Studi di Storia della Filosofia (a cura di Domenico Felice)

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    Studi di Storia della FilosofiaSibi suis amicisque

    a cura di

    Domenico Felice

    proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia,n altro cominciamento ha il filosofare che questo. (Platone)

    Il principio della filosofia la coscienza che si ha della propria debolezzae della propria impotenza nel campo di ci che pi necessario. (Epitteto)

    Se unopera buona, appartiene a tutti; se scritta su questioniimportanti, utile che tutti gli ingegni di qualit aiutino gli autori conosservazioni e riflessioni. Le verit che trovo io sono vostre; quelle chetroverete voi sono mie. La verit come il mare, che Locke chiama ilgrande e sempre comune bene dellumanit: solo attraverso la ragionealtrui diventiamo pure noi ragionevoli. (Montesquieu)

    Il primo movente che dovrebbe spingerci a studiare il desideriodi accrescere leccellenza della nostra natura e di rendere un essereintelligente ancora pi intelligente. (Montesquieu)

    Le conoscenze rendono miti gli uomini; la ragione porta al senso di

    umanit; sono solo i pregiudizi che ci allontanano da esso. (Montesquieu)Gli uomini si osservano troppo da vicino per vedersi come sono davvero.Poich scorgono le loro virt e i loro vizi solo attraverso lamor proprio,che abbellisce tutto, sono sempre testimoni infedeli e giudiciaddomesticati di se stessi. (Montesquieu)

    Solo una cosa, qui, degna di gran conto: la tenacia di vivere sempresecondo verit e giustizia, sopportando benignamente bugiardie ingiusti. (MarcoAurelio)

    Se ti impegni a vivere solo ci che stai vivendo, cio il presente, potraitrascorrere il tempo che ti rimane, fino alla morte, senza turbamento,con benevolenza e serenit. (Marco Aurelio)

    Le nostre azioni sono legate a tante cose che mille volte pi facile fareil bene che non farlo bene. (Montesquieu)

    Perch la libert cos rara? Perch il primo dei beni. (Voltaire)

    Lamore per lo studio in noi quasi lunica passione eterna: tutte le altreci abbandonano via via che la miserabile macchina che ce le fornisce siavvicina al proprio disfacimento. Bisogna crearsi una felicit che ci seguain tutte le et: la vita cos breve che non conta nulla una felicit chenon duri quanto noi. (Montesquieu)

    Domenico Felice docente di Storia della Filosofia e di Storia dellaFilosofia Politica presso lUniversit di Bologna. Con la Clueb ha, tralaltro, pubblicato: Pour lhistoire de la rception de Montesquieu enItalie (1789-2005) (2006) eIntroduzione a Montesquieu (2013). Hacurato, insieme aR. Cambi, la prima edizione italiana integrale delDizionario filosofico di Voltaire (Milano, 2013). editordiMontesquieu.it Biblioteca elettronica su Montesquieu e dintorni(www.montesquieu.it).

    DOMENICO

    FELICE

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    37,00 CB 5421

    ISBN 978-88-491-3869-6

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    2013 by CLUEBCooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna

    Volume pubblicato con il contributodellUniversit di Bologna - Dipartimento di Filosofia e Comunicazione

    CLUEBCooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna40126 Bologna - Via Marsala 31Tel. 051 220736 - Fax 051 237758

    www.clueb.it

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2013da Studio Rabbi - Bologna

    Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15%di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compensoprevisto dallart. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

    Le fotocopie effettuate per finalit di carattere professionale, economico o commer-ciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a se-guito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autoriz-zazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano,e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

    Studidi Storia della Filosofia. Sibi suis amicisque / a cura di Domenico Felice. Bologna : CLUEB, 2013471 p. ; 24 cm(Lexis. Biblioteca di scienze umane)ISBN 978-88-491-3869-6

    In copertina: British Library.Book, Domenico and Chain.

    Progetto grafico di copertina: Oriano Sportelli (www.studionegativo.com)

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    Ma quando anche queste [genti] furono morte,sorse una stirpe bronzea di uomini,

    pi funesta della precedente.Per primi forgiarono col bronzo

    il malefico pugnale da viaggio,per primi si cibarono dei buoi

    che aravano le campagne.Dike allora prese a odiare

    quella schiatta umana,vol al Cielo prendendo dimora

    in quella zona dove apparenella notte agli uomini la Vergine.

    (Arato di Soli,Fenomeni, 133-135)

    Caelo sideribusque conciliatum.

    (Dallultimo discorso di Giuliano imperatore,in Ammiano Marcellino,Res gestae, XXV, 3, 21)

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    INDICE

    Fabio Bentivoglio,Lidea di giustizia in Platone ................................................... 9

    Antonio Hermosa Andjar,Crtica y teora del poder en Aristteles (Anlisis del li-bro II de laPoltica) ............................................................................................ 39

    Rosa Rita Marchese, Quasi quidam ornatus vitae. Ildecorumnelde officiisdiCicerone .............................................................................................................. 57

    Stefano Simonetta,LEuropa cristiana del Duecento e la Grande paura tartara .... 75

    Fabiana Fraulini,Disciplina della parola, educazione del cittadino. Analisi delLiberde doctrina dicendi et tacendidi Albertano da Brescia ......................................... 79

    Giorgio E.M. Scichilone,Alessandro Magno. Lineamenti di un prototipo (poco con-siderato) del principe machiavelliano..................................................................... 103

    Lorenzo Passarini,La Botie e Montesquieu: lanatura umanadi fronte alloppres-sione politica ...................................................................................................... 117

    Piero Venturelli,Paolo Paruta e il mito di Venezia. Considerazioni sullOrationefunebree suDella perfettione della vita politica .................................................. 133

    Agostino Lupoli,Skinner, Hobbes e il governo misto ............................................. 175

    Gaetano Antonio Gualtieri,Giambattista Vico: dalla metafisica della natura alla

    Scienza dellumanit......................................................................................... 217

    Giovanni Cristani (a cura di),Montesquieu, Saggio di osservazioni sulla storia na-turale, letto allAccademia di Bordeaux il 20 novembre 1721 .............................. 255

    Tommaso Gazzolo,Note per un (auto)ritratto di Montesquieu .............................. 267

    Domenico Felice,Montesquieu, Cicerone e Marco Aurelio .................................... 275

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    Paolo Romeo,Legge-rapporto e relativismo in Montesquieu ................................... 293

    Lucia Dileo (a cura di),Pierre-Joseph de la Pimpie, cavaliere di Solignac, Elogio diMontesquieu (1755) ........................................................................................... 305

    Stefania Stefani (a cura di),Voltaire, Premio della giustizia e dellumanit (1777) ... 325

    Gianmaria Zamagni,Das Mittelalter unter Wasser von Miguel de Unamuno. EineSkizze ................................................................................................................. 377

    Stefano Righetti,Per unanalisi del rapporto Foucault-Nietzsche ............................ 395

    Marco Goldoni,Il repubblicanesimo e la questione del potere costituente ................ 409

    Massimo Angelini,La sacralit del corpo e la sua dimenticanza............................. 435

    Domenico Felice,Montesquieu e i suoi nemici, o bagatelle invernali sui nipotini diVoltaire ............................................................................................................... 445

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    Lidea di giustizia in Platone

    Fabio Bentivoglio

    Il tema della giustizia il centro di gravit della filosofia di Platone. Pi precisa-mente: lidea di giustizia e lidea di Bene nella concezione di Platone sono insepa-rabili poich la giustizia il configurarsi delle cose in un ordine globale tale da ri-

    specchiare il Bene. Non si pu dunque affrontare il tema della giustizia senza in-crociare lidea del Bene. N possibile rispondere in formula breve e comprensi-bile alla domanda che cosa il Bene?: per Platone, come vedremo, questa rispo-sta pu essere elaborata soltanto da un pensiero in grado di porsi esclusivamente sulpiano delle pure nozioni logiche, recidendo qualsiasi legame con elementi trattidallevidenza percettiva e dallesperienza sensibile. Per maturare questa capacit ilpensiero deve essere educato attraverso una via lunga e difficile. La ragione diuna cos alta difficolt insita nelloggetto stesso della ricerca. Scrive Platone: []il campo della somma scienza lidea del Bene, in virt della quale la giustizia e lealtre virt diventano benefiche (Repubblica, VI 504 a). Vero filosofo soltanto chisi addentra e conosce lessenza del Bene (RepubblicaVII 534b-d).

    Inoltrandoci dunque nella concezione platonica della giustizia-Bene non af-frontiamounaquestione importante, mala questionestrategica su cui poggia lin-tero impianto della filosofia di Platone.

    1.La teoria delle idee

    Il primo passo da compiere per intraprendere la via lunga e difficile di com-prendere che il pensiero nella sua attivit conoscitiva si riferisce, almeno implici-tamente, a preesistenti nozioni logiche di valore universale ed eterno. Preesisten-ti in senso condizionale e logico, non cronologico. Platone lo spiega nel Fedone(XIX, 74-75). Si prenda ad esempio un semplice atto conoscitivo come losserva-re due statue eguali (lesempio nostro). La nozione di eguale sembra esser trat-ta dalla percezione sensibile delle due statue. Le due statue, per, come qualsiasialtro ente sensibile, non possono essere perfettamente eguali, se non altro perchsono due e occupano luoghi diversi. Si potrebbe dire allora che sono quasi egua-li, ma il quasi tale solo in confronto alleguale. La condizione logica per co-noscere due statue come eguali fare riferimento allidea di eguaglianza: possia-

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    mo cio comprendere il significato delleguaglianza a condizione di possederelidea di eguale in s, inerente alla sfera intellegibile e non sensibile. Il significato

    dellidea di eguaglianza permanente, e perci non varia in relazione ai dati em-pirici cui riferito: sia che si parli di statue, alberi o persone il predicato egualemantiene sempre lo stesso significato. Se dunque il pensiero non concepisse la no-zione di eguaglianza come eguaglianza in s, indipendentemente dai dati percet-tivi, non vi sarebbero cose da poter essere conosciute come eguali, n il linguag-gio potrebbe assolvere la sua funzione di consentire la comunicazione tra sogget-ti pensanti, perch tale funzione possibile a condizione che il linguaggio si fon-di su uninvarianza di strutture logiche (le idee), pur nella variabilit dei soggetticui sono riferite.

    Ogni significato che assolva il ruolo di predicato immutabile nel linguaggiorazionale umano tale da costituire una nozione logica di valore universale ed eter-

    no, unidea. In formula: lidea (idos) luniversale intellegibile in s reale. uni-versaleperch valido in tutti i possibili e infiniti casi dellesperienza: lidea di trian-golo (poligono con tre lati e tre angoli) valida per tutti i casi particolari (non cipu essere triangolo se non con tre lati e tre angoli). intellegibileperch lidosha natura puramente logica per cui oggetto di una visione della mente, quindiintellettuale; non avendo realt spaziale, quindi materiale, non percepibile coni sensi. in s realenel senso che lidea ha una realt propria, ha un permaneresempre uguale a s indipendentemente dalle cose empiriche che la rappresentano(lidea una, a fronte dellamolteplicitdei casi particolari), valida sempre, cioindipendente dal tempo.

    Poichpermanenzaeunitsono i predicati necessari del terminerealt, ecco chelidea realenellaccezione compiuta del termine.

    2.Il significato del terminerealtnellaccezione platonica

    Poich nel linguaggio comune la parolarealtrimanda per lo pi alla sola di-mensione dellesperienza sensibile e ai dati che ci provengono da essa, a fronte diuna teoria che afferma la realt delle idee, il rischio di immaginarsi lidea quasifosse una cosa. Diversamente dal senso comune, per, quando Platone parla dire-altfa riferimento a quattro distinti livelli di realt che si differenziano in base alloro grado dipermanenzaeunit: quanto pi di un ente sono predicabili perma-nenzaeunittanto pi quellente reale. Un primo livello di realt, il pi evane-scente, quello concernente le cose sensibili immerse in un perpetuo flusso dimutamento. Un secondo livello quello degli enti matematici (numeri e figuregeometriche) che in virt della loro natura intellegibile hanno un grado di per-manenza e unit superiore a quello degli enti sensibili. Un terzo livello di realt quello delle idee, comprensivo oltre che delle idee proprie della sfera matematicaanche delle idee che ineriscono la sfera etica. Mentre i pitagorici concepivano li-

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    dossolo con riferimento alla sfera matematica, Platone lo concepisce anche nellasfera etica, quindi come definizione generale della giustizia, virt, coraggio, bel-

    lezza ecc.Le idee rappresentano lessere in senso proprio: rispetto alle corrispondenti for-

    me empiriche le idee realizzano il massimo grado di unit. Lidea di giustizia una per infiniti che siano gli esempi particolari di atti giusti, proprio come lideadi triangolo una per quanto infiniti siano i triangoli particolari.

    Il quarto livello di realt, il pi compiuto e di massima astrazione lUno, lacui nozione, come vedremo, coincide con quella del Bene ed perci strettamenteconnessa con lidea di giustizia. LUno una sorta di idea delle idee in cui tutte leidee si compenetrano trovando la loro verit.

    3.Lo spessore storico-ontologico della parolagiustizia

    Il particolare statuto della parola giustizia merita qualche riflessione preliminarealla lettura dei passi platonici.

    Parole come amore, morte fanno parte del corredo biologico-ontologico del-luomo, ed naturale ritrovarle nelle culture di tutte le societ storiche. Anche laparola giustizia (nel significato da essa evocato) attraversa la storia: il suo conte-nuto, per, non affonda le radici nella dimensione biologica delluomo, ma nel suoessere sociale, nella configurazione dei rapporti di produzione e di scambio (inte-si in senso lato anche riferiti alle relazioni interpersonali) che storicamente sin-staurano tra gli uomini. Nel corso della storia la giustizia sia nella forma asso-

    lutizzata da un Dio, che nella forma di codice normativo-culturale-ideologico con-sapevolmente posto dagli uomini stata evocata e invocata per giustificare tut-to e il contrario di tutto: dai peggiori crimini consumati nei contesti di guerra, al-le pi brutali forme di sfruttamento delluomo sulluomo, dalla sacrosanta riven-dicazione di diritti universali alla celebrazione della superiorit di un tipo umanosugli altri, cos come, a livello individuale la giustizia invocata per denunciare ogiustificare i gesti e gli atti pi disparati. Giustizia e verit anche lestrema in-vocazione di chi vive la sconvolgente esperienza della perdita di un figlio o di unapersona cara a causa di azioni criminali, ed esige dal profondo dellanima che giu-stizia sia fatta per lenire in qualche modo un dolore incommensurabile.

    Non stiamo dunque riflettendo sul significato di una parola ordinaria, ma di unaparola che esprime unistanza umana insopprimibile, quella di rappresentare le pro-prie azioni e di viverle in una dimensione universale che trascende la singolarit.Questa istanza non ha la sua radice in un impulso biologico-naturale come nel ca-so dellamore e della sessualit, ma nellontologia sociale delluomo, nella di-mensione della libert che inerisce solo allessere umano e non agli animali, prede-terminati nel loro agire dallistinto. Non avrebbe senso parlare di giustizia o invo-carla in riferimento ai comportamenti degli animali. La necessit di rappresentare

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    come giusto il proprio agire e giusta la visione del mondo di cui ciascuno por-tatore (anche laffiliato a clan mafiosi evoca la giustizia come rispetto di precisi co-

    dici di comportamento interni ai clan), ha la sua genesi in quella struttura perma-nente dellessere delluomo che la sua dimensione sociale che non pu prescinderedal rapporto con laltro, sia altro come individuo, sia altro come comunit dicui ciascuno necessariamente parte. Nel linguaggio filosofico tale dimensioneuniversalmente costitutiva dellessere delluomo si dice trascendentale. Quelloche Platone dallalto del suo punto di osservazione filosofico vede e ci fa vedere proprio il fatto che il significato logico della giustizia-Bene inerisce alla dimensio-ne trascendentale (il termine, ovviamente, non compare in Platone ma colto nel-la sua essenza) per cui non pu essere definito, quel significato, traendone il con-tenuto dallesperienza: se cos facessimo ci troveremmo in una sorta di labirintocostituito da una successione molteplice di significati della giustizia privi del ca-

    rattere delluniversalit in quanto storicamente determinati. A questo esito relati-vistico e contingente approderebbe necessariamente il pensiero non in grado diemanciparsi dalla dimensione sensibile, storica, nella quale calato. Un pensiero cheproceda calato nellesperienza sensibile altro non pu fare che riflettere la realtcos come la trova fuori di s: mutata la configurazione della realt storico-socialeentro cui calato, a traino, cambia anche il contenuto del pensiero.

    Ma il pensiero che solitamente naviga, cio procede nelle sue riflessioni so-spinto da tutto ci che sensibilmente appare (proprio come la nave a vela che so-spinta dal vento), si chiude alla comprensione delle possibilit delle cose non ma-nifestate dal loro apparire. per questo che Platone nelFedone(XLVII, 99d) si ser-ve della metafora della seconda navigazione del pensiero. Per seconda naviga-

    zione, nellantichit, si intendeva quella a remi, adottata dai marinai in caso dimancanza di vento: il pensiero, cio, per uscire dalla bonaccia di una ragione cheprocede solo se mossa da una forza esterna, dovr contare solo sulle sue risorse in-terne (i remi) e procedere in piena autonomia.

    Facciamo ora riferimento ad alcuni passi e dialoghi platonici per intraprende-re la navigazione verso lidea della giustizia.

    4.La giustizia nelProtagora: condizione necessaria e universale per il costi-tuirsi della comunit umana

    Nel Protagora, dialogo giovanile e socratico di Platone, Protagora per illustrare il suopensiero, ricorre al mito di Prometeo. Per consentire alla specie umana di soprav-vivere e difendersi dai pericoli esterni, Prometeo ruba il fuoco e le tecniche al dioolimpico Efesto e li dona agli uomini. Zeus infligge a Prometeo, reo di aver ruba-to a un dio olimpico, una punizione terribile: unaquila gli divorer periodicamenteil fegato che gli ricrescer per perpetuare la pena. Protagora integra il mito e rac-conta che Zeus, pur sdegnato dal gesto di Prometeo non toglie il fuoco e le tecni-

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    che agli uomini, perch anchegli vuole salvaguardare la specie. Gli uomini, per,pur disponendo delle tecniche che consentono di dominare lambiente e di pre-

    servarli dai pericoli esterni, quando si riuniscono in comunit sono esposti a con-flitti distruttivi a causa di interne dinamiche disgregatrici. Zeus comprende allorache, per sopravvivere, la specie umana ha bisogno di due nuovi doni (oltre a quel-li del fuoco e delle tecniche) e cio il senso del rispetto di ciascun individuo per i suoisimili, e il senso digiustizianella conduzione della convivenza collettiva:

    Zeus, temendo per la nostra stirpe che non si estinguesse tutta, manda Ermes a por-tare tra gli uomini rispetto e giustizia []. Ermes dunque interroga Zeus in qualmaniera debba dispensarle agli uomini Chio debba, come furon distribuite le ar-ti, cos distribuire anche queste? E le arti furono distribuite cos: un solo che pos-siede la medicina basta a molti che non la possiedono. E cos anche gli altri culto-ri dunarte. Devo io dunque distribuire allo stesso modo la giustizia e il rispetto

    tra gli uomini o distribuirla tra tutti?.Tra tutti risponde Zeus e che tutti nabbiano a partecipare che non potrebberoesistere le citt, se ne partecipassero pochi come dellaltre arti. E poni il mio nomeper legge che chi non possa partecipare di rispetto e giustizia uccidano come pestedella citt (Protagora, XI).

    Uno solo che possiede la medicina basta a molti, ma se solo pochi possedesse-ro il senso delrispettoe dellagiustiziae quindi solo pochi agissero entro i limiti daessi posti, non potrebbero costituirsi n citt n Stati. Ci significa che la giusti-zia una virt, per cos dire, a statuto speciale, la condizione necessaria e uni-versale (trascendentale) affinch possa esserci comunit umana: anche le tecniche

    sono necessarie, ma queste assolvono la loro funzione positiva per gli uomini pur-ch si sviluppino allinterno di un pi generale progetto di realizzazione della giu-stizia. Diversamente, l dove si rendano autonome e si potenzino solo in funzio-ne di un progetto di dominio sulla natura producono lacerazioni e scompensi.

    NelProtagoraPlatone segnala come la giustizia abbia uno statuto etico sovra-ordinato alle altre virt, ma trasmette ancora il suo pensiero in forma mitica. Il mi-to in Platone, ricordiamolo, assolve una funzione didattica nel senso che unmodo per esemplificare con immagini a tutti comprensibili contenuti concettua-li complessi, oggetto di elaborazione filosofica. Il mito o il procedimento analo-gico sono utilizzati da Platone quando lelaborazione filosofica ancora in corsoo quando largomento ritenuto troppo complesso per essere trasmesso attraver-

    so la scrittura. Come vedremo ad esempio pi avanti, nellaRepubblica, quandoGlaucone chiede a Socrate di illustrare la vera natura dellidea del Bene, Socraterisponde che in considerazione dellestrema difficolt dellargomento lunica viapraticabile ricorrere a unanalogia, quella del Sole-Bene.

    NelProtagora dunque indicata una direzione di ricerca che muove dallas-sunto della giustizia intesa come condizione necessaria e universale per il costi-tuirsi della comunit umana. In cosa consista la giustizia, per, non ancora espli-citato.

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    5.La giustizia nelGorgia: condizione necessaria per il conseguimento della fe-licit

    IlGorgia un dialogo di transizione, nel senso che segna il passaggio del pen-siero di Platone dalla fase giovanile, socratica, alla fase della maturit. Socrate svol-ge un ruolo inedito perch non si limita a confutare le false opinioni, ma giungea una conclusione in termini di definizione universale (esito non compatibile conil Socrate storico). Daltra parte non un dialogo della maturit perch non cisono cenni alla teoria delle idee, teoria elaborata da Platone nella fase matura delsuo pensiero.

    Nel 388 a.C., a seguito della condanna a morte di Socrate, Platone lascia Ate-ne e intraprende un viaggio nelle terre italiche (Taranto, Locri e Siracusa) dove so-pravvivono ancora governi aristocratici che si ispirano alle grandi tradizioni cul-

    turali e religiose delle acropoli, fondati sulla fusione di potere e sapere di matricepitagorica. A Taranto, Platone entra in contatto per la prima volta con il pitago-rismo stabilendo un sodalizio culturale con il matematico-pitagorico Archita, chelo emancipa dalla sua originaria impostazione solo socratica. Se nelProtagorasi evi-denzia il superiore statuto etico-sociale della giustizia rispetto alle altre virt, nelGorgiasi comincia a intravedere larticolazione logica dellidea di giustizia svilup-pata con moduli pitagorici.

    Gli interlocutori di Socrate sono Gorgia, Polo e Callicle: dopo aver discusso conGorgia sul potere della retorica, il dialogo con Polo e poi con Callicle finisce peraffrontare il tema della felicit, che Socrate connette strettamente alla pratica del-la giustizia.

    Giustizia e felicit, agli occhi di noi contemporanei, paiono inerire a sfere di-verse e eterogenee luna pubblica e sociale, laltra individuale e privata, per cuinon ben chiaro come possano incrociarsi. Non cos nella cultura greca classicache non separa mai la sfera privata da quella pubblica; la separazione della vitaprivata dalla dimensione politica e la separazione delle scienze dalla filosofia sarcaratteristica dellEllenismo, successiva e nuova fase storica della civilt greca.

    Socrate, nel corso del dialogo con Gorgia, dimostra che la retorica una pra-tica di adulazione esercitata da spiriti sagaci che nulla conoscono della vera natu-ra delle cose. Di fronte a questo giudizio cos negativo e radicale che disconoscevalore alla retorica, Polo ribatte che comunque i retori dispongono di un gran po-tere, quello di saper convincere chiunque su qualunque argomento e ci consen-te loro di ottenere quello che vogliono e quindi di essere felici, perch possono fa-re ci che pare e piace. Socrate dimostra che fare quello che ci pare non signifi-ca fare quello che vogliamo: noi vogliamo sempre il nostro bene, ma perch que-sto possa realizzarsi necessario essere consapevoli delle conseguenze che il no-stro agire produce sia su di noi che sugli altri, ed essere consapevoli di quali sianodavvero gli scopi di vita che rappresentano un vero bene.

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    Il tiranno pu s agire come gli pare e piace, ma anche se pu sottrarsi alla pe-na del carcere, paga sempre le conseguenze dei suoi atti in forma diversa: a causa

    del suo agire ingiusto costretto a sospettare di tutti, a vedere ovunque complot-ti, a non avere amici, e quindi a non vivere da uomo felice. Il maggiore di tutti imali commettere lingiustizia, afferma Socrate, perch praticare lingiustiziarompe lequilibrio dellanima e produce sofferenze maggiori di quelle prodottedal dolore fisico. Espiare la pena lunico modo per liberare lanima dal male del-lingiustizia, cio dal male peggiore, perch il male dellanima il pi brutto ditutti. Allora, controbatte Polo, tu preferiresti subire lingiustizia piuttosto checommetterla? Risponde Socrate: Io per me, non vorrei n luna cosa n laltra; mase dovessi per forza commetterla o subirla, preferirei piuttosto subirla che com-metterla perch soltanto chi onesto e virtuoso felice; chi ingiusto e malva-gio un infelice.

    Il dialogo prosegue con Callicle che personaggio immaginario o reale che sia assolve il compito di esprimere sul tema della giustizia le argomentazioni tipi-che della seconda sofistica (ultimi decenni del V secolo a.C.) sostenitrice di unaideologia ispiratrice di una violenta reazione oligarchica alla democrazia.

    Callicle, per ribattere alle tesi di Socrate, introduce la distinzione tra giustiziasecondo la legge, ossia laconvenzione, e giustizia secondo natura, ossia ildiritto dinatura:

    A parer mio gli autori delle leggi sono i deboli, sono la maggioranza. Gli dunqueper s e pel proprio tornaconto che costoro han fatto le leggi e distribuiscono lo-di e biasimi. E nellintento di spaventare i pi forti e capaci di prevalere, e per im-pedire che prevalgano su loro, dicono che cosa brutta e ingiusta voler sopraffaregli altri, e che il commettere ingiustizia consiste appunto nel cercare di avere pidegli altri []. Perci, si capisce, la legge proclama ingiusto e brutto il cercare disopraffare i pi; e questo si chiama commettere ingiustizia. La natura, invece, mo-stra chiaro come sia giusto che il migliore abbia pi del peggiore, e il pi potentepi di chi pu meno (Gorgia, XXXVIII).

    Secondo Callicle la verit di questa tesi trova conferma nei fatti: nel mondo ani-male i predatori dominano naturalmente sugli altri animali senza per questo es-ser giudicati ingiusti, cos come nel caso dei rapporti tra le citt le pi potenti sot-tomettono naturalmente quelle pi deboli. Il vero concetto di giustizia odirittodi natura, esige dunque che il superiore domini sullinferiore. La giustizia di cui

    parla Socrate quella secondo la legge, quindi la giustizia degli schiavi e dei de-boli. Muovendo da questo presupposto, quindi, non vero che la felicit si pos-sa conseguire con una vita temperante nella pratica della giustizia: questa la mo-rale dei deboli, i quali, proprio perch deboli, non potendo manifestare la forza,teorizzano che giusta una vita temperante, ordinata e con pochi bisogni. Al con-trario, sostiene Callicle, quanto maggiori sono i bisogni, tanto pi riusciamo asoddisfarli e tanto pi saremo felici.

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    In unottica moderna le tesi di Callicle legittimano un modello di vita di stam-po consumistico, sempre proteso ad alimentare il desiderio di possesso e passioni

    che si rinnovano senza fine: un modello che per Callicle porterebbe a realizzare lapiena felicit dellanima, per Platone, al contrario, lo svuotamento dellanima,linsignificanza della nostra vita, quindi linfelicit.

    Socrate, per confutare la teoria di Callicle, e ribadire la tesi che pratica della giu-stizia e felicit sono inscindibili, ricorre alla metafora dellanima come orcio inte-gro e come orcio forato. Riassumiamola. Immaginiamoci le vite di due uomini,dice Socrate, che possiedono tanti orci pieni di vino, miele, latte: gli orci del-luomo saggio e ordinato sono integri, mentre quelli dellintemperante e dissolu-to sono forati, e perci questultimo costretto a riempirli di frequente. pi fe-lice la vita delluomo ordinato o quella dellintemperante? Callicle risponde che pi felice quella dellintemperante, perch a colui che ha riempito tutti i suoi re-

    cipienti, non avanza pi alcun piacere, ma la sua vita , come dicevo or ora, quel-la di un sasso, perch non sente pi n gioia, n dolore (Gorgia, XLVIII).

    Socrate propone di considerare lorcio bucato e lorcio integro come due con-dizioni dellanima: lanima come orcio bucato lanima che non sa trattenere lagratificazione che deriva dai piaceri che sperimenta, ed quindi sempre spinta al-la ricerca di nuovi piaceri nel tentativo di ottenere una pienezza che per non rie-sce mai ad afferrare, perch ogni volta la dinamica del desiderio la rende irrag-giungibile.

    Lanima come orcio integro lanima che sa trattenere i piaceri, cio sedi-mentare nella propria interiorit il valore di ci che sperimenta; proprio attra-verso questo processo di sedimentazione interiore conservato attraverso la me-

    moria che si costituisce il valore e il significato della nostra esistenza. La felicitconsiste allora in questa capacit dellanima di vivere consapevolmente il piacereconservandone attivamente la memoria: la condizione perch ci sia possibile chelanima sia integra (lorcio integro, appunto) e lintegrit dellanima si chiamaarmonia.

    Il tema dellarmoniadellanima introdotto nella parte conclusiva del dialogo,esige un ulteriore approfondimento: lanima comprensiva di molteplici e diver-se pulsioni, per cui qual la condizione per la quale tanti e diversi elementi (lamol-teplicit) di cui consiste lanima possano dirsi inarmonia, quindi costituirsi comeunit? Platone deriva il nucleo concettuale della risposta dal pitagorismo che, co-me detto poco sopra, ha conosciuto in occasione del suo viaggio in Magna Gre-cia e attraverso la lettura dellopera di Filolao.

    6.Il concetto pitagorico diarmoniain relazione al tema della giustizia

    Larmonia accordo (unit) di elementi diversi e anche discordanti (molteplicit),accordo possibile quando ciascuno di essi si mantiene in un limite tale da non al-

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    terare lequilibrio generale di cui parte. Larmoniadelle cose (insegnavano i pi-tagorici) la permanenza di una proporzione numerica tra i loro elementi, che per

    ciascuno di essi rappresenta un limite intrinseco e una congiunzione con gli altri.La loro proliferazione disordinata e caotica rompe quella proporzione numerica eper ci stesso larmonia (e dunque ilbene) di quellinsieme di cui quegli elemen-ti sono parte. Il senso dellarmonia, allora, sta nel saper integrare nella giusta mi-sura gli elementi esterni che affluiscono allanima.

    In conformit a questa teoria pitagorica, Socrate afferma che larmoniadel-lanima deriva dallasaggezzae dallagiustizia. Lasaggezzaconsiste nel sentire i li-miti verso se stessi, e quindi nel non valicarli (lubriaco non agisce con saggezza),lagiustiziaconsiste nel sentire i limiti verso gli altri (il ladro non giusto, per-ch il suo agire introduce disordine nella vita collettiva). Conclude Socrate: []il miglior tenore di vita vivere e morire nella pratica della giustizia (Gorgia,

    LXXXIII).Felicit e giustizia, nelGorgia(ma una costante del pensiero platonico) sono

    dunque due facce della stessa medaglia. Per Platone laspirazione alla felicit undiritto delluomo, perch la vita felice il bene supremo e la ragion dessere del-lesistenza. una concezione da non confondere con ledonismo, con una ricercadel piacere fine a se stessa: per Platone il piacere realmente tale, quindi in gradodi farci conseguire la felicit, se accompagnato dalla conoscenza di ci che d va-lore allesistenza umana nella prospettiva della giustizia. Giustizia, conoscenza e fe-licit sono pressoch sinonimi. Rispetto allobiettivo del conseguimento della feli-cit la tesi di Socrate per cui meglio subire uningiustizia piuttosto che commet-terla, solo apparentemente paradossale: non saremmo felici in entrambi i casi,

    ma, quantomeno, nel primo caso saremmo meno infelici che nel secondo. Pi chedalla sofferenza prodotta da cause esterne, o da mancanza di beni, linfelicit ha lasua genesi nel disordine di unanima priva di saggezza e perci incapace di ricon-durre a unit armonica la molteplicit contraddittoria delle sue esigenze. per que-sto che la giustizia, portatrice di ordine e di armonia, contrasta linfelicit.

    In sintesi. DalGorgiausciamo con un concetto di giustizia pi articolato ri-spetto ai precedenti dialoghi, perch se ne intravede lintelaiatura logica che at-traverso le nozioni pitagoriche diarmonia,limiteemisurarimandano al rappor-to traunitemolteplicit. La composizione o equilibrio (lunit) di elementi traloro diversi (lamolteplicit) da intendersi comelimiteimmanente a ciascuna del-le diverse componenti che operano sia nella sfera psichica individuale sia nella sfe-ra sociale.

    unintelaiatura logica che Platone trasmette ancora attraverso riferimenti em-pirici, con immagini e analogie di grandissimo fascino letterario. Non siamo an-cora, per, nel regno del concetto puro: come lo stesso Platone ammonisce, il pen-siero deve navigare emancipandosi dal vento della dimensione sensibile per ope-rare esclusivamente sul piano logico-ideale. Ma con quale metodo, con quali re-mi, si deve navigare nel mare delle idee?

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    7.La questione di un corretto metodo di ricerca nelFedone: la teoria adialet-tica della connessione tra le idee

    NelFedonePlatone per individuare le relazioni che intercorrono tra le idee elabo-ra un procedimento di inclusione e specificazione delle idee come passaggio daiparticolari al generale, e dal generale alle pi specifiche diramazioni concettuali inesso incluse, passato poi nei procedimenti induttivo e deduttivo della logica ari-stotelica. Leggiamo il passo:

    Nessuno dei due termini tra loro contrari pu tollerare di essere o diventare il suocontrario restando quello che []. Osserva poi, come esempio, la nozione deltre. Non ti pare forse che il tre debba avere in s, oltre la sua propria idea di tre, an-che quella di dispari, sebbene il dispari non si identifichi affatto con il tre? [...]. Conci voglio chiarire che non soltanto le idee tra loro contrarie non si ricevono lun lal-tra, ma che anche tutte le cose che, pur non contrarie lun laltra, hanno in loroidee tra loro contrarie, non possono ricevere ciascuna lidea che contraria a quel-la che in loro []. Tu capisci bene, cio, che qualunque cosa sia dominata dallideadel tre, deve necessariamente essere non soltanto tre, ma anche dispari [] e nonpu ricevere lidea contraria a quella che informa il tre []. E non lidea del di-spari quella che informa il tre? E non contraria essa allidea del pari? Dunque a qua-lunque situazione ternaria non giunger mai lidea del pari (Fedone, 103a-104a).

    In questo brano Platone puntualizza quanto segue: le idee sono in reciproca rela-zione, a condizione che non appartengano a sfere logiche tra loro contrarie (comenel caso del pari e del dispari), e ci in virt delprincipio di non contraddizione(so-

    litamente attribuito ad Aristotele), secondo cui due predicati opposti non possonoinerire nello stesso tempo e sotto lo stesso riguardo al medesimo soggetto.

    8.La questione di un corretto metodo di ricerca nelFedro: il metodo dialettico

    Ricordiamo che ilFedroprende le mosse da una questione posta da uno scritto delgrande oratore Lisia: meglio concedere la propria intimit a una persona che ciama, o, piuttosto, a una persona pi distaccata emotivamente? Fedro legge a So-crate il discorso di Lisia, e, dopo vari scambi di opinioni, Socrate riformula quel-lo stesso discorso in maniera pi sistematica dimostrando come non ci si debba

    mai concedere a una persona innamorata; poi, con un altro discorso, dimostra ilcontrario, cio come invece lo si debba fare.Siamo posti di fronte a una situazione logica inedita: dato un concetto gene-

    rale (nel nostro caso la nozione di Eros) seguono due sviluppi logici opposti cheapprodano a due esiti pratici opposti e che ineriscono alla medesima nozione.Non una relazione tra idee riconducibile al procedimento delineato nelFedone(di cui si appena detto), secondo cui dato un concetto generale si doveva pro-cedere sviluppandone le diramazioni meno generali allinterno di una coerenza

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    logica che escludesse gli opposti. Qui, nelFedro, necessario connettere due no-zioni contrarie di pari generalit alla maniera di due possibilit compresenti in

    ununica nozione. necessario cio un procedimento di tipo dialettico.A tale proposito Platone opera una distinzione tra nozioni che includono in se

    stesse elementi concettuali opposti (e sono le nozioni ideali oidee) e nozioni chetutti definiscono in base alle loro caratteristiche percettive su cui tutti concorda-no (nozioni empiriche):

    Socrate: Non chiaro a tutti che su alcune nozioni siamo sempre concordi, men-tre su altre discordiamo?Fedro: Credo di capire quello che dici, ma spiegalo ancorpi chiaramente.S: Se si nomina il termine ferro, o il termine argento, non pensiamo forse tut-ti allo stesso oggetto?F: Certo! S: E se si dicesse invece giusto, oppure buono,non sar forse ciascuno in dissenso con gli altri e talvolta anche con se stesso? F.:

    cos [].S.: Credo perci che in ogni questione non bisogna lasciarsi sfuggirela sua natura, ma capire bene a quale dei due tipi di nozioni appartenga largo-mento di cui volta a volta si parla. Cos includeremo lamore in quelli di cui si pos-sono dire cose contrarie, o negli altri?F: Certo di quelli in cui si possono dire co-se contrarie. Altrimenti come sarebbe stato possibile dire quel che hai detto prima,e cio una volta che dannoso sia per lamato sia per lamante, e unaltra volta ilcontrario di ci, vale a dire che per entrambi il maggiore dei beni? (Fedro, XLVI).

    La giustizia, come leros, appartiene alle nozioni ideali il cui statuto logico diver-so da quello delle nozioni empiriche: tali nozioni ideali sono strutturate da uninternarelazione consistente nella coesistenza in esse di opposte possibilit di interpretazione.Ci non significa che alla giustizia e al Bene possa essere assegnato qualsiasi significa-to, in una sorta di relativismo estremo, ma, piuttosto, che la possibilit di dissenso oggettivamente inerente alla natura propria del giusto in s e del Bene in s. Il pensie-ro dialettico non si limita a disgiungere la realt pensata in una molteplicit di signi-ficati distinti, ma arriva anche a ricongiungere tali significati in ununit complessiva.

    Nella parte finale del dialogo, esposte le ragioni che danno valore alla scrittu-ra e le regole che la rendono unarte, Socrate accenna ai limiti della scrittura ri-spetto alla trasmissione dei princpi supremi della filosofia: con la sua linearit lascrittura non strumento adeguato a esprimere la complessit e il movimento lo-gico intrinseco alle idee che si pu cogliere solo attraverso loralit dialettica.

    Sono temi che ritroviamo anche nel pi corposo dei dialoghi di Platone, laRe-

    pubblica.

    9.Lidea di giustizia nellaRepubblica

    LaRepubblica un vero e proprio trattato sullo Stato, in dieci libri, e largomen-to centrale la natura della giustizia. La matrice etico-politica della filosofia diPlatone trova in questo dialogo la sua espressione pi compiuta.

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    Platone figlio degli sviluppi sociali dellapolis, unesperienza storica unica nelsuo genere: circa due tremila uomini che si riuniscono nella piazza regolati da di-

    spositivi istituzionali e di comportamento, pur divisi da interessi contrastanti,prendono decisioni unitarie vissute come collettive. Un tale contesto politico-so-ciale trasmette in maniera forte, potremmo dire quasi fisica, il molteplicecheproduce luno. Nella sua essenza logica, per e Platone ne consapevole il rap-porto traunitemolteplicitpu essere indagato solo dal pensiero dialettico, luni-co in grado di interpretare la composizione dei conflitti alla luce di una superio-re unit di significato. questa una via che gi aveva percorso laltro grande pro-tagonista della dialettica antica, Eraclito, nel contesto della Ionia greca tra il VI eil V secolo a.C.

    La convergenza tra questi due giganti del pensiero dialettico frutto della for-za intrinseca del pensiero e non dipende da fattori accidentali, perch Platone non

    conosceva la dottrina di Eraclito, ma il cosiddetto eraclitismo ateniese, cio unaversione che ne distorceva la natura dialettica.

    Eraclito, figlio del re di Efeso, eredita dallantica tradizione il senso dellunitdei valori umani: a causa degli sviluppi sociali del suo tempo che vedono laffer-marsi di ceti mercantili portatori di valori e stili di vita opposti a quelli delle ari-stocrazie e che lacerano quellunit, costretto a scendere sul terreno del pensa-re dialetticamente questa unit. Platone, rispetto a Eraclito, pi consapevole delfatto che lunit dialettica del molteplice in fondo lontologia dellessere socialeumano, che non ha nulla a che vedere con la dimensione fisica della Natura e delcosmo. Mentre la dialettica di Eraclito ha una matrice di natura cosmica, comesi evince anche dalla simbologia che utilizza (il fuoco che distrugge, lacqua), la

    dialettica di Platone ha una matrice etico-politica che impone di coniugare luni-t della polis con gli aspetti disgregativi che la polis stessa produce. Ecco perch dialettica della citt-Stato: la sintesi tra lunoe ilmolteplice la sintesi tra gli uo-mini che percorrono le loro strade individuali di vita, e la polis che unisce questestrade in esperienze e decisioni comuni.

    Tornando al libro primo dellaRepubblica, esaurita la cornice letteraria, subi-to introdotto il tema della giustizia allo scopo di individuarne la vera natura. So-crate, fedele al proprio ruolo, mostra la parzialit delle definizioni proposte dai suoiinterlocutori, e pone il problema di individuare a quale livello condurre una ricercacos impegnativa qual appunto quella che intende cogliere lessenza della giusti-zia. Poich la giustizia come comportamento individuale correlata alla realizza-zione della giustizia nella citt, il punto di vista da cui muovere questa la con-clusione del libro primo non pu essere quello dellindividuo, ma quello pigenerale della citt, per poi, eventualmente, tornare a discutere cosa sia la giusti-zia a livello individuale.

    Questo spostamento dellindagine dal livello individuale al quadro unitariodella citt il riflesso di un approccio di tipo dialettico: la dialettica il pensierodella totalit, vale a dire il pensiero che pensa gli aspetti molteplici della realt co-

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    me articolazioni di una unit. La polis manifesta quel piano di unit globale deirapporti sociali che esprimono appunto la totalit dellessere sociale delluomo.

    Oggi il carattere delegato, separato, delle nostre istituzioni, quandanche svol-gessero correttamente il loro ruolo, non consente di maturare in modo significa-tivo lidea di questa forza unificante delmoltepliceche produce luno. Anche senella polis le decisioni dellassemblea si orientano sempre pi verso la realizzazio-ne di interessi particolari, rimane comunque vivo il senso dellunit, per cui il te-ma della giustizia deve essere affrontato nel quadro unitario della citt. il pas-saggio dal primo al secondo libro dellaRepubblica.

    La citt di cui parliamo argomenta Socrate nasce da una dinamica cheprende le mosse dai bisogni degli individui che si sviluppano al punto che ognu-no di loro non pu soddisfarli senza la cooperazione degli altri; ci implica unanalogo sviluppo della cooperazione, della divisione dei compiti e quindi di pi

    categorie di produttori. Lo scambio dei beni esige mercanti e monete che a lorovolta creano nuovi bisogni e pi ampi commerci, tali da determinare conflitti trale citt, e quindi le guerre. Ogni citt, pertanto, comprender una classe di guar-diani addetti alla difesa (i soldati), una classe di guardiani addetti al governo (igovernanti) e una classe di produttori (contadini, artigiani, mercanti, costruttoridi case ecc.).

    Nello Stato i guardiani-soldati hanno il compito di proteggere la comunit,per cui devono essere capaci di durezza verso i nemici e di benevolenza verso i cit-tadini. Le due qualit, di norma incompatibili, possono essere armonizzate conunadeguata educazione.

    Esaurito il tema delleducazione dei guardiani soldati (cui Platone dedica am-

    pio spazio) si pone il problema di stabilire il criterio in base al quale selezionare iguardiani governanti. Socrate esclude categoricamente qualsiasi criterio che facciariferimento alla ricchezza o alla nobilt di nascita: i governanti saranno scelti te-nendo conto esclusivamente delle inclinazioni emerse nel corso del processo edu-cativo, scegliendo solo tra coloro che mostrano attitudine al sapere. In linea diprincipio, aggiunge Socrate con grande scandalo per la mentalit dellepoca, si de-ve ammettere la possibilit che i figli di governanti possano essere assegnati allar-tigianato, e i figli di artigiani, se meritevoli, al governo. Lidea di Stato giusto esi-ge la netta separazione tra ricchezza economica e potere politico: la funzione deigovernanti di operare per il bene comune, quindi il possesso di denaro e pro-priet privata li distoglierebbe dalla loro unica e autentica funzione. Per quantinon svolgano funzioni di governo legittimo disporre di ricchezze, ma lo Stato de-ve porre limiti precisi anche allaccumulazione della ricchezza privata per preser-vare la coesione interna della citt, quindi la sua unit. Leccesso di ricchezza ge-nera avidit, corruzione e povert in tutti quelli che si trovano in una condizionedinferiorit sociale: a sua volta leccesso di povert (che laltra faccia dellecces-so di ricchezza), genera bassezza danimo, cattivo adempimento dei compiti pub-blici, e disordini sociali.

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    Adimanto obietta a Socrate: come potrebbero essere felici degli uomini chetengono in pugno il destino della citt, e che tuttavia non possono acquistare in

    propriet terre, bestiame, case, arredi, e non possono neppure consumare gli ali-menti di maggior pregio? Come gi nelGorgia, il tema della felicit si intreccia conquello della giustizia.

    Non corretto dal punto di vista del metodo risponde Socrate valutare ilgrado di felicit o infelicit del singolo, astraendolo dallorganizzazione sociale incui inserito: in una citt che ha tolto prestigio e potere alla ricchezza privata, eche educa i fanciulli a realizzare le loro migliori inclinazioni, i governanti potreb-bero essere felici anche in una condizione di vita morigerata. C poi un altro er-rore nellobiezione di Adimanto, quello di porsi dal punto di vista di una parte del-la citt (i governanti) e non dal punto di vista della citt intera: la felicit, pensa-ta a livello della citt, deve riguardare la citt nel suo insieme, e non le sue singo-

    le parti.I governanti sono tali (corrispondono cio allidea di governante) se preservano

    lunit della citt: ci sar possibile non consentendo in nessun ambito della vitacollettiva (e individuale) che siano travalicati i limiti che ne determinano lequili-brio e larmonia. Ci vale anche nel caso di una possibile espansione della citt at-traverso lestensione del suo territorio e lacquisizione di nuove ricchezze e nuoveterre: sar giusto fino al punto in cui tale espansione non alteri lequilibrio inter-no della citt, producendo conflitti e rivalit per il possesso dei nuovi beni.

    Come la felicit dellindividuo pu essere pensata coerentemente soltanto seconnessa a quella totalit che appunto la citt di cui lindividuo parte, allo stes-so modo la giustizia circa lespansione della citt deve essere valutata alla luce del-

    lequilibrio generale che deve essere garantito da governanti che corrispondonoalla loro idea.

    Si configura nuovamente il rapporto traunitemolteplicitche pu essere ade-guatamente indagato con un metodo di ricerca che si ponga sul piano della totalit.

    10.La giustizia nello Stato e nellindividuo come armonia della cooperazionetra le parti

    La struttura dello Stato che corrisponde allidea di giustizia in sintesi la seguente.Al vertice dello Stato c la classe deigovernanti, la cui specifica virt lasofia,

    cio la conoscenza razionale della verit del bene e del male, data dalla filosofia.Sotto la direzione dei governanti opera la classe deisoldati, la cui specifica vir-

    t landria, cio, il coraggio (termine che in Platone rimanda a un significa-to pi ampio di quello usuale: indica ardimento, forza interiore, fermezza del ca-rattere, conoscenza di ci che veramente temibile e di ci che non lo ).

    La classe deiproduttorila cui specifica virt lasofrosyne, cio la saggezza in-tesa come accettazione dei limiti posti dalle classi superiori ai cittadini che si oc-

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    cupano soltanto deconomia, la sola classe a essere autorizzata a cercare la ric-chezza privata attraverso la fabbricazione e il commercio dei prodotti.

    Lo Stato pu mantenersiunoa condizione che ciascuna dellepartiche lo co-stituiscono svolga il suo specifico ufficio conseguente alla specifica inclinazione evirt che le caratterizza. La giustizia nella citt ci che la mantiene una: la giu-stizia ci che lega una citt e la fa una, e ci che tiene insieme la citt appun-to che ogni classe adempia al suo ufficio. La giustizia, dunque, data dallarmo-nia della cooperazione tra le parti.

    Una tale concezione della giustizia sottintende una logica di tipo distributi-vo e non egualitario: a ciascuno spetta di ricevere ci che corrisponde al suo sa-pere e al suo coraggio e che corrisponde al ruolo che svolge nellambito della so-ciet a vantaggio del bene comune e anche suo personale. Il vantaggio personale legittimo nella misura in cui integra e rinforza il bene comune. Platone non in-

    tende genericamente la giustizia come eguaglianza, nel senso di livellamento de-gli individui. Leguaglianza da intendersi in altro senso, quello per cui ciascunosia posto nelle condizioni di svolgere la funzione corrispondente al valore dellesue disposizioni: per Platone il figlio dellartigiano pu accedere al governo se mo-stra le disposizioni richieste dal ruolo di governante, cos come il figlio del gover-nante pu essere assegnato allartigianato in base alla disposizione che gli propria.Leguaglianza, poi, da riferire alle condizioni riconosciute a tutti coloro che si col-locano allinterno di un determinato livello di espressione di doti umane, ma cer-tamente legittima una differenziazione nel riconoscimento sociale dellopera diciascuno. Tale differenziazione legittima fino a che non metta a rischio lequili-brio e larmonia sociale. In termini moderni, indipendentemente dal ruolo occu-

    pato nella societ e dal suo valore, la giustizia esige sempre e comunque che le dif-ferenziazioni dei ruoli e del loro valore sociale si esplichi nel quadro delluniver-sale rispetto della dignit umana. Senza tale condizione non pensabile realizza-re la giustizia come armonia della cooperazione. Prendiamo ad esempio uno Sta-to in cui gli individui si trovano a essere privati di risorse economiche al punto danon consentire di esprimere socialmente la loro dignit ontologica di esseri uma-ni: ebbene, un tale Stato nega lidea di giustizia.

    Con procedimento analogico Platone intende dimostrare come stato con-venuto nel secondo libro che tra le parti che costituiscono lo Stato e le partidellanima individuale vi identit: Quello dunque che quivi ci apparso [lagiustizia nella citt], riportiamolo nellindividuo [] un uomo giusto, quantoal concetto della giustizia non differir per nulla da una citt giusta (Repubbli-caIV, XI).

    Socrate osserva come non dovrebbe presentare particolari difficolt riportare al-linterno dellanima individuale la tripartizione delle funzioni proprie della citt:

    Socrate: Eccoci dunque, ammirabile amico [Glaucone] ricaduti in una facile inda-gine: quella di sapere se nellanima umana sono presenti le stesse tre forme di qua-lit.

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    Glaucone: Facile in verit non la direi, perch probabilmente, Socrate, il caso delproverbio: le cose belle son difficili.

    S.: Forse non hai torto. E sappi, caro Glaucone, che a mio avviso col metodo di cuici serviamo ora nei nostri ragionamenti non prenderemo questo [largomento dicui si parla] con precisione; giacch la via che potrebbe condurvi pi lunga e dif-ficile. Nondimeno il nostro metodo non indegno delle discussioni e delle inda-gini fatte sin qui (RepubblicaIV, XI, 435/436).

    Prima ancora che inizi il discorso sulla struttura dellanima individuale, Plato-ne segnala che lindagine fin qui svolta stata condotta con metodo non indegno,quindi con un metodo non del tutto adeguato alloggetto della ricerca. Seguiamoil dialogo in modo da capire a quale metodo alluda Platone e perch lo giudichinon indegno.

    Socrate chiede al suo interlocutore: [] laccennare di s e di no, il desidera-re qualche cosa o il rifiutarla, lattirarla a s o il respingerla da s: tutte queste, sia-no azioni o passioni questo poco importa le porresti tu tra le cose reciproca-mente contrarie? Ma s, rispose: tra le cose reciprocamente contrarie (Repubbli-caIV, XIII 437). Il volere e il ricusare sono opposti, e quindi non possono ineri-re allo stesso soggetto. Lanima brama il bene, ma trattenuta dal ricusare, tutta-via, poich (principio di non contraddizione) non potremo ammettere mai chela stessa cosa, sotto lo stesso riguardo e nello stesso senso, possa ad un tempo pa-tire o fare cose contrarie tra loro, o anche mettersi in contraddizione con se stes-sa, ecco che allora non possiamo concepire lanima come unit indistinta, macostituita da parti funzionalmente distinte: solo cos si pu dar ragione delle ten-denze contrastanti e opposte che ne caratterizzano la vita.

    Le istanze che operano allinterno dellanima individuale sono tre. Lanima ra-zionale, deputata a guidare la mente umana, e quindi le nostre scelte di vita; lani-ma passionale, espressione di passioni nobili quali il coraggio e la generosit; lani-ma concupiscibile, connessa alle tendenze vitali pi istintive e passionali. Lanima

    passionaledi solito sta dalla parte della ragione, ma pu anche allearsi con la par-te pi istintiva e cieca della nostra anima, quellaconcupiscibile. Oppure pu ad-dirittura prendere il sopravvento sullanimarazionale. Come nello Stato, la giu-stizia a livello dellanima consiste nellequilibrio tra le diverse parti (nel caso del-lanima si tratta di istanze psichiche) che pu realizzarsi soltanto entro una preci-sa gerarchia che dia allanima razionale il governo della persona, e le subordini icompiti delle altre due anime.

    Le diverse disposizioni che caratterizzano gli individui (verso il sapere, lono-re, il guadagno, il successo) dipendono dallanima che prevale in essi. NelloStato giusto lindividuo in cui prevalga lelemento razionale deve far parte del-la classe dei governanti, quello in cui prevalga lelemento passionale dei soldati, equello in cui prevalga lelemento concupiscibile, dei produttori.

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    11.La questione del metodo

    Con quale metodo siamo arrivati alle conclusioni di cui si appena detto? Con unmetodo fondato: a) sul principio di non contraddizione; b) sulla scrittura comemezzo di trattazione ed esposizione dellargomento indagato; c) su immagini trat-te dal mondo sensibile.

    Con evidenti allusioni Platone fa capire che questo metodo non del tuttoadeguato alloggetto che stiamo ricercando. Tale giudizio espresso nellambito diuna ricerca che intende inquadrare lanima individuale nellontologia dellesseresociale, quindi che ha per oggetto il rapporto di un aspetto particolare della real-t con il tutto. Si tratta di un problema tipicamente dialettico, che, conseguente-mente, esige che il pensiero proceda con metodo dialettico.

    Diversamente da quello seguito sino ad ora, il metodo dialettico fondato: a)

    sul principio di contraddizione; b) sulloralit, come mezzo di trasmissione deicontenuti indagati; c) su concetti puri, cio privi di qualsiasi riferimento a im-magini sensibili. Questa la via lunga e difficile, che ci dovrebbe condurre al fon-damento scientifico dellidea di giustizia-Bene. Il metodo seguito sino ad ora non indegno perch trasmette s delle verit, ma in forma divulgativa, non ancorascientifica perch contaminate dalla dimensione sensibile.

    Platone conferma nuovamente lo statuto divulgativo della ricerca fin qui con-dotta nel libro sesto (XVI), quando Socrate, dopo aver chiesto a Glaucone se ri-cordava quanto detto a proposito della distinzione dellanima in tre parti (fatta nellibro quarto), cos prosegue:

    E ricordi pure ci che si era detto in precedenza? Che cosa mai? Dicevamo che per conoscerle nel miglior modo possibile cera unaltra via pilunga, e che se avessimo battuta questa, ci sarebbero divenute chiarissime, tuttaviaci sarebbe stato possibile completare in seguito la dimostrazione delle cose esposteprecedentemente. Voi per mi avete assicurato che per quel momento bastava; ecos ne fu fatta allora unesposizione a parer mio priva di rigore; ma se voi ve ne sie-te contentati, dovreste dirmelo voi. A me per lo meno, rispose, parsa sufficiente; e cos, penso anche agli altri. Ma, o amico, un metro di tali cose che lasci fuori una qualche parte della realtnon un metro giusto.

    Glaucone rimane stupito: quale sarebbe la parte della realt lasciata fuori?Ma come? Non sono forse queste le pi alte cognizioni, ma c ancora qualche co-sa al di sopra della giustizia e di quelle virt che abbiamo discorse?Socrate: C, replicai, certo qualche cosa di pi alto ancora, e di queste medesi-me virt non bisogna restringersi a contemplare, come ora s fatto, il bozzetto, maoccorre non tralasciare di vederne il quadro compiuto.

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    E poco dopo chiede Glaucone:

    Ma quanto a quella che tu chiami la pi alta delle discipline e alloggetto che le at-tribuisci credi tu che qualcuno ti lascerebbe sorvolare senza chiederti qual ?Socrate: No davvero, dissi io, [] tu hai spesso udito che il campo della sommascienza lidea del bene, in virt della quale la giustizia e le altre virt diventanovalide e benefiche.

    Socrate cita quelle che allepoca erano le convinzioni comuni circa il Bene iden-tificato dalla maggioranza nel piacere e dai pi colti nellintelligenza e mostra co-me entrambe siano illogiche. Glaucone allora insiste: se il Bene non piacere nintelligenza, cosa ? E se tu, Socrate, lo sai illustralo a tutti. A questo punto So-crate risponde che anche supponendo di sapere in cosa consista il Bene, ma sa-pendolo senza fondamento, sarebbe unopinione come le altre, sarebbe unopi-

    nione senza scienza: ma le opinioni destituite di una base scientifica non fannouna bella figurale migliori tra loro sono cieche [] (XVIII). A questo puntoGlaucone si arrende:

    A noi baster se, come hai ragionato della giustizia, della temperanza e delle altrevirt, cos vorrai ragionare anche del Bene.Socrate: [] miei ottimi amici, che cosa sia il Bene in s lasciamo di indagarlo,che mi sembra pi di quel che il nostro attuale sforzo in grado di raggiungere,perch intendo parlarvi, se a voi piace, di qualcosa che sembra derivato dal Benee ad esso molto simile.

    In modo esplicito Platone esclude in questo dialogo la possibilit di una

    trattazione scritta della scienza dialettica del Bene. Sappiamo dalle fonti che lar-gomento fu esposto nella conferenzaIntorno al Bene, riservata ai soli accademicie che tale insegnamento in forma rigorosamente orale era riservato a una cerchiadi discepoli selezionati.

    12.Lanalogia Sole-Bene

    Nel brano poco sopra citato Socrate afferma che lidea del Bene loggetto dellasomma scienza, senza la quale ogni opinione, nella migliore delle ipotesi, ciecarispetto alla vera realt del Bene. a questo punto che Socrate, incalzato dagli in-

    terlocutori, ricorre allanalogia del Sole-Bene (XIX): [] ci che il Bene nelmondo intellegibile rispetto allintelligenza e agli enti intellegibili, questo il So-le nel mondo visibile, rispetto alla vista e alle cose visibili. Cos come il Sole lacondizione della visibilit dello spazio sensibile che esso illumina, allo stesso mo-do il Bene condizione della visibilit di quello spazio intellegibile proprio del-le idee, la cui autentica realt consiste nella loro intima e molteplice connessioneallidea suprema del Bene stesso. Si tratta di unimmagine suggestiva e di grande

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    fascino letterario, adatta a divulgare il senso e il valore supremo dellidea del Be-ne. Siamo ancora, per, sul piano dellanalogia e non su quello filosofico-scienti-

    fico proprio della verit.Lo statuto dellaveritrazionaleefilosofico. Quando Platone utilizza ilmitoo

    il procedimentoanalogicodel come se ( il caso della struttura tripartita dello Sta-to e dellanima), utilizza consapevolmente forme di comunicazione semplificatadella verit (quindi non filosofiche), che, proprio perch divulgative, ricorronoalle immagini della narrazione fantastica e dellesperienza sensibile. Scopo della fi-losofia dare alla verit visibilitrazionaleelogica, e per questo necessario cheil pensiero proceda con metodo dialettico, con un metodo, cio, che ricerca leconnessioni logiche tra le idee, in modo tale che ciascuna di esse riveli il proprioessere e la propria verit nellinsieme dei suoi rapporti con tutte le altre idee: lanesis, cio la suprema intelligenza comprendente, che ragiona su essenze intelle-

    gibili per via puramente logica, e le riconduce al loro principio primo che lideadel Bene.

    NellaRepubblica, dialogo destinato alla pubblicazione, in prossimit dei livel-li pi alti del metodo e del pensiero filosofico, Platone fa dire a Socrate che si trat-ta di questioni da affrontare in altra sede.

    Questa sede sar ilParmenide, dialogo cui Platone affida il nucleo teorico del-le dottrine in precedenza sottratte alla comunicazione scritta.

    13.La natura logica del Bene-Giustizia nelParmenide

    Il tema della giustizia nel percorso fin qui seguito, nella sua sostanza logica si ca-ratterizza come un problema che chiama in causa il rapporto traunitemoltepli-cit: come abbiamo visto nei dialoghi esaminati, tale rapporto si colora di im-magini e riferimenti sensibili.

    NelProtagorala coesione della comunit umana, quindi la sua unit, possi-bile a condizione che i singoli individui, cio la molteplicit di cui costituita lacomunit, agiscano conrispettoegiustizia. NelGorgiala giustizia si declina attra-verso le nozioni pitagoriche diarmonia,limiteemisura: i singoli individui avver-tono di stare bene quanto pi riescono a far convivere in armonica unitariet tut-te le molteplici tendenze del loro animo, e quando agiscono con senso del limiteverso gli altri (giustizia) e verso se stessi (saggezza). NellaRepubblicail Bene-giu-stizia costituisce la finalit suprema verso cui convergono unitariamente tutti gliaspetti dellesistenza sociale umana.

    Platone ha mostrato come a ogni livello della realt umana il Bene consista nelraccogliersi della molteplicit dei suoi aspetti in una loro intrinseca unit finale.Ci vale per le relazioni umane che realizzano tanto pi bene quanto pi creanounit di intenti e di sentimenti tra coloro che vi sono coinvolti; vale per la comu-nit sociale che realizza tanto pi bene quanto pi rinforza la sua unit interna (il

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    male discordia e divisione); vale per i singoli individui che avvertono di starebene quanto pi riescono a far convivere in armonica unitariet le molteplici

    tendenze del loro animo.Dal punto di vista del pensiero dialettico qual il limite di queste argomenta-

    zioni? Il fatto che sono ancora il riflesso della realt empirica, sono cio manife-stazioni visibili di unidea di Bene-giustizia di cui non ancora identificata la suapura natura logica. In altre parole, le tesi sino ad ora sostenute, non sono lesitoscientifico di una deduzione logico-dialettica che operi esclusivamente a livello diconcetti puri. Questo fondamento scientifico cui Platone tante volte allude neisuoi dialoghi e che costituisce il nucleo centrale delle cosiddette dottrine nonscritte oggetto di sola trasmissione orale, affidato per la prima volta alla tratta-zione scritta nelParmenide.

    Non questa la sede per esaminare in dettaglio le ragioni che hanno spinto Pla-

    tone ad affidare alla scrittura la trasmissione di verit dialettiche. Tra queste, pro-babilmente, le critiche mosse allinterno dellAccademia allateoria delle idee, e leoggettive incongruenze logiche dellametessi(teoria della partecipazione) e dellami-mesis(teoria della somiglianza), cio delle due precedenti teorie con cui PlatonenelFedonee nellaRepubblicaaveva pensato il rapporto tra la molteplicit dellecose e lunit dellidea. Certo che nelParmenideil problema del rapporto tra lapura nozione logica diunitemolteplicit affrontato a livello di massima astra-zione concettuale, senza riferimento ad alcun ente concreto.

    Platone considera lo sviluppo del pensiero dialettico impedito dal carattere an-cora troppo empirico di concepire le idee. Bench sul piano logico la teoria dellasomiglianza (mimesis) sia un passo avanti rispetto alla teoria della partecipazione(metessi), tuttavia mantiene ancora un rapporto troppo speculare tra idee e cose.In tale teoria la configurazione empirica delle cose finisce per determinare il mon-do ideale: ci sono dieci copie somiglianti tra loro, supponiamo un modello perquelle dieci copie. Il modello determinato da quel particolare assetto empiricoche lo richiama per via di somiglianza. Questo tipo di rapporto crea una rigiditdelle idee, troppo speculari allassetto empirico, quindi tali da non consentire dicoglierne le connessioni dialettiche. Questo, per Platone, un problema connes-so anche alla trascendenza delle idee: quanto pi le idee sono contaminate sensi-bilmente, tanto pi appaiono trascendenti perch praticamente finiscono per rap-presentare il raddoppiamento su un altro piano del mondo empirico. Se le idee so-no lossatura logica della realt (questo laspetto immanentistico verso cui siorienta Platone), allora logicamente possono concepirsi come immanenti alla re-alt stessa, nel senso che le idee rappresentano il versante logico della realt, men-tre le cose ne rappresentano il versante empirico: logicit ed empiricit non van-no concepite come dimensioni eterogenee, ma come due versanti logicamente im-manenti di ununica realt.

    Per rielaborare lateoria delle ideein questa nuova prospettiva Platone deve: a)eliminare la trascendenza delle idee; b) eliminare una concezione troppo fisicistica

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    delle idee (problema connesso al punto precedente); c) recuperare la pura logicitimmanente al mondo reale. Queste sono le condizioni logiche che consentirebbe-

    ro di portare fino in fondo la dialettica, quindi di connettere le idee al Bene.

    Il dialogo ambientato in una casa privata di Atene, dove si incontrano gli intel-lettuali della citt e il vecchio Parmenide, qui giunto in compagnia del fedele di-scepolo Zenone. Questi legge un suo scritto confutatorio, e Socrate, che tra gliuditori, interviene polemicamente. Nel frattempo Parmenide entra nella stanza,ascolta lintervento di Socrate, e lo confuta a sua volta, con argomentazioni chemettono in discussione lateoria delle idee, quindi larchitrave del pensiero plato-nico. La confutazione dimostra lincongruenza logica del rapporto idea-cosa pen-sato secondo la teoria della partecipazione e della somiglianza.

    Scoraggiato dalle obiezioni di Parmenide, Socrate vorrebbe addirittura abban-

    donare lateoria delle idee. Parmenide dice che non si tratta di abbandonare la teo-ria delle idee, ma una certa versione, quella che pone le idee come raddoppia-mento delle cose. Un nuovo modo di concepire le idee, connettendole luna conlaltra possibile solo attraverso lascienza della connessione intrinseca tra le idee, ladialettica, per la quale unidea, cio un modello puramente logico, contiene nel suoschema logico la configurazione di unaltra idea, anche opposta ad essa. Non sitratta di dar seguito a una sterile ginnastica mentale: la dialettica elaborata da Pla-tone (ma anche da Eraclito e in et moderna da Hegel) dialettica ontologica, va-le a dire ritiene di esprimere con le sue connessioni concettuali lordine e il sensoultimi dellessere stesso del mondo umano.

    Platone conosce la filosofia di Parmenide in tarda et, e ne coglie laffinit con

    il suo pensiero. Lideaplatonica la verit comeesseredella realt, come stabilite permanenza del suo significato logico e del suo valore, e corrisponde al modo concui Parmenide ha concettualizzato lessere.

    Poich lunitappartiene allesseree lamolteplicitallappariredellesperienza,la dialettica delle idee chiamata ad affrontare la decisiva questione della relazio-ne logica tra lidea diunit(da assimilare al piano etico-ontologico) e lidea dimolteplicit, allo scopo di cogliere la natura logica dellidea del Bene-giustizia.

    14.Lanalisi dialettica della relazione logica tra lidea diunite lidea dimol-teplicit

    Nel corso del dialogo sono sviluppati otto percorsi di ragionamento dialettico (quiseguiremo in estrema sintesi solo quello funzionale al nostro scopo) che muovo-no da tre ipotesi diverse inerenti alla nozione diunit: 1)se soltanto lUno ha esse-re; 2)se lUno ; 3)se lUno non .

    Nella prima ipotesi lassimilazione dellessereallunitsi pu intendere in sen-so parmenideo, e cio se solo lUno , ne segue che non si pu concepire unes-

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    sereche non siaunit, e pertanto lamolteplicitnon haessere. Si pu anche inten-dere, per, lassimilazioneUno-Esserein modo tale da non escludere lessereanche

    di ci che non unit, cio dellamolteplicit.Platone dimostra come nel primo caso (la concezione parmenidea per cui les-

    sereappartiene solo allUno) lo sviluppo dialettico conduca a un esito assurdo e cioallimpensabilit e irrealt logica dellUnostesso. Da questo esito logico ne conse-gue dialetticamente che dobbiamo intendere lassimilazione Uno-Esserenel se-condo modo, cos da includere in esso anche lamolteplicit.

    Ma com possibile coniugare logicamenteunitemolteplicit? Lunica possi-bilit di intendere lUnocome untuttodi parti. Untuttointeso non come som-ma delle parti, bens come loro fine, comelogospresupposto. In termini modernisi potrebbe definire iltuttocomesistema di reciproca inerenza delle parti, la logicacui esse tendono per mantenere appunto quellunitche iltutto. In formula il

    tutto come logica delle parti.Ma se lUno iltutto delle parti(sia pure nellaccezione di cui si appena det-

    to) includiamo neltuttoil concetto diparte; e se includiamo il concetto diparte,questo implica la possibilit di pensare lapartecomeparte, non in obbedienza al-la logica deltutto, perch neltuttoc il concetto dellaparte. Iltutto la suauni-tma questaunitpu essere disattesa, pensando in qualche maniera laparteco-meparte. Se pensiamo lapartecomepartea s stante, la pensiamo tuttavia comeUno, perch lUno il criterio di pensabilit: senza il concetto di unit, non po-trei pensare nulla. Quindi, anche per pensare lapartecomeparteseparata dal-lUno-Tutto, siamo logicamente costretti a pensarla come untuttonella sua sepa-razione daltutto. Le conseguenze di questa dinamica logico-dialettica sono chelabbandono della logica dellunit, fa s che questo processo si riproduca allinfi-nito. Se rompiamo lunit logica deltuttocreando anche una sola contrapposi-zione (ladiade, come la chiama Platone), al di fuori della logica del tutto, ciascu-na delle due parti che si contrappongono, per pensarla come parte isolata, la dob-biamo pensare comeuna. Per, poich labbiamo isolata, ununit irrigidita,adialettica, non pi connessa alla logica deltuttoche unifica le parti, e ci creauna divisibilit allinfinito, perch questa parte separata dalle altre parti la pensia-mo come untuttoa sua volta divisibile in parti. Qui c la potenza del negativo:se rompiamo la logica dellunit, sinnesca la violenza che si manifesta come par-cellizzazione del reale. la logica della disgregazione, colta da Platone al suo pialto livello di purezza dialettica.

    Proviamo a riconoscere una delle tante manifestazioni sensibili di questa di-namica logica operante nel mondo umano e si prenda ad esempio il razzismo oqualsiasi teoria che classifica il genere umano in razze, affermando la superiori-t di una determinata razza sulle altre. Il genere umano lunit come fine im-manente che tiene insieme le molteplici caratteristiche, culturali, antropologiche,storiche che caratterizzano, appunto il genere umano. Se una parte si separa daltutto e si pensa come parte (razza) che ha disatteso la sua connessione con il tut-

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    to (genere umano) di cui parte, perch ad esempio rivendica la sua superioritin una presunta gerarchia dei popoli, ebbene, da un punto di vista logico si con-

    ferma che la separazione implica paradossalmente luso dellunit (la razza si pen-sa comeuna), ma lunit piegata a essere unit della parte, anzichlogica del tut-to, diventa, come unit adialettica, violenza: se cio pensiamo la parte come uni-t, le altre sononon-uno, non essere, per cui si sviluppa la logica della violenza equindi dellingiustizia.

    La parte che si contrappone alle altre parti, proponendo un criterio di vita nongeneralizzabile a tutti gli esseri umani, negazione dellUno, quindi male, quindiingiustizia.

    Questo doppio esito opposto nella direzione della coesione o della disgrega-zione una potenzialit immanente alla logica dellUno: il fatto che lUnopossaessere la parte distruttiva delle altre parti e autosmembrantesi in parti, sta appun-

    to nel fatto che lUno tutto di parti, quindi potenzialit sempre presente nel-lUno. LUnocontiene in s, comeUno, il principio della propria scissione.

    Non siamo di fronte a una sorta di manicheismo filosofico con il dio del benee il dio del male che si fronteggiano escludendosi vicendevolmente, ma a una pos-sibilit dialettica inclusa nellUno stesso.

    Questa la ragione profonda per cui la realt ha un duplice aspetto, il valoree il disvalore, lesseree ilnulla. La dimensioneUno-Bene-Giustizianon va pensa-ta come trascendente la realt storico-sociale delluomo, ma come suo immanen-te principio regolativo.

    Abbiamo iniziato la nostra indagine sulla giustizia in Platone muovendo dallaconsiderazione che lidea di giustizia e lidea di Bene nella sua concezione sono in-

    separabili, poich la giustizia il configurarsi delle cose in un ordine globale taleda rispecchiare il Bene. Ci che nei precedenti dialoghi stato rappresentato in for-ma mitica, divulgativa e analogica, sottintendeva il fondamento logico-ontologi-co-assiologico esplicitato da Platone nelParmenide.

    15.Per sopravvivere, il mondo oggi condannato a reiventare la giustizia(Serge Latouche)

    Platone muore nel 347 a.C. Domanda: volgendo lo sguardo al nostro presentestorico la sua riflessione sulla giustizia-Bene pu essere ancora illuminante per co-gliere il nocciolo duro della crisi che il mondo intero sta attraversando? Pu dar-ci strumenti di comprensione della realt utili a tracciare una via che ci porti fuo-ri da una crisi a tutti gli effetti epocali?

    Propongo un sintetico percorso di riflessione prendendo le mosse da alcuneconsiderazioni di studiosi che da prospettive diverse individuano nelle loro operei nodi problematici che affliggono la citt globale e lindividuo che in tale cittdeve vivere: Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche allUni-

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    versit Paris-Sud, e teorico della cosiddetta decrescita; Richard Wilkinson e Ka-te Pickett, professori universitari inglesi, il primo studioso di storia economica e

    specializzato in epidemiologia, la seconda studiosa di antropologia e scienze nu-trizionali; Piero Bevilacqua, ordinario di storia contemporanea alluniversit diRoma, autore di opere e saggi che con rigore scientifico e grande chiarezza con-sentono al lettore di aggiornarsi sulle dinamiche economiche, storiche e culturaliche hanno portato allesaurimento di quella fase storica del capitalismo che losviluppo.

    Scrive Serge Latouche (i passi che seguono sono tratti daLimite, Torino, Bol-lati Boringhieri, 2012):

    La condizione umana inscritta dentro limiti. Alcuni riguardano la nostra situazionenel mondo, altri sono inerenti alla nostra natura. Siamo prigionieri di un piccolopianeta la cui situazione eccezionale nel cosmo ha permesso la nostra comparsa [].La nostra sopravvivenza presuppone dunque un buon funzionamento delle nostreorganizzazioni sociali in armonia con il nostro ambiente: in altri termini la sotto-missione a norme che ci impediscono di cadere nella dismisura e nellillimitatezza.[] la negazione dei limiti e lo spregio della misura oggi fanno s che limiti e mi-sura risorgano nella forma di catastrofi. Cambiamento climatico, contaminazionenucleare, nuove pandemie, fine del petrolio a buon mercato, esaurimento delle ri-sorse rinnovabili e non rinnovabili, effetti deleteri dei prodotti chimici di sintesi,controproduttivit dei nostri sistemi tecnologici, crisi sociali e fallimento brucian-te della promessa di felicit, minacce integraliste e terroriste, rivolte identitarie. Sia-mo entrati nellera dei limiti, non c nessun dubbio. Chiaramente, tutte le formedi dismisura si intrecciano, si compongono e si rafforzano reciprocamente.

    [] La dinamica del mercato, il trionfo del mercato onnipresente o dellonni-mercificazione del mondo generano quella che oggi viene chiamata globalizza-zione [].Allinterno delle due grandi tendenze evolutive, opposte ma non contrad-dittorie, che sono lunificazione planetaria e la frammentazione allinfinito delle enti-t sociali, leconomico intimamente legato al politico e al sociale e al culturale[].La guerra di tutti contro tutti, che viene chiamata mondializzazione o globalizza-zione, ma che piuttosto lo stadio supremo dellonnimercificazione del mondo, di-strugge le solidariet fondanti del legame sociale a tutti i livelli. Questo fermentodistruttore in realt era gi al centro della corruzione europea, con la concorrenzatra gli Stati promossa al rango di dogma []. In realt non esiste nessun proget-to politico che punti a mantenere il legame sociale.Limperialismo delleconomia abolisce le frontiere tra morale, politica ed economia.

    Il potere praticamente totalitario del consumismo convive perfettamente con il ca-os politico, sotto locchio delle telecamere di videosorveglianza [].La globalizzazione non porta alla fertilizzazione incrociata delle diverse societ. limposizione ad altri di una cultura particolare. Quella dellOccidente una culturamolto particolare: pretende di essere universale, e contemporaneamente nega i diritti,e di fatto la ragion dessere delle altre culture.[] Limpatto dellazione umana oggi ha raggiunto un livello tale da perturbare emodificare il funzionamento dellecosistema terrestre []. Gi oggi il pianeta non

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    basta pi, e ce ne vorrebbero da 3 a 6 per generalizzare il modo di vita occidenta-le: se facciamo qualche calcolo questo significa che avremmo bisogno di dodici

    pianeti se vogliamo una situazione sostenibile a lungo termine, e pi di 30 al-lorizzonte del 2050, se si continua con un tasso di crescita del 2 per cento e te-nendo conto dellaumento prevedibile della popolazione![] Sposando la ragione geometrica che presiede alla crescita economica, luomooccidentale ha rinunciato a qualsiasi misura []. mai possibile credere vera-mente che una crescita infinita sia realizzabile in un mondo infinito? []. Lautogenerazione del capitale il cuore della logica di accumulazione illimitata della no-stra societ.[] Il punto di ancoraggio antropologico della societ della crescita dunque las-suefazione dei suoi membri al consumo, come avviene per la droga. Senza questaassuefazione, la pulsione accumulatrice dei capitalisti disporrebbe di uno spaziomolto limitato. Il fenomeno consumistico si spiega con la colonizzazione dellim-

    maginario delle masse [] pietra angolare del consumismo, la pubblicit ci fa de-siderare quello che non abbiamo e disprezzare quello che abbiamo [] la pubbli-cit rappresenta il secondo bilancio mondiale dopo gli armamenti [] pi di 500miliardi di dollari allanno []. Liperconsumo dellindividuo contemporaneo sfo-cia in una felicit ferita [] mai lindividuo ha raggiunto un tale livello di degra-dazione.Uno degli strumenti dellemancipazione [il riferimento al progetto dei Lumi] erail controllo razionale della natura attraverso leconomia e la tecnica: in questo mo-do, a sua insaputa, la societ moderna diventata la societ pi eteronoma dellastoria, soggetta alla dittatura dei mercati finanziari e alla mano invisibile delleco-nomia, nonch alle leggi della tecnoscienza. La mano invisibile non altro che lil-limitatezza economica fondata sullemancipazione delleconomia dalla morale [].

    Il crollo che si annuncia la punizione che la realt riserva a questa perdita di li-mite. tempo di riportare leconomia allinterno delletica. Sperando che non siatroppo tardi.

    Infine, nella parte conclusiva del saggio (p. 99):

    Listruzione, la cultura, la sanit e anche le prigioni devono essere gestite come del-le imprese. Dunque privatizzare il pi possibile, direttamente o indirettamente[]. Lumanit oggi si trova in una situazione tragica [] gli uomini trovano la-voro soltanto accettando di diventare ingranaggi della Megamacchina dunque dipartecipare alla dismisura. Ma per sopravvivere, il mondo oggi anche condannatoa reinventare la giustizia []. Di qui limportanza di mettere al centro della citt

    la statua della Giustizia, come avveniva in passato, anzich la Borsa o le banche. Ilcontrasto tra la vecchia Francoforte, dove quella statua troneggia davanti ai resti delPalazzo imperiale, e la nuova, dominata dalle torri gemelle della Commerz Banke della Banca Centrale Europea, impressionante.

    Dobbiamo dunque reinventarci la giustizia. E allora proviamo a rileggere lequestioni indicate da Latouche con lalfabeto logico elaborato da Platone per de-finire lidea di giustizia. Limitiamoci in questa sede a riflettere su quello che, a

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  • 7/24/2019 Studi di Storia della Filosofia (a cura di Domenico Felice)

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    mio giudizio, il nocciolo duro della crisi del nostro tempo, attingendo alla le-zione platonica.

    Latouche indica le due grandi tendenze evolutive opposte ma non contrad-dittorie dellattuale quadro stori