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STRUMENTI PER L’OSSERVAZIONE ASTRONOMICA Teoria e pratica di Riccardo Spada Una pubblicazione: C.O.D.A.S. Centro Osservazioni e Divulgazione Astronomiche Siracusa 1

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STRUMENTI PER L’OSSERVAZIONE

ASTRONOMICA

Teoria e pratica

di Riccardo Spada

Una pubblicazione:

C.O.D.A.S.

Centro Osservazioni e Divulgazione Astronomiche

Siracusa

1

GLI STRUMENTI OTTICI

La storia delle lenti e' ben piu' antica di quanto comunemente si creda: esistono antiche

testimonianze scritte, che ci narrano di "pietre levigate e trasparentissime"che sarebbero state usate

per accendere il fuoco. Di esse c'e' traccia perfino nella tradizione greca antica: per esempio nella

commedia "Le ombre" di Aristofane, risalente addirittura al 423 a.C.! C’é da chiedersi quindi come

mai ci siano voluti quasi venti secoli per arrivare alla costruzione del cannocchiale "galileiano", che

in realta' fu costruito da un occhialaio olandese, il Lippershey. I grandi filosofi dell'antichita', non

avendo capito nulla del funzionamento delle lenti convergenti, per giustificare il loro fallimento,

pronunciarono la condanna:"non si deve guardare attraverso di esse perché ingannano", e tale

sentenza dominò nel campo scientifico fino al XVII secolo.

Tuttavia, da qualche secolo prima, intorno al 1200-1300, pare che fossero in circolazione delle

"lenti per giovani", ovvero lenti divergenti per curare la miopia giovanile: significativo e' il fatto che

la fonte di tale notizia non sia un trattato scientifico, ma un carteggio commerciale tra i Duchi

Sforza di Milano,e artigiani fiorentini (perché pare che a Firenze, queste "lenti per giovani" fossero

costruite meglio che a Milano). Chissà come sarebbe oggi il mondo, se casualmente Lippershey non

avesse posto una lente convergente davanti ad una di quelle "lenti per giovani"che gli garantivano il

pane quotidiano, inventando così il cannocchiale nella sua forma più semplice!

Galileo, venuto a sapere dell'esistenza del cannocchiale, e entrato in possesso degli schemi per

costruirlo, si mise egli stesso a produrne, e ne fece molti esemplari, sempre più perfezionati.

Oggi questo semplice strumento porta il suo nome

non perché egli ne sia stato l'inventore,ma perché fu

il primo a comprenderne l'enorme potenziale

scientifico. E' l'epoca preistorica (e a suo modo,

eroica) dei telescopi aerei, nei quali l'obbiettivo

veniva posto in cima ad un palo, ed il povero

astronomo andava a cercarsi il fuoco con l'oculare collegato all'obbiettivo tramite una lunghissima

fune.

Il primo disegno ,di cui siamo a conoscenza, riferito ad

un cannocchiale.

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Sembra incredibile, ma fu grazie a questo tipo di telescopi che Cassini scoprì la divisione che porta

il suo nome, e che il Campani riuscì ad individuare leggere

increspature nel manto nuvoloso di Venere, oltre ad innumerevoli

altre scoperte. Cominciavano anche a comparire i primi telescopi a

riflessione: il celebre Isaac Newton, tra una mela e l'altra, trovò

anche il tempo di inventare lo strumento che porta il suo nome...

A livello accademico cominciò a svilupparsi un certo interesse per

una branca scientifica fino allora negletta:e questo indubbiamente

anche per le ricadute economico-militari che i nuovi strumenti

garantivano!

Telescopi d'altri tempi. Le lenti iniziarono ad essere studiate,e si affermò una

interpretazione geometrica che interpretava la luce come composta

di "raggi luminosi", propagantesi in linea retta. Su questa interpretazione, e per oltre due secoli, i

matematici costruirono un'ottica geometrica di grande mole, ottenendo molti successi quali

l'invenzione del cannocchiale acromatico (Dollond) ed il suo definitivo perfezionamento

(Fraunhofer).

Tuttavia, ben presto ci si accorse sperimentalmente di un fenomeno

chiamato "diffrazione", che sembrava contraddire questa teoria. Se

la luce fosse composta da raggi rettilinei, dirigendo una sorgente

luminosa su uno schermo opaco, con un buco minuscolo al centro,

e posto al di là di esso un foglio di carta, dovremmo vedere su

quest’ultimo un punto luminoso. In effetti ciò che si osserva e' un

punto di luce, ma circondato da luminosi anelli concentrici.

Ancora: ponendo un dischetto circolare opaco di fronte ad una

sorgente luminosa puntiforme, si verifica che al di là di esso, e sul

suo asse, si forma un massimo di luce: la dove la luce, se fosse

composta di raggi rettilinei, non dovrebbe assolutamente arrivare.

Questi fenomeni, ed altri come l'interferenza, misero in crisi la

teoria geometrica dell'ottica.

Probabilmente il primo telescopio dotato

di una montatura "all'altezza".

Oggi sappiamo che la luce non e' composta da raggi rettilinei, ma e' una radiazione elettromagnetica

a carattere ondulatorio: e questo approccio allo studio dell'ottica, come vedremo, è di grande utilità

per comprendere il funzionamento degli strumenti ottici.

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Ogni corpo, comunque eccitato, è capace di emettere radiazioni a carattere ondulatorio: cause di

eccitazione possono essere campi elettrici, magnetici, o radiazioni di vari tipi. Se l'emissione del

corpo emittente e' limitata ad una sola frequenza, o lunghezza d'onda che dir si voglia, allora si dice

che siamo in presenza di radiazione monocromatica; viceversa, se tale emissione è costituita da più

frequenze sovrapposte, si dice che l'emissione è policromatica. La "luce", come comunemente la

intendiamo, è policromatica; composta cioè da più frequenze, o lunghezze d'onda, che vanno dal

rosso al violetto.

Per comodità, consideriamo per il momento la radiazione elettromagnetica proveniente dagli astri

come monocromatica ; quando essa incide sulle lenti del nostro rifrattore, la sua lunghezza d'onda y

si contrae fino a y/n, essendo n l'indice di rifrazione del vetro. Troppo complicato? Affrontiamo il

discorso da un altro punto di vista: quando la luce penetra in una materia trasparente, la sua velocità

diminuisce, in modo più o meno accentuato a

seconda dell'indice di rifrazione del vetro. Ora,

siccome una lente convergente é più sottile al

bordo che non al centro, quando un'onda

l'attraversa, la zona dell'onda stessa incidente in

prossimità dell'asse, o del centro della lente,

viene ritardata di più di quella vicina al bordo,

e così, se l'onda incidente era piana, l'onda

emergente dall'obbiettivo diventa sferica, e

converge sul fuoco strumentale. La luce però, come abbiamo visto, non e' una radiazione

monocromatica...

Da ciò discende che ogni frequenza che la compone, verrà ritardata, al passaggio nel vetro ottico, in

maniera differenziata, e, ad esempio, le frequenze rosse verranno ritardate meno di quelle violette:

da qui la dispersione dei vari colori.

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Analogamente a tutti i fenomeni propagativi ondulatori (come i suoni e le vibrazioni, per esempio)

un’onda elettromagnetica è caratterizzata da una velocità di propagazione v (dipendente dal mezzo

in cui avviene) e da una frequenza ν (numero di oscillazioni che si susseguono nell’unità di tempo e

di lunghezza; è indipendente dal mezzo); note queste due, si può ricavare la lunghezza d’onda λ (la

distanza tra due "picchi" vicini), applicando la relazione:

v = λν

Nel vuoto v = c = 3·108 m/s; in tutti gli altri mezzi v è minore di c, notoriamente la massima

velocità possibile secondo le leggi della fisica.

L’occhio umano riesce a percepire le lunghezze d’onda da un minimo dell’ordine di λ = 0,4 µm

(violetto) ad un massimo di λ = 0,7 µm (rosso); tale intervallo (o banda) dello spettro

elettromagnetico è detto, appunto, luce. L’unità di misura per le lunghezze in ottica è usualmente il

micron (1 µm = 10-6 m).

Sarebbe estremamente complicato studiare la luce con le leggi fisiche generalizzate che si applicano

a tutti i campi elettromagnetici. Nei casi in cui le lunghezze d’onda in gioco sono molto più piccole

dei mezzi materiali con i quali interagiscono, si può adoperare una teoria approssimata, l’ottica

geometrica, che si basa sulle proprietà geometriche della luce quando incide su discontinuità dello

spazio come, ad esempio, specchi e lenti. Una discontinuità è una regione di spazio riempita con un

materiale diverso dall’aria o dal vuoto (vetro, acqua, metallo, ecc..).

Senza aver la minima pretesa di una trattazione esaustiva dell’argomento, introduciamo ora quei

pochi concetti fondamentali che ci serviranno per spiegare a grandi linee il funzionamento di lenti,

specchi e telescopi (naturalmente...).

Si definisce raggio ottico (o luminoso) la direzione nella quale si propaga una determinata

radiazione luminosa che, nei casi che ci interessano, è una linea retta.

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Ogni mezzo materiale è caratterizzato da un indice di rifrazione n che è inversamente proporzionale

alla velocità di propagazione nel mezzo stesso secondo la relazione:

Nel vuoto abbiamo n = 1; per l’aria n è praticamente pari a quello del vuoto; per tutti gli altri mezzi

abbiamo n > 1.

Indice di rifrazione per alcuni mezzi alle frequenze ottiche

Vuoto 1,0000

Aria 1,0003

Diamante 2,47÷ 2,75

quarzo 1,46

vetro crown 1,51÷ 1,57

vetro flint 1,54÷ 1,75

acqua 1,33

LUCE E OTTICA ONDULATORIA

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Diffrazione e interferenza della luce

Spesso sentiamo dire che la luce, oltre ad avere una natura corpuscolare, ha anche una natura

ondulatoria. Allora la luce deve avere una lunghezza d'onda, una frequenza ed una velocità.

Nel grafico sopra, ambedue le onde hanno lunghezza d'onda e frequenza uguali ma sono in

opposizione di fase. Se si potesse trascinare l'onda blu indietro vedremmo le due onde sovrapporsi

perfettamente.

Ma, siccome sono sfasate di π , esse si distruggono reciprocamente.

Questa interferenza viene detta negativa o distruttiva.

Le onde possono anche

essere in fase in modo

tale da rinforzarsi:questa

interferenza viene detta

positiva o costruttiva.

Si possono avere diversi

comportamenti a

seconda delle diverse fasi interferenti tra di loro. E qui entra in gioco la diffrazione.

La luce si piega leggermente lungo l'orlo di barriere aggirandole e propagandosi anche dietro di esse

quando queste hanno una dimensione dell'ordine della lunghezza d'onda della luce.

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Questo fenomeno è detto diffrazione ed è caratteristico di tutti i fenomeni ondulatori, ma poiché le

lunghezze d'onda della luce visibile sono piccolissime, gli ostacoli corrispondenti dovranno essere

piccolissimi. Quando Francesco Maria Grimaldi (1618–1663) notò la prima volta che i bordi delle

ombre non erano netti, attribuì questo effetto alla diffrazione ed ebbe la netta sensazione che la luce

fosse un'onda.

Quest’idea fu confermata dal fisico inglese Thomas Young, quando realizzò il meraviglioso

esperimento della doppia fenditura nel 1801, mise un piccolo foro di fronte ad un fascio di luce

monocromatica (insieme di radiazioni luminose della stessa frequenza).

La luce che passava attraverso la fenditura era tutta in fase e non

Ma

ban

La l

Cos

Figure interferenziali in unendoscopio

subiva interferenze distruttive: quella fenditura diventava una

sorgente coerente. Ma come fare ad aver due sorgenti di luce

coerenti?

Egli piazzò due piccole fenditure di fronte al fascio di luce coerente

ed ottenne nel campo elettromagnetico quello che si ottiene in una

vaschetta ondoscopica quando due pignoni oscillano

periodicamente sulla superficie libera dell'acqua: le frange di

interferenza, evidenziabili dietro le due fenditure con particelle di

fumo in sospensione nell'aria.

il risultato non fu solo questo! Quando la luce diffratta giunse ad uno schermo si formarono

de illuminate e bande scure come nella figura qui sotto:

uce evidenzia effetti diffrattivi come tutti i fenomeni ondulatori.

a significa tutto questo?

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Le onde interferiscono una con l'altra creando bande luminose di interferenza costruttiva e bande

scure di interferenza distruttiva.

STRUMENTI PER OSSERVARE

La caratteristica più importante di un telescopio, contrariamente a quanto si crede, è il DIAMETRO

del suo OBIETTIVO: tanto più grande è il suo valore, tanto maggiore sarà la quantità di luce

raccolta dal nostro telescopio e quindi tanto maggiore l'ingrandimento effettivo utilizzabile, la

massima magnitudine visibile e il potere risolutivo del telescopio. Le nostre pupille, al buio, si

possono dilatare al massimo di 6 o 7 mm e questo vuol dire che c'e una superficie utile di 7 mm che

raccoglierà radiazione elettromagnetica proveniente dalle stelle. Se noi aumentiamo questa

superficie utile aumenteremo anche il flusso di energia raccolto (proporzionale appunto alla

superficie); praticamente raccoglieremo più luce e questo ci renderà possibile la visione di oggetti

deboli, che ad occhio nudo non potremmo vedere. Si capisce quindi come il diametro dell'obiettivo

di un telescopio sia importante per poter osservare oggetti deboli. Se noi poi raccogliamo più luce,

avremo anche più possibilità di ingrandire il nostro oggetto e di riuscire a "risolverne" i particolari.

Il potere risolutivo di un telescopio (o di uno strumento astronomico in generale - il discorso vale

anche, ad esempio, per i radiotelescopi, i telescopi in infrarosso, ecc.) è la capacità di riuscire a

distinguere due oggetti che siano molto vicini tra loro e lontani dall'osservatore. Un esempio: se io

prendo due lampadine e le metto davanti a me ad una distanza di due metri, le vedrò separate; se le

allontano di 100 o 200 metri, probabilmente non le vedrò più separate ma mi sembreranno una

lampadina sola. Usando un telescopio potrei nuovamente riuscire a distinguerle o, come si dice, a

"risolverle".

La seconda caratteristica importante e' la LUNGHEZZA FOCALE, che determina la luminosità

(soprattutto quella fotografica) del sistema. La lunghezza focale e' praticamente la lunghezza che

deve percorrere la luce per arrivare dall'obbiettivo all'oculare dove, appunto, sta il fuoco.

Attenzione: non e' il telescopio che ingrandisce l'immagine! Il telescopio serve solo, come descritto

prima, a raccogliere più luce. E' l'oculare, cioè un altro sistema di lenti, che ingrandisce l'immagine.

L'ingrandimento di uno strumento si trova dividendo la sua lunghezza focale per la lunghezza

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focale dell'oculare. Per esempio se ho un telescopio con 2 metri (2000 mm) di focale e un oculare di

10 mm di focale avrò:

2000 mm / 10 mm = 200 ingrandimenti

Quindi la lunghezza focale e' importante per calcolare gli ingrandimenti. Non è conveniente però

scegliere uno strumento con lunghezza focale elevata perchè questo si pagherebbe in termini di

luminosità: il discorso è del tutto analogo a quello degli obiettivi fotografici. Più un obiettivo è

luminoso e minore sarà il tempo di esposizione necessario per la fotografia. Lo stesso vale per i

telescopi, considerando che i tempi di posa possono venire ridotti di parecchi minuti (ore!) usando

strumenti luminosi. Il rapporto focale e' un indice della luminosità di uno strumento e si trova

dividendo la lunghezza focale per il diametro dell'obiettivo:

F (mm) / D = f

Più questo numero e' basso e più il telescopio e' luminoso.

Telescopi rifrattori

Un telescopio rifrattore e' uno strumento che sfrutta il principio fisico della rifrazione per

focalizzare i raggi luminosi provenienti dalla volta celeste. Tale principio dice che se un raggio

luminoso attraversa la superficie di interfaccia tra due mezzi diversi, esso subisce una deviazione

che dipende dalle caratteristiche dei due mezzi. Se un raggio luminoso passa quindi dall'aria al vetro

dell'obiettivo di un telescopio rifrattore, subirà un cambiamento di traiettoria. Tutti i raggi luminosi

vengono quindi focalizzati nel fuoco, dove si trova l'oculare che ingrandisce l'immagine.

L'obiettivo di un rifrattore e' costituito da una lente biconvessa o, in combinazioni con prestazioni

migliori, da un gruppo di due o tre lenti. L'aumento del numero di lenti riesce a correggere alcune

aberrazioni della lente singola (aberrazione cromatica, sferica). I rifrattori si presentano di solito

come dei tubi stretti e lunghi (quelli che si usano anche per osservazioni terrestri). Già questo ci fa

capire che sono strumenti con un rapporto Focale/diametro molto alto e quindi strumenti poco adatti

alla fotografia di oggetti deboli diffusi o nebulosi. I rapporti focali tipici di un rifrattore sono f/10,

f/15 quindi il diametro dell'obiettivo e' la decima, quindicesima parte della lunghezza focale.

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I telescopi rifrattori sono i più adatti per l'osservazione dei pianeti e della luna e danno di solito

delle immagini molto nitide ed incise. Sono molto facili da usare e non richiedono particolari tipi di

manutenzione necessari invece ai telescopi riflettori. Unico neo: costano tanto e più il diametro

aumenta e più sale il prezzo! I costi sono alti perché la lavorazione di una lente (nel caso di più lenti

ancora peggio!) richiede più tempo: bisogna lavorare due superfici e non semplicemente una come

per uno specchio.

E per questo che piuttosto che spendere milioni per un rifrattore di 30, 40 cm di diametro, che

peraltro sarebbe molto scomodo da utilizzare avendo un tubo di 3,4 metri(!), si preferiscono i

riflettori, strumenti molto più compatti e trasportabili.

Telescopi riflettori

I telescopi riflettori usano un'altro principio fisico per focalizzare la luce: la riflessione. La

riflessione e' forse più intuitiva della rifrazione (la sperimentiamo tutte le volte che ci guardiamo

allo specchio!). Nel rifrattore, l'obiettivo e' costituito da uno specchio concavo sferico o parabolico

che manda i raggi luminosi verso un secondo specchio(detto specchio secondario) piano o convesso

che può essere disposto in diverse configurazioni:

- configurazione NEWTON (la piu' semplice): lo specchio secondario e' piano e inclinato di 45

gradi in modo da riflettere il fascio luminoso proveniente dallo specchio primario verso un lato del

tubo del telescopio, vicino alla sua estremità aperta (da dove entrano i raggi). L'osservatore si mette

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quindi a lato del tubo; per grossi strumenti (30, 40 cm di diametro), puo' essere necessaria una

scala!

- configurazione CASSEGRAIN: lo specchio secondario e convesso e posto di fronte al primario e

riflette i raggi nuovamente verso il primario, che, essendo forato ne permette il passaggio fino

all'oculare che, stavolta, si trova sul fondo dello strumento (analogamente ai telescopi rifrattori).

- configurazione SCHMIDT-CASSEGRAIN: e' identica alla Cassegrain tranne che per la presenza

di una lente correttrice davanti all'apertura del telescopio. Tale lente serve per correggere

l'aberrazione sferica dello specchio primario.

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Esistono molte altre configurazioni e qui ci siamo limitati alle principali. I vantaggi del telescopio

riflettore sono la sua luminosità (f/4.5 f/7) e la sua compattezza che lo rende uno strumento con

vaste possibilità di utilizzo e facilmente trasportabile, almeno fino a diametri dell'obiettivo di 25, 30

cm. La fotografia di oggetti deboli come galassie, nebulose viene fatta proprio con questi strumenti.

I telescopi più grossi del mondo (Palomar, e molti altri) sono riflettori. Provate ad immaginare un

rifrattore di 5 m di diametro con un tubo lungo 50 metri e più...!

Un rifrattore, come visto nella puntata precedente sono meno costosi dei rifrattori a parità di

diametro ma necessitano di qualche accorgimento in più come ad esempio la periodica centratura

delle ottiche e, dopo qualche anno la rialluminatura della superficie riflettente dello specchio.

Accessori per i telescopi

Anche per parlare di accessori ci vorrebbe tanto tempo e quindi mi limito ad alcuni esempi:

oculari: in realtà non sono così "accessori" in quanto averne almeno uno e' indispensabile altrimenti

non si potrebbe usare il telescopio. Ce ne sono di diverse focali e di diversi tipi. La qualità di un

oculare dipende dal tipo di gruppo ottico che sta al suo interno: ci sono oculari semplici (e

scadenti!) e oculari più complicati (e costosi!)

filtri: i filtri che di solito vengono dati in dotazione con i telescopi commerciali sono due: quello

solare e quello lunare. NON USARE MAI IL FILTRO SOLARE PER OSSERVARE IL SOLE

DIRETTAMENTE!!!! Tale filtro infatti deve sopportare tutta la radiazione proveniente dal sole

concentrata sulla sua superficie ed e' molto facile che dopo alcuni minuti si rompa. Chiaramente se

lui si rompe mentre voi state lì a guardare...non si romperà solo lui ma anche la vostra retina! Ci

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sono altri metodi per osservare il sole: usare dei filtri posti DAVANTI all'obiettivo oppure

proiettarne l'immagine su degli schermi (forniti di solito in dotazione con i piccoli telescopi

rifrattori). Il filtro lunare serve a limitare la luminosità del nostro satellite che, se in fase avanzata, ci

manda una luce che può essere fastidiosa. Altri filtri servono per le osservazioni dei pianeti, per far

risaltare certi particolari. Altri ancora servono per poter osservare meglio in presenza di

inquinamento luminoso.

prismi vari: prismi per raddrizzare l'immagine (che al telescopio appare capovolta) da usare per le

osservazioni terrestri.

minicomputer per puntamento automatico, motorini per i movimenti.

...e tante altre cose...!

MONTATURE ED ORIENTAMENTO DEL TELESCOPIO

Allo scopo di comprendere meglio il discorso sulle montature dei telescopi bisognerà prima parlare

delle "coordinate celesti" e dei sistemi di riferimento sulla volta celeste. Analogamente a come è

stato fatto per la Terra, anche sulla sfera celeste è stata ideata una rete immaginaria di linee simili ai

meridiani e ai paralleli terrestri, onde poter stabilire con precisione e sicurezza la posizione di

qualsiasi astro ad un dato istante. Esistono diversi sistemi di coordinate della sfera celeste, ed

ognuno di essi è più pratico per certi scopi rispetto ad

altri. Noi vedremo due soli sistemi, quelli che ci

interessano per le montature: sistema altazimutale e

sistema equatoriale.

Il sistema altazimutale è il più semplice ed intuitivo

caratterizzato da due coordinate: l'altezza (h) e l'azimut

(A). L'altezza è l'arco di cerchio verticale compreso fra

l'orizzonte e il punto considerato sulla sfera celeste, cioè

la distanza angolare tra la linea dell'orizzonte ed il corpo

celeste che interessa; si conta da 0° a 90° verso lo zenit, cioè verso il punto della sfera celeste che

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sta sulla verticale dell'osservatore. L'azimut è l'arco di cerchio orizzontale compreso tra la direzione

sud e la verticale calata dal corpo celeste interessato: si misura positivamente verso ovest,

negativamente verso est. Un astro esattamente ad ovest ha un azimut di +90°. Le coordinate del

sistema altazimutale variano da luogo a luogo e nei diversi momenti della giornata.

Il sistema equatoriale è il più utile e più usato dagli astrofili, caratterizzato anch'esso da due

coordinate fondamentali: ascensione retta (A.R.) e

declinazione (D). L'Ascensione Retta che corrisponde

alla longitudine terrestre, si conta in ore e minuti e

secondi sull'equatore celeste, a partire da un punto fisso

ben determinato, chiamato "punto vernale" o "punto

gamma". Il punto gamma è il punto della volta celeste

scelto per convenzione dove l'eclittica incrocia l'equatore

celeste. E' anche chiamato "punto d'Ariete" perché in

primavera, in questa posizione della volta celeste, anticamente si trovava la costellazione

dell'Ariete. (L'equatore celeste, cerchio fondamentale del sistema equatoriale, è la proiezione

dell'equatore terrestre sulla sfera celeste; l'eclittica è l'orbita apparente percorsa dal Sole sulla volta

celeste in un anno). La Declinazione, che corrisponde alla latitudine terrestre, si misura in gradi

lungo un cerchio orario, cioè lungo un cerchio massimo passante per i poli, a partire dall'equatore

celeste: verso nord è positiva e va da 0° a +90°, verso sud è negativa e va da 0° a -90°. La

declinazione è una coordinata in prima approssimazione immutabile nel tempo e indipendente dal

luogo. Poiché nel sistema equatoriale le coordinate sono fisse (a prescindere da movimenti propri di

un astro), una stella qualsiasi può essere identificata in base ad esse. Gli atlanti e i cataloghi stellari

riportano la posizione di ogni oggetto astronomico usando l'ascensione retta e la declinazione.

Questa introduzione ci permette di capire che le montature dei telescopi, rispettivamente

altazimutale ed equatoriale, si basano per il loro orientamento e la loro costruzione sui sistemi di

coordinate che abbiamo spiegato. Entrambe sono caratterizzate da due assi rispetto ai quali può

ruotare il tubo del telescopio.

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Montatura altazimutale

Un asse è verticale ed intorno ad esso avviene il movimento in azimut;

l'altro, orizzontale, consente il movimento in altezza. I due assi, che

assicurano al telescopio la possibilità di essere diretto in qualsiasi

direzione, sono perpendicolari fra di loro. E' questa la montatura più

semplice, ma è anche la meno comoda. Infatti, siccome col moto apparente

della sfera celeste tutti gli astri eseguono cerchi paralleli all'equatore

celeste, per seguire un astro per un certo tempo occorre far girare lo

strumento contemporaneamente su entrambi gli assi.

Montatura equatoriale

Un'asse, quello che era verticale nell'altazimutale, ora è di retto verso il polo celeste e prende il

nome di asse polare o asse orario. Poiché la latitudine è indicata

dall'altezza del polo sull'orizzonte, l'asse polare è inclinato in modo da

formare, rispetto al piano dell'orizzonte, un angolo uguale alla latitudine

del luogo di osservazione. L'altro asse è chiamato asse di declinazione,

perché intorno ad esso il tubo dello strumento viene spostato lungo la

coordinata celeste che abbiamo visto in precedenza. Nella montatura

equatoriale è possibile, con un motorino opportunamente regolato, far

girare lo strumento attorno all'asse orario con la stessa velocità angolare

della Terra (un giro completo in 24 ore): in questo modo qualunque

astro rimane sempre fisso nel campo di visibilità. La montatura equatoriale, per merito della sua

praticità, è la più usata in ambito amatoriale. Di essa esistono diverse versioni, ma la più classica è

quella definita "alla tedesca", nella quale il tubo è a sbalzo e controbilanciato dalla parte opposta da

un contrappeso. Questa soluzione è particolarmente consigliabile con i rifrattori e con tutte le

configurazioni ottiche che prevedono un tubo lungo rispetto al diametro. Molto diffusa tra i riflettori

medio-grandi è la montatura "a forcella", con la forcella posta sul prolungamento dell'asse polare,

inclinata verso il polo. Questa versione presenta molti vantaggi, come l'accessibilità a qualsiasi

punto del cielo, buona stabilità a parità di ingombro e peso, necessità di un solo appoggio. Molte

altre soluzioni sono state studiate e realizzate per i telescopi professionali, tra queste, quella

sicuramente più famosa è la montatura cosiddetta "a ferro di cavallo" del telescopio da 5 m di

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Monte Palomar. E' chiamata in questo modo per la caratteristica sagoma con la quale termina

superiormente l'asse polare.

COME LAVORARE UNO SPECCHIO

Un'impresa che da grande soddisfazione e tutto sommato non difficilissima

La differenza dell'obiettivo di un rifrattore, la costruzione dello

specchio di un telescopio di tipo Newton può venire intrapresa

anche da un dilettante con buone possibilità di successo. Le doti

che si richiedono sono: costanza, pazienza, pulizia e

accuratezza. L'unico punto del lavoro che necessita di abilità è

la parabolizzazione, ma questa fase si può tralasciare se si

sceglie un diametro non eccedente i 15-16 cm ed un rapporto di

apertura di almeno f/9. Una scelta del diametro sui 15 cm ci

viene consigliata da una breve riflessione.

Gli specchi fino a 10-12 cm di diametro hanno un prezzo molto contenuto (perché sono sferici e

lavorati commercialmente); dall'altra parte, non è consigliabile tentare subito la costruzione di un

diametro oltre i 20 cm, perché le difficoltà e i costi crescono velocemente con le dimensioni.

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Come primo tentativo, quindi, il neofita dovrebbe orientarsi su un diametro compreso fra i 15 e i 20

cm. Noi pensiamo che per la prima lavorazione 15 cm rappresenti, in assoluto, il valore più

consigliabile: specchi più grandi si possono levigare in seguito dopo la fondamentale esperienza

acquisita con il 15 cm. Uno specchio fino ai 17-18 cm, inoltre, non richiede vetro speciale e non si

deforma anche se sostenuto in soli tre punti.

Attrezzatura e materiale

Per la lavorazione di uno specchio, occorre disporre di un locale adatto, asciutto e con un lavello,

nonché di un "banco di lavoro"

piccolo e rotondo, alto circa 90 cm e

appesantito alla base per evitare che

ondeggi durante il lavoro di

levigatura.

Con un diametro di 15 cm come

materiale basta il vetro comune, del

tipo fornito in lastre spesse circa 2 cm.

di lavoro, l'altro, quello che diventerà

lo specchio del telescopio, viene fatto sfregare sopra con movimenti regolari di "va e vieni" in tutte

le direzioni.

Uno dei due dischi necessari, l'utensile, viene fissato al banco

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Tra i due dischi di vetro viene posto dell'abrasivo che, asportando ad ogni sfregamento piccole

particelle di vetro, fa assumere "naturalmente" una forma concava allo specchio superiore e

convessa a quello inferiore.

La sbozzatura

La prima fase della lavorazione prende il nome di sbozzatura e serve a dare alla superficie una

forma molto vicina a quella sferica; consiste nello scavare lo specchio con un abrasivo a grana

grossa, come il carborundum n. 80, del quale basta depositare un cucchiaino da tè con alcune gocce

d'acqua sull'utensile. Ma prima di iniziare questa fase conviene molare i bordi dei dischi con un

panetto di abrasivo per evitare che, durante la lavorazione, dei bordi taglienti si stacchino e

finiscano insieme all'abrasivo tra i due dischi, provocando brutte rigature.

Si inizia con movimenti di va e vieni dello specchio, o meglio, del disco che dovrà diventarlo,

sull'utensile, in modo che la corsa sia di 2/3 del diametro e quindi 1/3 da una parte e 1/3 dall'altra;

per esempio con uno specchio di 15 cm si hanno 10 cm di corsa e 5 di sporgenza. Ogni volta che si

eseguono questi movimenti si deve ruotare

intorno all'utensile (due volte al minuto) e

dare allo specchio un piccolo spostamento

angolare. Queste due rotazioni, che devono

continuare anche durante le lavorazioni

successive, hanno lo scopo di distribuire

uniformemente il lavoro di levigazione,

dando forma ad una superficie di

rivoluzione.

Per uno specchio di 15 cm a f/9 il lavoro di

sgrossatura dura circa un paio d'ore, durante

le quali il carborundum deve essere

cambiato diverse volte: ogni volta che la poltiglia cui da luogo con la polvere di vetro non "morde"

più lo specchio.

Alla fine di questa lavorazione, prima di passare alle fasi successive, conviene misurare la concavità

raggiunta.

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La misura della concavità

Questa, chiamata freccia, è data dalla formula r2/2R, dove r è il raggio del disco e R è il raggio della

curvatura della superficie. Nel caso di uno specchio di 15 cm di diametro a f/9 (raggio di curvatura

= 270 cm; il doppio della focale) la freccia è uguale a: 7,52/2x270 = 0,104 cm.

Per misurare questa piccola quantità lo strumento più adatto è lo sferometro, un piccolo "treppiede",

con i piedi ai vertici di un triangolo equilatero, che sostiene una vite centrale, con passo molto fine,

alla quale è collegata una graduazione.

Lo sferometro consente di leggere con facilità intervalli di 1/100 di millimetro. In mancanza di esso,

la misura della profondità si può rilevare ponendo sopra lo specchio una barra rigida e sopra di

questa si appoggia un buon calibro. La freccia si misura con l'astina posteriore, mentre il calibro è

posato (con la pane posteriore) sulla barra. La conoscenza esatta della freccia, e quindi della

lunghezza focale, non è comunque determinante, perché se anziché di m 1,35 lo specchio esce con

una focale di m 1,3 o m 1,4, le prestazioni rimangono praticamente inalterate; bisognerà solo

modificare un po' la lunghezza del tubo destinato ad ospitare le ottiche.

A differenza di un obiettivo rifrattore, infatti, la superficie dello specchio del newtoniano non deve

combinare con altre superfici, ma forma l'immagine da sola. Comunque, è bene ricordare, se si

desidera apportare delle correzioni in questo senso, che una profondità maggiore si ottiene

continuando la sgrossatura, una minore invertendo lo specchio con l'utensile.

Le fasi successive della lavorazione prevedono l'impiego di abrasivi via via più fini; dopo l'80 il

120, quindi il 240, 320, 400 e 600.

Sia gli abrasivi che i dischi di vetro si acquistano presso gli stessi costruttori di materiale ottico

oppure ci si può rivolgere direttamente alle ditte che li producono, i cui indirizzi sono presenti negli

elenchi telefonici o noti alla più vicina associazione di astrofili.

Gli abrasivi più fini, il cui impiego prende il nome di smerigliatura, hanno lo scopo di rendere la

superficie più liscia, asportando la granulazione residua allo scopo di preparare una superficie per la

levigatura. Ogni abrasivo dev'essere utilizzato per almeno 20 minuti prima di passare al successivo.

Saltare un passaggio non conviene assolutamente, perché il tempo così risparmiato lo si pagherebbe

salato con quello molto più lungo che richiederebbe la lavorazione con l'abrasivo più fine. È molto

importante, passando da un abrasivo al successivo, lavare bene i dischi in modo che tra di essi non

rimanga neppure un granello dell'abrasivo precedente, che provocherebbe delle rigature, con

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l'obbligo di ripetere il lavoro. Se, per un qualsiasi motivo, si dovesse interrompere la lavorazione,

non si lascino i due dischi a contatto con l'abrasivo in mezzo: si cementerebbero e il loro distacco

avverrebbe solo in seguito a forti colpi. Si tolga, invece, l'abrasivo e, fra i dischi, si frapponga un

foglio di carta.

Si prosegue con la levigatura, che ha il compito di rendere ancora più liscia la superficie di quello

che sarà lo specchio. Per questa lavorazione, che non è altro che il proseguimento della

smerigliatura, si utilizzerà un materiale più morbido del carborundum, che spiana le irregolarità

provocate dagli abrasivi precedenti.

La lucidatura

L'ultima fase, la lucidatura, è la più lunga. Molti astrofili autocostruttori alle prime armi, arrivati a

questo punto, ritengono d'aver quasi

terminato il lavoro; non sanno che il più deve

ancora arrivare. Per la lucidatura occorre,

innanzitutto, preparare l'apposito utensile.

Forse il metodo più semplice consiste

nell'usare delle tavolette di pece di 2 o 3 cm

di lato e di non più di 1 cm di altezza da

fissare sopra l'utensile, dopo averle riscaldate

e aver interposto una vernice per farvele

aderire. Esse non devono toccarsi; inoltre, il

centro dell'utensile non deve corrispondere

né ad uno spazio vuoto, cioè ad un "canale" tra una tavoletta e un'altra né, preferibilmente, al centro

di una tavoletta di pece.

Dopo un abbondante lavaggio con acqua e una compressione della pece, ottenuta con un peso di

circa 5 kg per diverse ore, si pennella sulla pece l'ossido per lucidatura (ossidi di cerio e di cesio,

per i quali si prepara una sospensione in acqua nelle proporzioni di un cucchiaio per bicchiere) e si

inizia l'operazione con gli stessi movimenti indicati nella parte precedente.

L'intenso lavoro richiede circa 8-10 ore, durante le quali è necessario di tanto in tanto (quando si

nota un'aumentata aderenza delle superfici) aggiungere altro ossido, possibilmente senza fermare

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del tutto i movimenti. Affinché la pece non sia ne troppo morbida ne troppo dura, la temperatura del

locale dovrebbe essere compresa fra i 15 e i 19 gradi.

Alla fine della lucidatura si ottiene, o si dovrebbe ottenere, uno specchio sferico. Come sappiamo,

questa forma non fornisce immagini perfette di oggetti posti all'infinito, ma se il rapporto d'apertura

e il diametro sono sufficientemente contenuti, l'aberrazione sferica risultante non altera in modo

sensibile la figura di diffrazione.

Per un diametro di 15 cm ciò avviene quando la focale raggiunge 126 cm, un valore molto vicino a

f/8. Questo significa che uno specchio sferico di 15 cm di diametro a f/9 funziona altrettanto bene di

un parabolico. Se, quindi, non ci si sente in grado di intraprendere il difficile lavoro di

parabolizzazione, si può lasciare lo specchio sferico, senza timore di perdere molto in qualità.

La parabolizzazione

Se, al contrario, lo specchio ha un diametro maggiore o un rapporto d'apertura più spinto, come f/7

o f/5, allora è indispensabile procedere alla parabolizzazione, che non è un'operazione semplice. Si

raggiunge con movimenti a

zig-zag vicino ai bordi per

circa una decina di minuti, se

gli spostamenti avvengono alla

velocità di uno al secondo.

Cioè, rispetto alle lavorazioni

precedenti, oltre al movimento

di va e vieni, si deve fare

contemporaneamente anche

uno spostamento in senso perpendicolare in modo di ottenere un moto a zig-zag, e inoltre si allunga

la corsa da 2/3 a 4/5 il diametro dello specchio. Tra lo specchio e l'utensile si frappone il materiale

per la lucidatura.

Parabolizzare uno specchio sferico significa scavare di più al centro.

Se lo specchio risulta più lucido ai bordi vi si rimedia allungando le passate; viceversa nel caso che

risulti maggiormente lucidato al centro. Normalmente queste correzioni sono sufficienti; in caso

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contrario bisogna prendere misure più drastiche. Si ritaglia via la pece dai bordi nel primo caso e dal

centro nel secondo. Alla parte di pece lasciata o tagliata via si da la forma di una stella.

Dopo la lucidatura lo specchio dovrebbe essere terminato; se la lavorazione è stata accurata o meno

lo si potrà controllare tramite i vari test esistenti per saggiare le qualità delle ottiche astronomiche

come quelli noti sotto il nome di reticolo di Ronchi o lama di Foucault.

A questo punto il nostro specchio può essere ricoperto da uno strato sottilissimo di alluminio,

operazione che bisogna fare effettuare presso un laboratorio ottico che possieda una campana sotto

vuoto.

Lo specchietto secondario piano è più conveniente acquistarlo che costruirlo, dato il suo basso

costo.

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