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S TUDI Z ANCAN Politiche e servizi alle persone maggio/giugno n. 3 - 2016 Povertà educativa Effetti delle pratiche di welfare generativo Stare bene a scuola Prima infanzia e integrazione tra servizi Infanzia multietnica Proposte culturali

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STUDI ZANCANPolitiche e servizi alle persone

maggio/giugno n. 3 - 2016

Povertà educativa

Effetti delle pratiche di welfare generativo

Stare bene a scuola

Prima infanzia e integrazione tra servizi

Infanzia multietnica

Proposte culturali

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Rivista bimestrale della Fondazione «Emanuela Zancan» onlus Centro studi e ricerca sociale

Anno XVII - n. 3-2016

Direttore responsabileTiziano Vecchiato

Comitato di consulenza scientificaAnnamaria Campanini, Italo De Sandre, Milena Diomede Canevini, Paolo De Stefani, Cesare Dosi, Sergio Dugone, Flavia Franzoni, Lucia Fronza Crepaz, Paolo Giaretta, Maurizio Giordano, Maria Lia Lunardelli, Augusto Palmonari, Gianpaolo Pe-dron, Emanuele Rossi, Giancarlo Rovati, Daniele Salmaso, Giovanni Sarpellon, Felice Scalvini.

RedazioneGiulia Barbero Vignola, Ingrid Berto, Maria Bez-ze, Cristina Braida, Cinzia Canali, Devis Geron, Elena Innocenti, Roberto Maurizio, Elisabetta Neve, Mattea Paganin, Antonio Prezioso, Gero-lamo Spreafico.

Progetto graficoIngrid Berto

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Rivista associata all’Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2421-230X

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Sommario

3 EditorialeSempre più disuguali

Politiche e servizi

5 Povertà educativa: il problema e i suoi volti

Giulia Barbero Vignola, Maria Bezze, Cinzia Canali, Devis Geron, Elena Innocenti e Tiziano Vecchiato

23 Effetti delle pratiche di welfare generativo: il caso del Comune di Treviso

Maria Bezze e Devis Geron

Ricerche ed esperienze29 Stare bene a scuola, apprendere e crescere in modo positivo

Giulia Barbero Vignola e Valeria Duca

39 Infanzia multietnica e potenziamento linguistico

Cristina Bernardini, Sara Cattaneo e Angela Sebastio

43 Integrazione tra servizi per la prima infanzia a Bassano

Luisa Gusella

Rubriche

48 Recensioni

49 Abbiamo ricevuto

50 Una finestra sul mondo

51 Proposte culturali

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Studi Zancan Politiche e servizi alle persone

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Sempre più disuguali

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Parti disuguali tra disuguali

La crescita delle disuguaglianze è frutto di una irresponsabilità diffu-sa, silenziosa, radicata nella cultura dei diritti senza doveri. È gra-migna che ha assorbito risorse crescenti a danno dei più deboli in uno squilibrio strutturale di welfare che garantisce quasi 2/3 delle risorse agli anziani. Quello che resta, il troppo poco, va ai bambini,

alle famiglie e ai giovani. Il prelievo fiscale sta contribuendo a questo triste andamento. Nel 2014 il get-

tito delle imposte dirette (238 miliardi) è stato superato dalle indirette (247 mi-liardi). Sono aumentate del 3,5% rispetto all’anno precedente, mentre le dirette sono diminuite dell’1,4%. C’è però una differenza sostanziale: quelle dirette sono progressive per ridurre le disuguaglianze, mentre le indirette fanno parti uguali tra disuguali, cioè riamplificano le disuguaglianze. È un andamento paradossale, in contrasto con la Costituzione, che ha fatto della lotta alle disuguaglianze una priorità. Ma il problema è più grave perchè il conflitto tra generazioni non è una lotta «alla pari» e «tra pari». I più piccoli di età hanno bisogno di essere tutelati e protetti, perchè sono disuguali su tutto salvo che nella speranza di vita. Hanno bisogno di diventare grandi, di uscire dalla dipendenza dei genitori, dal non lavo-ro, dall’incapacità economica, dalla scarsa considerazione politica, dai tanti «no» che per i giovani si trasformano in «non autosufficienza» sociale.

Disuguaglianze tra generi e tra generazioni

Nel 2015 il tasso di disoccupazione totale era all’11,9% ma con una distribu-zione disuguale: 40,3% tra i 15-24enni; 29,9% tra i 15-29enni; 17,8% tra i 25-34enni. Tra il 2007 e il 2015 il tasso di disoccupazione totale è aumentato di 5,8 punti; il tasso di disoccupazione tra i 15-24enni di 19,9 punti; tra i 15-29enni di 15,4 punti; tra 25-34enni di 9,5 punti. È cresciuta la disuguaglianza.

Il divario intergenerazionale si è allargato e le sue dimensioni sono profonde e crudeli. Dagli anni novanta le retribuzioni mensili degli uomini di età 19-30 erano del 20 per cento più basse di quelle degli uomini di età 31-60 anni. Nel 2004 questo divario è aumentato al 35 per cento (Rosilia A. e Torrini R., 2007).

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Editoriale

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Non è quindi soltanto un divario di genere, ma fra generazioni che penalizza la vita quando ha più bisogno di farsi strada.

Tra il 1991 e il 2012 i poveri sono aumentati tra i 0-18 e i 19-34enni e non tra gli ultra65enni (Banca d’Italia, 2014). Il tasso di occupazione dei 15-34enni è calato di oltre 10 punti tra il 2008 e il 2013, attestandosi al 40,2%. Il numero di occupati 15-34enni (5,3 milioni nel 2013) è diminuito di 1,8 milioni (-25,4%) rispetto al 2008 (Istat, 2014). A peggiorare la situazione c’è una povertà che dura di più, circa due volte e mezzo il tasso medio europeo. Gli ultimi dati Istat ci con-fermano che l’andamento negativo prosegue a danno delle nuove generazioni.

Fare e non fare

È avvenuto così negli ultimi 15 anni, fatti di tanti trasferimenti in attesa d’al-tro: una nuova misura, una riforma, un piano di lotta... Intanto i trasferimenti hanno mostrato capacità di lenire il dolore e la sostanziale incapacità di affron-tare il problema. I poveri non sono diminuiti, è cresciuta la spesa assistenziale, la deriva delle disuguaglianze sta facendo il resto. I numeri sembrano titoli di fondo che scorrono senza sollevare problemi, ma sono tristemente reali. Rmi 1999-2003: oltre 220 milioni di euro. Bonus straordinario famiglie, lavoratori, pensionati e non autosufficienti: 2,4 miliardi di euro (fondo 2009). Carta acqui-sti: 236 milioni di euro nel 2009, 207 milioni nel 2011, 208 milioni nel 2012, 209 milioni nel 2013, 230 milioni nel 2014, 250 milioni annui previsti dal 2015. Nuo-va carta, 50 milioni per le 12 città della sperimentazione, previsti 100 milioni nel 2014 e 67 milioni nel 2015, previsti 120 milioni di euro 2014-2016 per estensione nazionale, destinati 380 milioni «Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale» per il 2016...

Il Disegno di legge 3594: Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla legge di stabilità 2016) che ha concluso la discussione in XII Commissione, non pro-mette novità. Giulia Di Vita (M5S) intervistata da Sara De Carli (Vita 5 luglio 2015) dice «Non sappiamo nulla e per evitare che succedesse di nuovo avevo chiesto di inserire la valutazione dell’impatto sociale almeno sul raggiungimento degli obiettivi prefissati nel progetto individuale, altrimenti questa diventa una misura assistenziale di sostegno al reddito». Il giorno prima, sempre su Vita, Ileana Piazzoni (PD) diceva: «Lavoreremo proprio per cercare di aumentare il coordinamento fra Stato e Regioni. Come sa lo Stato ha competenza solo sui livelli essenziali ed è la ragione per cui lo possiamo fare, questa misura è definita come livello essenziale». In sostanza, il piano per lottare «in modo nuovo ed efficace contro la povertà» può aspettare, intanto coordiniamoci e affidiamoci ai trasferimenti rimodulati. Non è «che fare» ma «fare come sempre».

Tiziano VecchiatoNoteBanca d’Italia (2014), I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2012, Supplementi al Bollettino Statistico,

5, www.bancaditalia.it. Rosilia A. e Torrini R. (2007), Il divario generazionale: un’analisi dei salari relativi dei lavoratori giovani e

vecchi in Italia, Temi di Discussione, Banca d’Italia, 639.

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Politiche e servizi

Povertà educativa: il problema e i suoi volti

La lotta alla povertà educativa è una grande sfida che chiede di dare a ciascun bambino l’opportunità di sviluppare al meglio il proprio potenziale. Ma cosa intendere per povertà educativa? Sarebbe ridut-tivo definirla semplicemente in negativo come mancanza di qualco-sa (scarpe, libri, strumenti musicali, giochi, …). Se il problema fosse «riempire vuoti e mancanze», i trasferimenti economici degli ultimi anni sarebbero già bastati, nonostante le scarse risorse che il nostro Paese destina agli interventi per famiglia e istruzione. La povertà educativa non è soltanto un problema di reddito. Si lega al contesto sociale, culturale, relazionale che il bambino sperimenta fin dai primi anni di vita. Si associa a componenti di disagio che riguardano salute, capacità cognitive, relazioni, valori e spiritualità. Sono criticità che la legge di stabilità intende affrontare con un apposito fondo di 120 milioni di euro all’anno per tre anni. Può rappresentare una preziosa occa-sione per superare le soluzioni tradizionali, per lottare efficacemente contro la povertà con azioni capaci di garantire ricchezza educativa fin dai primi anni di vita.

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Giulia Barbero Vignola, Maria Bezze, Cinzia Canali, Devis Geron, Elena Innocenti e Tiziano Vecchiato

Una sfida che ha radici lontane

La povertà educativa ha final-mente un posto nelle scelte politiche e sarà una priorità nei prossimi anni. Chiede a tutti di non limitarsi a pensare che

i trasferimenti economici possano bastare. Darli agli adulti può sembrare abbastanza, ma per i bambini e i ragazzi poveri non lo è. Hanno la vita davanti e dare solo denaro sarebbe come ignorarli, negare quello che di meglio hanno a disposizione, le poten-zialità e capacità da sviluppare e che la po-

vertà potrebbe invece soffocare (Tfiey Ita-lia, 2016).

La lotta alla povertà edu-cativa è una grande sfida che mette in discussione i modi tradizio-nali di pensa-re la povertà, come contra-starla, come uscirne, chi la

AUTORI

n Giulia Barbero Vignola, Maria Bezze, Cinzia Canali, Devis Ge-ron, Elena Innocenti, ricercatori Fondazione «Emanuela Zan-can», Padova.

n Tiziano Vecchiato, direttore Fondazione «Emanuela Zan-can», Padova.

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Barbero Vignola G. e altri

stono nel nostro Paese molte riviste anche di notevole valore, che si occupano autore-volmente dei problemi dei nostri ragazzi. Ma sono tutte riviste che affrontano le te-matiche giovanili secondo ottiche speciali-stiche – il diritto, la pedagogia, la pediatria, la psicologia, la psichiatria, la sociologia e via dicendo – o per particolari settori di at-tività – il gioco, lo sport, i mezzi di comuni-cazione di massa – e che quindi di necessità si aprono solo occasionalmente alla interdi-sciplinarietà» (p. 3).

Anche oggi il problema non è risolto e si è perso molto tempo. Le riflessioni di Donati (1984) lo prefiguravano parlando di malessere diffuso in tre ambiti educativi: famiglia, scuola e servizi sociali. Parla di ge-nitori che «generano figli con motivazioni puramente compensative e li allevano se-condo esigenze che poco o nulla hanno a che fare con i bisogni e i ritmi specifici del bambino» (p. 20). Parla di insegnanti, che non riescono ad instaurare una comunica-zione valida perché assorbiti da problemi organizzativi. Chi insegna «si trova spesso costretto a rappresentare un mondo istitu-zionale pubblico fatto di programmi, di cur-ricoli, di metodi organizzativi che non sente come suoi (o che condivide solo in parte)» (p. 21). La critica più dura è rivolta ai servi-zi sociali: «dove il bambino è oggetto di un intervento, quasi sempre ex post e sintomati-co, che si interessa a lui in quanto deviante o disadattato, comunque debole o malato, quindi come oggetto di un trattamento che viene inteso secondo parametri di crescente medicalizzazione della vita» (p. 21).

Bertolini (1984), nella stessa rivista, ag-giunge una riflessione semplice e disarman-te: «non possiamo esimerci dal porre con forza il problema del cosa fare, non solo e non tanto domani quanto subito, per ridare a quella rivoluzione a favore del bambino il suo significato e il suo valore originario; o, quanto meno, per impedire che la situazio-ne si deteriori ulteriormente con il rischio di diventare irreversibile. Il bambino, infat-ti, non può aspettare, perché per lui il tem-po è il suo futuro» (p. 36).

vive. Per i bambini significa vita possibile, con o senza le opportunità necessarie, al momento giusto e nel modo giusto.

Ma cosa intendere per povertà educati-va? Parlare di povertà educativa è più facile quando si pensa alla «mancanza di qualco-sa»: scarpe, libri da leggere, strumenti per suonare, giocare, esprimersi, scuole sicure... Se il problema fosse «riempire vuoti e man-canze», i trasferimenti degli ultimi 5 anni sarebbero bastati. Ma la domanda resta e riguarda tanti, troppi bambini che vivono in questa condizione.

È la criticità che la legge di stabilità ha pensato di arginare, anzi di affrontare con un fondo di 120 milioni di euro all’anno per tre anni. Servirà per avviare laboratori educativi non prestazionistici, trovare solu-zioni, lottare realmente contro la povertà, con azioni efficaci per aiutare, per garan-tire ricchezza educativa fin dai primi anni di vita.

Nel 1983 il Censis ha pubblicato un rap-porto, La scuola del malessere, nel quale met-teva a fuoco le luci e le ombre del siste-ma educativo italiano. La scuola dovrebbe essere spazio di vita, di apprendimento, di relazione, per accompagnare i bambini dall’infanzia all’adolescenza e verso la vita adulta. Ma nel rapporto si fa riferimento al rischio che le strade si dividano: «da un lato la gestione dell’apparato, l’ingegneria istituzionale delle riforme, le pur legittime preoccupazioni di distribuzione delle risor-se; dall’altro i processi reali, la vita quoti-diana della scuola, le potenzialità concrete di trasformazione e di innovazione» (p. 7). I termini usati per descrivere la scuola sono «malessere», «disagio», «deriva».

L’anno dopo (1984) usciva il primo nu-mero della rivista Bambino Incompiuto con l’intenzione di avviare una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Alfredo Carlo Moro, nell’appassionata presentazio-ne, sosteneva che non c’è bisogno di ag-giungere nuovo sapere ai molti saperi di-sponibili, mentre è necessario colmare un vuoto di visione globale, interdisciplinare dei problemi: «È innanzitutto vero che esi-

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

Il rapporto Giarda (2012) lo aveva ben evidenziato: la spesa per protezione sociale rappresentava il 4,2% dei consumi pubblici nel 1990 e il 5% nel 2009; nello stesso arco di tempo, l’incidenza della spesa sanitaria è aumentata dal 32,3% al 37% mentre è di-minuita proprio l’incidenza della spesa per istruzione dal 23,1% al 17,7%.

La spesa pubblica per la famiglia non è stata ridotta, perché è già agli ultimi posti in Europa, in particolare quella destinata alle famiglie con figli, che sono a più alto rischio di povertà (Istat, 2016)1. Dai dati Eurostat emerge che circa il 60% della spe-sa per la protezione sociale è destinato ad «anziani e superstiti» (contro il 46% medio in Europa, nel 2012) e poco più del 4% a famiglia e infanzia (contro oltre l’8% medio in Europa).

Le conseguenze sono pesanti, soprattut-to nei servizi per la prima infanzia: pochi, costosi e non accessibili per i bambini po-veri. Nell’anno scolastico 2012/2013 sol-tanto il 13% di loro con meno di 3 anni ac-cedeva ai servizi socio-educativi comunali. Il dato aggregato nasconde però enormi divari territoriali, con un’offerta pubblica di nidi al 2% in Campania e al 24,8% in Emilia-Romagna (Istat, 2014). Il dato non migliora se consideriamo l’offerta pubblica e privata: insieme valgono il 3,8% in Cam-pania e il 33,5% in Emilia Romagna.

Dagli anni ‘80 ad oggi sono cambiati il mondo, le aggregazioni politiche, i rapporti economici, le tecnologie… Ma questi pro-blemi rimangono non affrontati. Ai bambi-ni non si può dire che la scuola va miglio-rata, che la famiglia è in crisi, che la politica si occupa dei più vecchi, che la mobilità sociale non c’è più. È impoverimento che rende oggi tutto più difficile e che ripro-pone la domanda: come lottare contro la povertà educativa?

Con quali risorse

Quando i problemi sembrano soverchia-re le possibilità si dà la colpa al deficit, alle poche risorse, ai tagli, alla crisi. In parte è vero, la scuola è il settore che più ha risen-tito del contenimento della spesa pubblica. L’Italia è uno dei pochi paesi (su 30 consi-derati) dove la spesa pubblica per istruzio-ne in rapporto al Pil è calata nella prima fase della crisi economica, tra il 2008 e il 2010 (Ocse, 2013). Dai dati della Banca Mondiale (2016) emerge inoltre che nel 2011 l’incidenza della spesa pubblica per istruzione sul Pil in Italia era pari al 4,1%, contro percentuali del 4,8% in Spagna e Germania, 5,2% negli Usa, 5,5% in Francia e 5,8% nel Regno Unito, fino al 6,5% in Svezia.

Fig. 1 – Nidi comunali (a), spesa media utente e percentuale della spesa compartecipata, Italia, 2008/2009 - 2012/2013

(a) Sono comprese le strutture comunali, le rette e i contributi pagati dai Comuni per gli utenti di servizi privati. Fonte: elaborazione Fondazione Zancan su dati Istat (2014)

7.000

7.500

8.000

2008/09 2009/10 2010/11 2011/12 2012/13

17,0

17,5

18,0

18,5

19,0

19,5

20,0

Euro di spesa per utente (sx) Percentuale di spesa pagata dagl i utenti (dx)

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Barbero Vignola G. e altri

nella scuola dell’infanzia e non cambia si-gnificativamente negli anni successivi (Re-ardon S.F., 2011).

Il SES non ha a che fare soltanto con la componente reddituale, ma anche con l’occupazione dei genitori e il loro livello di istruzione. È quello che evidenziano Noble e altri (2015b) precisando che l’associazio-ne tra status socioeconomico dei genitori e abilità linguistiche e mnemoniche dei fi-gli è più influenzata dal livello di istruzione dei genitori che dal reddito familiare. È un argomento approfondito in Gran Bretagna da Bukodi e Goldthorpe (2013). In Finlan-dia Kallio e altri (2014) hanno dimostrato che l’abbandono scolastico è influenzato non tanto dalla carenza di risorse econo-miche ma da uno svantaggio di «capitale culturale» della famiglia. La variabilità ne-gli esiti scolastici è maggiore tra i giovani con basso background socioeconomico e concorre a spiegare lo svantaggio educa-tivo. Tenendo conto di questo, gli autori raccomandano politiche di welfare capaci di prevenire l’erogazione di sussidi di lungo periodo alle famiglie con figli minori, per-ché la mera redistribuzione di reddito non entra nel merito dello svantaggio dei figli e di come ridurlo.

Sono ragioni a favore di un più equo accesso ai servizi (sociali, educativi, sani-tari) per la prima infanzia, per ridurre gli svantaggi di partenza (Montserrat C. e altri, 2015). Del Boca (2016) ricorda che i bam-bini che crescono in famiglie con maggiori livelli di reddito e di istruzione beneficiano di maggiori risorse e opportunità. Hanno di più e per questo ottengono di più mentre il contrario avviene per i loro coetanei più sfortunati. Da qui l’importanza di politiche che, da un lato, incoraggino e sostengano i genitori a passare più tempo con i propri figli e dall’altro lato promuovano l’accesso ai servizi per la prima infanzia di qualità soprattutto per i bambini provenienti da famiglie svantaggiate (Lazzari A. e Vanden-broeck M., 2013; Belotti V., 2016).

Un’altra criticità è riconoscibile nella quota di compartecipazione al costo dei nidi comunali da parte delle famiglie, in co-stante crescita (fig. 1).

Una conseguenza è che le famiglie più povere possono accedere sempre meno ai servizi socio-educativi per i bambini, pro-prio nella fase di vita in cui si concentrano le maggiori potenzialità per lo sviluppo del-le capacità (Del Boca D. e Pasqua S., 2010; Geron D. e Vecchiato T., 2014; 2015).

Non è solo un problema di reddito

In letteratura la povertà educativa ha quasi sempre a che fare con lo status so-cioeconomico familiare (SES: Socio Econo-mic Status). Già a 18 mesi è positivamente associato allo sviluppo delle regioni cere-brali, con effetti su conoscenza e apprendi-mento. Chi è deprivato a questa età risente anche biologicamente delle conseguenze della povertà educativa. Per certi bambini può significare rischio di vita. Nel Regno Unito riguarda annualmente 1.400 ragazzi sotto i 15 anni. Il danno per l’economia è di 29 miliardi di sterline ogni anno (Hirsch D., 2013). In sostanza la povertà educativa fa male, mentre investire nella vita fa bene.

Le disparità di SES possono comportare differenze nelle capacità mnemoniche e lin-guistiche già nei primi 2 anni di vita (Noble K.G. e altri, 2015a). Hanno a che fare con la quantità e qualità dell’esposizione lingui-stica in casa (numero di libri disponibili, frequenza di lettura assieme al bambino a parità di livello di istruzione dei genitori), con conseguenze nelle reti neurali che sup-portano lo sviluppo linguistico. Altri fattori legati alle disparità socioeconomiche pos-sono essere ricondotti allo stress dei geni-tori nell’accesso a risorse materiali.

Negli Usa, negli ultimi decenni, la cresci-ta delle disuguaglianze reddituali è associata a un incremento nelle disparità dei risultati scolastici. Il gap tra ricchi e poveri è più am-pio di quello fra bianchi e neri. Avviene già

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

tuali dei nuclei familiari con figli minori, si evita il rischio di dare per scontato che tutti i membri della famiglia – adulti e bambini – possano beneficiare in misura analoga degli aiuti materiali (Saunders P., 2015).

È una consapevolezza che emerge anche da analisi «tradizionali». È il caso ad esem-pio di Dorota Weziak-Bialowolska (2016) che analizza i livelli di povertà in Europa mettendo in rapporto le differenze in cia-scun paese con il grado di urbanizzazione. La povertà è misurata con un indicatore composito, il Multidimensional Poverty Index (MPI), articolato in 3 sotto-indici ri-guardanti la salute, l’educazione, lo standard di vita. Per l’indicatore «povertà educativa», una persona è povera se ha un basso livello di istruzione che, per i ragazzi tra 16 e 24 anni, significa avere superato la terza media e non essere inserito in percorsi di istru-zione superiore. Per chi ha più di 24 anni significa non avere un’istruzione superiore al diploma. Nel confronto tra paesi, quelli con indici migliori sono Slovacchia, Da-nimarca, Repubblica Ceca, Estonia, Ger-mania, Svezia, Lituania, Austria, Lettonia. Quelli che stanno peggio (più alto livello di povertà educativa) sono Portogallo, Malta, Italia, Spagna, Grecia. L’MPI è correlato positivamente con l’indicatore AROPE, usato da Eurostat per misurare la percen-tuale di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale. Ma andando a scompor-re l’MPI globale nei suoi sotto-indici (salu-te, istruzione, standard di vita) e misurando la correlazione tra questi e l’AROPE risul-ta che quest’ultimo è molto correlato con l’MPI-standard di vita (coefficiente 0,870), abbastanza con l’MPI-salute (0,754) e de-bolmente con l’MPI-istruzione (0,275).

Sono dati che pur semplificando il qua-dro di osservazione, concentrandolo sul tridente «istruzione, salute, condizioni so-cioeconomiche», consentono di conclude-re che la povertà educativa è correlata a in-dicatori classici di tipo economico, ma solo debolmente, perché altri aspetti entrano in gioco per aiutare a capire e spiegare lo svantaggio educativo.

Oltre le semplificazioni

Le conclusioni degli studi citati concorda-no sulla necessità di evitare il rischio della semplificazione, dell’associazione meccani-ca tra carenza di reddito e povertà educativa. Ci sono determinanti «di tipo materiale» che agiscono in associazione con determinanti relazionali e culturali. È quindi riduttivo par-lare al singolare di povertà, poichè esistono diverse condizioni di povertà. Non significa soltanto avere uno sguardo multidimensio-nale nell’analisi ma anche fare spazio alla possibilità che il problema non venga sem-plificato e standardizzato.

Una prima conseguenza importante è uscire da una visione materialistica in cui il problema viene associato a un’unica rispo-sta. Tradizionalmente questa risposta in Ita-lia è identificata con i trasferimenti monetari. Se invece si mettono a fuoco i diversi deter-minanti, spesso legati tra loro, diventa più facile allargare lo sguardo e chiedersi cosa si può fare per ridurre svantaggi che possono trasformarsi in altrettanti danni per la salute, lo sviluppo cognitivo, i percorsi scolastici, le relazioni primarie, insieme fondamentali per lo sviluppo della personalità.

I principali determinanti possono essere mappati in quattro aree: funzionale-organi-ca, cognitivo-comportamentale, socioam-bientale-relazionale, valoriale e spirituale. Sono un telaio tecnico per meglio posizio-nare il problema e le sue configurazioni, per meglio finalizzare le raccomandazioni e verificare la loro utilità. Sono aree che ab-biamo utilizzato per mappare i volti della povertà educativa.

Le analisi recenti evidenziano infatti la necessità di tener conto della diversa natu-ra delle condizioni di «povertà», guardando alle conseguenze che vanno oltre i determi-nanti economico-reddituali di una famiglia. Sono infatti associati alle diverse compo-nenti di disagio che hanno insorgenza con-creta e quotidiana, distribuendosi lungo un orizzonte analitico che va dal campo orga-nico a quello valoriale e spirituale. In que-sto modo, analizzando le difficoltà reddi-

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Barbero Vignola G. e altri

Unite sui diritti del fanciullo e le disposi-zioni del Trattato sull’Unione europea e della Carta dei diritti fondamentali dell’U-nione, vediamo ben rappresentato questo rischio. È tipico di un modo di procedere che, combinando tanti «dover essere», ci fa sentire inadeguati per operare congiunta-mente sui tre grandi obiettivi che vengono proposti e cioè:

– l’accesso alle risorse a partire dalla par-tecipazione dei genitori al mercato del la-voro;

– l’accesso a servizi di qualità, a costi sostenibili per ridurre le disuguaglianze sin dalla tenera età;

– la partecipazione alla vita sociale, in-coraggiando la partecipazione alle attività ludiche, ricreative, sportive e culturali.

Lo ha ribadito recentemente il Consiglio d’Europa (2016), sostenendo che la pover-tà e l’esclusione sociale dell’infanzia posso-no essere affrontate con sistemi integrati di risposte, coniugando misure preventive, di sostegno alla famiglia, con servizi educativi e di cura per la prima infanzia, con servizi sociali e politiche abitative adeguate. Sono affermazioni che evidenziano la distanza tra le «raccomandazioni politiche» (cioè adottate e proclamate formalmente), la ra-zionalità pratica (la responsabilità di ope-rare nella realtà quotidiana con le risorse a disposizione), le evidenze scientifiche (ne-cessarie per puntare a risultati affidabili). Si tratta sostanzialmente di agire tenendo conto che il problema non è risolvibile con ricette astratte ma con scelte consapevoli che non c’è niente di più concreto, urgen-te, tragico, sfidante della sofferenza vissuta quotidianamente dai bambini.

Vediamo allora come la mappa ci può aiutare a pensare e ad agire utilizzando le quattro dimensioni che qui riproponiamo in forma grafica (figura 2). La complessità dei problemi non deve portare alla conclu-sione che non è possibile affrontarli. Anzi focalizzando meglio «i problemi e le poten-zialità» aumenta la possibilità di ottenere esiti positivi verificabili (Canali C. e altri, 2011).

Una mappa per orientarsi

Come meglio definire la povertà educa-tiva? Nella raccomandazione della Com-missione Europea del 20 febbraio 2013 sul tema «Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale» si sottolinea che «La prevenzione si realizza in modo efficace quando si concretizza at-traverso strategie integrate che associano misure di supporto all’inserimento profes-sionale dei genitori, un sostegno finanzia-rio adeguato e l’accesso a servizi essenziali per il futuro dei minori, come un’istruzione (prescolare) di qualità, l’assistenza sanita-ria, servizi nel settore degli alloggi e servi-zi sociali, nonché occasioni per i minori di partecipare alla vita sociale e di esercitare i loro diritti, per consentire loro di realizzare pienamente il loro potenziale e aumentare la loro capacità di resistenza alle avversità» (p. 2).

Potrebbe sembrare un omnibus cioè un «poverty-bus» su cui caricare tutto quello che serve e/o che si ha a disposizione. Ma nel-lo stesso tempo è un punto di sintesi, che non può essere interpretato e banalizzato con la logica «un po’ di tutto», visto che il problema è invece come combinare sapien-temente «il tutto» che spesso è «il poco» che si ha a disposizione. Per questo non è utile pensare la povertà educativa come «man-canza di qualcosa», visto che il punto di partenza è già strutturalmente carente. La ricognizione delle mancanze non deve cioè neutralizzare o ridurre l’apporto delle po-tenzialità che sono native in ogni bambino e sono presenti in ogni condizione di vita. Vanno adeguatamente incoraggiate e valo-rizzate.

Nel fare questo non conviene subire il dogmatismo delle raccomandazioni for-mali che, per loro natura, concentrano il meglio della mediazione politica e culturale di un dato momento storico. Comportano il rischio di pensare che se manca il «tutto che raccomandano» non si possa fare ab-bastanza. Se ad esempio rileggiamo sotto questa luce la Convenzione delle Nazioni

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

con i genitori. Quando non è così, prevale il rischio degli stereotipi e dei preconcetti utilizzati nel curare poco e male i bambini e ragazzi poveri. Per questo gli autori sosten-gono la necessità di ripensare il curriculum di studi dei futuri pediatri, valorizzando e promuovendo una diversa lettura dei pro-blemi e delle condizioni per affrontarli. Sappiamo quanto questa criticità sia diffusa anche nel nostro Paese e quanto queste rac-comandazioni vengano disattese, mettendo in campo una sorta di pregiudizio verso i determinanti sociali e relazionali, enfatiz-zati nei convegni, ma non assimilati nelle pratiche cliniche, malgrado le crescenti evi-denze a disposizione.

A questo proposito, Racine (2016) evi-denzia come la persistenza della povertà minorile e le conseguenze pervasive per la salute pongono sfide inedite al sistema sanitario. L’aumento delle malattie tra i mi-nori poveri negli Usa è rilevante non solo clinicamente ma anche epidemiologica-mente, in associazione con bassi livelli di istruzione, alimentazione inadeguata, deficit ambientali e genitoriali. Insieme concorro-no a determinare peggiori condizioni di sa-lute. Lo stesso autore, nell’associare l’insuf-ficiente capacità educativa e la persistenza della povertà con il carico di malattia, l’ali-mentazione, le condizioni socio ambientali, identifica forme di morbilità pediatrica che non possono essere affrontate solo con strategie di compensazione (farmacologi-che e prestazionali). Le raccomandazioni dicono infatti che esiti più stabili si posso-no ottenere reingegnerizzando le pratiche sanitarie, orientandole verso le persone, va-lorizzando le capacità delle famiglie e delle comunità.

È una sorta di sconfinamento di campo: dall’analisi clinica e delle evidenze biomedi-che si passa alle «raccomandazioni di policy». In mezzo ci sta il mare delle pratiche pro-fessionali tradizionali, impermeabili e spes-so ingiustificate, ma assecondate dalle non scelte politiche. La conseguenza è non an-dare in profondità, fermarsi alla superficie dei tracciati prescrittivi, riprodurre l’agire

Fig. 2 – Mappa concettuale

Fonte: Fondazione Zancan, www.personalab.org

Povertà educativa e sviluppo psicofisico

Nel primo quadrante lo svantaggio so-cio-economico è collegato a condizioni negative di salute. Nel breve termine è as-sociato a forme di ritardo e scompenso (ad esempio asma, carie dei denti, obesità). Nel lungo periodo è associato ad una maggior incidenza di malattie mentali, cardiache, morti premature. La relazione tra povertà e salute dei bambini è affrontata ad esempio da Wickham e altri (2016). È un’associazio-ne letta in rapporto a diverse condizioni di povertà (basso reddito, deprivazione ma-teriale, utilizzo dei trasferimenti di welfare ecc.). Nel Regno Unito i bambini poveri hanno maggiori probabilità di morire nel primo anno di vita, di respirare fumo pas-sivo, di soffrire di sovrappeso, di asma, di carie dentarie. A questo, in proiezione suc-cessiva, fanno seguito l’andar male a scuola e minori opportunità occupazionali.

Chamberlain e altri (2016) negli Usa leg-gono il problema in chiave professionale. Molti medici non hanno un’adeguata for-mazione sulle relazioni tra povertà e salu-te, necessaria non solo per comprendere i determinanti sociali dei problemi di salute ma per meglio gestire il passaggio tra dia-gnosi, prognosi e interventi necessari per meglio instaurare un rapporto «educativo»

Cognitivocomportamentale

Funzionale organico

Socio ambientale relazionale

Valorialespirituale

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e Vandenbroeck M., 2013). Le madri espo-ste a persistenti difficoltà economiche non solo hanno maggiori probabilità di essere stressate ma sono anche meno capaci di stimoli cognitivi nei confronti dei figli, per il minore coinvolgimento nelle interazio-ni con loro (Blanden J. e Machin S., 2010; Sullivan A. e altri, 2010). Altre conseguenze sono osservate negli scarsi risultati di tipo sociale, emotivo e comportamentale nell’a-dolescenza (Bradley R.H. e Corwyn R.F., 2002). Nel «Millennium Cohort Study», uno studio longitudinale condotto in Gran Bre-tagna, è emerso che il livello di istruzione dei genitori è il più forte predittore dello sviluppo cognitivo dei bambini all’età di 11 anni (Sullivan A. e Brown M., 2014).

L’educazione dei genitori è anche corre-lata con il volume di alcune aree corticali tra i 4 e i 18 anni (Avants B.B. e altri, 2015; Hair N.L. e altri, 2015; Noble K.G. e altri, 2015b). Il nutrimento che i genitori assicu-rano ai figli ha a che fare con lo sviluppo volumetrico dell’ippocampo (memoria e apprendimento) tra i 4 e gli 8 anni. Il red-dito e il livello di istruzione della madre è risultato correlato con la crescita dell’area frontale e parietale del cervello nei bambini da 1 mese a 4 anni e nello sviluppo volume-trico nell’ippocampo e nell’amigdala (emo-zioni) tra i 4 e i 22 anni.

Johnson e altri (2016), analizzando studi condotti negli ultimi 5 anni sul funziona-mento cerebrale, ricordano che le conse-guenze osservate nei paesi sviluppati inte-ressano 1 bambino su 5 in condizione di povertà. In sintesi ci sono associazioni tra SES e sviluppo cerebrale in aree rilevanti e sensibili che interessano la memoria, le emozioni, le funzioni cognitive, le abilità linguistiche in associazione con i «mediato-ri ambientali» che, come sappiamo, sono di diversa natura in casa e nello spazio di vita. Si concretizzano ad esempio nella mancan-za di giocattoli e di qualcuno con cui gio-care, nelle carenze comunicative e linguisti-che, nella scarsità di parole e conversazioni, nella mancanza di nutrimento biologico e mentale, nell’abbondanza di stress che i

prestazionale, non fare diagnosi precoce di rischio, non entrare nelle case, non guarda-re oltre il sintomo, oltre il recinto della pro-pria disciplina. Sono, in sostanza, patologie operative che non accettano e non esten-dono, fin dai primi anni di vita, i compiti educativi «oltre la sfera delle responsabilità genitoriali», evitando di metterle a carico anche di quanti operano a diretto contatto con figli e genitori.

Povertà educativa e sviluppo cognitivo

La psicologia dello sviluppo e la neuro-scienza hanno mostrato, a diversi livelli di analisi, come la povertà possa influenzare lo sviluppo cognitivo, la salute mentale, emo-zionale e comportamentale (Yoshikawa H. e altri, 2012). Gli studi fino agli anni ‘80 si sono concentrati sugli effetti della depri-vazione materiale, con riferimento al SES, che come abbiamo detto è una misura composta da reddito, livello di istruzione, occupazione dei genitori. Hanno permesso di evidenziare che, durante i primi 20 anni di vita, un basso livello socioeconomico è associato a maggiori disturbi di apprendi-mento e ad un tasso più elevato di abban-dono scolastico (Bradley R.H. e Corwyn R.F., 2002). Dalla metà degli anni ‘90 diver-si ricercatori hanno utilizzato i paradigmi neurocognitivi per confrontare i bambini con diversi livelli di SES, considerando la capacità di attenzione, la memoria a breve termine, la consapevolezza fonologica, la capacità di prendere decisioni (Lipina S.J., 2014; Pavlakis A.E. e altri, 2015; Urashe A. e Noble K.J., 2016).

Si è meglio chiarita l’associazione signi-ficativa tra povertà e sviluppo cognitivo, successo scolastico, prospettive educative e di successo in età adulta (Carneiro P. e altri, 2007), riconoscendo che anche espe-rienze di povertà di breve durata nella pri-ma infanzia possono avere effetti duraturi sullo sviluppo cognitivo e non cognitivo (Del Boca D. e Pasqua S., 2010; Lazzari A.

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

tutto etico, nella misura in cui non vengono offerte le stesse opportunità, anzi maggiori opportunità ai bambini che ne hanno più bisogno.

Povertà educativa e capitale relazionale

Il dato più immediato che emerge guar-dando alla povertà dei bambini è la povertà relazionale. Ma come definirla? Se lo sono chiesti Hjalmarsson e Mood (2015) alla luce dei risultati di uno studio longitudinale su ragazzi 14-15enni in Svezia. È povertà nelle relazioni con i propri compagni di classe. Gli studenti con minore disponibilità di ri-sorse economiche hanno minori relazioni sociali in classe (numero di amici e proba-bilità di avere amici). Le minori risorse eco-nomiche si traducono in minori possibilità di partecipare ad attività sociali, di accedere a spazi di vita quotidiana, di avere una stan-za per sé. Non è facile compensare questa deprivazione con la partecipazione dei ra-gazzi ad attività sociali, anche se raccoman-data da questi studi che tuttavia avvertono: contemporaneamente vanno valorizzati i rapporti che questi ragazzi hanno con i loro genitori.

Un gruppo di ricercatori danesi si è chie-sto quanto le madri e i padri capiscono dell’educazione e della crescita dei figli. La base di conoscenze è lo studio longitudi-nale DALSC (Danish Longitudinal Survey of Children). I dati raccolti alla conclusione del ciclo delle scuole elementari mettono in luce una maggiore capacità delle madri di spiegare i motivi del rendimento sco-lastico e della crescita psicofisica dei figli. Ma a volte sono proprio le preoccupazioni dei genitori e l’angoscia materna a risultare fonte di incomprensioni con conseguenti deficit educativi.

L’importanza del dialogo tra genitori e figli emerge chiaramente dai risultati del-lo studio longitudinale CRESCERE, che da 5 anni indaga i fattori che favoriscono una crescita positiva2 (Vecchiato T. e Canali

bambini sperimentano in presenza di con-flitti familiari, nel sovraffollamento dell’a-bitazione, nel disordine sistematico. Sono «tossine» ambientali e relazionali, a cui si aggiunge il fumo, l’inquinamento dei con-testi degradati, la mancanza di bellezza e armonia. Se è vero, come molti autori sot-tolineano, che anche bambini provenienti da famiglie agiate possono soffrire di alti livelli di stress, è tuttavia chiaro che i bam-bini «poveri» sono più esposti e possono contare su minori risorse per attutirne gli effetti (Cooper K. e Stewart K., 2013). Ad esempio all’età di 5 anni, i bambini prove-nienti dal quinto più povero delle famiglie britanniche sono indietro di oltre un anno rispetto al livello atteso di sviluppo. I divari nei risultati scolastici tra «poveri» e «ricchi» sono evidenti soprattutto negli anni se-guenti e non sono facilmente recuperabili senza un utilizzo dei servizi sanitari e socia-li (Wickham S. e altri, 2016).

Una migliore conoscenza dei «mediato-ri» tra povertà e sviluppo cognitivo, secon-do Johnson e altri, potrà venire dagli studi longitudinali perché, valutando lo sviluppo nel tempo, possono fornire informazioni cruciali sui processi neurocognitivi e confu-tare le convinzioni relative alla loro irrever-sibilità. Va cioè scoraggiata la profezia che si auto adempie, quando condanna i bambini poveri a non avere gli aiuti e le opportunità necessarie per affrontare i problemi duran-te il loro sviluppo e per compensare i danni dello sviluppo inadeguato.

Alcuni programmi negli Usa hanno ad esempio mostrato come l’impatto della po-vertà nella sfera cognitiva e comportamen-tale possa essere prevenibile e reversibile. Il «Perry Preschool Program» ha permesso a bambini di 3-4 anni provenienti da famiglie a basso reddito (gruppo sperimentale) di partecipare ad un programma prescolasti-co di qualità, con effetti positivi e duraturi sui punteggi nei test, sui risultati educativi e sulle abilità sociali. Non è avvenuto lo stes-so per altri bambini che non hanno parte-cipato al programma (gruppo di controllo). È quindi un problema tecnico ma soprat-

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Barbero Vignola G. e altri

modo la necessità di adottare un approccio che leghi le motivazioni alle responsabilità da condividere. Non sono caratteristiche dell’individuo da accertare in termini di presenza o assenza, ma processi relazionali di cui avere cura costante. Possono fare la differenza nella riuscita scolastica e vitale (Barbero Vignola G. e Duca V., 2016).

Povertà e valori

Considerare nella mappa anche il rappor-to tra povertà educativa, valori e spiritualità non è semplice. Gli studi sulla spirituali-tà sono in gran parte rivolti agli adulti, in particolare a quelli che vivono momenti di difficoltà. Esiste meno letteratura sulla que-stione della spiritualità dei bambini o degli adolescenti. Molti studi fanno riferimento alla religione ma non al tema più vasto che lega valori e spiritualità (Rich Y. e Cinamon R.G., 2007). Eppure sono dimensioni es-senziali per la salute e il benessere di ogni persona, sono essenza della persona. Ogni individuo lo sperimenta in modo diverso e lo vive nella cultura, nella storia familiare, nei contesti in cui vive. Una ricerca di King e altri (2014) evidenzia come, in un gruppo di adolescenti intervistati, la spiritualità non è solo trascendenza ma anche una modalità per comprendere gli altri e il mondo intor-no, dove sviluppare comportamenti, scelte, guardando al futuro.

La spiritualità va considerata senza circo-scriverla alla religione, per entrare nel meri-to della profondità della persona. È fonda-mentale come il respirare ed è attraverso la spiritualità che si sperimenta la trascenden-za (Burkhardt M.A., 1991). I bambini in ge-nerale sono più intuitivi degli adulti e vivo-no la loro spiritualità naturalmente, come parte della loro vita, a livello personale e nelle relazioni con le persone, l’ambiente, la natura. Ripercorrendo le fasi di vita di un bambino si possono individuare profonde connessioni spirituali: quando il bambino è ancora nell’utero della madre sperimenta un legame profondo di connessione, di sicu-

C., 2013; Barbero Vignola G. e altri, 2016). Quando c’è un dialogo agevole con il pa-dre e la madre, i ragazzi si sentono mag-giormente protetti e supportati dalla fami-glia, hanno maggiore fiducia in se stessi ed esprimono maggiore benessere. A 13 anni il 75% dei ragazzi riesce a dialogare facil-mente con la madre di temi che li preoc-cupano veramente. Più della metà (53%) dichiara che è «facile/molto facile» parlare con il padre. Il legame con entrambi i ge-nitori è forte ed emerge una correlazione statisticamente significativa tra le due varia-bili (Pearson r = 0,506; p < 0,001): quanto più è facile parlare con il padre, tanto più è facile parlare con la madre. Viceversa, se il dialogo è difficile con uno dei due genito-ri, tendenzialmente lo è anche con l’altro (Barbero Vignola G., Bezze M. e Maurizio R., 2015).

I dati dello studio indicano una serie di fattori sociorelazionali da tenere in consi-derazione. I ragazzi hanno un atteggiamen-to positivo verso la scuola e sono più moti-vati a studiare se il contesto scolastico può essere vissuto come un luogo in cui star bene, studiando per crescere e non solo per imparare (Barbero Vignola G. e Duca V., 2014). Tra i fattori che favoriscono il benessere a scuola vi sono le esperienze di successo formativo e la possibilità di trova-re una risposta adeguata ai propri bisogni (Cornoldi C., 1995; De Beni R. e Moè A., 2000). È un circolo virtuoso in cui la mo-tivazione allo studio, lo stare bene, il suc-cesso formativo si alimentano a vicenda. Quando questo non funziona, il circolo di-venta vizioso, ovvero l’insuccesso alimenta la demotivazione e prosciuga lentamente l’impegno, che a sua volta porta il ragaz-zo verso ulteriori insuccessi. Per spezzare questo meccanismo, sono necessarie inie-zioni di benessere, dando l’opportunità di sentirsi capaci e competenti, degni di fidu-cia e valorizzati nelle proprie potenzialità. Ad esempio i ragazzi giudicano bene i loro insegnanti non per quanto sono bravi ad insegnare ma per quanto si sentono rispet-tati da loro. Si conferma anche in questo

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

ricerca e sperimentazione, per dirci quan-to «sentirsi amati, curati, rispettati, valoriz-zati» può fare la differenza3. Vale per ogni bambino ma ancor di più per chi affronta in modo disuguale le sfide dei compiti di sviluppo. In molti degli studi che abbiamo citato emerge infatti il differenziale del cu-rare e del prendersi cura e come si associa al buon esito degli aiuti, in particolare di quelli che potrebbero avere un contenuto materialistico. Eravamo partiti da questo ri-schio, stigmatizzato con i termini assisten-zialismo e prestazionismo. Se la lotta alla povertà educativa fosse concepita come trasporto di aiuti differenziati (dai trasfe-rimenti economici ai sussidi scolastici, agli strumenti per giocare, imparare, esprimersi in modo musicale, pittorico…) non avrem-mo la possibilità di mettere a rendimento il capitale investito e potremmo scoprire che gli «aiuti» non aiutano, come la semente quando cade tra i sassi, i rovi o nel terre-no buono. Il problema non è quanto si dà ma come e chi lo riceve. Deve aver la pos-sibilità di sentirsi valorizzato, di vivere l’e-sperienza anche emozionale di poter con-correre al risultato, di non subire pratiche compassionevoli.

I poveri sono persone e i bambini poveri lo sono ancora di più, perché a loro viene chiesto di crescere bene, malgrado il SES, le deprivazioni, gli svantaggi che hanno accumulato. Questi fattori possono essere mappabili nei termini che abbiamo propo-sto, possono essere utilizzati come profili di bisogno e di capacità, possono essere utilizzati per verificare i cambiamenti resi possibili da pratiche generative (Fondazio-ne Emanuela Zancan, 2015).

Nella lotta alla povertà, lo sappiamo, sono stati assecondati gli approcci presta-zionistici che non valorizzano la relazione, l’incontro con le persone, le capacità e le forze. Il prestazionismo ha assecondato gli scambi di materiali: oggetti, denaro, beni di prima necessità e quindi incapaci di occu-parsi di quanto sta oltre. Per i bambini è la vita davanti, con un presente che è il loro futuro, come ci ha ricordato Bertolini.

rezza e protezione; nel periodo dell’infan-zia conosce i sentimenti dell’attaccamento, della cura, della fiducia, del sentirsi curato, del sentirsi amato. Via via che cresce speri-menta l’appartenenza, la fiducia negli altri, i valori che legano l’interiore con l’esteriore. Burkhardt nell’affrontare la spiritualità nei bambini fa molta attenzione ai rapporti tra figli e genitori e a quanto profondamente influenzano la crescita.

I valori e la spiritualità si esprimono in tanti modi riconoscibili facendo attenzione alle forme espressive in cui si manifestano: nel gioco, nell’arte infantile, nella bellezza e nella bontà che i bambini sentono e cerca-no. Secondo Holloway e Moss (2010) ogni persona ha bisogno di esplorare i modi con cui la spiritualità aiuta a comprendere l’u-manità, le relazioni con gli altri e l’ambien-te. Per questo suggeriscono agli operatori di trovare punti di collegamento tra spiri-tualità e vita quotidiana, per meglio ricono-scere la centralità della persona oltre le cose e le condizioni materiali.

Bezze (2014) lo ha evidenziato, precisan-do come i bambini abbiano una spiritualità naturale, che si manifesta in domande su questioni spirituali e soprattutto nella ricer-ca di dare senso alle esperienze che vivo-no. La spiritualità si nota nel gioco libero, nell’espressione artistica, nelle reazioni fi-siche come, ad esempio, essere silenziosi e concentrati in alcuni momenti o esuberanti in altri. La spiritualità nei bambini è prima di tutto un modo di essere e di crescere. Significa che è possibile incontrarla nei luo-ghi e nei momenti in cui il bambino vive il suo essere al mondo, ogni giorno, a contat-to con i genitori, nella comunità che vive con loro (Nye R., 2009) e che può impove-rirlo accogliendolo male e trasformando il meglio che ha in deprivazione esistenziale.

Se manca l’amore

È un dubbio o una certezza? Bion, Pia-get, Erikson, Fromm, Bollea … hanno trasformato questa domanda in terreno di

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Barbero Vignola G. e altri

ragione, è necessario capire se e come ven-gono utilizzati, con quale impatto socia-le, se sono generativi di capacità e risorse (Vecchiato T., 2016). È l’occasione che ci mette a disposizione il fondo contro la po-vertà educativa. Riuscirà ad essere un fon-do di investimento da utilizzare senza con-sumarlo, trovando modi per reinvestirlo in un concorso di capacità e responsabilità? Esperienze recenti ci hanno insegnato che non basta agire su piccoli numeri con tan-te risorse, che è necessario andare oltre i risultati di processo per concentrarsi sugli esiti, che è possibile collegare gli esiti con l’impatto sociale, che è possibile misurare il valore economico degli investimenti per l’infanzia, che la condivisione dei risultati può alimentare sistemi di fiducia necessari per non trovarsi in futuro a dover ripartire.

Note

1 Secondo l’Istat nel 2015 erano «asso-lutamente poveri» quasi uno su dieci (9,3%) dei nuclei familiari con almeno un figlio minore. L’incidenza aumenta al crescere del numero di figli minoren-ni: la povertà assoluta riguardava infatti il 6,5% delle famiglie con un solo figlio minore, l’11,2% delle famiglie con due figli minori e il 18,3% dei nuclei con 3 o più figli minori (dato in aumento rispet-to all’anno precedente).

2 CRESCERE è uno studio longitudinale che segue nel tempo un campione di 490 ragazzi e famiglie in provincia di Pado-va, dagli 11 ai 18 anni, monitorando la crescita e il loro benessere dal punto di vista fisico, cognitivo, sociale, valoriale e relazionale. È realizzato dalla Fondazio-ne Emanuela Zancan, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Ha il patrocinio dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Per informazioni: www.crescerebene.org.

3 Un’indicazione interessante dello studio Crescere, da meglio approfondire, evi-

L’incontro tra responsabilità può invece essere umanizzante mobilitando le capacità profonde che ogni persona ha a disposizio-ne e che non possono essere ridotte ad abi-lità. Come far dialogare le diverse dimen-sioni? Il problema è «capire le differenze», riportarle al «cosa serve», evitando le prati-che ingenue del fare tradizionale e autore-ferenziale. Pensano di poter confrontare i trattati e i non trattati, di gestire i problemi complessi sotto vuoto relazionale e socia-le, di usare il materialismo metodologico come una chiave per uscire dal chiuso della propria incapacità.

Nel mettere a tema «I giocattoli del bambino e le ragioni dell’adulto» Erikson (1981) ha ben sintetizzato queste doman-de che anche oggi dobbiamo farci con uno sguardo interdisciplinare, per mettere al centro il problema e meglio collegare il sa-pere alle responsabilità, la conoscenza alle scelte tecniche e politiche.

Palmonari (1976) ce lo diceva interro-gandosi sui «Problemi attuali della psicologia sociale» che sintetizzava così: «Vi è poi la prospettiva di incanalare nell’area della psi-cologia sociale i fermenti maturati in aree disciplinari interdipendenti: il nuovo modo di intendere l’influenza dei fattori biologici, il metodo ‘naturale’ della etologia, i concetti enucleati dalle scoperte della psicologia co-gnitiva, la concezione del comportamento come piano orientato ad uno scopo rappre-sentato con strumenti simbolici, la costru-zione sociale del Sé e della identità. Infine l’urgenza di trovare uno stile di lavoro che colleghi correttamente la psicologia sociale a discipline sociologiche ed economiche, al fine di uscire da quella condizione di ‘espe-rimenti nel vuoto’ che da tempo Tajfel de-nuncia» (p. 5-6).

È una linea di ripartenza in cui ritrovia-mo l’apertura auspicata da Alfredo Carlo Moro, necessaria per non fare del bambino un oggetto da vivisezionare con pratiche progettuali settoriali e riduttive.

Ci resta un ulteriore compito. Riguarda la responsabilità di rendere conto dei beni a disposizione. Sono limitati e, a maggior

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

percepito (R2=0,268; p< 0,001). Ci dice che non è la fruizione meccanica di una opportunità, in questo caso mol-to importante, a fare la differenza ma la combinazione degli elementi hard e soft a disposizione.

denzia come l’aver frequentato il nido non influenza ad esempio l’autostima dei ragazzi a 12 anni, al contrario di fat-tori correlati in modo positivo quali il livello di attaccamento al padre, alla ma-dre e agli amici, il supporto familiare

SUMMARY

The fight against educational poverty is a great challenge asking everyone to give every child the opportunity to fully develop their potential. But what does educational poverty mean? Defining it just as the lack of something (shoes, books, musical instruments, games, …) would not be enough. If the issue were about «filling the void», the cash transfers provided over the last years would have been enough, despite the relatively little amount of public resources de-voted to family and education in Italy. Educational poverty is not only a matter of income. It relates to the social, cultural, relational context that children experience from their early years. It is associated with factors of disadvantage concerning health, cognitive skills, relations, values and spirituality. These are issues that the last Stability Law aims to address through a dedicated fund of 120 million euro a year over three years. It can represent a valuable opportunity to overcome the traditional solutions, to effectively fight against poverty through actions capable of guaranteeing educational wealth from the first years of life.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

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Povertà educativa: il problema e i suoi volti

UN PATRIMONIO CULTURALE PER IL FUTURO DEI SERVIZI ALLE PERSONE

Progetto per il recupero e la digitalizzazione degli archivi stori-ci della Scuola Superiore di Servizio Sociale e della Fondazione Emanuela Zancan

L’archivio storico della fondazione Zancan si compone di due fondi che rappresentano il lavoro didattico e formativo, l’attività di ricerca, la produzione culturale ed editoriale sviluppata a Padova a partire dalla metà del novecento dalla Scuola di Servizio Sociale e dalla Fondazione Emanuela Zancan. Il patrimonio culturale è documentato:– dall’archivio storico della Scuola di Servizio sociale, – dall’archivio della Fondazione Emanuela Zancan.

La Scuola di Servizio Sociale ha operato a Padova dai primi anni ’50 fino al 1979. È il periodo fondativo e di maggiore sviluppo del Servizio Sociale in Italia in quanto discipli-na, professione, corpus teorico e metodologico. Nell’archivio sono documentate l’attività didattica, le attività di tirocinio, le relazioni degli studenti, i documenti e i sussidi didattici, gli ambiti di operatività e collaborazione con servizi pubblici e aziende private, le tesi di diploma, le collaborazioni con le Scuole di Servizio Sociale in Italia.

La Fondazione Emanuela Zancan da quando è stata costituita nel 1964 è diventata un punto di incontro e di confronto culturale e professionale nazionale e internazionale sui problemi del welfare, sui servizi alle persone, sulle professioni di aiuto e di cura, sulle innovazioni giuridiche, sulle soluzioni gestionali. È tutto documentato nella produzione editoriale e scientifica (270 volumi), nei documenti elaborati nei circa 700 seminari, nelle collane di riviste pubblicate dalla fondazione (Servizi Sociali dal 1979 al 1999; Politiche e Servizi Sociali dal 1996 al 1999; Studi Zancan dal 2000 ad oggi). L’archivio della fonda-zione aggiunge a tutto questo la documentazione su come tutto questo è stato realizzato, con quali attività, quali collaborazioni, quali relazioni hanno reso possibili i risultati. A questi due fondi documentari si aggiunge la biblioteca della Fondazione che raccoglie oltre 25.000 titoli (libri, monografie, documenti…). Sono testi pubblicati in Italia e in altri paesi che insieme rappresentano un concentrato bibliografico difficilmente reperibile in altre sedi. Insieme costituiscono un patrimonio prezioso che tuttavia potrebbe diventare un thesau-rus accessibile a quanti sono interessati alla storia del pensiero e dell’azione sociale e nello stesso tempo sono interessati a capire il futuro, le sue radici attuali e remote, le potenzia-lità inespresse e su cui investire.Per rendere pienamente accessibili queste fonti è necessario eliminare le barriere materiali che fanno di tutte queste fonti valore un «archivio residente in un luogo» mentre potreb-be essere portato in ogni luogo, a disposizione di tutti gli interessati. La strada che oggi abbiamo a disposizione è la digitalizzazione cioè la trasformazione in formato digitale di tutte le fonti. È un’opera ambiziosa e impegnativa, che abbiamo iniziato da oltre un anno per capire come realizzarla e con soluzioni sostenibili. Le indicazioni raccolte sono pre-ziose e ci dicono come allestire il cantiere. Ci impegnerà nei prossimi anni, coinvolgendo volontari e competenze necessarie per archiviare le fonti, in modi appropriati e facilmente accessibili, anche a distanza .

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Barbero Vignola G. e altri

È impresa impossibile senza il sostegno economico di quanti condivideranno questa scel-ta e la faranno propria. È un problema della Fondazione Zancan e dell’intera comunità sociale (scientifica, professionale, istituzionale) che insieme hanno interesse a vederla re-alizzata. Potremo mettere a disposizione i risultati alle nuove generazioni. Senza memo-ria storica e senza accedere alle radici dei saperi non è facile affrontare le sfide attuali. Chiedono di meglio valorizzare il Servizio sociale professionale, di superare le prassi as-sistenzialistiche, di valorizzare le persone e le loro capacità. Significa ripartire dalle radici dell’azione sociale, preparare il suo futuro, investendo nelle azioni a corrispettivo sociale, nell’incontro tra diritti e doveri, nei potenziali del welfare generativo.

Questo progetto ha bisogno del sostegno di volontari e di un contributo econo-mico. Se vuoi partecipare a questa iniziativa, puoi farlo con un bonifico presso Banca Prossima, Filiale di Milano (IBAN: IIT77P0335901600100000062910) oppure con versamento su Conto corrente postale n.: 12106357.Nella causale del versamento ricordati di indicare: «Patrimonio culturale».

Contiamo sul tuo aiuto!Grazie

Per informazioniTel. 049 663800 - E-mail: [email protected]

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Politiche e servizi

Effetti delle pratiche diwelfare generativo: il caso del Comune di Treviso

L'articolo sintetizza pratiche di welfare generativo realizzate nel Co-mune di Treviso, evidenziandone gli effetti rispetto alle tre componen-ti strategiche: la responsabilizzione, la rigenerazione e il rendimento. Dimostra come sia possibile introdurre nuove modalità di erogazione di interventi sociali, chiedendo alle persone beneficiarie di rendersi re-sponsabili, verso se stesse e verso gli altri. È esperienza che nonostante abbia riguardanto un piccolo numero di utenti tradizionali rispetto a quelli seguiti dai servizi sociali, evidenzia le potenzialità per gestire il passaggio da un approccio assistenziale a uno generativo.

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Maria Bezze e Devis Geron

Pratiche generative

Una delle strategie che ca-ratterizzano il welfare ge-nerativo (WG) è la valoriz-zazione delle capacità delle persone aiutate, attraverso

il loro diretto coinvolgimento in azioni che sono a loro vantaggio ma anche a beneficio della comunità di appartenenza.

Nella proposta di legge sul WG (C. 3763) vengono definite come azioni a corrispetti-vo sociale, intendendo con ciò «attività che comportano il coinvolgimento attivo e re-sponsabilizzante del soggetto destinatario di interventi di sostegno, finalizzato a: raf-forzare i legami sociali, favorire le persone

deboli e svantaggiate nella partecipazione alla vita sociale, promuovere a vantaggio di tutti il patrimonio culturale e ambientale delle comunità, in generale, ad accrescere il capitale sociale» (art. 2).

Con il WG l’erogazione di una prestazio-ne di wel-fare viene collegata, senza pe-raltro pre-vedere una obbligato-rietà, all’at-t ivaz ione del sogget-to destina-

AUTORI

n Maria Bezze, ricercatrice Fon-dazione «Emanuela Zancan», Padova.

n Devis Geron, ricercatore Fonda-zione «Emanuela Zancan», Pa-dova.

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Bezze M. e Geron D.

La sperimentazione

L’articolazione della sperimen-tazione ha previsto la definizione di un protocollo, contenente le indicazioni operative per realiz-zarla. È proseguita con il coinvol-gimento delle persone beneficiarie di interventi sociali. Gli assistenti sociali hanno motivato le persone a partecipare alla sperimentazio-ne, spiegando la proposta, indivi-duando con loro le attività possi-bili, verificandone la realizzabilità e sottoscrivendo infine un accordo. Nella sottoscrizione è stata esplici-tata l’assunzione di responsabilità. La persona è stata messa in grado di realizzare l’attività per la quale si è impegnata, nei tempi e modi concordati. È poi seguita la fase di effettivo svolgimento. Durante la realizzazione gli assistenti sociali hanno condotto verifiche interme-die e finali con le persone.

Poco meno di un terzo delle perso-ne coinvolte ha effettivamente realizzato azioni generative. Questo valore è stato in-fluenzato dai tempi ristretti della sperimen-tazione.

Le 8 persone che hanno realizzato azioni generative nell’arco temporale predefinito, sono quasi tutti uomini, con un’età com-presa tra i 50 e i 66 anni. Si tratta di persone seguite dagli assistenti sociali delle tre aree di bisogno che contraddistinguono l’orga-nizzazione dei servizi sociali del Comune di Treviso: minori-adulti, emergenze socia-li, anziani.

Le attività generative si sono svolte tra novembre 2015 e febbraio 2016, con im-pegni variabili, da persona a persona, per durata e frequenza.

I dati raccolti consentono di evidenziare alcuni risultati rispetto alle tre componenti

tario della stessa, in termini di un impegno sociale a vantaggio di se stesso e di altri. La valorizzazione delle capacità e delle com-petenze degli aiutati è ciò che consente di trasformare gli interventi sociali da consu-mo di risorse in investimento capace di ri-generarle a beneficio di tutti, creando così un maggior rendimento.

Il meccanismo di per sé semplice ha però risvolti non indifferenti nella presa in carico della persona. Per esempio nella fase di analisi e di valutazione della condizione va posta particolare attenzione non solo agli elementi problematici ma anche alle ri-sorse e alle capacità della persona. Inoltre la mediazione professionale diventa fonda-mentale nel far comprendere il legame tra il diritto della persona ad essere aiutata e il suo dovere di aiutare se stessa e gli altri nella logica del «non posso aiutarti senza di te» (Vecchiato T., 2012). In questa prospet-tiva, l’assistente sociale è chiamata ad agire, seppur in sinergia con altri, per trovare il contesto più idoneo a valorizzare le capaci-tà delle persone, non solo per un «riscatto» del singolo, ma soprattutto per promuove-re il valore della persona e il corpo sociale di cui è parte (Innocenti E. e Vivaldi E., 2013).

La scelta del Comune di Treviso

L’amministrazione comunale di Treviso ha deciso di verificare e valutare la fattibili-tà di pratiche generative all’interno dei ser-vizi sociali, non tanto erogando nuovi in-terventi ma individuando modalità diverse di erogazione di quelli esistenti, chiedendo ai beneficiari modi inediti di attivarsi.

A tal fine sono state coinvolte 28 perso-ne adulte in carico ai servizi sociali comu-nali, beneficiarie di interventi di assistenza economica continuativa o straordinaria, contributi finalizzati al servizio di mensa scolastica, assistenza domiciliare e/o inse-rimento in strutture residenziali.

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Effetti delle pratiche di welfare generativo

Effetti in termini di rigenerazio-ne delle risorse

La responsabilizzazione delle persone nel realizzare azioni a corrispettivo socia-le è condizione per rigenerare le risorse di cui hanno beneficiato (rese disponibili dalla raccolta fiscale e redistribuite tramite sussi-di e servizi comunali).

Le attività che le 8 persone coinvolte si sono volontariamente impegnate a svolge-re sono state di vario tipo, in relazione alle capacità/aspirazioni di ciascuna e alle esi-genze del territorio: accompagnamenti di persone anziane, inserimento dati, affian-camento nell’ambito di un corso ludico/ricreativo per utenti dell’assistenza domici-liare, supporto nella gestione di un centro ricreativo, giardinaggio, pulizia, sistema-zione strade, volantinaggio, promozione territoriale per sensibilizzare il pubblico su tematiche specifiche…

Diversa la quantità di tempo dedicata: da un minimo di 6 ore fino ad un massi-mo di 180 ore, con periodi di svolgimento e frequenze differenti da persona a perso-na. In quasi tutti i casi le ore effettivamente realizzate sono state superiori a quelle ini-zialmente previste. Complessivamente, le 8 persone si sono impegnate per 565 ore, pari in media a oltre 71 ore per persona.

Le testimonianze raccolte in sede di veri-fica finale mostrano il valore del (ri)mettere in campo le proprie competenze da parte degli aiutati, generando benefici per sé e gli altri.

Alla domanda «Che cosa pensa dell’e-sperienza? È cambiato qualcosa per lei?» le persone hanno evidenziato:

– «riconoscimento e riacquisizione di al-cune competenze»,

– volontà di proseguire l’attività anche dopo la sperimentazione «per mantenersi attivo e sentirsi impegnato e utile»,

– che l’esperienza è stata opportunità di «riattivazione personale» e «ha ridato dignità»;

– di provare «soddisfazione nel poter dire di avere un impegno giornaliero».

Anche per la positività dell’esperienza

strategiche della logica generativa: respon-sabilizzare, rigenerare, rendere.

Effetti in termini di responsabi-lizzazione delle persone

Come già accennato nel passaggio da in-terventi di tipo assistenziale a interventi ge-nerativi un ruolo cruciale viene svolto dalla capacità dei professionisti di analizzare e valutare bisogni e risorse e di attivare inter-venti efficaci, ponendo particolare atten-zione alla valorizzazione delle capacità del-le persone e alla loro responsabilizzazione.

Il coinvolgimento degli aiutati e la loro adesione alla proposta hanno beneficiato dell’azione motivante degli operatori volta a far emergere nella persona la volontà di assumersi una corresponsabilità rispetto al conseguimento di un beneficio che come abbiamo detto è duplice: è esito su se stessi ed è esito per gli altri, nella misura in cui le attività svolte dalle persone coinvolte pro-ducono un beneficio per la collettività.

Un primo aspetto positivo che emerge dall’esperienza di Treviso è la buona riusci-ta dell’incontro di attivazione tra assistente sociale e persona utente testimoniata dal livello di disponibilità dato dalle persone coinvolte. Metà delle persone sono sta-te completamente disponibili, l’altra metà molto disponibili.

La responsabilizzazione delle persone coinvolte ha comportato una formale as-sunzione dell’impegno a svolgere le spe-cifiche attività individuate, come si diceva, attraverso la sottoscrizione di un accordo. In sede di verifica finale, gli impegni pat-tuiti sono stati in larga misura rispettati. In 7 casi sugli 8 complessivi, l’attività è stata portata a termine nei tempi previsti e nelle modalità concordate. Soltanto in un caso si è registrato l’abbandono del progetto da parte della persona, nonostante un buon avvio nella fase iniziale.

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Bezze M. e Geron D.

per la comunità le attività realizzate dai be-neficiari degli interventi assistenziali.

Nel caso di Treviso non è stato possibile quantificare l’intero rendimento generato riguardante ad esempio il maggior valore relazionale e di socializzazione derivante dall’attivazione degli aiutati e dal loro inse-rimento in nuove reti di relazioni o i be-nefici immateriali in termini di esito per la persona.

Si è preferito stimare il valore economi-co prodotto, ricorrendo ad una quantifica-zione monetaria delle attività generative ef-fettuate. Trattandosi di attività volontarie è stato utilizzato il metodo di stima del costo di sostituzione, in base al quale alle attività realizzate viene attribuito il costo che si sa-rebbe dovuto sostenere se le stesse fossero state acquistate sul mercato. Attribuendo ad ogni ora di attività un valore pari all’im-porto lordo minimo dei voucher Inps, il va-lore monetario delle ore complessivamente svolte dalle 8 persone coinvolte (565) si at-testa a quasi 5.700 euro.

Per determinare quanto le attività han-no effettivamente reso, si può rapportarne il valore così stimato alla spesa sostenuta dal comune per le otto persone coinvol-te. Questa può essere considerata quanto meno pari al costo degli interventi di cui le persone hanno beneficiato nel periodo di svolgimento della sperimentazione, stimato in poco meno di 11 mila euro.

Nell’ottica del welfare generativo tale co-sto può essere considerato un investimen-to in quanto le persone beneficiarie hanno messo a disposizione parte del proprio tempo e impiegato le proprie capacità per produrre valore a beneficio della comuni-tà – ossia plusvalore che non sarebbe sta-to possibile senza di loro. Secondo questa logica, per ogni euro speso dal Comune di Treviso a beneficio delle otto persone coinvolte, le attività in cui queste sono sta-te impegnate hanno generato valore per 52 centesimi. Valorizzando le attività svolte ad un parametro più elevato, il rendimento è stimabile in 79 centesimi per ogni euro spe-so dal comune (tab. 1).

vissuta, 7 delle 8 persone coinvolte: – la ripeterebbero, perché si è provato

gratificazione personale o ci si è sentiti «uti-le come persona e come cittadino»;

– consiglierebbero al Comune di repli-carla con altri utenti, poiché «positiva spe-cialmente per l’autostima» o perché «per-mette di vivere attivamente la propria realtà territoriale» o anche perché «ci sono altre persone che ricevono e devono restituire» alla stregua di quanto hanno fatto gli inter-vistati;

– suggerirebbero ad altri utenti di aderi-re alla proposta, impegnandosi a loro volta nello svolgimento di attività volontarie uti-li per la comunità, in quanto la ritengono «utile per l’autostima della persona e la sua sicurezza» e un’opportunità per «fare nuo-ve amicizie e sentirsi meno soli», ma altresì perché si tratta di un’esperienza «importan-te per se stessi, ma anche per ricambiare l’a-iuto ricevuto dal comune-comunità».

Il grado di soddisfazione delle persone che hanno realizzato azioni generative è stato molto elevato: «completamente» in 3 casi, «molto» in 4 casi, «poco» nell’unico caso di mancato completamento del per-corso sperimentale. A riprova della com-plessiva soddisfazione dei partecipanti, in tre casi è stata formalmente prevista una proroga dell’impegno volontario rispetto alla scadenza inizialmente prevista.

Effetti in termini di rendimento

Un intervento di welfare produce un rendimento (in senso generativo) se crea valore, che ha natura sociale (relazionale) ma anche economica. Ci si può chiedere:

– qual è il valore prodotto a beneficio della collettività grazie all’impegno delle persone che hanno realizzato azioni gene-rative?

– qual è l’ordine di grandezza di questo valore rispetto agli aiuti destinati dal co-mune a beneficio delle persone che hanno concorso a produrlo?

Per saperlo si verifica quanto hanno reso

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Effetti delle pratiche di welfare generativo

comunità, con un corrispondente rendi-mento di 46 centesimi per ogni euro di spesa comunale in interventi di assistenza economica continuativa. È un valore sim-bolico e sottostimato, che prefigura i no-tevoli potenziali di rigenerazione e rendi-mento delle risorse disponibili, grazie alla responsabilizzazione di almeno una parte degli aiutati a beneficio proprio e dell’intera comunità.

SUMMARY

The article summarizes the practices of generative welfare carried out in the mu-nicipality of Treviso, highlighting their effects with respect to three strategic components: responsibility, regeneration and return. It shows how to introduce new ways of providing social benefits, by asking beneficiaries to be responsible for themselves and the others. It repre-sents an experience that, although con-cerning a small number of beneficiaries as compared to the overall number of service users, highlights the potential for managing the shift from traditional so-cial assistance to a generative approach.

Tab. 1 – Valore delle azioni generative realizzateIpotesi 1

(valorizzazione a 10 €)Ipotesi 2

(valorizzazione a 14 €)Ipotesi 3

(valorizzazione a 15 €)Ore 565 565 565

Valore generato (euro) 5.650,00 7.910,00 8.475,00Rapporto tra il valore generato e il costo dei servizi ricevuti (euro)

0,52 0,73 0,79

Nel caso di Treviso si può affermare che ogni euro di spesa comunale diretta è stato rigenerato per oltre metà (dal 52% al 79%) del suo valore, grazie all’attivazione dei be-neficiari a vantaggio della comunità.

Questi dati, come detto precedentemen-te, non includono altre forme di valore mi-surabili in termini di esiti, ad esempio, sulla salute psico-fisica della persona interessata, e di impatto sociale. Sono perciò sottosti-mati rispetto a quanto effettivamente gene-rato su scala sociale. D’altro canto, anche i costi sono sottostimati non includendo le componenti indirette di spesa.

Conclusioni

L’esperienza di Treviso mostra come sia possibile realizzare pratiche generative all’interno di un’amministrazione comuna-le, mettendo a disposizione risultati signi-ficativi in termini di responsabilizzazione delle persone, di rigenerazione e di rendi-mento delle risorse.

Consentono di prevedere che cosa ac-cadrebbe se le pratiche generative testate si diffondessero coinvolgendo altri aiutati. Se poco meno di un terzo dei percettori di sussidi continuativi (50 persone, conside-rando i beneficiari del 2013) accettasse di essere coinvolto in azioni a corrispettivo sociale, per un numero di ore proporzio-nato a quello svolto dalle persone coinvolte nella sperimentazione, si realizzerebbero 10.650 ore di attività. Valorizzate a 10 euro di costo orario, corrispondono a 106.500 euro di valore generato a beneficio della

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Bezze M.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Disposizioni per favorire la coesione e la solidarietà sociale mediante la promozione di azioni a corrispet-tivo sociale, Proposta di legge (C. 3763), www.camera.it.

Innocenti E. e Vivaldi E. (2013), Prestazioni sociali con «corrispettivo» e capacità generativa, in Fondazione Emanuela Zancan (2013), Rigenerare capacità e risorse. La lotta alla povertà. Rapporto 2013, Il Mulino, Bologna, pp. 105-125.

Vecchiato T. (2012), Diritti sociali dei poveri, in Fondazione Emanuela Zancan (2012), Vincere la povertà con un welfare generativo. La lotta alla povertà. Rapporto 2012, Il Mulino, Bologna, pp. 51-63.

LA QUADRILOGIA SUL WELFARE GENERATIVO

Vincere la povertà con un welfare generativoLa lotta alla povertà. Rapporto 2012Fondazione Emanuela ZancanEd. Il Mulino, Bologna (2012)Pagine: 204 - Prezzo: 19,00 € ISBN: 978-88-15-244-109

Rigenerare capacità e risorseLa lotta alla povertà Rapporto 2013Fondazione Emanuela ZancanEd. Il Mulino, Bologna (2013)Pagine: 224 - Prezzo: 21,00 € ISBN: 978-88-15-24691-2

Welfare generativo. Responsabilizzare, rendere, rigenerare La lotta alla povertà. Rapporto 2014Fondazione Emanuela ZancanEd. Il Mulino, Bologna (2014)Pagine: 202 - Prezzo: 19,00 € ISBN: 978-88-15-25456-6

Cittadinanza generativa La lotta alla povertà. Rapporto 2015Fondazione Emanuela ZancanEd. Il Mulino, Bologna (2015)Pagine: 185 - Prezzo: 18,00 € ISBN: 978-88-15-26089-5

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Ricerche ed esperienze

Stare bene a scuola, apprendere e crescere in modo positivo

Introduzione

La scuola rappresenta un contesto di sviluppo centrale nell’infanzia e nell’adolescenza. I ragazzi vi tra-scorrono buona parte della giornata e ricevono stimoli continui, da parte

degli insegnanti e dei compagni di classe. Il benes-sere scolastico non dipende solo dalle caratteristi-che dello studente ma è il frutto di interazioni tra:

il ragazzo, la sua famiglia, gli insegnanti, la classe, la scuola e il territorio. È una responsabilità «distri-buita» tra tutte le figure coinvolte nell’educazione.

Tra gli indicatori del benessere scolastico si considerano la motivazione allo studio e l’atteg-giamento che il ragazzo ha verso la scuola. Queste variabili sono strettamente legate alla riuscita sco-lastica, perché favoriscono un approccio strategico verso lo studio, che permette allo studente di ge-stire efficacemente il suo apprendimento attraver-

I dati dello studio longitudinale CRESCERE mettono in luce alcu-ne difficoltà che i ragazzi incontrano a scuola: da un anno all’altro peggiorano la motivazione allo studio, la concentrazione, il rendi-mento scolastico, la relazione con gli insegnanti e in generale l’atteg-giamento verso la scuola. L’attenzione si focalizza dunque sui fattori che favoriscono il benessere scolastico, aspetto fondamentale per lo sviluppo psicologico e sociale dei ragazzi. Si analizza la relazione tra benessere, approccio allo studio e apprendimento nei giovani che fre-quentano la scuola secondaria di primo grado. Si considera anche il ruolo dei legami familiari e le relazioni con i propri insegnanti che, insieme al gruppo dei pari, contribuiscono a formare un clima sereno a scuola, favorendo un corretto approccio allo studio e quindi la con-centrazione, la motivazione e l’apprendimento.

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Giulia Barbero Vignola e Valeria Duca

AUTORI

n Giulia Barbero Vignola, ricercatrice Fondazione «Emanuela Zancan», Padova.n Valeria Duca, psicologa dell’apprendimento, Roma.

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Barbero Vignola G. e Duca V.

trasmette le proprie credenze sul valore dello stu-dio e della scuola. Gli insegnanti operano scelte metodologiche e applicano strategie didattiche che possono essere più o meno vicine all’espres-sione dei bisogni educativi e psicologici (Boscolo P., 2002). La relazione studente-insegnante è una delle componenti che più contribuiscono all’a-dattamento scolastico dell’adolescente. Relazioni conflittuali o carenti con insegnanti possono infat-ti rappresentare fattori di rischio per gli studenti, influenzando negativamente l’apprendimento e in senso più ampio il loro benessere psicosociale.

Nell’approccio allo studio ha un peso rilevante anche la capacità di concentrazione, cioè il saper seguire una lezione o una lettura di un testo per il tempo necessario e allontanando elementi di di-sturbo (Cornoldi C. et al., 2005). Questa capacità è espressione del funzionamento cognitivo e neuro-biologico dell’individuo, su cui incidono sia lo sta-to emotivo (in particolare l’ansia o la paura), sia l’e-ventuale presenza di anomalie legate a disturbi del neurosviluppo. Nello studio CRESCERE viene monitorato come i ragazzi auto-valutano la pro-pria capacità di concentrazione nello studio e con quali altre variabili ciò interagisce. Nell’articolo, in particolare, si analizza la relazione tra benessere a scuola, approccio allo studio e apprendimento nei ragazzi che frequentano la scuola secondaria di primo grado.

Lo studio

CRESCERE è uno studio longitudinale che mo-nitora nel tempo un campione di ragazzi e famiglie in provincia di Padova e nel comune di Rovigo1. I ragazzi sono seguiti nel tempo, dagli 11 ai 18 anni, osservando periodicamente i cambiamenti che si producono nel loro modo di pensare, di agire e di relazionarsi con gli altri (Vecchiato T. e Canali C., 2013; Barbero Vignola G. et al., 2016). È uno studio panel prospettico articolato in 8 rilevazioni (waves), una per ogni anno.

L’arruolamento e il coinvolgimento delle fami-glie è stato possibile grazie alla collaborazione dei Comuni, che hanno fornito le liste anagrafiche dei nati nel 2001. Il campione è stato estratto secondo un procedimento probabilistico, con stratificazio-ne per ambito territoriale, genere e cittadinanza.

so l’uso di strategie appropriate, che consentono di completare con successo il compito scolastico, con la diretta conseguenza di riuscire ad avere un maggior senso di controllo della realtà e di fiducia in se stesso (Cornoldi C., 1995; De Beni R. e Moè A., 2000; Cornoldi C. et al., 2005).

Come il benessere scolastico, anche la motiva-zione a impegnarsi nello studio e l’atteggiamento verso la scuola non sono caratteristiche statiche dello studente, come tratti che possono essere pre-senti o assenti in un ragazzo. Hanno anch’essi una dimensione qualitativa interna a tutto il contesto di apprendimento, che va costruita e «alimentata», a diverso titolo, anche dalla famiglia e dalla scuo-la. I ragazzi sviluppano un atteggiamento positivo verso la scuola e sono maggiormente motivati a studiare se trovano risposta ai loro bisogni educa-tivi e psicologici come il bisogno di competenza, cioè il voler essere efficaci e raggiungere i risultati voluti, ma anche il bisogno di relazione, cioè di sentirsi in rapporto con gli altri, di provare affet-tività positiva, di aver cura ed essere curato dagli altri (Boscolo P., 2002).

Il benessere a scuola e la motivazione ad appren-dere sono interconnessi con le esperienze positive e di successo che vanno a rispondere ai bisogni di competenza e di relazione normalmente presenti in ogni studente. Lo stretto legame tra il bisogno di competenza e la motivazione a studiare è emerso già nei primi dati dello studio CRESCERE (Bar-bero Vignola G. e Duca V., 2014). I ragazzi che ri-portano un atteggiamento positivo verso la scuola e una maggiore motivazione a studiare presentano una media dei voti più alta. Questo risultato può indicare da una parte che la motivazione e l’atteg-giamento positivo dello studente verso la scuola lo sostengono nell’impegnarsi a studiare in modo strategico e questo aumenta le sue possibilità di portare a termine con successo un compito scola-stico. Dall’altra, se la «responsabilità» motivaziona-le non è solo dell’allievo, ma è condivisa tra alunni, famiglie e insegnanti, lo stesso dato può essere vi-sto come un indicatore dell’effetto del bisogno di competenza sulla motivazione ad apprendere: solo se studiare porta lo studente a sentirsi efficace e competente e quindi a prendere buoni voti, sarà motivato a studiare ancora.

La famiglia e gli insegnanti interagiscono co-stantemente con questi meccanismi. La famiglia

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Stare bene a scuola

miliare (es. provenienza geografica, livello di istru-zione, divorzio/separazione dei genitori, difficoltà economiche), le relazioni a scuola e in famiglia (es. con i compagni di classe, con gli insegnanti, con il padre, la madre, gli amici, il supporto familiare percepito), le competenze individuali (es. disturbi di apprendimento).

Le relazioni in famiglia vengono valutate attra-verso la scala di Zimet (1988), che rileva il sup-porto percepito da parte della famiglia, intesa in senso ampio, non solo genitori ma anche eventuali fratelli e sorelle presenti. L’attaccamento al padre, alla madre e agli amici viene valutato attraverso la scala IPPA «Inventory of Parent and Peer Attachment». Le domande riguardano la fiducia (verso il padre/la madre/gli amici), la comunicazione e la perce-zione di essere compresi (Armsden G.C. e Green-berg M.T., 1987; San Martini P., Zavattini G.C. e Ronconi S., 2009).

I risultati

Il giudizio dei ragazzi sulla scuola in genere è positivo. A 13 anni la scuola piace a 7 ragazzi su 10 (piace «molto» a 1 su 10, «abbastanza» a 6 su 10). Per alcuni, però, la scuola è anche fonte di stress: 4 su 10 dicono di sentirsi molto/abbastanza stressati per il lavoro che fanno a scuola. Rispetto all’anno precedente (quando i ragazzi avevano 12 anni), il giudizio verso la scuola non è cambiato, mentre è aumentato il livello di stress percepito (figura 1 e 2): l’11% dei ragazzi è molto stressato per il lavoro che fa a scuola (erano il 4% nella prima rilevazio-ne), il 31% è «abbastanza» stressato (erano il 23%).

Il rapporto con i compagni di classe è positivo: nei due terzi dei casi i compagni sono considera-ti gentili e disponibili e 3 ragazzi su 4 si sentono accettati per quello che sono. Il rapporto con gli insegnanti è invece più critico e da un anno all’al-tro si nota come la fiducia sia diminuita. A 12 anni la maggioranza degli studenti valutava in modo positivo i propri insegnanti: il 69% dichiarava di sentirsi trattato in modo giusto (soltanto il 12% non era d’accordo). A 13 anni, gli stessi ragazzi sono più critici: il 56% pensa di essere trattato nel modo giusto e la percentuale di disaccordo sale al 18% (figura 3).

Le informazioni sono state raccolte attraverso un articolato questionario, in parte autocompilato, in parte somministrato a cura di un gruppo di rileva-tori attivi in tutto il territorio.

Lo studio è stato avviato nel 2013 e, via via che si raccolgono i dati, è possibile confrontare le rispo-ste da un anno all’altro, analizzando i cambiamenti che si sono verificati nel tempo. I dati qui presen-tati si riferiscono a un campione di 440 ragazzi che hanno partecipato alle prime due annualità dello studio e che frequentano la scuola secondaria di primo grado.

Gli strumenti

Per studiare come la motivazione e l’atteggia-mento verso la scuola influenzano il rendimento, è stato somministrato ai ragazzi il questionario QAS (Questionario sull’Approccio allo Studio) tratto dal test AMOS 8-15 (Cornoldi C. et al., 2005). Il QAS è uno strumento auto-valutativo delle abi-lità di studio, delle componenti meta-cognitive e motivazionali dell’apprendimento. La forma com-pleta è costituita da 49 item, per lo studio CRE-SCERE sono state selezionate 3 delle 7 aree che caratterizzano un buon approccio allo studio: la motivazione verso lo studio, la concentrazione e l’atteggiamento verso la scuola. Per ogni item, i ra-gazzi esprimono il loro accordo su questa scala: 1 «poco vero per me», 2 «abbastanza vero per me» e 3 «molto vero per me». In questo modo è possibile ottenere degli indici sintetici per ogni area di riferi-mento, utili per i confronti nel tempo.

Il rapporto con la scuola è indagato anche at-traverso due domande tratte dallo studio HBSC (Health Behaviour in School-aged Children)2: «At-tualmente, cosa pensi della scuola?» e «Quanto ti senti stressato per il lavoro che fai a scuola?». Come indicatori del rendimento scolastico invece vengono osservati i voti finali delle pagelle della scuola secondaria di primo grado.

Le analisi multivariate utilizzano anche tutta una serie di variabili che possono aiutare a spiegare le differenze tra i ragazzi nell’approccio allo studio, nell’apprendimento e in generale nel benessere a scuola. In particolare si considerano: le variabili sociodemografiche del ragazzo (es. genere, cittadi-nanza, presenza di fratelli e sorelle), il contesto fa-

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Barbero Vignola G. e Duca V.

allo studio, diminuisce la concentrazione e peggio-ra l’atteggiamento verso la scuola (tabella 1).

Per quanto riguarda la motivazione allo studio, tra un anno e l’altro diminuisce la determinazio-ne dei ragazzi nel provare gli esercizi che non rie-scono finché non capiscono dove hanno sbaglia-to, aumenta la tendenza ad applicarsi solo su ciò che interessa, diminuisce il dispiacere che prova-no quando lasciano a metà un’attività di studio e aumenta la proporzione di ragazzi che studiano il minimo indispensabile per arrivare alla sufficienza.

Anche la capacità di concentrazione si riduce in media da un anno all’altro e in particolare i ragazzi quando studiano sono più restii ad allontanare le cose che potrebbero distrarre. Uno su tre studia con la televisione accesa, con il computer o il cel-lulare vicino. È una tendenza destinata ad aumen-tare nei prossimi anni, dato l’uso incrementale che i ragazzi fanno delle tecnologie, di internet e dei social network (Barbero Vignola G. et al., 2016).

Diminuiscono gli studenti che hanno fiducia nella scuola e pensano che l’istruzione ricevuta sarà utile anche in futuro (a 12 anni il 74% era «molto d’accordo», a 13 anni il 63%). Diminui-sce la fiducia dei ragazzi verso gli insegnanti: nella prima annualità il 37% li considerava persone che sanno capire e aiutare, dopo un anno la proporzio-ne scende al 25%.

I dati relativi all’apprendimento e al rendimen-to scolastico indicano un peggioramento in media da un anno all’altro. Considerando i voti scolastici della scuola secondaria di primo grado, si osser-vano differenze in media significative tra i voti di prima e seconda per le seguenti materie: matema-tica, scienze, storia e seconda lingua (Sign. < 0,01).

I risultati emersi dallo studio CRESCERE met-tono in luce dunque alcune difficoltà che i ragazzi incontrano nell’ambiente scolastico, nella moti-vazione, nella capacità di studiare e concentrarsi, nel sentirsi bene a scuola. In generale da un anno all’altro tali difficoltà si accentuano: peggiora l’at-teggiamento verso la scuola, la concentrazione, la motivazione allo studio, il rendimento scolastico e la relazione con gli insegnanti.

In questa fase della crescita i ragazzi stanno en-trando sempre più nell’adolescenza, una fase par-ticolarmente delicata della loro vita: è il momento delle scoperte, delle relazioni amicali, dei conflitti con i genitori, della voglia di crescere in fretta.

Fig. 1 – Cosa pensi della scuola, valori percentuali per anno

12%

60%

22%

7%

Mi piace molto Mi piace abbastanza

Non mi piace tanto

Non mi piace per niente

Anno 1 Anno 2

Fig. 2 – Quanto ti senti stressato per il lavoro che fai a scuola, valori percentuali per anno

11%

61%

23%

4%10%

48%

31%

11%

Per niente Poco Abbastanza Molto

Anno 1 Anno 2

Fig. 3 – I nostri insegnanti ci trattano nel modo giusto, valori percentuali per anno

67%

20%13%

57%

26%18%

D'accordo Né d'accordo né disaccordo

Non d'accordo

Anno 1 Anno 2

Da un anno all’altro diminuiscono i punteggi in media in tutte le 3 aree considerate dal questio-nario QAS (Questionario sull’Approccio allo Stu-dio). In particolare, nel passaggio dai 12 ai 13 anni, dalla seconda alla terza classe della scuola secon-daria di primo grado, diminuisce la motivazione

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Stare bene a scuola

La motivazione è più bassa tra i ragazzi che gio-cano tutti i giorni con i videogiochi, che si con-nettono a internet quotidianamente, che passano molto tempo guardando la televisione. In partico-lare si nota una correlazione lineare negativa tra la motivazione allo studio e il tempo trascorso da-vanti alla tv (Sign. < 0,01).

Si registrano livelli più bassi di motivazione per i ragazzi che dicono di aver subìto atti di bullismo almeno una volta negli ultimi 6 mesi. Spesso si tratta di prepotenze che si manifestano nell’am-biente scolastico, da parte dei compagni di classe, ecco quindi che i rapporti tra pari assumono un ruolo molto importante a questa età e influenzano inevitabilmente anche i livelli di motivazione e ap-prendimento degli studenti.

Le relazioni con gli insegnanti sono un altro

Tab. 1 – Punteggi medi degli indicatori AMOS e significatività delle differenze (T-Test)Anno 1 Anno 2 Sign.

Motivazione allo studio 16,04 15,73 *A1. Se certi esercizi non mi riescono, provo finché non capisco dove ho sbagliato. 2,07 1,98 *A2. Quando l’insegnante mi assegna dei compiti, mi applico solo su quelli che mi interessano. 1,22 1,30 *A3. Mi piace studiare per imparare cose nuove. 1,97 2,03A4. Se ho molto da studiare, rinuncio a fare altre cose che mi piacciono. 2,04 2,03A5. Studio il minimo indispensabile per arrivare alla sufficienza. 1,31 1,38 *A6. Mi dispiace lasciare a metà un’attività di studio. 2,05 1,94 *A7. Anche se non ho capito bene un argomento, tento comunque di fare gli esercizi assegnati. 2,47 2,46

Concentrazione 15,16 14,73 **N1. Quando studio riesco a concentrarmi su quello che sto facendo. 2,28 2,23N2. Mi piace studiare con la televisione accesa (o il computer o il cellulare). 1,33 1,41 *N3. Durante le lezioni seguo quello che l’insegnante dice senza distrarmi. 2,17 2,10N4. Quando studio mi capita di essere così concentrato che penso proprio solo a quello che sto leggendo.

1,96 1,94

N5. Mi dicono che devo stare più attento. 1,64 1,67N6. Quando studio allontano le cose che potrebbero distrarmi. 2,04 1,87 ***N7. Quando studio mi dimentico dei rumori che ci sono intorno. 1,73 1,72

Atteggiamento verso la scuola 15,70 15,36 **V1. Per me la scuola è un piacevole posto dove stare con gli altri. 2,20 2,27V2. Molte delle cose che si fanno a scuola sono inutili. 1,37 1,41V3. Quello che mi insegnano a scuola mi sarà utile anche in futuro. 2,72 2,61 ***V4. Sono contento di passare altre ore a scuola anche al di fuori dell’orario scolastico. 1,52 1,46V5. Andare a scuola mi costa tanta fatica. 1,56 1,58V6. Per me gli insegnanti sono persone che mi sanno capire e aiutare. 2,23 2,04 ***V7. Vado a scuola volentieri. 1,99 2,00

*** Differenze in media significative al livello 0,001; ** al livello 0,01; * al livello 0,05.

Vediamo dunque, a partire dai dati e da quello che ci dicono i ragazzi, come è possibile favorire il benessere a scuola, la motivazione e la concen-trazione, che come abbiamo visto sono tre aspetti fondamentali per favorire l’apprendimento.

La motivazione a studiare

Innanzitutto, cerchiamo di capire chi sono i ra-gazzi con una maggiore motivazione allo studio. In particolare, si osserva che mediamente le fem-mine sono più motivate rispetto ai loro coetanei (Sign. < 0,05). La motivazione è più elevata tra chi non ha sperimentato situazioni di instabilità fami-liare (es. divorzio o separazione dei genitori, de-cesso del padre, storie di adozione o affidamento).

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Barbero Vignola G. e Duca V.

tutte le altre componenti, si osserva come nelle fa-miglie in cui il livello di istruzione della madre è più elevato, i ragazzi sono più motivati a studiare.

Studi precedenti (Hauser-Cram P., 2009) hanno dimostrato come il livello di istruzione dei genitori correli positivamente con il successo scolastico dei figli. I meccanismi sottostanti a queste dinamichesembrano essere il valore che la famiglia attribuisce all’istruzione e le prassi educative dei genitori, so-prattutto delle madri, come il loro coinvolgimento nel percorso scolastico dei figli o la stimolazione cognitiva che forniscono attraverso l’ambiente do-mestico.

La presenza di instabilità familiare (divorzio o separazione dei genitori, decesso del padre ecc.) è un fattore che incide negativamente sul livello di motivazione allo studio dei ragazzi. Anche il tem-po trascorso guardando la televisione è associato in modo negativo alla motivazione a studiare: i ragazzi meno motivati riferiscono di passare più tempo davanti alla tv rispetto ai ragazzi più mo-tivati. Infine, emerge come fattore significativo il livello di attaccamento agli amici: maggiore è il supporto che i ragazzi percepiscono dai loro coe-tanei – si sentono apprezzati per quello che sono, sanno di poter contare sul loro aiuto – e più elevati sono i livelli di motivazione allo studio. Oltre agli insegnanti e alla famiglia, anche gli amici e i com-pagni di classe fanno parte del contesto di appren-dimento in cui si «costruisce» in modo condiviso la motivazione.

aspetto correlato in modo significativo con la mo-tivazione. Gli studenti che sono maggiormente supportati dagli insegnanti e si sentono «trattati nel modo giusto» mediamente sono più motivati a studiare (Corr. Pearson 0,301, Sign. < 0,001).

Inoltre un clima sereno in famiglia, privo di ten-sioni e conflitti, favorisce il benessere dei ragazzi anche all’interno della scuola, stimolando la mo-tivazione e l’apprendimento. Dai dati emerge una correlazione positiva tra il supporto che i ragazzi percepiscono dalla famiglia e i livelli di motivazio-ne (Corr. 0,269, Sign. < 0,001). Anche le relazioni con i genitori e con gli amici, valutate attraverso l’Inventory of Parents and Peers Attachment (IPPA), sono correlate positivamente con la motivazione allo studio (Sign. < 0,001).

Con le analisi multivariate è possibile isolare l’effetto di ogni fattore considerato, al netto di tut-ti gli altri. Ad esempio, il modello di regressione (descritto nella tabella 2) indica che il principale fattore correlato con la motivazione allo studio è la relazione con gli insegnanti, in particolare sen-tirsi trattati nel modo giusto. Questo dato eviden-zia come la motivazione ad apprendere non è sola «responsabilità» dell’alunno, ma viene costruita nel contesto di apprendimento dai loro attori princi-pali: studenti e insegnanti.

Al secondo posto vi è il supporto che i ragazzi percepiscono dalla famiglia. È importante in par-ticolare la relazione di vicinanza con la madre, che si interessa delle attività scolastiche e spesso forni-sce un aiuto nei compiti. Anche il titolo di studio della madre è un aspetto associato ai diversi livelli di motivazione nei ragazzi. A parità di supporto familiare ricevuto, di attaccamento alla madre e di

Tab. 2 – Parametri del modello di regressione lineare multivariato - motivazione allo studioCoefficienti

non standardizzatiCoefficienti

standardizzatit. Significatività

B Errore std. Beta

(Costante) 9,467 0,977 9,690 0,000Rapporto con insegnanti 2,271 0,414 0,242 5,485 0,000Supporto familiare 0,381 0,164 0,127 2,326 0,020Ore tv -,279 0,112 -,106 -2,499 0,013Instabilità familiare -1,264 0,407 -,131 -3,104 0,002Attaccamento alla madre 0,412 0,197 0,115 2,088 0,037Attaccamento agli amici 0,279 0,130 0,093 2,141 0,033Livello istruzione madre 0,296 0,147 0,084 2,004 0,046

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Stare bene a scuola

compagni, le capacità di concentrazione risultano più elevate. Così come è stato osservato per la mo-tivazione a studiare.

A parità di queste condizioni, la presenza di dif-ficoltà o disturbi dell’apprendimento (es. deficit di attenzione, dislessia) influenzano negativamente i livelli di concentrazione che gli studenti sono in grado di mantenere durante lo studio. Non risul-tano invece influire sulla motivazione allo studio (tabella 2). Questi dati ci ricordano che gli studenti con bisogni educativi speciali hanno frequente-mente una difficoltà a mantenere la concentrazio-ne nello studio, a causa del funzionamento atipico di alcuni processi cognitivi, ma nonostante questo possono essere motivati nello studio tanto quanto i loro compagni.

Sono fattori significativi, anche se incidono in misura minore sui livelli di concentrazione, l’attac-camento al padre (più forte è la relazione, mag-giore la capacità di concentrazione) e il tempo tra-scorso a guardare la televisione (la concentrazione diminuisce in modo proporzionale in relazione al tempo che i ragazzi passano davanti alla tv).

Tab. 3 – Parametri del modello di regressione lineare multivariato - concentrazioneCoefficienti

non standardizzatiCoefficienti

standardizzatit. Significatività

B Errore std. Beta

(Costante) 8,074 1,002 8,061 0,000Rapporto con insegnanti 2,853 0,499 0,251 5,721 0,000Supporto familiare 0,557 0,194 0,153 2,862 0,004Attaccamento agli amici 0,326 0,158 0,090 2,054 0,041Disturbi apprendimento -1,947 0,729 -0,112 -2,670 0,008Ore tv -,284 0,134 -0,089 -2,116 0,035Attaccamento al padre 0,378 0,189 0,109 2,005 0,046

Tab. 4 – Parametri del modello di regressione lineare multivariato – atteggiamento verso la scuola

Coefficienti non standardizzati

Coefficienti standardizzati

t. Significatività

B Errore std. Beta

(Costante) 6,239 0,754 8,272 0,000Rapporto con insegnanti 5,116 0,415 0,473 12,324 0,000Supporto familiare 0,719 0,134 0,207 5,371 0,000Attaccamento agli amici 0,611 0,129 0,177 4,738 0,000Genere -0,512 0,245 -0,090 -2,091 0,037

La capacità di concentrazione

Mantenere l’attenzione e la concentrazione du-rante lo studio è un aspetto che, come abbiamo visto, è fondamentale per l’apprendimento. Le analisi multivariate indicano che anche in questo caso la relazione con gli insegnanti assume un ruo-lo importante (tabella 3). Gli studenti che hanno un giudizio più positivo verso i propri insegnan-ti, si sentono rispettati e trattati nel modo giusto, mediamente si riconoscono maggiori capacità di concentrazione nello studio.

Le relazioni in famiglia, e in particolare il so-stegno che i ragazzi percepiscono, l’aiuto morale che i genitori sono in grado di offrire, sono aspetti correlati in modo positivo con la capacità di man-tenere l’attenzione durante lo studio. Viceversa, la concentrazione è più bassa negli studenti che hanno vissuto periodi di instabilità familiare (es. divorzio o separazione dei genitori).

Il terzo fattore è l’attaccamento agli amici: quan-do ci sono relazioni serene con i propri pari, a scuo-la e nel tempo libero, quando i ragazzi si sentono rispettati e sanno di poter contare sull’aiuto dei

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Barbero Vignola G. e Duca V.

gni scolastici e un peggioramento nella qualità della relazione con gli insegnanti. Anche nelle tre variabi-li più specificamente legate all’apprendimento – la motivazione, la concentrazione e l’atteggiamento verso la scuola – si osserva una riduzione, contenu-ta, ma significativa.

Tra i fattori più significativi che incidono su que-sto andamento vi sono variabili relative sia alla fa-miglia, sia alla scuola. Tra i fattori che ostacolano un adeguato approccio allo studio, vi sono l’instabilità nelle relazioni familiari e l’esposizione prolungata a tv, internet e videogiochi. Tra i fattori che possono invece promuovere un approccio allo studio positi-vo e funzionale al successo scolastico è risultato un fattore chiave la percezione di una buona relazione con i propri insegnanti. In misura inferiore, ma co-munque significativa, sono risultati rilevanti anche due elementi relativi al contesto familiare: il livello di istruzione della madre e la percezione di un clima familiare privo di tensioni.

Si conferma quindi la necessità di adottare un ap-proccio che consideri la motivazione ad apprendere una responsabilità condivisa tra studenti, famiglie e insegnanti, non una caratteristica dell’individuo di cui ci si può limitare a constatare la sua presenza o assenza, ma un processo di cui avere cura costante-mente, in modo particolare nel periodo della cresci-ta, in cui i ragazzi vivono i grandi cambiamenti lega-ti all’adolescenza, che mettono in discussione loro stessi e le figure educative di riferimento. Si tratta di un fattore chiave per la riuscita scolastica, il benes-sere e l’orientamento futuro dei ragazzi.

La società è in rapido cambiamento e scuola e famiglie sono ancora in una fase di adattamen-to a questi mutamenti. Più sono rapidi più la fase di transizione si allunga, con i suoi rischi. Studi di lunga durata come CRESCERE agevolano la com-prensione dei fenomeni che evolvono nel tempo e contribuiscono ad una lettura più consapevole, in-dirizzando verso azioni efficaci le figure coinvolte sia a livello individuale che istituzionale.

Comprendere le condizioni che permettono a ogni studente di sentirsi bene a scuola è il primo passo per aiutare i ragazzi nel loro percorso di cre-scita e di apprendimento. E questa è una grande sfi-da per chiunque si occupi di educazione.

L’atteggiamento verso la scuola

Risultati simili si osservano nel modello che spiega l’atteggiamento verso la scuola (tabella 4). Del resto, i tre aspetti considerati – motivazione, concentrazione, atteggiamento – risultano cor-relati tra loro in modo diretto, ovvero i ragazzi che hanno un atteggiamento più positivo verso la scuola, riferiscono anche una maggiore motivazio-ne a studiare e si attribuiscono maggiori capacità di attenzione (Barbero Vignola G. e Duca V., 2014).

Il principale fattore che spiega le differenze è ancora una volta la relazione con gli insegnanti, importante per i ragazzi e per il benessere scola-stico. Gli studenti che dichiarano di avere buone relazioni in classe, che si sentono apprezzati e sup-portati dagli insegnanti, vanno a scuola più volen-tieri, sono contenti di fermarsi qualche ora in più, considerano la scuola un posto piacevole in cui stare con gli altri.

Il supporto che i ragazzi percepiscono dalla loro famiglia, è un altro aspetto importante che, come abbiamo visto anche per la motivazione allo studio e alla capacità di rimanere concentrati, contribui-sce in senso più ampio al benessere globale della persona (Barbero Vignola G., Bezze M. e Mauri-zio R., 2015).

In questo caso emergono anche differenze in base al genere. A parità delle altre condizioni, me-diamente le femmine hanno un atteggiamento più positivo: vanno a scuola più volentieri e percepi-scono una maggiore utilità di ciò che viene inse-gnato per il loro futuro.

Conclusioni

Lo studio CRESCERE, nel suo disegno longi-tudinale, si arricchisce ad ogni rilevazione di nuovi dati che permettono di aumentare le conoscenze su diversi aspetti della crescita. Tra questi, il benessere scolastico risulta particolarmente importante nell’a-dolescenza e ha molta rilevanza nella transizione verso l’età adulta.

I dati della seconda rilevazione confermano un giudizio complessivamente positivo sulla scuola e i compagni, anche se si nota un peggioramento da un anno all’altro. Nell’ultimo anno i ragazzi hanno riferito un aumento dello stress dovuto agli impe-

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Studi Zancan · 3/2016 · 37

Stare bene a scuola

Garante regionale dei diritti della persona della Re-gione Veneto, le Conferenza dei Sindaci dell’Ulss 15, 16 e 17, il De Leo Fund Onlus, la Fondazione Girolamo Bortignon per l’educazione e la scuola. Per informazioni: www.crescerebene.org.

2 HBSC è uno studio multicentrico internaziona-le, svolto in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Vi partecipano 43 nazioni, tra cui l’Italia. La popolazione target dello studio HBSC sono i ragazzi e ragazze in età scolare (11, 13 e 15 anni). Per informazioni: www.hbsc.unito.it.

Note

1 CRESCERE è l’acronimo di «Costruire Relazioni ed Esperienze di Sviluppo Condivise con Empatia, Responsabilità ed Entusiasmo». Lo studio è rea-lizzato dalla Fondazione Emanuela Zancan, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Ha il patrocinio della Fondazio-ne Città della Speranza e dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. È realizzato in collabo-razione con l’Azienda Sanitaria Ulss 16 di Padova e la Struttura di Medicina dello Sport e delle Attività Motorie, 84 Comuni della provincia di Padova e il Comune di Rovigo. È sostenuto e promosso dal

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Barbero Vignola G., Bezze M., Canali C., Crocetti E., De Leo D., Eynard M., Maurizio R., Milan G., Ongaro F., Schiavon M. e Vecchiato T. (2016), CRESCERE: uno studio longitudinale per il benessere dell’in-fanzia, in «Studi Zancan», 1, pp. 21-32.

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Barbero Vignola G. e Duca V.

SUMMARY

The data from the longitudinal study CRESCERE («growing up» in Italian) highlight some difficulties that children face at school. From one year to the other, the motivation to study, the ability to concentrate, school performance, relationships with teachers and attitude towards the school get worse. So the focus is on the factors that promote wellbeing at school, indispensable for the psychological and social development of children. The article analyses the relationship between wellbeing, attitude towards the school and learning in a sample of students attending schools at 11-13 y.o.. It also considers the role of family ties and relationships with teachers, who, together with the peer group, help children to feel good at school, promoting a positive approach to study, concentration and learning.

CRESCERE. Uno strumento per aiutare i giovani

L’ideaL’idea nasce nel 2009 dalla necessità di capire cosa succede ai giovani nella transizione dall’infanzia all’adolescen-za, in un mondo che cambia molto rapidamente, in continua trasformazione tecnologica e sociale. Quali fattori favoriscono la crescita positiva e proteggono dai rischi? Come possiamo aiutare i genitori, gli insegnanti, gli educatori, i decisori politici e tutti coloro che accompagnano gli adolescenti nel processo di crescita? L’idea nel tempo è maturata, ha raccolto l’interesse di molti soggetti, che si sono resi disponibili a sperimentare un percorso di crescita insieme ai giovani, ascoltando direttamente la loro voce, per capire quali sono i problemi e le sfide che affrontano ogni giorno, per aiutarli a conoscere meglio se stessi e le loro potenzialità, per accompagnarli nel momento delle scelte, per dare sostegno ai genitori, per aiutarli a crescere bene.

Crescere in provincia di PadovaPadova è il primo territorio in cui l’idea ha preso forma e si è concretizzata in un progetto di studio, grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Ora Crescere è uno studio longitudinale che segue nel tempo un campione di 490 ragazzi e famiglie, dagli 11 ai 18 anni, monitorando la crescita e il loro be-nessere dal punto di vista fisico, cognitivo, sociale, valoriale e relazionale. Lo studio è promosso dalla Fondazione Emanuela Zancan ed è realizzato in collaborazione con 84 Comuni della provincia di Padova e il Comune di Ro-vigo, l’Azienda Ulss 16 di Padova e il Servizio di Medicina dello Sport, con l’adesione dell’Ufficio di Protezione e Pubblica Tutela dei Minori del Veneto. Ha il patrocinio dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e della Fondazione Città della Speranza.

La voce dei ragazzi e delle famigliePer le famiglie è un’occasione privilegiata per comprendere meglio i percorsi di sviluppo degli adolescenti. In provincia di Padova abbiamo chiesto ai genitori cosa ne pensano e le risposte sono state molto positive. Ad esempio: «È un’ottima opportunità per comprendere i giovani di oggi e fornire loro strumenti utili per una cre-scita migliore. A volte non parlano tanto con i genitori». I ragazzi apprezzano che qualcuno si interessi a loro e voglia sapere come stanno, cosa pensano, cosa vorrebbero dalla loro vita. E soltanto il fatto di farsi domande, interrogarsi su alcuni temi importanti, come il bullismo, le relazioni con i genitori, la fiducia nelle proprie ca-pacità, aiuta i ragazzi a guardarsi dentro, a riflettere e a farsi portatori di cambiamento. Un ragazzo ha scritto: «Alcune domande sembrano assurde ma ti fanno capire come sei dentro e in cosa potresti migliorare». Un altro commento è stato: «Per me è bello sapere che qualcuno crede in noi e ci intervista».

Per informazioni e per realizzare CRESCERE nella tua cittàwww.crescerebene.org - Tel. 049 663800 - E-mail: [email protected]

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Ricerche ed esperienze

Infanzia multietnica e potenziamento linguistico

Introduzione

In situazioni di migrazione la narrativa as-sume un valore specifico, legato ai proces-si di ricomposizione delle autobiografie e contribuisce in parte ad arginare il rischio di vuoto e di frattura nella propria storia,

aspetti che spesso accompagnano il viaggio di bambini e ragazzi provenienti da lontano. Quando si emigra in un altro paese vengono a mancare le figure dei narratori privilegiati: i nonni e le nonne, gli adulti e gli anziani della famiglia, i narratori col-lettivi dei tempi della festa e dell’incontro.

I genitori immigrati, da parte loro, hanno poco tempo per raccontare, stretti fra i tempi del lavoro e le difficoltà di inserimento. Spesso non ricorda-

no neppure più le storie che hanno ascoltato da bambini. E così un mondo di racconti, ritmi, suo-ni, immagini rischia di andare perduto perché non più trasmesso, evocato e vivificato.

Le fiabe viaggiano attraverso le frontiere dello spazio e del tempo. Così uno stesso personaggio assume un nome, dei modi di vestire, mangiare e abitare differenti da paese a paese, pur mantenen-do caratteristiche di fondo comuni.

Questo il punto di partenza di un laboratorio che ha coinvolto minori appartenenti ad altre et-nie e che ha costruito sulla fiaba l’epicentro di una nuova strada di comunicazione e incontro.

Chiedere, inoltre, ai genitori immigrati di parte-cipare al progetto e raccontare una favola del pro-prio paese per consegnarla ai figli ha assunto un

Il progetto di potenziamento linguistico rivolto a minori multietnici rappresenta un intervento nato dalla sperimentazione di nuovi mo-delli riabilitativi, ispirati a criteri di replicabilità. Obiettivo primario è stato sostenere l’evoluzione dei bambini trattati precocemente, mi-gliorandone le capacità adattive in ambito scolastico e sociale e ridu-cendo l’impatto dello svantaggio linguistico. L’esperienza descritta è stata selezionata come particolarmente significativa nell’ambito del progetto Tfiey – Transatlantic Forum on Inclusive Early Years ed è stata presentata al terzo convegno Tfiey realizzato a Roma il 27 gen-naio 2016 sul tema «Sistemi integrati e multilinguismo nei servizi per la prima infanzia».

Studi Zancan · 3/2016 · 39

Cristina Bernardini, Sara Cattaneo e Angela Sebastio

AUTORI

n Cristina Bernardini, logopedista, Associazione La Nostra Famiglia, Cislago (Va).n Sara Cattaneo, psicologa, Associazione La Nostra Famiglia, Cislago (Va).n Angela Sebastio, neuropsichiatra infantile, Associazione La Nostra Famiglia, Cislago (Va).

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Bernardini C., Cattaneo S. e Sebastio A.

Materiali e metodi

I destinatari del laboratorio sono stati 7 bambini stranieri, 3 femmine e 4 maschi, di età compresa tra i 5 e i 6 anni. Il campione è stato selezionato secondo criteri di omogeneità funzionale. In par-ticolare sono stati inseriti nel progetto minori che presentavano le seguenti diagnosi di accesso, se-condo il sistema classificativo ICD10- CM.

Profili

Cognitivo:– F70 (ritardo mentale lieve)– F81.9 (livello cognitivo borderline)

Linguistico:– R47 (disturbo del linguaggio in com-

presenza di ritardo cognitivo)– F80.2 (disturbo misto del linguaggio

espressivo e della comprensione)

La distribuzione delle disabilità intellettive e dei profili di funzionamento cognitivo borderline risul-tano in rapporto 4 a 3.

L’équipe – composta da una neuropsichiatra infantile, una psicologa e una logopedista – ha pianificato un progetto riabilitativo sviluppatosi nell’arco di cinque mesi, articolato in trentacinque sedute della durata ciascuna di quarantacinque mi-nuti, a cadenza settimanale.

Nel periodo della presa in carico sono stati, inoltre, effettuati incontri congiunti di gruppo tra bambini e genitori e, parallelamente, colloqui con le insegnanti.

Il progetto «Valutazioni precoci e azioni tempe-stive» ha previsto inizialmente la somministrazione di un pool di valutazioni. Nello specifico sono stati utilizzati il test cognitivo WPPSI-III o WISC-IV per delineare nel complesso le abilità funzionali di apprendimento fluido e cristallizzato, la Batteria di Linguaggio di Fabbro per verificare i processi linguistici in input e output, e il Test di Competenza Metafonologica (CMF), mirato a studiare le abilità di prerequisito per la letto-scrittura.

Le successive valutazioni di pre e post tratta-mento del gruppo selezionato per il laboratorio hanno previsto l’integrazione di prove neuropsi-

duplice significato: arricchire il mondo immagina-rio di tutti i bambini, vivificando la propria storia nel mondo dell’infanzia immigrata e coniugarla in una nuova trama linguistica e di vita.

Scopo del lavoro

Il laboratorio di potenziamento linguistico na-sce come intervento in ambito riabilitativo, all’in-terno dei progetti sperimentali innovativi – finan-ziati dal Dgr 3239 del 2012 Regione Lombardia – e come evoluzione naturale di un percorso di screening denominato «valutazioni precoci e azioni tempestive».

La finalità principale del trattamento proposto è stata l’implementazione delle funzioni linguistiche espressive e recettive e delle competenze metaco-gnitive mediante l’uso della narrativa collettiva e partecipata.

Si è privilegiato il canale della creatività con l’obiettivo di sollecitare il pensiero divergente, le capacità percettive, il piacere della fruizione, della produzione, dell’invenzione. Con l’invito rivolto ai bambini di sperimentare nuove e uniche modalità per realizzare un progetto o risolvere un problema. Manipolare ed esplorare materiali diversi stimola tutti gli apprendimenti e sviluppa la conoscenza di se stessi, degli altri e della realtà.

Lo strumento principe è stato il gioco, attività per eccellenza del mondo infantile nella quale si esprimono categorie emotivo-affettive, motorie e cognitive e che assume il suo pieno senso e la sua efficacia nella condivisione e nel piacere, svilup-pandosi attraverso tre livelli evolutivi: sensomoto-rio, simbolico, cognitivo. Il mondo conosciuto è stato rappresentato e rielaborato attraverso la co-struzione, il disegno o il racconto.

Il lavoro in piccolo gruppo ha favorito la pro-gettazione e la cooperazione ed è divenuto l’ele-mento di base per ampliare le funzioni creative, per svolgere attività collettive e in autonomia, per confrontarsi con i pari, per affrontare le aspettati-ve dell’adulto e differenziarsene.

Nello stare insieme i bambini hanno sperimen-tato il piacere di interagire mantenendo la propria identità, le proprie competenze e per realizzare un desiderio condiviso di comunicazione.

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Infanzia multietnica e potenziamento linguistico

alfabetiche a partire dai riferimenti del racconto con l’obiettivo di sviluppare una corretta consape-volezza fonologica, mediante acquisizione di stra-tegie di analisi e sintesi sillabica e fonemica.

Schede

Al fine di sostenere le abilità metafonolo-giche sono state utilizzate schede tratte da:

– Giocare con le parole. Training fonolo-gico per parlare meglio e prepararsi a scri-vere.

– Giocare con le parole 2. Prima parte. La lunghezza delle parole, la sillaba e il fonema.

– Giocare con le parole 2. Seconda parte. Le rime e i giochi di parole di Emma Perrot-ta, Marina Brignola.

Con i bambini si è cercato, inoltre, di sviluppare un senso di competenza ed efficacia verso le atti-vità proposte, mediando nel singolo e nel grup-po la consapevolezza delle proprie risorse e della propria emotività e favorendo l’apprendimento trasversale e cooperativo di differenti metodologie di approccio al compito.

I genitori sono stati coinvolti in incontri di gruppo all’inizio, in itinere e a fine percorso per condividere con loro l’importanza della loro lin-gua d’origine e delle radici storico-culturali di ap-partenenza. In queste occasioni sono state pro-poste storie originali in L1, utilizzabili all’interno ciascuno del proprio nucleo familiare.

Risultati

Nel corso del laboratorio si è assistito ad una positiva e complessiva evoluzione nelle abilità lin-guistiche in input e output, funzioni apparse qualitati-vamente più solide. Il dato risultato maggiormente sensibile alla stimolazione è stato il livello di simbo-lizzazione, con una media di 4-5 punti differenziali tra la valutazione pre e post trattamento, trasversal-mente rilevabile in tutti i componenti del gruppo.

Le funzioni di prerequisito, in particolare le com-petenze metafonologiche, hanno viceversa mostra-to mediamente il profilo più stazionario, eviden-

cologiche (NPS) e logopediche (LT). In particola-re sono state utilizzate nell’ambito NPS: le prove della School Readness, relative all’area della simboliz-zazione, il Visual Motor Integration (VMI), test per la valutazione dell’integrazione visuo-motoria, le prove di fluenza fonemica e categoriale tratte dalla Batteria di Valutazione Neuropsicologica (BVN).

In area LT sono state somministrate: la Storia del Nido per verificare le funzioni narrative, le prove di Valutazione della Comprensione Lingui-stica (di D. Rustioni) finalizzate a testare l’area lin-guistica recettiva, il Test per la valutazione delle competenze metafonologiche (CMF), con l’obiet-tivo di studiare i prerequisiti di letto-scrittura.

Tab. 2 – Obiettivi di lavoro per idoma e funzioniFunzioni Lingua 1 Lingua 2

Linguistiche Area lessicale sintattica

Potenziamento abilità lessicali e sintattiche

Di prerequisito Area metafono-logica

Potenziamento abilità metafono-logiche

Narrative Area simbolica Potenziamento abilità simboliche; Ascolto e attenzio-ne condivisa

Il gruppo è stato il frame essenziale per la gene-ralizzazione di tali abilità.

Lo strumento guida del laboratorio è stata la fia-ba «I tre porcellini», cornice entro la quale sono state proposte le attività di comprensione, rielabo-razione orale, riordino di sequenze, costruzione dei personaggi della storia per favorire le abilità linguistiche e i prerequisiti grafo-motori.

Per stimolare l’area lessicale-sintattica è stato costruito con ogni bambino un vocabolario figu-rato, partendo da ritagli di giornale e organizzando le varie immagini per categorie semantiche.

Le attività di ampliamento del vocabolario re-cettivo ed espressivo, di incremento della com-prensione e dell’espressione morfosintattica han-no previsto l’ascolto di storie in L1 e L2, l’utilizzo di vocabolario iconografico e la rielaborazione di vissuti personali e delle storie lette.

Sono state impostate attività linguistico-motorie di sintesi, analisi e rappresentazione delle forme

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Bernardini C., Cattaneo S. e Sebastio A.

connesso alle abilità di performance visuo-spazia-le, prassiche e analitiche è risultato mediamente più elevato di circa 15 punti. Le competenze lin-guistiche sono risultate in media, per circa metà dei partecipanti al gruppo, nelle funzioni di fluenza se-mantica, denominazione verbale e denominazione semantica, indici di un complessivo potenziamento del patrimonio lessicale in output.

Meno sensibili alle stimolazioni sono risultate, complessivamente, le funzioni di decodifica lingui-stica grammaticale e sintattica, quest’ultima mag-giormente correlata al carico di memoria di lavoro.

Riflessione

I dati raccolti nel corso del progetto, sebbene riferiti ad un numero esiguo di casi, permettono di evidenziare sensibili evoluzioni in bambini ap-partenenti ad altre culture e sottoposti a precoce stimolazione delle funzioni linguistiche e metaco-gnitive, utilizzando il modello di apprendimento cooperativo in contesto di gruppo. La narrativa svi-luppata mediante l’uso di fiabe e drammatizzazioni consente di integrare maggiormente gli elementi salienti della propria storia di origine, intesi come contenuti veicolati, linguaggio, stile comunicativo, funzioni simboliche, con il nuovo tessuto linguisti-co e rappresentativo, favorendo la ricomposizione di una frattura culturale altrimenti più difficilmente elaborabile. La precocità di intervento e il coinvolgi-mento del nucleo familiare e scolastico nel percorso terapeutico assumono un ruolo moltiplicativo nel processo di integrazione dei minori provenienti da altri paesi, aspetti che auspichiamo possano trovare ulteriori riscontri in prossime e più ampie esperien-ze di intervento potenziato e integrato.

SUMMARY

The project of linguistic development aimed at multi-ethnic minors represents an interven-tion resulting from new rehabilitation models, influenced by replicability criteria. The main goal has been to support the development of early-treated children, thus improving their abi-lity to adapt in the school and social field and reducing the impact of linguistic disadvantage.

ziando al termine del laboratorio una maggiore difficoltà di stimolazione, verosimilmente perché necessitanti di trattamento più focale e specifico.

Dato di ulteriore interesse si è mostrata l’inco-stante correlazione tra il profilo cognitivo funziona-le e l’entità delle evoluzioni rilevate. In alcuni casi, infatti, l’incremento delle abilità linguistiche, me-tafonologiche e di simbolizzazione sono risultate nettamente più consistenti in bambini all’apparenza più svantaggiati da un livello di funzionamento glo-bale deficitario, ponendo in questo caso l’accento su quanto situazioni ambientali meno favorevoli e stimolanti possano ulteriormente gravare sullo svi-luppo e l’integrazione linguistica e sociale del mi-nore. Ciò trova ulteriore riscontro nel follow-up dei singoli partecipanti. Attualmente solo due dei com-ponenti del gruppo risultano seguiti attivamente in un percorso riabilitativo individuale a sostegno degli apprendimenti e delle funzioni metacognitive, essendosi registrata una solida compliance familiare al progetto.

Le situazioni di maggiore disagio sociale, unita-mente al profilo funzionale più deficitario del bam-bino, hanno permesso l’attivazione di progetti di rete scolastica e/o sociale, mediante interventi di sostegno didattico-educativo, non essendosi altresì creata la possibilità di attivare percorsi terapeutici continuativi e condivisi con le famiglie.

Valutazioni longitudinali

La rivalutazione dei bambini partecipanti al pro-getto ha previsto una nuova verifica delle abilità co-gnitive e linguistiche a distanza di circa un anno e mezzo. I risultati raccolti evidenziano un incremen-to delle funzioni adattive dei minori, da ascriversi in parte agli interventi precoci attivati a loro favore. In particolare si evidenzia un generale incremento delle funzioni intellettive, aspetto che ha ricolloca-to metà dei partecipanti del gruppo in una fascia cognitiva media, con un incremento del quoziente intellettivo totale medio di circa 12 punti.

Si è assistito ad un innalzamento dell’indice di comprensione verbale, correlato alle funzioni lin-guistiche fluide, ovvero a prove di ragionamento linguistico ex novo, e cristallizzate, ossia soggette all’influenza dell’esposizione culturale, di circa 28 punti. L’indice di ragionamento visuo-percettivo,

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Ricerche ed esperienze

Integrazione tra servizi per la prima infanzia a Bassano

Gli asili nido

Il servizio asili nido assicura alle famiglie accoglimento e cura dei figli in un conte-sto esterno a quello familiare, attraverso un loro affidamento quotidiano a figure diver-se da quelle parentali, con specifica com-

petenza professionale, al fine di facilitare l’accesso dei genitori al lavoro e di promuovere la concilia-zione delle scelte professionali e familiari di en-trambi i genitori in un quadro di pari opportunità.

In particolare l’asilo nido si propone di soste-nere le famiglie, con particolare attenzione a quel-le monoparentali, nella cura dei figli e nelle scelte educative, come servizio flessibile, aperto a nuove esigenze e in grado di modificare la propria offer-ta in funzione delle trasformazioni e delle istanze socio-culturali e territoriali. Le finalità enunciate

sono perseguite attraverso:– il pieno coinvolgimento di tutto il personale

che opera nei nidi e nei servizi per l’infanzia;– l’elaborazione di progetti educativi in sintonia

con le linee guida approvate dalla Giunta comu-nale;

– il costante e organico rapporto con le famiglie dei bambini frequentanti, riconosciute come pro-tagoniste del progetto educativo;

– la collaborazione con gli altri ambiti di caratte-re socio educativo presenti sul territorio, a partire dalla scuola materna/scuola dell’infanzia, per fa-vorire una reale continuità formativa;

– la promozione di una corretta informazione alle famiglie sulle tematiche della prima infanzia, attraverso colloqui privati, dibattiti pubblici, in-contri e convegni.

Gli asili nido di Bassano sono autorizzati e ac-

Il Comune di Bassano del Grappa «Assessorato alle Politiche per l’In-fanzia, Nuove Generazioni e Sport» propone la propria esperienza di sistema integrato di servizi in rete per la prima infanzia, attiva da alcuni anni nel territorio e che ha come punto di riferimento gli asili nido comunali di Via Chini, di Via Rivana e il centro infanzia Rondò.L’esperienza descritta è stata selezionata come particolarmente si-gnificativa nell’ambito del progetto Tfiey – Transatlantic Forum on Inclusive Early Years ed è stata presentata al terzo convegno Tfiey realizzato a Roma il 27 gennaio 2016 sul tema «Sistemi integrati e multilinguismo nei servizi per la prima infanzia».

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Luisa Gusella

AUTORE

n Luisa Gusella, coordinatrice referente del servizio di asilo nido Comune di Bassano del Grappa.

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Gusella L.

ve potranno intervenire a supporto delle famiglie per permettere a tutti i bambini di crescere in un ambiente stimolante e con una programmazione educativa all’avanguardia.

Progetti in rete e collaborazioni nel territorio

Tavolo di coordinamento pubblico-privato dei servizi educativi 0-3 anni dell’Ulss n. 3

Il territorio bassanese è particolarmente ricco di servizi per la prima infanzia. Capillarmente estesi localmente e a contatto con le famiglie, essi con-sentono un monitoraggio diffuso dei bisogni che le famiglie esprimono, a fronte di cambiamenti culturali, sociali ed economici repentini e in conti-nua evoluzione.

Realizzare un tavolo di coordinamento dei ser-vizi pubblici e privati 0-3 anni, pur salvaguardan-do le singole specificità e autonomie, anch’esse fondamentali nella logica di un’offerta allargata di servizi per la prima infanzia, significa promuovere forme di aggregazione tra soggetti gestori pubblici e privati, orientate alla:

– promozione dei diritti dei bambini da 0 a 3 anni, nel territorio dell’Azienda Ulss n. 3;

– individuazione di nuovi bisogni espressi dal territorio;

– promozione della professionalità degli educa-tori;

– promozione della qualità dei servizi esistenti;– sostegno alla genitorialità; – stimolazione di una maggiore sensibilità verso

temi dell’educazione e cura dei bambini all’interno delle famiglie e nel territorio;

– promozione dell’attivazione di nuovi servizi, dove necessari;

– accoglienza e accompagnamento dei bisogni espressi dagli educatori e dalle organizzazioni ade-renti;

– attivazione di un macro-soggetto in grado di interloquire con le istituzioni sovra comunali;

– realizzazione di una rete di lavoro e di con-fronto di esperienze tra i vari servizi educativi pre-senti sul territorio al fine di promuovere un lin-guaggio comune e una progettualità pedagogica efficace e di qualità.

creditati dalla Regione Veneto in base alla legge 22 del 2002, hanno una capacità di accoglienza di 60 bambini ciascuno, sono aperti dalle 7.30 alle 18.15 con possibilità di frequenza a part-time al mattino o al pomeriggio. L’apertura del servizio è per 12 mesi all’anno, su richiesta durante le vacanze nata-lizie e pasquali.

Il centro infanzia Rondò Brenta

Il centro infanzia «Rondò Brenta» è una nuova struttura pensata per essere a misura dei bambini, delle famiglie e delle necessità del territorio.

Ospitando bimbi di età compresa tra i dodici mesi e i sei anni intende offrire un servizio nell’ot-tica della continuità educativa, quella dimensione di sviluppo e maturazione che avviene in maniera progressiva e per fasi, in tutte le articolazioni pe-dagogiche e organizzative, in un luogo di incontro nuovo e confortevole.

«Rondò Brenta» è frutto di un progetto impron-tato sul concetto di flessibilità che intende aumen-tare i servizi per le famiglie, per rispondere alle esigenze di lavoro e di cura, in un’ottica moderna: il servizio di asilo nido e di centro infanzia per-mette ai nuclei parentali di lasciare i propri figli in luoghi sicuri, accuditi da insegnanti qualificati dalle 7.00 alle 19.00, compresi il sabato e la domenica, i periodi delle vacanze scolastiche e durante tutti i mesi estivi.

Un tempo di cura dilatato, a misura delle più svariate esigenze: per venire incontro a tutte le necessità il centro può ospitare nel fine settimana e durante le vacanze, anche bambini non regolar-mente iscritti al programma didattico.

Al «Rondò Brenta» il bimbo è posto al centro della programmazione per favorirne un armonio-so sviluppo psico-fisico: per questo sono previste attività che coinvolgono le figure dei nonni e labo-ratori didattici. Nei progetti educativi infatti viene posta particolare attenzione al processo di integra-zione sociale sia in senso verticale (con adulti e an-ziani) che culturale (tra bambini di diverse etnie). I piccoli, con programmi mirati, possono vivere il territorio come ricchezza ed essere educati a cono-scere in modo corretto il mondo che li circonda.

Nel centro polifunzionale il coinvolgimento del territorio è a 360 gradi. Anche le attività produtti-

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Integrazione tra servizi per la prima infanzia

Con tali finalità, l’assessorato alle Politiche per l’infanzia e nuove generazioni e il coordinamento dei servizi privati per la prima infanzia, rappresen-tato dalla Fondazione Pirani, Cremona, intendono promuovere il consolidamento di una tradizio-ne pluriennale, che è stata finora finalizzata alla condivisione di momenti formativi, ampliando il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati del territorio.

Ponte continuità con le scuole dell’infanzia

Il processo di crescita dei bambini è unita-rio e progressivo, ma non sempre sono unitari i servizi per l’infanzia e quelli scolastici, nei quali ciascuno di loro si trova a percorrere il proprio iter formativo. Anzi sul piano istituzionale nido e scuola dell’infanzia sono spesso segmenti separati con propri ordinamenti programmatici autonomi. Questa segmentazione rende necessario un lavo-ro di raccordo sul piano pedagogico e didattico che va realizzato dagli operatori per garantire ai bambini la continuazione della loro storia perso-nale senza passaggi traumatici. La realizzazione di un’autentica continuità verticale fra nido e scuola dell’infanzia è resa ancora più importante dal de-siderio di evitare lacerazioni sul piano affettivo ed emotivo, che si verificano facilmente nei bambi-ni costretti a cambiare improvvisamente contesti di vita, adulti e coetanei di riferimento, materiali, tempi e spazi, modalità relazionali. Le piste di la-voro possibile sono numerose e diversificate, ma vanno articolate in un chiaro progetto finalizzato alla realizzazione di una reale continuità tra queste due importanti realtà educative.

Il passaggio dall’asilo nido alla scuola d’infan-zia rappresenterà un «salto» importante sia per i bambini che per i genitori. Un primo fondamen-tale passaggio sarà il favorire momenti di incon-tro tra il personale educativo dei due servizi per condividere una maggiore consapevolezza sul di-verso ruolo, sui contenuti formativi, sull’esigenza di una continuità sicuramente da progettare e spe-rimentare. Si ritiene di fondamentale importanza lo scambio di informazioni relative sia ai bambi-ni sia ai modelli educativi e organizzativi dei due servizi, con l’individuazione degli obiettivi, delle metodologie, delle strategie di osservazione e di

Obiettivi del tavolo

Obiettivi– Organizzazione di incontri di forma-

zione e di aggiornamento per educatrici/educatori della prima infanzia sia coin-volgendo esperti esterni, sia attraverso lo scambio delle esperienze fra le varie realtà aderenti.

– Attuazione di strategie di collabora-zione atte a migliorare l’offerta dei servizi aderenti.

– Realizzazione di azioni informative/formative rivolte alla cittadinanza.

– Aggiornamento sulle prassi ammini-strative legate ai quadri normativi regionali e nazionali.

– Creazione di un sistema di comunica-zione e di scambio di prassi e azioni al fine di rendere agevole il lavoro di attestazione e di documentazione.

Attività svolta:Progetto «Incontriamoci nei Nidi»

2014/2015 e 2015/2016 (con il coinvolgi-mento di 25 servizi per la prima infanzia operanti nel territorio dell’Ulss 3 di Bassano del Grappa).

Esprime la volontà dei nidi di mettere a disposizione spazi e tempi di socializzazio-ne per i bambini da 0 a 3 anni, in partico-lare per tutti coloro che non frequentano già un nido.

Offre ai papà e alle mamme uno spazio di incontro e di confronto.

Manifesta l’impegno dei nidi nel creare una rete di sostegno alle famiglie.

Apre spazi di dialogo, di sensibilizzazio-ne e di confronto fra tutti nella promozio-ne della cultura all’infanzia.

Iniziativa rivolta prioritamente ai bambi-ni che non frequentano il nido.

Accesso gratuito consentito a tutti i bimbi da 0 a 3 anni, accompagnati da un genitore.

Si può partecipare a più incontri. L’attività è volontaria e gratuita.

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Gusella L.

tifico e culturale rivolto a sostenere il loro valore educativo nella crescita e nella formazione umana delle bambine e dei bambini. Ricerche di lungo corso hanno ormai reso evidente come le abili-tà cognitive e non-cognitive, di tipo relazionale e di risoluzione dei problemi, si formino fin dai primissimi anni di vita 0/3 anni, in relazione agli scambi che i bambini sviluppano con altri soggetti e con l’ambiente esterno più ampio di tipo sociale ed educativo.

La ricerca ha dimostrato che un bambino che ha avuto la possibilità di frequentare l’asilo nido ha maggiori possibilità di organizzare le proprie capacità relazionali e cognitive, che in particolare sono le risorse individuali che aiutano a superare in modo più efficace problematiche relative alla crisi anche lavorativa che in questi anni sta colpendo le nostre famiglie. Non solo, ma ha dimostrato che anche il «benessere familiare», soprattutto delle famiglie più svantaggiate è stato incrementato dal contatto con la cultura educativa e di cura del nido creando una maggiore facilità successiva nell’en-trata nel mondo scolastico e lavorativo.

Il punto di partenza è stata la teoria di J. Heck-man, premio Nobel in economia del 2000, che sottolinea l’importanza delle abilità cognitive e so-ciali che si sviluppano nella primissima infanzia, nel contesto di crescita e che, una volta costituite, sono stabili e cumulabili. Prima si anticipano e si costruiscono queste capacità maggiori saranno i risultati in età adulta. Favorire questa costruzione nella prima infanzia produce nel lungo periodo ri-sultati più stabili e fruttuosi. Pertanto diventa im-portante e primario investire in politiche per l’in-fanzia e in nidi di qualità ma soprattutto a favore dei figli piccoli delle famiglie svantaggiate.

Sono stati ricostruiti i percorsi formativi, quelli scolastici e le caratteristiche familiari. Attraverso la rilevazione delle liste degli iscritti agli asili nido comunali dal 1989 al 1994; delle principali caratte-ristiche dei diplomati bassanesi negli ultimi 6 anni; presso l’anagrafe comunale; e la realizzazione di un’indagine 408 interviste telefoniche alle madri e ai padri dei giovani nati tra il 1989 e il 1994.

In conclusione il nido risulta influenzare: il tra-guardo del diploma; un buon voto di diploma; l’i-scrizione all’università; non essere tra i Neet. Ma in particolare il nido è molto influente nel caso di genitori con breve scolarizzazione.

valutazione. Educatori e insegnanti della scuola dell’infanzia si incontrano per definire strategie e modalità che possano aiutare i bambini a vivere serenamente questa esperienza di passaggio. Esse consistono in attività atte a favorire la conoscen-za dei nuovi insegnanti e dei nuovi compagni, che siano in grado di valorizzare le esperienze prece-denti del bambino e che diventino per lui fonte di sostegno e sicurezza.

Biblioteca al nidoProgetto avviato in collaborazione con As-

sociazione «Nati per Leggere», Biblioteca Civica del Comune di Bassano del Grappa, il servizio di biblioteca al nido, Associazione culturale pediatri e Azienda Sanitaria. Si tratta di un progetto che accompagna i bambini e le loro famiglie nel pro-cesso di alfabetizzazione attraverso un servizio ag-giuntivo che stimoli la familiarità e il piacere della lettura, rafforzando la relazione genitoriale, attra-verso il prestito di libri per bambini e attività di lettura animata.

ScambiamondoIniziativa attivata con i genitori del nido e coor-

dinata dai comitati di gestione dei nidi.È un progetto avviato all’interno degli asili nido

comunali in giorni dedicati, che vede come obbiet-tivo l’allestimento di un mercatino di scambio e di baratto di materiale utile alla prima infanzia come vestiario, attrezzature, giochi, per un’educazione a ridurre lo spreco e valorizzare il necessario. Il ma-teriale raccolto e non utilizzato viene poi donato alle associazioni del territorio che si occupano di accoglienza e sostegno dei nuclei familiari in diffi-coltà, case famiglia e comunità di accoglienza.

Investire sull’infanzia: il valore del nido

La ricerca si è svolta in convenzione con Uni-versità di Padova, in particolare con il prof. Valerio Belotti docente presso il Dipartimento di filoso-fia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata, che ha assicurato la direzione scientifica dei lavori, nonché l’analisi e l’interpretazione dei dati.

Da diversi decenni i servizi di nido rivolti alla prima infanzia sono al centro di un dibattito scien-

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Integrazione tra servizi per la prima infanzia

SUMMARY

The municipality of Bassano del Grappa «De-partment for Childhood, New Generations and Sport» proposes their experience as an in-tegrated system of network services for early childhood, that has been active for some years in the territory and has the municipal day-care centres of Via Chini, Via Rivana and the Rondò centre as a reference point.

Risultati della ricerca

– Solo il 12% del totale dei giovani coinvolti nella ricerca hanno frequenta-to il nido.

– Il 56% degli intervistati sono favo-revoli alla frequenza al nido, il 27% sono scettici e il 17% possibilisti.

– I giovani che sono andati al nido hanno avuto un percorso di studi più re-golare di quanti non hanno avuto questa esperienza.

– Il 92% dei giovani con frequenza al nido si sono diplomati (contro il 72% degli altri).

– Il 64% dei giovani con frequenza al nido si è iscritto all’università contro il 41% degli altri giovani.

– I Neet (giovani che non studiano e non lavorano) nel complesso sono il 13% con esperienza di nido l’8% quelli con la prima infanzia in famiglia il 16%.

– Gli effetti positivi del nido sui per-corsi scolastici sono particolarmente ri-levanti per i figli delle famiglie a bassa scolarizzazione.

I bambini tra cittadinanza e investimento. Partecipazione al nido d’infanzia ed effetti di lungo periodoBelotti V. (2016), ed. Cleup, Padova.

Il nido conta? Secondo i sostenitori dell’investimento nell’infanzia, avere un’esperienza in un nido d’in-fanzia di qualità, favorisce la costruzione di abilità spendibili nel corso della vita. Posizioni sostenute da studiosi autorevoli e fatte proprie da istituzioni politiche internazionali. Quanto queste convinzioni rischiano di essere semplicemente dei miti oppure produrre «effetti perversi» nella loro declinazione propositiva? Con uno sguardo disincantato, ma non disinteressato, l’autore propone una rassegna ragio-nata degli studi e i risultati di un’indagine originale. Gli esiti della ricerca indicano che sì, il nido in effetti sembra contare, in particolar modo per i figli delle famiglie a rischio di esclusione sociale. Un’influenza che emerge a certe condizioni di qualità del nido, connesse proprio al difficile, ma possibile sforzo di costruire, nella riflessione e nell’implementazione delle politiche, dei punti condivisi tra diverse prospet-tive di welfare.

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Gruppo Solidarietà (a cura di)

Disabilità complessa e servizi Presupposti e modelliGruppo Solidarietà, Castelplanio, 2016

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Il libro, che si pone in stretta continuità con «Persone con disabilità. Percorsi di inclusione» (2012), pone l’attenzione sugli interventi riguardanti la «disabilità complessa». I con-tributi affrontano in particolare temi legati alle politiche e ai servizi rivolti alle persone con disabilità intellettiva.

Non si può, infatti, parlare di interventi e servizi senza avere come riferimento le politiche: politiche inclusive producono interventi inclusivi. Servizi che abbiano come obiettivo la qualità di vita della persona, che siano «incardinati» nella comunità e che siano pensati proprio come servizi della comunità.

L’auspicio è che questa nuova pubblicazione possa essere uno strumento che aiuti a porsi domande su quello che facciamo e su come lo facciamo. Riflettere sui servizi e sulle loro prospettive

induce a confrontarsi con le politiche e con i loro modelli. Nella consapevolezza che viviamo un tempo difficile, nel quale l’attenzione concreta a chi è più in difficoltà viene proclamata, ma troppo spesso non praticata.

Le scelte di politica sociale vanno, da troppo tempo, in direzione diverse da quelle della effet-tiva garanzia dei diritti. Se la prospettiva è unicamente quella del costo, l’attenzione sarà posta, conseguentemente, alla riduzione della spesa, che si traduce in un costante disinvestimento negli interventi. Nella consapevolezza che i servizi sono sempre figli delle politiche, della nostra idea di società e di come intendiamo rispondere alle esigenze delle persone più deboli. Una sfida, dunque, che riguarda e impegna ognuno di noi.

Contiene contributi di: Andrea Canevaro, Roberto Franchini, Gloria Gagliardini, Fausto Giancaterina, Alain Goussot, Giovanni Merlo, Mario Paolini.

Dall’introduzione del Gruppo Solidarietà

Recensioni

www.grusol.it/pubblica.asp - pp. 112 - € 12,00

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Belotti V. (2016), I bambini tra cittadinanza e investimento. Partecipazione al nido d’infanzia ed effetti di lungo periodo, Cleup, Padova.

Cederna G. e Venturi R. (a cura di) (2015), Bambini senza. Atlante dell’infaniza (a rischio). Origini e coordinate delle povertà minorili, Save the Children, Roma.

Ente italiano di Servizio sociale onlus (2016), Servizio sociale e calamità naturali. In-terventi di servizio sociale, Eiss, Roma.

Flick G.M. (2015), Elogio della dignità, Libre-ria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.

Giovannini A. (2016), Il re fisco è nudo. Per un sistema equo, Franco Angeli, Milano.

Gobetti P. (2011), La rivoluzione liberale, Ei-naudi, Torino.

Gori C. e altri (2016), Il Reddito d’inclusione sociale (Reis). La proposta dell’Alleanza contro la povertà in Italia, Il Mulino, Bologna.

Hersch J. (a cura di) (2015), Il diritto di essere un uomo. Antologia mondiale della libertà, Mi-mesis e Unesco, Milano.

Inzoli A. e Spreafico G. (2016), Lavorare an-cora. La rigenerazione professionale degli over 50 in Italia, Erickson, Trento.

Munaro A. (a cura di) (2015), Amministra-zione di sostegno. Legge 6/2004. Guida vademe-cum per operatori, famiglie e operatori, Comitato d’intesa tra le associazioni volontaristiche della Provincia di Belluno e Leali Ammini-stratori di sostegno onlus, Feltre.

Pregno C. (2016), Servizio sociale e anziani, Carocci Faber, Roma.

Ravasi G. (2013), Darwin e il Papa. Il falso dilemma tra evoluzione e creazione, EDB, Bo-logna.

Salvemini G. (2011), La sinistra e la questione meridionale, Einaudi, Torino.

Venturi P. e Rago S. (2016), L’Economia del-la Coesione nell’era della vulnerabilità, Aiccon, Forlì.

Abbiamo ricevuto

Abbiamo ricevuto

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Una finestra sul mondo

Progetto IntesysTogether: Supporting vulnerable children through integrated early childhood services

Intesys è un progetto europeo finanziato dal programma Erasmus+ della Unione europea ed è co-ordinato dalla Fondazione Re Baldovino del Belgio insieme a partner provenienti anche da Italia, Portogallo, Paesi Bassi e Slovenia. Per i bambini più svantaggiati, la disponibilità di servizi per la prima infanzia di alta qualità può fare la differenza e aiutare a ridurre le disuguaglianze. Attualmente, le diseguaglianze nei sistemi europei di educazione e cura sono profonde e colpiscono pesantemen-te i gruppi più vulnerabili: bambini migranti, bambini rom, con bisogni speciali o in condizione di povertà. Il documento sul tema «Integration and alignment of services including poor and migrant families with young children» (Geinger et al, 2015), pubblicato nell’ambito del Transatlantic Forum on Inclusive Early Childhood di gennaio 2015, descrive la frammentazione dei servizi e il movimento per l’integrazione e la messa in rete dei servizi per la prima infanzia. Il progetto prevede di sperimen-tare approcci integrati nei sistemi di educazione e cura della prima infanzia in Europa in alcuni siti pilota (Belgio, Italia, Portogallo e Slovenia), per aiutare bambini e famiglie che vivono in situazioni di vulnerabilità di avere accesso a servizi migliori. Nell’ambito del progetto la Fondazione Zancan coordina il percorso di monitoraggio e valutazione dei risultati e degli esiti realizzati nei diversi paesi.

http://www.europe-kbf.eu/en/projects/early-childhood/intesys

Welfare generativola Fondazione Zancan al Parlamento Europeo

Presso il Parlamento Europeo si è svolto l’incontro «I potenziali del welfare generativo per innovare le politiche sociali» (26 maggio 2016). La Fondazione Zancan ha presentato il welfare generativo e i suoi potenziali sociali ed economici. Al centro dell’attenzione il passaggio da logiche di costo a pratiche di investimento sociale per riqualificare la spesa di welfare e potenziarne l’impatto sociale. L’iniziativa, su invito del Gruppo S&D e coordinata dall’onorevole Elena Gentile, membro della Commissione Occupazione e Affari Sociali e vice-presidente dell’Intergruppo Economia Sociale del Parlamento Europeo, ha permesso di discutere e approfondire il tema e le possibili collaborazioni a livello europeo e tra regioni italiane con referenti del Parlamento Europeo, rappresentati della DG Innovazione e Ricerca, del Cese – Comitato Europeo Economico e Sociale, di Eurocities e dei

rappresentanti delle regioni italiane di Emilia Romagna, Puglia, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Provincia Autono-ma di Trento.

www.welfaregenerativo.it

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Proposte culturali

Calendario delle proposte

ll welfare attuale affronta crescen-ti difficoltà nell’affrontare effica-cemente i bisogni della società. La via d’uscita è rappresentata da innovazioni capaci di produr-re un maggior rendimento degli interventi erogati e garantirne la sostenibilità socio-economica, rendicontando i risultati ottenuti

alle comunità di riferimento. Questa è la sfida che attende enti pubblici e organizzazioni del privato sociale negli anni a venire. Per approfondire soluzioni innovative a diversi i livelli (tecnico-professionale, giuridico, economico, ...), la Fon-dazione Zancan propone un’ampia gamma di corsi di formazione. I corsi si tengono a Padova, presso la sede della Fondazione Zancan (via Vescovado, 66).

Comunicare è crescere: dalla teoria alla pratica - Laboratorio di formazione (15-16 settembre 2016)Dall’analisi dei dati alla valutazione nel servizio sociale. Laboratorio: Come costruire uno strumento per la raccolta dei dati (19-20 settembre)Questioni e dilemmi etici nel lavoro con utenza di particolare gravità (21-22 settembre)Diritti, doveri, responsabilità: principi etici e tecnici di un aiuto professionale generatore di nuove ri-sorse (28-29 settembre)I fondamentali del welfare generativo (5-6 ottobre)Comunicare è crescere: dalla teoria alla pratica – Giornata area infanzia (7 ottobre)Comunicare è crescere: dalla teoria alla pratica – Giornata area famiglia (14 ottobre)Dall’analisi dei dati alla valutazione nel servizio sociale. Laboratorio: Analisi dei dati e divulgazione (17-18 ottobre)Capacità e risorse delle persone e delle famiglie (19-20 ottobre)Comunicare è crescere: dalla teoria alla pratica – Giornata area anziani (21 ottobre)Realizzare azioni generative (24-25-26 ottobre)Comunicare è crescere: dalla teoria alla pratica – Giornata area disabilità (28 ottobre)Soluzioni giuridiche e amministrative di welfare generativo (3-4 novembre) Metodi e tecniche del lavoro educativo con minori: colloquio, osservazione e gruppi di lavoro (7-8 no-vembre)Emergenze e sfide dell’accoglienza residenziale per minori (9-10 novembre)Valutare la generatività e il suo impatto sociale (14-15-16 novembre)

Per ulteriori informazioni:www.fondazionezancan.it (area news)email [email protected] tel. 049 663800

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Fondazione Emanuela Zancan e Fondazione L’Albero della Vita

Io non mi arrendoBambini e famiglie in lotta contro la povertàIl Mulino, Bologna, 2015

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Come conoscere la povertà con le famiglie povere? Come cercare solu-zioni che non siano soltanto «emergenziali»? Il volume parla di genitori e bambini poveri che esprimono potenziale positivo e generativo men-tre ricevono aiuto. La lotta alla povertà è possibile non solo chiedendosi cosa serve e a chi, ma cosa aiuta e come. Non è un problema di quantità di risorse ma di combinazione di capacità, professionali e non profes-sionali, per meglio finalizzare gli aiuti a disposizione. Il prestazionismo mortifica i talenti, non li valorizza e può umiliare le persone che quoti-dianamente lottano contro la povertà. La dignità di ogni persona, anche se povera, è valore umano fondamentale da riconoscere e valorizzare. Aver bisogno non significa essere più deboli e meno capaci. Significa essere chiamati ad affrontare situazioni molto difficili, al limite della sopravvivenza, e poterne uscire. È un messaggio del titolo «Io non mi arrendo». È il grido di libertà e di speranza che viene dai poveri.

ContenutiPresentazione (Ivano Abbruzzi)Introduzione (Tiziano Vecchiato)Parte prima: Bisogni e capacità delle famiglie povere1. Problemi, bisogni e risposte (Devis Geron e Tiziano Vecchiato)2. Potenziali generativi (Cristina Braida e Tiziano Vecchiato)3. I ragazzi ci parlano (Giulia Barbero Vignola e Cinzia Canali)Parte seconda: Lottare con i poveri contro la povertà4. Famiglie povere (Cristina Braida, Devis Geron, Martin Eynard, Roberto Maurizio e Gerolamo Spreafico)5. Capacità territoriale di aiutare (Elena Innocenti e Gerolamo Spreafico)6. Vuoti di risposta (Devis Geron e Roberto Maurizio)Parte terza: Alla ricerca di soluzioni7. Perché fare ricerca in questo modo (Cinzia Canali e Devis Geron)8. Considerazioni guardando al futuro (Tiziano Vecchiato)Riferimenti bibliografici

Pubblicazioni

ISBN: 978-88-15-26033-8 - pp. 184 - € 18,00

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Fondazione Emanuela Zancan

Cittadinanza generativaLa lotta alla povertà. Rapporto 2015Il Mulino, Bologna, 2015

Studi Zancan · 3/2016 · 53

Il «welfare generativo» prefigura politiche capaci di andare oltre l’assi-stenzialismo e porre un freno alla dissipazione delle risorse disponibi-li. La «cittadinanza generativa» è un cambio di paradigma verso nuovi modi di essere società. Chiede ad ogni persona di contribuire alla lotta alla povertà e alla disuguaglianza, mettendo in campo le proprie ca-pacità a «corrispettivo sociale». In questo modo chi beneficia di aiuti di welfare può entrare in gioco attivamente e aiutare ad aiutarsi, così da generare dividendo sociale. Il volume si divide in tre parti. Nella prima vengono presentati esempi di welfare generativo e degenerativo, evidenziando modi per riconvertire la spesa sociale da costo a investi-mento. Nella seconda si illustra come valorizzare al meglio le risorse e le capacità a disposizione, facendo della lotta alle disuguaglianze un’area di investimento e sviluppo sociale. La terza parte affronta il tema delle innovazioni giuridiche necessarie per facilitare pratiche di tipo generati-vo, a livello locale, regionale e nazionale.

ContenutiPresentazione (Cesare Dosi)Parte prima: problemi e potenzialità1. Fotogrammi di povertà2. Tessere di generatività3. Dimmi come spendi e ti dirò chi sei (Maria Bezze e Devis Geron)Parte seconda: ragioni per cambiare 4. Questioni di welfare (Tiziano Vecchiato)5. Disuguaglianze e povertà (Giancarlo Rovati)6. Politica fiscale, distribuzione del reddito e povertà (Michele Battisti e Joseph Zeira)7. Le sette piaghe del welfare (Tiziano Vecchiato)Parte terza: verso una regolazione della cittadinanza generativa8. Una proposta di legge sul welfare generativo: perché e come (Emanuele Rossi)9. Considerazioni sulla proposta di legge statale sul welfare generativo (Giacomo Delledonne)10. Spazi normativi regionali in tema di welfare generativo (Elena Innocenti)11. Welfare generativo e competenze comunali: potenzialità e limiti (Fabio Pacini)12. La lotta alla povertà: costo o investimento? (Tiziano Vecchiato)Appendice. proposta di legge. Welfare generativo e azioni a corrispettivo socialeRiferimenti bibliografici

Pubblicazioni

ISBN: 978-88-15-26089-5 - pp. 185 - € 18,00

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Tfiey Italia

Il futuro nelle nostre mani Investire nell’infanzia per coltivare la vitaIl Mulino, Bologna, 2016

Studi Zancan · 3/2016 · 54

Investire nell’infanzia significa fare una scelta molto precisa: aiutare la vita rispettandola e coltivandola. Questo volume nasce da una ricerca svolta in Italia, in Europa e in Nord America, terre in cui si concentra-no grandi ricchezze ma anche molte contraddizioni «esistenziali» che penalizzano soprattutto i bambini più piccoli (0-6 anni) proprio nel mo-mento in cui si affacciano alla vita. Tfiey Italia, in dialogo con il Tfiey internazionale (Transatlantic Forum on Inclusive Early Years) e con molte altre istituzioni filantropiche italiane e internazionali, ha svolto un lungo lavoro di indagine per individuare quali politiche, quali stra-tegie e quali pratiche sono necessarie per innovare i servizi educativi, sanitari e sociali a favore dei bambini più piccoli e più poveri. Sono state così evidenziate e approfondite molte criticità: le difficoltà di accesso ai servizi, le diverse povertà dei bambini, i bisogni che non trovano ri-sposta, i potenziali del multilinguismo e delle appartenenze identitarie. Tra le possibili soluzioni ci sono le nuove competenze professionali, il coinvolgimento e la partecipazione dei genitori, le potenzialità inespres-

se dei sistemi integrati, le responsabilità che potrebbero essere meglio valorizzate. Il risultato di tre anni di lavoro è condensato in queste pagine, che vogliono essere uno stimolo alla riflessione per le diverse istituzioni coinvolte nei processi decisionali e per tutti coloro che a vario titolo sono interessati ai processi di inclusione dei bambini e delle famiglie.

ContenutiPresentazione (Piero Gastaldo). Perché investire nella prima infanzia (Daniela Del Boca)Parte prima: Bisogni e potenzialità 1. Tfiey: coltivare la vita con soluzioni generative (Marzia Sica e Tiziano Vecchiato). 2. L’Italia nel confronto internazionale (Cinzia Canali e Devis Geron). 3. I genitori negli spazi di vita dei bambini (Susanna Mantovani)Parte seconda: Valutazione di esito e di impatto 4.Orientarsi nei servizi per l’infanzia (Maria Bezze, Elena Innocenti e Marzia Sica). 5. Monitoraggio e valutazione (Cinzia Canali e Devis Geron). 6. Integrare la valutazione di esito e la valutazione di impatto (Cinzia Canali e Tiziano Vecchiato)Parte terza: Società multiculturale 7. Identità e culture (Bruna Bellini e Tiziano Vecchiato). 8. Crescere in una società multiculturale (Cinzia Canali, Devis Geron e Roberto Maurizio). 9. Multiculturalismo nella normativa nazionale e regionale (Elena Innocenti)Parte quarta: Innovazioni sostenibili 10. Sistemi integrati (Daniela Castagno e Tiziano Vecchiato). 11. Costru-ire azioni innovative (Thomas Bastianel, Maria Bezze e Elena Innocenti). 12. Prospettive: da «forum for» a «Inclusive Early Years» (Marzia Sica e Tiziano Vecchiato)Riferimenti bibliografici

Pubblicazioni

ISBN: 978-88-15-26397-1 - pp. 198 - € 20,00

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Elizabeth Fernandez, Anat Zeira, Tiziano Vecchiato, Cinzia Canali (editors)

Theoretical and Empirical Insights into Child and Family Poverty. Cross National PerspectivesSpringer, 2015

Studi Zancan · 3/2016 · 55

This book brings together a range of theoretical and empirical perspectives on conceptualization, measurement, multidimensional impacts, and policy and service responses to address child and family poverty. It illuminates issues and trends through country level chapters, thus shedding light on dynamics of poverty in different jurisdictions. The book is structured into three sections: The first includes introductory chapters canvassing key de-bates around definition, conceptualization, measurement, and theoretical and ideological positions. The second section covers impacts of poverty on specific domains of children’s and families’ experience using snapshots from specific countries/geographic regions. The third section focuses on programs, policies and interventions, and addresses poverty and its impacts. It showcases specific interventions, programs and policies aimed at respon-ding to children and families and communities and how they are, or might

be evaluated. Through cross national case studies and evaluations this international collection illustrates the diversity of approaches and outcomes.

Contents1. Understanding Child and Family Poverty: An Introduction to Some Key Themes and Issues (E. Fernandez); 2. Child Poverty in the International Context (E. Fernandez and I. Ramia); 3. Not Just Stati-stics: Making Children’s Poverty More Visible (P. Saunders); 4. Child Poverty and Child Well-Being in International Perspective (J. Bradshaw); 5. Why Are Poor Children Always with Us? Theory, Ideology and Policy for Understanding Child Poverty (M. Wearing and E. Fernandez); 6. Disadvantage, Equity and Children’s Rights in Twenty-First Century Australasia (M. Connolly); 7. Children’s Subjective Well-Being in Disadvantaged Situations (C. Montserrat, F. Casas, and J. Ferreira Moura Jr.); 8. Child Poverty in Ger-many: Conceptual Aspects and Core Findings (S. Andresen, S. Fegter, K. Hurrelmann, Mo. Pupeter, and U. Schneekloth); 9. Poor for How Long? Chronic Versus Transient Child Poverty in the United States (S. Kimberlin and J. Duerr Berrick); 10. Child Poverty Reduction in Brazil: Reversing Bismarck? (A. Barrientos and A. Telias Simunovic); 11. Poverty and Social Exclusion of Children and Families in Italy and Europe: Some Comparisons (C. Canali and D. Geron); 12. Poverty in Italy and Generative Welfare Approach (T. Vecchiato); 13. A Family-Centred Approach in Helping Poor Children in Hong Kong (J. Lai Chong Ma); 14. Young People at Risk of Lifelong Poverty: Youth Homelessness in Australia (P. McNamara); 15. Poor Children, Poor Services, Poor Outcomes: Child Poverty and Its Impact on Referral and Placement in Pu-blic Care System in Hungary (M. Herczog); 16. In What Ways Might Poverty Contribute to Maltreatment? (M. Brandon); 17. Aboriginal and Torres Strait Islander Families in Australia: Poverty and Child Welfare Involvement (C. Tilbury); 18. Family Poverty: Reviewing the Evidence for an Integrated Community-Ba-sed Practice (A. Lightburn and C. Warren-Adamson); 19. Reducing Poverty and Investing in Children and Families (E. Fernandez, A. Zeira, T. Vecchiato, and C. Canali)

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ISBN: 9783319175058 - pp. 319

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International Journal of Child and Family WelfareSupporting children when providing services to families experiencing multiple problems: Perspectives and evidence on programmes

2015, 16(1/2) Special Issue

Recently, there has been growing interest amongst researchers, practitioners and policy-makers in approaches to understanding and ways of helping parents, children and the communities in whi-ch they live to respond to «families experiencing multiple problems» (FEMPs). There is a strong need for information – both descripti-ve in terms of the services actually offered directly to children as well as their ability to benefit from the services provided to the whole family, and also evaluative, with a focus on outcomes. Moti-vated by the need for practice-oriented knowledge this special issue was prepared. The contributions have been divided into two parts; the first part focusing on perspectives on helping these families with special at-

tention to the position and the interests of children; the second part covering empirical rese-arch on intervention programmes for FEMPs that support them in coping with daily struggles and challenges, and helping them to prevent unnecessary out-of-home placement of a child.

Introduction Supporting children when providing services to families experiencing multiple problems:Perspectives and evidence on programmesErik J. Knorth, Jana Knot-Dickscheit & June Thoburn

Perspectives Children in families experiencing multiple problems: Advancing a main challengeTim Tausendfreund & Jana Knot-Dickscheit Authoritative practice with child neglect: Integrating family support and child protectionBrigid M. Daniel

Evidence Safety for children first: 40 Focus on children in Intensive Family Case ManagementInge Busschers & Leonieke Boendermaker Turning points or turning around: Family Coach Work with «troubled families»Marian Brandon, Penny Sorensen, June Thoburn, Sue Bailey & Sara Connolly PoupArte: A collaborative programme to empower low-income vulnerable familiesSofia Rodrigues, Madalena Alarcão & Liliana Sousa Services to prevent children coming unnecessarily into care: A cross-national perspectiveAnat Zeira, Cinzia Canali, Tiziano Vecchiato & June Thoburn The more the better: Adherence to programme elements of Families First in the Nether-lands reduces the risk of out-of-home placementHarm Damen & Jan W. Veerman

www.garant.be

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56 · Studi Zancan · 3/2016

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Roberto Maurizio, Norma Perotto, Giorgia Salvadori

L’affiancamento familiare. Orientamenti metodologiciCarocci Faber, Roma (2015)

Studi Zancan · 3/2016 · 57

Dietro un minore in difficoltà spesso c’è una famiglia in difficoltà: questo lo spunto che ha condotto all’elaborazione del modello di affiancamento familia-re, una forma innovativa di intervento sociale, pensata per sostenere famiglie che vivono un periodo problematico nella gestione della propria vita quotidia-na e nelle relazioni educative con i figli. Il focus dell’intervento non è solo il bambino ma tutto il suo nucleo familiare: una famiglia solidale sostiene e aiuta un’altra famiglia in difficoltà, e tutti i componenti di entrambi i nuclei vengono coinvolti in una relazione basata sulla fiducia, sul consenso e sulla reciproci-tà. Il volume offre uno strumento metodologico per approfondire gli aspetti più significativi dell’affiancamento familiare, così come è stato sviluppato in diverse parti d’Italia dalla Fondazione Paideia, in collaborazione con servizi sociali territoriali e realtà del privato sociale. Le aree tematiche proposte costi-

tuiscono – in particolare per operatori sociali di enti pubblici e privati – uno stimolo alla riflessione sugli aspetti preventivi e sullo sviluppo di azioni integrate nell’ambito del sostegno all’infanzia e alla famiglia in difficoltà.

ContenutiIntroduzione. Ringraziamenti.Parte prima. Presupposti e metodo Premessa alla Parte prima. 1 Progettare l’affiancamento (Perché aiutate solo me? Anche la mia famiglia ne ha bisogno. Le ragioni dell’affiancamento. La fase sperimentale. Una ricognizione sugli strumenti operativi. E dopo?). 2 Una prospettiva aperta (Di cosa parliamo quando parliamo di sperimentazione. Una lettura longitudinale. Quale ruolo per la Fondazione? Una riflessione sugli elementi innovativi). 3 Questioni di metodo (Un metodo che è anche contenuto. Partire dalle risorse. Dai bisogni ai problemi. Prendersi tempo. Osare. Verso un linguaggio comune)Parte seconda. Attori e strumenti Premessa alla Parte seconda. 4 Il gruppo tecnico (Nascita e composizione del gruppo tecnico. Alcune sfide. La prima fase di lavoro: l’avvio della sperimentazione. La seconda fase di lavoro: gli affiancamenti. La terza fase di lavoro: valutazioni e prospettive). 5 Le due famiglie (Le famiglie affiancate. Le famiglie af-fiancanti. La relazione tra le due famiglie. Il patto educativo). 6 Prendersi cura di chi ha cura (L’assistente sociale. Il tutor. Le realtà associative del territorio. I formatori)Parte terza. Esiti Premessa alla Parte terza. 7 Organizzazione e cambiamento (Quale organizzazione? Quale cambiamen-to? Reazione, azione, intenzione. Nuove rappresentazioni. Riconoscersi nella relazione). 8 Chiavi di let-tura (La dimensione educativa. Generare fiducia. Imparare dall’esperienza. Creare un ambiente, proporre un modello). 9 Per una valutazione complessiva (L’approccio partecipativo. Una riflessione sugli esiti. Un vocabolario per la relazione)Postfazione. Leggerezza e molteplicità: suggestioni per intervenire nel sociale Bibliografia

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ISBN: 9788874667352 - pp. 188 - € 18,00

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- Contribuisce all’elaborazione delle politiche alla cultura e ai valori che possono orientarle

- Considera i cambiamenti e le ricadute sulle per-sone, in particolare su quelle che versano in situa-zione di maggior debolezza

- Conduce analisi sui servizi, sui modelli di inter-vento, sulle soluzioni operative e sui loro fonda-menti etici, cercando nuove soluzioni

- Approfondisce le questioni del cambiamento nei sistemi di welfare in Italia e nel mondo

- Documenta esperienze positive, riproducibili in diversi contesti, così da alimentare fiducia e inno-vazione sociale

- Propone idee e documenti che meritano più am-pia riflessione

5 modi per donare alla Fondazione «Emanuela Zancan»

CC postaleIBAN IT72VO760112100000012106357intestato a Fondazione «Emanuela Zan-can» onlus Centro Studi e Ricerca Sociale

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Bonifico permanente (RID)telefonando allo 049663800

5xmillecodice fiscale 00286760285

Le donazioni in denaro e in natura fatte alla Fondazio-ne «Emanuela Zancan» onlus sono deducibili nel limite del 10% del reddito dichiarato, nella misura massima di 70.000,00 euro annui art. 14, c. 1, Decreto legge n. 35 del 2005, convertito nella Legge n. 80 del 2005; circolare Agenzia delle entrate n. 39 del 19.08.2005.

STUDI ZANCANPolitiche e servizi alle persone

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www.fondazionezancan.it

www.welfaregenerativo.it www.personalab.org www.crescerebene.org www.outcome-network.org www.tfieyitalia.org