STRUTTURE ORGANIZZATIVE E ASSETTI DI GOVERNANCE … · struttura organizzativa di un'organizzazione...

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Dipartimento di Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia Anna CODINI STRUTTURE ORGANIZZATIVE E ASSETTI DI GOVERNANCE DEL NON PROFIT Paper numero 25 Ottobre 2003

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Dipartimento diEconomia Aziendale

Università degli Studi di Brescia

Anna CODINI

STRUTTURE ORGANIZZATIVE E ASSETTI DIGOVERNANCE DEL NON PROFIT

Paper numero 25

Ottobre 2003

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STRUTTURE ORGANIZZATIVE E ASSETTI DI

GOVERNANCE DEL NON PROFIT

di Anna CODINI Dottoranda in

“Economia delle istituzioni e dei sistemi aziendali”

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Indice

1.1. Introduzione ............................................................................................ 1

1.2. Le particolarità organizzative del non profit.......................................... 2

1.3. La struttura organizzativa degli organi di governo .............................. 12

1.3.1. Leadership strategica affidata al consiglio di amministrazione ..... 13

1.3.2. Leadership strategica affidata al segretario generale ..................... 19

1.4. Le particolarità di governance del non profit........................................ 24

1.4.1. Le caratteristiche di governance di fondazioni, associazioni e cooperative sociali ............................................................................. 27

1.4.2. Caratteristiche di governance e performance aziendali ................. 38

Bibliografia .................................................................................................. 40

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Strutture organizzative e assetti di governance del non profit

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1.1. Introduzione

Lo sviluppo che negli ultimi vent'anni ha interessato il settore non profit

nel nostro paese è un fenomeno estremamente complesso e in costante evoluzione, che sta provocando una serie di conseguenze di rilevo sia a livello economico che a livello sociale.

La letteratura economica internazionale, a tal proposito, pare ormai concordare sul fatto che la crescente diffusione delle organizzazioni non profit sia da imputare essenzialmente alla nascita di bisogni sociali, che non riescono a trovare adeguata risposta né da parte della Pubblica Amministrazione, né da parte delle imprese private (Antoldi, 2002, p. XI). Weisbrod (1975), infatti, ritiene che, di fronte a questi bisogni, lo Stato sia portato a fallire, essendo l'intervento pubblico vincolato all'obiettivo di soddisfare una domanda sociale mediana, contrariamente a quanto fanno le onp quando forniscono servizi rivolti a segmenti di mercato espressione di domande particolarmente differenziate e specifiche. D'altro canto, il ricorso a imprese for profit per soddisfare questo tipo di domanda pone evidenti problemi di conflittualità fra la necessità prioritaria di rispondere efficacemente a bisogni di natura sociale e l'interesse personale dell'imprenditore privato, tendente a sfruttare a proprio favore l'asimmetria informativa esistente fra consumatore e impresa (Hansmann, 1987).

E' pertanto evidente che uno sviluppo tanto importante del settore non profit non può prescindere dalla predisposizione di adeguate tecniche e competenze organizzative e gestionali delle organizzazioni che ne fanno parte.

A tal fine, la letteratura italiana ha suggerito di estendere alle onp esperienze, tecniche e strumenti impiegati per le organizzazioni aziendali, tenuto opportunamente conto delle peculiarità che contraddistinguono le prime dalle seconde. E' dunque evidente che, anche per ciò che concerne i modelli organizzativi e le caratteristiche di governance1, gli Autori che se ne sono occupati, hanno, per ora, affrontato il tema cercando di mettere in risalto soprattutto le particolarità che contraddistinguono i meccanismi di governo delle onp rispetto ai tradizionali modelli aziendali.

1 Per corporate governance si è deciso di adottare la definizione in uso nell'ambito

dell'economia aziendale, ossia di complesso di scelte inerenti la composizione e il funzionamento degli organi di indirizzo e di controllo delle organizzazioni economiche.

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Va comunque segnalato che se aspetti tipici della gestione aziendale (strutture organizzative, gestione finanziaria, contabilità e bilancio, marketing e comunicazione) sono stati più volte affrontati dagli Autori italiani, il tema della corporate governance risulta ancora piuttosto recente e, per ora, focalizzato su alcuni ambiti specifici del non profit2.

Va inoltre ricordato che il tema degli organi di governo delle onp, essendo fortemente intrecciato con la questione giuridico normativa, risente, forse più di altri aspetti della gestione aziendale, delle carenze legislative al riguardo, che attualmente contraddistinguono il settore non profit italiano3.

1.2. Le particolarità organizzative del non profit

Per comprendere meglio le problematiche specifiche inerenti la struttura organizzativa e degli organi di governo, è opportuno illustrare sinteticamente quali sono gli elementi e le funzioni base della complessiva struttura organizzativa di un'organizzazione non profit.

In generale, la struttura organizzativa definisce la configurazione unitaria e coordinata degli organi aziendali e degli insiemi di compiti e responsabilità loro assegnati. Insieme ai sistemi operativi, che sono i meccanismi che fanno funzionare e governare i processi aziendali, essa rappresenta l'elemento costitutivo dell'assetto organizzativo di ogni tipo di azienda (Airoldi, Brunetti, Coda, 1994; Mintzberg, 1985; Gerloff, 1989; Perrone, 1990).

Attraverso un'opportuna opera di progettazione organizzativa, le principali funzioni in cui si articola l'attività aziendale delle organizzazioni non profit possono essere affidate a più organi, che vengono così a ricoprire ruoli distinti, ma assolutamente complementari.

Nel dettaglio, nelle organizzazioni non profit si possono distinguere sette funzioni generali, ciascuna affidata a organi diversi, variamente configurati e denominati. Esse sono: il governo, il sindacato di governo, la direzione, la progettazione degli assetti aziendali, lo sviluppo, il servizio e la gestione caratteristica. Di seguito, le varie funzioni verranno analizzate nel dettaglio.

2 Molti Autori italiani si sono infatti concentrati sull'analisi dei modelli di corporate

governance delle fondazioni. Si vedano, in merito Barbetta, Bellavite Pellegrini (2000), Bellavite Pellegrini, Calderini (2000), Propersi, Grumo (2002).

3 Di fronte all'assenza di una vera e propria normativa in merito alle onp, molti Autori hanno affrontato il tema descrivendo, da un lato, le attuali caratteristiche di governance delle onp e, dall'altro, suggerendo alcune possibili soluzioni al riguardo (mettendo in rilievo la necessità di disporre prima possibile di una normativa adeguata e completa). Si vedano, in proposito, Propersi (1999) e Propersi, Grumo (2000).

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La funzione di governo è definita come l'insieme delle attività di decisione e controllo che permettono l'orientamento e la guida dei processi evolutivi del sistema organizzativo all'interno del generale sistema ambientale. Essa è prerogativa dell'organo formale di governo, che nelle organizzazioni non profit è il consiglio direttivo (o consiglio di amministrazione), l'organo di vertice nominato dai membri dell'organizzazione. tuttavia, parte delle attività costitutive di tale funzione possono essere delegate dal consiglio a organi monocratici o collegiali, più ristretti, identificati al proprio interno (per esempio a un comitato direttivo, oppure a un presidente o a uno o più amministratori delegati) oppure possono essere affidate a un organo di alta direzione, gerarchicamente subordinato al consiglio, che viene ad essere così responsabile in relativa autonomia della definizione ed esecuzione delle strategie (segretario o direttore generale). Anche in questo caso, tuttavia, le strategie devono essere determinate congiuntamente con l'organo di governo e spetta comunque a quest'ultimo approvarle formalmente.

La gestione caratteristica operativa identifica l'insieme delle attività che rappresentano il cuore, la produzione centrale dell'organizzazione non profit. Queste, a loro volta, possono distinguersi in attività di base, volte alla soddisfazione diretta dell'utente/cliente cui si rivolge l'azione dell'organizzazione non profit, attività accessorie, relative a servizi che arricchiscono ulteriormente l'offerta base rivolta a tali utenti/clienti; eventuali attività di diversificazione correlata messe in atto dall'organizzazione non profit come nuove forme di intervento affini a quelle di base, intraprese perché permettono di valorizzare le risorse e le competenze chiave detenute dall'organizzazione (Molteni, 1997). Nello specifico, tali attività variano da azienda ad azienda, secondo l'ambito di intervento e i processi produttivi tipici dell'organizzazione non profit.

La funzione di direzione riguarda l'esercizio del potere di indirizzo e coordinamento delle attività operative dell'organizzazione non profit ed è tipica delle posizioni organizzative che prevedono responsabilità di comando rispetto al lavoro svolto da unità operative. Una struttura organizzativa può prevedere più posizioni direttive, gerarchicamente differenziate, secondo i diversi livelli in cui è articolata l'organizzazione non profit. Il livello direttivo massimo delle onp coincide con la posizione del direttore generale (nelle onp denominato più frequentemente segretario generale o direttore esecutivo) che rappresenta l'interlocutore principale dell'organo di governo e, in alcuni casi, può essere investito da quest'ultimo di parte dei poteri di governo. Inoltre, a seconda della complessità e dell'articolazione dell'onp, al segretario generale possono eventualmente riportare altri direttori a loro volta responsabili o di una singola funzione

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aziendale oppure di specifiche aree d'attività o, infine, di determinate aree geografiche in cui l'onp opera.

La funzione di progettazione degli assetti aziendali riguarda le attività che concorrono a definire le modalità di funzionamento dell'onp. Essa identifica le mansioni delle unità organizzative cosiddette "di staff", cioè a supporto della direzione. Si tratta di quelle unità a cui sono affidate la progettazione della struttura organizzativa e delle procedure di lavoro, dei sistemi di gestione del personale, di programmazione e controllo, dei sistemi informativi. Si noti che tali organi hanno un mero compito di progettazione di tali sistemi, mentre la gestione diretta di questi spetta a unità appartenenti ad altra funzione (la funzione di servizio).

La funzione di sviluppo raccoglie le attività di studio e di ricerca destinate ad ampliare l'ambito di operatività dell'onp. nei vari enti, quando è formalizzata, tale funzione può essere svolta dalle unità organizzative denominate ufficio studi o anche gruppo progettuale o gruppo di innovazione, ovvero da comitati permanenti o temporanei cui è delegata l'analisi dei progetti, oppure da unità di staff responsabili delle attività di ricerca e sviluppo sul territorio.

La funzione di servizio riguarda quelle onp, in genere di maggiori dimensioni, che scelgono di produrre al loro interno i servizi generali di cui abbisogna un'organizzazione complessa. Tale funzione, infatti, identifica le attività proprie delle unità interne che svolgono attività operative, ma non appartenenti alla gestione caratteristica aziendale4. Del tutto assente in molte piccole non profit, la produzione di tali servizi può rivestire, invece, un ruolo rilevante nelle onp che offrono servizi complessi, che gestiscono ingenti risorse o che abbisognano di strutture tecniche importanti per svolgere la loro missione.

La funzione di sindacato (controllo) delle attività di governo consiste nell'attività di analisi e valutazione dell'operato dell'organo di governo, al fine di verificare il rispetto delle norme che tutelano gli interessi degli stakeholder interni ed esterni dell'onp. per gli aspetti puramente economici, tale compito viene svolto di norma dal collegio dei sindaci o dei revisori. in alcuni casi, tale collegio può essere affiancato da un secondo organo con competenze non economiche. talune onp con attività economiche importanti, al pari delle grandi imprese, ricorrono anche a forme esterne di controllo, attraverso la certificazione del bilancio da parte di società indipendenti di revisione contabile.

4 E' il caso, per esempio, delle unità che producono i servizi amministrativi e

informativi, di gestione e amministrazione del personale, di mensa e custodia, di amministrazione e manutenzione del patrimonio immobiliare.

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Strutture organizzative e assetti di governance del non profit

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Non è affatto necessario che in un'onp debbano esistere specifici organi preposti al presidio di tutte sette le funzioni generali. E' evidente che, fatta eccezione per le attività di gestione caratteristica e quelle inerenti il governo, che insieme rappresentano il cuore dell'organizzazione, pur essendo importanti, non tutte le funzioni sono presenti in forma continua ed istituzionalizzata nelle onp. Costituire organi specialistici dedicati, cui affidare tali funzioni, rappresenta un impegno notevole e non sempre tale investimento trova giustificazione nei fabbisogno organizzativi immediati di un'onp.

Per questo motivo, usualmente, onp con esigenze di gestioni elementari danno vita a strutture organizzative con un numero ridotto di organi, mentre onp più grandi e complesse ricorrono a strutture più articolate, in cui tutte le funzioni vengono attivate e affidate a organi competenti.

Le figure 1.1., 1.2. e 1.3. illustrano schematicamente tre configurazioni di base che la struttura organizzativa può presentare nelle onp, mostrando la diversa articolazione degli organi e l'attribuzione a questi delle funzioni attive.

Struttura organizzativa elementare. Nelle onp più piccole, o che svolgono un'attività poco complessa le funzioni aziendali presenti all'interno dell'organizzazione sono essenzialmente quella costituita dalle attività della gestione caratteristica e quella di governo, mentre tutti gli altri servizi necessari allo svolgimento della vita aziendale vengono affidati a consulenti e professionisti esterni. Tale scelta si giustifica col fatto che o l'onp non è in grado di produrli al proprio interno o comunque non risulta conveniente farlo. In simili casi, la struttura dell'onp di solito vede la presenza di un organo di governo che svolge anche la funzione di direzione, in quanto a esso fanno capo direttamente tutte le attività operative. Gli competono anche le attività di progettazione degli assetti e di sviluppo dell'onp, poiché la realtà aziendale non giustifica l'esistenza nell'organizzazione di organi specificatamente dedicati a queste funzioni. Spetta all'organo di governo anche gestire direttamente tutte le eccezioni, cioè decidere in merito ai casi che non sono riconducibili alle normali routine. Tale tipo di struttura è illustrato nella figura 1.1..

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Figura 1.1. Struttura organizzativa di un'onp elementare

Fonte: Airoldi, Brunetti, Coda, 1994 Struttura organizzativa evoluta. Realtà più articolate richiedono strutture

organizzative maggiormente sofisticate. A causa del crescere della complessità gestionale dell'onp e davanti all'emergere dell'impossibilità per l'organo di governo di controllare direttamente tutte le attività operative, può infatti risultare chiaro il bisogno di inserire nella struttura una posizione dirigenziale, intermedia fra l'organo di governo e i responsabili delle singole attività della gestione caratteristica. In questo caso è necessario attivare un processo di delega, che porta a ridefinire ruoli e responsabilità in capo all'organo di governo e alla nuova figura dirigenziale. In particolare, si dovrà definire a chi spetta la responsabilità della progettazione degli assetti e dello sviluppo, poiché su queste attività si potrebbero riscontrare aree di sovrapposizione tra i due organi. In questo caso, esiste il rischio concreto che una scarsa o fallace definizione dei ruoli di governo e di direzione degeneri in conflitto tra chi è chiamato a ricoprire le relative posizioni (fig. 1.2.).

Organo di governo e direzione

Servizi

Gestione eccezioni

Progettazione assetti

Sviluppo

Gestione caratteristica operativa

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Figura 1.2. - Struttura organizzativa di un onp evoluta

Fonte: Airoldi, Brunetti, Coda, 1991 Struttura organizzativa complessa. Le onp più complesse e di grandi

dimensioni possono dotarsi di organi distinti per presidiare, con competenze specifiche, tutte e sette le funzioni aziendali. Il processo di delega, in quest'ultimo caso, deve essere completo ed efficace. L'organo di governo si è ritagliato un ruolo esclusivamente di guida e controllo strategico delle attività chiave dell'onp. L'organo di direzione ha prevalentemente il compito di indirizzo e di coordinamento delle unità operative e di quelle specialistiche. Le unità di sviluppo e di progettazione degli assetti realizzano con competenza e relativa autonomia la loro missione, sulla base delle indicazioni date dalla direzione e derivanti dalla strategia messa a punto dall'organo di governo dell'onp. Sovente, è solo a questo stadio evolutivo della struttura che l'organo di sindacato del governo comincia a svolgere un ruolo sostanziale, poiché spetta ad esso risolvere eventuali controversie tra gli organi coinvolti nella funzione di governo e garantire gli stakeholder sul corretto operare degli organi di vertice (fig. 1.3.).

Organo di governo

Direzione

Gestione caratteristica operativa

Servizi

SviluppoProgettazione assetti

Gestione eccezioni

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Figura 1.3. Struttura organizzativa di un'onp complessa

Fonte: Airoldi, Brunetti, Coda, 1991. Data la forte eterogeneità delle aziende cosiddette non profit, risulta

estremamente difficile definire con precisione quali siano le caratteristiche dei loro assetti organizzativi. Tuttavia, pur evitando facili generalizzazioni in merito, è possibile comunque ricondurre gli assetti organizzativi delle aziende non profit essenzialmente a due diversi modelli: quello più semplice, basato principalmente sul principio dell'autorganizzazione, tipico delle aziende non profit di piccole dimensioni e quello burocratico, che, invece, caratterizza le aziende non profit di grandi dimensioni (Propersi, 1999, pp. 132, 33).

Nel caso delle organizzazioni non profit più piccole, non è possibile identificare una precisa articolazione delle unità organizzative né, tantomeno, una particolare suddivisione dei compiti fra i diversi soggetti che vi operano: tutti fanno tutto, all'interno di un gruppo in cui l'unico elemento di unione è rappresentato dalla mission aziendale.

Di seguito verranno analizzate le principali caratteristiche organizzative di tale modello:

- assenza di divisione dei compiti. In queste strutture organizzative semplici non esiste una rigida divisione dei compiti fra i diversi attori; ognuno fa ciò che ritiene di dover fare in base alle necessità del momento e alle proprie capacità, senza bisogno che il compito venga affidato sulla base di regole e procedure formalizzate;

Organo di governo

Direzione Servizi

Progettazione assetti

Sviluppo

Gestione caratteristica operativa

Sindacato del governo

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- elevato decentramento del potere decisionale. Non essendoci regole precise su come ripartire il potere decisionale fra i vari componenti dell'organizzazione, le decisioni vengono prese dal gruppo. Il gruppo è coordinato da una o più figure, solitamente da coloro che vantano le maggiori doti di leadership nei confronti del gruppo. L'autorità in queste organizzazioni è ampiamente diffusa e non accentrata; tra i membri vige la logica della collaborazione in vista della realizzazione della missione (Propersi, 1999, pp. 134, 35).

Nelle aziende non profit che adottano un modello burocratico, al contrario, la struttura dell'autorità è di tipo accentrato, i ruoli ben distinti fra loro e la partecipazione da parte dei membri dell'organizzazione alle decisioni aziendali molto limitata.

Le caratteristiche di tali organizzazioni possono essere così sintetizzate:

- netta suddivisione dei compiti. I compiti e le funzioni sono ben suddivisi fra le varie unità organizzative e il contenuto di ogni mansione e delle modalità di lavoro è stabilito con estrema precisione;

- prevalenza di processi decisionali di tipo verticale. I canali di comunicazione, di decisione e di controllo rispettano rigorosamente una linea gerarchica. Il potere decisionale è fortemente accentrato ai vertici dell'organizzazione, mentre i livelli inferiori si limitano all'espletamento delle loro funzioni. Alla logica della collaborazione in vista del perseguimento della missione aziendale si sostituisce quella dell'obbedienza al superiore (Propersi, 1999, p. 133).

***

La sintetica esposizione delle possibili configurazioni che la struttura

assume nel corso della vita dell'organizzazione, permette di affermare che per le onp non esiste un assetto ottimale, ma esso dipende dall'ambiente con cui l'ente interagisce, dalle attività che svolge e dalle persone che in esso operano (Antoldi, 2002, p. 60). Per questo, onp con strategie e sistemi tecnici differenti adotteranno assetti organizzativi differenti e una medesima onp potrà assumere vari assetti organizzativi a seconda del momento storico e delle condizioni ambientali che è chiamato ad affrontare.

Qualunque ne sia l'esito finale, la progettazione dell'assetto organizzativo dell'onp dovrà comunque ricercare la piena coerenza tra le singole componenti del sistema organizzativo, la configurazione complessiva finale e le necessità di dinamico adattamento legate al mutevole contesto ambientale. In altri termini, la struttura che ne risulterà dovrà garantire che lo svolgimento dei processi che essa organizza siano coerenti con la

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missione e che il comportamento organizzativo dei singoli e dell'intera onp faciliti l'allineamento della strategia all'ambiente di riferimento (Gerloff, 1989).

La progettazione della struttura deve tenere conto contemporaneamente di diverse variabili: si dovranno valutare con attenzione i criteri di raggruppamento delle unità organizzative, il numero dei livelli gerarchici e l'ampiezza del controllo, la scelta tra accentramento e decentramento del poter decisionale, la diversa natura dell'unità, in particolare delle unità operative (line) e di quelle a supporto di queste (staff), i rapporti di autorità tra i diversi organi, il grado di differenziazione tra le diverse unità.

Se quanto fin qui esposto sulla struttura organizzativa vale per lo più per tutte le tipologie di organizzazioni aziendali, è però il caso di ricordare che la progettazione dell'assetto organizzativo di un'onp presenta anche peculiarità proprie rispetto a quanto avviene invece nelle organizzazioni orientate al profitto (Mason, Melandri, 1999; Merlo, 1996).

Innanzitutto, in numerose onp è riscontrabile una forte separazione culturale e un giudizio assai differenziato fra le attività della gestione caratteristica dell'ente e le attività specialistiche di supporto a queste, fatto che raramente si verifica per le imprese. Le attività di supporto, infatti, sovente vengono percepite dai membri dell'onp come di rango inferiore rispetto alle prime, perché non sono correlate direttamente alla "buona causa" dell'onp. Le funzioni amministrativa e quella di gestione del personale, per esempio, possono essere considerate meno "nobili" rispetto a quelle operative tipiche dell'onp. Tale considerazione può riflettersi sui criteri che guidano la progettazione delle strutture organizzative, così che raramente viene riconosciuta elevata dignità agli organi preposti a svolgere attività non direttamente operative.

In secondo luogo, nei processi decisionali dell'onp i valori che fondano la cultura dell'organizzazione giocano un ruolo ancora più incisivo di quanto avvenga in altre organizzazioni. Le onp, infatti, sono istituti nei quali il convergere e la collaborazione delle forze e degli interessi dei diversi membri non avviene sulla base di soli aspetti produttivi ed economici, bensì anche sulla base dei valori personali dei soggetti coinvolti. Per questo motivo, le onp molte volte manifestano forti resistenze ai cambiamenti organizzativi al loro interno. Temono, in sostanza, che modificare la struttura comporti in qualche modo negare la storia dell'onp e così produrre la modifica o la distruzione dei valori su cui si fondano. Strutture organizzative stabili e sperimentate, per quanto inefficienti, possono erroneamente sembrare il miglior baluardo contro possibili attacchi alla cultura di cui l'onp è portatrice.

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Infine, anche la gestione del personale rappresenta un aspetto di particolare interesse nell'ambito dello studio delle strutture organizzative delle organizzazioni non profit. A tal proposito pare che la particolarità di maggior rilievo rispetto alle aziende profit sia data dalla presenza di personale volontario oltre che di personale stipendiato, aspetto che, peraltro, si riflette proprio sulle politiche di gestione delle risorse umane, anche se, in merito, è bene fare una precisazione. Se, infatti, nel caso delle grandi organizzazioni non profit (quelle cioè che adottano un modello burocratico) il personale dipendente è costituito, in parte, da volontari e, in parte, da lavoratori stipendiati, nelle organizzazioni più semplici, sembra esserci una netta predominanza di volontari (Propersi, 1999, pp. 134-36).

L'assenza dell'incentivo economico, inoltre, impone alle aziende non profit di prestare una particolare attenzione alla gestione del personale. Se, infatti, sembra sufficiente un buon grado di condivisione della missione aziendale per riuscire ad indirizzare i comportamenti verso gli obiettivi desiderati, va sottolineato anche come, in realtà, tale legame con i valori aziendali, essendo molto più debole di un legame economico, abbia bisogno di essere alimentato in continuazione. Ecco perché le aziende non profit hanno bisogno di introdurre meccanismi efficaci di gestione del personale, magari attraverso l'introduzione di apposite figure professionali, incaricate di mantenere stabile il rapporto con tali risorse, oppure attraverso la predisposizione di adeguati sistemi di "retribuzione" e di "carriera", che accrescano nel tempo la motivazione e la condivisione della missione aziendale (Propersi, 1999, p. 138).

Il rischio per l'azienda non profit legato al fatto di dover gestire personale volontario potrebbe essere quello di subire le pressioni di una risorsa poco malleabile e flessibile che, proprio per la sua condizione di volontario, potrebbe essere indotta ad imporre le proprie condizioni. Dall'altro lato è anche possibile che, specie in presenza di risorse specializzate e professionalmente preparate, queste ultime abbandonino l'azienda non profit, privilegiando impieghi retribuiti. In questa prospettiva, anche il sistema di retribuzione e di incentivazione adottato viene ad assumere delle particolarità interessanti, essendo, in tal caso finalizzato, non all'accrescimento del beneficio economico, come dovrebbe accadere nel caso di dipendenti stipendiati, ma piuttosto all'ottenimento di vantaggi più "immateriali", come la maggiore visibilità e considerazione all'interno e all'esterno dell'organizzazione (Propersi, 1999, pp. 138, 39).

L'opera di progettazione e riprogettazione della struttura organizzativa delle onp richiede pertanto il rispetto costante di alcuni accorgimenti:

- innanzitutto, per introdurre con successo modifiche alla struttura esistente, occorre fare leva sul fine istituzionale e sui valori

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condivisi, per sfruttare a vantaggio dell'innovazione la presenza di una cultura forte e coesa all'interno dell'organizzazione; per esempio, si potranno realizzare interventi migliorativi dell'efficienza solo convincendo i membri dell'onp che si produrranno così effetti migliorativi sul piano dell'efficacia dell'onp e che tali interventi sono coerenti con i valori dell'organizzazione;

- inoltre, è opportuno tenere conto di una duplice esigenza dell'onp: da un lato cercare di formalizzare la struttura e i sistemi operativi, per garantire un funzionamento efficiente dell'organizzazione e promuovere i processi di apprendimento interni; dall'altro, mantenere flessibili e dinamiche le variabili organizzative, al fin di evitare le burocratizzazione dell'intero sistema;

- infine, per realizzare modifiche all'assetto organizzativo, è necessario promuovere la responsabilizzazione, la partecipazione e le motivazioni dei membri dell'organizzazione, con stimoli non solo economici, ma anche professionali, morali e sociali: ogni cambiamento importante dovrà contare sull'impegno e sul consenso di chi dovrà viverne direttamente le conseguenze.

1.3. La struttura organizzativa degli organi di governo

Una parte della recente letteratura concentrata sul tema degli assetti organizzativi delle onp, ha focalizzato la sua attenzione non tanto sui modelli organizzativi in generale, quanto piuttosto sulle scelte adottate ai vertici delle aziende non profit, mettendone in rilievo le particolarità relativamente ai principali organi di governo.

Nelle onp con strutture organizzative più complete e articolate spesso la funzione di governo, pur restando unitaria, viene in qualche misura esercitata da più organi, che agiscono sotto la responsabilità ultima del consiglio. In particolare, all'interno del vertice strategico dell'onp, interagiscono il consiglio direttivo, organo espresso direttamente dagli stakeholder istituzionali dell'onp, e l'alta direzione. In esso cooperano, con ruoli distinti, tutti gli attori che hanno la responsabilità dei risultati dell'organizzazione: i membri del consiglio, il presidente, il segretario (o direttore) generale, i responsabili delle diverse funzioni o aree di attività.

Complessivamente, al vertice strategico, che costituisce la componente direzionale del sistema organizzativo, spetta un insieme molto importante di compiti, che possono distribuirsi fra più organi (Mintzberg, 1985):

- analizzare e monitorare l'ambiente in cui opera l'onp; - elaborare la strategia dell'onp;

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- allocare le risorse aziendali sui programmi portati innanzi dall'onp e tra le diverse unità organizzative;

- verificare la congruenza del disegno organizzativo con la strategia e curare il suo continuo adeguamento;

- gestire il personale direttivo, valutandone le prestazioni e curandone l'incentivazione;

- rappresentare l'onp nei confronti degli stakeholder interni ed esterni.

La scelta di articolare in più organi il vertice strategico, per esercitare in modo più veloce e incisivo la funzione di governo, può portare la struttura dell'onp ad assumere configurazioni assai differenziate. Infatti, una volta appurato che l'esercizio collegiale da parte del consiglio di tutto il potere di governo risulta poco adatto a far fronte alla complessità gestionale, l'onp ha davanti a sé molteplici soluzioni organizzative per dotarsi di una struttura di vertice più efficiente. Diverse possono essere le modalità con cui i compiti sopra enunciati sono distribuiti tra gli organi che insieme costituiscono il vertice strategico. L'intera gamma delle possibili soluzioni è compresa all'interno di un continuum che ha ai suoi estremi: da un lato, una struttura di governo in cui prevale come leader strategico il consiglio; all'opposto, una struttura di governo in cui, invece, leader strategico è il segretario.

Nei paragrafi successivi (cfr. § 1.3.1. e § 1.3.2.) verranno analizzate nel dettaglio le due situazioni estreme sopra citate.

1.3.1. Leadership strategica affidata al consiglio di amministrazione Nel primo dei due casi citati l'onp decide di mantenere totalmente

all'interno del consiglio direttivo la leadership strategica, confermando il consiglio come "organo forte". In questo caso, la soluzione più immediata è quella di delegare una parte sostanziale dei poteri del consiglio al suo presidente, oppure a uno o più consiglieri, istituendo, in questa seconda ipotesi, la figura del consigliere o amministratore delegato. In entrambi i casi, si tratta di dotare di poteri di governo membri del consiglio, che lo eserciteranno in relativa autonomia, ma in stretto collegamento con il consiglio. I consiglieri delegati potranno essere indifferentemente persone già presenti e impegnate nell'onp, cui il consiglio riconosce particolari competenze e doti di leadership, ovvero soggetti provenienti dall'esterno dell'organizzazione, scelti per le loro capacità manageriali e appositamente cooptati all'interno dell'organo di governo formale, affinché condividano in toto la responsabilità di governo insieme ai rappresentanti direttamente eletti dagli stakeholder.

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Spesso, nelle onp in cui il consiglio direttivo è molto numeroso, si opta, invece, per la creazione all'interno del consiglio stesso di un altro organo collegiale, più ristretto, solitamente denominato presidenza. Questo organo è presieduto dal presidente dell'onp e formato da un numero ristretto di consiglieri, eletti dal consiglio. Di solito vi partecipa anche, senza potere di voto, il segretario dell'onp, se tale figura è presente. Ad esso, di fatto, il consiglio delega buona parte dei poteri di governo, che, a differenza di quanto avviene nel caso di nomina di consiglieri delegati, dovranno però essere esercitati collegialmente da tutti i soggetti che costituiscono la presidenza.

Tutte le soluzioni fin qui prese in esame sono volte a confermare il primato del consiglio su ogni altro organo di vertice, indipendentemente dalla presenza o meno di organi direttivi all'interno dell'onp. E' chiaro, infatti, che comunque tali organi saranno in tutto subordinati a quei membri del consiglio cui sono stati delegati i poteri tipici del consiglio.

Tuttavia, non sempre la via di mantenere tutto il potere in capo al consiglio è praticabile e conveniente per l'onp, perché non sempre essa è in grado di esprimere consiglieri competenti e disponibili a dedicare il loro tempo alla gestione dell'organizzazione. Inoltre, la scelta di affidare un mandato di tipo manageriale alle persone che siedono in consiglio è percorribile solo laddove questa decisione non contraddica la natura e la cultura dell'onp.

In molte onp, per esempio, è previsto che i membri del consiglio debbano essere volontari e la storia, la cultura o lo statuto escludono esplicitamente che i membri del consiglio possano essere in qualche modo retribuiti. In altre onp, tra i valori fondanti si trovano quelli della democraticità e della collegialità, valori che possono risultare incompatibili con l'attribuzione di deleghe "forti" a singoli membri del consiglio.

La concentrazione del potere nelle mani del consiglio può anche trovare ostacoli, sul piano operativo, nella logica e nei meccanismi di nomina dei consiglieri. Per effetto delle regole elettive previste dallo statuto, in talune onp il consiglio può essere soggetto a un elevato turnover dei membri, dovuto alla naturale scadenza dei mandati, non sempre rinnovabili. Tale fatto impedisce agli amministratori di acquisire piena ed effettiva consapevolezza delle dinamiche della gestione operativa, prima della conclusione del loro mandato.

Infine, va considerato il fatto che, in molte onp, il consiglio ha meccanismi decisionali lenti e complicati, poiché è composto da un numero elevato di persone e presenta una composizione assai eterogenea, essenzialmente per questioni connesse alla rappresentatività degli stakeholder. Questa sua difficoltà nel processo decisionale sconsiglia che sia

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investito direttamente di questioni connesse all'operatività dell'onp, che richiedono, invece, decisioni rapide, per evitare la paralisi dell'ente.

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Numerosi studi recenti testimoniano come il ruolo del consiglio di

amministrazione stia assumendo sempre maggiore importanza nel dibattito economico-aziendale, non solo per quanto riguarda le imprese orientate al profitto ma anche per tutti gli istituti non profit. Per questi ultimi, pare che sia critico il problema della funzionalità sia per la mancanza di un livello di proprietà sia per la frequente essenzialità della struttura organizzativa (Cavenago, 1996, p. 69).

Al cda spettano solitamente due ruoli. Il primo è costituito dalla rappresentanza della proprietà, mentre il secondo considera il cda come "centro regolatore di interessi multipli" (Demattè, 1995). Il fatto che il cda rappresenti la proprietà dell'impresa si comprende dal fatto che tale organo rappresenta o dovrebbe rappresentare un'interfaccia fra proprietà e management. Il ruolo del cda, quindi, si esplicita nella mediazione fra proprietà e management, fungendo da organo intermedio a cui si è delegata la scelta della dirigenza. Questa situazione si rende necessaria soprattutto nelle aziende di maggiori dimensioni, in cui la maggior parte degli azionisti sono coinvolti solamente in occasione dell'assemblea annuale. Lo strumento, quindi, attraverso il quale si conciliano e si incontrano tutte le diverse e particolari esigenze è il consiglio di amministrazione.

Ecco quindi che si spiega anche il secondo grande ruolo del cda. Il consiglio può svolgere una funzione più ampia che di semplice rappresentanza degli azionisti, come centro regolatore di interessi multipli. Accade spesso che facciano parte dei cda persone che rappresentino interessi di altri soggetti coinvolti nell'attività aziendale: finanziatori, grossi fornitori, dipendenti, pubblica amministrazione ecc.. Lungo questo percorso il consiglio di amministrazione, ferma restando la sua natura giuridica e la sua responsabilità nei confronti di tutti i terzi per la corretta gestione aziendale, si trasforma da organo primariamente tutore degli interessi della proprietà a centro regolatore del complesso degli interessi e degli interlocutori che convergono nell'azienda (Demattè, 1995).

Al consiglio di amministrazione spetta, dunque, la funzione direttiva, che si manifesta in tre funzioni:

- ruolo interpersonale; - ruolo informativo; - ruolo decisionale.

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In particolare, il ruolo decisionale è quello che più caratterizza l'attività del cda. Infatti, sulla base delle informazioni disponibili, il cda ha il delicato compito di definire la strategia dell'azienda, porre gli obiettivi e mettere a disposizione le risorse per raggiungerli. E' chiaro che il cda delegherà ad altri organi il potere di prendere decisioni che necessitano di una certa urgenza, ma il punto di riferimento delle decisioni aziendali sarà sempre il cda.

Secondo molti il ruolo del cda subirebbe una sorta di evoluzione durante la vita dell'onp, attraversando numerose fasi. Miriam Wood (1992), per esempio, sulla base di una ricerca empirica condotta su ventuno onp statunitensi, ha elaborato un modello ciclico composto da quattro fasi:

- fase di costituzione; - fase di supermanaging; - fase corporate; - fase di ratificazione.

La fase di costituzione è la prima in ordine temporale e vede nel consiglio di amministrazione un organo con poca rilevanza formale. Non è possibile parlare del cda come di un organo di supervisione, dato che i rapporti sono basati su una logica di tipo orizzontale, prevalentemente spontanei e amichevoli, con un ruolo preminente dei fondatori dell'organizzazione. Nel corso del tempo, però, afferma Wood (1992), un membro tende ad emergere e a prevalere sugli altri, occupando una posizione preminente. Questo fatto può essere reso possibile da una maggiore disponibilità di tempo, da una maggiore spinta motivazionale, da una maggiore capacità gestionale ecc.. Questo è un primo e naturale fatto verso la crescita strutturale dell'onp e verso una formalizzazione dell'assetto istituzionale. Assetto non ancora ben definito nella strutturazione, nei ruoli e nelle modalità di suddivisione di questi. L'emergere di un leader è reso possibile, e in taluni casi anche facilitato, dal comportamento degli altri membri fondatori. Con il trascorrere del tempo, infatti, alcuni possono perdere l'entusiasmo iniziale oppure dedicarsi ad altri compiti all'interno dell'organizzazione stessa.

La seconda fase (fase di "supermanaging") è caratterizzata da un nuovo ruolo del consiglio di amministrazione. Appare, infatti, la figura di professionisti quali membri del consiglio stesso, che portano una diversa cultura organizzativa, tesa alla razionalizzazione dei processi e dell'azione produttiva e organizzativa. Il consiglio assume un ruolo più centrale nel complesso dell'assetto istituzionale. Diventa il luogo dove si formula la strategia dell'organizzazione e si delineano le modalità di controllo e di supervisione. Conseguentemente perde importanza la figura del direttore esecutivo e accade che vengano prese decisioni indipendenti dall'organo direttivo. I rapporti diventano di tipo verticale basati sull'autorità e sulla

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gerarchia e si nota una marcata differenziazione tra cda e organi di staff. Questo può rappresentare un problema, soprattutto se considerato congiuntamente alla possibilità che una struttura siffatta allontani l'operato dell'onp dai fini ultimi che la stessa si propone di raggiungere. Si deve, quindi, trovare la necessaria coerenza ed equilibrio tra ruolo del consiglio di amministrazione, rapporti con gli organi di staff e azione congiunta per il raggiungimento dei fini istituzionali di natura extra-economica. Può, infatti, accadere che gli organi di staff vedano nel consiglio di amministrazione non più un collaboratore che possa tracciare le linee guida di gestione per raggiungere i fini dell'organizzazione, ma un organo sovraordinato e burocratizzato.

Si giunge così alla terza fase, detta fase corporate, nella quale l'onp tende ad avere comportamenti sempre più vicini a quelli di un'azienda for profit. Si evidenzia la netta separazione per funzioni tra il consiglio di amministrazione (strategia, politiche di sviluppo e supervisione) e gli altri organi presenti all'interno dell'organizzazione (amministrazione gestionale). Questa è la fase in cui il consiglio di amministrazione è visto come "centro regolatore di interessi multipli": funge da organo in cui confluiscono gli interessi delle varie parti coinvolte nella gestione dell'ente e deve tradurle in strategie e politiche che possano mediare le varie esigenze, sempre nel rispetto dei fini statutari.

La quarta fase (fase di ratificazione) nasce e si sviluppa in seguito alla sempre maggiore dipendenza del consiglio di amministrazione dal management e dall'enfasi posta dagli amministratori sul ruolo del consiglio più che sulla missione aziendale. Riemerge, in questa fase, la figura del direttore esecutivo, il quale, però, è orientato managerialmente e quindi più distante dallo spirito dei fondatori. Il rischio, in questo contesto, è quello che il consiglio di amministrazione diventi un organo di prestigio, i cui membri provengono da altre organizzazioni operanti nel terzo settore oppure dal mondo for profit, ma dove alcuni membri "are more equals than others", come afferma Wood (1992).

Il modello sopra descritto è un modello ciclico perché dopo la fase di ratificazione può nascere un periodo di crisi istituzionale, in cui l'organizzazione deve rivedere il proprio operato e la coerenza con gli scopi istituzionali. Il consiglio direttivo, quindi, può tornare alla fase di "supermanaging", con membri nuovi e dalle rinnovate motivazioni per ridare fiducia a chi opera all'interno dell'azienda, e in partcolar modo agli organi di staff.

La conferma del fatto che il ruolo e i compiti del consiglio di amministrazione siano tutt'altro che trascurabili arriva anche dal modello elaborato da Harris (1993), denominato Total Activities Approach. L'analisi sviluppata su un campione di oltre cento aziende non profit ha messo in

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evidenza il rapporto esistente fra consiglio di amministrazione e personale dell'organizzazione.

I risultati hanno evidenziato come personale e consiglio di

amministrazione abbiano visioni diverse riguardo a ciò che si sta facendo o si potrebbe fare. Questo fatto deriva principalmente dal diverso coinvolgimento nelle varie funzioni e dal diverso spirito che guida l'operato dei due organi (consiglio e organo di staff). Si sottolinea anche come una causa di possibili incomprensioni possa essere la debole comunicazione tra consiglio e organo di staff, per cui questi ultimi non erano a conoscenza dei precisi obiettivi del cda.

I due modelli presentati possono essere considerati congiuntamente, per cui è possibile trarre alcune conclusioni. In primo luogo, si evidenzia il fatto che il cda è l'organo sovraordinato all'assetto istituzionale, da cui partono le linee guida dell'operato dell'organizzazione, sia essa profit o non profit. E' necessario, comunque, considerare i rapporti con gli altri assetti che caratterizzano la formula di funzionamento ed in particolare con l'assetto organizzativo. Una mancata coerenza tra i due assetti può portare l'azienda lontana dagli scopi istituzionali con conseguente perdita di efficacia ed efficienza. Non solo, ma la fiducia di chi collabora può diminuire.

Un altro fatto che emerge dall'analisi dei modelli e dai vari casi empirici è che il cda, inizialmente, è un organo previsto statutariamente, ma che in pratica opera sulla base di rapporti poco formalizzati. Con lo sviluppo dell'attività e quindi con lo sviluppo strutturale dell'organizzazione, il cda assume una configurazione più strategica, per cui si richiede ai membri un maggiore impegno in termini di tempo e disponibilità. Le riunioni possono essere più frequenti e più "problematiche". Per questo si verifica il fenomeno della delega a particolari comitati, che sostituiscano il cda nello svolgimento di determinate funzioni, soprattutto di programmazione, per rendere più snella la gestione dell'onp. Il cda, in questo caso, avrà più compiti di controllo e di approvazione delle delibere del comitato, assumendo, di fatto, la posizione di supervisione dell'operato del comitato stesso. Questo fatto va visto ed esaminato congiuntamente alla delega di "pieni poteri" che molte volte, soprattutto nelle onp di medie dimensioni, viene rilasciata all'organo direttivo. Il rapporto cda-organo direttivo quindi, sarà più un rapporto di controllo del primo sul secondo e di verifica dei risultati raggiunti, mentre le decisioni operative in merito all'operato dell'organizzazione spettano interamente a quest'ultimo.

Infine, va sottolineato come le onp vivano un'evoluzione strutturale che nasce da esigenze che possono essere definite di operatività quotidiana. In altri termini, le scelte strategiche, istituzionali e organizzative dell'organizzazione nascono come soluzioni ai problemi che periodicamente

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lo sviluppo dell'attività mette in luce. Quindi non esiste un piano di sviluppo ben preciso, ma solamente una risposta contingente a problemi ben precisi. Questa evoluzione porta alla struttura essenziale che caratterizza le onp, a frequenti modifiche nell'interpretazione di ruoli istituzionali e quindi dell'assetto istituzionale e quindi anche del ruolo del cda e del rapporto con gli altri organi.

1.3.2. Leadership strategica affidata al segretario generale La soluzione opposta a quella sopra delineata (§ 1.3.1.) propone che il

consiglio ceda una parte considerevole dei suoi poteri di governo a favore di uno o più organi di direzione, gerarchicamente subordinati a esso. In genere, esso procede a riconoscere una delega forte a un segretario (o direttore) generale, non facente parte del consiglio direttivo.

In questo caso la leadership strategica viene assunta dall'organo di alta direzione, che potrà eventualmente coinvolgere nelle decisioni i responsabili di unità operative o di staff (dando vita così ad un comitato esecutivo, in cui siedono il segretario generale e i suoi principali collaboratori). Spetterà al consiglio nominare il segretario, mentre di norma tocca a questi la responsabilità di scegliere i dirigenti a lui subordinati.

Questa soluzione è ricorrente nelle onp in cui la complessità gestionale richiede al vertice figure manageriali con elevate competenze tecniche e gestionali, legate da un rapporto professionale esclusivo con l'organizzazione.

Questa situazione rispecchia perfettamente la realtà delle onp di matrice anglosassone, descritte da Drucker (1993)5. In questa struttura, però, il nodo cruciale sta nel delicato bilanciamento di poteri tra i due soggetti che si trovano al vertice dell'organizzazione. Infatti, anche in questo caso il consiglio resta formalmente l'organo supremo di governo, cui spetta il

5 "Nonostante le quasi illimitate differenze nella missione e nella dimensione, la

maggioranza delle istituzioni senza fini di lucro americano presentano la stessa struttura di governo. Hanno un consiglio retribuito, composto da esterni, a tempo parziale. E hanno un dirigente a tempo pieno, stipendiato, chiamato variamente presidente, direttore esecutivo o direttore generale. Nonostante la quasi infinita diversità le istituzioni senza fine di lucro si assomigliano nel fatto che in molte, forse nella maggioranza, questa struttura di governo funziona con alti e bassi. I consigli vengono accusati di essere "passivi portavoce" del direttore, ma al tempo stesso "si immischiano". I membri del consiglio si lamentano perché il dirigente "usurpa" la funzione di decisione politica propria del consiglio. I funzionari esecutivi si lamentano perché il consiglio spreca ore lunghissime a discutere banalità operative. I membri del consiglio si lamentano perché non ottengono informazioni. I funzionari esecutivi e i loro staff si lamentano delle ore, giorni e settimane sprecate a preparare rapporti che vanno ben al di là della competenza e delle conoscenze del consiglio (Drucker, 1993, pp. 194-195).

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potere d'indirizzo e di controllo dell'onp, dove quest'ultimo esercita tale potere attraverso: il coinvolgimento diretto di membri del consiglio nel processo strategico, l'esercizio del potere di nomina e valutazione del segretario, l'obbligo dell'approvazione formale delle strategie e l'obbligo dell'approvazione del bilancio preventivo e consuntivo. Tuttavia, l'effettiva capacità dell'organo di governo formale di incidere sulle decisioni di una direzione "forte" dipenderà da come verrà a instaurarsi il rapporto istituzionale tra consiglio e segretario.

La situazione che più frequentemente si viene a creare è una sorta di sdoppiamento dei poteri di governo in capo ai due organi di vertice, entrambi "forti", portatori di competenze diverse. Il sistema di governo appare così fondato su una struttura duale: un primo organo specificatamente votato alla programmazione delle attività istituzionali connesse alla missione dell'onp; l'altro, invece, con competenza di governo su tutte le attività operative, tecniche, amministrative, organizzative e di produzione servizi.

Il primo, il consiglio, in genere si focalizza prevalentemente sui contenuti ideali, culturali e politici legati alla missione dell'organizzazione. Questo perché usualmente è composto da persone elette in virtù del loro prestigio personale (e non delle loro competenze gestionali) e quindi preferisce ritagliarsi un ruolo di indirizzo e controllo generale, poco incline a entrare nel merito delle questioni tecniche.

Il secondo organo, invece, la segreteria generale, pur essendo formalmente subordinato al primo, risulta comunque un centro di potere forte, poiché presidia la maggior parte dei processi tecnici e aziendali ed è spesso il reale portatore delle competenze tecniche e amministrative necessarie allo svolgimento dell'attività operativa dell'onp. Inoltre, a differenza del consiglio, presenta una maggiore stabilità nel tempo (in quanto formalmente svincolato dai meccanismi elettorali dell'organo di governo) - tanto che in alcune onp succede che, in presenza di una variazione continua di presidente e consiglieri, il segretario generale risulti essere l'unico elemento di continuità dell'organizzazione. Così appare, in particolare, agli occhi dei dipendenti e dei collaboratori, che spesso riconoscono più facilmente nel segretario che non nel presidente il loro interlocutore istituzionale. Inoltre, il segretario, in quanto professionista spesso a tempo pieno, può garantire una maggiore presenza lavorativa all'interno dell'organizzazione rispetto ai membri del consiglio e allo stesso presidente (il cui tempo si divide anche sugli impegni di rappresentanza esterna). Tutte queste caratteristiche fanno sì che tale figura, pur essendo gerarchicamente subordinata al consiglio, o al presidente, finisca spesso per acquisire nell'onp un ruolo di assoluto primo piano anche nell'ambito del processo di definizione delle strategie.

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Quando questo fenomeno di sdoppiamento della funzione di governo è

molto accentuato, si viene a creare nell'onp una diarchia di non semplice composizione e con evidenti rischi di conflitto fra i ruoli. Si tratta di un contesto molto simile a quello che si concretizza in altre organizzazioni aziendali multi-stakeholder, dove si devono necessariamente comporre un'anima più politica (costituita dai rappresentanti eletti da una base sociale) e una più tecnica (professionale, spesso di natura amministrativa).

Sui diversi compiti che spettano al consiglio direttivo e al segretario generale, si è particolarmente soffermata la letteratura americana, che abbonda di contributi specifici su quali dovrebbero essere le prerogative e le competenze specifiche del Board of Directors e del Chief Executive Officer di un'onp (si vedano, fra gli altri: Forbes, Butterfield, 1993; Smith, Bucklin & Associates, 1994; Marinelli, 1998; Lauer, 1998; Eadie, 1991 e 1998).

Ad accomunare le conclusioni di questi Autori - la cui analisi però si riferisce esclusivamente alla realtà statunitense - è la sostanziale tendenza ad assegnare al segretario il ruolo di leader dell'onp. Essi, infatti, pur sottolineando con forza la necessità per le onp di avere un consiglio attivo ed efficiente, preferiscono risolvere a favore del management professionista ogni possibile conflitto sull'attribuzione del potere di governo al vertice dell'organizzazione.

Di questo parere è anche Peter Drucker (1990 e 1993), che trova più pratico affidare al direttore la responsabilità del governo dell'onp, poiché, nel suo modello di onp, il presidente è di norma una personalità esterna, dunque con poco tempo a disposizione da dedicare e non sufficiente conoscenza tecnica del funzionamento dell'onp.

Si tratta, tuttavia di una visione molto legata alla lettura del contesto non profit americano e difficilmente riscontrabile, invece, nelle onp italiane. Nella nostra realtà nazionale, infatti, anche le onp caratterizzate da una struttura di governo con un segretario forte tendono ad assegnare comunque al consiglio la responsabilità ultima sulle scelte strategiche.

Tuttavia, è chiaro che, in presenza di figure manageriali portatrici di una delega sostanziale nell'area di governo, il consiglio è chiamato a disegnarsi un ruolo meno operativo e più focalizzato sulla strategia. Per riuscire a farlo, il consiglio deve concentrarsi sull'orientamento strategico dell'onp, sul disegno del suo progetto evolutivo a medio e lungo termine, sulla definizione degli obiettivi, impegnandosi costantemente a garantire l'utilizzo delle risorse secondo lo scopo sociale6.

6 Sovente, questo significa sforzarsi di rendere efficiente un organo che potrebbe essere

svantaggiato dall'essere troppo numeroso e formato da volontari che hanno poco tempo

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A tal proposito, Eadie e Edwards (1993) suggeriscono alcune soluzioni

organizzative che possono aiutare l'onp a dotarsi di un consiglio capace di svolgere comunque la sua missione. Secondo tali Autori, il consiglio dovrebbe dotarsi:

- di una chiara visione di leadership; - di una struttura interna e di procedure decisionali idonee a realizzare

tale visione di leadership; - delle risorse necessarie per implementare tale struttura e processi.

Dotare il vertice dell'onp di una visione di leadership significa che il consiglio deve chiaramente esplicitare in che modo intende interpretare il ruolo di governo affidatogli. Deve, cioè, definire quali vogliono essere i risultati concreti e gli effetti del suo governo nell'ambito della pianificazione, delle attività operative e delle relazioni dell'onp con l'ambiente esterno: quale ruolo esatto nel processo decisionale, nel controllo delle attività e nella comunicazione dell'ente. Deve inoltre stabilire quale stile di direzione intende usare, quali sono i valori che ispirano il suo agire e di quale cultura intende farsi portatore per l'intera onp. Infine, deve precisare quali requisiti e competenze devono avere i suoi membri e disegnare di volta in volta quale deve essere la sua composizione ottimale, tenendo conto del momento storico che sta vivendo l'onp. La composizione del consiglio e il profilo ideale dei suoi membri, infatti, possono variare al variare dei fabbisogni organizzativi e di governo legati alle diverse fasi del ciclo di vita dell'onp.

La struttura e i processi del consiglio, invece, sono i meccanismi attraverso cui la visione di leadership si traduce in azioni di governo. In primo luogo, il consiglio può dotarsi di una struttura interna per comitati, a cui affidare deleghe specifiche di governo. I comitati potranno interagire direttamente con i responsabili delle funzioni o delle singole attività operative. Ovviamente, il direttore dovrà sempre essere informato sull'operato di tali comitati, affinché non corra il rischio di venire delegittimato di fronte alle unità operative che coordina. Inoltre, affinché l'esercizio della funzione di governo sia efficiente, è essenziale definire le regole da seguire nella programmazione delle riunioni consiliari, le procedure per stabilire l'agenda del consiglio, le modalità di supervisione da parte del consiglio dei processi di programmazione e di budgeting, nonché di presentazione e analisi dei report sull'andamento della gestione, con i relativi calendari annuali.

disponibile per l'onp, rischiando, in questo caso, che le riunioni del consiglio si trasformino in eventi di mera comunicazione di ciò che è già stato deciso e fatto.

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Infine, il consiglio deve comprendere esattamente di quali risorse ha bisogno per condurre la funzione di governo secondo la sua visione di leadership: risorse umane, finanziarie e di tempo da impegnare nell'esercizio del suo compito, facendo uso della struttura che si è dato e dei processi che ha disegnato.

Definire la visione della leadership del consiglio, la sua struttura e i suoi processi, e le risorse necessarie per il governo serve anche a costruire la cornice entro cui collocare direttamente il rapporto fra consiglio e segretario generale. Il disegno di tali elementi, infatti, aiuta a meglio chiarire quali devono essere i ruoli dei due organi, al di là di quanto è formalmente detto nello statuto dell'ente.

Questa diarchia funziona nella misura in cui sono ben definiti i ruoli e, in particolare, gli ambiti discrezionali del segretario. Diversamente, può venirsi a creare una situazione potenzialmente conflittuale, in cui o un consiglio troppo invadente finisce per delegittimare il segretario davanti agli organi operativi che dovrebbe guidare, ovvero un segretario troppo decisionista rischia di annullare di fatto le prerogative del consiglio.

Nelle strutture di governo che privilegiano il segretario come leader strategico, consiglio e segretario devono lavorare in sintonia e integrazione, come una squadra unica. In particolare, il ruolo del presidente risulta determinante per l'equilibrio tra gli organi di vertice. Esso, infatti, è colui che mantiene i rapporti tra il consiglio e il segretario che coordina il lavoro di entrambi7.

Per stimolare la massima collaborazione tra gli attori chiave del processo strategico, il compito di definire la strategia può essere affidato ad un organo collegiale, costituito appositamente per integrare in modo efficiente le prerogative istituzionali del consiglio e le competenze tecniche e manageriali del segretario.

A tal proposito Allison e Kaye (1998) propongono di istituire un comitato di pianificazione, a cui affidare la responsabilità del processo di pianificazione pluriennale nelle onp complesse. Esso dovrebbe così organizzare "l'azione di pianificazione strategica, decidendo quali soggetti chiave coinvolgere e come, coordinando e assegnando compiti al personale o al consiglio direttivo, procurando contatti con i sostenitori e indicando o circoscrivendo le informazioni da discutere e valutare. Inoltre, il comitato di

7 Drucker (1993) definisce questo modello organizzativo il modello del "doppio ponte" e afferma che "nella squadra a doppio ponte nessuno dei giocatori è più importante: sono tutti pari e ugualmente indispensabili. Compito del giocatore più forte è adeguarsi allo stile, alle forze e alle personalità del socio più debole. In questo tipo di istituzioni i direttori sono i giocatori più forti. E' loro compito adeguare quello che fanno e il modo in cui lo fanno alla personalità e alle forze dei presidenti".

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pianificazione sarà tenuto a discutere alcune delle questioni strategiche, a esprimere raccomandazioni su strategie e priorità, a redigere le prime bozze dei documenti di pianificazione da sottoporre all'approvazione del consiglio direttivo". Sulla base di quanto sperimentato in molte onp americane, i due Autori raccomandano: che il comitato sia costituito da un numero non eccessivo di persone (in tutto da sei a dieci), scelti tra i membri del consiglio direttivo e del personale direttivo; che ne siano membri di diritto il presidente del consiglio e il segretario generale; che tra i suoi membri siedano sia "visionari" (cioè persone capaci di intuire cosa l'onp può diventare nel futuro e che attorno a questa visione riescono a catalizzare l'organizzazione), sia "realisti" (persone attente a che i traguardi prefissati e le attività programmate siano concretamente alla portata dell'onp).

E' inoltre importante che chi vi partecipa lo faccia guidato da una visione che tende al bene comune, piuttosto che come portavoce di una particolare popolazione organizzativa dell'onp: i valori guida dell'azione del comitato infatti devono essere la coralità nelle decisioni, la partecipazione costruttiva di tutti alla formazione della strategia, la globalità dell'analisi, l'appartenenza al gruppo e la missione.

Infine, indipendentemente dalla suddivisione dei compiti fra manager e consiglio, nel caso delle onp manageriali risulta determinante l'attivazione di un efficiente organo di sindacato del governo. Prestazioni del consiglio, del comitato direttivo e del direttore devono essere valutate in rapporto agli obiettivi concordati e a ciascuno assegnati. Questo ruolo di sindacato dell’organo di governo (e dell’organo direttivo) potrebbe essere svolto da un gruppo di ex-consiglieri dell’onp e di soggetti esterni.

1.4. Le particolarità di governance del non profit

Prima di passare a delineare le principali peculiarità di governance che contraddistinguono le organizzazioni non profit, si cercherà di spiegare il concetto di governance.

Il concetto di governance o di corporate governance è sempre stato al centro degli studi di economia aziendale, dove però, il tema è sempre stato analizzato con riferimento all'istituto impresa8. E', pertanto, estremamente difficile riuscire a fornire una definizione univoca del concetto di governance, anche perché questo termine tende ad assumere significati differenti a seconda dell'Autore citato e a seconda del modello d'impresa cui si fa riferimento.

Se volessimo fornire una prima definizione, che fosse applicabile anche agli istituti non profit, potremmo definire l'assetto di governance come

8 Per una definizione di istituto si vedano Airoldi, Brunetti, Coda, 1994.

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"l'insieme della configurazione e delle modalità di funzionamento degli organi di governo e di controllo delle aziende" (Airoldi, Forestieri, 1998). Parlare di governance, in tal senso, significa dunque dare risposta ai seguenti interrogativi: chi comanda di fatto e chi dovrebbe comandare un'azienda? Quali poteri deve avere un consiglio di amministrazione e chi ne deve controllare l'operato? Quali sono gli organi aziendali, quale la loro composizione e quali i loro compiti? Quali relazioni esistono tra i differenti organi e quale il loro funzionamento? Quali strutture di governo e controllo e quale contesto istituzionale (normativo)?

L'assetto di governance esprime dunque le regole del gioco in merito a chi ha il diritto e il dovere di "governare" e quindi la struttura delle relazioni di influenza e di potere.

Si può concepire l'assetto di governance anche come l'"insieme delle strutture e dei processi aziendali attraverso cui si esercita il governo economico, ossia si prendono decisioni aziendali di fondo in merito alla configurazione degli stakeholder e delle combinazioni economiche" (Airoldi, Brunetti, Coda, 1994; Masini, 1979).

Anche nella letteratura internazionale è possibile individuare alcune interessanti definizioni del concetto di governance.

Neville Bain e David Band (1996), per esempio, sostengono che "l'essenza della governance è da ricercarsi nelle relazioni esistenti tra i vari partecipanti alla determinazione della direzione e della performance delle organizzazioni (…) Il problema centrale della governance è fare in modo che l'organizzazione produca il maggior valore possibile per gli stakeholder".

Nigel e Arthur Kendall (1998), invece, sostengono che "per governance si deve intendere uno sforzo per assicurare responsabilità e accountability, nonché un set di principi che devono essere incorporati in ogni parte dell'organizzazione riguardanti le relazioni con i fornitori, i finanziatori, le decisioni di investimento e le decisioni che riguardano l'ambiente esterno e la comunità (…) La governance si compone di due elementi: le relazioni di lungo termine che hanno effetti sui conti aziendali, gli incentivi per i manager e le comunicazioni tra i manager e i conferenti di capitale a qualsiasi titolo e le relazioni che hanno effetti sulla trasparenza e sui sistemi di autorità (…) La governance è un set di regole che aiutano a migliorare l'immagine, l'efficienza, l'efficacia e la responsabilità sociale dell'azienda (…).

Stapledon (1996), più semplicemente, afferma che "l'assetto di governance è il sistema attraverso cui gli istituti sono diretti e controllati", mentre Keasey e Wright (1997) ritengono che un sistema di governance possa reputarsi un buon sistema quando è in grado di motivare correttamente il comportamento manageriale verso lo sviluppo aziendale.

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Esso ha, inoltre, come finalità prevalente la motivazione del manager più che il controllo diretto sul suo comportamento.

***

Anche per ciò che riguarda i modelli di corporate governance adottati

dalle onp, c'è stata e c'è tuttora la tendenza da parte degli studiosi di non profit ad analizzare questo aspetto alla luce dei principi dell'economia aziendale. Così come è accaduto per il marketing, la gestione finanziaria, i sistemi di bilancio e di contabilità generale, anche le caratteristiche di governo sono state studiate da una prospettiva "aziendalista", prospettiva che ha portato inevitabilmente a dare rilievo alle peculiarità che contraddistinguono i meccanismi di governo delle onp rispetto a quelli delle aziende profit.

Secondo alcuni Autori, molte delle particolarità che connotano i meccanismi di governo delle onp sarebbero dovute essenzialmente alla cultura di fondo che accompagna tali organizzazioni, che anziché agire nella logica di pura competizione preferiscono adottare uno spirito di forte cooperazione, che alla redditività preferiscono il successo nell'azione sociale, come parametro nella valutazione della performance aziendale e che scelgono di comportarsi secondo la logica del bene comune e della solidarietà piuttosto che secondo quella della competizione serrata e agguerrita9 (Antoldi, 2002).

Tale cultura di base si rifletterebbe, di conseguenza, sui meccanismi di governo (Allison, Kaye, 1998; Goold, 1997; Parker, 1998), dando vita a delle particolarità che vengono di seguito analizzate:

a) diverse motivazioni orientano le scelte e i comportamenti degli organi di governo delle onp rispetto alle imprese; nelle imprese, i consigli di amministrazione rappresentano gli interessi privati dei proprietari dell'azienda, mentre i consigli direttivi delle onp rappresentano comunque interessi di natura pubblica; b) nelle onp, il potere di governo affidato al soggetto economico non deriva da un diritto di proprietà esclusivo, o da rapporti contrattuali di carattere patrimoniale, ma da un mandato, temporaneo e vincolante, che la base sociale affida a esso in nome di un bene comune; c) mentre nelle imprese il vertice strategico è scelto dagli azionisti in base ad acclamate capacità tecniche ed amministrative, nelle onp la selezione dei responsabili segue prevalentemente una logica di "servizio": il vertice viene spesso designato più in virtù di meriti

9 Antoldi (2002) contrappone lo slogan dell'"io vinco - tu perdi", tipico dell'agire delle

aziende profit, a quello dell'"io vinco solo se anche tu vinci" delle onp.

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personali legati alla causa e all'appartenenza all'ente, che non sulla base di effettive capacità tecniche; d) rispetto a quanto avviene nelle imprese, l'organo di governo è maggiormente soggetto a ricambio, o per la diversa natura del legame che esiste fra l'organizzazione e gli amministratori, o perché spesso lo statuto prevede espressamente limiti al rinnovo del mandato dei responsabili; e) nelle onp anche il ruolo attribuito alle diverse classi di portatori di interesse, i cosiddetti stakeholder, cambia notevolmente rispetto al caso delle imprese; se, per le imprese, è il cliente ad essere posto al centro dell'attenzione, nelle onp, sono i finanziatori sia pubblici che privati a ricoprire un ruolo decisivo.

Anche la letteratura internazionale ha affrontato l'argomento con la medesima prospettiva, soffermandosi cioè sugli attributi differenziali dell'organo di governo degli enti non profit rispetto a quello delle imprese.

McFarrel (1999), per esempio, ha sottolineato i seguenti aspetti:

a) l'assenza di prestazioni misurabili; b) la variabilità della composizione del consiglio di amministrazione; c) l'assenza di un salario per le funzioni di governo dell'azienda non profit; d) la specificità dei rapporti strategia-struttura, che renderebbero il governo di aziende non profit quasi "un'arte";

aspetti che, peraltro, hanno spinto l'Autore a concludere che sia praticamente impossibile definire regole univoche ed universali sui modi di governare un ente non profit.

1.4.1. Le caratteristiche di governance di fondazioni, associazioni e cooperative sociali

Una volta definito il concetto di governance, si può passare direttamente all'analisi dei modelli di governo adottati dalle organizzazioni non profit. L'analisi di questi modelli passa attraverso due interrogativi di fondo, ossia: chi dovrebbe governare un'organizzazione non profit e chi, di fatto, governa tale ente?

La risposta a tali interrogativi è tutt'altro che semplice, ancor più se si pensa al fatto che, attualmente, il nostro codice civile non definisce né regolamenta con precisione la struttura degli organi di governo e di controllo delle aziende non profit e che, di conseguenza spetta ai singoli statuti delle organizzazioni non profit il compito di definire in piena autonomia il proprio assetto di governo (Propersi, 1999, p. 148).

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Per ciò che concerne il primo interrogativo (chi dovrebbe governare le onp?) pare inevitabile estendere, a questo caso, quelli che sono i principi di base che l'economia aziendale prevede siano applicati alle aziende profit per la soluzione della questione.

In tal senso, si rinvia alla cosiddetta teoria del soggetto economico, secondo la quale titolare del potere di governo economico di qualunque istituto sarebbe proprio il soggetto economico, ossia l'insieme delle persone fisiche nell'interesse delle quali l'istituto è posto in essere e governato (Masini, 1979).

Se, pertanto, la teoria del soggetto economico prevede che sia tale soggetto economico a doversi occupare del governo economico dell'istituto, resta il problema di definire quali siano le caratteristiche del soggetto economico di un'organizzazione non profit. Chi sono, dunque, i soggetti che rischiano maggiormente a fronte dell'attività delle aziende non profit e ai quali spetta il potere di governare l'azienda stessa?

Senza dubbio, va detto che, da questo punto di vista, le differenze rispetto all'azienda profit non sono per niente irrilevanti. Se, infatti, nell'azienda profit, ossia in un istituto nel quale prevalgono i fini economici della adeguata remunerazione dei prestatori di lavoro e dei conferenti di capitale, sono proprio questi ultimi (lavoratori dipendenti e conferenti di capitale di rischio) a dover governare l'impresa, nel caso di un'azienda non profit, le cose stanno un po’ diversamente. In questo caso, fra i vari soggetti portatori di interessi verso l'azienda (conferenti di capitale, lavoratori stipendiati, lavoratori volontari, collettività destinataria dei servizi prodotti) sarebbero soltanto i lavoratori stipendiati e i membri della collettività di riferimento a costituire il soggetto economico e, di conseguenza, coloro ai quali spetterebbe il governo economico dell'istituto.

Sono questi, infatti, i soggetti che rischiano maggiormente a seguito di una eventuale conduzione anti-economica dell'azienda: i lavoratori stipendiati, che, in tal caso, non vedrebbero soddisfatte le loro attese di remunerazione e la collettività, che, in tale ipotesi, non vedrebbe soddisfatta la sua aspettativa di ottenere dall'ente servizi socialmente rilevanti.

Per contro, i conferenti di capitale di rischio non hanno un interesse economico diretto legato al rimborso o alla remunerazione a fronte dei versamenti effettuati, visto che l'unico loro interesse in tal senso potrebbe essere definito di ordine sociale-morale. L'aspettativa di fondatori, associati o di chiunque abbia apportato capitale è che tali fondi non vengano sperperati, ma che siano utilizzati per il finanziamento della finalità istituzionale. I conferenti di capitale di rischio, quindi, non sopportano alcun rischio diretto in caso di gestione diseconomica dell'ente, dato che quel finanziamento è stato dettato unicamente da motivi di ordine sociale e morale. Lo stesso vale per i volontari, che non attendendosi contropartite di

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ordine economico, ma solo di soddisfazione personale, non rischiano in senso economico in caso di mala-gestione dell'ente.

In merito al secondo interrogativo (chi governa, di fatto, le organizzazioni non profit?), va ricordato che, attualmente, anche a ragione delle carenze legislative cui si è fatto cenno sopra, i sistemi di governance degli istituti del terzo settore sono estremamente vari, oltre che caratterizzati da differenti livelli di complessità.

Qui di seguito verranno analizzati, nello specifico, i modelli adottati per fondazioni e associazioni.

Nel caso delle fondazioni, enti morali dotati di un patrimonio donato da un fondatore e operanti a servizio della collettività, gli assetti di governance sono ispirati ai seguenti principi:

- controllabilità da parte del fondatore; - ermeticità istituzionale rispetto alla società civile; - sensibilità del fondatore quale prevalente criterio guida di tutta

l'attività aziendale.

Gli organi di governo delle fondazioni, dunque, sono espressione, più o meno diretta, del fondatore e dei suoi discendenti. Solitamente è proprio il fondatore stesso a designare, con l'atto di fondazione, le persone alle quali spettano i compiti di governo. Più frequentemente la carica spetta allo stesso fondatore o, tuttalpiù, ai suoi eredi; raro è il caso in cui siano terzi, enti pubblici o privati, a ricoprire tale carica.

Gli amministratori possono essere nominati a vita, quindi l'incarico può avere durata illimitata. Amministratori di fondazioni possono essere sia persone fisiche che persone giuridiche. La rimozione dei membri a vita del consiglio di amministrazione dall'incarico avviene, solitamente, secondo il meccanismo dello svuotamento della carica di ogni potere effettivo e con il successivo conferimento di cariche onorarie. Inoltre, è possibile che entrino a far parte dell'organo amministrativo anche rappresentanti delle categorie e dei gruppi sociali, a beneficio dei quali è stata istituita la fondazione.

Nelle fondazioni, l'organo di sindacato e di riscontro dei compiti di governo economico è rappresentato dal collegio dei revisori nominato direttamente dallo stesso.

Una struttura di governo simile solleva due questioni di non poco rilievo. La prima è quella relativa al caso in cui il fondatore, che solitamente

ricopre la carica di presidente del consiglio di amministrazione con incarico a vita, non sia più in grado di soddisfare i bisogni specifici della collettività di riferimento. In questo caso, analogamente a quanto si verifica nel caso di aziende profit, si pone un problema di agenzia tra la fondazione e la collettività: il fondatore (agente) si pone obiettivi ed attua comportamenti diversi da quelli auspicati dalla collettività di riferimento che la fondazione

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si propone di servire (principale). Si pone, a questo punto, la necessità di identificare adeguati meccanismi di convergenza tra le esigenze della collettività e quelle della fondazione, al fine di scongiurare il rischio di eventuali trasposizioni di fini.

La seconda questione che si pone, riguarda, invece, l'eventuale successione di discendenti alla figura del fondatore. Anche in tal caso, sembra riproporsi un problema di agenzia. Spesso, infatti, può accadere che i discendenti del fondatore o il nuovo consiglio di amministrazione non siano dotati della medesima sensibilità verso l'attività della fondazione dimostrata dal fondatore. Per la soluzione della questione si impone, pertanto, la necessità di istituire meccanismi che possano favorire i passaggi di generazione in generazione o di consiglio di amministrazione in consiglio di amministrazione, oltre all'opportunità di un coinvolgimento all'interno degli stessi organi istituzionali della società civile, destinataria dei servizi della fondazione.

Il panorama delle fondazioni è però talmente variegato da impedirci di riscontrare in esse un unico modelli di governance. Quanto affermato sopra non vale, infatti, per le fondazioni definite da alcuni come "fondazioni di intermediazione filantropica", impegnate nella produzione di servizi di raccolta di donazioni da individui e di successiva distribuzione ad organizzazioni (Barbetta, Bellavite Pellegrini, 2000, p. 139).

I problemi di governance più spiccati che contraddistinguono questa tipologia di fondazioni derivano dal rapporto di agenzia che si crea fra il donatore e gli amministratori della fondazione stessa. Anche a questo proposito, è bene fare un ulteriore precisazione: non in tutte le fondazioni filantropiche il problema dell'asimmetria informativa si presenta con la medesima intensità; è quindi bene distinguere fra intermediari filantropici nati da una sola grande donazione e intermediari filantropici nati da molte piccole donazioni.

Nel caso delle fondazioni il cui patrimonio proviene da una sola fonte, come le private e le corporate foundations americane, l'asimmetria informativa tra donatore e amministratore dell'intermediario è attenuata dal fatto che il donatore (individuo e impresa) è in grado di governare in modo più o meno diretto la propria organizzazione. Infatti è generalmente il fondatore (o persone da lui designate attraverso lo statuto) che nomina i trustees della fondazione e, attraverso di loro, governa l'organizzazione in modo diretto, controllando l'operato dei manager (che godono di gradi più o meno elevati di autonomia)10. In questo caso, gli eventuali problemi di

10 Molti degli statuti delle grandi private e corporate foundations americane affidano il

potere di nomina dei trustees al fondatore, a membri della sua famiglia o dell'impresa

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agenzia che si dovessero verificare nel rapporto tra fondatore e management potrebbero venire risolti grazie alla possibilità del primo di influenzare i consigli di amministrazione o di agire direttamente quando egli stesso sieda in consiglio.

La situazione sopra descritta costituisce un tipico caso di concentrated ownership (Shleifer, Vishny, 1997) che consente di risolvere i problemi di agenzia tra fornitori del capitale di rischio (i donatori nel caso della fondazione) ed amministratori del capitale stesso. La fondazione che nasce da una sola grande donazione può dunque essere assimilata all'impresa ad azionariato concentrato, dove l'assunzione del rischio residuale porta con sé il potere di assunzione delle decisioni (Fama, Jensen, 1983). Infatti, in un'impresa ad azionariato concentrato, il possesso di una quota rilevante del capitale sociale garantisce la possibilità di sedere in consiglio di amministrazione, controllando dunque in modo diretto l'andamento delle attività.

Questo meccanismo di governo delle fondazioni rischia tuttavia di generare un altro problema: il potere dei concentrated owners (del fondatore o dei trustees da lui nominati e che si auto-perpetuano) può indurre alcuni stakeholder non owners (principalmente i manager ma anche i destinatari degli interventi) a non effettuare investimenti specifici per il timore di una sorta di hold-up problem ( Milgrom, Roberts, 1992, p. 136 e segg.). Infatti, in una struttura in cui il donatore può, in qualsiasi momento, condizionare l'operato dei manager, ignorandone il giudizio e ribaltandone le decisioni, questi ultimi avranno un incentivo modesto a sviluppare competenze specifiche nella valutazione delle organizzazioni che richiedono donazioni. Le competenze sviluppate dai manager sarebbero infatti difficilmente rivendibili, mentre la possibilità del donatore di avere l'ultima parola riguardo all'assegnazione dei finanziamenti ridurrebbe l'utilità dei manager11.

Nel caso di fondazioni il cui patrimonio è costituito da una pluralità di piccole donazioni, i problemi di agenzia tra donatore e amministratore della fondazione si accentuano in maniera del tutto analoga a quanto accade per le imprese capitalistiche ad azionariato diffuso, caratterizzate da quella che è stata definita come separazione tra proprietà (di una pluralità di piccoli azionisti dispersi) e controllo (di pochi amministratori) (Berle, Means, 1932). fondatrice, a persone da questi originariamente designate o alla procedura di cooptazione che tende a garantire comunque il rispetto dei desideri del fondatore.

11 Come accade per le imprese a fine di lucro, quindi, anche per le fondazioni al diminuire del proprio potere decisionale all'interno della fondazione stessa, i manager saranno incentivati a massimizzare una propria funzione di utilità anziché il benessere della collettività.

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Nelle fondazioni il cui patrimonio viene da una molteplicità di fonti, i

donatori dispersi non sono solitamente in grado di nominare direttamente i trustees; si può infatti osservare come gli statuti delle community foundations prevedano solitamente che gli amministratori siano scelti da un certo numero di enti di nomina (estranei ai donatori), oppure sulla base del meccanismo della cooptazione. In questo caso, la fondazione potrebbe presentare problemi di agenzia tipici delle public companies, con amministratori e manager che puntano a massimizzare i propri benefici in presenza di costi di monitoraggio elevati da parte di altri stakeholder (i donatori, i beneficiari, la collettività). La presenza di un vincolo di non distribuzione dei profitti per gli intermediari finanziari filantropici può allora essere pensato come uno degli espedienti che consente di superare i problemi di agenzia sopra evidenziati.

Secondo molti (Barbetta, Bellavite Pellegrini, 2000) garanzie al perseguimento delle finalità filantropiche potrebbero venire da un'adeguata composizione degli organi di governo, dal bilanciamento dei loro poteri oltre che dalla predisposizione di meccanismi volti ad aumentare la trasparenza del processo decisionale.

Il problema del disegno ottimale della struttura di governo, infatti, risulta estremamente rilevante anche in assenza di figure istituzionali di azionisti che sopportano il rischio d'impresa e hanno diritto ai flussi residuali. Questo problema riguarda sia le fondazioni che nascono da grandi donazioni, sia le fondazioni che nascono da una pluralità di piccole donazioni. In quest'ultimo caso, però, i problemi di agenzia tra donatori ed amministratori tendono ad essere ridotti, visto che i primi possono controllare i secondi in modo diretto o indiretto. Le fondazioni che nascono da poche grandi donazioni sembrano infatti assomigliare a quelle imprese la cui struttura di controllo è in mano a pochi azionisti e, nel caso in cui la fondazione nasca da una singola donazione, da un solo azionista di controllo. Questa struttura proprietaria tende a minimizzare i costi connessi con il monitoraggio dell'operato dei manager. I problemi sembrano invece essere molto più rilevanti nel caso in cui la fondazione nasce da una pluralità di piccole donazioni.

A questo proposito, la letteratura economica che ha analizzato le strutture di governo delle imprese ad azionariato diffuso fa ritenere opportuna la realizzazione di meccanismi di governance in cui i poteri di indirizzare le decisioni, di implementarle e di controllarne l'esecuzione siano assegnati a soggetti differenti. Nelle imprese ad azionariato diffuso, la separazione tra organismi deputati alla direzione delle decisioni (iniziazione e implementazione delle decisioni) ed organismi deputati al controllo delle decisioni stesse (ratifica e controllo in senso proprio) può essere interpretata,

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seguendo Fama e Jensen (1983), come l'esito necessario della separazione fra i soggetti che assumono il rischio residuale e quelli che godono della direzione delle decisioni; questa separazione è generalmente l'esito di un processo di specializzazione che contraddistingue le organizzazioni complesse da quelle semplici.

Anche nelle fondazioni create da una pluralità di donazioni si realizza una separazione fra soggetti che assumono il "rischio residuale" e soggetti cui spetta la direzione delle decisioni. In particolare, essendo vietata la distribuzione di ogni profitto, non esistono soggetti titolari del diritto alla remunerazione residuale di una fondazione e, di conseguenza, non esistono soggetti che sopportano il rischio residuale. I titolari della implementazione delle decisioni (i manager della fondazione) non debbono dunque sopportare i rischi finanziari dei propri provvedimenti. In queste circostanze diviene opportuno assegnare il potere di controllo delle decisioni a soggetti diversi (come i boards of trustees) rispetto a quelli che godono del potere di implementazione delle decisioni stesse; questa scelta di separazione dei poteri evita che i titolari dei poteri di implementazione delle decisioni, non dovendo affrontare alcun rischio residuale, tendano ad assumere decisioni che avvantaggiano se stessi piuttosto che i beneficiari finali dell'azione della fondazione. Analogamente a quanto si verifica per il settore profit, la sorveglianza sull'operato del management nel caso della società ad azionariato diffuso è pessima (Fulghieri, Zingales, 1998).

La composizione ottima di un consiglio d'amministrazione è vista dalla letteratura economica come una possibile soluzione ai costi di agenzia del capitale proprio. Anche nel caso delle fondazioni, un'ulteriore riflessione sulla composizione dei consigli d'amministrazione dovrebbe aiutare a risolvere parte dei problemi sopra descritti.

Nel caso delle imprese ad azionariato diffuso, gli azionisti delegano a soggetti terzi (gli amministratori) le funzioni di direzione delle decisioni e di controllo delle stesse. Il consiglio d'amministrazione non solo svolge una funzione di direzione e di controllo in rappresentanza degli azionisti che sopportano il rischio residuale, ma diventa anche il massimo organo di giudizio del lavoro manageriale. Come luogo di valutazione del lavoro manageriale il consiglio d'amministrazione risulta essere uno strumento particolarmente rilevante anche per le fondazioni.

La letteratura economica ha poi sottolineato come la presenza nei consigli d'amministrazione di soggetti esterni al fianco dei membri interni limiti la discrezionalità di questi ultimi e fornisca utili e rilevanti pareri da parte di soggetti particolarmente qualificati e con competenze in settori rilevanti per l'attività sociale. Altre volte, soggetti esterni che siedono in consiglio rappresentano legami utili con altri gruppi industriali e finanziari.

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Nelle fondazioni, fra i soggetti esterni, dovrebbero essere rappresentati in consiglio coloro che sono portatori di una particolare classe d'interessi che riguarda la vita dell'organismo. In questo senso dovrebbero essere rappresentati in consiglio anche gli interessi dei creditori dei clienti, dei fornitori e, con certi limiti, anche quelli dei lavoratori. In quest'ottica contrattuale, la presenza di manager nel consiglio d'amministrazione dovrebbe essere fortemente limitata. La presenza di amministratori esterni ha un reale beneficio sulle performance dell'impresa solo se questi sono indipendenti dal management. Fama e Jensen (1983) sostengono che la contemporanea presenza in consiglio di interni ed esterni avrebbe il significato di facilitare i flussi informativi senza che si profilino ipotesi di collusione fra consiglio e management. Baysinger e Butler (1985) individuano la composizione ottima del consiglio d'amministrazione osservando la relazione fra performance dell'impresa e composizione del consiglio. La composizione ottima del consiglio sarebbe un appropriato mix fra elementi interni - che vengono chiamati executive - esterni - come amministratori realmente indipendenti che vengono definiti monitoring - e terzi con competenze specifiche o con legami con altre imprese, che vengono definiti instrumental. La prima componente, quella executive, è composta da individui con profili professionali qualificati che provengono dall'interno dell'impresa e che sono stati consulenti della stessa. Costoro hanno la funzione di fornire flussi informativi privilegiati e di fornire un punto di vista interno nel processo di valutazione del management. La seconda componente, quella monitoring, la cui caratteristica più rilevante è quella di essere indipendente dal mangement, ha la funzione di controllare se questo agisce in linea con gli interessi degli azionisti. Mentre la terza componente, quella instrumental, ha una funzione che è più ampia di quella dei membri executive. Costoro, grazie a particolari relazioni personali, sono in grado di creare utili rapporti con rappresentanti di altre imprese o gruppi di imprese.

Queste riflessioni non hanno trovato sinora un equivalente nell'ambito delle fondazioni; nel caso delle fondazioni originate da una pluralità di donazioni, le difficoltà nel proporre indicazioni riguardo ai soggetti che debbano sedere in consiglio d'amministrazione è una conseguenza diretta della difficoltà ad individuare "l'azionista", cioè il soggetto nel cui interesse la struttura dovrebbe essere gestita.

Nella tradizione statunitense, i consigli d'amministrazione delle fondazioni private (nate da una sola grande donazione) tendono ad essere espressione della volontà dei fondatori e quindi a riflettere, nella loro composizione, i desideri e le aspirazioni di questi ultimi. In questi casi, il meccanismo di nomina dei membri dei consigli d'amministrazione è rappresentato quasi esclusivamente dalla cooptazione dei nuovi membri da

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parte di quelli in carica. Questo meccanismo di nomina è molto efficace perché consente di rendere massimo il controllo dell'operato della fondazione da parte del suo donatore principale12.

I meccanismi di nomina delle fondazioni che nascono da una pluralità di donazioni di dimensioni modeste (come le fondazioni comunitarie) sono tendenzialmente differenti e tendono ad affermare l'idea che l'azionista di riferimento di questi intermediari filantropici sia rappresentato dall'insieme dei donatori e dei beneficiari. Infatti, nell'impossibilità di tenere conto della volontà di ogni singolo donatore, i membri del consiglio d'amministrazione sono solitamente nominati da una pluralità di organismi pubblici e privati rappresentativi sia degli interessi dei donatori sia dei bisogni della collettività (e quindi dei beneficiari) entro cui le fondazioni si trovano ad operare. A questi amministratori è poi spesso affidato il potere di cooptare ulteriori membri che li affianchino nel governo della fondazione. In perfetta analogia con le società ad azionariato diffuso, in queste fondazioni un potere rilevante è poi goduto dal management.

***

Nel caso di associazioni e cooperative sociali, invece, i componenti

dell'organo di governo economico sono nominati, nel primo caso, direttamente dall'assemblea degli associati e, nel secondo, dall'assemblea dei soci.

L'assemblea degli associati è l'organo sovrano delle associazioni ed è formato dall'intera collettività degli associati. Ogni associato ha diritto di voto. Le deliberazioni vengono prese con la maggioranza dei voti. L'organo di governo delle associazioni può essere formato da un'unica persona, oppure, come più frequentemente si verifica, da più persone che compongono il consiglio di amministrazione. I primi amministratori sono nominati nell'atto costitutivo, mentre quelli successivi vengono nominati dall'assemblea.

Contrariamente a quanto accade nelle fondazioni, non è prevista la possibilità di nominare un amministratore a vita. Amministratore di un'associazione può essere anche una persona non avente la qualifica di associato. Di norma viene nominato amministratore il presidente dell'associazione, con nomina o da parte dell'assemblea o da parte del consiglio di amministrazione. Oltre all'assemblea e agli amministratori, obbligatoriamente previsti dalla legge, l'atto costitutivo e lo statuto possono prevedere la presenza di altri organi, tra cui l'organo di sindacato e riscontro

12 E' come se il donatore principale, cooptando suoi alter ego in consiglio, perpetuasse

nel tempo il suo spirito e la sua filosofia di vita, oltre l'orizzonte della sua vita.

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degli atti di governo economico nominato direttamente dall'assemblea e il collegio dei probiviri avente la funzione di dirimere eventuali controversie sociali che possono sorgere fra gli associati e l'associazione stessa o i suoi organi.

Anche nell'ambito delle cooperative sociali l'organo sovrano è costituito dall'assemblea dei soci. Ogni socio ha diritto a un voto, indipendentemente dall'ammontare della quota sottoscritta e il numero dei soci è illimitato. L'ammissione a socio della cooperativa è deliberata dal consiglio di amministrazione, a sua volta nominato dall'assemblea.

Agli organi sopra citati si aggiungono, per le cooperative sociali, anche organi di sindacato e riscontro degli atti di governo economico e il collegio dei probiviri.

Il problema di governance di maggiore rilevanza che si pone con riferimento alle associazioni e alle cooperative sociali, le quali, rispetto alle fondazioni, presentano una struttura di governo maggiormente democratica, riguarda la possibilità che i consigli di amministrazione diventino l'organo "forte" dell'organizzazione, in grado di operare in modo del tutto indipendente dall'assemblea. Tale rischio si manifesta, in particolare, nelle associazioni e nelle cooperative sociali, specie se di grandi dimensioni, in cui l'assemblea è composta da un elevato numero di associati e soci, spesso inattivi e dispersi sul territorio.

In queste circostanze, si assiste ad un vero e proprio trasferimento di sovranità dall'assemblea al consiglio di amministrazione, il quale, inoltre, diviene espressione non della maggioranza dei membri, ma di piccole minoranze che nominano gli organi di governo sulla base del meccanismo della raccolta delle deleghe. Il consiglio di amministrazione non vede più nell'assemblea, come invece dovrebbe accadere, l'organo in grado di sfiduciare la propria azione, bensì si trova dinanzi un organo paralizzato inefficace e inefficiente nella sua azione. Si ripropone così, anche in questo caso, il problema dell'agenzia. In una situazione simile, infatti, c'è il rischio che l'organo direttivo persegua obiettivi divergenti dalle attese della collettività rappresentata dall'organo assembleare. La collettività di riferimento (principale) si trova di fronte ad un consiglio di amministrazione (agente) non solo nominato da una minoranza, ma anche potenzialmente deviante dai comportamenti desiderati.

Il vero problema di queste organizzazioni risiede nella sostanziale assenza di controllo e nell'incapacità reale da parte di larga parte della società di far sentire la propria voce, un problema che qualcuno (Berle e Means, 1932) ha perfino assimilato a quello che contraddistingue le public company americane, ossia forte concentrazione nelle mani del consiglio di amministrazione a seguito della elevata dispersione della proprietà e quindi del diritto di voto nell'assemblea (Propersi, 1999, p. 146 e segg.).

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Strutture organizzative e assetti di governance del non profit

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***

Analizzando le caratteristiche di governance delle principali categorie di

aziende non profit, si può concludere che, sia per le fondazioni che per quegli enti non profit organizzati in forma più democratica (ossia associazioni e cooperative sociali), il problema più evidente è quello di agenzia, che si traduce nel rischio di una potenziale conflittualità di obiettivi tra la collettività di riferimento (principale) e gli amministratori (agente).

Così come accade per le aziende profit, anche per le non profit, pare che uno dei principali problemi di governance sia rappresentato proprio dall'individuazione di quei meccanismi in grado di garantire che gli amministratori si comportino in modo tale da tutelare gli interessi di tutte le categorie di stakeholder: i lavoratori, la collettività destinataria dei servizi, i fornitori ecc..

Il superamento del problema di agenzia sarebbe però agevolato anche dalla presenza della collettività di riferimento negli assetti istituzionali nonché dalla sua partecipazione diretta al governo economico degli enti.

La ricerca economico-aziendale si propone dunque di:

- individuare le soluzioni più adeguate a tale questione e, in particolare, di identificare i possibili compiti e i possibili canali di rappresentanza della società civile negli organi delle aziende non profit, favorendo quel processo che la sociologia anglosassone definisce di democratisation;

- definire i canali istituzionali "di collegamento" tra la società civile e gli organi a cui spettano nel concreto i compiti di governo economico e di controllo dell'azienda non profit.

Si propone dunque di dotare gli istituti non profit di:

- consigli di amministrazione autorevoli, competenti e operativi, nominati secondo procedure trasparenti in grado di attrarre e motivare persone di livello ed esperienza adeguati;

- sistemi di governo in cui si realizzino adeguate ripartizioni di responsabilità e poteri e un corretto equilibrio tra gestione e controllo;

- efficaci sistemi di controllo interno in grado di identificare, prevenire e gestire, per quanto possibile, i rischi di natura finanziaria e operativa, nonché le frodi a danno dell'azienda;

- soprattutto per le associazioni, adeguati canali di comunicazione e di coinvolgimento degli associati;

- organi esterni di controllo indipendenti;

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- canali istituzionali e informativi che consentano ai finanziatori di salvaguardare il loro "investimento" e alla società civile di partecipare attivamente alla vita degli enti (Propersi, 1999, pp. 154, 55).

1.4.2. Caratteristiche di governance e performance aziendali

Se, dunque, fino ad ora si sono analizzati i modelli di governance delle onp cercando di dare rilievo alle particolarità che contraddistinguono questi ultimi da quelli tipici delle aziende profit, non si può certo dimenticare a questo punto quella parte consistente di letteratura, prevalentemente di carattere internazionale, che ha cercato di capire se le caratteristiche di governo di un'onp potessero in qualche modo incidere sulle performance aziendali, ossia sul perseguimento delle condizioni di efficacia ed efficienza da parte degli enti non profit.

In altre parole, è possibile identificare un collegamento fra composizione e struttura dell'organo di governo e capacità dell'ente non profit di perseguire le condizioni di efficacia e di efficienza?

A questo proposito, Siciliano e Floyd (1993) affermano che la presenza di molti consiglieri favorisce la predisposizione di un piano strategico negli enti non profit, migliornadone, così, l'efficacia. Young e Sleeper (1988), al contrario, sostengono che organi di governo estremamente numerosi abbiano una minore capacità di implementazione delle decisioni assunte nel piano strategico.

Vi sono poi Autori che focalizzano la loro attenzione specialmente sugli aspetti di struttura dell'organo di governo. In particolare, Stone (1991) ha messo in risalto come la presenza di una composta e sensata articolazione dell'organo di governo rappresenti un fattore critico per lo sviluppo di un'attività effettiva di governo dell'ente e per la definizione di condotte orientate al lungo periodo. Coerentemente con questo pensiero, Smith e Shen (1996) hanno dimostrato che enti non profit con un organo di governo strutturato ed articolato godono, solitamente, di una buona reputazione sul mercato. Per ciò che riguarda il rapporto con gli utenti, poi, Hardina (1990) ha evidenziato lo scarso impegno dell'organo verso il coinvolgimento dei clienti/fruitori dei servizi nella vita sociale dell'ente non profit. Bradsha, Murray e Wolpin (1992) hanno posto l'accento, basandosi su un'indagine condotta su ben quattrocento aziende non profit, sull'esistenza di una relazione tra l'efficacia dell'ente non profit e l'utilizzo di norme e regole a supporto del funzionamento del consiglio di amministrazione. Alter (1990) ha, invece, evidenziato come un'alta intensità dei servizi ed un basso grado di maturità del cliente accrescano le esigenze di coordinamento degli enti non profit. Al crescere del livello di coordinamento si accentuano i conflitti

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interni, che rendono necessario l'ampliamento del peso del management rispetto ai ruoli operativi. Infine, Jenster e Overstreet (1990) affermano che gli enti non profit, che definiscono ex ante le azioni da intraprendere, sono quelli che hanno un management sofisticato e un consiglio di amministrazione disciplinato da regole precise.

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dall’irrealismo neoclassico alla differenziazione dei prodotti, marzo 2001. 13. Elisabetta CORVI, Le valenze comunicative del bilancio annuale. I risultati di

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commerciali, aprile 2002. 21. Vincenzo CIOFFO, La riforma dei servizi a rete e l'impresa multiutility, maggio 2002. 22. Giuseppe MARZO, La relazione tra rischio e rendimento: proposte teoriche e ricerche

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∗ Serie depositata a norma di legge

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Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030/2988.551-552-553-554 fax 030/295814e-mail: [email protected]