sconosciuto che la
preoccupava, quanto più le parole lette in quella foglia appassita, che
adesso sembrava morta anziché dorata. Erano parole tristi. Erano
parole sconfortanti. Si sentì quasi in pena per la rosa morente. Si guardò intorno con circospezione, e vide che non c’era nessuno,
dunque guardò nuovamente il cielo, che adesso era luminoso e chiaro.
Era ora di tornare a casa. <<Ma sei pazza, Alice? Che ti sei messa in testa! E’ pericoloso
uscire da sole qui, e a quell’ora!>> disse Lucia strabuzzando gli
occhi, a colazione, quando Alice raccontò alle amiche della sua
piccola gita. <<C’era Billy con me.>> si giustificò Alice, spingendo con il
cucchiaio i cereali sul fondo della sua tazza. Lucia alzò gli occhi al cielo spazientita. <<Questo spiega tutto allora. Non farlo mai più, per favore Alice.>>
disse implorante, lanciando occhiate alla nonna, che preparava le
crepes al cioccolato. Alice non rispose. Lei, dopo quella passeggiata, si sentiva molto
meglio, e nella fotocamera poi c’era quella foto, la foto che le
avrebbe ricordato per sempre quell’alba incantevole. D’improvviso si ricordò della foglia, che stava custodita e nascosta
nella sua tasca; la tirò fuori per mostrarla alle amiche. <<Ed ho trovato questa.>> Roberta prese la foglia e lesse ad alta voce la scritta, poi batté le
ciglia, stupefatta. <<Wow.>> <<Alice non è l’unica pazza a scrivere sulle foglie.>> sdrammatizzò
Ilenia. <<Questo è molto strano! Qualcuno ti spiava!>> suggerì Lucia,
terrorizzata. Alice sospirò, e scosse il capo. <<Ma figurati, perché qualcuno avrebbe dovuto spiarmi?! E poi qui
su non vive nessuno, oltre mia nonna. L’avrà trascinata il vento>> Alice si strinse nelle spalle e sorrise alla preoccupatissima e per nulla
convinta Lucia.
<<Su, non fatene un dramma. E’ solo una stupida foglia! Mangiamo
dai!>> e così dicendo, Ilenia, afferrò un muffin al cioccolato. In quel momento arrivò la nonna, stringendo tra le mani un vassoio
di crepes. <<Buongiorno ragazze!>> disse gioviale, facendo largo sulla tavola
per poter appoggiare anche quel vassoio. I pasti in casa sua erano
sempre eccessivamente abbondanti.
<<E così oggi hai trovato la Radura dei Girasoli.>> aggiunse, mentre
prendeva posto. <<Bè… se è così che si chiama...>> rispose Alice, arrossendo. <<Certo, la Radura dei Girasoli. Se ho sentito bene, ci sei stata
questo mattino. Ho sentito che uscivi, ma non ho avuto il tempo di
chiederti se volevi compagnia, che eri già sfrecciata via.>> Certo, pensò Alice, Che sciocca. Come aveva potuto pensare di passarla liscia con la nonna, che,
vivendo da sola, aveva sviluppato un udito sopraffino? La nonna per
fortuna, pur essendo così potenzialmente capace, non riusciva a
leggerle nel pensiero e così non si accorse del suo disagio. <<Si chiama così perché in estate quello spazio sconfinato si
trasforma in un bellissimo campo di girasoli. E’ incantevole. >> Sorrise, sognante. Chissà quali ricordi la legavano a quel posto. <<Comunque, vi ho preparato uno spuntino da portare con voi. Ma
attente a tornare prima delle cinque, questa sera ci sarà un
temporale!>> Alice guardò fuori dalla finestra. Il cielo era azzurrissimo. Ma ormai,
aveva imparato a fidarsi delle previsioni meteorologiche della nonna.
Brunello era davvero magico, e nonna Carmen, una fata. La giornata si svolse tranquilla. Le ragazze passeggiarono per
Brunello, giocarono a pallavolo, pranzarono e poi si riposarono sotto
i raggi gentili di un sole tiepido. Si divertirono a chiacchierare della
scuola, dei loro progetti, delle prossime vacanze natalizie e nessuna
di loro parlò più della foglia gialla, né della triste poesia. Fu quel fulmine che colorò il cielo a ricordare loro che si era fatto
tardi, e che presto avrebbe piovuto. Dei nuvoloni grigi si erano
addensati sulle loro teste. Al fulmine, successe un fragoroso tuono…
e scoppiò a piovere. Così tornarono a casa correndo sotto la pioggia, riparandosi con le
giacche e le borse, e continuarono a ridacchiare felici finché misero
piede in casa. La nonna era in cucina, e sorseggiava del tè. <<Bentornate.>> disse.
Aveva uno sguardo indecifrabile, gli angoli delle labbra sollevati in
un sorrisetto. Tacquero tutte per un po’. <<Andiamo a fare una doccia e a sistemare le valigie, noi…>> disse
Alice guardando la nonna di sottecchi. La nonna annuì e le lasciò
andare. Alice stava per sparire del tutto su per le scale, quando sentì la voce
della nonna dire: <<A proposito… C’è un giovanotto fuori, sotto la
pioggia. E’ lì da qualche ora. Dovrei farlo entrare, cara?>> Alice irrigidì e avvampò, prima di catapultarsi al piano di sotto e
fissare la nonna con gli occhi sgranati. Questa si strinse nelle spalle
con innocenza, sorrise e mosse una mano in direzione della sua
schiena. Alice corse verso la finestra… e rimase a bocca aperta. Fuori c’era Alessandro, con un mazzo di fiori, bagnato dalla testa ai
piedi, sotto la pioggia. Alice riuscì a respirare solo dopo secondi di apnea. Alessandro. Fuori.
Alessandro lì per lei. <<Non mi avevi detto di avere un ragazzo.>> commentò la nonna
mentre appoggiava delicatamente la tazzina sul piattino. Il tintinnio
della ceramica fu il primo suono che Alice sentì dopo aver passato
secondi di silenzio e isolamento. Tirò le tende sino a coprire completamente la finestra, e si voltò di
scatto verso la nonna. Si sentiva un disastro, impacciata e schiacciata
dall’imbarazzo; si appoggiò al muro in cerca di un sostegno. <<Cosa ti fa pensare che… sia qui per me…>> disse, cercando di
sorridere. La nonna mostrò ancora quel sorrisetto obliquo, divertito. <<I fiori che porta in mano… sono avvolti in una fascia su cui è
scritto il tuo nome.>> rispose con tranquillità. <<Un dettaglio…>> bofonchiò con poca convinzione Alice. In quel momento anche le altre la raggiunsero e l’espressione
sbalordita di Alice suggerì loro che cercava di nascondere qualcosa
con le spalle. Ilenia la scansò gentilmente, sbirciò dalla tenda,
poi sbuffò irritata. <<Ci ha trovate, il segugio.>>
<<Dovrei farlo entrare? Forse sentirà freddo.>> disse ancora la
nonna battendo le ciglia con innocenza. Era divertita, tremendamente
divertita. Ilenia scoccò ad Alice un’occhiata omicida, aspettando che lei
rispondesse, pendendo quasi dalle sue labbra. <<Ehm…>> Alice scostò appena la tenda e guardò fuori, ma quando incrociò lo
sguardo serio e convinto del ragazzo, la richiuse in uno scatto
nervoso. <<Meglio di no.>> disse risoluta. <<Deve averla fatta grossa, per meritarselo.>> commentò la nonna
con saggezza e furbizia, troppa furbizia. Ilenia annuì con vigore e
Alice le lanciò un’occhiataccia fulminante. Sedette al tavolo, poi
affondò il viso tra le mani. Alessandro era arrivato fin lì per lei, ma non era del tutto certa che le
sarebbe bastato per perdonarlo. Tuttavia si sarebbe dispiaciuta se
l’avesse visto abbrustolito da un fulmine, o preda di qualche animale
randagio. Alice scosse leggermente il capo, ma una fitta acuta alla testa la
inchiodò sulla sedia. Un capogiro, un violento colpo secco, poi, a
poco a poco, svanì. Alice si sentì sciocca; davvero, la presenza di
Alessandro fuori dalla finestra, riusciva a infliggerle tanto male? Sì.
La risposta era sì. Forse l’aveva già perdonato; non per le parole
dette né per gli errori fatti, aveva perdonato l’Alessandro che amava,
quello che aveva conosciuto un anno prima, quello che forse adesso
non c’era più. Alice si accorse solo dopo minuti interminabili di pensieri tormentati
che Ilenia, imbronciata, forse amareggiata, la stava guardando. <<Scusami Ile…>> disse Alice, giustificandosi di qualcosa che non
aveva ancora fatto. Ma che voleva fare. <<Spero solo che tu comprenda le tue scelte. E che tu scelga bene. E’
l’ultima occasione che devi regalargli, secondo me. Cerca di farti
furba, Alice. Io credo in te.>> Alice sorrise, annuì, e senza aggiungere altro si alzò dal tavolo.
Incontrò per un attimo lo sguardo sorridente della nonna, poi, senza
indugiare oltre, aprì la porta a vetri.
Fuori faceva freddo, si era alzato un forte vento e i brividi
s’impossessarono subito di lei. Lo sguardo di Alessandro le fu immediatamente addosso. Alice
camminò a falcate per raggiungerlo, e finalmente gli fu vicina. Si guardarono senza dire niente, le parole erano inutili. Avevano
condiviso tanto insieme, giorni, risate, pomeriggi, momenti
indimenticabili. Alice non avrebbe mai dimenticato niente di lui: il
modo in cui si passava distrattamente le dita tra i capelli, la sua
abitudine di baciarle la punta del naso, l’espressione severa di
quando litigavano. Non poteva dimenticare le lunghe conversazioni, nel cuore della
notte, le promesse che si erano fatti. Ma ora, davanti ai suoi occhi,
c’era quell’amato sconosciuto, e spesso si chiedeva se non fosse
quello il vero Alessandro. Forse prima recitava soltanto. <<Alice…>> fu lui a rompere il silenzio. <<Amore, scusa. Dimentica tutti questi ultimi mesi. Sono stato uno
stronzo, me ne rendo conto. Ma ti amo.>> Alessandro azzardò un passo avanti, le braccia schiuse, come se
aspettasse un abbraccio. <<Mi hai delusa e… ferita.>> riuscì a bofonchiare Alice. <<Lo so. Sono stato un perfetto idiota>> Alessandro lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, in segno di resa. Adesso che era così vicino, Alice riusciva a vedere i suoi occhi scuri
e sicuri, le ciglia bagnate di pioggia, i capelli incollati alla fronte.
Visto così, il suo predatore, il suo più grande nemico, sembrava
tenero e innocuo come un cucciolo. <<Prendi, questi sono per te.>> Le porse il mazzo di fiori e Alice li accettò dubbiosa. <<Sei talmente stupido!>> esclamò infine, scuotendo amaramente il
capo. <<Lo so.>> aggiunse lui sorridendo, stranamente arrendevole. <<Vieni via con me. Ti riporto a casa io.>> aggiunse, e allungò una
mano verso il suo viso, sfiorandolo delicatamente. Alice irrigidì, era in cerca della risposta più giusta, non sapeva se
dare ascolto alla vocina che gridava “no!” o a quella che gridava
“sì!”. Abbassò il capo, e sospirò, abbattuta.
La mano di Alessandro, intanto, scendeva lungo la guancia, sino al
mento, che le sollevò lentamente. La guardò brevemente, i suoi occhi
ardevano di sicurezza e di passione, dunque la baciò. Dolcemente,
senza fretta, come non faceva da tanto. Alice si lasciò travolgere
dalle emozioni confuse che le provocò quel bacio, felice, ma anche
preoccupata; fidarsi di nuovo di lui significava esporsi alla prossima,
probabile delusione. <<Vado a prendere le mie cose…>> decise infine. Alessandro annuì, e non trattenne un gran sorriso. Alice corse verso casa a testa bassa, i fiori tra le braccia. Li portava
più come un fardello che come un dono. Aveva solo voglia di
sbarazzarsene. <<E così un mazzo di fiori è bastato.>> commentò Ilenia sarcastica,
un po’ delusa. <<Sono… stupendi!>> aggiunse Roberta estasiata, prendendoglieli
di mano. <<Che intenzioni hai ora?>> chiese sospettosa Lucia, ponendosi di
fronte a lei. <<Credo che… sì, vado con lui.>> rispose Alice tutto d’un fiato. <<Mi riporta a casa. Perdonatemi ragazze se non torno con voi.>> Alice si sporse a baciare la nonna sulle guance, e quella sospirò,
accarezzandole la testa zuppata. <<Ah, l’amore, l’amore.>> canticchiò gioviale, mentre in sottofondo
Ilenia ripeteva “Ah, la follia, la follia”. Alice le sorrise distrattamente, mentre si catapultava al piano di
sopra, per scendere pochi minuti dopo con la valigia carica, gonfia,
malamente richiusa. Ci aveva messo dentro tutta la roba
ammucchiata, così lembi di maglione fuoriuscivano e portava molte
cose in mano. <<Quello è mio.>> bofonchiò Ilenia riprendendosi un maglioncino. <<Scusatemi ancora. E’ che… non so che fare. Ma sono certa che se
ci pensassi ancora su… cambierei mille volte idea. Dunque vado.>> Alice salutò le amiche, si scusò ancora con qualche debole parola,
poi fuggì via, verso Alessandro. Lui era ancora immobile, con lo stesso sorriso di prima. <<Grazie.>> disse gentilmente.
<<E di cosa, esattamente?>> aggiunse Alice, voleva sentirsi dire
ancora qualcosa di bello, ma non riusciva a liberarsi di quel tono
diffidente. <<Di questo regalo. Di essere con me.>> Alice sospirò e si morse il labbro inferiore. <<E’ l’ultima occasione, però. Non sprecarla.>> disse con
improvvisa serietà, sorprendendo se stessa per la convinzione del suo
tono. Il ragazzo la trasse a sé con forza, e la guardò intensamente. <<Non lo farò.>> disse con estrema sicurezza, senza sorridere, senza
muoversi. Immobile, sembrava una statua. Alice sospirò. Sperava davvero che lui non la deludesse più
CAPITOLO TRE
LO SCONOSCIUTO
uel viaggio di ritorno verso casa sembrò un sogno. Alice, tranquilla e serena, si lasciava accarezzare dal tocco
sicuro di Alessandro, che le sfiorava il viso, seguendone il
profilo con un dito, i capelli, poi la schiena. In sottofondo una musica dolce favorì Alice nel completo
rilassamento dei sensi. Non parlarono molto. Era Alessandro ogni tanto a sussurrarle parole
gentili all’orecchio e a baciarle le labbra. Perfetto. Triste e deprimente fu dover scendere dall’auto, con il timore che
l’indomani, quella pace e quell’armonia finissero. <<Siamo a casa tua, Alice…>> sussurrò Alessandro baciandole il
lobo. Alice si raggomitolò e gli passò le braccia intorno al collo. <<Non mi va di scendere.>> piagnucolò, assonnata, soffocandolo
con i suoi capelli adesso asciutti, che odoravano di pioggia.
Alessandro le sorrise e si liberò dall’abbracciò. <<Sei un disastro, Alice. Tua madre si preoccuperà a morte. Avanti,
vai.>> Alice sbuffò e guardò l’orologio virtuale della macchina. <<Ma sono solo le ventuno.>> bofonchiò. <<Vieni dentro. Mi sistemo in un attimo e guardiamo un film.>>
propose, improvvisamente allegra. <<Soli?>> Alice era interdetta. <<Bè, in camera mia non c’è nessuno. Infondo dobbiamo solo…
vedere un film…>> bofonchiò confusa. Alessandro le sfiorò la
guancia con la mano. <<Non mi sembra una grande idea, Alice. Sai, non mi diverte l’idea
di me e te in camera tua… sul tuo letto… e tua madre che ci spia.>> Alessandro sorrise.
Q
<<Capisco.>> rispose Alice delusa. Non ci vedeva niente di male, la
cosa sbagliata era che Alessandro abbinasse ogni proposta al… letto.
Come se invece di chiedergli “guardiamo un film” avesse chiesto
“andiamo a sdraiarci nel mio letto!”. <<Come vuoi.>> aggiunse Alice, poi sospirò. Iniziò a raccattare le
sue cose, s’infilò il giubbotto e aprì la portiera. Alessandro le passò
un braccio intorno alla vita, e l’abbracciò da dietro. <<Ti voglio bene Alice…>> sussurrò con un tono angelico. <<Ti voglio bene anch’io. Buona notte.>> <<Buona notte a te, piccola>> Alice fece per scendere dall’auto, ma Alessandro la fermò: <<A proposito...>> iniziò con tranquillità, <<Vado a giocare a carte
stasera, da Giacomo.>> aggiunse, disinvolto. Alice dovette mandare giù la risposta acida che avrebbe voluto
sputargli contro, e si limitò a dire: <<Ah, Giacomo. Il fratello di
Giulia, o sbaglio?>> Lo avrebbe volentieri ucciso, in quel momento. <<Sì, lui.>> Alice gli dava ancora le spalle e forse fu meglio: era furente. Giulia,
dopotutto, era la ragazza che stava dietro ad Alessandro da mesi, lo
corteggiava in maniera sfrontata, ignorando il fatto che fosse già
impegnato. Ed era anche bellissima, come se non bastasse; Giulia era
una delle ragioni per cui litigavano spesso, perché Giacomo era uno
dei migliori amici di Alessandro. <<E se ti dicessi di non andare?>> tentò Alice. Alessandro sospirò e lei si sentì improvvisamente stupida. Come
aveva anche solo potuto pensare che la sua opinione potesse
interessargli? Ecco che la faceva sentire nuovamente una bambina
immatura. <<Oh, Alice, andrei lo stesso. Ma non perché non ritenga importanti
le tue idee, ma perché non ci sarebbe motivo per non andare. Fidati
di me. Non iniziare a fare la bambina.>> Alessandro sorrise e allargò le braccia per ricevere un abbraccio.
Alice glielo concesse, senza troppa allegria. Preferiva tagliarla lì,
anziché ricominciare a litigare. Lui aveva già sfoderato l’arma “non
iniziare a fare la bambina”. Come se fosse giusto che lui avesse
scelto una partita a carte a lei. Come se fosse giusto che, dopo tre
giorni di silenzi e buio, lui preferisse lasciarla sola, pur di non dover
“solo” guardare un film con lei. Alice si sentiva veramente offesa. Scese dall’auto e non si voltò più, ma sapeva che Alessandro la stava
fissando con quel sorriso soddisfatto, presuntuoso, convinto di avere
ragione. Aveva vinto un’altra volta. Alice dovette affrontare qualche minuto d’interrogatorio da parte di
Rosa e Mario, che vollero raccontato subito tutto ciò che aveva fatto
nel fine settimana, ma riuscì a liberarsi presto di loro, e a correre in
camera sua, nel suo piccolo mondo. Era tutto come l’aveva lasciato. Il suo disordine, il suo caos, i suoi sogni, erano ancora tutti lì, sparsi
per la scrivania e sul comodino, in attesa del suo arrivo. Alice lanciò un’occhiata veloce alla posta elettronica, lesse le
incalcolabili e-mail che Alessandro le aveva mandato durante la sua
assenza, poi chiuse il computer e corse a fare una doccia. L’acqua calda andava a poco a poco calmando i brividi di freddo che
aveva, provocati dalla pioggia che le si era asciugata addosso, mentre
i pensieri si liberavano e scorrevano come un fiume in piena. Alice sospirò. Aveva lasciato che Ilenia, Lucia e Roberta tornassero
da sole da Brunello, per non parlare della nonna. Non l’aveva
salutata per come avrebbe dovuto, chissà adesso quando l’avrebbe
rivista! Alice si sentiva orribile: aveva fatto ancora una volta la
scelta sbagliata. Alessandro era riuscito ad averla vinta un’altra volta,
riportandola a casa come un trofeo per poi andare a divertirsi con gli
amici. Gliela avrebbe fatta pagare. O forse era meglio di no. Forse
era quell’atteggiamento di sfida che li portava inesorabilmente ai
litigi. Alice sedette sul pavimento del box doccia, e chiuse gli occhi, la
fronte poggiata alla ginocchia, lasciando che l’acqua le cascasse
addosso come pioggia. Avrebbe voluto che anche i dispiacerei andassero via, che
affogassero nello scarico per sempre.
Alice andò a dormire, ma prima mandò un messaggio alle amiche per
scusarsi. Meritavano una spiegazione e sicuramente l’avrebbero
perdonata. Il problema era che, purtroppo era lei a non riuscire a perdonare se
stessa. L’indomani mattina Alice non ebbe modo di incontrare né le sue
amiche né Alessandro. A scuola non era lo stesso senza Lucia seduta accanto e il rumore
della penna che graffiava freneticamente la carta, per non perdersi
nessun appunto. Adesso l’unico suono che sentiva era la voce della
professoressa, che spiegava qualcosa riguardo ai legami chimici, e
quelle eccitate delle sue compagne di classe, sedute dietro di lei.
Sembrava stessero spettegolando di qualcuno. Alice non aveva
intenzione di spiarle, ma percepì un brandello della loro
conversazione e non riuscì a fare a meno di origliare. <<Mio Dio che sballo! Mai vista una festa così ben riuscita.
L’avevano organizzata i suoi amici, una festa a sorpresa! Ma la cosa
più bella è stata la presenza per intero della squadra di calcio! Quanto
sono belli quei ragazzoni!>> disse una di loro, Alessia, con un tono
di voce stridulo. Alice si rizzò a sedere e spalancò gli occhi. Sbagliava, o aveva
sentito dire “la squadra di calcio?”. Strinse i pugni e d’improvviso
ogni altro rumore in classe divenne un insignificante brusio. Si concentrò sulle voci frivole delle compagne: <<A me piace Giacomo. E’ bello da impazzire!>> rispose l’altra,
Francesca. <<Ne vogliamo parlare invece di Alessandro? E’ perfetto. Sprecato
per quella gatta morta spelacchiata.>> Alice contenne un ringhio degno da gatta spelacchiata. Per giunta,
quelle oche stavano anche ridacchiando! Ridevano di lei! Le avrebbe
volentieri uccise entrambe. <<Ovviamente alla festa di ieri lui non l’ha portata. E ci
mancherebbe altro! Non è mica sciocco il ragazzo, sa il fatto suo.
Giulia ieri sera non ha perso tempo! Hanno anche ballato insieme.
Secondo me Alex la molla quella… cosa… entro qualche mese.
Scommettiamo?>> disse Francesca. Alice era sul punto di esplodere per la rabbia. E così Alessandro era
stato a una festa! E aveva ballato insieme a Giulia! Alice si sforzò di respirare regolarmente. In quel momento, l’idea di
prendere per i capelli Alessia e Francesca era niente in confronto a
quello che avrebbe voluto fare a lui. <<Oggi pomeriggio i ragazzi si allenano. Io ci vado. Ci sarà anche
Giulia probabilmente, magari con questa scusa ci facciamo
presentare qualcuno. Comunque mi sono rotta di stare in classe,
andiamo in bagno>> Alessia e Francesca chiesero il permesso per uscire dalla classe, e
non si accorsero di quello sguardo infuocato che le accompagnò per
tutto il tragitto, dal banco alla porta, e che non le lasciò finché anche
l’ultimo brandello di pantalone non svanì dalla sua visuale. Alice era un braciere ardente, era un vulcano di emozioni, soprattutto
di rabbia. L’idea di una prima piccola vendetta le venne improvvisa: badando
bene a non farsi vedere, prese da sotto il banco delle compagne
appena uscite i loro quaderni e se li rinchiuse nello zaino. Dopo pochi minuti le due tornarono in classe. Giusto in tempo. <<Bene ragazzi, per oggi è tutto. Adesso fatemi vedere il tema che
dovevate svolgere. Passo tra i banchi.>> La professoressa iniziò a controllare i quaderni dalla fila opposta a
quella di Alice e, severa come sempre (ma quel giorno Alice
condivideva in pieno le sue maniere rigide), metteva un due a
chiunque non avesse fatto il suo dovere. Ben presto, arrivò al banco di Alessia e Francesca. <<I temi?>> La professoressa aveva un tono di voce acido, ma per Alice fu
delizioso. <<Ehm… il quaderno… lo avrò lasciato a casa!>> rispose Alessia,
un tono tremolante, controllando in ogni angolo del sottobanco e
dello zaino. La professoressa la guardava con sospetto: quella di aver dimenticato
a casa il quaderno era una scusa vecchia.
<<E tu?>> disse rivolta a Francesca. <<Ero sicura di averlo preso!>> piagnucolò quest’ultima, che forse
per la prima volta aveva davvero svolto i compiti. <<Voglio parlare con i vostri genitori!>> sibilò la tenera serpe– prof. <<Non fate mai niente! Vi boccerò se continuerete così, vedrete!
Due!>> La professoressa schizzò alla cattedra per scrivere meglio i suoi
bellissimi due. Alice approfittò del momento per voltarsi verso le
compagne e dire: <<Non è così grave, aggiunto agli altri due che
avete preso, fa sei. State migliorando.>> Sorrise perfidamente e si sentì d’improvviso in paradiso. E il bello
doveva ancora arrivare. Tirò fuori il cellulare dalla tasca, con frenesia, e scrisse: TI ODIO. SPERO TU TI SIA DIVERTITO ALLA FESTA, A
BALLARE CON GIULIA. NON CERCARMI PIU’.
Alessandro aveva fatto almeno venti telefonate nell’ultima mezz’ora
e Alice si era divertita a rifiutarle puntualmente tutte. Seduta sul suo
letto, a gambe incrociate, sembrava esser intenzionata a passare il
resto della serata in quel modo. Non aveva voglia di sentire la sua
voce e le sue banali scuse. Alice si sdraiò, appoggiando la testa tra i cuscini soffici e colorati.
Aveva mal di testa ed era arrabbiata. Alessandro era un bugiardo
nato, falso dalla testa ai piedi. Non riusciva a credere che la sera
prima l’avesse guardata negli occhi e le avesse detto che andava a
giocare a carte da Giacomo quando in realtà stava andando a una
festa. Alice chiuse gli occhi e si sdraiò su un fianco, respirando l’odore
delle coperte. Era così stanca… avrebbe volentieri dormito per tutto
il resto della serata fino alla mattina successiva. Nonostante il dolce sonno la attraesse, stranamente, si sentiva
ispirata a mettere in ordine la sua stanza. Si mise in piedi e iniziò a sistemare fogli, libri e quaderni, liberando
la scrivania. E allora, s’imbatté nella foglia gialla che aveva trovato
alla Radura dei Girasoli.
Sorpresa, la guardò come se la vedesse per la prima volta; eccola lì,
ancora integra, la strana foglia gialla sulla quale, minacciosa come un
ultimatum, stava scritta quella poesia che faceva pensare a inesorabili
fini, quella poesia orfana, senza padre. Era un ricordo degno di un
posto magico come la Radura dei Girasoli. La radura… per un attimo, le sembrò di poter sentire il profumo di
Brunello, di vedere i suoi colori, la sua alba. L’alba. Alice sorrise; come aveva potuto mettere da parte una cosa così
importante? Ritrovò una nuova, piccola gioia e, mentre rifiutava al cellulare
l’ennesima chiamata di Alessandro, afferrò la macchina fotografica.
Non aveva ancora scaricato le foto sul computer! Collegò la macchina fotografica al computer, litigando un po’ con i
cavi. Aveva scattato duecento foto, si sentiva soddisfatta! Iniziò a
scorrerle, ed ecco i primi scatti, fatti il giorno della partenza. Le
osservò tutte, a una a una, soffermandosi sulle immagini dei
panorami più unici di Brunello che era riuscita a catturare, ma che
non gli rendevano del tutto giustizia. Ecco i visi delle sue amiche! Lucia era venuta malissimo in una foto,
scattata di sorpresa, mentre Ilenia e Roberta, in un’altra, sembravano
modelle. Eccone una, in cui erano tutte e quattro insieme. Quanti
ricordi. Quante risate. Finalmente trovò le foto dell’alba nella radura. Erano bellissime.
Avrebbe avuto bisogno di un’altra meravigliosa alba, in quel
momento, per sentirsi meglio. Ma ecco lo stupore. Alice si allontanò dallo schermo sbigottita, mentre i suoi occhi si
riempivano di confusione e paura. Non poteva essere. Non era possibile. Si stropicciò gli occhi, sperando che quello che aveva visto fosse
solo frutto della sua immaginazione, provocata dalla stanchezza.
Quando aprì gli occhi però, quel viso, quel profilo, c’era ancora. Un brivido gelido la percorse, lasciandola senza fiato per qualche
interminabile secondo.
Un giovane uomo, serio, distratto, immerso nel mistero e nel segreto.
Era appoggiato di schiena a uno degli alberi che delimitavano la
radura, poco lontano da quell’albero in cui lei aveva trovato la foglia. Com’era possibile? Avrebbe giurato che non ci fosse nessun’altro
nella radura! O forse no? Forse quel giovane, chiunque fosse, l’aveva
spiata e seguita. Alice guardò quella foto a lungo, lo sguardo di quel ragazzo,
apparentemente disinteressato, la trafiggeva come un pugnale.
Possibile che non si fosse accorta di non essere sola? Alice trasse un profondo sospiro, doveva essere razionale;
sicuramente quel ragazzo doveva essere un cacciatore o un pastore.
Certo, un pastore. C’erano fattorie là vicino, anche se avrebbe
giurato di non aver sentito, a quell’ora, nessun belato o muggito.
Forse era un turista. Alice trasse un profondo sospiro e si picchiettò
la fronte con le dita. Non è assolutamente nessuno, si disse. Solo un solitario amante delle
albe, come me. Niente di più. Alice guardò ancora una volta quel volto, disinteressato, quasi
malinconico. Forse la poesia sulla foglia apparteneva a lui. Si morse un labbro, e chiuse il computer. E’ solo un passante, si ripeté. Con quella convinzione, si costrinse ad andare a letto. Per tutta la mattinata successiva, Alice riuscì a ignorare alla
perfezione Alessandro e i suoi tentativi di parlarle. E la cosa bella,
era che questo non le pesava. Tra i continui mal di testa, gli impegni, i pensieri assillanti che la
riportavano continuamente e senza una spiegazione a quel giovane
uomo ritratto in foto, era riuscita a tenere lontane le tristezze d’amore. Una strana voglia di sfida e avventura l’aveva posseduta, si era
risvegliata in lei una primordiale vena da “detective”, e aveva una
voglia matta di scoprire come quel ragazzo fosse finito nella sua
fotografia. La sera, dopo un pomeriggio passato a studiare, Alice si abbandonò
esausta contro lo schienale della sedia. Non sapeva se fosse
attribuibile al troppo studio o a qualche problema di vista, ma si
sentiva malissimo. Aveva un mal di testa feroce e incalzante. Sospirò e lanciò un’occhiata al cellulare, che s’illuminava a ritmi
continui e costanti. Alessandro tentava ancora di chiamarla. Alice si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare di quella sua storia, forse
avrebbe dovuto semplicemente trovare il coraggio di prendere una
scelta: o perdonarlo o farla finita. Assalita da un forte senso di ansia, scattò in piedi, e afferrò il
giubbotto. <<Mamma, sto uscendo. Faccio una passeggiata!>> Annunciò gridando, saltando i gradini a due a due. Rosa apparve
d’improvviso di fronte a lei, sbarrandole la strada. <<Ma è tardi.>> disse a denti stretti, tirando fuori un’improvvisa
severità. L’atteggiamento distaccato e nervoso di Alice degli ultimi
tempi l’aveva insospettita. Alice sorrise, cercando di tirar fuori il suo innato talento per la
recitazione, decisa a distogliere sua madre dal proposito di diventare
un’austera sentinella. Poco credibile, inoltre. <<Lo so mamma… ma ho studiato tanto che ho proprio bisogno di
sgranchirmi le gambe.>> sorrise gaiamente, forse troppo. Rosa la
fissò intensamente, prima di assentire. <<Torna subito.>> si raccomandò, tra i denti. Alice annuì e si defilò prima che potesse cambiare idea. Quando mise piede fuori l’aria fresca della sera le colpì il viso; Alice
si strinse nel giubbotto, rabbrividendo. Il tempo a novembre non era
molto stabile; i mattini erano essenzialmente tiepidi, ma di sera,
l’umidità del mare non troppo lontano, riusciva a rendere
insopportabile quel freddo pungente. Era totalmente immersa nei suoi pensieri, quando, distrattamente,
finì addosso a una persona. <<Ahi!>> esclamò la ragazza, massaggiandosi un braccio. <<Ahi un corno!>> le rispose qualcuno. Una voce nota, troppo nota. Alice trasalì e si mise in posizione di
difesa, arrossendo violentemente. Di fronte a lei c’era Alessandro, e
aveva in viso un’espressione tutto meno che allegra.
<<Che vuoi?>> gli disse subito Alice, sulla difensiva. Alessandro era
furibondo. <<Che voglio? Che voglio! Voglio che tu la smetta di evitarmi!
Diavolo, come sei immatura! Ecco perché non ti ho detto subito della
festa. Sono stanco di litigare, lo vuoi capire che voglio stare solo con
te?>> L’afferrò per le braccia tenendola ferma, e parlò con enfasi e
sicurezza. Doveva essere sotto da ore, le sue mani erano gelide e lui
di pessimo umore. Alice sospirò e si guardò i piedi, sentendosi d’un tratto a disagio e
fuori luogo. <<Non ho niente da dirti. Sei un bugiardo, un falso, un ipocrita. Non
riesco a fidarmi di te, non fai altro che prendermi in giro!>> disse
d’un fiato. Alessandro alzò gli occhi al cielo. <<Era solo una festa! Sembra che tu cerchi ogni motivo per
scatenare una tragedia! Stai divento paranoica, ora! Alice… sono
stanco di questa vita. Che sia chiaro. Se hai intenzione di giocare
ancora una volta a nascondino… per me è finita. Voglio maturità. La
chiudo qua, non scherzo. Non un’altra bambinata di queste. Non
rispondi alle mie chiamate da ieri mattina!>> Alice era immobile. Guardava Alessandro negli occhi, incapace di
parlare o di difendersi. Stava nuovamente trasformando le cose per
incolparla, per camuffare la sua colpa in ragione. E adesso
minacciava persino di finirla! Certo! Era lui il padrone indiscusso, lei
doveva solo assecondare le sue decisioni. Guai, se le cose fossero
state per un attimo ribaltate. <<Solo una festa?! Ok, forse avrò anche sbagliato a non affrontarti
ieri e a evitarti ma…>> <<Forse?>> Alessandro la interruppe, prepotente come sempre. Riusciva a sentire
solo se stesso. <<Fammi parlare!>> ruggì Alice in un impeto di rabbia. Alessandro parve stupito da quella reazione, così tolse la presa dalle
sue braccia.
<<Ho detto che non avrei dovuto fare così! Ma tu non avresti
neppure dovuto…>> <<Alice! Vuoi smetterla con questi “tu non avresti dovuto ed io non
avrei dovuto”? Ti prego Alice… siamo due adulti…>> Alessandro, il suo tono esasperato. Era incredibile la sua capacità di
essere sempre e in ogni occasione quello saggio, maturo e costretto a
riprendere Alice per le sue puerilità. Alice si ritrovò senza niente da dire, era attonita. <<Tu mi ami?>> chiese ancora Alessandro. Alice sospirò stancamente. <<Sì.>> disse infine. Alessandro le mise un dito sulle labbra, zittendola. <<Allora non dire altro. Non parliamone più.>> E con quelle ultime parole, si chinò su di lei per baciarla. Alice ricambiò il bacio, ma per la prima volta si sentì diversa,
distante, fuori dal suo corpo. Quel bacio non significava niente, era la
firma su un contratto stilato da lui, un contratto che non aveva letto,
che era stata obbligata ad accettare. <<C’è… ancora quel film che volevi vedere con me…>> sussurrò
Alessandro, ancora attaccato alle sue labbra. Alice si separò da lui lentamente, con gli occhi bassi. <<Sì… ma stasera non posso vederlo. Abbiamo ospiti a casa.>> Alice mentì spudoratamente. Alessandro si lasciò sfuggire una rapida occhiata intorno, e comprese
all’istante che il parcheggio vuoto lì vicino fosse il segno più palese
di quella menzogna. Non la contraddisse. Annuì con un leggero
sorriso sulle labbra. <<D’accordo. Allora lo rimanderemo a domani.>> <<Certo.>> <<Adesso vado.>> Alessandro le baciò la punta del naso, poi le strinse le mani. <<Buona notte, piccola. Non litighiamo più per queste
sciocchezze>> <<Buona notte a te.>> Non si dissero altro: Alessandro tornò alla sua macchina, pacato e
sicuro, mentre Alice, immobile, attese che andasse via.
Allora rientrò in casa ostentando un sorriso di facciata per sua madre.
Dentro però aveva l’inferno: sentiva di provare per Alessandro un
risentimento, che la portava inevitabilmente a odiare ogni suo più
piccolo difetto. Si era distrutto qualcosa tra di loro, si era creata una
voragine profonda che li teneva lontani, e inutile era tendere la mano
verso lui, non riusciva a raggiungerlo. E allora lo guardava da
lontano, mentre si ravvivava i capelli, mentre rideva, mentre
diventava serio, mentre le mentiva. Una voragine si era creata anche nel cuore di Alice. Ed era sempre
più ampia. E bruciava terribilmente, soprattutto quando lui non c’era.
E la faceva sentire così sola. Alice si abbandonò sul letto, avvilita e sconfitta. Stava malissimo, la
testa minacciava di esploderle. Forse aveva la febbre. O forse era
Alessandro a farle quell’effetto letale. Alice dovette correre in cucina a prendere un antidolorifico, e dopo
una mezz’ora passata con la testa tra le mani, il dolore affievolì. Quella notte si addormentò quasi subito, ma ebbe degli incubi.
CAPITOLO QUATTRO
SINGOLARE INCONTRO
ndiamo a trovare la nonna, domani!>> Era passata una settimana dall’apparente
riappacificazione con Alessandro, e una sera, a
cena, Alice fu colta di sorpresa dalla notizia datale da sua madre. Alice rimase interdetta, la forchetta sollevata, a guardarla. <<E perché?>> chiese sospettosa, scrutando i visi eccessivamente
sorridenti dei suoi genitori. <<Oh... così.>> iniziò con noncuranza Rosa, <<Siccome sappiamo
che ti piace tanto Brunello, abbiamo pensato di andarci nel fine
settimana.>> E siccome ultimamente sei apatica, noiosa e silenziosa, vorremmo
farti prendere un po’ d’aria. Alice lesse nel viso di sua madre tutte
quelle parole non dette e le fu grata per averle tenute per sé. Se i suoi
genitori avevano deciso di accompagnarla sino a Brunello solo per
vederla sorridere, evidentemente c’era davvero qualcosa di
preoccupante in lei. <<Ok. Bello.>> rispose, sforzandosi di sorridere. Ovviamente non riuscì a ingannare nessuno e dunque considerò
opportuno non turbare più i suoi genitori con la sua negativa
presenza. Trangugiò in fretta la sua cena, prima di dileguarsi in
camera. Quando fu sola, si lasciò cadere sul tappeto di fronte alla finestra, e
appoggiò la fronte sulle ginocchia. In quegli ultimi giorni il suo umore era stato sempre pessimo,
nonostante non ci fossero stati litigi rilevanti con Alessandro. In realtà aveva cercato di utilizzare contro di lui la “strategia
dell’indifferenza”. Si era sforzata di essere diversa, fredda, distaccata,
disinteressata. Straordinariamente però lui sembrava non essersene
<<A
accorto, anzi; Un giorno le aveva persino detto: <<Lo vedi come
andiamo d’accordo per ora?>>. Era stato terribile. Perché Alessandro non si accorgeva che lei non
era più la stessa? C’era un’estranea in quei giorni al posto suo, ma
evidentemente a lui piaceva di più. La considerava più matura. Che cosa era stata disposta ad accettare pur di essere tranquilla? Pur
di stare con lui? A un amore piatto, un amore per metà. Per lei però
la felicità stava oltre: stava nelle risate, nella spontaneità, nel piacere
di stare per mano in silenzio, nella complicità di un sorriso che
sboccia per caso, e che è immediatamente ricambiato. Stava nel
condividere tutto, gioie, tristezze, nell’arrabbiarsi, magari
prendersela con lui per poi chiedere scusa, riderci su, fare pace. La
felicità stava nell’uscire insieme il sabato sera, anche solo per fare le
solite cose, una pizza, il cinema, ma quanto ti manca se un giorno
non puoi vederlo. E invece non c’era niente di tutto ciò, c’era solo il timore di essere
criticata, di dire qualcosa di stupido. Alice rabbrividì all’idea di dover vivere ancora quella banale
messinscena. Forse era vero, a tutto c’è una fine, e la loro storia era arrivata al
capolinea. Il sabato mattina passò in un lampo e ben presto Alice si ritrovò nel
sedile posteriore dell’auto di suo padre. Guardava fuori dal finestrino, il mondo sfrecciava veloce, i colori si
fondevano in un mischio di verde e azzurro. Si sentiva come quando era bambina e partiva per Brunello per le
vacanze estive. Erano lì, in quel paesino, in quel verde, i ricordi più
belli della sua infanzia. Era già sera quando arrivarono e a quell’ora, Brunello, odorava di
legna bagnate e il suono che echeggiava era quello delle foglie che si
muovevano sotto il soffio del vento. Una volta messo piede dentro
casa, invece, i suoni erano quelli delle legna scoppiettanti nel camino
e delle risate gioiose della nonna. Il tempo a quel punto volò. La nonna e Rosa passarono ore a parlare,
ridere, scambiarsi confidenze, mentre Mario giocava con Billy, il
cane. Sembrava un bambino, mentre gli lanciava la palla e lo incitava
a riportarla. Cenarono, e senza neppure rendersene conto, Alice si ritrovò a letto,
con sua madre che le augurava la buona notte con un bacio. Si addormentò subito, sfinita, con il solito mal di testa che ormai le
faceva quotidianamente compagnia. Papà credeva si trattasse di un
problema alla vista, e avevano prenotato una visita dall’oculista per
la settimana successiva. Prima di cadere completamente tra le braccia di Morfeo, Alice si
ricordò della foglia, della poesia, di quel volto… e una vocina le
sussurrò: “Non fare cose stupide o pericolose, Ali”. La mattina seguente però, Alice si svegliò con la dannata voglia di
fare qualcosa di stupido. <<Buongiorno!>> disse ostentando una piccola allegria, giunta in
cucina. La nonna si meritava quello sforzo, era sempre così tranquilla che ad
Alice parve quasi offensivo distruggere l’armonia di casa sua con il
suo muso lungo. <<Buongiorno, Ali.>> le rispose la nonna soavemente, poi ridacchiò. <<Tutto bene con quel tuo amico?>> chiese divertita, ammiccando
verso Mario che, ogni volta che sentiva parlare di “amici” diventava
paonazzo e iniziava a tossire, forse per sembrare indifferente, forse
perché quei discorsi gli andavano letteralmente di traverso. Alice annuì con un lieve sorrisetto imbarazzato. <<Sì nonna, abbiamo risolto le nostre... divergenze.>> <<Meno male. Mi è sembrato un ragazzo... sicuro.>> la nonna
sorrise. Certo, sicuro era il termine giusto, ma anche “arrogante” e
“egocentrico” sembravano termini coniati apposta per lui. <<Che cosa fai stamattina?>> tagliò corto Mario. <<Ehm… veramente avevo pensato di fare una passeggiata e scattare
qualche foto.>> <<Noi andiamo al ruscello!>> intervenne Rosa. <<Fantastico! Ci sono stata l’altra volta con le ragazze! Vi
accompagnerei volentieri, ma se non vi dispiace resto qui… così
faccio questa passeggiata>> propose Alice speranzosa, abbozzando
un mezzo sorriso. Mario sbuffò e Rosa parve delusa, così la ragazza aggiunse: <<E
faccio compagnia alla nonna.>> Detta così sembrava più accettabile. <<Come preferisci.>> rispose tetra Rosa, alzando gli occhi in
un’espressione che forse voleva mandare a Mario un qualche
messaggio. Alice sospirò e incontrò lo sguardo enigmatico della
nonna. Niente di stupido, Ali! Ripeteva la saggia vocina dentro di lei, ma
quella volta Alice decise di non ascoltarla. La strada per raggiungere la Radura dei Girasoli parve infinita. Per lo
meno ora l’aveva memorizzata e questo le sarebbe tornato utile se
avesse dovuto… scappare. Alice deglutì. No. Non ci sarebbe stato
niente da cui dover fuggire e soprattutto nessuno. Continuò a camminare, ignorando scrupolosamente le infondate
paure che affollavano i suoi pensieri. Alice allungò il passo ma all’improvviso un dubbio la paralizzò: e se
veramente chiunque avesse scritto la poesia, si trovasse lì alla radura
perché la stava spiando? Alice si morse un labbro. Si guardò alle spalle, il sentiero che aveva percorso serpeggiava tra i
boschi e in quel momento era illuminato dai raggi del sole, sembrava
accogliente e sicuro… mentre la strada che conduceva alla Radura
dei Girasoli era ancora lunga e potenzialmente pericolosa. Per un attimo ebbe persino compassione di sé: era talmente annoiata
che andare alla ricerca di un maniaco, fantasma, o poeta (ovviamente
pericoloso) che fosse, le sembrava la cosa più divertente del mondo. Decise di proseguire. La Radura dei Girasoli non tradì le sue aspettative. Più umida e
fangosa dell’ultima volta in cui ci era stata a causa delle recenti
piogge, si stagliò ai suoi occhi nella sua perfezione, salutandola
muovendo leggera, sotto effetto del vento, i rami dei mastodontici
alberi, che sembravano nasconderla e proteggerla. A una prima occhiata veloce le sembrò deserta.
Peccato. Alice camminò con passo felpato sul prato ingiallito e si
avvicinò a quell’albero che le era oramai così familiare, l’albero ai
cui piedi aveva trovato la foglia. Lì vicino, aveva fotografato il poeta. All’improvviso, appena poco lontano da lei, udì uno scricchiolio.
Come di passi. Passi su dei rami esattamente. Ebbe un tonfo in fondo allo stomaco, e si sentì avvampare. Si appiattì contro la corteccia e chiuse gli occhi, il cuore le
martellava in petto furiosamente. I passi si stavano avvicinando. Forse qualcuno la seguiva da un
pezzo e aveva atteso che fosse abbastanza lontana da casa per poter
chiudere aiuto, e ora l’avrebbe aggredita. Solo adesso che aveva paura iniziava a pensare che, forse... aveva
avuto una cattiva idea ad andare laggiù da sola. Il sole di mezzogiorno era alto, bruciava gli occhi nonostante fosse
coperto dalle nuvole. Lo scenario ideale per vicende tenebrose. Alice deglutì, la separava una distanza irrisoria da quei passi. Decise
di contare fino a dieci: a quel punto sarebbe andata minacciosamente
incontro a chiunque avesse trovato alle sue spalle e lo avrebbe
costretto a fuggire. L’idea di se stessa che incuteva terrore a qualcun
altro le parve poco credibile. Iniziò a contare. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei… A sette si voltò e schizzò fuori dal nascondiglio. <<Billy!>> gridò, con tono isterico. Non poteva crederci! Tanta
paura solo per un cane! Rise, sollevata, e si disse che aveva imparato
la lezione: niente più passeggiate alla ricerca di sconosciuti. Alice
fece un passo verso il cane ma, come risultato, ottenne un abbaio
nervoso. <<Ehi…>> gli rispose imbronciata, e quello continuò ad abbaiare.
Alice si accigliò. <<D’accordo, d’accordo me ne vado a casa. Mi stai
rimproverando?>> Per tutta risposta, Billy scappò via. Alice era sorpresa, ma decise di seguirlo e andarsene da lì. Ma c’era qualcosa che non aveva previsto. Provò paura, una paura viva e calda, il cuore iniziò a scalpitare
furioso e le scoppiò sul viso un colorito rosso vivo.
Quando si era voltata, si era ritrovata davanti, a pochi metri di
distanza, un ragazzo. Inciampando banalmente sui suoi stessi piedi, Alice cadde per terra,
lasciandosi sfuggire un gemito. Il ragazzo di fronte a lei sembrò
abbozzare un’espressione divertita. <<Ciao…>> farfugliò Alice imbarazzata. Il ragazzo la fissò accigliato e non le rispose. <<Ehm… non parli la mia lingua? Hello, Hola...>> Silenzio. Alice sbirciò l’espressione stupita sul viso del ragazzo,
mentre la paura sfumava leggermente lasciandole addosso un
colossale senso di imbarazzo. Era ancora seduta per terra, con le
mani sprofondate nel fango, il viso sicuramente illuminato da
un’espressione da allocca. Che vergogna. Il giovane non sembrava molto loquace né disposto al dialogo.
Adesso si era voltato di spalle, come per assicurarsi che non ci fosse
nessuno dietro, per poi tornare a guardarla intensamente. Alice
irrigidì. Ma certo. Era il momento in cui l’avrebbe attaccata. Strinse i
pugni cercando di calcolare quanto tempo avrebbe impiegato a
fuggire se quel tipo avesse fatto un passo verso di lei. <<Ehm… ciao.>> Incredibile. Il ragazzo aveva risposto. Mantenendosi anche a una certa distanza
di sicurezza. Alice si lasciò sfuggire un sorriso imbarazzato e si
strinse nelle spalle. <<Bella giornata, eh?>> farfugliò. Quel tipo la guardava come se fosse un’aliena. Si sentiva a disagio.
Forse era solo sorpreso nel costatare che al mondo potesse esistere
una persona così maldestra. <<Niente male…>> le rispose lui ancora con distacco. All’improvviso Alice prese coscienza di ciò che le era successo:
aveva appena incontrato il suo ipotetico poeta. Il ragazzo della foto. Era molto carino, alto, elegante, e aveva un nonsoché di nobile.
Forse gli occhi, così imperscrutabili, occhi che, persino a distanza di
qualche metro, erano evidentemente blu. Un blu profondo, intrigante. <<Ehm… sono inciampata.>> aggiunse Alice, con un tono che la
diceva lunga sulla sua disinvoltura con gli estranei.
Il ragazzo si avvicinò, titubante, e le porse una mano. Alice gli tese la
sua, che lui afferrò, tirandola su senza troppi sforzi. Non riusciva ancora a spiegarsi come fosse finito nella sua fotografia
ma, per lo meno, aveva appurato che non era un fantasma. <<Grazie. Sono Alice Cafarelli.>> Alice si ripulì alla meno peggio i vestiti dal fango. <<E sono piena di fango!>> aggiunse, e rise per sdrammatizzare. Di contro, il ragazzo la guardò impassibile, per poi abbozzare un
sorrisino di circostanza. <<Ciao, Alice. Scusa la mia reazione di prima, non sono abituato a
vedere gente qui.>> disse. Tacquero entrambi, l’imbarazzo era palpabile. <<Ma… perdonami. Sono stato maleducato.>> il ragazzo prese la
mano di Alice in un comunissimo ma stranamente nuovo tentativo di
presentarsi. <<Il mio nome è Raul. Piacere di conoscerti.>> <<Il piacere è… tutto mio.>> rispose Alice evitando di guardarlo
negli occhi. Lui la metteva a disagio, era così strano, fuori
dall’ordinario, sembrava fosse capitato lì per sbaglio, con quel
vestiario esageratamente elegante per qualcuno che va a fare una
scampagnata. Indossava un pantalone scuro, una camicia blu, un
cappotto nero, e un paio di scarpe dello stesso colore. <<Bè, adesso ti saluto, devo andare.>> Raul fece per andare via, ma una parte di Alice, la più audace, decise
di porgli la fatidica domanda. <<Aspetta! So che potrò sembrare… invadente ma… ho trovato una
poesia qui, scritta su una foglia e mi chiedevo se… l’avessi scritta tu,
per caso.>> Alice stava torcendosi le dita delle mani per il nervosismo.
L’espressione di Raul non tradì emozioni. <<E perché lo chiedi proprio a me?>> chiese con tono sorpreso, ora
però sorrideva, beffardo. Alice si pentì di averglielo chiesto. <<Bè… non ho mai visto nessun altro qui, oltre che te, perciò...>> e
poi eri tu nella mia fotografia, con tutta l’aria di qualcuno che ti spia!
Pensò Alice, stizzita.
Raul tacque per qualche secondo infinito, poi rispose, mettendo su
un’espressione divertita e – o forse Alice lo stava solo
immaginando – di scherno. <<Sei sempre così curiosa?>> chiese. Non aveva smesso neppure un attimo di guardarla negli occhi con
quell’indecifrabile moto di sorpresa e allegria. <<Non sono curiosa. Semplicemente mi domandavo se... lascia
stare.>> Alice si sentì sprofondare. Cielo, ma cosa le stava succedendo?
Perché era così interessata a comprendere quali moti avessero dato
vita a quella poesia che, in realtà, era macabra e triste? Raul in effetti,
con quei capelli neri, quegli occhi indecifrabili e liquidi, aveva
l’aspetto di un serial killer. Alice ebbe d’improvviso voglia di andarsene, di andare via da lui,
quello sconosciuto saccente che sembrava ridere di lei. <<E sei venuta fin qui per la poesia, o ci vieni di frequente?>> Alice si sentiva infastidita da tanta sicurezza. <<Per la poesia? Certo che no.> Strinse i pugni. <<E’ meglio che vada. In fondo non mi interessa affatto sapere cosa
significhi né tanto meno chi l’abbia scritta.>> disse con fervore,
incrociando le braccia. Il ragazzo scoppiò a ridere, genuinamente, e Alice si sentì cadere la
mascella. Ora rideva anche di lei. Ma chi si credeva di essere?! <<Non era mia intenzione offenderti. Vado anche io.>> Raul sorrise, da come parlava, sembrava fosse uscito da un romanzo.
Senza aggiungere altro, la salutò con la mano e si allontanò a passi
leggeri e sicuri. <<Perfetto!>> disse Alice a gran voce, più a sé che a lui. <<Così posso continuare a fare… quello per cui sono venuta fin
qui.>> aggiunse sfoggiando un sorriso sicuro e indicando la sua
macchina fotografica. Raul si fermò e la guardò. <<Buon proseguimento allora. Arrivederci…>> <<Spero di no.>> mormorò Alice, ma la risata sommessa del ragazzo
le diede il sospetto che l’avesse sentita. Il ragazzo sparì tra le foglie e gli alberi.
Alice, seccata per la triste sorte di quella mattina (aveva riempito i
jeans di fango in cambio della conoscenza di un ragazzo che già
detestava), si soffermò a guardarsi intorno. Aveva solo voglia di tornarsene a casa, ma il ragazzo aveva
intrapreso la stessa strada che avrebbe dovuto percorrere lei, e non le
andava di parlargli ancora. Tra l’altro, a giudicare dalla prima
impressione che aveva avuto di lui, probabilmente avrebbe creduto
che lei lo stesse seguendo. Alice decise di fare la strada più lunga. Iniziò a camminare verso la
foresta, a gran passi, ma d’improvviso s’irrigidì, bloccandosi
immediatamente: aveva sentito righi e guaiti di cani in litigio. E non
dovevano essere molto lontani. Alice si morse un labbro: ma perché, perché era così sfortunata? Valutò le alternative in fretta, mentre i ringhi si avvicinavano
pericolosamente. In fin dei conti, era meglio sopportare per qualche
minuto l’irritante presenza di Raul che diventare il pranzo di un
branco di cani randagi. Alice non ebbe tempo per decidere; le gambe scattarono da sole in
corsa, lungo la direzione intrapresa dal ragazzo. <<Forse è meglio che io ti accompagni! Sai… potrebbe essere
pericoloso per un viaggiatore tutto solo questo luogo!>> disse,
quando lo raggiunse. <<Certo, in effetti, iniziavo a temere per la mia incolumità. Ho
sentito terribili ringhi di cani.>> rispose Raul con indifferenza, ma
quel sorrisetto ironico era penetrante come una lama. <<Cani? Quali cani? Non ho sentito niente e poi… io non ho paura
di qualche cucciolo spelacchiato.>> Alice si costrinse i capelli dietro l’orecchio, lanciando occhiate
curiose al suo accompagnatore. Non aveva il coraggio di puntargli
sfrontatamente gli occhi addosso, ma evidentemente lui non si
preoccupava di fare lo stesso. Mentre camminavano, la guardava
continuamente. <<Allora, dove ti accompagno?>> domandò Raul con cortesia.
<<Non devi accompagnarmi, non preoccuparti. Io comunque devo
andare sempre dritto, sono ospite di mia nonna. Vive in quella
casetta con gli infissi verdi. La conosci?>>
Alice cercava, con ben riuscita indifferenza, di scoprirne di più su di
lui. <<Sì, mi sembra di averla vista quella casa qualche volta. Ma
purtroppo non ho avuto il piacere di conoscere tua nonna. Se
permetti, ti accompagno lì.>> <<Ma tu dove devi andare?>> Raul tacque per un tempo che ad Alice parve interminabile, così
temette di essere stata invadente. <<Io non vivo da queste parti, cammino molto per venire alla Radura
dei Girasoli.>> rispose, finalmente. <<E vieni spesso qui?>> indagò ancora Alice. <<Sì, direi di sì.>> << Allora abbiamo una cosa in comune. Ci piace questo luogo.>> <<E amiamo le poesie.>> <<Quindi l’hai davvero scritta tu?>> chiese Alice, quasi aggressiva. <<Sì, lo devo ammettere.>> L’incredibile curiosità di Alice parlava per lei. Forse però avrebbe
fatto meglio a chiedergli un'altra volta del significato di quei pochi
versi. D’improvviso, lo stupore. Ci sarebbe stata un’altra volta?
L’avrebbe mai più rivisto? Casa della nonna fece capolino tra le cime verdi degli alberi,
stagliandosi pigra nel cielo pieno di nuvole appena addensatesi,
grigie e minacciose. <<Eccoci. E’ questa no?>> disse Raul, indicando il comignolo
fumante della casa. Alice annuì mentre lo scodinzolante Billy le
correva in contro, con la lingua ciondolante. La festeggiò leccandole
le mani, ma stranamente ignorò Raul. Di solito era un cane molto
socievole, soprattutto con gli estranei, eppure quel giorno si limitava
a scodinzolare disinteressato. <<Si dice che i cani captino le cattive intenzioni>> disse Alice
schietta, scrutando l’espressione di Raul, che a quelle parole scoppiò
a ridere di cuore. <<Immagino che sia vero! Bè, Alice, amico di Alice, adesso vado.>> <<Grazie per avermi accompagnata.>> disse Alice con distacco. La buona educazione le imponeva di ringraziare lo sconosciuto, ma
detestava la sua espressione irrisoria.
<<Di niente. Allora ci vediamo sabato prossimo.>> Il sorriso di Raul si allargò, adesso era amichevole. La guardò dritto
in viso, sicuro di sé, e Alice non riuscì a trovare parole per
rispondere. Era stupefatta. Il solitario poeta le aveva appena proposto
di incontrarsi nuovamente. <<Sabato prossimo? Io non so se verrò qui ma…forse. Forse ci
sarò.>> farfugliò imbarazzata. Non riusciva a credere a quello che
aveva appena fatto: aveva accettato una specie di appuntamento da
un ragazzo? <<Vuoi vedermi la prossima settimana, quindi?>> ripeté lui. Ora Alice era un fascio di nervi. Ma che tipo! <<No, ovviamente! Volevo solo parlare della poesia!>> esclamò
indignata, i pugni stretti lungo le gambe. <<Ok, alla prossima volta allora!>> Senza aggiungere altro, soprattutto senza voltarsi più, il ragazzo se
ne andò via. <<Guarda che sabato prossimo non verrò certo per incontrare te!>>
gli gridò dietro Alice puntando i piedi per terra. Lui non le rispose, si limitò a ridere, e se ne andò. Quando Alice mise piede dentro casa, si sentiva ancora
completamente stralunata e irritata. Che sfrontato, che presuntuoso!
Come le era saltato in mente di dirgli che forse ci sarebbe stata?!
Avrebbe dovuto ridergli in faccia e mandarlo a quel paese. Invece si
era fatta prendere dall’imbarazzo e dalla sorpresa. Sbuffò, snervata. Non preoccuparti Alice, si disse. Basterà non andare alla radura per
non vederlo. Quel pensiero la tranquillizzò. Fu la nonna la prima persona che vide, la quale la squadrò
attentamente. <<Stavi parlando con qualcuno?>> indagò sorpresa, sbirciando fuori
dalla finestra l’immensità vuota di Brunello. Alice annuì. <<Ehm… sì… in effetti, parlavo con un ragazzo. Si chiama Raul,
abita qui vicino. Lo conosci?>> La nonna parve sorpresa.
<<Umm… no, non conosco nessun Raul. A dire il vero la casa più
vicina nei paraggi è a qualche chilometro, ma ci vivono solo una
coppia di anziani.>> <<D’accordo, non importa.>> Alice sfoggiò un gran sorriso. <<Che ne dici di fare dei biscotti? O una torta?>> propose,
prendendo le mani della nonna e stringendole. La nonna non sarebbe potuta essere più felice. <<Certo, tesoro! Vai a darti una ripulita e iniziamo!>> Il resto della giornata a Brunello volò: Alice cucinò i dolci sotto
supervisione della nonna, riuscì a distrarre Mario (imbronciato e
geloso) e scherzò con Rosa, rallegrandola. Quando venne la sera, purtroppo, fu ora di tornare a casa. Il meraviglioso week-end era finito. Alice era felice perché in quei pochi giorni in cui era stata lontana da
tutti, da Alessandro, persino dalle sue amiche, dalla città stessa,
aveva avuto modo di riflettere su ciò che stava succedendo, e
soprattutto su quello che voleva dal futuro. Sentì un tonfo allo
stomaco quando pensò al suo atteggiamento degli ultimi tempi ed
ebbe voglia di sprofondare. Come aveva potuto essere così stupida?!
La preoccupazione dei suoi genitori, quel viaggio sino a Brunello
organizzato da loro per renderla felice, erano riusciti a farle aprire gli
occhi su ciò che stava diventando: una persona annoiata, nervosa, triste, stanca. Non poteva permettere che Alessandro la cambiasse sino a quel
punto. Non meritava che lei perdesse la sua allegria per lui. Nel viaggio di ritorno a casa, con quei pensieri e il nuovo, fortissimo
proposito di non mettere mai più da parte la sua felicità per il quieto
viver, Alice si addormentò. Prima di lasciarsi andare completamente al sonno, un viso sorridente
e buffo le balzò davanti agli occhi, nella mente. Era il viso di Raul.
CAPITOLO CINQUE
IL MULINO
l sole era tramontato e il cielo era meraviglioso quella sera. Un rosa bruciava il cielo, lo sovrastava il violetto, poi ancora
il blu e infine il nero. Alice sedeva sul tappeto di fronte alla finestra, e spiava da lassù lo
sfrecciare delle auto, il via vai di qualche passante, mentre scattava
qualche foto. Erano già passati tre giorni da quando era tornata da Brunello e
aveva “ritrovato se stessa”, eppure non aveva ancora avuto modo di
presentarsi ad Alessandro. Lui aveva avuto vari impegni, con la
scuola e con gli allenamenti e così, oltre ad una breve ora la sera a
fare un giro in macchina, non si erano visti per niente. Non aveva idea di come avrebbe potuto affrontare la cosa, non
sapeva se fosse il caso di fargli un discorso o semplicemente di
iniziare a cambiare atteggiamento verso di lui. Tutto quello che
voleva, in fondo, era maggiore rispetto, più considerazione, che lui la
smettesse di schiacciarla, di mortificare il suo orgoglio. Mentre pensava a quelle cose, s’immaginò Alessandro sogghignare,
scuotere il capo e dire: oh, Alice, sei così immatura. Sbuffò seccatamente. Il suo silenzio rumoroso di pensieri fu interrotto d’un tratto da forti
battiti alla porta. <<Avanti>> <<Ciao, piccola.>> Alice si voltò sorridendo. Quella voce calda e leggermente roca era
inconfondibile: Alessandro. Gli andò incontro sorridendo, e lo abbracciò. <<Oh Alice!>> si lamentò lui, infastidito, <<Mi soffochi!>>
aggiunse, liberandosi della sua stretta.
I
Niente male come inizio serata; un ragazzo nervoso, isterico e
suscettibile. Alice sollevò le mani come a dire “scusa, non ti tocco più”, e
Alessandro andò a sdraiarsi sul letto. Chiuse gli occhi; sembrava davvero intenzionato a dormire. Alice
sospirò e sedette in un angolo vicino a lui. <<Sei nervoso?>> Alessandro annuì, rigido e distaccato. <<Abbastanza.>> <<Ti va di parlarne?>> Alice tentò di distruggere il muro che Alessandro aveva innalzato tra
lei e la sua vita privata, ma era difficile, era una barriera invalicabile,
e ogni tentativo sfumava di fronte a quel suo viso inespressivo,
l’espressione così fredda. <<Sinceramente no.>> rispose, schietto, aprendo finalmente gli
occhi neri e puntandoli in quelli amareggiati di lei. Alice sospirò, rassegnata. Era stanca di andargli incontro, di capirlo,
di giustificarlo sempre. <<Ok, come vuoi.>> concordò, con un sorriso non più molto sincero,
poi continuò: <<Che cosa vuoi fare quindi? Guardare la televisione
o … dormire?>> Alice sorrise, l’ironia traspariva dai suoi occhi nocciola. Alessandro
fu sorpreso da quell’atteggiamento e per un attimo la fissò in silenzio,
studiando le espressioni del suo viso. Per lo meno, Alice aveva
stimolato la sua attenzione! <<Voglio abbracciarti e riposarmi un po’ accanto a te. Ti va?>> <<Come vuoi.>> <<Ecco, così mi piaci.>> <<Ti piace quando non parlo?>> rispose lei quasi in automatico. Alessandro si sollevò sugli addominali e la fissò intensamente,
accigliato. <<Alice ma cosa stai dicendo?>> domandò gelidamente. Alice si strinse nelle spalle. <<Niente, stavo solo facendo una considerazione.>> <<Risparmiati certe considerazioni. Non voglio una stupida che dica
sempre sì, al mio fianco, lo sai.>>
Alessandro la sfidò con lo sguardo: lo sapeva davvero? Alice non
rispose. Preferiva guardarlo attentamente in viso, chiedendosi che
tipo di risposta lui avesse potuto interpretare dai suoi silenzi.
Probabilmente, qualsiasi fu, gli piacque, perché si sdraiò nuovamente
accanto a lei, questa volta baciandole le labbra. Quel leggero bacio
divenne presto intenso, passionale, travolgente. Alice fu investita dall’intensità e dal calore di quei baci, le mani di
Alessandro la cercavano ansiose, in viaggio lungo le linee morbide
del suo corpo. Alessandro le spostò i capelli dal collo e iniziò a
baciarle lentamente l’incavo della gola, poi il collo bianco, poi
l’orecchio. Alice lo assecondava nei movimenti e nei baci, ma si sentiva sempre
un passo indietro, come se lo stesse inseguendo per potergli stare
dietro. D’improvviso la mano calda di Alessandro s’insinuò
coraggiosa sotto la felpa, avvicinandosi pericolosamente al bottone
dei jeans. Alice irrigidì e spalancò gli occhi, ma Alessandro e le sue
mani avide iniziavano a sganciarlo. <<Alessandro… fermati…>> intimò Alice a bassa voce,
allontanandolo. Lui sorrise sfacciatamente e riprese a baciarla con
più enfasi. Alice si contrasse a disagio ma sicura di sé e, questa volta con
maggiore sicurezza, lo allontanò. <<Alessandro…>> ribadì, guardandolo intensamente. Il disappunto e il fastidio incendiarono il viso di Alessandro
rendendolo d’improvviso, sotto la luce dell’abat-jour, contorto. <<Ci sono i miei genitori di sotto.>> disse Alice scandendo le parole. <<E in oltre non mi sembra né il luogo né il momento. Credevo che
ne avessimo parlato.>> Alessandro sbuffò snervato e rotolò di fianco. Non disse una parola,
sembrava sinceramente infastidito. <<C’è sempre qualcuno o qualcosa con te.>> sibilò. Era il solito egoista. <<Il vero problema sei tu veramente >> rispose Alice secca. Ma lo
sguardo che lui le lanciò, gelido, penetrante, la fece pentire per la
risposta data. <<Che cosa hai detto?!>>
Alessandro scattò a sedere, stagliandosi di fronte a lei con aria
minacciosa. Alice si morse intimidita il labbro inferiore, si mise a
sedere a gambe incrociate e rispose sforzandosi di guardarlo negli
occhi. Non voleva apparire spaventata. <<Alex, voglio dire che…>> <<Tu hai detto che io sono il problema?!>> ribadì Alessandro, tra i
denti. <<Intendevo dire che ultimamente litighiamo per tutto e… non sono
pronta per… non ora e…>> Alice si rese conto di stare balbettando. Alessandro la fissò
esterrefatto per secondi interminabili, secondi in cui Alice fu invasa e
stordita da mille pensieri. Non riusciva neppure a guardarlo negli
occhi senza vedere in lui la deforme imitazione di un ragazzo che
aveva amato. Alice rabbrividì mentre il solito senso di claustrofobia
l’assaliva e il mal di testa tornava lancinante e doloroso. <<Io ho semplicemente voglia di stare con te, Alice, di portare avanti
questa storia. E’ un dramma?! Una colpa?! Per questo sarei io il
problema?>> Stava gridando. Alice sospirò, era sicura che di lì a poco suo padre
sarebbe entrato in camera armato e avrebbe cacciato Alessandro a
pedate. <<Io invece vorrei che tu rispettassi le mie decisioni.>> ripose.
Alessandro la fulminò letteralmente con lo sguardo. <<Me ne vado Alice, sono stanco di sentire queste stronzate. Fai la
vittima, bene. E’ l’unica cosa che ti riesce.>> Senza aggiungere altro Alessandro se ne andò sbattendo con forza la
porta. A quel tonfo sordo, Alice trasalì, stringendosi nelle braccia, e
rimase immobile sinché non udì da lontano il rombo di un motore e
poi un’accelerazione violenta. Alessandro se ne andò via così com’era arrivato, decidendo tutto da
solo. Alice fissò confusa il letto, ancora scomposto nel punto in cui erano
stati insieme, e si sdraiò. Era ferita, si sentiva offesa. Non riuscì a trattenere quelle lacrime che le rigarono le guance.
La sua storia si stava sbriciolando, volava via a brandelli, come
sabbia al vento. Stava lottando per salvarla, ricucirla, e allo stesso
tempo per non farsi schiacciare, ma era difficile conciliare tutto. Alice si strinse il cuscino al petto, detestava persino se stessa per
quelle lacrime. Bussarono alla porta. Alice si asciugò gli occhi con la manica, in fretta, sporcandosi le
guance di trucco. <<Sì?>> Suo padre entrò in camera. <<Alice?>> La sua espressione era preoccupata, Alice si sentì un disastro. <<Sì, papà?>> <<Non stavi piangendo vero? Alice, piangi?>> No. Non anche questa. Non poteva mettersi di mezzo anche suo
padre. <<Ma no, sono raffreddata!>> mentì Alice, tirando su con il naso per
essere più convincente. <<Ho anche un mal di testa terribile. Forse mi sta venendo la
febbre.>> L’uomo si avvicinò a lei e le poggiò le labbra sulla fronte per sentirle
la temperatura. <<Mi sa proprio di sì, tesoro.>> disse accarezzandole il viso,
addolcendosi improvvisamente. <<Comunque volevi dirmi qualcosa?>> chiese Alice. <<Già, sì. Mi ha detto tua madre che le hai chiesto di poter andare a
Brunello il prossimo fine settimana.>> affermò lui. Non era una
domanda… forse voleva solo qualche spiegazione. <<Sì, papà, proprio così. Ho visto la nonna molto sola ultimamente e
vorrei starle vicino. In oltre, l’aria di Brunello mi mette su di
morale.>> In realtà era quello che c’era in città a trascinarla giù, sempre più a
fondo negli abissi della tristezza, era Alessandro, la sua presunzione,
la sua prepotenza, era il modo in cui si sentiva quando erano insieme.
Schiacciata. Criticata. Sempre sotto controllo.
<<Ma tu non hai mica bisogno di essere tirata su di morale!>> sbottò
Mario. Alice abbozzò un sorriso poco credibile. <<Comunque va bene, ti accompagnerò io a Brunello.>> Con quelle ultime parole, Mario se ne andò. Era un uomo buono e affettuoso, e rispettava i silenzi degli altri.
Alice gli era grata per la sua discrezione. Quando fu finalmente sola, crollarono le maschere, crollarono le
barriere. Si accucciò sotto le coperte, con la luce spenta, e pianse. Si sentiva così sola, così infelice. Si addormentò dopo poco, senza neppure cenare, ed ebbe sogni
tormentati e tristi, dove piangeva e gridava sempre. Nel cuore, perpetuo e insostenibile, c’era il peso per quell’amore
opprimente. Il mese di Novembre era finito ormai, aprendo le porte a un
Dicembre che, a detta dei meteorologi, avrebbe dato un taglio alle
belle giornate presentandosi il più freddo degli ultimi anni.
Nonostante Alice preferisse l’estate all’inverno quell’idea di un
taglio netto con la bella stagione, e quindi con gli ultimi eventi, la
rendeva felice. Forse solo l’inverno avrebbe potuto congelare e
ibernare quei dolori e dispiaceri che l’estate aveva reso focosi e
ardenti. Nei giorni che seguirono Alice si sentì quasi sempre poco bene.
Iniziava a credere che ormai le sofferenze d’amore e le delusioni
stessero infettando parte del suo benessere fisico. Straordinariamente Alessandro le aveva chiesto scusa, affermando
che avrebbe atteso che lei decidesse il quando e il dove di quel passo
avanti così fondamentale e che si sarebbe sforzato di essere meno
brusco. Purtroppo però, Alice aveva smesso di credere alle sue promesse. Il sabato arrivò in fretta e subito dopo pranzo, Alice, era in auto con
suo padre diretta a Brunello. Mario sembrava felice di tenerla lontana dai guai della città nel fine
settimana e relegarla in un paradiso sicuro e privo di drogati,
stupratori o ragazzi ossessivi che fossero. Era veramente soddisfatto.
Guidava veloce, come se non vedesse l’ora di portarla a destinazione. In auto aveva canticchiato allegro, sfidando Alice in un gioco in cui a
turno avrebbero dovuto riconoscere il titolo delle canzoni alla radio,
sentendone solo poche note. Alice lo aveva stracciato e lui si era giustificato con una delle sue
teorie sulla musica odierna, tutta uguale e monotona, che confondeva
gli amanti della vera musica italiana. Era da intendere ovviamente
che gli idoli musicali di Mario risalissero niente di meno che alla sua
adolescenza. Dopo qualche ora di viaggio Alice vide Brunello, florido e immenso
e un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra. Era già il tramonto, tiepido e rubicondo, in quel piccolo paradiso
colorato, un tramonto come solo a Brunello poteva essere; un misto
di buio e di rosso che si combattevano per ottenere supremazia nel
cielo. <<Divertiti con la nonna.>> si raccomandò Mario, salutandola dalla
macchina. Alice rise, affacciata alla finestra del corridoio. <<Certo! E tu vai piano!>> lo rimbeccò. Mario sospirò. <<Non metterti nei guai!>> aggiunse. Dunque partì con l’auto e Alice lo seguì con lo sguardo sinché non
sparì. <<E così preferisci stare con la tua vecchia nonna che con il tuo
ragazzo, nel fine settimana.>> La voce della nonna la colse di sorpresa, facendola trasalire. Alice
sorrise e circondò le spalle ossute della nonna con il suo braccio. <<Non c’è niente di più bello di te e questo posto.>> rispose. Nonna e nipote guardavano entrambe fuori dalla finestra. <<Sai che io amo averti qui. Mi ricorda tanto quando eri piccolina.
Ma ora sei una donna e... io non mi ero mai accorta di quanto fossi
cresciuta. Credo che neppure i tuoi se ne siano ancora accorti.>> <<Crescere fa schifo, a volte.>> rispose Alice con sincerità,
sorprendendo se stessa. Parlare con sua nonna le apriva l’anima.
<<Eh sì, crescere fa male ed è difficile. Ecco perché si chiama così.
Crescere. Questa sola parola racchiude in sé mille significati. Vita,
gioie, cambiamenti, dolori ed esperienze che non vorresti fare.
Persone che ti deludono, che ti fanno male.>> Alice guardò la nonna dritta negli occhi, ma vi trovò solo tanto
amore e tanta tranquillità; con lei si sentiva in un porto sicuro e
confortevole. <<E’ lui. E’ lui che mi fa male. E lo farà sempre.>> <<Certo che ti farà male, cielo! E' ovvio! Sei innamorata.
Ricordalo. Che tu lo voglia o no, il dolore sarà sempre in agguato.
E a volte basterà un niente per scatenare una tempesta.
No, non fuori. Dentro di te. Proprio qui, nel cuore.>> Le appoggiò un dito sul petto, con un sorriso sereno. Alice e la nonna guardarono il tramonto, sinché il buio non ebbe
supremazia in cielo. Dunque Alice andò di sopra per sistemare la
valigia. La stanza da letto era fiocamente illuminata dalla luce caliginosa
della luna, ed era fresca. La finestra era aperta e le tende bianche si
muovevano sinuose sotto il soffio del vento, che trasportava in
camera odore di erba bagnata, di montagna. Alice lasciò cadere la valigia ai suoi piedi e si lasciò andare in un
interminabile sbadiglio. Si sfilò le scarpe e subito il parquet le solleticò la pianta dei piedi.
Andò a chiudere la finestra, scossa da un lungo brivido, e allora si
accorse, con stupore, che proprio ai suoi piedi, sotto la tenda, c’era
uno strano oggetto. Accese subito la luce, poi tornò alla strana “cosa” per analizzarla.
Era una pietra, color topazio e ricoperta di venature nere. La sollevò
tra le dita, e si accorse solo dopo che la pietra era attaccata a una
bustina bianca con un filo di cotone. Era una lettera! Un moto di pura
curiosità e allegria la spinse, con mani ansiose, ad aprire la busta,
mentre non la sfiorava l’idea che quella lettera potesse essere lì per
sua nonna. No, era per lei, lo sentiva. Ecco che delle righe di una calligrafia ordinata e composta apparvero
ai suoi occhi. Dicevano:
Cara Alice, non ho dimenticato il nostro impegno.
Sarei onorato di poterti incontrare domani, alle dieci, dietro lo steccato di casa di tua nonna (Tranquilla, non mi farò vedere.). E parleremo della poesia, naturalmente.
Questa volta non ti prenderò in giro, lo prometto.
Naturalmente, solo se lo desideri, ma spero che tu decida di venire. Ti auguro una buona notte, non fare arrabbiare tua nonna.
Raul Alice si rigirò tra le mani, stupita, quella lettera, e non riuscì a non
sorridere. Lesse e rilesse la lettera per più volte, analizzando ogni
singola parola. Quel ragazzo era matto! Come gli era saltato in mente di mandarle
quella lettera? E poi altro che postini, la pietra colorata e il filo
facevano molto più effetto. D’improvviso Alice si sentì in imbarazzo;
ma perché mandarle un simile invito? Come poteva essere certo che
lei lo avrebbe letto, lei e nessun altro? Forse era nelle vicinanze
quando lei era arrivata… forse addirittura era ancora in giro! Si
affacciò alla finestra, osservò attentamente ogni angolo, ogni albero,
sperando di scorgerci una ciocca di capelli neri o un lembo di vestiti.
Niente. Era vuoto, freddo e silenzioso. Chiuse la finestra e s’incupì: e se la stesse prendendo in giro? Se
ridesse del fatto che lei era tornata lì a Brunello, secondo lui apposta
per rivederlo?
Infastidita da quella prospettiva, fu tentata di prendere carta e penna
e insultarlo. Ma abbandonò subito l’idea: non l’avrebbe letta, inutile
perdere tempo. Alice sospirò e si sdraiò sul letto. Non sapeva se fosse giusto accettare quell’invito. Una parte di lei
non faceva che rimproverarla, perché non lo conosceva, perché
nessuno avrebbe saputo dove cercarla se le fosse accaduto qualcosa,
perché era ancora un mistero come Raul fosse apparso nella sua
fotografia, tempo prima… e perché, se Alessandro l’avesse saputo,
avrebbe scatenato il finimondo. Alice si sforzò di non pensarci. In fin dei conti, perché avrebbe dovuto accettare quell’invito? Quel
ragazzo era insolente, non faceva che ridere di lei qualunque cosa
dicesse. Ma è un poeta. Hai trovato la sua poesia. E poi devi capire come è
finito in una delle tue foto, disse una vocina dentro di lei. Se c’era un difetto che Alice aveva, e che non cercava di nascondere,
era la sua curiosità incontrollabile. Era deciso. Lo avrebbe incontrato. La cena con la nonna fu uno spasso. Scherzarono e parlarono di tutto,
come due vecchie amiche, si scambiarono confidenze, rivangarono
vecchi ricordi, episodi divertenti. La nonna era scaltra e divertente, aveva sempre una storia da
raccontare. Le sue parole erano talmente precise che a volte, Alice,
aveva l’impressione di vederli gironzolare per la casa, quei volti di
persone sconosciute che si muovevano e parlavano con la voce della
nonna. Dopo cena guardarono la televisione insieme, poi uscirono in
giardino per dare la buonanotte a Billy, ma alla fine rimasero sulla
veranda a guardare le stelle. Quella notte Alice andò a letto soddisfatta e felice. Si addormentò
subito, e quella sensazione di pace e benessere, per fortuna, non
accennava ad andare via.
L’indomani a colazione, la nonna stava aspettando Alice già in piedi,
e naturalmente aveva riempito la tavola di vassoi colmi di ogni
delizia. Alice era esterrefatta: dove trovava il tempo per far tutto? Doveva
avere un elfo, nascosto da qualche parte in cantina. <<Buongiorno tesoro.>> <<Buongiorno a te!>> rispose Alice, particolarmente di buon umore,
ridendo per il pensiero dell’elfo che preparava la sua colazione. Sedette a tavola, il suo piatto, ovviamente, era già pieno di pietanze. Alice scoccò alla nonna un’occhiata divertita, e selezionò solo una
fetta di torta di mele e un bicchiere di latte. <<Che programmi hai per oggi?>> domandò la nonna, versandole in
un bicchiere della spremuta d’arancia fresca. <<Passeggio e scatto foto. Hai visto la luce fuori?! E’ … voglio dire,
è perfetta.>> Nonostante la nonna fosse la sua confidente preferita, Alice non
voleva parlarle di Raul; era un segreto che, per il momento, voleva
tenere per sé. Era certa che sua nonna, i suoi genitori, persino le sue
amiche, non avrebbero mai approvato quello che stava per fare,
incontrare un perfetto sconosciuto. Pensò a Lucia, a quanto si era
preoccupata quella mattina a Brunello solo perché lei era uscita da
sola. Alice sospirò. Era stanca di dover pensare sempre agli altri, di
dover dare spiegazioni, di non poter fare una cosa semplicemente
perché le andava, e punto. E poi non sarebbe stata in pericolo, avrebbe portato Billy con sé. <<Io vado in chiesa. Ti va di accompagnarmi?>> Alice si soffocò con la spremuta e tossì, con gli occhi un po’ lucidi. <<Come?>> <<Hai capito.>> <<Nonnina, io ho molta fede, lo sai. E’ solo che andare in chiesa non
mi piace. Diciamo che ho una filosofia tutta mia. Credo solo in certe
cose.>> Alice sfoggiò un sorriso sincero che alla nonna piacque molto,
perché lo ricambiò. <<D’accordo. Se mai dovessi cambiare idea, potrai venire con me.
Qui, non molto lontano, c’è una bella chiesetta.>>
<<Splendido.>> rispose Alice: <<E come ci vai?>> <<Con la macchina, naturalmente.>> risposa la nonna, con tono
ovvio. Alice la fissò a lungo, stupita. Non si ricordava la nonna al
volante, forse perché non l’aveva mai vista. Se l’era sempre
immaginata come una sorta di Heidi imbianchita e, chissà perché, si
era sempre immaginata che si spostasse con una carrozza. <<Divertiti allora.>> disse Alice. <<Anche tu, tesoro, con le tue foto.>> La nonna sorrise con uno sguardo talmente furbo e sfottente che
Alice, smettendo di mangiare, si chiese se magari avesse letto quel
biglietto. Dannato Raul. Lasciava prove tangibili della sua esistenza. Avrebbe
dovuto liberarsene. Alice attese con impazienza che la nonna andasse via, andando su e
giù per la cucina, e lanciando, ogni tanto, occhiate nervose allo
steccato sul retro, oltre la barriera di pini. Si aspettava di vedersi
balenare davanti, da un momento all’altro, quei sornioni occhi blu. Quando si recò al luogo dell’appuntamento, con dietro Billy
ovviamente, scoprì che il ragazzo era stato puntuale. Era appoggiato
di schiena a un albero e l’attendeva con quel mezzo sorriso sul viso. <<Buongiorno. Allora sei venuta?>> la salutò allegramente,
offrendole la mano. <<Certo, mi facevi pena. Non ti volevo lasciare qui fuori.>> rispose
Alice indifferente, porgendogli la sua. Raul la strinse con fare disinvolto accennando anche a un piccolo
inchino con il capo. Iniziava a prenderla in giro. <<E hai portato i rinforzi…>> aggiunse, alludendo allo
scodinzolante Billy. <<Rinforzi? Non ce ne sono di bisogno. Studio karate.>> mentì
Alice spudoratamente. Lei e il karate erano talmente in antitesi che il
solo pensiero della bugia che aveva appena detto la faceva arrossire. Raul dal canto suo rise di cuore; che studiasse karate o meno, Alice
non aveva un’aria pericolosa. <<Puoi sempre tornare a casa, se hai paura.>> la provocò.
Alice lo fulminò con lo sguardo, imbronciandosi. Raul riusciva a
stuzzicare il suo orgoglio come nessuno, e avrebbe volentieri colto la
sfida tornandosene a casa. <<Credo che resterò. Preferisco sperare che durante il tragitto ti
assalga qualche bestia.>> sorrise perfidamente e Raul scoppiò a
ridere. Una risata fresca, spontanea. <<D’accordo, allora andiamo. Effettivamente devo riconoscere di
essere uno spuntino più invitante di te. Ma credo che correrò il
rischio.>> disse. Coglierlo senza la risposta pronta era impossibile. I ragazzi iniziarono a camminare, lanciandosi occhiate di sfida,
entrambi sorridenti. <<E quindi hai deciso di fidarti di me, un perfetto sconosciuto...>>
affermò Raul, soddisfatto. <<Ho una bomboletta spray al peperoncino in borsa, cosa credi, e poi
Billy è un cane da guardia>> rispose Alice a tono agitando sotto ai
suoi occhi la borsetta e indicando Billy, che in quel momento si stava
grattando un orecchio. Raul scoppiò a ridere. <<Sei folle, Alice.>> Alice lo fissò stupita: <<Folle io? Ne vogliamo parlare di un tipo che
lancia lettere in camera a innocue vecchiette? Per fortuna l’ho
intercettata io.>> <<Ehm, veramente c’era il tuo nome nella lettera.>> Puntualizzò allora Raul con sagacia. Alice sbuffò: possibile che
sapesse sempre cosa dire? Prima o poi avrebbe dovuto sorprenderlo
senza parole. Alice sembrò trovare il proposito così accattivante da
farle balenare in testa l’idea di visitare Brunello ogni fine settimana
solo per quello. L’idea di poter evadere dalla città almeno due giorni a settimana le
infondeva conforto, ma in realtà sapeva che sarebbe stato impossibile.
A casa ad aspettarla c’erano i suoi genitori, le sue amiche…
Alessandro. Brunello aveva la capacità di cancellare dalla mente tutto ciò che non
fosse se stesso e le sue magiche creature. Come Raul e la nonna. Raul. In effetti, passeggiare da sola per i boschi con un perfetto
sconosciuto, non era saggio. Alice s’immaginò Lucia scuotere il capo,
il viso sgomento mentre diceva: “Alice sei impazzita!”. E poi
s’immagino Alessandro. Alessandro… quel nome le suscitò un brivido. Era giusto, nei suoi
confronti, starsene lì a Brunello con Raul? Alice non ci aveva
pensato, era come se Brunello fosse una vita a parte, staccata da tutto
il resto. <<Mi piacerebbe sapere a cosa pensi...>> disse Raul, guardandola
come se cercasse di leggerle dentro. Alice sorrise, soddisfatta di
poter avere pensieri tutti suoi che lui non poteva conoscere. <<Pensavo… dove stiamo andando? Devo veramente prendere la
mia bomboletta?>> scherzò Alice, e Raul rise di cuore. <<Fossi in te lo farei.>> strizzò l’occhio. <<In realtà, visto che sei così interessata alla mia poesia, volevo
portarti nel luogo più importante per me, in questo senso. Quello in
cui sono stato ispirato a scrivere i miei primi versi.>> Alice si fermò sui suoi passi, fissandolo sbalordita. <<Magnifico... sono… sono sorpresa>> farfugliò. <<Sorprenderti è molto facile.>> rispose lui sorridendo. Camminarono ancora un po’, chiacchierando di poche cose, poi
ancora stando in silenzio. A Raul piaceva molto osservare; il cielo,
gli alberi, il verde. Alice. Si fermarono dopo non molto: Raul indicava un punto,
un’accozzaglia di alberi, piante e rosati arrampicati su per qualcosa.
Sotto il verde squamoso e forte s’intravedeva appena un grigio sasso:
doveva essere un vecchio muro di pietra. Forse, la recinzione di una
casa. Non lo avrebbe mai notato, comunque, se lui non glielo avesse
indicato, come se anche quel luogo fosse stato assorbito dalla natura
florida di Brunello, diventandone parte. All’improvviso fu assalita da un dubbio: e se Raul fosse stato
davvero pericoloso, e l’avesse fatta allontanare da casa per farle del
male? Lo guardò improvvisamente seria, con occhio critico. <<Guarda che mia nonna sa che sono qui con te.>> lo informò. Raul sollevò un sopracciglio. <<Con me? Ma neppure mi conosce.>> <<Sa che sono con Raul.>> rispose lei in un soffio.
<<E chi ti dice che sia il mio vero nome?>> Alice si sentì agghiacciare. <<La lettera è firmata da te, l’hai scritta tu, è piena di impronte
digitali.>> farfugliò, in fretta, mettendosi in posizione di difesa. Raul però scoppio a ridere di cuore, e lei si sentì sollevata. Se avesse
continuato a parlare con quel tono serio, sarebbe corsa via a gambe
levate. <<Potrei aver usato dei guanti, Alice, ma non è il caso di
preoccuparsi. Sei al sicuro con Billy, no?>> Sorrise amichevolmente, ma c’era dell’ironico nella sua voce, e Billy
dopotutto, con quella lingua ciondolante, sembrava tutto meno che
pericoloso. <<Comunque, questa è casa tua?>> domandò Alice per cambiare
discorso. Raul scosse il capo. <<No. Vieni, c’è da scavalcare un muretto. Credi di farcela?>> Alice lo guardò indignata. <<Ho scavalcato centinaia di muretti, da piccola.>> affermò con
sicurezza. <<Procurandoti centinaia di ferite?>> domandò lui, sagace. Alice
alzò gli occhi al cielo. <<Guarda che ci sono cresciuta qui, non sono una novellina, come te
magari.>> Raul le offrì la destra: <<Dammi la mano, ti aiuto io.>> Alice la rifiutò sfilandogli davanti piena di sé e superba. <<Oh, scusa se mi preoccupo per te…!>> esclamò lui, passandole
avanti e arrampicandosi su per una montagnola di terra smossa e
umida. Salì con grazia e disinvoltura tale che Alice, prima di fare lo stesso,
non avrebbe mai potuto immaginare che la terra fosse tanto
scivolosa. Perse l'equilibrio due o tre volte, la terra sdrucciolava
sotto i suoi piedi come se, anziché una ragazza, vi stesse
camminando sopra un gigante goffo. La mano di Raul era ancora tesa di fronte a lei, ma Alice avrebbe
preferito rotolare per terra anziché accettarla.
Fortunatamente riuscì a sorvolare il piccolo ostacolo. Camminarono
intorno al muretto, cercando la parte più agibile e bassa per
scavalcare. Raul sorrideva appena, divertito dall’aria di sfida di lei. Finalmente trovarono un tratto di muro che sembrava scavalcabile. Alice aiutò Billy a oltrepassarlo, dopodiché fece leva sulle braccia
per tirarsi su. <<Ti faccio la scaletta.>> propose gentilmente Raul, mettendo
entrambe le mani all’altezza del ginocchio di Alice, consentendole
così di fare peso e poter scavalcare. Lei lo trovò un aiuto abbastanza
dignitoso, e gli piantò un piede sulla mano dandosi la spinta.
Scavalcò senza troppi problemi, poi con un salto si lasciò cadere
dalla parte opposta. Il ragazzo scivolò al suo fianco poco dopo, per nulla scomposto. Si
ripulì le mani sporche di terra sui suoi stessi jeans e Alice rimase a
fissarlo, improvvisamente rapita. Gli aveva riempito le mani con il
fango che aveva sotto le scarpe e lui non aveva battuto ciglio.
Alessandro le faceva scenate terribili solo se gli sfiorava i capelli. <<Eccoci, siamo arrivati.>> Raul sfoggiò uno dei suoi sorrisi più ampi, mentre Alice ammirava
stupefatta ciò che li circondava. Era meraviglioso. Alberi centenari, un ruscelletto, un giardino
ingiallito. Erano i resti di un vecchio mulino. Dell’antica struttura
adesso non restava molto, se non un diroccato edificio su un piano
più una piccola mansardina, per metà distrutta. Le mura, color della
pietra, erano quasi interamente sovrastate dal verde delle piante
rampicanti, e all’esterno, una via fatta con pietruzze colorate
ondeggiava tra il manto di foglie ingiallite. Alice aveva la strana e bella sensazione di esserci già stata, in quel
luogo, magari moltissimi anni prima. <<Che ne pensi?>> domandò Raul soddisfatto, nemmeno fosse tutta
opera sua. <<Incredibile... sembra di essere in un vecchio film.>> Alice era estasiata, tirò fuori la macchina fotografica e iniziò a
scattare delle foto. <<Le mie amiche impazziranno quando le vedranno>> Tra i tanti scatti, Alice rubò una foto anche a Raul.
Eccolo, in mezzo al giallo e al rosso delle foglie appassite, distratto.
Questa volta in foto non ci era finito per sbaglio, questa volta lo
aveva scelto lei. <<Vuoi anche l’autografo?>> Raul era a braccia conserte, e Alice scoppiò a ridere. <<E’ che sei ingombrante, non posso fare una foto al panorama che
ti ci metti in mezzo.>> scherzò, scattandogli un’altra foto. Raul le prese la fotocamera di mano e iniziò a fotografarla, e
nonostante lei si nascondesse tra le braccia riuscì a rubarle alcuni
bellissimi scatti. <<Ho imparato la lezione, niente più foto d’improvviso!>> assicurò
Alice, tra le risate, e Raul le restituì la fotocamera con aria solenne,
prendendola come una promessa. I ragazzi passeggiarono in silenzio attorno al mulino, poi sedettero
comodamente sotto un albero, sopra un soffice manto di foglie gialle.
Alice ne prese distrattamente una tra le mani, accorgendosi così di
vedere la stessa specie di foglia sulla quale aveva trovato la poesia,
tempo prima. E allora capì di avere tra le mani la prova che fosse davvero lui il suo
poeta. <<Allora… la poesia è veramente tua.>> disse Alice, stringendo il
pugno attorno alla foglia. Raul annuì lentamente. Non sembrava particolarmente fiero di quei
versi, così Alice decise di infierire. <<Certo, come pezzo non era granché…>> scherzò. Raul si accigliò, e abbozzò un sorriso. Chissà a cosa pensava, quando
metteva su quell’espressione indecifrabile. Sicuramente ride di me, pensò Alice, agitandosi. Si guardò le ginocchia senza fiatare. <<Non piace granché neanche a me.>> disse infine Raul, con un
sospiro. <<Ma io stavo scherzando… è molto bella.>> Raul la guardò negli occhi, ora era sorpreso. Alice ebbe un brivido, uno strano fastidioso brivido che le percorse
la schiena e che non sapeva spiegare. Quei due occhi blu erano così
distanti, così profondi.
<<Grazie. E’ il primo complimento che mi fai da quando ci
conosciamo. Sono onorato.>> Alice scoppiò a ridere. <<Puoi ritenerti fortunato. Comunque, perciò è qui che ti sei ispirato
a scrivere per la prima volta.>> <<Sì, proprio così. E’ successo circa... dieci anni fa. Lo ricordo come
se fosse ieri.>> Raul socchiuse gli occhi e appoggiò il capo alla corteccia dell’albero.
Alice lo analizzò in silenzio; aveva un profilo molto bello. D’improvviso gli occhi di Raul si spalancarono immobilizzandola in
quel suo curioso sbirciare. Alice arrossì e distolse subito lo sguardo. <<Sono stato ispirato da una persona.>> spiegò. <<Una ragazza?>> <<Umm... diciamo. Era più come una sorella per me. Quasi tutte le
mie poesie sono tuttora ispirate a lei.>> Raul sembrò pentirsi di aver detto una parola di troppo, perché ora
Alice, che lo fissava presa, era pronta a bombardarlo di domande. <<E questa tua amica... questa tua musa. Dov’è? Siete ancora...
amici...>> o fidanzati, sposati o qualunque cosa sia, dimmelo!
Avrebbe voluto dire l’impaziente Alice, ma riuscì a mordersi la
lingua giusto in tempo. Raul non rispose, si richiuse nel suo labirinto di mistero e verità
concesse a piccole dosi. <<E perché scrivi proprio sulle foglie?>> chiese allora Alice. <<Tu non scrivi sulle foglie?>> Raul la spiazzò con una domanda, anziché concederle una risposta. <<Bè... sì.>> ammise lei. <<L’ho intuito perché ti ha sorpreso molto il fatto che lo faccia
anch’io. Nessuno fa caso a queste cose.>> Alice iniziò a pensare alle parole di Raul. Aveva detto che aveva
scritto la poesia dieci anni prima, dunque, quanti anni poteva avere?
Lei non gliene avrebbe dati più di venti, ventidue. <<Hai... qualcosa tra i capelli. Un ragno.>> disse d’improvviso Raul,
sfuggendo al suo sguardo. Alice arrossì e scattò in piedi. Iniziò a scuotere con vigore i capelli,
saltellando impressionata. Lei era terrorizzata dai ragni!
<<Dov’è?! Dov’è?! Ho ancora quel coso addosso?>> disse
piagnucolando e rabbrividendo al sol pensiero che otto zampette
sottili e pelose stessero avventurandosi tra i suoi capelli. Raul
scoppiò a ridere, e le scattò una foto. <<Stavo scherzando!>> <<Che… scemo!>> ringhiò Alice furiosa e gli lanciò contro un
pugno di foglie, che si limitarono a librare in aria, prima di farsi
trascinare con maggior accondiscendenza dal vento e cadere
lentamente giù. <<Prendimi, avanti Alice! Senza cadere però!>> Raul rideva, continuava a scattarle fotografie, immortalando la sua
espressione seccata, e in quel momento Alice si accorse che quando
sorrideva gli si formava sulla guancia sinistra una fossetta. Aveva un sorriso bellissimo. <<Ti detesto…!>> gli gridò dietro Alice. Avrebbe voluto chiamarlo per cognome, ma non sapeva nemmeno
quale fosse. La mattinata volò, tra una risata e l’altra e molte chiacchiere. Il sole
stava brillando, ma c’erano nuvole grigie da poco condensate sopra
le loro teste. Se ne stavano lì, immobili e minacciose, sul punto di
esplodere. <<Forse conviene fermarci qui.>> disse Raul indicando la casa della
nonna. Si trovavano al punto di partenza, oltre i pini alti e verdissimi.
Alice sbirciò la casa con aria scrutatrice, chiedendosi se la nonna la
stesse guardando, nascosta dietro una delle finestre. Durante le sue
veloci occhiate di perlustrazione, notò una saracinesca aperta su un
garage: all’interno era vuoto. Significava che la nonna non era
ancora rientrata. Alice si morse un labbro… non riusciva a credere a quello che stava
per fare. <<La nonna è ancora fuori. Ti va di entrare? Ti offro qualcosa.>>
propose educatamente. <<Oh, ma non voglio disturbare.>> Raul sembrava impacciato, per la prima volta mostrava un briciolo di
timidezza. Era un inizio!
<<Nessun disturbo.>> Alice sorrise e s’incamminò verso casa. Attraversarono l’orticello, poi il giardino di margherite della nonna,
dove c’era anche l’altalena, fino ad arrivare all’ingresso. Finalmente
entrarono in casa. Alice accompagnò Raul in cucina e gli offrì da bere, ma non riusciva
a togliersi dalla testa il viso di Lucia che la guardava scuotendo il
capo, contrariata. Il telefono squillò poco dopo che furono in casa. <<Pronto?>> <<Pronto, Alice? Sono io.>> <<Nonna. Tutto bene?>> <<Tranquilla, va tutto bene. Il problema è che sta arrivando un
terribile acquazzone e dovrò rimanere in paese per qualche altra ora.
Resto a pranzo da alcuni amici della parrocchia.>> <<Oh, ok nonna, tranquilla, io mi cucinerò qualcosa.>> <<Mi dispiace tanto, tesoro. Salirò da te il prima possibile!
Purtroppo non posso mettermi in strada ora!>> si giustificò ancora la
nonna, mortificata. <<Non preoccuparti, io starò bene! E poi c’è Billy con me!>> Alice si morse il labbro inferiore mentre un pensiero le balenava in
testa: davvero sarebbe stata bene, sola con quello sconosciuto? Le
vennero in mente le mille volte in cui sua madre le aveva
raccomandato di non far entrare mai in casa perfetti ignoti… e lei al
contrario era stata tutto il giorno in giro con un Raul qualunque, di
cui non conosceva neppure il cognome. In realtà, di cui non sapeva
proprio niente. <<D’accordo. Non bruciarmi la casa, Ali. A presto.>> La nonna riattaccò e Alice si lasciò sfuggire un sospiro. Non le
piaceva mentire, ma in fondo, più che una bugia stava semplicemente
dicendo una mezza verità. <<Che è successo?>> indagò Raul, che nel frattempo si era tolto il
cappotto. Alice trattenne a fatica un moto di sorpresa; il ragazzo,
sotto il cappotto, teneva ben nascosto un fisico che avrebbe fatto
invidia a tutti i giocatori della squadra di calcio. Alice arrossì per gli
sciocchi pensieri che le passavano in mente.
<<La nonna dice che tornerà tra qualche ora. Sembra che stia per
arrivare un acquazzone.>> spiegò, stringendosi nelle spalle. <<Perché non resti qui? Cuciniamo qualcosa.>> Per la seconda volta avrebbe voluto fermare il tempo e chiedersi: ma
sei matta, cosa ti passa per la testa? Tra l’altro, era un disastro ai fornelli. Arrossì leggermente e sperò
che lui non avesse sentito o, per lo meno, che rifiutasse. Forse anche Raul aveva molti dubbi sulle sue capacità culinarie,
perché sorrise ampiamente, con occhi divertiti. <<Oh, grazie. Accetto volentieri. Vorrei... assaggiare davvero
qualcosa di buono cucinato da te.>> a quel punto scoppiò a ridere.
Alice roteò gli occhi, irritata. <<Sta’ attento a quello che dici, potrei avvelenarti! Sei avvisato!>>
gli disse, alzando la voce, per sovrastare l’eco musicale della sua
risata. <<Scusami, Alice. Pace?>> propose. Alice sospirò e gli diede le spalle per aprire il frigo, alla ricerca di
qualcosa che avrebbe potuto cucinare. Da sola aveva preparato al
massimo dei panini o pasta con qualche sugo già pronto. Si chiuse il frigo alle spalle e vi si appoggiò, sorridendo. <<E se ci ordinassimo una pizza?>> sorrise speranzosa, ma Raul rise. <<Alice non ci sono pizzerie qui!>> rispose divertito, scuotendo il
capo. Alice sospirò e sedette su una sedia. Che ingiustizia. Sua madre
avrebbe dovuto pensare a inculcarle qualcosa sull’arte del cucinare.
Ora che ci pensava aveva tentato più volte di farlo, ma durante una di
quelle “lezioni” lei si era quasi affettata un dito, e avevano evitato di
ripetere l’esperienza. Dal modo indecifrabile in cui Raul la guardava, divertito e nostalgico,
sembrava quasi che anche lui potesse rivivere i ricordi di Alice,
chiusi gelosamente nel suo animo. La ragazza arrossì, lui la stava
guardando intensamente, e distolse in fretta lo sguardo puntandolo in
una delle piastrelle del muro. <<Ti aiuto io, dai. Cuciniamo una frittata. Facile e veloce. Ti piace la
frittata?>>
Raul sorrideva: teneva le mani sui fianchi, sembrava non vedesse
l’ora di mettersi al lavoro, e si dava già veloci occhiate intorno per
decidere da cosa cominciare. <<D’accordo.>> farfugliò Alice allargando le braccia, disarmata. Raul non scherzava: con una disinvoltura da far invidia alle cuoche
più esperte, si diede da fare, tirando fuori dal frigo uova e lattuga, e
dalla dispensa, patate. Sembrava perfettamente a suo agio. Alice gli portò un grembiule rosa da cucina, convinta di umiliarlo
almeno un po’, ma neppure quella volta lui gliela diede vinta, e lo
indossò. Nonostante i quadrettini rosa su sfondo bianco, Raul stava
davvero bene anche così. Il ragazzo iniziò a lavare la verdura, poi la tagliuzzò per farne
un’insalata. Alice lo guardava, e si chiedeva se fosse il caso di
scattargli una foto, almeno una, per non dimenticarsi mai
quell’immagine così lieta e divertente, o se dargli una mano. Scelse
la seconda opzione. <<Che faccio io?>> chiese dubbiosa, dondolandosi con le braccia
come una bambina. Raul la guardò paziente e le indicò le uova
poggiate sul bordo del lavello. <<Puoi iniziare a sbatterle in quel piatto.>> Ecco, sbattere era facile. Alice aveva sempre avuto un certo talento
per distruggere le cose, ancor meglio se fragili come delle uova. Non
sarebbe stato difficile. Prese il primo uovo con allegria, si sentiva
una gran cuoca con al fianco il suo assistente. Sbatté l’uovo contro il piatto, distruggendolo, in una miscela di
buccia, tuorlo e albume. Rimase esterrefatta pochi secondi, prima di sentire la risata
echeggiante di Raul. <<Alice!>> Raul si poggiò il capo sulla mano, ma un sorriso gli illuminava gli
occhi. <<Davvero non hai mai sbattuto un uovo, Ali?>> Alice arrossì visibilmente e abbassò gli occhi. Non per la sua
evidente incapacità di cucinare... ma perché lui, con una familiarità
disarmante, l’aveva chiamata Ali. Solo i suoi genitori e le sue amiche
la chiamavano Ali. Neppure Alessandro lo faceva.
<<Ti occupi delle patate?>> tentò ancora lui gentile e lei annuì con
vigore, sperando di allontanare il color cremisi delle guance. Si
avvicinò in silenzio alle patate e prese a pelarle una per una,
sovrappensiero. Il tempo era volato in un batter d’occhio quel giorno e una strana
sensazione si era impossessata di lei. Era come se conoscesse Raul
da una vita, come se fossero amici da sempre. Che cosa avrebbe dato
per vivere con Alessandro ore di tranquillità come quelle passate
quel giorno con quello sconosciuto? Era disarmante... lo conosceva
da così poco tempo eppure aveva tanto da condividere con lui. Era
come se Raul sapesse tutto di lei e della sua vita, come se fosse
abituato a ogni suo singolo difetto e pregio. Rabbrividì. Forse davvero, nel mondo, esistono anime uguali
destinate a trovarsi e restare per sempre vicine. Alice questo non lo sapeva. Sapeva solo che adesso, a Brunello,
aveva trovato un amico. La frittata era gonfiata una volta in padella, assumendo l’ottimo
aspetto di una torta di patate. Alice l’aveva quasi cotta con gli occhi,
senza smettere di guardarla neppure per un attimo. Quando fu finalmente pronta, Raul la servì su un piatto di vetro,
tagliandola a metà. L’insalata era stata condita da Alice, ma Raul, per
pura meticolosità, aveva voluto aggiungerci del sale. I ragazzi iniziarono a mangiare, complimentandosi gli uni con gli
altri per l’ottimo lavoro di squadra. Aveva fatto tutto lui, in realtà, ma l’aiuto di Alice era stato
indispensabile: se non ci fosse stata, lui non avrebbe saputo dove
prendere gli ingredienti. Sarebbe andato tutto bene se Alice, in maniera quasi fulminante, non
fosse stata assalita dal solito odioso mal di testa. La forchetta le
cadde di mano mentre si prendeva la testa tra le mani, stringendola
per soffocare ogni singola fitta. Di solito funzionava. I dolori
duravano qualche secondo, poi svanivano. Quella volta però era
diverso: erano tornati più violenti, forse per ricordarle che la vacanza
a Brunello, quella lietezza, sarebbe presto finita.
Persino la sua vista ora vacillava, era intontita dal dolore. Ma passò.
Perché passava sempre, dopo averla strapazzata un po’. <<Stai bene?>> chiese Raul preoccupato, con la forchetta sospesa a
mezz’aria. Alice annuì e rise. <<Mal di testa, come sempre.>> <<Davvero?>> s’informò lui interessato. Alice sospirò. <<Mi ricorda che presto tornerò a casa.>> Era sicura di quanto detto, ma probabilmente come risposta doveva
apparire insensata. In fin dei conti a casa sua, in città, non aveva solo
problemi. D’improvviso, l’umore di Raul, sempre ottimo e sereno, sembrò
subire un brusco e improvviso cambiamento. Il ragazzo si ammutolì,
sembrava particolarmente attratto dal piatto, che osservava a occhi
bassi. Alice non lo aveva mai visto in quel modo; non che lo conoscesse da
molto, chiaro. Ma quel suo cedere alla tristezza era testimonianza che,
sotto quella perfezione, era umano. Alice lo osservò silenziosa,
spiazzata da quell’improvvisa tristezza. Era così carismatico che
adesso, in mancanza del suo sorriso, Alice si sentiva strana. <<C’è... qualcosa che non va...?>> domandò titubante, guardando
attentamente i suoi occhi. Erano abbassati e fissavano il tavolo, come
se le fantasie di frutta della tovaglia fossero estremamente
interessanti. Raul sollevò il capo quasi trasalendo, e le sorrise appena. <<No… niente...>> rispose sfuggente. <<Non ti piace la frittata?>> tentò ancora, colpita. Non voleva che lui se ne andasse via. Non ora. Alice rimase
spiazzata da quei suoi stessi pensieri. Lo conosceva così poco, cosa
gliene importava se restava o se andava? <<No... è ottima... >> Raul tacque. Forse un brutto pensiero lo trafiggeva come una lama,
magari uno di quei ricordi che avevano dato vita alle poesie più tristi. Un fulmine fuori dalla finestra piegò il cielo, il tuono che lo seguì
fece vibrare le finestre, potente e rombante come un ruggito. Persino
le luci vacillarono e si spensero per una manciata di secondi, per poi
tornare tenui sulle loro teste.
Scoppiò a piovere. Alice sorrise e si alzò per guardare fuori dalla finestra. La pioggia a
Brunello era anche lei bella. Sembrava di un altro colore o
semplicemente meno odiabile e umida. Era come calda. <<Ti piace la pioggia?>> domandò Raul, evidentemente ancora un
po’ abbattuto, ma con il solito sorriso allegro. <<La adoro. Ma solo quella di Brunello, quella della città è solo
umidità e viscidume. Questa mi fa pensare alle rinascite. Mi fa
pensare alla vita. Ci pensi mai? Un fiore che sboccia timidamente
dopo un acquazzone, i suoi petali e le foglie grondanti, goccioline
che si rifugiano timide. E’ idilliaco.>> <<Quello che dici è poesia.>> rispose lui. Alice si voltò per ribattere, ma a sorpresa se lo ritrovò alle spalle,
molto vicino. <<E’ Brunello che è poesia. Io mi limito a leggerla.>> rispose,
sfuggendo al suo sguardo. Ma era impossibile. <<Hai mai fatto una pazzia, Ali?>> Gli occhi di Raul erano calamite, la voce suadente e profonda. Alice
si sentiva in pericolo con lui, perché ogni sua idea sembrava sensata. <<Io non faccio mai... pazzie.>> Raul allungò una mano e prese la sua, mentre un sorriso gli andava
da un orecchio all’altro. <<Togliti le scarpe.>> ordinò a quel punto. Alice strabuzzò gli occhi allibita e lui rafforzò il sorriso con
entusiasmo. <<Avanti, Alice! Seguimi!>> Raul si abbassò sulle ginocchia e si liberò senza fatica di calzini e
scarpe, e Alice scoppiò a ridere, imitandolo come se non avesse altra
scelta. Raul la prese per mano, e schizzò come un razzo fuori dalla
casa, trascinandosela dietro. L’acqua le inzuppò i vestiti, giocava tra i suoi ricci come in uno
scivolo per poi ricadere tra le pozzanghere con piccoli “splash!”. La
sensazione dell’erba bagnata sotto i piedi nudi fu unica: una
freschezza immediata, un piacevole solletico, brividi che risalivano
lungo le braccia.
I ragazzi corsero sotto la pioggia, rincorrendosi, spingendosi,
fissarono il cielo, tra le risate, tirarono fuori la lingua per gustare il
sapore della pioggia. I vestiti si erano incollati addosso, i capelli
sembravano cornice attaccata al viso… a ogni passo susseguiva un
rumore di pozzanghere profanate e schizzi d’acqua, mentre a ogni
tuono Alice trasaliva spaventata. Era tutto così spontaneo e vivo: il
cielo era il teatro e loro abili ballerini. E tutto girava intorno a loro,
mentre la pioggia cadeva, il cielo ruggiva, e loro, danzavano.