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Studi e ricerche Movimenti artistici e società di massa: il futurismo italiano di Pierfrancesco Morabito Avanguardie e società di massa L’inquadramento dell’avanguardia italiana nel contesto socio-culturale del primo Novecento è oggi assai problematico. Durante questo pe- riodo si costituisce in Europa, a diversi livelli, un mercato al cui interno, viene gradualmente a collocarsi anche l’intellettuale in quanto pro- duttore di valori culturali. Con l’emergere della società industriale il ruolo dell’intellettuale, tra- dizionalmente separato dalla società civile, si modifica. Il lavoro intellettuale si riorganizza e diventa necessaria per l’uomo di cultura l’ac- quisizione di una diversa autocoscienza sia ri- guardo alle istanze sociali, sia riguardo alla sua posizione all’interno del processo produttivo1. Si costituiscono gruppi di intellettuali che in parte mimano a livello sovrastrutturale il mo- mento organizzativo della società industriale, in parte tendono a conquistare l’egemonia al- l’interno del ceto dei produttori di forme di coscienza. Mutata radicalmente l’accezione di valore artistico, entra in crisi il concetto organi- co della forma estetica. L’armonia totalitaria dell’arte classica si frammenta in miriadi di corpuscoli aventi ciascuno in sé vita autonoma e rispecchianti la progressiva dissociazione, lo shock, delle esperienze della vita moderna2. Anche se i vari gruppi di avanguardia europei ebbero in comune il tentativo di esprimere, attraverso la revisione delle forme estetiche, le modificazioni in atto nella società moderna, differente era la realtà economico-sociale dei singoli paesi. Ne derivò un’eterogeneità di posi- zioni ideologiche che rende pressoché impossi- bile incasellare, oggi, il concetto di avanguardia in una definizione che inglobi univocamente tutti i movimenti di avanguardia europei. In questo senso è problematico insistere - come fa Asor Rosa - su una generica comu- nanza di atteggiamenti estetici3. Ciò comporte- rebbe la sottolineatura di un’ottica prevalente- mente attenta ai dati sovrastrutturali. Ma la modificazione delle tecniche letterarie non ga- rantisce per se stessa ai gruppi intellettuali l’in- dipendenza dagli effetti del processo di svilup- po capitalistico in atto. Ogni situazione politico-economica definisce specifiche tipolo- gie nazionali dei movimenti d’avanguardia. Il lavoro intellettuale non è in grado di esercitare un’alternativa effettiva ai valori del sistema sen- za al contempo creare coscientemente le pre- messe per aggregarsi in qualche modo all’inter- no di queste. L’atteggiamento dei vari gruppi è perciò volto ad acquisire, una nuova identità all’interno delle nuove strutture e ad avviare un rinnovamento dei tradizionali strumenti intel- lettuali capace di ricomporre la dicotomia tra cultura ed economia generata dai nuovi rap- porti di produzione. Non si delinea però l’im- 1 M. Ricciardi, Finis artium finis vitae, in La rivincita della letteratura, Torino, Stampatori Università, 1979, pp. 9-29. 2 W. Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelarie, in Angelus novus, Torino, Einaudi, 1962, pp. 87-126. 1 A. Asor Rosa, Avanguardia, in Enciclopedia, vol. II, Torino, Einaudi, 1977, pp. 195-231. “Italia contemporanea”, marzo 1983, fase. 150

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Studi e ricerche

Movimenti artistici e società di massa: il futurismo italianodi Pierfrancesco Morabito

Avanguardie e società di massa

L’inquadramento dell’avanguardia italiana nel contesto socio-culturale del primo Novecento è oggi assai problematico. Durante questo pe­riodo si costituisce in Europa, a diversi livelli, un mercato al cui interno, viene gradualmente a collocarsi anche l’intellettuale in quanto pro­duttore di valori culturali. Con l’emergere della società industriale il ruolo dell’intellettuale, tra­dizionalmente separato dalla società civile, si modifica. Il lavoro intellettuale si riorganizza e diventa necessaria per l’uomo di cultura l’ac­quisizione di una diversa autocoscienza sia ri­guardo alle istanze sociali, sia riguardo alla sua posizione all’interno del processo produttivo1. Si costituiscono gruppi di intellettuali che in parte mimano a livello sovrastrutturale il mo­mento organizzativo della società industriale, in parte tendono a conquistare l’egemonia al­l’interno del ceto dei produttori di forme di coscienza. Mutata radicalmente l’accezione di valore artistico, entra in crisi il concetto organi­co della forma estetica. L’armonia totalitaria dell’arte classica si frammenta in miriadi di corpuscoli aventi ciascuno in sé vita autonoma e rispecchianti la progressiva dissociazione, lo shock, delle esperienze della vita moderna2. Anche se i vari gruppi di avanguardia europei ebbero in comune il tentativo di esprimere,

attraverso la revisione delle forme estetiche, le modificazioni in atto nella società moderna, differente era la realtà economico-sociale dei singoli paesi. Ne derivò un’eterogeneità di posi­zioni ideologiche che rende pressoché impossi­bile incasellare, oggi, il concetto di avanguardia in una definizione che inglobi univocamente tutti i movimenti di avanguardia europei.

In questo senso è problematico insistere - come fa Asor Rosa - su una generica comu­nanza di atteggiamenti estetici3. Ciò comporte­rebbe la sottolineatura di un’ottica prevalente­mente attenta ai dati sovrastrutturali. Ma la modificazione delle tecniche letterarie non ga­rantisce per se stessa ai gruppi intellettuali l’in­dipendenza dagli effetti del processo di svilup­po capitalistico in atto. Ogni situazione politico-economica definisce specifiche tipolo­gie nazionali dei movimenti d’avanguardia. Il lavoro intellettuale non è in grado di esercitare un’alternativa effettiva ai valori del sistema sen­za al contempo creare coscientemente le pre­messe per aggregarsi in qualche modo all’inter­no di queste. L’atteggiamento dei vari gruppi è perciò volto ad acquisire, una nuova identità all’interno delle nuove strutture e ad avviare un rinnovamento dei tradizionali strumenti intel­lettuali capace di ricomporre la dicotomia tra cultura ed economia generata dai nuovi rap­porti di produzione. Non si delinea però l’im-

1 M. Ricciardi, Finis artium finis vitae, in La rivincita della letteratura, Torino, Stampatori Università, 1979, pp. 9-29.2 W. Benjamin, Di alcuni m otivi in Baudelarie, in Angelus novus, Torino, Einaudi, 1962, pp. 87-126.1 A. Asor Rosa, Avanguardia, in Enciclopedia, vol. II, Torino, Einaudi, 1977, pp. 195-231.

“Italia contemporanea”, marzo 1983, fase. 150

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magine di un’avanguardia totalmente assogget­tata alla dinamica del sistema. Nel primo No­vecento la struttura economica era lungi dal- l’assumere le proporzioni totalizzanti tipiche delle società contemporanee. Ai gruppi intellet­tuali era ancora possibile intervenire con una certa autonomia, anche se dentro la dinamica produttiva, sulla struttura sociale. L’azione del­le avanguardie si muove pertanto, con conno­tati specifici per ciascun gruppo, tra i due poli dell’autonomia e dell’integrazione.

In Italia il movimento futurista diede modo all’intellettuale di sperimentare la possibilità di un suo inserimento organico all’interno delle strutture della nascente società capitalistica. Al tempo stesso gli permise di elaborare gli stru­menti per stabilire un diverso contatto con un pubblico che andava sempre più assumendo i caratteri di pubblico-massa. Fin dal principio Marinetti si dimostrò perfettamente consape­vole della situazione che si era venuta determi­nando nel mondo culturale italiano. Già Papini e Prezzolini nei primi anni del secolo avevano dato vita ad un tentativo di organizzazione culturale attraverso la fondazione delle riviste “Leonardo” e “La Voce”4. L’atteggiamento è sintomatico: all’inizio del Novecento vi sono degli intellettuali che, piuttosto che procedere mediante un’elaborazione propria, tendono ad imprimere una certa direzione al movimento della cultura facendosi stimolatori ed organiz­zatori delle altrui energie intellettuali5. Anche in Benedetto Croce era avvertibile l’intenzione di orientare la cultura italiana6. Ma egli si auto- poneva - anche attraverso strumenti di diretto intervento: “La Critica” nasce nel 1903 - come

nume tutelare dei seguaci della dottrina ideali­stica e confidava in un rinnovamento culturale realizzabile essenzialmente attraverso l’eserci­zio virtuale del pensiero filosofico. Altri intellet­tuali intraprenderanno, invece, iniziative più realisticamente adeguate alla nuova situazione sociale.

Dapprima essi utilizzeranno lo strumento della rivista; in seguito si costituiranno come gruppo sotto l’egida di Marinetti, proponendo­si finalità assai più ampie di quelle esclusiva- mente artistiche. Marinetti, rispetto ai prede­cessori, si dimostrò più abile nell’imporre una direzione precisa al movimento culturale. Egli aveva un rapporto più stretto con i movimenti a livello europeo e da ciò gli derivava la consa­pevolezza dell’opportunità di escogitare espe­dienti pubblicitari sempre rinnovati per procu­rare notorietà al gruppo. Soprattutto, dispone­va di notevoli risorse economiche che gli per­mettevano di sostenere le ingenti spese di gran lunga superiori a quelle richieste per una sem­plice rivista, che erano necessarie per divulgare a livello nazionale ed europeo il movimento futurista. Già qualche anno prima del 1909, Marinetti aveva avuto occasione di riscontrare 1’esistenza effettiva di una domanda di organiz­zazione da parte degli uomini di cultura. Nel 1906 egli aveva fondato “Poesia”. Si trattava di un periodico che, con l’intento di divulgare le voci poetiche più innovatrici, celava la volontà di sperimentare, anche se in modo ancora frammentario ed occasionale, se esistesse effet­tivamente da parte degli intellettuali italiani il bisogno di identificarsi in un organismo com­patto in cui potesse risolversi la loro crisi di

4 V. D. Fingessi, Introduzione a La cultura italiana de! '900 attraverso le riviste, vol. 1, (Leonardo, Hermes, Il Regno), Einaudi, Torino, 1960, pp. 11-85 e A. Romano, Introduzione a La cultura italiana de! ’900 attraverso le riviste, vol. II, (La Voce 1908-1914), Torino, Einaudi, I960, pp. 11-79.5 V. A. Asor Rosa, L ’Italia giolittiana, in Storia dItalia, vol. IV, Torino, Einaudi, 1974, pp. 1099-1311 e spec. lepp. 1145-1158elepp. 1254-1269.6 M. Abate, La filosofia di Benedeto Croce e la crisi della società italiana, Torino, Einaudi, 1955.

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identità di fronte al sorgere della nuova società. Constatato il successo di “Poesia”7, Marinetti passò abbastanza conseguentemente alla fon­dazione del movimento futurista. Mentre l’or­ganizzatore di cultura solo in modo assai mar­ginale poteva esercitare un’azione condiziona­trice attraverso la rivista, dal momento che quest’ultima rappresentava una tribuna di con­fronto tra le singole personalità, Marinetti, con la sua mediazione intellettuale, intese imporre un atteggiamento ideologico-culturale coeso nei confronti della realtà italiana.

Con il futurismo, l’artista decadente, intimi- sticamente raccolto in una dimensione privata, risolveva la sua inclinazione individualistica fa­cendo l’apologià della nuova società. Ma ciò non avveniva senza traumi e vistose contraddi­zioni che riguardavano tanto le modalità di adeguamento del prodotto intellettuale alla so­cietà di massa ed alla dinamica del mercato, tanto il modo di porsi degli uomini di cultura dinanzi ai nuovi fenomeni industriali ed alle modificazioni che essi generavano nella psiche umana. Nonostante che gli atteggiamenti dei futuristi intendano improntarsi ad un praticis­mo positivo, permarrà sempre la fiducia nella possibilità di rifare la società secondo una nor­mativa essenzialmente estetica. Nell’illusione di poter risolvere artisticamente i problemi sociali si può riscontrare l’estremizzazione di un atteg­giamento che Freud definisce di “onnipotenza del pensiero”, caratteristico del primitivo siste­ma animistico e conservatosi nella nostra civiltà soltanto nel procedimento artistico8. Tale uto­

pismo panestetico si accentuerà via via che il sistema economico perfezionerà i suoi mecca­nismi di autoregolamentazione, marginaliz- zando l’avanguardia e riducendone le possibili­tà di incidenza politica sulla società italiana. L’ideologia futurista culminerà nella proposi­zione di una società esteticamente ordinata, complementare all’economico, ma in nessun modo apertamente antagonista ad esso.

L’arte, il mercato e il pubblico

Fondando il movimento futurista Marinetti era consapevole - lo si è detto - che i tempi esigevano la costituzione di un gruppo di intel­lettuali sufficientemente omogeneo, che elabo­rasse delle procedure culturali ed ideologiche atte a far fronte con successo ad una situazione sociale che favoriva il moltiplicarsi dei fruitori potenzialmente disponibili alla ricezione del prodotto estetico. Dalla sua posizione privile­giata di capo carismatico, Marinetti riteneva che, fungendo da polo aggregante delle disper­se energie intellettuali italiane, avrebbe rinno­vato l’arte restituendole dignità. Era necessario anzitutto salvaguardare l’immagine unitaria del gruppo, così come doveva emergere dai docu­menti ufficiali. Frequenti erano perciò le sue interpolazioni9 che intervenivano soprattutto nell’ultima parte dei manifesti - le cosiddette conclusioni - per ribadire iterativamente i con­cetti essenziali su cui il movimento fondava la sua ideologia artistica e politica. Per acquisire una posizione egemonica all’interno del ceto

7 È interessante notare che probabilmente “Poesia” fu la prima rivista italiana ad utiliza re il grande veicolo propagandistico del referendum. Infatti tra il 1906 e il 1907 furono banditi in rapida successione i referendum sul significato della bellezza femminile, sull’opportunità di istituire un’accademia in Italia e sull’importanza del verso libero. In ogni numero della rivista era riportata l’autorevole opinione di una personalità della cultura italiana od europea.8 Grazie all’illusione dell’arte - secondo Freud - un individuo, divorato dal desiderio, compie qualcosa che somiglia ad un soddisfaci­mento e questo gioco gli provoca reazioni emotive, come se si trattasse di un accadimento reale. Con ciò egli si illude che la sola potenza del pensiero sia sufficiente a modificare la realtà. S. Freud, Animismo, magia e onnipotenza deIpensiero, in Totem e tabù, Milano, Garzanti, 1973, p. 174.9 II musicista Balilla Pretella nota nella sua autobiografia inedita: “Alcune osservazioni di carattere polemico reclamistico ed altre di carattere retorico riferentesi ai rapporti tra musica e macchina, le quali si possono leggere nei miei mandesti, non sono state scritte da me e neppure pensate, e spesso in contrasto col resto. Le inventava e le aggiungeva il Marinetti di suo arbitrio e all’ultimo momento.” F.T. Marinetti, Lettere ruggenti, a cura di F. Lugaresi, Milano, Quaderni dell’osservatore, 1969, pp. 9-10.

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intellettuale e nel rapporto con il pubblico era essenziale fornire un’immagine di gruppo estremamente compatta. Così talvolta le con­clusioni dei manifesti erano in palese contrad­dizione con gli enunciati di partenza.

L’adesione al movimento futurista è in ogni modo imprescindibile per quella larga parte dell’intellettualità italiana che avverte la neces­sità di adeguare la forma specifica del suo lavo­ro ad una diversa accezione di produttività estetica. L’elaborazione artistica doveva tenere conto della destinazione del prodotto estetico e dei meccanismi della sua fruizione. L’arte è rivitalizzata soprattutto agendo sulle sue pro­cedure formali. L’invenzione e l’innovazione “originali’’ si sostituiscono al mito tradizionale della creazione innestata su codificazioni lin­guistiche istituzionali. Certamente ogni avan­guardia intese operare una profonda scissione nel linguaggio quotidiano per adattarlo ad una situazione sociale in cui cominciavano a deline­arsi entropia ed atomizzazione. I futuristi però furono gli unici a mantenere un atteggiamento positivo di fronte alla progressiva dissociazione dell’individuo.

La frantumazione sintattica operata tramite le parole in libertà conserva al suo fondo la fiducia in una parola che permane comunicati­va10 e anzi si carica di infinite possibilità di significazione in quanto modificata o diffusa attraverso un meccanismo, come ad esempio quello radiofonico. Tramite le parole in libertà, l’intellettuale futurista ratifica il suo assenso alla società industriale. La loro utilizzazione denota un atteggiamento di mimesi acritica nei con­fronti del reale che, nella massima ridondanza segnica, intende fornire lo spettacolo di un uni­verso dominato dalle merci. Nei manifesti lette­rari Marinetti indica nelle parole in libertà l’u­nico mezzo adatto a rendere la facoltà di spar­

pagliamento degli oggetti e delle immagini. Con un ottimismo volontaristico e superficiale l’individuo viene assimilato dai futuristi ai pro­cessi di formazione del prodotto industriale ad un punto tale da perdere autonomia ed identi­tà. L’utilizzazione in positivo di questo schizo- morfismo linguistico ha come fine di rendere sensibilmente ed in modo accettabile le fanta­smagorie della tecnica industriale. I futuristi si rendono conto che l’arte doveva fare ormai i conti, a partire dal processo creativo, con due forze emergenti destinate a modificarne irrime­diabilmente connotati e significato: il pubblico ed il mercato. Fin dal principio i pittori aveva­no tratto temi iconografici registrando la pre­senza di vasti aggregati umani, talvolta in mo­do traumatico, talvolta in modo puramente descrittivo11. La rigenerazione del mandato so­ciale dell’artista diventa possibile solo attraver­so l’elaborazione di nuove modalità di rappor­to col pubblico. Ciò comporta una modifica­zione del prodotto estetico che deve adattarsi alla moltiplicazione dei suoi destinatari e farsi spettacolo. L’adesione dei futuristi alle manife­stazioni della società industriale determina la considerazione positiva di quegli effetti che modificano le modalità di percezione del reale. È un’adesione immediata e perciò non fondata razionalmente, ma sufficiente per permettere ai futuristi di auto-proclamarsi avanguardie di un rinnovamento che l’uomo comune non riesce ancora ad avvertire. Grazie alla sua fiducia nell’arte, il futurista si crede capace di una pre­veggenza che automaticamente lo pone molto al di sopra del pubblico, che ai suoi occhi tende sempre più ad assumere le sembianze di folla, massa amorfa facilmente influenzabile. La po­sizione del futurista nei confronti del pubblico è irriducibilmente antagonista. La folla non ap­pare tuttavia del tutto insensibile ai nuovi ideali

10 M. Verdone, Cinema e letteratura de!futurismo, Roma, Edizioni di Bianco e Nero, 1968, pp. 81-82.11 Nel 1910-11 Carràdipinge//«nera//rfe//'anarc,/7/co(jo//nncuiattraversoungrovigliodilinee,cercadidareallospettatorerillusione di essere coinvolto nel tumulto così come pare che vi fosse stato coinvolto il pittore stesso. Nello stesso periodo Boccioni dipinge i quadri Rissa in galleria, Baruffa, Serata alta Scala, e Russo La rivolta. Nel 1912 anche Severini rappresenta caotici aggregati umani nel quadro intitolato II boulevard.

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di bellezza; ne sente il fascino ma è incapace di recepirlo coscientemente. L’arte può aiutarla giacché, dice Marinetti, “tutte le classi sociali, anche più ignoranti, ne sono abbeverate trami­te infiltrazioni misteriose”12. L’arte diventa se­duzione ma, e questa è la novità, non tanto per i suoi contenuti quanto per il modo con cui questi vengono formalizzati. Le parole in liber­tà e gli spettacoli delle serate futuriste si snoda­no attraverso variegate costellazioni semanti­che che aggrediscono il pubblico e lo frastorna­no con l’iterazione di messaggi frammentari ed asintattici che intendono colpire le sue zone più emotive, inibendogli qualsiasi esercizio analiti­co. Quando Marinetti parla della possibilità di un grado ellittico di comunicazione tra poeta e pubblico per cui è sufficiente tra i due una “comunicazione senza fili”13, non fa che con­fermare una mistificante convergenza tra l’at­teggiamento aggressivo dell’artista futurista e la sottomessa ed acritica ricezione del fruitore. I futuristi si pongono così come i depositari e trasmettitori neutrali e disinteressati delle impe­tuose forze del progresso, stabilendo delle mo­dalità di fruizione estetica analoghe a quelle che l’industria innesca per pubblicizzare le sue mer­ci. L’invenzione delle parole in libertà14 indica con precisione il momento in cui l’arte accetta definitivamente il condizionamento del pubbli­co e adegua ad esso nuove tecniche di composi­zione, funzionali a precise strategie di mercato.

Il prodotto intellettuale per valorizzarsi deve dimostrare la sua utilità sociale. H futurismo inventa delle tecniche compositive illusoria- mente facili ed utilizzabili da chiunque. L’inten­to dell’arte appare quello di riecheggiare i me­ravigliosi prodigi di cui ogni uomo è quotidia­namente partecipe e spettatore. Secondo Ma­rinetti le parole in libertà risultano coerente­mente dall’avvento “dei domini sconfinati della libera intuizione”15. Qualsiasi ardita associa­zione di immagini disposta secondo l’arbitrio della soggettività acquista dignità estetica16. Li­berato dall’assillo di una rigida costruzione, di una vigilata organizzazione semantica, chiun­que può illudersi di produrre arte e così consi­derarsi “futurista”. Il movimento infatti coopta al suo interno tutti quegli aspiranti artisti che manifestano un’adesione anche generica alle forme che esso propone. Marinetti non si cura delle accuse di chi gli rinfaccia di accogliere nel gruppo gente mediocre ed opportunista. Egli è consapevole che l’arte deve perdere la sua ma­gia tradizionale perché le masse si familiarizzi­no con essa e siano suggestionate dalla sua apparentemente facile raggiungibilità17. Le se­rate futuriste completano il tirocinio a cui deve sottoporsi l’intellettuale per stabilire un contat­to jà ù incisivo con il pubblico.

Marinetti afferma che “le serate futuriste fu­rono la militarizzazione degli artisti novato­ri” 18. L’artista si trasferisce sul palcoscenico per

12 F. T. Marinetti, L'uomo moltiplicalo e il regno della macchina, ripubblicato nel 1915 in Guerra sola igiene del mondo, ora in Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano, Mondadori, 1968, p. 257.13 F. T. Marinetti, Distruzione della sintassi, Immaginazione senza fili, Parole in libertà (11 maggio 1913), in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 62.14 Le parole in libertà nascono col Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’ 11 maggio 1912.15 F. T. Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 47.16 Al riguardo Briosi nota acutamente la “facilità”delle tecniche analogiche futuriste: “Per Marinetti l’analogia non ha nulla di mistico, di delicato: al contrario, è uno strumento con cui (anziché fuggire, come il mistico) si attacca alle cose; tutt’altro che delicato, anzi assai facile da usare. È un mezzo non utile a perdere l’anima nelle dimensioni indefinite del mistero, ma a riportare tutta la realtà alle dimensioni note, semplici.” S. Briosi, Marinetti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, p. 6.17 Hauser opera la distinzione tra arte popolare e di massa nel senso che “mentre nell’arte popolare produttori e consumatori praticamente non si distinguono tra loro e il confine tra essi resta fluido, nell’arte di m assi si ha a che fare con un pubblico essenzialmente non creatore, che si comporta in tutto e per tutto passivamente, e con una produzione eseguita professionalmente, commisurata al mutare della dom anda.” Hauser, Arte popolare, di massa e d ’avanguardia, Torino, Einaudi, 1979, p. 9.Utilizzando tale distinzione le parole in libertà occuperebbero una posizione intermedia tra arte popolare e di massa: anche se l’arte non può più essere spontanea elaborazione popolare, tramite essa i futuristi intendono sviluppare la creatività del pubblico ed attuare una convergenza tra domanda e produzione.111 F.T. Marinetti, 1915 In quest'anno futurista, in Guerra sola igiene de! mondo, ora in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 286.

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far fronte alle conseguenze dei nuovi livelli di produttività che si ripercuotono sull’organizza­zione della cultura ed esigono un rapporto di­retto con il pubblico. L’arte non può semplice- mente registrare il confluire dell’individualità fruitrice nella massa omogenea del pubblico. Essa deve favorire e stimolare tale processo. Il teatro pertanto è destinato ad un ufficio assai simile a quello cui dovevano adempiere le grandi esposizioni universali. Il pubblico, ab­bacinato dalla forma spettacolare, deve identi­ficarsi irrazionalmente con le manifestazioni più virulente e spersonalizzanti della società industriale ed illudersi che la messa in scena dell’artista coincida con la totalità della vita um ana19. L’utilizzazione di appropriate tecni­che cinematografiche contribuisce alla rappre­sentazione di un “meraviglioso futurista” che intende sdrammatizzare la vita moderna20 21 *. Il ludus, facendo ridere l’umanità “del dolore ma­teriale e morale”, ottunde la società che lo gene­ra perpetuandolo. Le basi di un vero e proprio teatro per le masse sono gettate nel 1913 col Manifesto del teatro di varietà21. Tramite una superficiale mimesi gestuale “i problemi più astrusi e complicati” sono volgarizzati “in mo­do incisivo e rapido”. Forme dinamiche e ro­boanti mascherano la povertà dei contenuti rappresentati. L’invenzione del teatro sinteti­co22 è il corollario di questo atteggiamento. La scena è ridotta all’essenziale; il dialogo si esauri­sce in poche battute. L’investimento del pubbli­co è ancora più immediato che nelle precedenti forme spettacolari. Ad esso è inibito qualsiasi meccanismo di autodifesa. Il fine non dichiara­to dello spettacolo è di guadagnare l’adesione di un fruitore passivo e frastornato alla “meravi­gliosa” caoticità dei processi tecnologici. In tal

modo la massa dovrebbe abituarsi ad una rice­zione sempre meno traumatica degli shocks generali dalla contemporaneità. Comunque leggendo le cronache del periodo ed i resoconti dei protagonisti, emerge chiaramente che il pubblico considerava le serate futuriste e le rappresentazioni teatrali quasi esclusivamente come un pretesto per fare chiasso. Assai scarso successo doveva perciò riscuotere l’intento maieutico dei futuristi.

La familiarizzazione del pubblico con l’arte avviene anche tramite l’uso da parte del movi­mento futurista di tecniche pubblicitarie che lo imparentano con la società di cui intende farsi il corifeo. Marinetti comprende che non basta modificare la struttura dei codici di significa­zione dell’arte perché questa conquisti una po­sizione privilegiata all’interno del mercato. Oc­corre parimenti favorirne la diffusione accom­pagnandola con tutto un apparato che travolga le resistenze di un fruitore ancora influenzato dalle forme obsolete della classicità. Il futurista è un insuperabile rappresentante dei suoi pro­dotti e coglie ogni occasione per fare della pub­blicità al movimento23. Egli si serve delle tecni­che pubblicitarie che il mercato rende disponi­bili. Ad esempio nel settembre 1914 viene di­vulgato un volantino dal titolo Sintesi futurista della guerra. In esso, sulla sinistra sono elencati i nomi dei popoli futuristi con i loro attributi morali, mentre a destra sono riuniti quelli degli spregiati passatisti. Per la sua composizione grafica il volantino è molto simile ad una lo­candina sportiva. Sintomaticamente esso è ac­compagnato dall’invito ad affiggerlo nelle case e nei luoghi pubblici. Ma il futurista va oltre l’utilizzazione di pratiche già collaudate e spe­rimenta nuove invenzioni pubblicitarie. Il pro-

19 A. Abruzzese, Arte e pubblico nell’età del capitalismo, Padova, Marsilio, 1976.20 Verdone nota come non è causale che le tecniche preferite per la costruzione dell’opera d’arte futurista siano movimento e montaggio, ovvero le medesime usate dal cinematografo. Inoltre le parole in libertà possono essere fruite solo tramite una percezione a scatti, cioè esattamente come l’immagine filmica. M. Verdone, Cinema e letteratura del futurismo, cit., p.42.21 F.T. Marinetti, Il teatro di varietà, in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 70-79.-F .T . Marinetti, E. Settimelli, B. Corra, Il teatro futurista sintetico (11 gennaio - 18 febbraio 1915), ivi. pp. 97-104.3 Marinetti approfittò persino del processo per oscenità intentato contro il suo libro Mafarka il fu turista per difendersi in tribunale arringando in favore degli ideali del movimento.

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cedimento originale ed innovativo che si rinno­va continuamente acquista un valore infinita­mente superiore al risultato finale destinato ad una rapida consunzione24. Il prodotto è con­trassegnato con il marchio dell’eccezionaiità; l’invenzione estetica viene designata con néo- logismi ad effetto quali fisicofollia, polimate- rismo, tattilismo. Si arriva al punto di proporre la sostituzione delle terminologie specialistiche delle varie discipline scientifiche col linguaggio trasparente del giornale e della piazza25. Molti futuristi assumono pseudonimi che richiamano tematiche dinamiche ed avveniristiche come Folgore, Altomare, Auro d’Alba. Viene utiliz­zato il materiale iconografico della propaganda industriale26, mentre ai giornali sono spediti “soffietti” in cui i futuristi recensiscono le loro opere. L’eventuale pubblicazione è ricambiata con l’invio gratuito dei libri del movimento. Marinetti giungerà addirittura a concedere il finanziamento ad una rivista a condizione che questa polemizzi con il futurismo. La dinamica della strategia pubblicitaria del movimento è bene illuminata da un passo dell’articolo di M. Osorgin II futurismo italiano, pubblicato nel 1912: “Marinetti è indubbiamente uno scrittore d’ingegno. Ma è debitore di una certa notorie­tà, in Italia come in Francia, non tanto al suo ingegno, quanto alla sua ricchezza. Nessun edi­tore italiano spende in pubblicità quanto il cir­colo di Marinetti. La cara e lussuosa rivista “Poesia” viene tirata in trentamila copie, e na­turalmente non meno di ventimila sono distri­buite gratis. Basta manifestare il benché mini­mo interesse per gli scritti dei futuristi, perché essi ti inviino gratis i loro volumi di lirica, anche con la commossa dedica personale allo scono­sciuto che ha manifestato curiosità nei loro

confronti. Ogni volume è preceduto da 20-30 pagine di pubblicità delle precedenti edizioni, con le espressioni più iperboliche. Di quando in quando i futuristi si rivolgono a tutti i critici letterari, italiani e stranieri, a scrittori, artisti e pittori, pregandoli di esprimere il loro autore­vole parere sulle creazioni e le idee degli “uomi­ni del futuro”. Tutte le risposte vengono imme­diatamente date alle stampe e fatte circolare. E bisogna rendere giustizia ai futuristi, essi non tengono celate le riprovazioni. A questo ri­guardo sono conseguenti: insulta pure, ma non tacere”27.

Utilizzando l’espediente pubblicitario per es­sere divulgata e con ciò acquistare un suo valo­re di mercato l’arte accetta consapevolmente di farsi merce. Eppure sembra che i futuristi all’i­nizio vogliano resistere al mercato. Nei primi manifesti vi è una polemica continua contro quell’arte spazzatura che si adegua acriticamen­te ai gusti del pubblico in ossequio a finalità esclusivamente commerciali. In realtà i futuristi biasimano ciò di cui vorrebbero prendere il posto. L’arte d’avanguardia secondo loro è legittimata ad entrare pienamente nei circuiti del mercato, in quanto è totalmente conforme ai modelli della società industriale.

È vero che qualcuno - soprattutto Boccioni - s’illude che l’arte, tenendo conto dei processi industriali, riuscirà ad acquisire autorità anche nei confronti della società tecnologica28, ma ben presto la resa al mercato sarà completa. Con il manifesto Pesi, misure e prezzi del genio artistico29 l’opera d’arte, quantificandosi, trova una sua definitiva stabilizzazione all’interno dei processi produttivi, merce accanto ad altre merci a cui è possibile assegnare un preciso valore di mercato, interamente sottomessa alle

24 M. Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma, Lerici, 1969, p. 108.25 B. Corra, A. Ginanni, R. Chiti, E. Settimelli, M. Carli, O.M. Nannetti, La scienza futurista ( 15 giugno 1916), in Sintesi del futurismo, a cura di L. Scrivo, Roma, Bulzoni, 1968, p. 153.26 Balla, ad esempio, dipinge nel 1911 il quadro Lampada ad arco sfruttando molto probabilmente un tema iconografico tratto da un cartellone pubblicitario.27 M. Osorgin, Ilfuturismo italiano, in C. G. De Michelis, Il fu turism o italiano in Russia, 1909-1929, Bari, De Donato, 1973, pp. 94-95.28 U. Boccioni, Pittura e scultura futuriste, in Opere complete, Foligno, Campielli, 1927, p. 30.29 B. Corredini, E. Settimelli, Pesi, misure e prezzi del genio artistico (11 marzo 1914), in Sintesi del futurismo, cit., pp. 93-96.

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leggi dello scambio30. Dal momento che il futu­rismo fonda la sua poetica sul culto dell’origina­lità, viene assegnato all’opera d’arte un valore misurabile “in base alla quantità di secrezione cerebrale occorsa a produrla”, ovvero all’ener­gia mentale spesa per unire gli elementi più distanti tra loro. Più l’opera d’arte è rara, più alto sarà il suo prezzo allo stesso modo di quanto succede per le altre merci. Il suo valore sarà esattamente determinabile e perciò il criti­co sarà sostituito da un “misuratore” che stabi­lirà per essa un costo oggettivo, non soggetto alle fluitazioni del gusto. Il problema della for­malizzazione estetica si subordina a criteri eco­nomici e l’arte diventa merce assai prima di essere posta sul mercato come prodotto finito. La procedura artistica diviene analoga ad un qualunque processo produttivo e mai come ora essa raggiunge la massima funzionalità sociale. La misurazione, tra l’altro, stabilisce la superio­rità di diritto dell’arte contemporaneà su quella del passato. Quest’ultima infatti sfugge ad un criterio di misurabilità poiché non è possibile valutare l’incidenza dell’ambiente, non più co­noscibile, su di essa. Solo l’arte futurista si dimostra degna di stare sul mercato. Essa sola dunque appare in grado di seguirne corretta­mente la dinamica. Così la quantità predomina sulla qualità e l’arte stipula uno stretto patto d’alleanza con l’industria impegnandosi, quan­do ne ha l’occasione, a farle propaganda diret­ta. Azari, ad esempio, auspica l’istituzione di un teatro aereo che, oltre a dare l’idea della fusione di uomo e macchina, stimoli l’aviazione com­

merciale31, in seguito propaganda una flora artificiale che abbia l’odore degli intensi pro­fumi industriali e che soppianti i tenui aromi della natura32. Balla invece progetta un vestito futurista facilmente deteriorabile che contribui­sca ad accelerare le mutazioni della moda ed incrementi l’industria dell’abbigliamento33.

I futuristi si illudono così che, dimostrando l’adattabilità dei loro prodotti alle leggi del mercato, sia possibile acquisire una posizione assolutamente egemonica nel campo dell’arte. Tale illusione porterà Marinetti nel 1923 a pro­porre al governo fascista di concedere al futu­rismo una completa libertà d’intervento nelle manifestazioni estetiche, utilizzando parte del denaro dello Stato per incentivare l’avan­guardia34.

L’immaginario industriale

Alcuni dei più recenti contributi critici sul futu­rismo fanno emergere l’immagine netta di una avanguardia che si identifica tout court con gli interessi della borghesia industriale ed avvia un intenzionale e pianificato progetto ideologico volto ad assimilare le masse agli interessi del capitale35. In realtà l’apologià degli artifici della società tecnologica non fu sempre consapevole. Soprattutto all’inizio, l’atteggiamento dei futu­risti nei confronti del mondo industriale presen­tò tratti regressivi, che solo attraverso la mani­festazione di un volontarismo agressivo, che doveva imporsi come vincente, furono a stento e mai definitivamente rimossi36.

30 Questo manifesto è approfonditamente analizzato nel libro di M. Riccardi, La rivincila della letteratura, cit., pp. 59-61.31 F. Azari, Il teatro aereo futurista (11 aprile 1919), in Sintesi del futurismo, cit., pp. 161-162.32 F. Azari, La flora futurista (novembre 1924), ivi., pp. 182-183.33 G. Balla, Manifesto futurista de! vestito da uom o (1913), in U. Apollonio, Futurismo, Milano, Mazzotta, 1970, p. 193.34 F. T. Marinetti, I diritti artistici propugnati dai futuristi italiani, in Futurismo e Fascismo ( 1924). Ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 489-495. Nel manifesto Marinetti chiede al governo fascista “la difesa dei giovani artisti italiani novatori in tutte le manifestazioni artistiche promosse dallo Stato, dai Comuni e private”; “istituti di credito artistico ad esclusivo beneficò degli artisti creatori italiani”; la fondazione di un istituto nazionale di propaganda artistica all’estero; “concorsi liberi d’arte”; l’affidamento ai gruppi d’artisti dell’avanguardia italiana della organizzazione delle feste nazionali e comunali; un “consorzio internazionale per la tutela degli interessi artistici ed economici degli artisti d’avanguardia".35 M. Ricciardi, Un progetto di cultura per l’industria: l'ideologia del futurismo, in La rivincita della letteratura, cit., pp. 30-67.36 R. Tessali, Il m ito della macchina, Milano, Mursia, 1973, pp. 209-217; v. anche il breve ma assai acuto saggio di G. Celli, In margine futurismo: storia di un’ambivalenza, in “11 Verri”, 1970, n. 33-34.

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Nel 1912 esce l’antologia Ipoeti futuristi. La tecnica paroliberista è ancora in embrione e perciò i futuristi si esprimono nel tradizionale verso libero. Dalle loro poesie emerge di fronte al mondo naturale una posizione molto diffe­rente da quella che poi i manifesti ci tramande­ranno. La natura genera nei futuristi un senso d’estraneità ed impotenza, che solo i “fanta­smagorici” strumenti forniti dalla società indu­striale permetterano di vincere. Alla macchina è assegnato il compito di esprimere una violen­za che sconfigga le potenze primordiali del mi­to, identificate essenzialmente nei corpi celesti da cui il poeta è ad un tempo affascinato e sgomentato. L’atteggiamento iconoclasta si estende per analogia a tutta la natura. Emerge la rappresentazione di un mondo controllato, modificato ed infine dominato dalle generazio­ni futuriste che sfruttano le nuove invenzioni. C è quindi l’idea di una evoluzione inarrestabile grazie alla quale la competitività agonistica tra uomo e natura sembra finalmente risolvere in favore del primo. Non a caso nel libro ricorre di continuo l’immagine della scalata al cielo. Tut­tavia dalle poesie non emerge quasi mai l’ambi­zione di sostituire al regno naturale gli artefici dell’industria. È invece costante il desiderio di identificarsi con la natura una volta sconfitte le resistenze che ne precludono all’uomo la cono­scenza adeguata. L’incerta iconografia utilizza­ta documenta l’incapacità del poeta futurista a dare un assenso incondizionato alla nuova so­cietà. Per assecondare la dinamica del progres­so egli sacrifica volontaristicamente la sua sen­timentalità tradizionale e rinuncia alla disposi­zione contemplativa. Ma i ritmi già incalzanti

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della modernità generano in lui l’ossessione del presente. Spesso cerca rifugio lontano dalla macchina, in uno spazio da gestire autonoma­mente, al di fuori delle coazioni della società moderna. Riscopre così le sue pulsioni erotiche verso la natura e le soddisfa abbandonandosi libidicamente ad essa. La decodificazione dei miti naturali, più che portare ad un dominio sulla natura, favorisce una compenetrazione integrale dell’uomo in essa. Anche gli oggetti dell’industria sono utilizzati iconograficamente per connotare, dietro l’apparente slancio apo­logetico, l’entusiasmo per la maggiore attuabili­tà di un comportamento mimetico-naturali- stico37. Il panorama urbano sociale che emerge da queste poesie è assai differente da quello che i manifesti ripropongono di continuo. Di notte la luce elettrica dei fanali illumina spettralmen­te città funeree in cui predominano paesaggi desolati e solitari che suscitano angoscia. I tipi umani su cui maggiormente i poeti si sofferma­no non sono quelli pieni di vitale esuberanza che rappresentano emblematicamente la socie­tà industriale, ma gli emigranti, i forzati, i pove­ri, figure improduttive ed emarginate di esclusi la cui presenza costituisce una muta protesta contro la nuova società. Il futurista non si ab­bandona ai tempi moderni senza al contempo registrare traumaticamente le loro penose con­seguenze. Ma non può fare a meno di constata­re l’impossibilità di mantenere un “tradiziona­le” rapporto con l’universo e perciò deve neces­sariamente adeguarsi ai processi che si vanno generando nella struttura economica38. Alla base delle sue nevrosi sta uno stato d’angoscia derivante dall’impossibilità di superare una cer-

17 Quest’atteggiamento è riscontrabile anche nel primo Boccioni. Egli nel 1910 compone il quadro La città che sale. A emblema del progresso non è assunta la macchina bensì il cavallo, che secondo l’artista simboleggia più-adeguatamente le idee di vitalità, energia, forza.38 La posizione del Poeta Idiota in Re Baldoria è significativa: il poeta non è più riconosciuto dalla società e, ostinandosi a riaffermare caparbiamente il suo consunto mandato, va incontro ad una fine miseranda. Da ciò emerge in Marinetti la consapevolezza della necessità di usare un attegiamento aggressivo, vincente, che si adegui ai modelli della società industriale. La constatazione dell’astoricità dei vecchi valori esige la ricerca di un’alternativa. Ciò porterà Marinetti ed altri futuristi all’altezza di cogliere le emergenze della nuova realtà. Ma essi la connoteranno in modo riduttivo e scarsamente problematico, v. F.T. Marinetti, Re Baldoria, in Teatro, a cura di G. Calendoli, voi II, Roma, Bianco, 1960, pp. 5-253.

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ta situzione di impasse. Egli ha bisogno di trovare delle soluzioni alternative, anche appa­renti, che gli consentano di sopravvivere. Si assimila perciò irrazionalisticamente alla mac­china dell’industria assumendola come elemen­to che spera vincente in una disperata scom­messa sul futuro. L’utopia di una società ar­monicamente ordinata ed in via di perfeziona­mento emerge dal connubio tra estetica e mac­china che si integrano vicendevolmente. L’este- tizzazione dello strumento industriale viene a coincidere con la macchinizzazione del proce­dimento artistico. Da tale unione prende forma l’illusione che arte e tecnica possano creare una società perfetta.

L’adesione al nuovo principio di realtà im­plica preliminarmente la manifestazione di un attivismo estremo. I futuristi si illudono che sostenendo la violenza innata nei processi indu­striali non la subiranno39.1 traumi psichici de­rivanti dalla modificazione della struttura so­ciale, che impone un’accelerazione frenetica dei ritmi della vita quotidiana, sono stravolti e con­siderati effetti positivi della modernità. L’au­mento indefinito della velocità presenta rischi di sdoppiamento psichico ed ubiquità, ma al tempo stesso dà l’illusione di dilatare all’infinito i limiti umani. L’eventuale dolore che la nuova società potrà procurare ad un impatto imme­diato è considerato solo come il primo momen­to di un processo di adattamento che infine porta ad una felicità stabilmente consolidata40.

Sin dal Manifesto di fondazione41 la nascen­te società industriale è interpretata come il pun­to d’arrivo dell’evoluzione della civiltà. Il poeta, suo cantore, identificandosi col mezzo mecca­nico (nel caso del Manifesto di fondazione con l’automobile) eguaglia e supera la potenza della natura indirizzando la civiltà verso quella rea­lizzazione estrema cui essa tendeva da secoli,

ma che solo con l’avvento del prodotto tecno­logico può raggiungere. Abbandonandosi sen­za pericolosi indugi alla dinamica del presente i futuristi si impongono contraddittoriamente di rifiutare in blocco il passato per realizzarne le segrete premesse finalmente esaudibili. Più vol­te essi sottolineano nei loro scritti come gli allettamenti del passato siano suadenti e conti­nui ma, facendosi travolgere dal flusso del di­venire, respingono aggressivamente la tenta­zione ed in tal modo s’illudono di padroneggia­re il loro destino autoeducandosi al nuovo.

Secondo i futuristi, con l’aumento della ve­locità, diviene realizzabile la fusione tra uomo e materia. L’artista, elaborando specifiche tecni­che espressive, dovrebbe riuscire a penetrare la struttura degli oggetti. Perché ciò sia possibile egli abdicherà alla pretesa di interpretare psico- logisticamente la realtà e si lascerà segnare dalle cose. L’assimilazione illogica (intuitiva) dell’e­sperienza della vita moderna tramuta il poeta in un neutrale strumento di registrazione della “essenza della materia ”. Il futurista crede così di scoprire la sensibilità e gli istinti degli elemen­ti artificiali non umanizzati conservati nella lo­ro integrità originaria42. Con l’incremento della velocità anche la percezione visiva si modifica. L’occhio si abitua a cogliere oggetti in movi­mento, dai contorni indefiniti, che si compene­trano con l’ambiente in cui sono posti o con altri oggetti con cui si incontrano. Cadono i limiti spaziali; le proporzioni si dilatano e lo sguardo dello spettatore è coinvolto in un gro­viglio di linee che lo dovrebbero portare al centro dei tumulti della materia. Ogni oggetto perde la sua identità e la natura diviene il centro di un compenetrarsi drammatico e conflittuale di quantità in cui l’uomo non ha alcuna parte. Esso può solo prenderne atto per misurare su tale conflitto la sua sensibilità e rinnovarla. Da

•’9 v. G. Guglielmi, Dialettica del futurismo, in Ironia e negazione, Torino, Einaudi, 1974, pp. 180-190 e G. B. Nazzaro, Introduzione al futurismo, Napoli, Guida, 1973.40 Particolarmente significativo al riguardo è il manifesto di A. Palazzeschi, // Controdolore, in “Lacerba”, gennaio 1914, n. 2.41 F. T. Marinetti, Manifesto di fondazione, in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 7-13.42 F.T. Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, ivi, p. 44.

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queste considerazioni prende avvio la teoria pittorica futurista. In essa il reale è liberato da un’idea di staticità per esprimere il senso di un incessante vitalismo che adegua l’osservazione naturalistica ai nuovi ritmi che la società indu­striale impone. Con Boccioni, ad esempio, l’ar­tista cerca di captare il divenire dinamico del­l’oggetto. Abbandonandosi irrazionalmente al suo movimento egli lo ricrea emotivamente in base al convergere simultaneo del ricordo che ne ha e della sensazione che l’oggetto gli ha suscitato43. Non esiste, in questa prospettiva, autonomia estetica in quanto il compito dell’ar­tista diviene quello di mantenersi intuitivamen­te “all’interno dell’oggetto, viverne la variabilità e ricrearne runità”44. Solo così, secondo Boc­cioni, l’artista è in grado di dare forma alle manifestazioni necessarie ed inconscie della vi­ta moderna; oggetto estetico ed industriale vengono a coincidere e nei confronti di en­trambi egli si mantiene in una posizione subor­dinata. Velocità, simultaneità, dinamismo sono concetti affini usati dai futuristi per sottolineare l’aumentata complessità psichica del mondo.. L’accorciamento delle distanze, favorendo una percezione analogica della realtà, determina se­condo Marinetti, la coesistenza degli elementi più contraddittori. Ne deriva un aggroviglia- mento caotico di immagini che è espresso dai poeti paroliberi così come viene immediata­mente recepito, nella sua dissonanza, senza es­sere qualificato con un giudizio di valore45. L’accelerazione dei ritmi quotidiani sembra in­oltre potenziare le capacità dell’individuo e mi­gliorarne le prestazioni sociali, mentre la gra­

duale eliminazione dei tempi morti prepara l’avvento di una produttività smodata46. In questo turbinoso vortice di mutazioni è travol­ta anche l’idea tradizionale di opera d’arte. I nuovi ritmi di ricezione decretano la fine del “capolavoro”. L’originalità innovatrice dell’o­pera rapidamente decade, soppiantata da nuo­ve creazioni, in un continuo ricambio di produ­zioni estetiche. Compito dell’arte diviene allora quello di esprimere, con la sua caducità consa­pevole, l’effimera instabilità del presente.

Il futurista confida soprattutto nel rapporto diretto con la macchina, unica possibilità di compiuta realizzazione per l’uomo47. Essa ac­quista un significato che trascende le sue com­ponenti puramente meccaniche ed assume la funzione di simbolo e guida di un progresso che sconfigge nel nome dell’essenzialità e della sin­tesi le forze regressive che si oppongono all’evo­luzione umana. Il rapporto uomo-macchina si snoda nell’ideologia futurista attraverso tre momenti fondamentali. Dapprima la macchi­na si antropomorfizza caricandosi di attributi erotici. La demitizzazione della figura tradizio­nale della bellezza è allora diretta conseguenza dell’estetizzazione del mezzo meccanico. Ma ben presto il rapporto si rovescia ed i futuristi, assimilando l’uomo alla macchina, si illudono che in questo modo egli trascenderà i suoi limiti biologici. Sono rigettati gli ideali del vecchio uomo liberale fondati su una sentimentalità ormai obsoleta che si sosteneva sul “dolore morale, la bontà, l’affetto, l’amore” perché na­sca un “tipo non umano”, morfologicamente assimilato alla macchina48. Il fine dell’umanità

43 In ciò Boccioni risente molto dell’influenza di Bergson. Secondo quest’ultimo i contenuti della coscienza si realizzano nella dimensione della memoria.44 U. Boccioni, Pittura e scultura futuriste, cit., p. 122.45 Le parole in libertà comunicheranno lo shock immediatamente, senza riflessi a latere: “tuffo della parola essenziale nell’acqua della sensibilità, senza i cerchi concentrici che la parola produce”. F. T. Marinetti, Distruzione della sintassi, in Teoria e invenzionefuturista, cit., p. 64.46 F.T. Marinetti, La nuova religione-morate della velocità (11 maggio 1916), in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 111-118.47 N el\'Introduzione all’antalogia Nuovi poeti futuristi del 1925 Marinetti giunge ad affermare che “non c’è salvezza dunque fuori dell’estetica della macchina e del suo splendore geometrico meccanico”, ivi, p. 164.48 In L'uomo moltiplicato e il regno della macchina Marinetti ipotizza la “possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane” che genereranno “il tipo non umano e meccanico costruito per una velocità onnipresente”. Infatti “nella carne dell’uomo dormono le ali”. F. T. Marinetti, Guerra sola igiene del mondo, in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 256-257.

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diventa “l’uomo meccanico dalle parti cambia­bili”. Nella pubblicistica futurista la spersona­lizzazione e la reificazione che la fungibilità del lavoro industriale produce nell’operaio sono positivamente considerate. Azari giunge ad af­fermare che “la chirurgia meccanica e la chimi­ca biologica produrranno un tipo standardiz­zato di uomo-macchina, resistente, illogorabile e quasi eterno”49. È probabilmente questo il punto più reattivo dell’ideologia futurista che, come è evidente, delinea una immagine mistifi­cata dell’industria occultando i costi sociali che il suo sviluppo richiedeva. Di fronte alla mac­china intellettuale futurista si pone in una posi­zione ambigua, che però gli consente di mante­nere l’illusione di continuare a detenere un ruo­lo separato e privilegiato nei confronti della società civile. A poco a poco egli viene ad esercitare lo statuto di funzionario dell’organiz- làzione industriale che usa arte e letteratura come strumenti di educazione al consenso. Il futurista produce le forme di coscienza di un uomo totalmente alienato alla macchina rico­noscendosi in esso solo parzialmente, convinto di mantenere una certa autonomia all’interno del processo produttivo. Già nel Manifesto di fondazione, mentre il poeta prepara l’esplodere dell’evento liberatore in uno splendido e tradi­zionale isolamento, sono quelli che egli consi­dera suoi ideali compagni, fuochisti e ubriachi, ad essere immersi in un clima urbano industria­

le50. Il prototipo dell’uomo alienato alla mac­china è individuato nel lavoratore dell’indu­stria. L’operaio stabilisce col mezzo meccanico i rapporti più stretti e gli scambi più rilevanti, rivolgendo verso esso le sue pulsioni libidiche. Secondo Marinetti è il popolano rozzo ed in­colto a possedere “la grande divinazione mec­canica o il fiuto metallico”51. Ginna considera la macchina come “il prolungamento eviden­temente necessario dei nervi degli operai”52. La folla urbana ha sempre i connotati della passi­vità, come fosse felicemente consenziente al suo ruolo subordinato nell’ingranaggio sociale53.

Considerato in rapporto all’estetica, il pro­cedimento meccanico arriva a valere più del risultato e ad essere considerato arte di per sé. Per Boccioni, ad esempio, il grammofono, qua­lunque cosa suoni, è un “magnifico elemento naturale per vivere delle realtà psicologiche”54. Il congegno meccanico applicato ai tradizionali materiali che compongono l’opera d’arte serve, secondo i futuristi, ad esprimere meglio i feno­meni dinamici della vita contemporanea55. Proseguendo su questa strada si arriva a fab­bricare libri imbullonati e a scrivere poesie su dischi di latta56.

L’ultimo momento del rapporto uomo- macchina vede la scomparsa dell’elemento umano mentre il meccanismo si rigenera automaticamente. La macchina appare fornita di vita propria e di una specifica ingelligenza e

49 F. Azari, Vita simultanea futurista, in Sintesi del futurismo, cit., p. 185.50 “Soli coi fuochisti che si agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con incerto batter d’ali, lungo i muri delle città.” F. T. Marinetti, Manifesto di fondazione, in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 7.51 F. T. Marinetti, L ’uomo moltiplicato e il regno della macchina, in Guerra sola igiene del mondo, cit., p. 257.52 A. Ginna, // prim o mobilio italianofuturista, in “L’Italia futurista”, 1916. O ra in M. Verdone, Teatro del tempo futurista, cit.,p. 295.53 In questo contesto la donna è considerata come l’elemento tipico della spersonalizzazione che si attua nella società di massa. Essa è il polo negativo con cui il futurista si raffronta: “simbolo della terra che si vuole abbandonare". F. T. Marinetti, Contro l’amore e il parlamentarismo, in Guerra sola igiene del mondo, cit. p. 254.54 U. Boccioni, Pittura e scultura futuriste, cit., p. 16.55 “Una composizione scultoria futurista avrà in sé i meravigliosi elementi matematici e geometrici che compongono gli oggetti del nostro tempo. E questi oggetti non saranno vicini alla statua come attributi esplicativi o elementi decorativi staccati, ma seguendo le leggi di una nuova concezione dell’armonia, saranno incastrati nelle linee muscolari di un corpo.” U. Boccioni, Manifesto tecnico della scultura futurista (11 aprile 1912), in Sintesi del futurismo, cit., p. 48.* Nel 1928 Fortunato Depero pubblica un libro dal titolo Deperofuturista in cui la rilegatura tradizionale è sostituita da dadi e bulloni. Nel 1932 Tullio d’Albisola pubblica col titolo di Poesia di latta una raccolta composta da poesie scritte su dischi di latta.

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sensibilità57. Essa è mostrata in processi auto­nomi che l’artista deve assimilare senza inqui­narli con atteggiamenti psicologici58. In tal mo­do prende forma in alcuni futuristi l’utopia di una società in cui la macchina, liberando l’uo­mo dal lavoro, vincerà la povertà e contribuirà ad eliminare le divisioni sociali abolendo la lotta di classe59.

Anche la prefigurazione di un mondo in cui predominerà il macchinismo non è però esente da considerazioni negative. Sorge l’idea che la società industriale, che ha imprigionato la na­tura asservendola all’umanità, non può doma­re definitivamente le sue forze oscure. Metalli, carburanti ed elettricità infine vinti dalla tecno­logia, sono degli “schiavi ostili e pericolosi” che l’uomo è riuscito a sottomettere ma che conti­nuano a suscitargli il senso di un pericolo im­manente60. In una sintesi teatrale Marinetti ten­ta di mettere in scena gli “atteggiamenti impres­sionanti e pieni di misteriose suggestioni” susci­tati dagli oggetti inanimati in un ambiente pri­vo di presenza umana61. Nella seconda fase del futurismo Ruggero Vasari scriverà delle opere teatrali come L ’angoscia delle macchine e Raun62, dove la predominanza sociale del mez­zo meccanico riduce l’uomo ad un impersonale ed asessuato manichino63.

Nei futuristi è parimenti viva la consapevo­lezza che l’arte, dovendo modellare le sue tecni­

che sui processi della società tecnologica, deve approfondire il suo rapporto con la scienza che di tali processi è la molla principale. Quando Marinetti scrive che “la velocità distrugge la legge di gravità, rende soggetti e perciò schiavi i valori di tempo e di spazio. I km e le ore non sono uguali, ma variano, per l’uomo veloce, di lunghezza e di durata”64 non fa altro che ri­echeggiare la teoria della relatività di Einstein, che proprio in quegli anni si diffondeva in Italia, applicandola alla teoria artistica. Secon­do i futuristi la scienza determina nell’umanità mutamenti profondi di cui l’arte deve rendere conto ed a cui deve tenere dietro. Al tempo stesso è avvertito il pericolo che le metodologie scientifiche soppiantino l’estetica nello stabilire i criteri di comprensione del reale. L’autonomia dell’arte deve essere salvaguardata e, se possibi­le, occorre ribadirne la superiorità sulla scienza. Ciò è realizzabile assegnando all’arte il compito di sintetizzare le verità parziali sulle quali la scienza riesce a gettare una luce. In questo modo l’assimilazione intuitiva dei risultati scientifici permette all’artista di cogliere l’aspet­to universale e perciò essenziale della realtà65. Anche l’utilizzazione artistica dello strumento scientifico contribuisce allo sviluppo della tec­nologia66. Arte e scienza seguono perciò due metodologie radicalmente differenti ma com­plementari e perfettamente integrabili. La loro

57 La vitalizzazione della macchina porta i pittori Prampolini, Pannaggi e Paladini a distinguere nel manifesto L ’arte meccanica del 1923 fra esteriorità e spirito della macchina. (Ora in M. Verdone, Teatro del tempo futurista, cit., p. 257.) Azari, nello stesso periodo, propone la fondazione di una Società di protezione delle macchine.58 Negli ambienti tecnologici citati nei manifesti futuristi la presenza umana è spesso assente. Prampolini arriva addirittura a proporrel’abolizione della presenza umana sulla scena teatrale. E. Prampolini, L’atmosfera scenica futurista, in Sintesi delfuturismo, cit., p. 197. w V. F. Azari, Per una società di Protezione delle Macchine, ivi, pp. 186-187 e F. T. Marinetti, La guerra elettrica, in Guerra sola igiene del mondo, cit., pp. 273-278.60 F. T. Marinetti, La nuova religione-morale della velocità, in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 11261 F. T. Marinetti, Vengono, in Teatro, vol. Il, cit., p. 285.62 L'angoscia delle macchine è del 1925; Raun è del 1932.63 R. Tessali, Il mito della macchina, cit., pp, 237-251.64 F. T. Marinetti, La nuova religione-morale della velocità, cit., p. 115.65 Nel manifesto Tattilismo del 1924 Marinetti parte dall’ipotesi scientifica della materia come armonia di sistemi elettronici per affermare che ad esempio tra un pezzo di ferro e la mano che l’afferra si stabilisce un conflitto di forze tale da permettere all’artista di penetrare intuitivamente “meglio al di fuori dei metodi scientifici la vera assenza della materia”, F. T. Marinetti, Tattilismo, in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 153.* Nel manifesto La fotografia futurista del 1930 Tato e Marinetti affermano che le ricerche nel campo dell’arte fotografica “hanno lo scopo di far sempre più sconfinare la scienza nell’arte pura e favorire automaticamente lo sviluppo nel campo della fisica, della chimica e della guerra”. F. T. Marinetti, La fotografia futurista, in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 168-169.

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unione, secondo i futuristi, favorisce una pene- trazione sempre più profonda dei fenomeni dell’universo.

Accanto all’atteggiamento ottimistico nei confronti della scienza c’è anche lo scetticismo di alcuni futuristi come Corra, Ginanni, Chiti, Settimelli, Nannetti che firmano il manifesto La scienza futurista. La scienza, più che illumi­nare i processi del reale, è deputata, secondo loro, a dare il senso delT“incommensurabilità dell’ignoto”. Piuttosto che rivolgersi al feno­meno sconosciuto essa deve frastagliare ciò che è familiare in più fenomeni complessi ciascuno dei quali scindibile a sua volta. In tal modo la procedura scientifica sarà costretta alla fine ad arrestarsi di fronte ad un “mistero totale” che è incapace di approfondire67. Gli estensori del manifesto appartengono tutti alla cosiddetta ala “occultista” del movimento. La loro teoria artistica si pone in leggera opposizione a quella canonica del gruppo per quanto riguarda l’ade­sione alla pragmatica industrialista. Per questi futuristi, infatti, è necessario raggiungere le zo­ne psichiche subconscie che si pongono natu­ralmente in contrasto con gli effetti della realtà e privilegiano gli stati medianici, il sonno68, ovvero quelle attività mentali che estraniano il soggetto da una partecipazione attiva, e quindi funzionale ad un criterio di produttività, alla prassi quotidiana. Il macchinismo e la modifi­cazione della sensibilità apportata dai nuovi livelli di vita vengono perciò separati dal loro significato industriale e considerati come meri strumenti usati da genialità individuali per una penetrazione sempre più profonda del substra­to della realtà. Per Balla, che in parte aderisce all’occultismo, la macchina è sempre inferiore

al genio creatore69. Ginna considera la creazio­ne artistica determinata essenzialmente da uno stato di subcoscienza cosciente in cui l’artista pesca nel “lontano substrato universale”70. Egli, abbandonandosi al di fuori di qualsiasi espe­rienza acquisita alla passione della natura, ri­esce a cogliere nel tangibile l’occulto senza la­sciarsi influenzare dalle contingenze sociali71.

Tra incertezze e vistose contraddizioni, le singole posizioni dei membri del movimento futurista convergono nel delineare un immagi­nario industriale in cui comunque all’artista è riservato un ruolo di primo piano. L’avan­guardia italiana si propone come il carro trai­nante di una massa amorfa, politicamente manipolabile, da sfruttare commercialmente. Ad essa occorre strappare il consenso per una società in continuo sviluppo che le forme arti­stiche tentano di prefigurare. I futuristi in tal modo si illudono di riuscire a padroneggiare la dinamica evolutiva dei processi industriali.

L’estetica della guerra

Nel 1909, subito dopo il Manifesto di fonda­zione, esce il Primo manifesto politico futurista per le elezioni generali, breve proclama im­prontato ad un deciso oltranzismo anticlerica­le. Il movimento futurista, già dai primi giorni della sua nascita, tende ad acquisire di fatto una configurazione politica in linea col pragmatis­mo annunciato nel primo documento ufficiale. L’arte, uscendo dalle sue anguste torri d’avorio per scendere nelle piazze, imponeva all’intellet­tuale l’intrapresa di iniziative pubbliche che ot­tenessero risonanza di massa. I futuristi, pro­clamandosi portavoce delle energie “sane” del-

67 B. Corra, A. Ginanni, R. Chiti, E. Settimelli, M. Carli, O.M. Nannetti, La scienza futurista, in Sintesi de!futurismo, cit., pp. 152-153.68 Scrive Ginna nel 1929 in A itim i occulti: “Non potrebbe essere la mia vita quotidiana il sogno di un attimo impedito e quell’attimo di sogno essere la vera vita vissuta che forma le mie tendenze e i miei pensieri?”. In Prosa e critica futurista, a cura di M . Verdone, Milano, Feltrinelli, 1973.69 G. Balla, Fu Balla-Baila futurista (1913), ora in Giorgio De Marchis, Giacomo Balla, l’aura futurista, Torino, Einaudi, 1977, p. 113.70 A. Ginna, Pittura dell'avvenire (1913), ora in M. Verdone, Cinema e letteratura de!futurismo, cit., pp. 210-211.71 Sempre nel medesimo testo Ginna afferma che “l’arte considera qualche cosa di più complesso che non sia la gravità, l’inerzia, la velocità. L’arte considera qualcosa che ci interessa più intimamente: le nostre passioni”. (Il corsivo è nostro.) Ivi, p. 205.

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la nazione, trasformano i loro spettacoli in veri e propri comizi politici. Nelle serate futuriste il verbo del rinnovamento è spesso affermato tramite un’apologià della violenza che legittima per via indiretta quella immanente nei processi economici. I futuristi non agiscono in base ad un conseguente piano politico. Si limitano a raccogliere gli sparsi e spesso contraddittori suggerimenti che provengono dagli ambienti più disparati, da quelli anarchici a quelli oppo­sti di destra, tentando di conciliarli in un’ibrida e generica sintesi. L’intenzione dichiarata è quella di coagulare la popolazione nel nome di un’idea di nazionalismo intrisa di luoghi co­muni postrisorgimentali. In realtà tramite l’at­tivismo politico il movimento escogita nuovi espedienti per fare notizia e catalizzare su di sé l’attenzione del pubblico. Coinvolgendo arte e vita, prassi letteraria e politica, il futurismo tende a raggiungere una dimensione di massa ma resta nelle sue operazioni di fondo essen-

Izialmente élitario. Nei futuristi non viene mai meno la convinzione della superiorità del poeta sul politico. Quando, dopo la guerra, Marinetti fa uscire il Manifesto del Partito futurista ita­liano tende a sottolineare che bisogna operare un distinguo tra futurismo artistico, novatore ed in anticipo sui tempi, e futurismo politico, fondamentale propaggine del movimento che tuttavia, onde ottenere una risonanza di massa, è disposto con meno lungimiranza e maggiore aderenza alle contingenze del presente a farsi portavoce dei bisogni immediati del popolo. Con ciò è salvaguardata la priorità del futuris­mo come movimento di pura idea rispetto alla sua attività di fiancheggiamento politico72. Se­condo i futuristi l’arte, nella sua collusione con la vita, acquisisce una notevole capacità

profetico-divinatrice che favorisce gli inevitabili sconvolgimenti del progresso e legittima l’uto­pia dell’“immaginazione al potere”. La convin­zione di Marinetti è che “una rivoluzione for­male prepara ed aiuta una rivoluzione es­senziale”73.

La guerra, “sola igiene del mondo”, è consi­derata il veicolo fondamentale del rinnovamen­to tecnologico. Su essa converge probabilmen­te l’ideologia unitaria del gruppo74. La posizio­ne dei futuristi nei confronti del fenomeno bel­lico si riveste di quell’ambiguità presente in tutti i loro atteggiamenti. I futuristi si erano imposti una mentalità ottimistica per non lasciarsi so­praffare dalle nevrosi determinate dagli shocks per la violenta modificazione della compagine sociale. Il futurismo era definito “ottimismo artificiale opposto a tutti i pessimismi croni­ci”75. Questa superficiale e volontaristica ade­sione alla modernità preclude ai futuristi l’ap­profondimento delle dinamiche che l’avevano generata e favorisce lo svilupparsi di un atteg­giamento astorico nei confronti dell’evoluzione sociale76. È soprattutto l’idea della guerra a risentire di tale disposizione antirealistica. La lotta dell’uomo contro l’uomo è considerata come espressione di un vitalismo fondamentale per il continuo progredire della razza umana. La guerra, in perfetta consonanza con i proces­si industriali e a prescindere dalle sue concrete caratterizzazioni storiche, è metafisicamente concepita come fenomeno che rigenera inces­santemente. L’artista, che nel suo continuo spe­rimentalismo cerca quelle forme espressive che meglio riescano a fornire il senso del futuro, tramite le parole in libertà intende rendere, insieme ai vertiginosi ritmi della vita urbana, le micidiali frenesie della guerra. Glielo consento-

72 F. T. Marinetti, Manifesto del Partilo futurista italiano, in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 130-135.73 F. T. Marinetti, Lettere ruggenti, cit., p. 32.74 Edoardo Sanguined, La guerra futurista, in Ideologia e linguaggio, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 38-43.75 F.T. Marinetti, Lettera aperta al futurista Mac Delmarle, in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 81.76 Dell’astoricismo futurista fa emblematicamente fede l’affermazione marinettiana secondo cui “nulla è paradossale e bizzarro quanto la realtà, e che ben poco bisogna credere alle probabilità logiche della storia”. F. T. Marinetti, Contro l’amore e il parlamentarismo, in Guerra sola igiene del mondo, cit., p. 251.

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no la concatenazione analogica delle immagini, l’uso dell’onomatopea e gli espedienti tipografi­ci che convergono verso una rappresentazione iconica del significato. La dinamica bellica è così in loto assimilata a quella tecnologica. Guerra e industria sono imparentate in quanto fenomeni dinamici i cui processi sono piena­mente integrabili. Se la società industriale è il punto d’arrivo dell’evoluzione della civiltà, la guerra è il suo completamento e rappresenta l’occasione di un continuo ricambio di valori che evita la stasi sociale. Patriottismo e amore della guerra sono presentati come aspetti uni­versali della natura umana, privi di qualsiasi valenza ideologica, “principi di igiene senza i quali non c’è che decadenza e morte”77.

Prima del 1914 l’idea della guerra-catarsi è senz’altro impregnata di un certo idealismo ri­sorgimentale. Se è vero, come afferma Sangui- ned, che l’estetizzazione della macchina porta inevitabilmente all’aperta apologia dell’impe­rialismo e perciò alla strumentalizzazione della guerra in senso indùstrialista78, tuttavia sarebbe eccessivo considerare i futuristi come gli inter­preti intenzionali e diretti degli interessi espan­sionistici della borghesia industriale. Indub­biamente una convergenza vi fu, ma non linea­re e spesso poco consapevole. Il Risorgimento aveva avviato un processo di rinnovamento che però era rimasto bloccato assai prima di essersi compiuto. Il futurismo fa appello a tutte le forze attive della nazione affinché, seguendo quella che sembra essere la direzione del pro­gresso, favoriscano l’avvento di una guerra ri­generatrice. Fin dai primi discorsi politici, pro­seguendo una tematica affine a quella del “Leonardo”, i freni principali all’espansione del paese sono individuati nel “conservatorismo pauroso e clericale” e nel “socialismo interna­

zionalista ed antipatriottico”79. Il comuniSmo è considerato solo una moda spirituale ideologi­camente utilitaristica. Soprattutto contro que­st’ultimo si appuntano gli strali della critica politica futurista. Marinetti nega decisamente che esistano divisioni di classe. In un brevissimo scritto tenta di confutare, con una superficialità che la dice lunga sulla sua ignoranza delle dot­trine politico-economiche, il marxismo cre­dendo di dimostrare che “il determinismo eco­nomico o materialismo storico” è fallito perché “la scienza ed il pensiero umano hanno dimo­strato l’impossibilità di stabilire un rapporto tra i fattori che sono numerosissimi, di svariata potenza, tutti vivi, dinamici e senza logica; al­trettanto assurda si è rivelata - sempre secondo Marinetti - la teoria della solidarietà dei lavora­tori d’ognipaese smentita dalla guerra80. Stem­perate le differenze di classe, i futuristi distin­guono fra chi intende sacrificarsi con dedizione alla patria che, guarda caso, è insieme alla macchina considerata il prolungamento ideale dell’individuo, e chi è invece destinato a subire, causa la sua ignavia, la rivoluzione italiana. Rivolgendosi di preferenza ai giovani, essi auspicano un ricambio politico generazionale senza porre minimamente in discussione la le­gittimità di un governo borghese. Attraverso il patriottismo, infatti, si realizza una solidarietà nazionale che prescinde dalle specifiche man­sioni svolte da ciascuno all’interno del processo produttivo. Gli operai sono considerati in mo­do strettamente funzionale agli interessi della patria81, mentre ai borghesi è riconosciuta una maggiore coscienza nazionale. La guerra si configura come un’epifania di progresso a cui bisogna prepararsi con un esercizio d’eroismo quotidiano. Essa è un bagno di igiene collettivo che rigenera le razze, svalutando l’individuo e

77 F. T. Marinetti, Trieste la nostra bella polveriera, in Guerra sola igiene del mondo, cit., p. 247.78 Edoardo Sanguined, L'estetica della velocità, in “Duemila”, 1966, n. 6.79 F. T. Marinetti, Battaglie di Trieste (aprile-giugno 1910), in Guerra sola igiene del mondo, cit., p. 213.80 F. T. Marinetti, Sintesi della concezione marxista, in Democrazia futurista. Ora in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 362-363.81 II Punto 3 del Manifesto del partito futurista italiano prevede, tra l’altro, ^educazione patriottica del proletariato”, v. Teoria e invenzione futurista, cit., p. 130.

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legittimando il sacrificio82. Solo con un’espan­sione energetica violenta, prima preparata dai processi industriali e poi perfezionata dagli ana­loghi processi bellici, sono possibili, secondo Marinetti, “il divenire continuo e l’indefinito progredire, fisiologico ed intellettuale dell’uo­mo”83 84. Ai futuristi mancava l’ironia necessaria per liberarsi da una sorta di ossessione della contemporaneità. Il futuro quindi si delineava per essi come la proiezione di un presente eco­nomico tecnologicamente perfezionato.

Dopo il 1918, al tema della guerra considera­ta come premessa di rinnovamento subentra nella pubblicistica futurista la convinzione che il conflitto si è risolto con la realizzazione delle sue premesse. Eppure, accanto ai toni trionfali­stici di prammatica, fanno capolino, soprattut­to negli scritti di Marinetti, affermazioni net­tamente contraddittorie. Alla fine del conflitto, di scarso rilievo era in realtà lo sviluppo indu­striale italiano al confronto di quello delle grandi potenze europee. Consapevole di ciò Marinetti corregge il tiro e sottolinea la possibi­lità di un dominio “spirituale” dell’Italia sul mondo grazie alla “assoluta quantità e qualità di individui geniali” contenuti nel paese. Co­mincia così una fase di riflusso del movimento in cui affiorano quei tratti regressivi che al principio, come abbiamo visto, erano stati a stento rimossi. Le esigenze del progresso conti­nuano ad essere affermate volontaristicamente, ma ormai il futurismo, che tende sempre più decisamente a colludere con il fascismo, si trova emarginato rispetto al fronte delle altre avan­guardie europee. A questo isolamento l’avan­guardia italiana risponde con un recupero gra­duale della tradizione: Ariosto, Leopardi, Dan­te, Leonardo da Vinci sono considerati futuristi ante-litteram. In questo modo il concetto di “futurismo” si universalizza perdendo gran

parte della sua carica provocatoria. Nel 1921 nel manifesto II tattilismoM Marinetti, con un tono assai lontano dalla consueta roboante ed enfatica aggressività fabulatoria, stigmatizza il dopoguerra che secondo lui ha tolto anche all’artista le sue certezze, lasciandolo spaesato in preda al pessimismo ed alle tentazioni degli stupefacenti. Affiora il dubbio che la guerra non abbia risolto nulla. Ma ancora una volta, con un estremo atto fideistico, il pessimismo è bruscamente rigettato nel nome della “vita che ha sempre ragione”, anche se c’è la rivalutazio­ne parziale di alcuni caposaldi borghesi prima violentemente rifiutati come l’amore (inteso come affettuosità e non sessualmente) e l’amici­zia. Nel 1930, con un tono ancora più dimesso, Marinetti tiene in Francia una conferenza sul futurismo mondiale85. Emerge il sospetto che macchina e velocità siano solo emblemi prodi­tori di un vuoto che annichila l’individuo. Pare farsi strada un senso di angosciosa frustrazione ed estraneità di fronte all’onnipotenza misterio­sa della società capitalistica. L’unica soluzione proposta resta comunque quella di un attivi­smo senza finalità perché solo agendo, anche senza convinzione, “si riesca ad essere qualcosa di essenziale all’universo”. L’intellettuale futuri­sta, anche nei momenti di maggiore perplessità sul suo ruolo sociale non rinuncia a mantenere un atteggiamento protagonistico, spesso indif­ferente ai risultati pratici della sua azione. Egli sa che la valorizzazione delle sue opere passa anche attraverso la pubblicizzazione di un con­tinuo atteggiamento di “pfesa di coscienza cri­tica” nei confronti della società moderna.

Nel futurismo era sempre stata presente in embrione la tendenza a considerare l’artista il demiurgo “delirante” di un mondo di pura sensazione, completamente rifatto dall’arte. Assegnando ad ogni oggetto un suo equivalen­

82 Sul significato ideologico delle opere belliche di Marinetti v. M. Isnenghi, Il m ito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, De Donato, 1970.83 F. T. Marinetti, La guerra sola igiene del mondo, in Guerra sola igiene del mondo, cit., p. 249.84 F. T. Marinetti, Il tattilismo (1921), in Teoria e invenzione futurista, cit., p. 137.85 F. T. Marinetti, Il futurism o mondiale, ora in “11 Verri”, 1970, n. 33-34, pp. 26-31.

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te astratto l’arte creava figure nuove montando a piacere gli “elementi astratti dell’universo”86. La realtà era dematerializzata e l’arte rivendi­cava il primato sulla realtà rifacendola con i propri strumenti. Un opuscolo marinettiano del 1920 dal titolo A l di là del comuniSmo87, preveggendo la perdita di incidenza politica che il futurismo avrebbe registrato via via che il fascismo si sarebbe consolidato al potere, deli­nea la grandiosa utopia di una società costruita a regola d’arte in cui gli artisti, i geniali, avreb­bero garantito il massimo di produttività con il minimo di lavoro manuale, dando “a tutte le intelligenze la libertà di pensare, di creare, di godere artisticamente”88. Sorge così l’illusione che sia possibile una “soluzione artistica del problema sociale” senza porre minimamente il problema della composizione della struttura politica e dei rapporti dell’arte con questa. L’in­felicità derivante dall’organizzazione della so­cietà tecnologica viene etemizzata giacché, se­condo Marinetti, è impossibile “sopprimere il tormento umano che è la forza ascensionale della razza”89. L’artista, nel momento in cui sperimenta la sua irriducibilità ai valori della borghesia, ritorna a postulare una astratta se­parazione tra arte e vita curando che esse non

entrino in conflitto tra loro. Egli intende in tal modo evitare la sua integrazione nel sistema vanificando il potenziale critico implicito nelle sue operazioni estetiche, nonostante sia pale­semente in atto nei suoi confronti un procedi­mento che tende a privarlo della capacità di un intervento efficace sulle dinamiche sociali.

L’ultimo ventennio della storia del futurismo deve fare i conti con il fascismo, e ad esso in gran parte il movimento si assimila pur mantenendo una certa autonomia. Del futurismo il regime imiterà le variegate tecniche propagandistiche volte ad ottenere dalle masse un consenso in­condizionato. La sapiente utilizzazione del mezzo radiofonico diffonderà, come aveva auspicato Marinetti, “una parola ricaricata di tutta la sua potenza [...] essenziale e totalita­ria”90. Ma essa non canterà la poesia delle mirabolanti meraviglie della società industriale: inneggerà ottusamente al massacro ed alla so­praffazione. Il potere politico si impadronisce delle strategie usate dai futuristi per conquistare il mercato dei beni culturali e le utilizza in proprio per manipolare la popolazione e pre­pararla alla grande tragedia mondiale.

Pierfrancesco Morabito

86 F. Depero, G. Balla, Ricostruzione futurista dell’universo (11 marzo 1915), in Sintesi del futurismo, cit., pp. 124-126.87 F. T. Marinetti, A l di là del comuniSmo, in Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 411-424.88 Ivi, p. 422.89 Ivi, p. 423.90 F. T. Marinetti, P. Masnata, La radio (ottobre 1933), in Teoria e invenzionefuturista, cit., p. 179. Sulla partecipazione di Marinetti alla radio v. Antonio Papa, Storia politica della radio in Italia, Napoli, Guida, 1978.