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Suini Dispensa ad uso della Quarta A a.s. 2005-2006

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Suini

Dispensa ad uso della Quarta A

a.s. 2005-2006

SuiniSuiniSuiniSuini

Le razze suine attuali sono probabilmente derivate da alcuni progenitori

principali: il cinghiale (Sus scrofa o Sus ferus) avrebbe dato origine ai suini europei, il Sus vittatus sarebbe l’antenato dei suini asiatici e delle razze, anche occidentali, da lui derivate. Sembra inoltre che sia esistito un Sus mediterraneus, frutto d'incroci tra forme selvatiche asiatiche ed europee. In Europa, l’allevamento del maiale, che pure era ben noto fin dall’antichità, ebbe particolare sviluppo a seguito degli spostamenti di popolazioni di ceppo germanico. Si trattò, agli inizi, di un allevamento di tipo brado, che solo nel Medioevo si legò all’azienda agraria con la diffusione dei porcili per uso familiare. Fino all’Ottocento l’allevamento del suino ebbe caratteristiche tradizionali, immutate da secoli; è solo un centinaio d'anni fa che iniziano a perfezionarsi le tecniche d'allevamento, passando dalla tipologia estensiva a quella intensiva. Questo fenomeno porta anche allo sviluppo delle tecniche di selezione ed incrocio, per rispondere ad una richiesta che non è più strettamente familiare o locale.

Le razze suine sono normalmente distinte in tipi da bacon, adatti a produrre carni magre, tipi da lardo, più grassi, e tipi a duplice attitudine. Questo raggruppamento, utile in gran parte del mondo, non è usato in Italia. La nostra tradizione, infatti, ha come obiettivo principale la produzione del prosciutto crudo. A tal fine, occorrono suini dotati di grande taglia ma a carne tendenzialmente magra, con un accrescimento non troppo veloce, in modo da avere carni che alla macellazione si presentano saporite e non eccessivamente acquose. Distinguiamo perciò tra razze autoctone, le cui carni possiedono le caratteristiche organolettiche ideali per la produzione dei salumi nostrani, ma che hanno cicli produttivi piuttosto lunghi, e razze d'origine straniera, selezionate nei paesi di provenienza per scopi assai diversi da quegli italiani, ma che da noi sono state migliorate per essere compatibili con la produzione del prosciutto. Queste razze sono economicamente molto più convenienti per la grande precocità e prolificità, ed hanno reso marginali le razze autoctone. Di queste ultime oggi conviene piuttosto pensare ad una valorizzazione in termini di tipicità dei prodotti.

1. Le razze suine di origine estera più diffuse in Italia

� Large White

Selezionata in Inghilterra incrociando suini locali e suini asiatici, presenta cute rosea e setole bianche. Le orecchie sono diritte, il tronco è lungo e schiacciato in senso laterale. Le cosce sono muscolose, ben discese, appiattite: ideali per il prosciutto. E’ una razza a grande taglia (con un peso vivo che può raggiungere i 450 chili nel maschio), precoce, prolifica, con spiccata attitudine materna. Rappresenta il migliore suino per la produzione tipica italiana. Ciò spiega la sua grande diffusione, sia in purezza sia negli incroci.

I TIPI GENETICI SUINI

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� Landrace italiana

E’ d'origine danese, ottenuta da incroci di suini locali con il Large White. Con quest’ultimo ha in comune il mantello (setole bianche su cute rosea), mentre diverso è il portamento delle orecchie, dirette in avanti. E’ una razza precoce, resistente, prolifica, con buona attitudine materna, dalla coscia adatta alla produzione di prosciutto DOP. Viene usata in purezza o per incroci con il Large White.

� Duroc

E’ una razza a mantello rosso, con le setole piuttosto rade. E’ originaria degli Stati Uniti, dove è assai diffusa. In Italia è stata selezionata per ottenere un animale di notevole sviluppo corporeo, con eccellente produzione di tagli pregiati e cosce adatte alla produzione di prosciutti DOP. E’ caratterizzata da una notevole adattabilità alle condizioni di allevamento.

� Pietrain

Originaria del Belgio, è facilmente riconoscibile dal mantello bianco sporco che presenta pezzature nere irregolari. Ha taglia media, ed un eccezionale sviluppo delle masse muscolari magre. Il carattere ipertrofico s’accompagna talvolta a carni che, dopo la macellazione, divengono pallide ed essudative (in inglese: Pale, Soft, Exudative, PSE), del tutto inadatte alla stagionatura. La selezione genetica punta ad eliminare tale difetto. Gli animali di questa razza vengono usati per la filiera della carne fresca e delle trasformazioni cotte.

2. Le razze suine autoctone italiane

� Cinta senese

Diffusa in tutta la Toscana, fornisce una carne particolarmente saporita ed adatta alla trasformazione tipica italiana. E’ un’ottima pascolatrice, adatta a valorizzare le zone marginali dell’Italia centro - meridionale. Presenta però ritmi d'accrescimento piuttosto lenti, e la sua prolificità è limitata. E’ riconoscibile per il mantello scuro, con setole corte e sottili, provvisto di una fascia bianca che percorre gli arti anteriori, le spalle ed il garrese.

� Mora romagnola

Era un tempo diffusa in tutta la Romagna, e se ne conoscevano diverse varietà. Oggi ne esistono poche centinaia di capi. Animale robusto e rustico, di taglia media, ha la pelle pigmentata sul dorso e sulla faccia esterna degli arti, mentre addome e faccia interna degli arti sono rosei. Le setole sono nere a punta rossiccia. A 18 mesi d’età arrivano a pesare 300 kg.

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� Casertana

Un tempo era una razza molto diffusa e ricercata. Oggi è stata soppiantata dalle razze d’origine estera, ben più prolifiche e produttive. Originaria della Campania, ma diffusa anche nel resto dell’Italia centro-meridionale, ha la pelle di un colore caratteristico, nero tendente al grigio violaceo. Ha setole scure ma molto rade. E’ detta perciò anche “pelatella”. La cute scura la rendeva un tempo particolarmente adatta al pascolamento in zone a forte insolazione. Caratteristica razziale sono anche le cosiddette “tettole”, specie di bargigli posti a lato delle gote.

� Nero siciliano

Razza di origini antichissime, presenta molte qualità interessanti: è precoce, fertile, robusta, resistente alle malattie ed ai difficili ambienti di pascolamento delle montagne siciliane. Ha mantello di colore nero uniforme e taglia medio – piccola, dato che l’animale adulto pesa 130 – 150 kg.

� Calabrese

Razza dal mantello nero, di taglia media (maschi di 150 kg all’anno di età), fornisce tagli magri adatti alla produzione di salumi tipici e cosce di buona pezzatura.

3. Il ruolo dell’ANAS nella selezione delle razze s uine

a) razze dei libri genealogici

L’Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS) ha per legge il compito di gestire il libro genealogico ed il registro anagrafico della specie suina in Italia.

Il libro genealogico è lo strumento che serve per attuare il miglioramento genetico delle razze suine, indirizzandone la selezione secondo obiettivi di valorizzazione economica. Individuate perciò le caratteristiche di una razza che risultano più interessanti per la produzione italiana, si stabiliscono dei criteri e delle modalità di selezione, si conducono delle prove in grado di differenziare i suini osservati sulla base dei criteri prescelti, si attribuiscono infine indici in grado di rendere esplicito agli allevatori il valore genetico dei possibili riproduttori relativamente ai criteri scelti.

Per esempio, si decide che per un suino pesante destinato alla produzione tipica del prosciutto è necessario selezionare animali con un peso elevato delle cosce; si stabilisce perciò di pesare le cosce al momento della macellazione (peso “a caldo”); si decide poi di esprimere questa informazione con un indice genetico “cosce”; si individua l’unità di misura dell’indice, che sarà in questo caso data dai kg in più o in meno rispetto al peso medio delle cosce dei suini valutati in un anno di riferimento (nel nostro caso, il 1993). Se un verro A ha un indice genetico Cosce = +0,392 e il verro B ha un indice genetico cosce = +1,415, è chiaro che, a parità di peso di macellazione, il verro B possiede una caratteristica genetica di sviluppo delle cosce superiore di circa 1 kg.

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Così l’obiettivo generale del miglioramento genetico sul suino pesante (aumentare i ricavi) viene dapprima specificato in singoli obiettivi di selezione (per guadagnare di più occorre diminuire i costi di produzione, aumentare le quantità prodotte a parità di costo, aumentare la qualità del prodotto per ottenere prezzi migliori a parità di quantità prodotta). Infine, per ogni obiettivo di selezione va specificato come si intende misurarlo (criteri di selezione ).

A titolo di esempio, si riportano qui alcuni criteri di selezione possibili.

Al termine della valutazione genetica, ogni riproduttore maschio appartenente al libro genealogico testato dall’ANAS avrà una certificazione di questo tipo:

SOGGETTO LWITBS092940

IMG +57

ICA -0,141

TAGLI MAGRI +5,196

COSCE +0,610

CALO +13

LARDO -1,6

INDICE SELEZIONE +4,56

INDICE TERMINALE +3,11

INDICE PROLIFICITA' +0,600

ACCUR. SELEZIONE 0,951

ACCUR. PROLIFICITA' 0,42

Nella tabella, a titolo di esempio, i dati del verro Large White BS092940, appartenente all’azienda agricola Percallo di Montichiari (BS), autorizzato

tappe della selezione

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all’inseminazione artificiale, padre di una decina circa di soggetti (verri) a loro volta testati ed attualmente allevato presso Semenitaly S.p.a., Modena, che ne commercializza il seme.

Si noti che nella prima colonna del certificato compare l’intestazione “SIB test”. Con questo termine si fornisce una indicazione precisa su come sono stati ottenuti i dati. Il Sib test è una prova effettuata non direttamente sul verro (la gran parte dei dati richiede la macellazione!) ma su due sorelle e un fratello appartenenti alla stessa nidiata del verro (quindi coetanei e figli dello stesso padre e della stessa madre: fratelli “pieni”).

Le razze di cui attualmente l’ANAS gestisce il libro genealogico sono: Large White italiana, Landrace Italiana, Duroc italiana, per la produzione del suino pesante; Pietrain per la produzione del suino leggero (“suino mediterraneo”).

b) razze dei registri anagrafici

Altra cosa sono, invece, i registri anagrafici, che rappresentano lo strumento per la conservazione di quelle razze suine che, interessanti per svariati motivi, non sono però sottoposte ad un piano nazionale di selezione. E’ il caso di tre razze estere a limitata diffusione, come la Landrace belga, la Hampshire e la Spot, e di alcuni tipi genetici autoctoni, di cui interessa il mantenimento per motivi di salvaguardia della variabilità genetica ma per le quali attualmente è possibile una limitata valorizzazione economica. Si tratta delle razze Cinta senese, Mora Romagnola, Nera siciliana, Casertana, Calabrese. Per queste razze l’attività consiste soprattutto nella registrazione dei capi e degli eventi riproduttivi che li riguardano.

Nell’esempio, la registrazione degli ingressi e delle uscite: N = nascita, Q = vendita, E = eliminazione.

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Questa invece è la scheda utilizzata per gli eventi riproduttivi: A = fecondazione artificiale, con seme del verro aziendale; C = artificiale con seme congelato di verro non aziendale; F = artificiale, con seme fresco o refrigerato di verro non aziendale; N = monta naturale.

4. Gli ibridi commerciali

a. perché si usano gli ibridi La ricerca di animali sempre più convenienti dal punto di vista economico ha

portato, negli ultimi decenni, ad una grande diffusione degli ibridi suini. Sono così chiamati (per la verità impropriamente) gli incroci industriali ottenuti tra razze o linee genetiche, che garantiscono migliori produzioni (più velocità ed uniformità di accrescimento, migliore resa di macellazione), migliori prestazioni riproduttive, giusta qualità delle carni. Sono usati sia per la produzione di suini da macelleria che per quelli da salumificio.

b. come si fanno gli ibridi Gli ibridi vengono prodotti da aziende specializzate, italiane ed estere,

ognuna delle quali attua una propria attività di selezione ed incrocio per ottenere un suino capace di incontrare particolare interesse da parte degli allevatori di maiali all’ingrasso. Le aziende produttrici di ibridi vendono dunque scrofette e verri “parentali”, utilizzati da altri allevatori (“moltiplicatori”) per produrre suinetti che infine verranno venduti agli ingrassi.

Gli ibridi si ottengono selezionando linee genetiche a spiccata omozigosi, che vengono poi usate per incrociarle tra di loro.

Si opera dunque cercando dapprima di avere animali di due o più razze (o linee all’interno di una stessa razza) molto omogenei all’interno dello stesso gruppo; poi si accoppiano verro e scrofa appartenenti a due linee molto diverse tra di loro. I figli così ottenuti manifesteranno il fenomeno dell’eterosi, cioè presenteranno caratteri particolarmente interessanti perché uniranno gli aspetti positivi delle linee

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genetiche paterna e materna e perché presenteranno una combinazione genetica molto produttiva.

Esistono diversi tipi di incrocio: a due vie, a tre vie, a quattro vie, reincroci…

Nell’immagine sotto è rappresentato un incrocio a quattro vie, che prevede la selezione di individui granparentali (GP; granparent, in inglese = nonni) e parentali (P).

c. l’ANAS e gli ibridi All’ANAS spetta il controllo delle attività di quelle aziende che producono

riproduttori (verri e scrofe) ibridi. L’attività di controllo consiste nella tenuta del registro dei produttori ibridi e nella vigilanza sulla rispondenza delle loro attività rispetto ai requisiti di legge. Attraverso tale controllo l’ANAS può verificare che l’attività dei produttori di ibridi resti coerente con gli obiettivi di valorizzazione dei prodotti della suinicoltura nazionale.

Codice : 123- Nome Registro : GORZAGRI S.S.

GORZAGRI S.S.

VIA G. MARCONI, 31

32030-FONZASO (BL)

0439-56716

0439-56443

[email protected]

Cod Tipi Genetici Qualifica Note

01 VERRO GOLAND C21 Selezione

05 VERRO GORZAGRI

METICCIO

Produzione

06 VERRO IBRIDO

GOLAND C40

Produzione

08 VERRO GORZAGRI Produzione

I verri dei seguenti tipi genetici sono abilitabili alla I.A.

pubblica: VERRO GORZAGRI METICCIO, VERRO IBRIDO GOLAND C40,

VERRO GORZAGRI.

I verri dei seguenti tipi genetici sono impiegabili solo per la produzione

aziendale:

VERRO GOLAND C21 (con femmine VERRO GOLAND C21, SCROFETTA

GOLAND);

Schemi di produzione (TG = M x F):

VERRO GOLAND C21 = VERRO GOLAND C21 x VERRO GOLAND C21;

VERRO GORZAGRI METICCIO = Duroc (S.E.L.P.A.S.A.) x VERRO GOLAND C21;

VERRO IBRIDO GOLAND C40 = Pietrain (HAL almeno portatore) x VERRO

GOLAND C21;

VERRO GORZAGRI = VERRO GORZAGRI METICCIO x VERRO GOLAND C21.

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TG = tipo genetico; M = maschio; F = femmina.

Nell’esempio si può vedere quali dati vengono registrati e messi a disposizione online (www.anas.it) relativamente ad una azienda produttrice di ibridi.

d. un caso concreto: la selezione dell’ibrido Goland Si consideri l’esempio dell’ibrido Goland. Selezionato in Italia, è un ibrido

orientato alla produzione del suino pesante da trasformazione industriale.

Per essere adatto alla produzione del prosciutto, e per garantire condizioni di economicità della produzione, gli obiettivi individuati dal produttore (Gorzagri s.s.) sono i seguenti:

• caratteristiche di conformazione della coscia (coscia non globosa, profili muscolari laterali e posteriori lineari);

• elevata efficienza di utilizzazione alimentare;

• ridotto spessore del grasso dorsale e ventrale con adeguata copertura adiposa a livello della coscia, per ottenere animali che accumulino grasso preferenzialmente 'dove serve', cioè a livello della coscia

• adeguata qualità tecnologica della coscia fresca: marezzatura ottimale della coscia e assenza di venature

La selezione attuata dalla ditta produttrice dell’ibrido che prendiamo ad esempio ha come centro la valutazione dei verri, che viene realizzata secondo una serie di fasi:

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Al termine del processo di valutazione genetica del verro, ottenuta elaborando i dati provenienti dai suoi figli, si otterranno le seguenti informazioni:

- caratteristiche morfologiche: altezza e lunghezza dell'animale, larghezza dei lombi e globosità della coscia;

- spessore del grasso dorsale;

- consumo alimentare individuale;

- caratteri rilevati in sede di macellazione: il rilievo di tali dati viene effettuato al momento della macellazione dei soggetti da ingrasso e riguarda il peso della carcassa, il peso dei singoli tagli magri, le caratteristiche qualitative e tecnologiche della coscia rifilata (marezzatura, venature, globosità, spessore e qualità del grasso di copertura della coscia, colore del magro), lo spessore del grasso dorsale della carcassa misurato mediante Fat-O-Meter, il pH e il colore della carne. Solo alcuni di questi caratteri sono oggetto di selezione, ma la disponibilità di tali informazioni e la valutazione genetica dei candidati riproduttori per tutte queste caratteristiche permette anche in questo caso la verifica dei trend genetici e la pronta riconsiderazione degli obiettivi selettivi;

- caratteri rilevati durante la stagionatura delle cosce: calo di peso del prosciutto al termine della salagione, a fine riposo e a fine stagionatura. La coscia sinistra di ogni soggetto meticcio macellato viene controllata in relazione agli aspetti del calo di peso durante la stagionatura.

La selezione attuata ha consentito di ottenere un ibrido apprezzato per le caratteristiche di elevata capacità di ingestione alimentare, grazie alla quale il suino all’ingrasso può recuperare rapidamente eventuali fasi di minore accrescimento; una elevata capacità di conversione alimentare anche con accrescimenti controllati (caratteristica tipica dell’accrescimento per il suino pesante, che ha una alimentazione razionata); una grande uniformità tra i suini, che consente una gestione ottimale dei flussi di suini, senza avere soggetti in ritardo nella crescita.

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Verro Large White (fonte: ANAS)

Scrofa Landrace italiana (fonte: ANAS)

Verro Duroc (fonte: ANAS)

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Verro Landrace belga (fonte: ANAS)

Verro Pietrain (fonte: ANAS)

Scrofa Calabrese

Suini Calabresi

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Scrofa e suinetti Cinta senese

Scrofa Mora romagnola

Nero siciliano

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1. Tipologie di allevamento

a. cicli chiusi e cicli aperti La produzione dei suini può essere suddivisa in due segmenti: la produzione

dei suinetti, attuata in allevamenti che hanno un parco scrofe, dei verri e vendono, come prodotto finale, lattoni di circa 25 – 30 kg; la produzione di suini destinati al macello, attuata acquistando lattoni ed ingrassandoli fino al peso di macellazione. Questi due segmenti produttivi danno origine ad allevamenti a ciclo aperto (rispettivamente scrofaia e ingrasso). Se un allevatore ha sia la fase riproduzione che l’ingrasso, diciamo allora che il suo allevamento è un ciclo chiuso .

b. il suino leggero Se la produzione di un suino da macello è indirizzata al consumo di carne

fresca, l’animale, appartenente a razze o ibridi particolari ed adatti a questo scopo, verrà allevato fino al peso di 110 kg circa. Questo animale è detto suino leggero da macelleria .

c. il suino pesante Se la produzione di un suino da macello è indirizzata all’ottenimento di

prosciutto crudo e altri salumi pregiati, l’animale, appartenente a razze o ibridi particolari ed adatti a questo scopo, verrà allevato fino al peso di 155-165 kg circa. Questo animale è detto suino pesante da salumificio .

L’ALLEVAMENTO

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2. I cicli di produzione

a. ciclo della scrofa La femmina da riproduzione può essere nata nell’azienda stessa (riforma

interna) o provenire da una ditta di selezione. Se è stata acquistata dall’esterno sarà necessario, al suo arrivo in azienda, metterla in quarantena per abituarla progressivamente alla carica microbica aziendale. Normalmente verrà acquistata a cinque – sei mesi d’età, in modo da seguirla nella fase dell’inizio dei calori (pubertà) e poterla inseminare all’epoca migliore.

A circa 110 – 120 kg di peso, quando avrà circa sette – otto mesi d’età, la scrofetta verrà inseminata.

Seguirà la prima gestazione. La durata della gestazione nella scrofa è di 114 giorni (= 3 mesi, 3 settimane, 3 giorni), perciò il primo parto avverrà a circa un anno di età dell’animale. Al parto segue la lattazione, che ha solitamente una durata compresa tra i 21 e i 28 giorni. Allo scadere di questi giorni suinetti vengono allontanati dalla madre e nel giro di 4 – 7 giorni la scrofa tornerà in calore e potrà essere fecondata nuovamente. Questo breve intervallo di tempo è detto intervallo svezzamento – calore (ISC) .

L’intero ciclo gravidanza – svezzamento – ISC dura dunque (114 + 21÷28 + 4÷7 =) circa 150 – 155 giorni.

La carriera della scrofa dura mediamente per 4 – 6 di questi cicli.

b. ciclo del maiale all’ingrasso

i. suino leggero Il suino leggero è la tipica produzione destinata alla macelleria. Richiede tipi

genetici i media mole, molto muscolosi o addirittura ipertrofici, in grado di crescere velocemente, con un ottimo indice di conversione. Si richiedono tagli pregiati a limitata copertura di grasso.

La tecnica di produzione consiste nell’allevamento in due fasi, dette rispettivamente magronaggio (da 25-30 a 55-60 kg) e finissaggio (da 55-60 alla macellazione). Sono normalmente consigliati, per queste due fasi, mangimi che

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abbiano circa 3200 kcal a kg e, nel magronaggio, il 17% di proteina grezza, che si ridurrà al 15% nel finissaggio.

Si consiglia generalmente di adottare una tecnica alimentare che preveda il razionamento, somministrando circa il 20% in meno rispetto al quantitativo che l’animale avrebbe mangiato se avesse potuto alimentarsi a volontà. Ciò impedisce al suino di ingrassare eccessivamente.

Va tuttavia tenuto presente che l’alimentazione può variare anche notevolmente a seconda del tipo genetico allevato.

Il consumo complessivo di mangime, nella fase da 25-30 a 105-110 kg, si aggira sui 250 kg, pari a 3,1 kg di alimento per kg di accrescimento (I.C. indice di conversione = 3,1).

Dati gli attuali incrementi ponderali medi giornalieri (IMG) delle razze e dei tipi genetici disponibili, dovrebbero essere necessari 100 giorni per passare da 25 a 105 kg, ed all’epoca della macellazione il suino dovrebbe avere un’età pari a 165-170 giorni.

ii. suino pesante Il suino pesante è destinato in primo luogo alla produzione del prosciutto

crudo, che di tutti i prodotti trasformati ottenibili è il più pregiato ed il più remunerativo. Si tratta di una produzione tipica italiana e di pochi altri paesi europei, che origina perciò una forte corrente commerciale verso l’estero. Alcuni prosciutti italiani sono tutelati dalla DOP (Denominazione di Origine Protetta), come nel caso del S. Daniele e del Parma.

La tecnica di allevamento consiste in due o tre fasi: dai 25-30 kg ai 50-60 kg; dai 50-60 kg ai160 kg. Si può prevedere anche una fase che vada dai 50-60 kg fino al peso intermedio di 110 kg. Il valore energetico del mangime è di circa 3200 kcal a kg, la quantità di proteina grezza è pari al 16% nella fase fino ai 110 kg, e si abbassa ancora al 14% nel periodo successivo.

E’ necessario effettuare il razionamento per controllare la deposizione di grasso. In particolare, la quantità giornaliera di cibo somministrato scenderà progressivamente dal 3% del peso vivo nella fase da 25-30 a 60 kg, al 2% nel periodo finale.

Una ulteriore variabile nell’alimentazione è offerta dalla possibilità di scegliere tra alimentazione a secco ed in pastone o broda. Quest’ultima modalità è spesso preferita, in quanto favorisce l’ingestione alimentare da parte del suino.

Il consumo complessivo di mangime, nella fase da 25-30 a 160 kg, si aggira sui 550 kg, pari a 4 kg di alimento per kg di accrescimento (I.C. = 4).

All’epoca della macellazione il suino, le cui cosce saranno utilizzate per un prosciutto DOP, deve necessariamente avere almeno 9 mesi di età, come previsto dai disciplinari di produzione, così da avere una carne sufficientemente matura per la produzione del prosciutto crudo.

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3. Ricoveri per suini (fonte degli schemi: PAVER)

L’ambiente di allevamento è il luogo in cui gli animali trascorrono tutta la loro vita, ma è anche il luogo di lavoro dell’allevatore. Occorre che sia un posto il più possibile confortevole sia per l’uno che per gli altri. Inoltre spesso l’allevamento è posto nelle vicinanze, anche se non immediate, con altri luoghi di lavoro o abitazioni, e non deve costituire una presenza mal tollerata.

I criteri di costruzione dovranno dunque tener conto di:

• necessità vitali dei suini nelle diverse fasi di allevamento (t°, luce, ventilazione, spazio, alimentazione, acqua, numerosità del gruppo, comportamento della specie...)

• dato che gli animali verranno più volte movimentati, nel corso della loro esistenza, passando da un settore dell’allevamento all’altro, occorre questi spostamenti siano il più possibile agevoli sia per gli animali che per l’operatore

• facilità di pulizia degli ambienti grazie alla scelta dei materiali e delle caratteristiche costruttive dei ricoveri

• facilità di asporto e gestione delle deiezioni, secondo i criteri previsti dalla normativa vigente

Sulla base di quanto sai del ciclo produttivo dei suini, prova a riempire la

tabella seguente.

SETTORI DELL’ALLEVAMENTO

TIPO DI ANIMALI PRESENTI

TEMPO DI PERMANENZA

TIPO DI RICOVERO

(box singolo / box collettivo / posta singola …)

“Centro erotico” (stimolazione)

Gestazione

Sala parto

Svezzamento

Accrescimento

Ingrasso

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a. settore stimolazione

Questo settore accoglie le scrofette in attesa della prima copertura e, ciclicamente, le scrofe dopo lo svezzamento dei suinetti (intervallo svezzamento – calore).

Il settore stimolazione può essere ipotizzato con poste (gabbie) singole o, meglio, con box collettivi per gruppi piccoli di scrofe (4 – 8 capi). Le scrofe possono manifestare una certa aggressività, il che consiglierebbe di tenerle a posta singola; d’altro canto, la venuta in calore è maggiormente stimolata dalla libertà di movimento del box.

E’ in ogni caso indispensabile che vi sia contatto visivo, olfattivo e uditivo con il verro. Ciò può essere assicurato dalla presenza nel ricovero del box del verro, oppure assicurando un paio di volte al giorno il passaggio del verro alla ricerca e stimolazione dei calori. In quest’ultimo caso il suo box sarà nelle immediate vicinanze e non vi dovranno essere problemi nella movimentazione del verro.

Particolarmente importante è, in questo settore, il controllo delle alte temperature.

Le scrofe resteranno in questo settore fino alla diagnosi di gravidanza, che normalmente viene fatta tramite ecografia.

Per calcolare il numero di poste necessario, occorre sottrarre al numero totale delle scrofe aziendali le scrofe mediamente presenti in sala parto e quelle mediamente presenti nel settore gestazione. Le restanti sono, evidentemente, nella fase di stimolazione – attesa di diagnosi. Per evitare che manchino occasionalmente posti per le scrofe, occorre sovradimensionare leggermente questo settore, aumentando la disponibilità del 15%.

Di conseguenza il numero di posti (GS = gabbie stimolazione) sarà calcolato così:

GS=�s− sp− sg�× 1,15

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Sarà anche necessario calcolare il numero dei box per i verri, che dipende a sua volta dalla numerosità del parco scrofe. Se si usa la monta naturale, è necessario un verro ogni 25 scrofe; con l’inseminazione artificiale è sufficiente un verro ogni cento scrofe.

b. gestazione

In questo settore le scrofe rimarranno dalla diagnosi di gravidanza fino ad alcuni giorni prima del parto. Occorre in tale fase garantire il massimo comfort all’animale, sia dal punto di vista termico (difesa sia dalle alte che dalle basse temperature) sia alimentare, con un sistema che consenta il razionamento, sia dal punto di vista della libertà di movimento. Si potrà scegliere tra sistemi di allevamento a posta singola (gabbia individuale: è proibito il ricorso al collare), box collettivi con stabulazione su cemento (pavimentazione piena o fessurata), oppure con stabulazione su paglia. L’alimentazione sarà controllata da sistemi automatici di somministrazione del mangime o, nel caso della stabulazione libera, da autoalimentatori in grado di riconoscere il singolo animale (grazie ad un transponder o ad un microchip).

Il calcolo dei posti necessari (gabbie gravidanza, GG) va fatto sulla base del numero di scrofe in allevamento (s), del numero di parti ad anno, della durata di permanenza delle scrofe in questo settore (pg). La permanenza delle scrofe è variabile, in quanto dipende da quando verrà fatta la diagnosi di gravidanza e da quanti giorni prima del parto la scrofa verrà spostata nel settore parti. Anche in questo caso sarà necessario un leggero sovradimensionamento per non rischiare che qualche scrofa resti senza posto (+10%).

Perciò:

GG=�s× pa× pg�

365× 1,1

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c. parto In questo settore si svolge il parto delle scrofe e la fase di allattamento. Le

scrofe entrano nel settore qualche giorno prima di partorire (di solito 5 giorni) e talvolta, allontanata la scrofa, i suinetti restano qui per qualche giorno ancora prima di andare allo svezzamento. Le gabbie da parto sono raggruppate in più sale, così da poter attuare la pratica del tutto pieno – tutto vuoto, che in questo settore è indispensabile.

E’ questo il settore più costoso dell’azienda suinicola. Sono necessarie gabbie individuali di particolare complessità per garantire alla scrofa un certo comfort, la possibilità di ispezioni e interventi durante il parto, la separazione dei suinetti in settori appositi con possibilità di riscaldamento indipendente rispetto alla scrofa, un grigliato che garantisca l’igiene ma che sia adeguato alla differenza di piede tra suinetti e scrofa, la presenza di mangiatoie e di abbeveratoi indipendenti per scrofa e suinetti, efficaci sistemi antischiacciamento per i suinetti, un rigoroso controllo della temperatura, della velocità dell’aria, dell’asporto di gas... Le gabbie da parto saranno raggruppate in piccoli numeri (6 – 14 posti) in sale tra loro indipendenti, in cui le scrofe partoriranno pressoché contemporaneamente, in modo da poter garantire la pratica del tutto pieno – tutto vuoto. Le tipologie di gabbie da parto e la loro disposizione possono essere anche molto diverse; importante è garantire buone condizioni ambientali alla scrofa e ai suinetti, e buona organizzazione del lavoro all’allevatore.

gabbia da parto

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Dato il tipo di ciclo proprio della riproduzione, ci si riferisce spesso al “posto scrofa” come ad una unità di misura per verificare la redditività dell’allevamento a ciclo chiuso. Per “posto scrofa” si intende la gabbia da gestazione + quota parte del box per il verro + quota parte della gabbia da parto + quota parte dei box da svezzamento + quota parte della catena di alimentazione. Il costo di un posto scrofa può essere stimato intorno a 4000 – 4500 €, circa 10 volte maggiore di un posto ingrasso.

Il calcolo dei posti parto (PP) necessari va fatto utilizzando questa formula:

PP=s× pa× po

365 dove s è il numero delle scrofe, pa sono i parti all’anno, po è il periodo di occupazione, che comprende i giorni precedenti il parto, l’allattamento, l’eventuale periodo di sosta dei suinetti senza la scrofa, il periodo di vuoto sanitario.

d. svezzamento

In questo reparto i suinetti restano per il periodo che va dall’uscita dalle sale

parto fino al raggiungimento di 25 – 30 kg di peso. E’ una fase caratterizzata da grande velocità di accrescimento, nella quale occorre soddisfare le esigenze alimentari e ambientali di animali molto produttivi ma anche molto esposti a rischi sanitari. Normalmente si usano oggi settori separati per poter gestire il tutto pieno – tutto vuoto. In ogni sala vi sono fino ad una decina circa di box collettivi, contenenti di solito ognuno una nidiata. Le sale si affacciano su un corridoio dal quale, con sistemi di ventilazione, entra l’aria, che viene riscaldata o raffreddata a seconda delle necessità dei suini di quel singolo settore.

La pavimentazione sarà in grigliato speciale (tondino e lamiera d’acciaio, ma anche polipropilene e acciaio rivestito in polipropilene) per le caratteristiche del piede del suino a quest’età.

In questo settore i suini restano per circa 45 giorni, ma sono possibili tutte le variazioni determinate dalla diversità di peso d’ingresso, dalla velocità di accrescimento, dal peso d’uscita. I posti svezzamento (PS) necessari andranno

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calcolati tenendo conto, nel periodo d’occupazione, anche del vuoto sanitario. La formula è questa:

PS=sv× po

365

grigliato da svezzamento

e. ingrasso

Il settore dell’ingrasso risulta essere quello più semplice dal punto di vista costruttivo. E’ costituito da una serie di box collettivi, eventualmente con zona di defecazione all’esterno, in cui stanno normalmente gruppi non troppo numerosi di suini (massimo 20, meglio 15, perché il suino è un animale gerarchico e se il gruppo

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è troppo numeroso ha difficoltà a trovare la propria collocazione gerarchica ed è costretto a cercarla creando situazioni di aggressività e competizione).

Le scelte possibili, al momento della costruzione dei box, riguardano soprattutto la pavimentazione, da cui dipende anche la modalità di asporto delle deiezioni (pavimento pieno, con asportazione manuale; totalmente fessurato, con fossa delle deiezioni sottostante e sistemi dia sporto a raschiatore, a flushing, a svuotamento per gravità; parzialmente fessurato, se c’è chiara individuazione della zona di defecazione da parte dell’animale, con riduzione del volume delle fosse, riduzione delle emissioni di gas, maggiore comfort termico per l’animale che si sdraia su pavimento pieno...).

Altre scelte riguardano invece il dimensionamento del box, la tipologia di mangiatoia (truogolo) conseguente alle diverse modalità di somministrazione degli alimenti (secco, broda, razionato, ad libitum...), la tipologia e la collocazione degli abbeveratoi.

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Esercizi sulla struttura dell’allevamento suinicolo

Attribuisci ad ogni numero l’esatta denominazione

1._____________

2._____________

3._____________

4._____________

5._____________

6._____________

7._____________

8._____________

1. Di quale settore dell’allevamento si tratta?

2. Quali sono le caratteristiche della categoria di animali verrà allevata in questo settore?

3. Di quali altri settori si potrebbe comporre questo allevamento?

4. Quali altri metodi di allontanamento dei reflui potrebbero essere utilizzati in questo settore?

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Un allevamento di suini a ciclo chiuso è composto dai seguenti settori:

1. attesa calore – fecondazione – prima fase di gestazione; 2. gestazione; 3. maternità; 4. post-svezzamento; 5. magronaggio; 6. ingrasso.

Si calcolino i posti di cui l’allevamento deve disporre per i vari settori, sulla base di un numero di capi e di parametri tecnici a scelta dell’allievo.

Si tenga presente che la formula generale di calcolo del numero di posti, per qualsiasi settore, è data dal numero di animali (rispettivamente scrofe / suini all’ingrasso) x il periodo di occupazione del settore / 365.

Si calcolino poi le dimensioni dei box per il magronaggio e l’ingrasso, tenendo presente che le superfici minime dovranno essere di 0,60 m2 per il magronaggio e 1 m2 per l’ingrasso, e che si ritiene opportuno non mettere più di 10-12 suini per singolo box.

Si calcoli anche la dimensione del vascone di stoccaggio dei reflui, e della platea di stoccaggio della frazione solida, utilizzando i seguenti parametri:

TIPO DI STABULAZIONE liquame

(m3 / t peso vivo al mese)

% volume solido

% liquido

gabbia parto con fossa di stoccaggio sottostante 4.5

poste singole su pavimento fessurato 3.0

box multipli a pavimento interamente fessurato 3.0

box multipli a pavimento parzialmente fessurato 4.5

box a pavimento pieno con corsia di defecazione esterna fessurata

4.5

gabbie multiple con fosse di stoccaggio sottostanti 3.0

3-5% 95-97%

SuiniSuiniSuiniSuini

5. L’alimentazione del suino

apparato digerente del suino

Il suino è un monogastrico onnivoro. In quanto tale, è in grado di consumare alimenti di origine animale e vegetale. Possiede un robusto apparato masticatore (formula dentaria: I 3/3, C 1/1, PM 4/4, M 3/3). Le ghiandole salivari sono molto sviluppate, in quanto può produrre anche 15 litri di saliva al giorno. Ha un intestino tenue ben sviluppato ed un intestino crasso caratterizzato da un cieco piuttosto voluminoso, utile all’animale per le notevoli fermentazioni batteriche che vi avvengono. Grazie a tali fermentazioni si sviluppano acidi grassi volatili (AGV), vale a dire acido acetico, acido propionico e acido butirrico, che l’animale assorbe ed utilizza a fini energetici; da questa fonte proviene dal 5 fino al 12% dell’energia di cui l’animale ha bisogno. La fonte energetica principale del suino è comunque il glucosio proveniente dalla digestione e dall’assorbimento di amido e zuccheri. La fonte di sostanze azotate è invece costituita principalmente dagli aminoacidi presenti nell’alimento. Alcuni di questi non possono essere sintetizzati autonomamente dal suino, e sono detti “aminoacidi essenziali”. I batteri assicurano anche la sintesi delle vitamine B, che possono essere assorbite ma che non coprono completamente i fabbisogni nutritivi del suino.

Le secrezioni digestive prodotte dalle ghiandole salivari, dallo stomaco, dal pancreas, del fegato, dall’intestino tenue del suino apportano una dotazione enzimatica completa, adatta a degradare la maggior parte delle proteine, dei glucidi e

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dei lipidi dell’alimento. Per completare il transito attraverso gli organi dell’apparato digerente, e completare la sequenza digestiva delle sostanze nutritive, il cibo impiega da quattro a sei giorni.

Il suino presenta una certa facilità alla comparsa di ulcere gastro – esofagee. Questa caratteristica, che rientra nella sindrome detta PSS (Porcine Stress Sensibility) è più frequente in alcuni tipi genetici ipertrofici. Oltre all’origine genetica (legata alla presenza di un gene specifico, detto HalS, alotano sensibile), la manifestazione della malattia è favorita da condizioni difficili di vita per il suino, come ad esempio l’affollamento dei box, l’elevata temperatura della porcilaia, l’irregolarità negli orari e nelle modalità di alimentazione, la competizione per il cibo a causa di cattivo dimensionamento dei truogoli.

L’ingestione di alimento da parte del suino, nel caso di alimentazione ad libitum (a volontà) è determinata dal suo senso di sazietà. Il senso di sazietà, a sua volta, dipende dall’energia ingerita: perciò, se diamo all’animale un cibo poco energetico, ne mangerà di più; se gliene diamo uno molto energetico, ne mangerà di meno. In entrambi i casi, tenderà a regolarsi, se può ingerire quanto cibo vuole, mangiando fino a quando ha assunto l’energia di cui ha bisogno.

Per questo motivo le razioni per suini sono solitamente espresse in unità di misura energetiche (es. kcal di energia digeribile) e in % di proteina digeribile.

Esempio: se il fabbisogno di un suino di 65 kg è di 8700 kcal di ED al giorno e di 390 grammi di proteina grezza, posso soddisfare questo fabbisogno con un mangime da 3400 kcal ED/kg e 15,3% PG, oppure con un mangime da 3200 kcal/kg e con il 14,4% di PG.

Nel primo caso l’animale mangerà circa 2,56 kg di alimento che conterranno anche 391 g di PG; nel secondo caso mangerà qualcosa come 2,72 kg di alimento, e l’apporto proteico sarà sempre identico: 391 g di PG.

87003400

= 2,56

2,56× 15,3100

= 391

87003200

= 2,72

2,72× 144100

= 391

La concentrazione energetica dell’alimento viene fatta variare scegliendo con

attenzione le materie prime ed in particolare i cereali, considerando che l’orzo apporta circa 3100 kcal di ED / kg ed il mais circa 3400 kcal di ED / kg.

6. Gli alimenti per suini

Gli alimenti per suini comunemente usati possono essere di produzione aziendale o di acquisto. La scelta tra l’una o l’altra fonte di approvvigionamento è evidentemente legata alla situazione del mercato, che può rendere più conveniente acquistare o produrre in proprio. Resta sempre da considerare anche la necessità di

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superfici per lo smaltimento dei liquami, e l’eventualità di gestire una rotazione colturale anche tenendo conto di questa necessità.

a. il mais e l’orzo Il seme dei cereali è costituito da una cariosside nuda o vestita delle sue

glumelle. Il mais appartiene al primo gruppo; l’orzo fa parte del secondo.

L’endosperma costituisce la parte principale del seme dei cereali. Il valore energetico più elevato è raggiunto dai semi nudi, che hanno una debole quantità di involucri ed una maggiore proporzione di endosperma. I semi dei cereali vengono raccolti ad un elevato contenuto di sostanza secca, salvo casi particolari di raccolta e conservazione di semi “umidi”, come ad esempio il mais con il quale si può fare il pastone di granella umida insilata.

I cereali contengono scarse quantità di zuccheri solubili; l’amido ha invece un ruolo importante: nel mais costituisce il 72% della s.s.. Questo polisaccaride di riserva, molto digeribile, si presenta sotto forma di granelli la cui struttura è tipica per ogni specie botanica.

I cereali contengono pochi glucidi parietali, ma le pareti sono ricche di emicellulose poco digeribili.

In generale, i semi vengono macinati più o meno finemente oppure vengono schiacciati; questa operazione spezza il pericarpo e migliora l’accessibilità dei principi nutritivi agli enzimi digestivi e batterici. Vi sono altre tecnologie applicate per migliorare la digeribilità; si usano ad esempio trattamenti idrotermici come la fioccatura e l’estrusione.

Germe e zona aleuronica sono le parti più ricche di proteine. Le sostanze azotate rappresentano circa il 10% della s.s. dei semi. Si tratta soprattutto di proteine di riserva insolubili. Sono inoltre povere di alcuni aminoacidi, in particolare di lisina.

I semi contengono dal 2 al 6% di lipidi, localizzati soprattutto nel germe. Acido linoleico ed oleico sono i principali acidi grassi insaturi essenziali dei cereali.

b. la soia I semi di soia sono semi oleaginosi caratterizzati dalla ricchezza in sostanze

grasse che può arrivare al 40% della s.s. Ad un forte valore energetico uniscono un buon valore proteico: di qui il nome di oleoproteaginosa.

La loro utilizzazione è limitata dal ruolo dell’involucro intorno al seme e della presenza di sostanze nocive. Alcuni trattamenti tecnologici consentono di ridurre questi svantaggi. La decorticazione consente di eliminare gli involucri; i trattamenti idrotermici invece hanno un doppio effetto: da un canto distruggono le sostanze nocive, dall’altro migliorano la qualità della frazione proteica. Le proteine dei semi trattati sono più digeribili da parte degli enzimi digestivi.

L’utilizzazione più frequente della soia è però in forma completamente diversa, come sottoprodotto dell’estrazione dell’olio. L’industria olearia sottopone i semi di soia ad una serie di trattamenti, che includono la decorticazione, la macinazione, l’estrazione dell’olio con solventi appositi, ed infine la tostatura per eliminare il fattore antitripsico, sostanza che ostacola il processo digestivo delle proteine.

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Il prodotto finale, la farina di soia tostata, ha un basso contenuto di lipidi ma è particolarmente ricco di proteine.

Una razione – tipo per suini potrà contenere il 50 – 55% di mais; il 15% di

soia; il 15% di crusca; il 10% di orzo; 3% di sali; ed un 2% che servirà ad integrare ulteriormente vitamine o alimenti proteici o cereali fino a raggiungere i valori desiderati per la tipologia di animale considerato.

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7. I reflui degli allevamenti suinicoli

a) Caratteristiche generali

I reflui provenienti dagli allevamenti suini vengono comunemente definiti come liquami. Si tratta di una miscela di urina e feci, cui si aggiungono residui di cibo ed acqua proveniente dagli abbeveratoi ed eventualmente, in quantità assai variabile a seconda dei sistemi utilizzati, dalle operazioni di pulizia degli ambienti. Pur con una grande variabilità di situazioni, si può ritenere che mediamente i reflui contengano circa 60 kg di sostanza secca a tonnellata (pari al 6%), un quantitativo di azoto totale pari al 4 ‰ ed un contenuto di P2O5 di poco superiore (4,06 ‰). In particolare, le caratteristiche dell’azoto sono tali (prevalenza di azoto minerale) che questo elemento si rende disponibile alle colture per l’80% nel corso del primo anno di somministrazione, mentre l’azoto residuale, disponibile cioè negli anni successivi, è pari al solo 20%. Questa caratteristica, unita al fatto che il liquame suino non ha effetti particolarmente positivi sulla stabilità strutturale del terreno, rende i liquami suini interessanti per la disponibilità immediata di azoto alle colture, ma non in grado di migliorare i terreni, e particolarmente a rischio di causare inquinamento delle falde nel caso in cui si usino quantità eccessive di liquami rispetto alla capacità di assorbimento delle colture, o si effettuino distribuzioni in campo in periodi non opportuni.

b) Provvedimenti per facilitare la gestione del liquam e suino

Ciò che rende difficoltosa la gestione del liquame suino è la sua scarsa concentrazione e la scarsa presenza di azoto organico residuale. Per ovviare a questi aspetti, sono possibili accorgimenti di vario tipo, principalmente riconducibili alla separazione tra solido e liquido ed all’uso di lettiera.

Con la separazione tra liquido e solido si ottiene una frazione solida (“palabile”) più ricca di nutrienti (è chiaramente più concentrata), di più facile stoccaggio (viene accumulata in platea), e la cui distribuzione in campo può essere effettuata anche in periodi in cui la distribuzione del liquame sarebbe impossibile. La frazione liquida residua mantiene i problemi relativi al possibile inquinamento delle falde, ma risulta notevolmente impoverita di azoto e di fosforo, e pertanto

potenzialmente meno inquinante.

L’uso della lettiera, che viene reintrodotto in alcune aziende almeno per alcune fasi del ciclo produttivo, conduce ad un prodotto finale molto simile al letame bovino, sia per caratteristiche agronomiche che per facilità di gestione, e dunque dal minore impatto ambientale.

Non è inoltre da sottovalutare il maggior benessere animale determinato da stabulazione su lettiera rispetto alla stabulazione su pavimento in cemento pieno o fessurato.

separatore solido - liquido

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c) Miglioramento delle caratteristiche dei reflui suin icoli.

Le problematiche dell’inquinamento da reflui suinicoli possono essere affrontate, con notevole efficacia, già alla loro origine: in allevamento.

Gli interventi possibili riguardano la riduzione del volume complessivo dei liquami; la riduzione delle emissioni di ammoniaca negli ambienti dell’allevamento; la riduzione delle emissioni nel corso degli stoccaggi; la riduzione del tenore in azoto, fosforo, rame e zinco con interventi sulla dieta.

� riduzione del volume complessivo Maggiore è la presenza di acqua nei liquami, maggiori sono i problemi di

gestione dei reflui (aumentano i volumi da stoccare, aumentano i volumi da distribuire per avere un dato apporto di nutrienti al terreno, aumenta il rischio di percolazione nelle falde…). E’ perciò una buona soluzione cercare di diminuire all’origine la quantità d’acqua presente nei liquami. Questa può provenire da tre diverse fonti:

• acque di pulizia

• acque di abbeverata

• urine

Per quanto riguarda le acque di pulizia, il controllo è possibile grazie alla scelta di sistemi di pulizia e di asporto delle deiezioni che vi facciano il ricorso più limitato possibile, ad esempio utilizzando sistemi di pulizia con idropulitrice anziché con acqua a pressione normale; con sistemi che utilizzino il ricircolo delle urine anziché l’acqua per l’asporto delle deiezioni; con sistemi di svuotamento delle vasche di raccolta sottostanti ai grigliati di tipo Lusetti o vacuum.

Per quanto riguarda le acque di abbeverata, mentre è ovvio che il suino deve poter bere a volontà, va però notato che un cattivo funzionamento o un errato posizionamento degli abbeveratoi, o la scelta di un tipo inadeguato di abbeveratoio possono portare a sprechi d’acqua anche notevoli. Va ricordato infatti che gli abbeveratoi vengono spesso utilizzati dai suini per giocare. Le caratteristiche degli abbeveratoi andranno perciò scelte in relazione alle caratteristiche della categoria di suini considerati (suinetti, scrofe in gestazione o in sala parto, suini all’ingrasso…), cui corrispondono fabbisogni idrici diversi; al sistema di stabulazione del settore considerato; alla forma del box, in modo da consentire con facilità l’accesso all’acqua ai suini presenti; al sistema di alimentazione (razionata o a volontà) ed al tipo di alimento (a secco o in broda, pellettato o in farina).

tipi di abbeveratoio

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Per quanto riguarda l’eliminazione d’acqua per via urinaria, questa non è, come si potrebbe pensare, una caratteristica costante. Il volume d’acqua eliminato dipende infatti dalla quantità di sostanze, diverse dall’acqua, che l’animale deve eliminare per via urinaria. Perciò, quanto maggiori saranno tali sostanze, tanta più acqua verrà richiamata a livello renale per diluirle e facilitarne l’espulsione. Una alimentazione errata, ad esempio per un eccesso di sostanze minerali nella razione, un eccesso proteico o una composizione della proteina sbilanciata negli aminoacidi che la formano, comporterà perciò un aumento di volume delle urine, cui si può rimediare con una alimentazione adeguata ai fabbisogni.

� riduzione dell’ammoniaca nei ricoveri Le scelte più diffuse, in merito alle tipologie di asporto delle deiezioni,

comportano la presenza di fosse di stoccaggio al di sotto delle zone di stabulazione. Da qui, attraverso il pavimento fessurato o grigliato, possono svilupparsi notevoli emissioni di ammoniaca e di idrogeno solforato, estremamente dannose sia per gli animali sia per gli operatori dell’allevamento. Tra i possibili interventi di riduzione delle emissioni, vanno ricordati la diminuzione della superficie libera del liquame a contatto con l’atmosfera (ad esempio diminuendo la superficie totale di grigliato, usando un pavimento che combina parte piena per la zona di riposo e parte grigliata nella zona effettivamente usata per la defecazione; oppure con soluzioni che prevedano una fossa a pavimento inclinato, in cui l’accumulo delle deiezioni è limitato alla parte più profonda della fossa)

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Un’altra modalità di riduzione delle emissioni può essere ottenuta diminuendo

il tempo di permanenza delle deiezioni nelle fosse, per esempio utilizzando dei raschiatori all’interno delle fosse.

� riduzione delle emissioni di ammoniaca dagli stoccaggi Molte sperimentazioni cercano di individuare le migliori tecniche di riduzione

dell’emissione di ammoniaca durante la fase di stoccaggio. Alcune di queste, al momento, non sembrano praticabili nella situazione italiana. Molto utile è un corretto dimensionamento dei vasconi di raccolta, con uno sviluppo della profondità nei limiti del possibile, e con l’utilizzazione di pareti verticali.

E’ anche ipotizzabile l’uso di additivi per rallentare l’attività dei microrganismi in senso generale o, viceversa, per facilitare lo sviluppo dei batteri desiderati a discapito di quelli indesiderati. Si possono infine aggiungere al liquame sostanze in grado di assorbire le emissioni di gas più sgradevoli.

� riduzione degli elementi chimici potenzialmente inquinanti L’alimentazione è lo strumento essenziale per ridurre in maniera efficace fin

dall’origine la quantità di azoto, fosforo, rame e zinco che verrà eliminata poi attraverso i reflui. Spesso infatti l’alimentazione risulta eccedente, per alcuni elementi nutritivi, rispetto ai fabbisogni, comportando l’eliminazione delle quantità in eccesso; oppure gli apporti risultano sbilanciati, comportando l’eliminazione delle quantità che non riescono ad essere utilizzate. Le tecniche alimentari cercano perciò di ottenere la massima efficienza di utilizzazione degli alimenti per ogni categoria di suini allevata.

Per quanto riguarda l’azoto , è importante avere chiaro il concetto di “proteina ideale”. Non è sufficiente avere informazioni sulla quantità di proteina di cui il suino ha bisogno (per esempio: 300 g di proteina grezza al giorno), ma occorre ricordare che gli aminoacidi che compongono la proteina si suddividono in essenziali e non essenziali. Gli essenziali devono essere apportati dalla dieta, i non essenziali possono essere sintetizzati dal suino stesso. Gli aminoacidi essenziali devono essere presenti nell’alimento in particolari proporzioni tra di loro. Ogni proteina sintetizzata richiede cioè una specifica combinazione di aminoacidi, ma, se si tratta di un aminoacido essenziale, non può essere “costruito” dall’animale. L’aminoacido che è presente nella quantità più piccola è definito “aminoacido limitante”, poiché limita la quantità e il tipo di proteine che può essere prodotta.

Se l'animale necessita ad esempio di sintetizzare una piccola proteina costituita da 4 arginine, 5 treonine e 3 lisine, una mancanza di qualsiasi di queste impedisce la sintesi di quella proteina. Se il suino ha assorbito 8 arginine, 12 treonine, e 5 lisine, ad esempio, può fare una, ma non due copie di questa proteine. Mentre ha abbastanza arginina per farne due copie (ne ha disponibili 8, e ne servono 4 per proteina) ed ha treonina più che sufficiente per due copie (12 disponibili, 5 richieste), la lisina basta per una sola copia (5 disponibili, 3 necessarie). In questo esempio la lisina è l’aminoacido limitante. Ma ciò non significa semplicemente che il suino può elaborare solo una copia della proteina; la mancanza di lisina significa che

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l’arginina e la treonina disponibili in più sono sprecate. Gli aminoacidi in eccesso non vengono usati a causa degli aminoacidi limitanti, ma non possono essere accumulati e perciò sono rimossi dal corpo con le urine.

L’idea di fattore produttivo limitante è stata sviluppata da Liebig e viene

spesso richiamata dall’immagine di una botte: le singole doghe rappresentano i fattori limitanti (in questo caso, gli aminoacidi essenziali). Quando uno o più di essi sono disponibili in quantità insufficiente, la produzione è consentita fino al livello determinato dal fattore che si trova in quantità minore. Al tempo stesso, gli aminoacidi che non sono stati utilizzati verranno eliminati con le urine, aumentando il quantitativo di azoto escreto dal singolo animale.

Vi è anche un’altra fase in cui sono possibili sprechi di proteine: è il momento della digestione. Le diverse proteine alimentari hanno diverse digeribilità, per cui una quota più o meno grande di esse termina nelle feci senza essere utilizzata.

I provvedimenti utili per ridurre lo spreco di azoto nelle urine sono perciò i seguenti:

• uso di materie prime ad alta digeribilità

• aggiunta di enzimi per migliorare la digeribilità

• controllo degli apporti di aminoacidi essenziali per evitare squilibri

Il contenuto di fosforo va tenuto anch’esso sotto controllo. E’ un elemento

fondamentale per la costituzione dello scheletro e per molte funzioni vitali, ma è anche un elemento chimico scarsamente assorbito dall’intestino dei monogastrici. I

livello produttivo consentito

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suini lo assumono dalle piante, in cui si trova sotto forma di fitati, composti che risultano però scarsamente digeribili perché i suini producono poco enzima fitasi. Una possibilità di intervento è costituita dall’aggiunta di fitasi di origine microbica alla razione. E’ in ogni caso necessario ancora migliorare le conoscenze scientifiche sui fabbisogni di fosforo dei suini, sul contenuto in fosforo degli alimenti, sulla reale disponibilità di questo una volta ingerito dall’animale.

Tra gli elementi minerali che hanno effetto positivo sull’animale, ma negativo sull’ambiente, vanno infine ricordati rame e zinco . Entrambi possono aumentare in maniera significativa l’accrescimento dei suini all’ingrasso, ma per il rame le dosi necessarie per avere un discreto effetto sono vietate per legge, in quanto produrrebbero accumulo nei terreni dopo smaltimento dei reflui d’allevamento. Sia per il rame che per lo zinco si pone il problema di trovare fonti e dosaggi che consentano di utilizzare questi microelementi senza incorrere in problemi di inquinamento ambientale.

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Questo è solo un esempio della scheda che potrebbe essere utilizzata per rilevare i dati durante una visita ad azienda suinicola.

AZIENDA SUINICOLA

Scheda di rilevazione dei dati

Denominazione dell’azienda

Tipo di ciclo (aperto /chiuso)

superficie ha ____ destinazione colturale ______________________

Aspetti riproduttivi

N° scrofe presenti

tipo genetico scrofe

N° verri presenti

tipo genetico verri

parti /scrofa /anno

suinetti per nidiata

svezzati /scrofa /anno

durata svezzamento

peso suinetti svezzati

Aspetti produttivi

alimenti

modalità di somministrazione

prodotto finale

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Aspetti costruttivi (tipo di box, grigliato, ventilazione)

settore scrofe gravide

settore verri

sale parto

post-svezzamento

ingrasso 1

ingrasso 2

Aspetti di gestione dei reflui

asporto deiezioni (modalità)

trattamento deiezioni

utilizzazione