(Striges 2) La Voce Dell'ombra - Baraldi Barbara

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Il libro

Zoe sognava di ribellarsi al suo destino di strega e inseguire la libertà insieme a Sebastian, l’Inquisitore di cui èinnamorata, il suo carnefice. Ma la moto su cui stanno fuggendo finisce fuori strada, e Zoe si risveglia dopo unlungo coma in un luogo ignoto. Non ricorda nulla dell’incidente, né dove si trovi Sebastian. Solo un nome maipronunciato dalle sue labbra ricorre nei deliri della febbre: Adam. Chi è lo sconosciuto emerso dall’inconscio diZoe? E chi sono le creature che popolano i corridoi del Santuario, l’istituto in cui le streghe della Sorellanza l’hannoaccolta affinché compia il suo apprendistato? Semidei, vampiri, fate, mutaforma e ogni creatura perseguitatatrovano asilo tra le mura dell’Accademia. Ma Zoe non avrà pace finché non realizzerà il solo incantesimo che lestia a cuore: ricostruire il proprio passato e ritrovare il suo grande, impossibile amore.

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L’autore

È autrice di thriller e narrativa fantastica. I suoi romanzi sono tradotti in nove paesi, tracui Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Tra le sue pubblicazioni, le fiabe noir Lacollezionista di sogni infranti e La casa di Amelia (PerdisaPop) e il romanzoLullaby – La ninna nanna della morte (Castelvecchi). Per Mondadori ha scritto Labambola di cristallo, Bambole pericolose e la serie Scarlett. Colleziona bambolegotiche e costruisce amuleti seguendo le fasi della luna. La voce dell’ombra è ilsecondo episodio di “Striges”, la serie che avrebbe voluto scrivere fin dal suo esordio.

Il suo sito ufficiale è www.barbarabaraldi.it

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BARBARA BARALDI

STRIGES

LA VOCE DELL’OMBRA

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Alla mia Emiliaparanoicache sanguinama resiste

A quella luceche non si spegne mai

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— 1 — Oscuro come una prigione

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Un brusco risveglio

Aprii gli occhi a fatica. L’immagine di fronte a me apparve come un acquerello sbiadito. Sbattei lepalpebre più volte, la luce faceva male. La bocca era impastata e le labbra bruciavano. Tentai disollevare un braccio, ma senza successo. Era troppo pesante.

Ero priva di punti di riferimento, la coscienza assopita in un dormiveglia ostinato. Sperai di udireil suono rassicurante di voci familiari intorno a me, o un rumore che mi facesse capire dove mitrovavo. Rimasi in ascolto per alcuni istanti. Ciò che riuscii a percepire fu soltanto il lieve affannodel mio respiro.

Intorno a me c’era un silenzio assordante, denso come calce. Mi sentivo un’equilibrista su un filoteso, col vuoto pronto a divorarmi di nuovo.

Mi sforzai di muovere la mano. Tastai il lenzuolo sotto di me. Ero distesa in un letto che non era ilmio. Mi concentrai per ritrovare il battito del cuore anche se mi sentivo morta. Sulle gambeavvertivo la marcia di un esercito di formiche che risaliva lungo la pelle, come se il sangue si fosseaddormentato insieme ai sensi.

A mano a mano che gli occhi si abituavano alla luce, i contorni di ciò che mi circondava si fecerodefiniti. Mi trovavo in una stanza piccola dalle pareti bianche. Il neon sul soffitto sembrava unamedusa che fluttuava in un mare chiaro.

Una macchia ai margini del campo visivo attirò la mia attenzione. In un tempo che mi parveinfinito, riuscii a vincere la resistenza del collo e voltarmi. Accanto al letto c’era una sedia vuota. Legambe di metallo erano come zampe di un ragno di zucchero filato. Sembrava in attesa di qualcunoche non sarebbe venuto.

Sapevo che era… sbagliato. Per qualche motivo ero convinta che doveva esserci qualcuno adattendere il mio risveglio. Mi pervase un doloroso senso di mancanza.

— Sebastian? — La mia voce mi giunse ovattata.Nessuno rispose.E quel nome, che era emerso dalle profondità della mia coscienza, echeggiò nell’aria come una

promessa non mantenuta.

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L’ultimo ricordo

Dove mi trovavo? La domanda mi rimbalzava nella testa senza tregua. Nella stanza non c’eranofinestre, soltanto una porticina dallo smalto graffiato che mi separava dal resto del mondo. Le paretierano spoglie. Non sapevo quanto tempo era passato da quando avevo aperto gli occhi, mal’intorpidimento aveva lasciato il posto a un dolore continuo e affilato, diffuso in tutto il corpo. Eracome se ogni muscolo, ogni articolazione, ogni organo fossero stati percossi.

Cercai con la mente di tornare all’ultimo ricordo. Cosa mi era successo per farmi risvegliare qui,da sola, sepolta tra quattro pareti che somigliavano a una stanza d’ospedale?

E se mi trovavo in un ospedale, perché mio padre non era con me? Certo, non era mai stato ilpadre più presente del mondo, preso com’era dal lavoro e dagli straordinari, ma nelle questioniimportanti aveva sempre cercato di esserci. In un flash improvviso, riaffiorò l’ultima immagine cheavevo di lui, seduto sul divano con la testa reclinata, abbandonato a un sonno che sembrava averlocolto impreparato.

Mi ero sorpresa nel rendermi conto di quanto era invecchiato. Aveva i capelli imbiancati sulletempie e le rughe d’espressione marcate.

Vivere ogni giorno a fianco di qualcuno ti spinge a guardarlo con gli occhi dell’abitudine, senzasoffermarti a osservarlo da vicino. Quella notte lo avevo fatto, e avevo ritrovato un uomo stanco.Stanco di lottare contro i fantasmi della mancanza, ma anche stanco di soffrire. La morte di miamadre, anni fa, aveva scavato dentro di lui una ferita che sembrava impossibile da rimarginare. Ma ilgermoglio della speranza non era appassito. Dopo tanti litigi, silenzi e incomprensioni, mio padre eio ci eravamo ritrovati, ed era stato lui a dirmi che nonostante quello che avevamo passato potevamoancora essere una famiglia.

Entrambi avevamo un bisogno disperato di normalità, eppure fui pervasa dalla consapevolezzache quella notte ero tornata a casa soltanto per dirgli addio. Ricordai che avevo avuto poco tempo adisposizione e avevo dovuto raccogliere in fretta pochi oggetti a cui era legato un ricordo importantee che volevo portare con me.

Anche se mi costò una fatica immensa, riuscii a sollevare la mano sinistra. Solo adesso mi resiconto che nel braccio era infilato il tubicino che proveniva da una flebo. Ero molto debole, e vincerela gravità richiese uno sforzo considerevole. Ma avevo bisogno di ritrovare al dito l’anello conl’occhio di tigre che era stato di mia madre e che ora apparteneva a me. Volevo accarezzare con losguardo la pietra dai riflessi gialli come i miei occhi.

Mamma sosteneva che l’occhio di tigre aiuta a riconoscere i nostri desideri più autentici e atrovare la forza necessaria per raggiungerli, che è una pietra capace di donare grinta e combattivitàcome il felino di cui porta il nome. E ora di grinta e combattività avevo un bisogno disperato.

Sgranai gli occhi nel rendermi conto che le mie dita erano nude. Non c’era traccia dell’anello,

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eppure ricordavo perfettamente di averlo infilato nell’indice della mano sinistra, prima di… cosa?La testa pulsava, mentre una fastidiosa pressione alle tempie si faceva sempre più insistente.

Lottai per recuperare i ricordi. Mi rividi percorrere le strade di una Milano spettrale, con la paurache loro fossero sulle mie tracce. Guardarmi attorno con circospezione e, nonostante l’ora tarda,suonare al citofono della mia migliore amica, Chloe. Sorrisi ripensando al suo cespuglio di capelliche scherzosamente definivo intricati come il nido di un airone.

Chloe, la sorella che non avevo mai avuto. L’unica persona capace di sopportare me e il miobagaglio di malinconia, cinismo e sbalzi d’umore. Era stato difficile separarmi da lei, ma non avevopotuto fare altrimenti. Quella sera l’avevo ascoltata come se fossimo state due normali ragazze didiciassette anni che si confidavano, come una serata qualunque, in attesa di rivedersi l’indomani ascuola. Ma non era così. Non c’era niente di normale in quella situazione. Sapevo che il giorno doponon ci sarei stata per lei, e nemmeno quello successivo, o quello dopo ancora. E non potevonemmeno fargliene cenno. Dovevo proteggerla come non ero mai stata capace di fare, prima. Perchéstavo per abbandonare tutto quello che conoscevo senza potermi guardare indietro. Niente sarebbestato più come prima. Niente sarebbe più stato normale. Nessuno doveva sapere che stavo lasciandoMilano.

Mi resi conto che le lacrime mi stavano rigando le guance. I ricordi erano acuminati come freccedi cristallo. Passai più volte la lingua sulle labbra cercando di inumidirle, ma restavano ruvide comecarta vetrata.

La sete era insopportabile e mi guardai intorno alla ricerca di un ripiano su cui speravo fosseappoggiata una bottiglietta d’acqua. C’era un comodino in legno chiaro di fianco al mio letto, maappoggiati sopra c’erano soltanto una cartellina e alcuni fogli sparsi. Inarcai la schiena perprotendermi e cercare di afferrarne uno. Forse avrei trovato delle risposte, ma ero scoordinata e ognimovimento comportava un dispendio di energie tale da spossarmi. Mi abbandonai sul materasso,colta da un’improvvisa vertigine. La stanza era così piccola che ebbi l’impressione che le paretistessero per schiacciarmi. L’aria sembrava densa come un liquido trasparente che non mi permettevadi respirare. Il battito accelerò bruscamente, e dovetti far ricorso a tutto il mio autocontrollo perevitare una crisi di panico.

Recuperai la calma dopo alcuni istanti che sembrarono durare all’infinito. E un flash mi colpìcome un diretto allo stomaco. Bruno era stato ucciso da coloro che mi stavano dando la caccia. Gliavevano tagliato la gola. Avevo visto coi miei occhi il cadavere nel suo ufficio all’università. Eanche se ero innocente, una telecamera mi aveva ripreso con in mano l’arma del delitto.

La mia città non era più la stessa, quella notte. Ogni ombra nascondeva un pericolo, ma iocontinuavo a procedere perché non potevo andarmene senza salutare il mio amore. — Sebastian —ripetei.

Pronunciare ancora il suo nome era come un giuramento trattenuto tra le labbra. Sebastian, ilragazzo a cui avevo donato il cuore e l’anima. Colui per il quale avevo rinunciato alla miainiziazione. Non potevo lasciare Milano senza riabbracciarlo per l’ultima volta e dirgli che nonc’entravo niente con la morte di Bruno, suo padre adottivo. Mi rividi correre fianco a fianco conl’acqua che scorreva lungo il Naviglio Grande. Avevo il fiato corto e i polmoni in fiamme, ma non misarei fermata finché non l’avessi guardato negli occhi.

Non sarebbe bastata una vita intera per separarci, perché in un’altra vita eravamo già stati separatidalle fiamme. Per questo, alla fine, io e Sebastian avevamo deciso di andarcene insieme a bordo

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della sua moto.Facevamo parte di due fazioni opposte. Ero stata costretta a lasciare la mia città perché c’era una

guerra sul punto di esplodere. L’ombra di una sinistra profezia si estendeva su di me e tutto eraprecipitato. Anche se sembrava tutto sbagliato, anche se sembrava tutto impossibile, io e Sebastianavevamo deciso di combattere una battaglia che era soltanto nostra. Noi contro tutti.

Perché Sebastian è un Inquisitore. E io sono una strega.

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Nessuna famiglia

Dovevo uscire da lì. Ancora non sapevo dove mi trovavo e perché, ma non mi importava. L’unicacertezza era che gli Inquisitori mi stavano cercando e dovevo andarmene per ritrovare Sebastian.Cos’era successo dopo che eravamo partiti a bordo della sua moto? E perché era così difficilericordare?

Contai fino a tre, strinsi i denti e strappai via dal braccio l’ago della flebo. Sentii un fortebruciore, a cui seguì una vertigine violenta. Dovetti attendere alcuni istanti perché il cuore rallentassei battiti. Mi tolsi di dosso il lenzuolo e vidi che il mio corpo era violato da altri aghi e altri tubicini,che lo facevano sembrare un’opera d’arte d’avanguardia.

Me ne liberai, mi sollevai sui gomiti e feci pressione per cercare di alzarmi. Poi, moltolentamente, sospinsi le gambe verso il bordo del letto, ma faticavo a controllarle. Resistevano ai mieitentativi di muoverle al punto che mi sembrava appartenessero a un altro corpo. Dopo minuti che miparvero ore, mi ritrovai con le gambe penzoloni sulla sponda del letto. Ancora un piccolo sforzo eavrei potuto appoggiare i piedi sul pavimento. Ma quando toccai finalmente le piastrelle fredde, fusolo per rendermi conto che le gambe non mi avrebbero retto.

Cedettero come arbusti troppo sottili per sostenere il mio peso. L’impatto con il pavimento furovinoso e trascinai a terra l’asta con la flebo nel tentativo di aggrapparmi. Il contenitore di plasticarovesciò a terra una pozza di liquido chiaro. Mi colse un’ondata di nausea che respinsi a fatica. Alzailo sguardo alla ricerca della porta. Sembrava irraggiungibile.

La stanza, che poco fa mi dava l’impressione di essere angusta, mi parve improvvisamentesconfinata, come se le pareti si fossero d’un tratto dilatate. Appoggiai i palmi sul pavimento percercare di rialzarmi. Ma la testa prese a girare, come fossi lanciata a tutta velocità su una giostra.

Tentai di ignorare le resistenze del corpo. Indossavo soltanto un’ampia camicia da notte chiara ecominciavo a sentire freddo. Avevo bisogno di muovermi, dovevo attraversare quella porta. Erocerta che al di là della soglia c’erano le risposte che cercavo. Iniziai a strisciare sui gomiti perraggiungerla.

Quando fui abbastanza vicina protesi la mano verso la maniglia, ma prima che potessi toccarlasentii il meccanismo sbloccarsi. La porta si aprì di scatto, sfiorandomi, rischiando di colpirmi allatesta. Si affacciò una ragazza alta, dalla muscolatura sviluppata, fasciata in una tuta in pelle colorrosso scuro con cuciture nere in vista che le aderiva perfettamente al corpo. Ai piedi indossava unpaio di calzari di camoscio. Era strano, non avevo sentito i suoi passi. Si era avvicinata alla portasenza fare alcun rumore.

Mormorando qualcosa tra sé, la ragazza posò lo sguardo sul letto e, vedendo che era vuoto, siguardò attorno come sperduta. Quando si rese conto che ero praticamente ai suoi piedi, mi rivolse unsorriso obliquo.

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— Cosa stavi cercando di fare? — bofonchiò con voce graffiante.Rimasi colpita dai suoi lineamenti, erano affilati come armi da taglio. Gli occhi erano amaranto, e

i lunghi capelli color miele erano raccolti in dreadlocks che le scendevano fino a lambirle il seno.Cercai di rialzarmi, ma di nuovo le gambe mi tradirono.Lei mi rivolse uno sguardo di riprovazione. — Non avresti dovuto farlo — disse. Poi mi tese una

mano. — Ora mi toccherà far pulire questo casino. — Mi aiutò ad alzarmi, sostenendomi per laschiena.

— Dove mi trovo? — sospirai. — Dov’è Sebastian?Lei si limitò a scrollare le spalle e ad accompagnarmi verso il letto. Non ero sicura di trovarmi in

un ospedale, ma quella ragazza non aveva di certo l’aspetto né l’abbigliamento di un’infermiera.Non ricevendo risposta, la incalzai: — Chi sei?Anche questa volta non si degnò di rispondere. Dopo che mi ebbe risistemato sul letto,

sollevandomi come se non avessi alcun peso, uscì dalla stanza. Tornò poco dopo con indosso uncamice bianco sbottonato sopra la tuta.

La seguiva a un passo una ragazza minuta dall’espressione dimessa con indosso una tuta simile macolor marrone. I suoi capelli erano biondo chiaro, e i dreadlocks molto più corti. Quella col camicele chiese di pulire, e lei obbedì senza fiatare.

Dopo che la ragazza minuta ebbe raccolto l’asta, quella più alta si mise ad armeggiare con l’agodi una nuova flebo. Mi si avvicinò.

— Non provarci nemmeno — ringhiai. — Non ho idea di dove ci troviamo, non so chi sei. Se nonhai intenzione di rispondere alle mie domande, non ti permetterò di sfiorarmi con le tue manacce.

Lei scoppiò a ridere. Una risata sarcastica che non fece che aumentare il mio malumore. — Eripiù simpatica quando dormivi — disse.

L’avversione che provavo nei suoi confronti superava il dolore e l’affanno. Con una mano miimmobilizzò il braccio. Dato che il mio fisico non era in grado di opporre resistenza, cercai la forzaper liberarmi della sua stretta nel potere che scorre nelle mie vene.

Sam, la strega che si era occupata di me dopo la morte di mia madre, ha sempre sostenuto che sitratta di un dono. Ma dal momento in cui si era risvegliato dentro di me, era stata una catastrofe. Nonriuscivo a dominarlo, e in più di un’occasione era stato il mio potere a dominare me, agendo sullemie paure più profonde, sui miei desideri più reconditi, risvegliando il mio lato oscuro.

Cercai di raggiungerlo nelle profondità della mia essenza e di canalizzarlo come fosse un fluido dienergia pura. Tesi la mano in direzione della ragazza che stava cercando di infilarmi l’ago nelbraccio. Avrei voluto scaraventarla via, lontano da me.

Invece, contrariamente alle mie aspettative, una fitta improvvisa mi attraversò la testa,provocandomi un dolore accecante, quasi il cranio fosse sul punto di spezzarsi. Rovesciai la testaall’indietro senza poter trattenere un grido, e cominciai a contorcermi in preda al dolore.

La ragazza col camice non si scompose. Si limitò a dire: — I tuoi poteri non funzionano, qui. — Einfilò l’ago nel braccio, facendomi trasalire. — Ti consiglio di non riprovarci — sentenziò. Poi uscìdalla stanza.

Il dolore si spense lentamente, lasciando il posto a un indolenzimento diffuso. Solo ora ritrovai lalucidità necessaria per riflettere su quello che mi aveva appena detto.

Lei sapeva dei miei poteri. Ma come poteva sapere che non avrebbero funzionato?Mi resi conto che la ragazza minuta stava pulendo il pavimento con uno straccio. Alzò lo sguardo,

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e per un attimo i nostri occhi si incrociarono. I suoi erano di un azzurro pallido, come il cielo di fineestate, quando il sole si nasconde dietro le nuvole e l’umidità si addensa in una coltre di vapore.

Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma le sue parole rimasero imprigionate da qualche parte, tra lagola e le labbra.

— Tu non sei come lei — le dissi io d’un fiato, come per smuoverla. — Nel tuo sguardo c’è unbagliore di umanità. Ti prego, aiutami.

Lei scosse la testa con decisione e tornò a rivolgere la sua attenzione alle pulizie.Continuai: — Se mi è successo qualcosa, ho bisogno di avvertire le persone che mi vogliono

bene. Anche tu avrai una famiglia, no?Di nuovo, scosse la testa.Mi accarezzai la fronte con una mano. — Non ricordo niente… Dimmi almeno dove mi trovo.

Potrebbe essermi d’aiuto.Lei si guardò intorno, come se avesse paura che qualcuno ci stesse spiando. — Non posso —

sussurrò.Quando ebbe finito di pulire il pavimento, raccolse i suoi attrezzi e si incamminò verso l’uscita.

Sulla soglia, si voltò verso di me.Rivolgendomi uno sguardo che sembrava svuotato da ogni emozione, aggiunse: — Comunque, io

sono Sasha. E non ho una famiglia. Nessuna di noi ce l’ha.

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Occhi gialli, capelli rossi

— Quali sono i tuoi ultimi ricordi prima di… risvegliarti qui, Zoe?La ragazza dai lunghi dreadlocks stazionava di fronte a me, sovrastandomi dalla sua posizione, ai

piedi del letto. Dopo che Sasha se n’era andata, ero scivolata in un dormiveglia viscoso in cui sierano rincorse immagini del passato e per un attimo mi era parso di allungare la mano e toccareSebastian, ma poco prima che le mie dita potessero sfiorare il suo viso, la sua immagine si eradissolta come nebbia nel vento. Risvegliandomi, mi ero trovata di nuovo in quella stanza sconosciuta,stesa sul letto, con la ragazza alta che mi osservava con sguardo inquisitorio. Aveva abbottonato ilcamice bianco sopra la tuta in pelle, come per recuperare un aspetto più ordinario che mi spingesse asmetterla di considerarla una presenza ostile.

— Come sai il mio nome? — replicai.— Siamo qui per aiutarti — rispose lei, conciliante. — Forse siamo partite con il piede sbagliato,

ma mi hai davvero colto di sorpresa. Non mi aspettavo di trovarti sveglia.— Questo posto non mi piace — borbottai, con la voce ancora impastata.Lei fece un ampio respiro per mantenere la calma. — Ti trovi in ospedale. Io sono Nausica, e il

mio compito è occuparmi di te finché non ti sarai completamente ristabilita.— Cosa mi è successo?Mi guardò con sorpresa. — Davvero non ricordi niente?— Perché Sebastian non è con me? — la incalzai.In fondo alle iridi di Nausica si accese un bagliore rapace. — Credevo che me lo avresti detto tu.Ci osservammo per un lungo istante in cui nessuna delle due sembrava intenzionata a distogliere lo

sguardo, come due fiere che si studiano in vista di un combattimento.Poi inspirai un’ampia boccata d’aria e la lasciai fluire fuori lentamente. Cercando di controllare il

tono, chiesi: — Perché non indosso il mio anello? Che fine hanno fatto le mie cose?— Riavrai i tuoi oggetti personali quando starai meglio — rispose Nausica senza scomporsi. —

Prima, però, dovresti rispondere ad alcune domande.Sebbene a rilento, iniziavo a recuperare il controllo del corpo. Riuscivo a compiere agevolmente

dei piccoli movimenti sia con le gambe che con le braccia, anche se mi sentivo ancora molto debole.— Voglio andarmene da qui — sentenziai. Indicai il camice di Nausica. Parte della tuta in pelle

sbucava dal colletto sbottonato. — Chi sei davvero? Non ho mai visto una dottoressa, un’infermiera,né tantomeno un’inserviente vestita in… quel modo.

Nausica fece un passo per aggirare il letto. — Sarebbe meglio per entrambe se tu collaborassi. —Si mise ad armeggiare con la valvola della flebo.

Venni colta da un improvviso torpore che mi avvolse le tempie. — Cosa mi hai fatto?— Ho solo aumentato il flusso degli antidolorifici. Ti aiuterà a ritrovare la calma.

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La guardai con sospetto. Non poteva trattarsi di semplici antidolorifici. Immaginai che nellasoluzione ci fossero dei farmaci per tenermi sedata. Pensai che per qualche motivo era nell’interessedi Nausica privarmi della mia autonomia. O forse dentro la flebo c’era qualche sostanza in grado, inqualche modo, di bloccare i miei poteri. Non potevo fare a meno di ripensare al fatto che Nausica miaveva detto che non funzionavano, qui. Ma come poteva saperlo? Era forse una strega anche lei? Nonpotevo chiederglielo direttamente, sapevo che non mi avrebbe risposto. Cosa voleva, davvero, dame?

Ero sicura che non mi sarebbe successo niente di male finché non avessi risposto alle suedomande. E non avevo nessuna intenzione di farlo, per ora. Non finché non avessi capito da che partestava. Certo, avevo ancora molta confusione in testa e non ricordavo niente di quello che erasuccesso dopo che ero salita sulla moto di Sebastian. Ma, per quanto ne sapevo, potevo essere finitanelle mani degli Inquisitori.

Nonostante non fossi mai stata brava nell’arte della diplomazia, dovevo cercare di non perdere ilcontrollo. Guadagnare tempo, finché non avessi recuperato abbastanza energie da andarmene daquella stanza con le mie forze.

Sasha comparve sulla soglia. In mano teneva un vassoio in plastica con sopra un piatto di liquidoverde dall’aspetto ripugnante. Nell’aria si diffuse un odore di passata di verdure. Anche lei avevaindossato un camice sopra la tuta di pelle. Quella specie di recita non faceva che peggiorare il mioumore. Era come se il mio risveglio avesse interrotto le loro abitudini, come se da una parte fosseatteso, ma dall’altra temuto. Avevo l’impressione che Nausica e Sasha si stessero impegnando ainterpretare una parte in una recita in cui io ero la paziente bisognosa di cure e attenzioni, ma nonriuscivano a convincermi: quella non poteva essere la stanza di un ospedale. E loro non eranopersonale paramedico. C’erano troppi particolari fuori posto. A cominciare dalle tute cheindossavano e gli insoliti calzari che sembravano provenire da un’altra epoca.

Sasha si avvicinò al letto e appoggiò il vassoio sul comodino, poi premette un pulsante lateraleper rialzare lo schienale e aiutarmi ad assumere una posizione seduta. Infine, mi posizionò il vassoiosulle gambe. La ringraziai con un cenno del capo, ma lei distolse subito lo sguardo.

— Grazie, ma… non sembra molto invitante. Immagino che la cuoca sia in ferie — dissi a Sasha,senza riuscire a trattenere una smorfia.

Nausica le fece un cenno con il capo per invitarla a scostarsi. Poi recuperò la sedia chestazionava accanto alla parete e la posizionò di fianco a me. Si sedette, prese il cucchiaio dalvassoio e disse: — È ancora presto per i cibi solidi. Forse farai un po’ fatica a deglutire, succedequando si è stati alimentati tramite flebo.

Per quanto tempo ero rimasta incosciente, incapace di badare a me stessa, al punto che il cibo miera stato iniettato direttamente nelle vene?

Nausica immerse il cucchiaio nella minestra e fece per avvicinarmelo alla bocca.— Faccio da sola — bofonchiai.In tutta risposta, lei lasciò cadere il cucchiaio nel piatto, senza trattenere un gesto di stizza. Avevo

già notato che la pazienza non era il suo forte.— Non ho intenzione di perdere altro tempo, Zoe, né di farne perdere a te. Prima risponderai alle

mie domande e prima potrò soddisfare le tue curiosità. Ricominciamo dall’inizio: cosa ricordidell’incidente che hai avuto?

Sgranai gli occhi. Dunque era questo che era successo. Io e Sebastian avevamo avuto un incidente.

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Faticai a mantenere il controllo del mio tono di voce. — Cosa ne è stato di Sebastian? Perché non ècon me? — Se gli fosse successo qualcosa di grave, sarei morta.

Nausica si alzò di scatto e la sedia cadde all’indietro, sbattendo lo schienale contro il pavimento.— Non prendermi in giro! Ti rendi conto che con la tua reticenza stai proteggendo un Inquisitore? —Strinse i pugni. Nei suoi occhi baluginò una luce ferina. — Uno che ha cercato di ucciderti?

— Stai mentendo! Sebastian non mi avrebbe mai fatto del male — protestai. — Lui mi amava. —Lo dissi con la voce che si incrinava e una fitta che si insinuava tra le costole come se una lancia miavesse appena mancato il cuore. Io e Sebastian ci eravamo promessi amore eterno in un’altra vita.Era successo quattrocento anni fa, in un bosco, sotto un’enorme quercia, un albero imponente chedalle sue fronde aveva vegliato l’avvicendarsi delle ere.

Ci eravamo giurati che il nostro amore sarebbe sopravvissuto alla morte, questo lo ricordavobene. E così era stato. Ci eravamo ritrovati in quest’epoca, membri di due fazioni in guerra tra lorodall’eternità. Ma era bastato un solo sguardo per riconoscerci e cancellare quella che era stata lanostra vita fino a quel momento. Avevamo messo tutto in discussione, al punto che Sebastian avevatradito l’Ordine degli Inquisitori per aiutarmi a fuggire da Milano. Avrei dato la vita per lui e sapevoche lui avrebbe fatto lo stesso. Io avevo rinunciato alla mia iniziazione. Perché avevo provato cosasignificava vivere senza Sebastian, ed era come cercare di librarsi nell’aria senza un’ala.

Era stato Sebastian a restituirmi la capacità di volare. La mancanza di lui, del suo profumo, deisuoi occhi smeraldo, delle sue dita tra i miei capelli, a mano a mano che le ore passavano e i ricordiriaffioravano, si faceva sempre più lacerante.

Nausica fece un sorriso sarcastico. — Gli Inquisitori sono incapaci di amare — sibilò. — Sonoguerrieri addestrati a uccidere. Per loro non esiste altro che la fedeltà all’Ordine e a quelle loro armiin lega di acciaio e di giada

Da come parlava, Nausica non sembrava dalla parte degli Inquisitori, anche se dimostrava diconoscerli piuttosto bene.

Ma se era una strega, perché non aveva avvisato la Sorellanza del mio risveglio? Perché c’era leinella mia stanza anziché Sam, o una delle streghe che avevo conosciuto all’atelier di Donatella? Eperché mi stava trattando come una prigioniera?

Certo, non potevo dimenticare che anch’io, fuggendo, avevo tradito la Sorellanza, ma soprattuttoavevo tradito la fiducia di Sam. Ma non ero disposta a combattere una guerra che altri avevanoscatenato molto prima che io nascessi e che aveva già mietuto troppe vittime. Non era stato percodardia. Io e Sebastian volevamo un’occasione per stare insieme come non avevamo potuto farenella nostra vita precedente. Quattrocento anni fa ero stata condannata al rogo, e Sebastian si eratuffato tra le fiamme per seguire la mia stessa sorte. Sapevo di poter sembrare un’egoista, ma anchein questa vita avevo già conosciuto sofferenza e privazione. La guerra tra streghe e Inquisitori avevacausato la morte di mia madre. Quindi avevo deciso che avrei combattuto, ma a modo mio. A fiancodel ragazzo che amavo.

— Sebastian mi ritroverà e mi porterà via da qui — sentenziai.— Come puoi continuare a difenderlo? — tuonò Nausica. — Pensaci. Quanti tatuaggi aveva sulla

schiena? Ognuno è stato inciso nella sua carne per aver ucciso una strega — sibilò. — Quanteragazze come te ha fatto a pezzi con i suoi pugnali?

Sentii un moto di rabbia salire a scaldarmi le tempie. — Tu non lo conosci. Non sai niente di lui.E non sai niente di me.

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Nausica avvicinò il viso al mio, fermandosi a un soffio dal mio respiro. — Sei davvero cosìingenua o sei soltanto brava a mentire? In entrambi i casi, scoprirò quello che stai cercando dinascondermi. Aprirò il tuo cuore e leggerò i tuoi segreti. — Il suo tono era insinuante. Quella frasesuonò come una minaccia.

— Forse sta dicendo la verità — si intromise Sasha, parlando con un filo di voce. Per tutto iltempo era rimasta in disparte, con l’espressione incerta tra la curiosità e l’inquietudine. Non era statasolo un’impressione. Lei era diversa da Nausica, e sembrava provare autentica empatia nei mieiconfronti.

Nausica si voltò verso di lei come un’aquila in picchiata sulla preda. La artigliò al braccio equasi la sollevò da terra, trascinandola verso la porta. — Non osare mai più intrometterti mentre stoconducendo un interrogatorio.

Dunque era questo che si stava svolgendo, un interrogatorio? Almeno era caduta la commediadelle infermiere preoccupate per il mio benessere. Ma se ero una prigioniera, di cosa mi stavanoaccusando? Fino a questo momento mi ero sentita persa, schiacciata dall’assenza di certezze. Adessoprovai un fremito di paura.

Nausica abbassò il tono della voce e impartì degli ordini a Sasha, la quale pochi istanti doposparì oltre la porta. Poi tornò a occuparsi di me. — La pena per una strega che protegge unInquisitore è molto severa — annunciò. — Non puoi nemmeno immaginare le conseguenze a cui staiandando incontro. Per non parlare della tua famiglia, di tuo padre che hai abbandonato a se stesso eai suoi sensi di colpa, o della tua amica Chloe, così indifesa, sempre in attesa del grande amore.

Sbarrai gli occhi. — Non nominarli! — esplosi. Come faceva questa sconosciuta ad avere tanteinformazioni sulla mia vita? — E poi loro non c’entrano, non sanno nulla di quello che sono —aggiunsi con una punta di amarezza. Non era stato facile tenere nascosto a mio padre e alla miamigliore amica che al compimento dei diciassette anni i miei poteri di strega si erano risvegliati. Maera stato necessario. Non potevano capire quello che stavo provando. — Me ne sono andata daMilano proprio per proteggerli. Lasciali stare o…

Mi interruppe bruscamente. — Non sei nelle condizioni di sputare minacce. La cosa migliore chepuoi fare adesso è collaborare, per il bene tuo e di chi ti aspetta a casa.

Le piantai gli occhi addosso. — Quello che stai facendo non è legale. Mi stai trattenendo contro lamia volontà. Io… farò valere i miei diritti.

Lei tirò un sorriso velenoso. — Dove ci troviamo ora, le leggi degli uomini non ci possonoraggiungere.

— Anche la Sorellanza ha delle leggi.— Chi ti dice che io faccia parte della Sorellanza?Un’ondata di brividi mi percorse la spina dorsale. Se Nausica non apparteneva né alla Sorellanza

né all’Ordine degli Inquisitori, forse faceva parte della Cerchia delle Arpie. Le Arpie erano streghedominate dalla brama di potere, corrotte dal lato oscuro al punto da somigliare più a demoni che aesseri umani. La loro leader era la feroce Erzsebet Bathory, una nobildonna ungherese che si eranutrita del sangue di fanciulle inermi nella speranza di ottenere l’immortalità. La creatura che avevoaffrontato sul tetto del Duomo di Milano insieme a Sebastian apparteneva alla Cerchia delle Arpie e,dopo averla sconfitta, avevo rischiato di farmi inghiottire nella prigione di illusioni che avevaevocato. Era stato grazie all’intervento di Misha che avevo potuto recuperare lucidità e distruggerel’incubo in cui l’Arpia aveva cercato di trattenermi.

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Con l’occhio della mente rividi il volto di Misha, il mutaforma in grado di trasformarsi in furetto:il mio famiglio. Per una strega il famiglio è l’animale guida con cui il rapporto è profondo ecomplementare. Prima di conoscere la sua vera natura, avevo soprannominato il mio furettoNosferatu, a causa della sua attrazione compulsiva per la carne sanguinante. Chissà dov’era adesso.Anche la mancanza del contatto con il mio famiglio cominciava a farsi sentire, ma non volevo dare lasoddisfazione a Nausica di mostrarmi intimorita.

Le dardeggiai un’occhiata feroce. — Non mi fai paura — dissi con decisione.Poi abbassai gli occhi e li incollai al piatto. Muovendomi con lentezza, sollevai il cucchiaio e me

lo portai alla bocca. Cercavo di mantenere la calma, anche se la discussione di poco fa mi avevascosso i nervi, al punto che la mano tremava vistosamente. Mi concentrai sulla semplice operazionedi mangiare, provando a dimenticare che Nausica era a un passo da me.

Stavo per inghiottire la seconda cucchiaiata di minestra quando Nausica mi piombò addosso.Colpì il piatto con un movimento secco, facendolo volare contro la parete. Il piatto si frantumò,rovesciando il contenuto sull’intonaco e sul pavimento. Alcuni schizzi mi colpirono il viso.

Nausica mi bloccò entrambi i polsi con una mano e col gomito iniziò a esercitare una pressionesulla mia gola. — Ora saprò quello che tu sai — sibilò.

Faticavo a respirare, ma nonostante cercassi di divincolarmi dalla sua presa, oppormi alla suaforza era impossibile.

— Lasciami… — bisbigliai, tossendo.Con l’altra mano Nausica iniziò a premermi il petto e fu come se le sue dita si stessero facendo

strada all’interno del mio addome. Sentii una fortissima pressione stritolarmi gli organi e fui accecatada un dolore lancinante. L’immagine della stanza divenne sfocata.

— Io non… non… — riuscii a dire tra gli spasmi. La mia voce era poco più che un rantolosoffocato. Tutto si fece indistinto, e per un attimo pensai che avrei perso i sensi. Poi qualcosaavvenne al limitare del mio campo visivo.

Vidi apparire delle sagome sfocate che non riuscii a distinguere immediatamente, poi sentii dellevoci. Qualcuno aveva fatto irruzione nella stanza. Mi resi conto di chi si trattava pochi istanti dopo.Alle spalle di Nausica c’erano ora altre due ragazze, più o meno della sua altezza e vestite in modosimile.

Una di loro disse: — Basta così, Nausica.Sentii la presa alla gola allentarsi e strinsi gli occhi per mettere a fuoco i loro volti. La mia

attenzione fu richiamata dalla ragazza che aveva parlato. Anche lei aveva i lunghi capelli raccolti indreadlocks, ed erano rossi come i miei. Ma il dettaglio che mi turbò di più erano i suoi occhi. Gialli,proprio come i miei.

Nausica mi scoccò un’occhiata sprezzante, poi si alzò, liberandomi dalla sua presa. Inghiottii piùaria che potevo nei polmoni, ma mi uscirono soltanto respiri spezzati. Quando riuscii a regolarizzarli,Nausica e le altre due si stavano avviando verso l’uscita senza aggiungere altro.

— Non ricordo niente di quello che mi è capitato — ammisi, con la voce che tremava. — Né di unincidente, né di come sono finita qui.

La ragazza che mi somigliava si voltò nella mia direzione. — Lo so, Zoe — disse, prima discomparire oltre la soglia insieme alle sue compagne.

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Ligea

L’alternanza tra gli stati di veglia e l’incoscienza era disordinata e discontinua. L’assenza di finestremi impediva di sapere se era giorno o notte. Avevo bisogno di vedere il cielo, di accarezzare con losguardo le stelle, come fossero gemme sparpagliate nel lenzuolo della notte poste a guardia dellaluna. Avevo bisogno di ritrovare i colori dell’alba, quando il sole inargenta i tetti dei palazzi e lagiornata è ancora piena di possibilità. Non avevo niente da offrire, non avevo più nemmeno glioggetti a me cari, ma avrei saltato un pasto per poter vedere il tramonto nella mia città, quandol’orizzonte si tinge di malinconia e sembra versare lacrime di sangue.

I minuti, le ore, scorrevano come la lunga marcia di un tempo indefinito. Mi sentivo vuota efaticavo a tenere accesa la lanterna della speranza in fondo all’anima. Sarei mai uscita da lì?

Nella stanza in cui ero rinchiusa le luci non venivano mai spente. Pensai che fosse un modo permantenermi sotto pressione. Chiusi gli occhi, sforzandomi di lottare contro un’ansia crescente. Maalcuni istanti dopo la porta cigolò lievemente. Poi sentii un rumore sospetto, come uno scalpiccio.Decisi di rimanere in ascolto, immobile, con le palpebre sigillate e i sensi allertati. Mi resi conto chenon poteva trattarsi di Nausica. Lei si muoveva come un felino, non c’era mai alcun rumore adannunciare il suo arrivo. Più che camminare, Nausica sembrava danzare nell’aria.

Mi sforzai di respirare lentamente, come se fossi assopita. Avevo l’impressione che qualcuno mistesse osservando. Così cambiai posizione, continuando a fingere di dormire, dando le spalle allaporta. Sentii un fruscio, questa volta proveniente da un lato del letto.

Aprii gli occhi di colpo e mi voltai in direzione del rumore, appena in tempo per vedere duegambe esili come fuscelli infilarsi sotto il letto. Mi sporsi a testa in giù e mi trovai davanti gliocchioni sbarrati di una ragazzina dall’aria sperduta, con indosso dei pantaloncini chiari sotto unacamicetta bianca. Il viso appuntito, da elfo, era punteggiato di lentiggini. Aveva il naso all’insù e ilsorriso largo come quello dello Stregatto. I suoi capelli erano lunghi fili sottili di colore azzurro, alpunto che credetti di aver avuto un abbaglio, e dovetti sbattere le palpebre più volte per assicurarmiche non fosse un’allucinazione.

— Ehi — la incalzai. — Che ci fai sotto il mio letto?— Non sapevo che fossi sveglia — borbottò lei. Scivolò fuori con un movimento veloce. In piedi

sembrava ancora più minuta di come mi era sembrata poco fa. Si mise a osservarmi come se fossi unanimale raro. Sotto la luce del neon i suoi capelli azzurri erano ancora più brillanti.

— Cos’è successo ai tuoi capelli? — le chiesi.Lei abbassò la testa mestamente. — Non sai quanto li odio.— Scusa — mi affrettai a dire. — A volte mi dimentico di collegare il cervello alla lingua. Sono

stupendi. E io ho perso un’occasione per stare zitta.Si strinse nelle spalle, tornando a posare lo sguardo su di me. — Non preoccuparti, ci sono

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abituata. Nessun’altra fata ha i capelli come i miei. — La sua vocina era squillante come un tintinniodi campanelli.

— Sei una… fata? — chiesi al colmo della sorpresa. Ero certa che mi stesse prendendo in giro.Lei annuì con decisione. — Mi sarebbe piaciuto avere i capelli verdi come il trifoglio, come li

aveva mia sorella, o del colore della corteccia dei salici, come dicevano li avesse mia madre. —Ruotò gli occhi e guardò all’insù per qualche istante. — Purtroppo non l’ho mai conosciuta — disserabbuiandosi. — I miei capelli sono così perché sono malata. E da quando mia sorella non c’è più,ho smesso di sentire anche il sussurro dei fiori.

— Mi dispiace — riuscii soltanto a dire. L’avevo conosciuta solo da pochi istanti, ma già mirendevo conto che avevamo molte cose in comune. Sapevo bene cosa significa perdere una personacara. E immaginavo quanto dovesse essere difficile convivere con un colore dei capelli tantoinsolito. I miei occhi gialli, fin dall’infanzia, non avevano suscitato che diffidenza. Tuttavia, anche seultimamente avevo scoperto che le creature delle fiabe potevano diventare reali, non credevo fossedavvero una fata. Forse, però, pensare di esserlo era per lei un modo di convivere con una diversitàtanto marcata.

— Per questo devo restare qui — affermò. — Anche tu sei malata?— In un certo senso — risposi. — È come se mi fossero entrati in testa e mi avessero cancellato

dei ricordi importanti. Non so nemmeno come ci sono finita, in questo posto.— Qualche volta anch’io vorrei dimenticare — mormorò. A occhio, avrà avuto sì e no nove anni.

Cosa poteva aver vissuto di tanto terribile?— Come ti chiami? — le chiesi.— Ligea — rispose con la sua vocina squillante.— È un nome bellissimo — dissi. — Io sono Zoe. Piacere — e le tesi la mano.Ligea si raggelò. Per un lungo istante, si limitò a osservarmi con una strana espressione, come se

il mio gesto l’avesse intimorita. Poi nascose le mani dietro la schiena.— Che c’è? Ho fatto qualcosa che non va? — chiesi, sorpresa. — Da dove vengo io, si usa

stringere le mani per fare le presentazioni.Lei fece spallucce. — Scusa, ma adesso devo andare. Se Nausica scopre che mi sono intrufolata

di nuovo qui, saranno guai.Di nuovo qui? Forse Ligea era già venuta a trovarmi mentre ero incosciente? — Aspetta —

mormorai. — Non lasciarmi sola. Sei la prima persona vera che incontro da quando mi sonosvegliata. A parte le mie torturatrici, intendo.

Ligea scoppiò a ridere. — Non farti sentire a chiamarle così. Sono molto permalose.— Permalose? — dissi con tono ironico. — Avrei un altro modo per definirle. Nausica,

soprattutto, mi sembra avere un problema di controllo della rabbia. — E dire che io pensavo diessere impulsiva. Al suo confronto, ero un esempio di virtù e temperanza. — Il problema è chenessuno vuole rispondere alle mie domande, e più che in un ospedale mi sembra di essere finita inuna prigione di massima sicurezza. Tu sai dove ci troviamo?

Ligea annuì. Si guardò intorno, come se avesse paura di essere osservata. Poi sussurrò: — Quicurano le persone come me. Non so perché tu sia qui. Non sei come le altre. A vederti sembri…normale.

— Ti ringrazio, lo prenderò come un complimento — borbottai. — Ma dimmi… se davverocurano le persone, da quando sei qui hai visto se qualcuno è stato dimesso?

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Lei mi guardò con aria smarrita.— Intendo… qualcuno è guarito ed è stato lasciato andare?Ligea sbatté più volte le ciglia, come stupita. — No, certo che no — rispose. — E lo sai perché?

— aggiunse, sottovoce. — Una volta ho sentito Sasha dire che qui ci finiscono i casi disperati. E losanno tutti che i casi disperati non possono guarire.

Spalancai la bocca, allibita. — Hai… hai mai visto degli estranei venire a trovare i pazienti? —riuscii a chiedere, dopo qualche secondo.

Lei ruotò gli occhi, come se stesse rovistando nella memoria. — Adesso che ci penso, no. Maforse è solo perché non ci ho fatto caso. Io non ho nessuno che possa venirmi a trovare. — Con unamano, si sistemò il colletto della camicetta. — Mi vergogno ad ammetterlo, ma dopo che mi hannoportato qui mi capitava di piangere spesso. Io sono cresciuta in un bosco, sai? E non è stato facileimparare ad ambientarmi qui dentro. Mi sembrava di soffocare, e continuavo a pensare a un modoper fuggire.

Feci un cenno di assenso.Ligea tirò un sorriso poco convinto. — In ogni caso, non ti preoccupare, ti abituerai presto. Se

segui le regole, non ti faranno del male. Se però disubbidisci, Nausica ha un metodo tutto suo perconvincerti a fare quello che vuole. — Avevo avuto un assaggio di cosa significasse contraddireNausica. Ligea inclinò la testa di lato. — Ma se la fai proprio arrabbiare, be’, in quel caso c’è laStanza della Colpa. Lì dentro non devi finirci mai. Dice Tamara che le pareti sono le più spessedell’intero edificio. Sono imbottite per evitare che qualcuno si faccia volontariamente del male. Puoianche urlare a squarciagola, ma nessuno può sentirti. E poi è immersa nel buio. Si guardò intornobrevemente, poi si avvicinò di un passo. — E nel buio ci sono le voci. Non basta tapparti leorecchie, le voci ti urlano nella testa. Quando Tamara ne è uscita era talmente sconvolta che perqualche giorno mi ha persino ignorato.

Dunque c’erano altre persone rinchiuse qui, da qualche parte, oltre a me e Ligea. Mi chiesi quantoavrei dovuto aspettare prima di poter attraversare la soglia della porta. — Chi è Tamara?

— È una ragazza più grande di me, avrà la tua età. Di solito se ne sta in sala ricreativa adascoltare musica a tutto volume con le cuffie. Ogni volta che è di cattivo umore se la prende con me.Non fa che ripetere che sono una maledizione, e che mia sorella è morta solo per colpa mia.

— Come può dire una cattiveria del genere?Ligea fece spallucce, poi compì un passo, poco convinto, verso l’uscita. — Allora ci vediamo —

disse. — Sempre che non ti addormenti di nuovo.— Cosa intendi?— Tamara diceva che non ti saresti svegliata mai più. Ma io lo sapevo che aveva torto, si vede

che sei una okay.— G-grazie — mi limitai a ribattere.— Vorrei che mia sorella fosse ancora qui. Sareste andate d’accordo, sai? Anche lei era una che

non si faceva intimorire. — Non potei fare a meno di riflettere sulle sue parole: magari fosse statodavvero così. Invece mi sentivo più spaventata che mai, oppressa tra quattro pareti, senza punti diriferimento, lontana dalle persone a cui volevo bene e dal loro conforto. Quando mamma se n’eraandata, avevo potuto contare sull’affetto di Chloe e la vicinanza di Sam. Poi, nella mia vita eraentrato Sebastian. Al suo fianco il futuro non mi faceva più paura. Bastava un suo sguardo perriempirmi di un senso di appartenenza mai provato prima.

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— Ti manca molto, vero? — chiesi d’istinto.Ligea annuì. Prese una ciocca di capelli e iniziò a torturarla, attorcigliandola intorno all’indice.

— Ci sono giorni in cui non posso credere che se ne sia… andata per sempre. — Tese le labbra inuna smorfia di sconforto. — Nonostante sia passato più di un anno a volte mi sveglio la notte, con lachiara sensazione che Nolwenn sia con me, che mi basterebbe chiamare il suo nome per sentirlaavvicinarsi al mio letto e lasciarmi una carezza sul viso. Mi direbbe che va tutto bene, e che nondevo aver paura di niente, perché lei è ancora al mio fianco, dove è sempre stata. — Ligea era solouna bambina, ma dotata di una lucidità e una sensibilità sconosciute a molti adulti.

Ero sempre stata una persona riservata, ed era difficile per me confidarmi persino con Chloe, lamia migliore amica, figurarsi con un’estranea. Ma le parole mi sgorgarono fuori come l’acqua di untorrente all’arrivo della primavera. — Succede anche a me — mormorai. — Ci sono perdite che iltempo non può colmare. Mia madre è morta che avevo tredici anni ma, a volte, nel dormiveglia, micapita ancora di sentirla suonare il pianoforte. Ricordo che quando ero giù di morale mi bastavaascoltarla per sentirmi meglio.

Il volto di Ligea si illuminò. — Anche tu sai suonare il piano? — chiese. Sorrisi e aprii la boccaper parlare. Lei dovette prenderlo come un assenso perché, senza darmi il tempo di rispondere,aggiunse: — Io me la cavo abbastanza bene col flauto traverso. Se mai ci ritrovassimo fuori di qui,potremmo fondare una band.

— Affare fatto — dissi. Di certo, sarebbe stata una band insolita. Non potevo certo spiegarlequanto fosse difficile per me suonare di fronte al pubblico, figuriamoci esibirmi in concerto conaddirittura l’accompagnamento di un flauto traverso. Per non parlare del fatto che in questo momentola libertà mi sembrava lontana, come il cielo sui tetti di Milano.

Ligea vinse la distanza che la separava dalla porta, impugnò la maniglia, poi si immobilizzòall’improvviso. Si voltò per incontrare il mio sguardo. — Chi è Adam? — mi chiese.

Ci pensai su per una manciata di secondi, poi dissi: — Non conosco nessuno che si chiami così.— È impossibile… devi conoscerlo! Hai ripetuto il suo nome così tante volte, nel sonno.Scossi la testa con decisione. — Mai sentito — puntualizzai. — Ti sei sicuramente confusa. Era

Sebastian che chiamavo.Ligea corrugò la fronte, come per respingere una nota di disappunto. — Non mi sono confusa. Ho

sentito perfettamente che dicevi A-d-a-m — protestò. — A volte il tuo tono era triste, altre sembravache lui fosse lì con te, e chiamavi il suo nome con dolcezza.

— Ma… non può essere — mormorai.Lei increspò le labbra e ruotò gli occhi all’insù, come indispettita. Poi fece un ampio respiro. —

Mi sono spesso chiesta cosa stessi sognando — disse dopo qualche istante di silenzio. — Venivo atrovarti di nascosto ogni pomeriggio, mi nascondevo sotto il tuo letto e ascoltavo il tuo respiro.Desideravo con tutta me stessa che ti svegliassi mentre ero lì con te. A forza di vedere i tuoi occhichiusi, ho provato a immaginare di che colore fossero. Ma non avrei mai detto che erano gialli —esclamò, abbozzando un sorriso.

— È una… specie di magia — bofonchiai.— Magari uno di questi giorni mi racconti la tua storia — disse con enfasi. — In questi mesi ho

pregato che ti risvegliassi perché ero sicura che avessi una storia affascinante da raccontarmi.— Come sarebbe a dire… mesi?! — sbottai.Ligea annuì con decisione, scuotendo il capo e facendo fluttuare i suoi splendidi capelli azzurri.

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— È difficile contare il tempo, qui dentro. Ma di una cosa sono assolutamente certa. Sei arrivataqualche giorno dopo di me, e quando mi hanno portato qui era dicembre. Ora siamo in piena estate.Hai dormito per più di sei mesi.

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L’estate di Biancaneve

Mi ero seduta sul materasso coi piedi penzoloni e mi stavo osservando incredula le ciocche dicapelli che scendevano fluenti fino al seno. Non ero mai riuscita a farli crescere tanto. Quando Sashaentrò nella stanza, in testa continuava a risuonare quello che Ligea mi aveva detto poco fa. Avevocominciato a sospettare di essere rimasta incosciente a lungo. Possibile che fossero passati ben seimesi? E se davvero nessuno sapeva niente di Sebastian, cosa ne era stato di lui in tutto questo tempo?

Ero certa che mi avrebbe cercata e non si sarebbe dato pace finché non mi avesse trovata. Perchéallora non c’era? Il pensiero che gli fosse successo qualcosa di brutto tornò a strozzarmi la gola.

Sasha appoggiò il vassoio con il mio pasto sul comodino di fianco al letto. — Vedo che stairecuperando le forze.

Solo in quel momento mi resi conto della sua presenza. Mi girai di scatto e le dardeggiaiun’occhiata infuocata. — Perché nessuno mi ha detto che ho dormito così a lungo?

— Io… non so di cosa tu stia parlando — balbettò lei.— Sei mesi che mi controlli il battito cardiaco e non sai di cosa sto parlando?Sasha si guardò intorno febbrile, come alla ricerca di qualcun altro che rispondesse al suo posto.

Ma c’eravamo solo io e lei. — Chi ti ha detto una cosa del genere?— Non ha importanza chi me l’ha detto. È vero o no?Sasha indietreggiò di un passo. Mi protesi per afferrarla per il braccio. — Lasciami — si

lamentò.— Ti prego, dammi una mano. Io… devo andarmene. Qui dentro mi sembra di impazzire.— Non posso… — mugolò. — Nausica mi ha ordinato di non dirti nulla finché non ti decidi a

collaborare. Mi punirà severamente, se viene a sapere anche solo che ti ho rivolto la parola.— Tu non sei come Nausica — replicai. — E io, ti assicuro, non sto cercando di nascondere

niente. Non sai quanto vorrei ricordare cosa mi è capitato, ma quando cerco di tornare indietro con lamemoria al momento dell’incidente non vedo altro che nebbia. — Continuavo a tenerla per ilbraccio, non potevo permettere che se ne andasse proprio ora. E più Sasha cercava di divincolarsi,più la mia stretta diventava salda, come se fossi appesa a un cornicione e sotto di me ci fossero ventipiani prima dell’asfalto.

— Mi stai facendo male — protestò.Mi resi conto che stavo esagerando, ma ero convinta che Sasha fosse la mia unica speranza di fare

chiarezza. — Scusami — dissi, allentando la presa fino a lasciarla libera.Lei sgattaiolò via fino a raggiungere la porta. — Ti ho lasciato il vassoio col cibo sul comodino.— Portalo pure via. Non ho fame.Sasha si accigliò. — Non farlo — disse. — Devi mangiare qualcosa per rimetterti in sesto.— E perché dovrei? Tanto lo so che non mi lascerete mai uscire da qui. Ho sentito dire che

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nessuno se n’è mai andato. Tanto varrebbe lasciarmi morire. — Mi morsi un labbro. — E poi, senzaSebastian è come se fossi già morta.

Sasha abbassò gli occhi. — Dev’essere dura — disse con un filo di voce. — Stare separata dallapersona che ami, intendo.

Raccolsi le gambe al centro del letto. — Non immagini quanto — mormorai. — Sin da bambinami sono sempre sentita incompleta. Come se nel mio petto battesse solo la metà di un cuore spezzato.Pensa che la mia migliore amica mi accusava di essere una donna di ghiaccio. E quando mi parlavadell’amore ci mancava poco che mi mettessi a ringhiare.

Sasha sorrise.— Ho capito più tardi che il mio rifiuto era solo dettato dalla paura — continuai. — Avevo paura

di soffrire perché l’amore, quello vero, può farti volare e precipitare allo stesso tempo. — Mistrofinai le mani sulle gambe. Anche se Ligea aveva detto che eravamo in piena estate, ero scossa daibrividi. Ma forse non erano di freddo. — Proprio come qui, ora. Mi sento immersa in quell’abissoche mi spaventava a morte e che per tutta la vita ho cercato di evitare, perché prima di trovarmi inquesta situazione ero convinta di averla ritrovata, la metà del mio cuore spezzato.

Sasha incollò lo sguardo al pavimento. — Io… penso di sapere come ti senti — mormorò.Scossi la testa con decisione. — Non credo — dissi, perdendo lo sguardo nel vuoto. — E non so

neanche perché ti sto dicendo queste cose. Sarà che questa lunga convalescenza mi ha rammollito.— Quando sei arrivata eri in condizioni disperate — disse Sasha con un filo di voce, come per

stemperare il fatto che stava trasgredendo a un ordine preciso di Nausica.La guardai, colma di apprensione. — Per via dell’incidente?Lei annuì, ricambiando il mio sguardo. — Il tuo corpo era pieno di ferite. Respiravi a fatica e il

battito era irregolare. Perdevi sangue da un brutto taglio sulla testa, al punto che credevo non cel’avresti fatta a superare la prima notte.

D’istinto mi portai la mano alla nuca e, tastando la cute, mi resi conto che era attraversata da unalunga cicatrice. — Com’è possibile? — sbottai. — Quando sono salita sulla moto indossavo ilcasco.

— Devi averlo perso nella caduta. Dicono che sia stato un incidente orribile, anche se non soaltro. Mi sono limitata a vegliarti, sperando che fossi abbastanza forte da rispondere alle cure. Quinon siamo molto attrezzati per… casi come il tuo.

— Cosa vuoi dire?Compì un passo incerto verso di me. — Eri in uno stato di incoscienza profondo. Più che a un

coma somigliava a un lungo sonno. Sotto le tue palpebre chiuse gli occhi si muovevano rapidamente,come se stessi sognando. Non hai mai smesso di farlo.

— Sono un autentico caso clinico, vero?In tutta risposta Sasha scosse la testa, come a sottolineare che c’era dell’altro. — Non ne so

granché di medicina, ma una volta ho sentito le altre che parlavano di te. Nausica sosteneva che fossivittima di un maleficio.

Sgranai gli occhi. Se davvero le fiabe e le leggende avevano un fondo di verità, avevo appenascoperto di essere precipitata nella più oscura versione di Biancaneve, senza neanche la necessità didover mordere la mela. Cercai di mantenere il controllo, di non lasciarmi suggestionare. Forse eranosolo le farneticazioni di Nausica o delle altre come lei.

— Chi potrebbe avermi fatto questo?

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— Io… non lo so… — rispose lei, mordendosi un labbro. — Le altre non parlano con me dellequestioni importanti. Anche il fascicolo che ti riguarda viene custodito in un archivio a cui non hoaccesso.

Dunque c’era addirittura un fascicolo su di me, nascosto da qualche parte, neanche fossi stataun’agente del controspionaggio nemico da tenere d’occhio. Dovevo trovare il modo di consultarlo.Forse era lì che avrei scoperto quello che cercavo.

— Grazie — dissi a Sasha.Lei fece un cenno col capo e ricambiò. — Ti prego, non farne parola con Nausica. Lei…— Puoi fidarti di me — affermai, incrociando due dita sul petto. — Fingerò che tu non mi abbia

detto niente.Sasha rimase immobile per un lungo istante. Era a metà strada tra me e la porta e sembrava

indecisa sul da farsi. Poi riuscì a vincere la titubanza che la tratteneva. — Sebastian… — mormoròguardandosi intorno, per poi incollare gli occhi ai miei. — È davvero un Inquisitore? — chiese, conla voce che quasi tremava, come se il solo pronunciare la parola “Inquisitore” bastasse a evocare leradici dell’odio.

— Sì — sospirai. — Ma non è come dicono — aggiunsi con voce accorata. — Non ho tradito lemie Sorelle. Io e Sebastian volevamo solo stare insieme, lontano dall’orrore di questa guerra infinita.

Lei annuì con decisione. — Io ti credo — disse.— Quello che mi fa impazzire è che Sebastian è là fuori, da qualche parte. So che è in pericolo,

me lo urla ogni cellula del corpo, ma non posso fare nulla per aiutarlo. — Non era solo unasensazione. Non avevo dimenticato che la notte in cui tutto era precipitato, Bruno, il suo padreadottivo, mi aveva telefonato per avvertirmi che Sebastian era in pericolo. E non avevo dimenticatonemmeno ciò che mi aveva detto prima di essere assassinato. Sebastian non è chi credi che sia. —Sono bloccata dentro una stanza che non ha nemmeno una finestra per sapere se è giorno o notte —aggiunsi. — Ma mi rifiuto di rassegnarmi ad averlo perso.

— Potrebbe essere tornato con gli Inquisitori — replicò Sasha.— Non lo farebbe mai — affermai. Non potevo spiegare a Sasha il motivo per cui nemmeno

Sebastian si fidava più dei membri dell’Ordine. Non dopo che lo avevano rapito, lo avevano tenutosotto sorveglianza nella sua stessa casa e gli avevano fatto credere che fossi stata io a uccidereBruno. Non dopo aver ricordato cosa ci era successo nella nostra vita passata. Sebastian era unaparte di me, quando eravamo insieme potevo sentire il battito del suo cuore accanto al mio. — Socon certezza che non mi avrebbe mai abbandonato — aggiunsi. Strinsi i pugni, deglutendo unaboccata di fiele. Dovetti lottare per respingere le lacrime. Mi sentivo debole, impotente e incapace didare un senso alla mia condizione.

— Non è bene amare chi non potrai mai avere — disse Sasha, come recitando una filastrocca cheaveva imparato a memoria. Poi abbassò il capo e per un istante credetti di intravedere lo scintillio diuna lacrima affacciarsi alle sue ciglia.

— C-cosa? — bofonchiai. Ma avevo sentito benissimo. E comprendevo alla perfezione ilsignificato delle sue parole. Quante volte anch’io mi ero sentita dire la stessa cosa. Da Sam, daMisha, ma anche da una parte di me, quella più razionale che mi gridava che una strega non puòamare il suo nemico naturale. Ma non si ama con la testa, bensì col cuore. E il mio batteva troppoforte per sentire ragioni. Batteva per Sebastian, da tutta la vita e anche da prima. Eravamo legati dasempre e per sempre.

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— Forse dobbiamo rassegnarci a lasciar perdere ciò che è impossibile da raggiungere — disselei.

— No — ribattei, scuotendo la testa. — È impossibile solo quello che non abbiamo il coraggio diaffrontare.

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Oltre la soglia

— Sebastian? — chiamai debolmente. Mi ero sentita sfiorare nel sonno, un tocco leggero che miaveva ricordato la sua pelle.

Aprii gli occhi a fatica sforzandomi di riemergere dal dormiveglia a cui ero avvinghiata. Dovettisbattere le palpebre più volte per mettere a fuoco la sagoma seduta di fianco a me. — Sei proprio tu— sussurrai.

Sebastian annuì con un cenno del capo. — Ho vegliato su di te aspettando che ti riavessi — disserivolgendomi un sorriso impercettibile.

Allungai la mano per sfiorare il suo viso. Era bello da togliere il fiato. Nei suoi lineamenti sirincorrevano luce e ombra, dolcezza e severità. Il naso leggermente aquilino gli donava un aspettoaustero, attutito dalla dolcezza delle labbra carnose. I capelli castani gli ricadevano obliqui sullafronte e tagliavano lo sguardo color smeraldo. Indossava una T-shirt color antracite che evidenziava imuscoli delle spalle.

— Sapevo che mi avresti trovato — esclamai con trasporto.Lui si portò l’indice alla bocca. — Shhh — mormorò. — Non devono sentirci. Nessuno sa che

sono qui. Sono venuto per portarti via.Mi sollevai sui gomiti. — Come hai fatto a entrare?— Non c’è tempo per le spiegazioni. Ti dirò tutto quando saremo fuori, al sicuro. — Il suono

della sua voce era come un balsamo lenitivo, capace di cancellare tutto il dolore. — Questa volta,niente potrà separarci — aggiunse accarezzandomi i capelli.

Ero incredula e felice, mi sentivo rinascere. Io e Sebastian stavamo per realizzare il nostro sogno,ce ne saremmo andati e avremmo vissuto alla giornata, lontani dalle aspettative degli altri, daInquisitori, Arpie e demoni, ma soprattutto al riparo dalla profezia secondo cui ero una specie dipredestinata. Non vedevo l’ora di lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo al fianco diSebastian.

— Dimmelo mille volte — mormorai — ripetimelo finché le tue parole non saranno tatuate nellamia anima. — Poi presi la sua mano e la strinsi forte.

Lui se la portò al cuore e sotto i pettorali scolpiti sentii il suo battito come se fosse il mio. — Telo dirò fino a stancarti, te lo prometto. Ma adesso dobbiamo andare. — Mi mise un braccio sotto laschiena e mi aiutò ad alzarmi.

Appoggiai i piedi sul pavimento. Era freddo e il contatto mi strappò un brivido. — Non ho nienteda mettermi addosso — protestai. — Ho soltanto questa camicia da notte. Il mio zaino coi vestiti èsparito. Mi hanno portato via tutto, anche l’anello di mia madre.

Lui si chinò e mi mostrò il mio zaino. Sbarrai gli occhi per lo stupore. — Dove l’hai trovato? —chiesi.

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Sebastian non rispose. Senza dire una parola, estrasse dalla tasca interna dello zaino gli occhialida sole da diva che mi aveva preso in quel negozietto sui Navigli. Era stato in occasione del nostroprimo vero appuntamento. Quel pomeriggio mi ero sorpresa a riflettere su quanto fosse meravigliosocamminare al suo fianco mescolandoci con la gente comune.

— Ricordi quello che ti ho detto quando te li ho regalati? — mi chiese.Annuii con decisione. — Che attraverso queste lenti avrei visto un mondo migliore.— Allora non ci resta che provare — mormorò. — Indossali.Mi sforzai di sorridere, anche se ero meravigliata dalla sua insolita richiesta. Ma non mi

importava. Sebastian era con me, avevo recuperato le mie cose e presto quella brutta esperienzasarebbe stata soltanto un ricordo. Li inforcai. — Sono pronta — dissi con convinzione. Ma ora sulviso di Sebastian era comparsa un’ombra di inquietudine.

— Cosa succede? — chiesi.In tutta risposta, mi fece cenno di guardare in basso. Il pavimento si tramutò in una lastra di

ghiaccio e sulla superficie cominciarono ad aprirsi delle crepe, come profonde ferite da cuifuoriusciva un’acqua torbida. Mi tolsi gli occhiali in tutta fretta, come se scottassero, come sedavvero quella visione fosse stata evocata dalle lenti che avevo davanti agli occhi. Mi scivolaronodi mano e caddero dentro l’acqua, bagnandomi le gambe con schizzi gelidi.

Il letto fu divorato dal mare che si stava aprendo sotto di noi. Sparì sotto la superficie in pochiistanti, in un gorgoglio sinistro. Le pareti della stanza si sgretolarono come sabbia sotto l’impeto diun’onda improvvisa, tra lo scricchiolio incessante del ghiaccio che continuava a spezzarsi.All’orizzonte c’era solo acqua e una coltre di nubi scure che si avvicinavano.

Tra me e Sebastian si frappose una spaccatura, che in un attimo diventò una distanza incolmabile.Finimmo per trovarci su due piattaforme separate che galleggiavano su un oceano oscuro. Mi protesiverso di lui, e Sebastian fece lo stesso. Ma riuscimmo a sfiorarci soltanto le dita, come una carezzasulla punta di un addio.

— Continua a cercarmi, Zoe — gridò. Il suo viso si era fatto pallido, quasi all’improvviso fossestato svuotato dalla luce vitale. — Non ti arrendere!

Prima che potessi ribattere, lo scricchiolare della lastra che mi sosteneva attirò la mia attenzione.Lanciai un’occhiata in basso: si era formata una ragnatela di incrinature e ben presto il ghiacciosottile si frantumò sotto il mio peso. In un attimo fui risucchiata dentro l’acqua. Era ghiacciata, ma fucome se la mia carne fosse perforata da migliaia di aghi roventi. Annaspai, dibattendomi alla ricercadi un appiglio, incapace di respirare, sentendo l’acqua che mi entrava nei polmoni, cercando diemergere in superficie mentre una forza invisibile mi spingeva a fondo.

E mi svegliai per davvero. Mi sollevai di scatto sui gomiti, respirando affannosamente come dopouna lunga apnea. Ero sudata al punto che la camicia da notte mi si era appiccicata alla pelle. Miguardai intorno, smarrita. Il neon sul soffitto mi colpiva con la sua luce immobile. Sul comodino afianco c’era ancora il vassoio con il cibo che non avevo toccato.

— A giudicare dal tuo aspetto, direi che non era un bel sogno. — Nausica era ai piedi del letto, edietro di lei c’era Sasha.

— N-no — bofonchiai. La voce mi uscì strozzata, come se fossi appena riemersa da un mare nerodi cattivi pensieri. Non potevo crederci, era stato soltanto un sogno, anche se così vivido dasembrare reale. Ero ancora lì, imprigionata tra quelle quattro pareti, con Nausica che mi fissava condistacco.

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— Preparati — annunciò. — Dato che hai fatto enormi progressi, Sasha ti aiuterà a rimuovere leflebo e tutto il resto. — Inarcò un sopracciglio, prima di aggiungere: — Potrai uscire da questastanza. È quello che volevi, no?

Niente affatto, non era quello che volevo, avrei voluto gridare. Ciò che volevo era che Sebastianmi avesse trovato per davvero, e andare con lui in un luogo lontano dove nemmeno gli incubiavrebbero potuto raggiungermi.

Non volevo rimanere un minuto di più, né sentire il tono carico di presunzione di Nausica. Volevodividere una tisana Mellon collie con Chloe, al Bloody Mary, per poi correre a casa e accarezzare lapelliccia nera e bianca di Nosferatu, e infine suonare il pianoforte in attesa dell’ultima luce deltramonto.

— Non esattamente — mi limitai a ribattere.Sasha mi liberò da aghi e tubicini. Ne fui sollevata, anche se di certo non avevo voglia di

festeggiare: rimanevo pur sempre una reclusa. E quel sogno mi aveva lasciato uno sgradevole sensod’ansia che non riuscivo a scrollarmi di dosso. La mia immaginazione aveva trovato una via di fuga,solo per rimanere invischiata in una visione dai contorni spaventosi. E ora che mi ritrovavo a doverfronteggiare la realtà mi sentivo più che mai stanca e demotivata.

Pochi minuti dopo, Sasha mi consegnò una maglietta bianca e un paio di pantaloni della tuta dicolore grigio. Nausica aveva assistito alle operazioni in silenzio, tenendo le braccia conserte.

— Devo spogliarmi di fronte a voi? — chiesi, senza poter trattenere un moto di stizza.Nausica mi rivolse un sorriso obliquo e uscì dalla stanza.— Tutto bene? — mi chiese Sasha non appena fummo rimaste sole. Dovevo avere un aspetto

davvero tremendo, sembrava seriamente preoccupata.Per una vita intera avevo nascosto le mie emozioni come se bastasse a trattenere alla catena la

malinconia. Per una vita intera mi ero limitata a dire che andava tutto bene, anche quando dentro dime era in atto una battaglia senza tregua. Non era più il momento di fingere, pensai. Non con l’unicapersona che aveva dimostrato un po’ di comprensione, anche se sapevo che Sasha restava una dellemie sorveglianti.

Forse raccontarle di Sebastian era un modo per mantenere vivo il legame con lui. Da quando miero risvegliata sembravano aver fatto di tutto per spogliarmi della mia identità.

— In effetti no — mi decisi a dire, dopo un lungo istante di silenzio. — Non va tutto bene. Hosognato Sebastian, e all’inizio è stato bellissimo ritrovarlo. Per un attimo, ho creduto che potessimodavvero ricominciare. Pensavo che lui mi avrebbe portato via, ma era solo un’illusione. E alla finesono stata risucchiata in un incubo orribile. Ero convinta di essere sul punto di annegare e…

Sasha non mi lasciò finire la frase. — Non aggiungere altro. È tutto finito, adesso.— Sarebbe tutto finito se potessi riprendere la mia vita da dove è stata interrotta — sentenziai.

Poi abbassai lo sguardo, prima di aggiungere: — Tu… credi di potermi aiutare?Sasha sembrò avere un tentennamento. — Te l’ho già detto. Ti prego, non tornare sull’argomento.

Non dovrei neanche parlarti. Nausica ha occhi e orecchie ovunque.Scossi la testa, sconfortata. Per un lungo istante rimasi a fissare i vestiti che mi aveva portato, e

che ora giacevano sul letto. — Quelli non sono i miei. Posso almeno riavere lo zaino con i mieivestiti?

— Non dipende da me — si limitò a rispondere Sasha.Era inutile, ogni mio tentativo di riportare l’attenzione a ciò di cui mi stavano privando, fossero i

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miei oggetti personali o la mia libertà, si infrangeva contro un muro di gomma. Così, senza altreobiezioni, anche se dentro mi sentivo ribollire, indossai maglietta e pantaloni. — Sono pronta —dissi.

Sasha si avviò alla porta e la aprì. La seguii e qualche istante dopo mi ritrovai davanti a quellasoglia che avevo tanto desiderato di attraversare. Ebbi un attimo di incertezza. Esitai prima dicompiere il passo che mi avrebbe portato al di fuori della stanza che era diventata l’unico mondoconosciuto dal mio primo risveglio, poi presi un ampio respiro e uscii.

Mi ritrovai in un lungo corridoio fiancheggiato da porte e il soffitto costellato di neon chedipingevano le pareti di una luce itterica. Notai che sopra ogni porta c’era una lettera. Sulla miacampeggiava una “O” che somigliava piuttosto a uno zero. Sentivo le gambe deboli e ogni passo micostava fatica. Sasha dovette tenermi a braccetto per aiutarmi, sostenendomi per alcuni metri.

Nausica ci aspettava poco più avanti, con le braccia conserte. La sua figura era davveroimponente. Immaginai che fosse alta almeno un metro e ottanta, con spalle da nuotatrice e i muscoliguizzanti delle cosce che si intravedevano attraverso il tessuto della tuta. Forse, se l’avessi incontratafuori da lì, sarei rimasta ammirata dalla sua prestanza, io che avrei fatto carte false per saltare unalezione di educazione fisica.

— Da questa parte — disse, con tono secco.Mi precedette lungo il corridoio, camminando con passo marziale. Le porte erano tutte chiuse

tranne una. Non potei trattenermi dallo sbirciare attraverso lo spiraglio. Nella stanza, simile alla miaper dimensioni e arredamento, c’era una ragazza seduta sul letto, con le gambe raccolte, che oscillavaavanti e indietro, cantando a bassa voce una nenia infantile. Era vestita con una camicia da notteidentica a quella che indossavo io fino a poco fa. Mentre la oltrepassavo, sembrò accorgersi dellamia presenza. Si girò lentamente verso di me e per un attimo i nostri occhi si incrociarono. Ma il suosguardo era vacuo, svuotato di ogni emozione.

— Chi è quella ragazza? — chiesi a Sasha.Lei non rispose. Si limitò a stringersi nelle spalle. Continuammo a camminare finché non

sbucammo in un altro corridoio e, dopo aver percorso pochi metri, Nausica e Sasha mi condusseroall’interno di un’ampia sala in cui erano allineati alcuni tavoloni bianchi, intorno ai quali eranodisposte delle sedie. Dalla presenza di un lungo bancone intuii che si trattava della mensa.

— Da questa sera mangerai insieme alle altre — disse Nausica senza degnarmi di uno sguardo.Gettai un’occhiata al quadrante dell’orologio che campeggiava in cima alla parete. Mancavano

cinque minuti alle quattro del pomeriggio. Era il primo riferimento temporale da quando mi erorisvegliata.

Pochi istanti dopo, senza indugiare, Nausica mi scortò fino a un’altra stanza dove su un grandetelevisore passavano le immagini del film Il mago di Oz con Judy Garland. Lo conoscevo beneperché era più frequente che io e Chloe ci ritrovassimo il sabato sera davanti a un vecchio film e unchilo di gelato da spartirci, piuttosto che andare in qualche locale a bere. Notai che tre ragazze daicapelli rasati erano come ipnotizzate a guardare il televisore, sedute sul pavimento, e la cosa miparve abbastanza strana sia perché avrebbero potuto sedersi sul divanetto alle loro spalle, sia perchéil volume della tv era muto.

— Questa è la sala ricreativa — disse Nausica, mentre continuavo a guardarmi intorno. Erofinalmente fuori dall’angusta cameretta in cui ero stata reclusa e mi sentivo come un cucciolo di cane

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che viene portato per la prima volta a fare una passeggiata, con l’inconveniente che a tenermi ilguinzaglio c’era la poco rassicurante figura di Nausica.

La mia attenzione fu catalizzata dalla grande finestra che si apriva su una parete laterale, a fiancodi alcune scaffalature piene di libri. Mi incantai a osservare uno scampolo di azzurro in cui, sopra lefronde degli alberi, si rincorrevano nuvole frastagliate sospinte dal vento. Per un istante, mi parvepersino di poter assaporare la brezza sul viso. Avevo lasciato Milano con la prima neve che avevainiziato a posarsi sulle strade della città, e mi ritrovavo all’improvviso in piena estate. Una partedella mia vita se n’era andata per sempre, senza che ne avessi nemmeno conservato i ricordi.

Mi accorsi che al tavolo di fianco alla finestra era seduta Ligea. Stava facendo un disegnoservendosi dei pastelli colorati, e di tanto in tanto distoglieva lo sguardo dal foglio per osservare ungrande albero i cui rami sembravano volersi arrampicare sul cielo. Se davvero era nata in un bosco,pensai che la natura incontaminata che l’aveva circondata fin dall’infanzia le dovesse mancareterribilmente. Potevo solo immaginare quanto desiderasse poter tornare a correre a piedi nudisull’erba, o respirare il profumo della resina degli alberi dopo un acquazzone. Ligea non si accorsesubito della mia presenza, come se la sua fantasia la stesse trattenendo lontano, oltre il recinto dimuri che la separavano dalla libertà.

Notai che appoggiata sul tavolo a lato del foglio c’era una piccola statua in ceramica cheraffigurava una ragazzina paffuta con una mantellina color rosa antico e delle scarpette rosse. QuandoLigea finalmente mi vide, si limitò ad abbozzare un sorriso, per poi abbassare immediatamente gliocchi, fingendo di non conoscermi.

Avrei voluto correrle incontro e abbracciarla, stamparle un bacio sulla guancia e sbirciare il suodisegno. Con i suoi occhioni azzurro intenso dello stesso colore dei capelli e il sorriso da Stregattomi ero già affezionata alla piccola Ligea, e avrei voluto fare qualcosa per proteggerla dall’atmosferaostile che si respirava tra queste pareti. Mi vennero in mente i disegni che facevo io alla sua età.

Mi capitava spesso di ritrarre, seppure con tratto incerto e infantile, un ragazzo dai capelli castanie gli occhi smeraldo: Sebastian. Era a lui che correvano i miei pensieri prima ancora di conoscerloin questa vita. Uno di quei disegni lo avevo portato con me nello zaino. Ripensare che non mi eraancora stato restituito mi fece ribollire il sangue, al punto che mi voltai verso Nausica conl’intenzione di reclamare la mia proprietà. Aprii la bocca come per parlare ma mi fermai,rendendomi conto che mi stava osservando con attenzione. Forse stava solo studiando le miereazioni, oppure aspettava un pretesto per poter tirar fuori le unghie di nuovo. Era chiaro che midetestava, anche se non riuscivo a comprenderne il motivo. Se non era una strega, perché prenderselatanto se il mio ragazzo era un Inquisitore? Sperai che non si fosse accorta del breve scambio diocchiate con Ligea, o ero sicura che le avrebbe fatto passare dei guai. Decisi quindi di rimandare ilmomento del confronto.

In quel mentre, mi accorsi di un gracchiare indistinto e continuo che proveniva da oltre unalibreria che fungeva da divisorio. Incuriosita, la oltrepassai e mi trovai faccia a faccia con unaragazza corpulenta dai capelli ricci, corti, seduta a un tavolo, gli occhi immobili sul ripiano e gliauricolari infilati nelle orecchie. Il volume era così alto che il suono che proveniva dalle cuffie sidiffondeva in tutta la sala. Pensai che nelle orecchie il frastuono dovesse essere insopportabile, ma laragazza sembrava non farci caso. In compenso avevo fatto appena in tempo a rivolgerle un’occhiataveloce che il suo sguardo si era adombrato, facendo emergere una nota di ostilità.

— E tu, cos’hai da guardare? — mi abbaiò contro, piantandomi gli occhi addosso.

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Prima che potessi ribattere, la voce di Nausica giunse alle mie spalle. — Non è il momento di fareamicizia — sibilò. — Avrai occasione di conoscere Tamara più tardi, anche se noto che è statasimpatia al primo sguardo. — Mi sospinse per un braccio e aggiunse: — Ora andiamo, il giroturistico è finito. C’è qualcuno che sta aspettando di parlare con te.

Mi guidò fino al corridoio da cui provenivamo, per poi condurmi a una biforcazione e infine a unaltro corridoio. Solo in quel momento mi resi conto che Sasha non era più con noi. Mi guardaiintorno nervosamente, sperando di vederla sbucare da un angolo. Stare sola con Nausica non mifaceva sentire a mio agio. Non potevo dimenticare quello che mi aveva fatto quando un suo semplicetocco mi era sembrato capace di stritolarmi gli organi interni.

Oltrepassammo una guardiola in cui stazionava una ragazza con una tuta di pelle nera e rossasimile a quella di Nausica, con la quale scambiò un cenno di saluto. Notai che alle sue spalle c’eraun monitor in cui si alternavano le immagini provenienti da alcune telecamere di sorveglianza.Sobbalzai nel vedere la mia immagine rimandata dallo schermo. Alzai lo sguardo e incontrai unatelecamera proprio sopra di me.

Ancora qualche passo e mi ritrovai di fronte a una porta di legno chiaro. Al di là della soglia,forse avrei finalmente trovato qualche risposta.

Chi poteva voler parlare con me? Non avevo ancora incontrato nessun volto conosciuto e mi illusiche qualcuno della mia famiglia fosse venuto a prendermi. Magari mio padre, o forse Sam. Non erala prima volta che interveniva in mia difesa per tirarmi fuori dai pasticci. Certo, se si trattava di leiavrei dovuto spiegarle tante cose, prima fra tutte perché avevo infranto la mia promessa di seguirla alSantuario delle Streghe per fuggire con un Inquisitore. Secondo Sam, solo al Santuario avrei potutotrovare riparo dagli artigli dell’Ordine e allo stesso tempo un ambiente stimolante dove esercitare imiei poteri di strega e perfezionare il mio controllo su di essi. Ma un altro pensiero si affacciò conprepotenza nella mente: e se oltre quella porta mi aspettava un incubo ancora peggiore di quello cheavevo vissuto fino a questo momento?

Di qualunque cosa si trattasse, lo avrei scoperto presto. Nausica bussò, e oltre la porta una vocefemminile sconosciuta ci invitò a entrare.

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Il fascicolo Malaspina

Mi ritrovai in un ufficio poco più ampio della camera in cui mi ero risvegliata, con una scrivania aridosso del muro e uno schedario chiuso da un lucchetto. Immaginai fosse lì che tenevano il fascicolocon le informazioni sul mio conto, e forse le risposte ad alcune delle domande che mi stavanotormentando.

Su una parete si apriva una finestra che dava su un lago dalle acque placide. La luce del sole sirifletteva sulla superficie e la permeava di scintillii metallici. Mi sembrò di essere sul ciglio di unostrapiombo da cui un sentiero di vegetazione si tuffava nel lago. In lontananza si intravedeva unalingua di terra emersa avvolta in una debole foschia. Ero sorpresa e meravigliata. Dalla finestra insala ricreativa non mi ero resa conto che ci trovavamo vicino a un lago.

— Ma cosa… cos’è questo posto? — sospirai, tornando con lo sguardo all’interno della stanza.Seduta alla scrivania c’era una donna magra dall’aspetto giovanile, nonostante l’abbigliamento

austero – un tailleur color carta da zucchero e una camicia bianca dall’ampio colletto di pizzo –sembrasse appropriato a qualcuno con almeno il doppio dei suoi anni.

— Credimi, Zoe, è prematuro parlarne — disse con voce melliflua. — Saprai tutto al momentoopportuno. — I suoi zigomi erano alti, come quelli di certe bellezze scultoree provenienti dall’Esteuropeo. I capelli neri erano raccolti in una crocchia, e gli occhiali dalla montatura rettangolaredonavano al suo sguardo una pennellata di severità che ben si abbinava al rigore del vestito. Appesoalla parete alle sue spalle c’era un grande dipinto che raffigurava una giovane donna dai capelli chele scendevano fino ai fianchi, fasciata in un lungo abito bianco, con un serpente che si avvolgevaattorno al corpo e una colomba tra le mani. La somiglianza con la donna che avevo di fronte eraimpressionante.

Sul ripiano della scrivania, a fianco di un grosso portapenne e un computer portatile, erano ripostealcune cartelline dalla copertina gialla. Riuscii a sbirciare il nome stampigliato su quella più in alto:Zoe Malaspina. Deglutii rumorosamente, stretta dall’irresistibile tentazione di afferrarla e cominciarea sfogliare i documenti che mi riguardavano. Ma dovetti trattenermi, chissà come avrebbe reagitoNausica. Mi era impossibile percepire il suo respiro dietro di me, o i suoi movimenti. Ma sentivo ilsuo sguardo incollato addosso, ed ero certa che aspettasse soltanto un mio passo falso perintervenire.

— Avvicinati, Zoe — disse la donna. — È un piacere conoscerti, finalmente. Io sono Adelaide —aggiunse, tendendomi la mano.

Mi chiesi se si stesse riferendo al mio lungo sonno, se fosse curiosa di conoscere la Zoe in carne eossa dopo aver letto ciò che altri avevano scritto nella mia scheda personale o se ci fosse unavenatura di ironia nella sua frase. Dal tono con cui parlava, dolce e suadente, non fui in grado dicapirlo. Mi limitai a compiere un passo, titubante, verso di lei.

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— Piacere — bofonchiai e le strinsi la mano, impacciata. La sua era fredda e nodosa al tatto. Fucome stringere la mano di uno scheletro. Mi aspettavo un tocco morbido e una pelle vellutata, comesuggeriva il suo aspetto giovanile, ma non ci feci caso più di tanto. Aveva ragione Ligea quando miaveva detto che non ci avrei messo molto ad abituarmi alle stranezze di questo posto.

Adelaide mi fece un cenno per farmi accomodare sulla sedia di fronte alla sua scrivania. Prima disedermi, gettai un’occhiata a Nausica. Nonostante all’interno della stanza ci fosse un’altra sediavuota, lei rimase in piedi, con le braccia raccolte dietro la schiena, come un soldato in posizione diriposo.

Presi posto cercando di mascherare il mio disagio e la delusione nel ritrovarmi di fronteall’ennesima perfetta sconosciuta ben informata su di me.

— Una tazza di tè? — mi chiese Adelaide, alzandosi per prendere la teiera appoggiata su unripiano alle sue spalle.

— No, grazie — dissi.Lei sembrò non far caso alla mia risposta: prima che ebbi finito la frase stava già versando il tè in

una tazza di ceramica verde. Me la porse e tornò a sedersi con un movimento elegante. — Bevi —disse. — Ti farà bene.

Fui colta dal desiderio di restituirle la tazza, stizzita. Perché nessuno mi stava a sentire? Certo,dovevo ammettere che il profumo era davvero invitante. Nonostante la mia riluttanza ad assecondareAdelaide, l’attrazione per quella bevanda ricca di note speziate era irresistibile.

— D’accordo — mi limitai a ribattere. Il tè nella tazza spargeva volute di fumo nell’aria.Immaginando che fosse bollente, ci soffiai dentro un paio di volte. Poi ne assaggiai un sorso e lotrovai davvero delizioso. Mentre scendeva nella gola, diffuse dentro di me un debole senso ditorpore.

— Mi fa piacere vedere che stai bene, Zoe. — Il tono di Adelaide era conciliante, ma nonriuscivo a capire se stesse cercando di rassicurarmi o di confondermi.

Appoggiai la tazza sulla scrivania. — Mi permetto di contraddirla — dissi. — Nonostante leapparenze possano far sembrare il contrario – riesco a camminare da sola e perfino a bere del tèsenza bisogno di essere imboccata – non sto affatto bene. Mi sembra trascorso un giorno ma ho persosei mesi della mia vita. Il mio ragazzo è scomparso e nessuno vuole dirmi dove sia, per non parlaredel fatto che mi tenete d’occhio come una criminale. Ho dovuto subire una specie di terzo grado, esono stata torturata perché Nausica è convinta che io nasconda chissà quale segreto. Con tutto ilrispetto, signora, come può dire che sto bene?

Adelaide scoccò un’occhiata veloce a Nausica, per poi incollare di nuovo lo sguardo su di me. —Mi rendo conto che tu ti senta contrariata — disse — perché ci sono ancora molte domande a cui nonhai ricevuto risposta. Ma devo chiederti di essere paziente, Zoe, e posso assicurarti che qui sei alsicuro. Ogni risposta arriverà a tempo debito.

— La mia famiglia è stata informata sulle mie condizioni?— La questione è delicata — affermò. — Voglio fidarmi di te, ma ho bisogno che tu mi venga

incontro. Ti prego, bevi un altro po’ di tè. Ti aiuterà a calmarti.— Non voglio bere del tè — sbottai. — Voglio chiamare mio padre e andarmene da qui.Adelaide annuì con un lieve movimento della testa. — Capisco — mormorò, come se stesse

parlando tra sé e sé. Poi prese la cartellina col mio nome e la aprì.Mi sporsi lievemente in avanti, cercando di sbirciarne il contenuto. Sobbalzai nel sentire una

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mano che si appoggiava sulla mia spalla. Mi voltai di scatto, per ritrovare gli occhi ardenti diNausica. Fece una leggera pressione per spingermi a mantenere la posizione seduta.

— Quindi non ricordi nulla dell’incidente — continuò Adelaide.— No — sibilai. — Cosa c’è scritto in quel fascicolo?Per tutta risposta, Adelaide estrasse dalla cartellina una fotografia e me la porse. Sgranai gli occhi

nel vedere che ritraeva il mio liceo a Milano. La stampa era sgranata e poco definita. Forse sitrattava di uno scatto fatto con un cellulare, ma si riconosceva una macchia nera dai contorniirregolari come una nube di insetti che si accalcava contro le finestre, arrivando a ricoprire partedella facciata.

Ricordavo perfettamente cos’era successo quella mattina. Avevo sfidato Angelica, una giovanestrega proprio come me, ma dominata dal desiderio di imporre la sua volontà sugli altri e, adifferenza mia, perfettamente in grado di dominare i suoi poteri. Come ricordavo bene che quelli nonerano insetti, ma migliaia di falene. Avevo sentito un contatto empatico indefinibile con loro, come sefossero intervenute in mio soccorso, richiamate dalla mia angoscia, proprio come quando,quattrocento anni fa, erano comparse a sciami durante il rogo e avevano trasportato la mia anima equella di Sebastian attraverso gli oceani del tempo.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime. La mia vita a Milano non sarà stata perfetta, ma ora mimancava tutto di quel periodo. Chloe e le ore passate a discutere se le foto pubblicate dai nostricompagni di classe su facebook fossero ritoccate, i pomeriggi a comporre playlist per l’iPod, perfinoi cibi surgelati che mio padre serviva per cena e i suoi ostinati tentativi di far finta che fosse ancoratutto okay. Forse aveva ragione mamma quando nella sua lettera sosteneva che i miei poteri erano undono e non una maledizione. Ma era stato sempre più difficile crederci, con la Sorellanza che volevache diventassi una di loro e gli Inquisitori che mi davano la caccia per uccidermi.

— Chi ha scattato quella foto? — riuscii a chiedere dopo un lungo istante di silenzio.— Ognuna delle nostre azioni, nel bene e nel male, ha delle conseguenze, Zoe — ribatté Adelaide.

Lo sapevo bene, non era certo necessario che me lo ricordasse lei. A farlo c’erano già i sensi dicolpa che provavo per non essere riuscita a salvare Federica, morta nel rogo del Bloody Mary, o ilsacrificio di Bruno. — Bevi un altro sorso di tè — aggiunse Adelaide togliendosi gli occhiali. — Tiaiuterà a ricordare.

Le sue iridi erano nere come pietra lavica, ma la luce proveniente dalla finestra vi si riflettevasotto forma di bagliori rossastri. Ebbi la sensazione che il suo sguardo mi stesse legando a sé con unnastro invisibile, e per un attimo fu come non essere più seduta in quell’ufficio, ma sospesa su unbinario sottile fatto di ovatta, lottando per rimanere in piedi. Mi portai la tazza alla bocca in un gestoautomatico, come se non potessi fare altrimenti. Una voce dentro di me mi suggeriva che Adelaideera una strega e stava usando la magia per interferire con la mia volontà.

Eppure avevo avuto un chiaro esempio di come la magia non funzionasse tra queste pareti. Miritrovai a inghiottire un sorso di tè e un istante dopo fui colta da una breve vertigine. Nella testaesplose un rapido flash, un lampo che mi restituì un’immagine frammentata in cui ero stretta aSebastian, seduta sul sellino posteriore della sua moto mentre sfrecciavamo sulla strada e intorno anoi i lampioni sembravano aste luminose lanciate a tutta velocità.

— C-cosa mi state facendo? — balbettai. — Cosa c’è nel tè?Senza perdere il contatto con i miei occhi, Adelaide allungò una mano per sfiorare la mia. — Bevi

— le sentii dire nella mia testa, senza che lei aprisse bocca.

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Fui scossa da una serie di brividi. Iniziai a tremare, con la tazza ancora appoggiata alle labbra. —I-io… non… — farfugliai, con la lingua che sembrava addormentata.

Lo sguardo di Adelaide si fece più avvolgente. Era nero come l’asfalto che nella notte si srotolavasotto gli pneumatici della moto di Sebastian, in un susseguirsi di frammenti di ricordi. Per un attimomi parve di udire il ruggito del motore, di sentire l’aria fredda che mi frustava il viso. Poi,d’improvviso, tutto si fece indistinto. Le immagini si dissolsero come una pellicola surriscaldata e iricordi tornarono a essere inghiottiti nei corridoi della memoria. Sentii una strozzatura in fondo allagola e cominciai a tossicchiare. Il tè che avevo ingoiato defluì nella tazza, come se il mio corpo lostesse rigettando.

Sbattei più volte le palpebre per rimettere a fuoco ciò che avevo davanti agli occhi. Adelaideaveva l’espressione contrita. Ritrasse la mano e inforcò nuovamente gli occhiali.

— Cosa c’è nel tè? — esplosi, sbattendo la tazza sul piano della scrivania. Uno schizzo macchiòla camicia di Adelaide, ma lei non ci fece caso. Sembrava già abbastanza turbata per quello che erasuccesso poco fa.

Anziché rispondermi, si limitò a riprendere in mano la cartellina col mio nome. Mi chiesi se mistava deliberatamente ignorando o se era alla ricerca di altre foto che testimoniavano la miamancanza di discrezione.

Stai calma, Zoe, mi ripetei. Conta fino a dieci e prendi un respiro profondo. Ero appena al duequando mi protesi di scatto e le strappai la cartellina dalle mani. Ma non feci in tempo a sbirciarne ilcontenuto: Nausica mi fu addosso prima che potessi farlo, piantandomi un gomito sul petto perimmobilizzarmi.

— Rimettila giù, impertinente — gridò. — E mostra un po’ di rispetto.Cercai di divincolarmi, ma la sua morsa era di ferro. A quel punto, avvenne qualcosa di

inaspettato.Adelaide si alzò di colpo e senza alcun preavviso diede uno schiaffo a Nausica. — Non tollererò

altri atti di violenza — sibilò. Spalancai la bocca per la sorpresa.Nausica si ritrasse immediatamente, portandosi la mano al volto arrossato come per coprire

un’onta. Iniziai a contare mentalmente i secondi, aspettandomi una reazione violenta di qualche tipoda parte sua. Invece non fece niente, e senza proferire parola si limitò a compiere un passo indietro eriprendere la sua posizione da soldato. Nei suoi occhi, però, scintillava un bagliore ferale.

Adelaide si sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli che era fuoriuscita dal concio, poi,come se niente fosse, tornò a rivolgere le sue attenzioni su di me.

Io mi ero immobilizzata, incredula. Adelaide prelevò dalle mie mani la cartellina con delicatezza.— Avremo modo di riparlare, io e te. Ti aspetto domani in questo ufficio, alla stessa ora — disse. —Non sarà necessario che aspetti Nausica o qualcun altro che ti accompagni. Penso che tu conosca lastrada.

Ero troppo turbata per sollevare un’obiezione. Mi limitai a farfugliare: — Okay.Adelaide mi fece un cenno col capo per congedarmi, mentre Nausica si posizionò di fianco a me e

attese che mi alzassi.Prima di uscire, lanciai un’ultima occhiata verso la finestra. Avrei voluto fuggire lontano, correre

lungo il pendio fino a raggiungere la riva, bagnarmi i piedi e cercare tra i riflessi un volto amico. Lefronde degli alberi erano scosse da forti folate di vento. Il sole creava tessiture di luce giocando conle forme dei rami e il fulgore dell’acqua. Pensai ai capelli di Sebastian, che al sole rilucevano di

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riflessi dorati come i raggi che ora si tuffavano nell’acqua del lago e al suo respiro sul mio colloquando mi stringeva a sé.

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La Stanza della Colpa

Seduta sul letto con le gambe incrociate, mi misi a riflettere su quello che era successo nell’ufficio diAdelaide. Mi chiesi chi fosse veramente quella donna. Non sapevo se era una strega, un’Arpia ochissà cos’altro. Di certo avevo avuto un assaggio del suo potere; mi aveva invischiata in un fluidodenso come il miele, dove ero riuscita a ritrovare il frammento di un ricordo dimenticato. Stretta aSebastian, a bordo della sua moto, in fuga da Milano.

Una parte di me avrebbe voluto che la visione non si interrompesse. Avrei finalmente scopertocos’era successo quella maledetta notte. D’altra parte avevo avuto la sensazione che Adelaide,tramite il contatto, fosse in grado di leggere i miei pensieri. E non sapevo ancora decidere se fosse unbene o un male. Senza contare che, forse, era stata soltanto suggestione. Dopotutto Nausica avevadetto che la magia non funzionava, qui dentro. E anche Sam avrebbe sottolineato che non si puòincolpare sempre la magia. Il più delle volte siamo noi, con le nostre azioni, a sbrogliare la catenadelle conseguenze, che a volte innesca un’inarrestabile caduta, come il susseguirsi delle tessere neldomino.

Forse la mia testa era così incasinata che, senza alcun motivo preciso, avrebbe continuato arestituirmi frammenti di ricordi senza soluzione di continuità. Possibile che l’incidente in cui io eSebastian eravamo rimasti coinvolti fosse destinato a rimanere sepolto nell’oblio? Quale catena diconseguenze avevamo innescato?

Dovevo affidarmi all’istinto per decidere a chi credere. Se volevo sopravvivere, dovevo allearmicol nemico del mio nemico. Dovevo mostrarmi collaborativa con Adelaide: Nausica era di sicuro ilpeggiore dei miei nemici, qui dentro. Ma questa volta avrei preteso delle risposte. Ero stanca dellostato di indeterminatezza in cui mi mantenevano. E la freddezza di Adelaide, il suo controllo delleemozioni e quegli occhi di brace mi facevano rabbrividire. Nella mia mente continuava a vorticarel’immagine della foto che mi aveva mostrato. Qualcuno mi stava tenendo d’occhio fin da quando imiei poteri avevano cominciato a manifestarsi. E forse ancora da prima. Ora, quella foto erasicuramente stata infilata nella cartellina col mio nome, e la cartellina riposta nell’archivio chiuso achiave. Dovevo avere accesso a quei documenti, ma come?

Mi gettai all’indietro e abbracciai il cuscino con forza. Ci tuffai la faccia e gridai a squarciagola.Poi, con un colpo di reni, mi alzai e mi misi a camminare avanti e indietro per la stanza. Se fossi stataa Milano, sarei andata di sicuro a fare una passeggiata al parco Sempione. Avrei scelto un angoloriparato ai piedi di un ippocastano e mi sarei stesa sull’erba a osservare gli scampoli di cielo chefiltravano tra le foglie. Sarei rimasta lì fino all’imbrunire, fino a che la terra non mi avesse liberatodall’angoscia. Se fossi stata a Milano sarei corsa su per i gradini della Triennale per vedere lamostra dedicata a una musa del cinema muto, poi mi sarei fermata in libreria per comprare unromanzo da leggere sul mio letto, prima di addormentarmi con Nosferatu acciambellato accanto a me.

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Ma non ero a Milano. Per quel che ne sapevo, forse non ci sarei potuta tornare mai più. Quellanotte, quando avevo lasciato la mia città e i miei affetti, non avevo riflettuto sul fatto che potevaessere per sempre. Avevo agito d’istinto, padrona delle mie possibilità. Ma adesso mi sentivoprivata della mia identità.

— Permesso? — cantilenò una vocina a pochi passi da me.Alzai lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri di Ligea. — Entra pure — le dissi, sforzandomi

di sorridere.Vidi che nascondeva le mani dietro la schiena. Avanzò timidamente e quando mi fu accanto mi

porse un foglio da disegno. — Ti piace? — mi chiese.Annuii.Ligea continuò: — L’ho fatto per te. Ho pensato che la tua camera è troppo vuota, e un tocco di

colore migliorerebbe la situazione.— E hai pensato bene — affermai. — D’accordo che amo lo stile minimale, ma così in effetti è un

po’ troppo — aggiunsi, impegnandomi per scherzarci su.Osservai il disegno con attenzione. Con tratto sorprendentemente accurato, Ligea aveva riempito

lo spazio bianco con tutti i colori del bosco. Alberi, piante e cespugli accesi dalla luce dorata delsole. Nel tronco cavo di una grande sequoia erano state ricavate una porta e una piccola finestra,come se fosse un’insolita casetta dal tetto di rami. Affacciate alla finestra c’erano due ragazze, unacoi capelli azzurri e una coi capelli rossi.

— Ehi, quelle siamo io e te — esclamai.Ligea annuì. — Oggi non mi sentivo molto ispirata, e avevo paura di non essere riuscita a rendere

il colore dei tuoi capelli.In effetti il rosso era un po’ troppo acceso, e dava piuttosto l’impressione che la mia capigliatura

fosse in fiamme. Ma non mi sembrava il caso di deludere Ligea. — C’hai preso in pieno, invece! —dissi. — Eccomi qua, con tanto di occhi gialli da gufo in libera uscita.

— Nel prossimo disegno voglio inserire anche Nolwenn. E magari… Adam. Ma dovrai dirmiqualcosa di più su di lui.

— Te l’ho detto, non conosco nessuno con quel nome.Lei si lasciò andare a una risata tintinnante. — D’accordo — cantilenò. — Quella era la mia casa.

Ogni tanto veniva a trovarmi anche mia sorella, ma doveva stare attenta a non farsi scoprire.— Vuoi dire che vivevi da sola… dentro un albero?Ligea ruotò gli occhi verso il soffitto. — Certo — rispose — quello è l’albero più antico dei

dintorni. Quando soffiava il vento, le foglie suonavano per me una ninnananna. E ogni mattina,affacciandomi, potevo vedere il sole sorgere sul lago.

Cercai di non riflettere troppo sull’ultima affermazione di Ligea, liquidandola come un prodottodella sua fervida immaginazione, ignorando quindi che mi aveva appena detto di aver vissutoall’interno di una sequoia nei pressi del lago.

— Il tuo disegno è bellissimo — le dissi. Mi protesi verso il comodino di fianco al letto e loappoggiai alla parete. — Manca solo una cornice. La vorrei azzurra, proprio come i tuoi splendidicapelli.

— Uhm… per quello ci vorrà un po’ più di tempo. Nausica non ci permette di lavorare il legno.Dice che potremmo farci male. — Si avvicinò al letto, ma rimase titubante, finché non la invitai asedersi. Mi sistemai al suo fianco. — Non è stata una bella giornata, vero? — mi chiese.

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— Direi di no, ma almeno sono potuta uscire dalla stanza.Per un lungo istante sembrò osservarmi. — Sei proprio come Ventosa.— Ventosa? — chiesi, meravigliata.— Era la mia lepre. Era bianca, ma con le orecchie e la coda nere. Un giorno si era ferita alla

zampa, e per aiutarla a guarire le avevo costruito una scatola di legno dove poteva riposarsi al riparodalle volpi. Ma lei era triste a vivere lì dentro, e ogni volta che i rumori del bosco la richiamavano,Ventosa alzava la testa e arricciava il naso. In quei momenti, era ovvio che avrebbe voluto saltarefuori da quella scatola e correre via. — Ligea iniziò a torturarsi una ciocca di capelli, arrotolandolaintorno a un dito. — Ci sono volute settimane prima che si riprendesse, ma poi è guarita. I primigiorni saltellava intorno al mio albero, come per farmi vedere che stava bene ed era pronta a tornarenel bosco, ma poi finiva sempre per tornare nella scatola. E pensare che un tempo amavaallontanarsi, e correre sulla collina dove trovava i germogli più freschi. — Ligea si strinse nellespalle, poi aggiunse: — Penso che avesse paura di farsi male di nuovo.

Per un lungo istante, rimasi in silenzio. Mi sentivo proprio come quella piccola lepre. Avreipotuto fare un giro esplorativo per i corridoi, guardarmi intorno, rifugiarmi nella sala ricreativa,magari trovare conforto tra i libri che avevo visto tra le scaffalature. E invece, alla fine, ero tornatanella mia piccola prigione a contare i rimpianti.

— Sei una ragazzina saggia, lo sai?Ligea allargò il suo sorriso da Stregatto. — Me lo diceva sempre anche mia sorella.Allungai la mano per farle un buffetto sulla guancia. Ma non appena sfiorai la sua pelle lei si fece

indietro di scatto, per andare a rifugiarsi in un angolo del letto, rischiando di cadere giù.Mi accorsi che tremava, e avvicinai la mano per accarezzarle i capelli. Cercò di ritrarsi. — Non

te l’hanno detto? Non puoi toccarmi — disse. — Ti farò del male.— Ma che dici — la rassicurai. — Tu non puoi farmi del male. — Le appoggiai una mano sulla

testa e iniziai ad accarezzarle i capelli. Erano lisci come filamenti di seta. Mi accorsi che il suocorpo esile era scosso da fremiti. Ligea stava singhiozzando. — Va tutto bene — mormorai.

— Non posso crederci… — disse, meravigliata.— Hai visto? È tutto okay, non c’è motivo di essere triste.— Non piango perché sono triste, cosa credi? — Appoggiò la testa sulle mie gambe e si

rannicchiò come ero sicura che avrebbe fatto Ventosa, lasciando che continuassi ad accarezzarle icapelli.

Possibile che avessero fatto credere a una bambina che nessuno poteva toccarla? Che razza ditortura doveva essere stata non poter mai contare sull’abbraccio di nessuno?

— Meglio così — ribattei.Ligea iniziò gradualmente a calmarsi. — Ti piace la pioggia?— Certamente — risposi, ripensando a quando Sebastian mi aveva portato dal marionettista da

cui aveva comprato le scenografie per il laboratorio di teatro. Quando piove sono le nuvole chepiangono, aveva detto. E forse piangere aiuta davvero a scacciare i cattivi pensieri, a liberarsi deifardelli che portiamo in seno all’anima, per far spazio alla speranza. La pioggia aiuta a sciogliere lefinzioni, come la luce del sole può proiettare ombre scure in cui diventa difficile distinguere il benedal male.

— Qui piove spesso. Quando vivevo in riva al lago e scoppiava un temporale, finivo sempre percorrere fuori. Mi piaceva sentire la pioggia che mi riempiva i capelli e mi scorreva sulla pelle. Era

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come se il cielo mi stesse facendo delle carezze. — Increspò le labbra, in una smorfia cheassomigliava sia a un sorriso che al suo contrario. — Poi andavo spesso su uno scoglio da cui potevoimmergere i piedi nell’acqua — aggiunse dopo un istante di silenzio. — Da lì osservavo i fulminiche si scaricavano all’orizzonte.

— Doveva essere uno spettacolo mozzafiato — ribattei.Ligea fece sì con ampi movimenti della testa. — Mi piacerebbe portartici, un giorno o l’altro.— Anch’io vorrei portarti a visitare un posto speciale. — Pensavo ai Navigli a Milano, dove la

città è ancora come doveva apparire ai visitatori dell’inizio del secolo scorso.— E mi presenterai Adam?Le dardeggiai un’occhiataccia. — Sebastian.Lei si strinse nelle spalle. — Come dici tu.Quando arrivammo in sala mensa, c’era una piccola fila di ragazze al bancone con il vassoio tra le

mani che aspettavano di essere servite. Tamara era già seduta in un angolo e si portava velocementela forchetta alla bocca guardandosi intorno con circospezione, come un cane timoroso che qualcunoarrivasse a rubargli il cibo dalla ciotola. Immaginai non ci fosse la corsa per andarsi a sedere al suotavolo.

Ligea prelevò un vassoio, vi dispose le posate, un bicchiere e un tovagliolo di carta, e mi fecesegno di raggiungere le altre. Dietro il bancone c’era Sasha, con un grembiule da cuoca sopra la tutadi pelle. Un abbinamento davvero insolito, pensai. Sbirciai tra le pietanze, non c’era nientedall’aspetto particolarmente appetitoso. Quando arrivò il nostro turno, Ligea si fece servire un piattodi verdure miste e una pagnotta di pane di sesamo, e io una cotoletta col purè. Ligea guardò il miopiatto storcendo il naso. — Che c’è? — le chiesi, temendo che tutti sapessero che cotoletta e purèsfornati dalla cucina erano notoriamente pessimi.

— Io non mangio i miei amici — disse portandosi una mano sul fianco.— In che senso?— Mi riferisco ai miei amici animali. Sono vegetariana, ovviamente — spiegò spazientita. Alzai

gli occhi al cielo, ci mancava solo la paternale da parte di una ragazzina di nove anni.Stavamo per prendere posto quando Tamara si alzò, facendo stridere la sedia sul pavimento. Si

diresse verso il bancone con un’aria da guai in vista, ma forse quella era la sua espressione nella vitadi tutti i giorni. Incrociandomi, mi urtò con una spalla.

— E stai attenta! — ringhiò.— Non sono io quella che non guarda dove cammina — ribattei d’istinto.Ligea mi rivolse un’occhiata di intesa, come per supplicarmi di lasciar perdere. Le altre ragazze

sedute intorno a noi smisero di parlare e nella stanza calò un improvviso silenzio carico di elettricità.Io e Tamara ci scambiammo una lunga occhiata, poi decisi di passare oltre per andare a prendere

posto in un tavolo in disparte. Dopo qualche passo, il brusio alle nostre spalle ricominciò.Una volta che ci fummo sedute, Ligea sospirò. — Mi spiace — disse con la sua vocina squillante.La guardai con aria interrogativa. — Che c’è?— Tamara ti ha preso di mira per colpa mia.— Ti sbagli — le dissi. — È stata antipatia a prima vista. L’ho incontrata in sala ricreativa questo

pomeriggio, e lei ha già avuto modo di farmi capire che non le vado a genio.— Se è per questo, non ti devi preoccupare. A Tamara non va a genio nessuno — borbottò Ligea,

senza rendersi conto che, proprio in quell’istante, Tamara era comparsa di fronte a noi.

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— Puoi ripetere? — chiese, in tono velenoso.— Non stavo dicendo nulla che ti riguardi — ribatté Ligea.— Ah, davvero? A me sembrava il contrario — puntualizzò Tamara.Ligea fece spallucce. — Sarà che ti sei bucata i timpani a forza di tenere il volume a palla nelle

cuffie. — Fortuna che poco prima era stata lei a farmi capire che non dovevo rispondere alleprovocazioni!

— Stai attenta a quello che dici, Azzurrina — sibilò Tamara.— Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo! — protestò Ligea.— Altrimenti? — chiese l’altra, provocatoria. — Non c’è più la tua sorellina a proteggerti, ora.— Non nominare mia sorella — replicò Ligea. — Tu non la conoscevi nemmeno.— Oh, ti sbagli. So tutto di lei. Nolwenn era una codarda.— Smettila! — gridò Ligea.— Se la faceva talmente sotto, tua sorella, che ha preferito abbandonarti piuttosto che affrontare le

sue responsabilità.— Non è vero… lei c’è sempre stata per me.— È per questo che si è ammazzata?Vidi il volto di Ligea trasfigurarsi in una smorfia di dolore, poi le lacrime scesero copiose,

rigandole le guance.Sentii le tempie ribollire per la rabbia. — Lasciala in pace — sbottai, alzandomi di scatto. Non le

lasciai il tempo di ribattere e le mollai uno spintone, come per allontanare le parole cattive cheaveva appena sputato.

Tamara barcollò all’indietro, con lo sguardo incredulo. Ma solo per un attimo. La sua espressionesorpresa si tramutò immediatamente in un ghigno sinistro. Fece uno scatto e con un gesto secco colpìil vassoio, rovesciando il contenuto sui miei vestiti.

Non persi tempo. Salii con un ginocchio sul tavolo e le balzai addosso, aggrappandomi al collodella maglietta. La sua mole era così imponente che mi sembrò di abbracciare un armadio.

Per tutta risposta, lei mi artigliò i capelli e iniziò a tirarli. Cercai di divincolarmi, ma Tamara misoverchiava con la sua forza e mi rendeva impossibile qualsiasi movimento. Così dovetti ricorrere aun rimedio estremo: le morsi il polso, stringendo i denti più che potevo. Le sfuggì un grugnitoanimalesco e mollò la presa.

I suoi occhi si tinsero di una rabbia cieca. Aveva la bava alla bocca, e sembrava un animaleinferocito. Mi caricò a testa bassa, facendomi sbattere la schiena sul tavolo, poi mi montòsull’addome, schiacciandomi col suo peso, stringendomi il collo con le sue enormi mani. Scalciai,cercai di graffiarla, ma ero inerme. Non riuscivo a respirare.

Ligea urlò: — Nooo! — e con la coda dell’occhio la vidi scavalcare il tavolo per avventarsi suTamara.

Cercai di dire qualcosa per dissuaderla. Poteva essere pericoloso, poteva farsi male.Tamara era davvero furiosa, e se nella concitazione avesse colpito Ligea immaginavo che

l’avrebbe schiacciata come un moscerino sul parabrezza di un’auto. Ma non successe niente di tuttoquesto.

Ligea appoggiò la mano sul braccio di Tamara e un bagliore ceruleo si diffuse all’istante conlampi oscuri che si propagarono fino al collo. Le vene e le arterie di Tamara sembravano sul punto diprosciugarsi. Crollò sulle ginocchia, lasciando la presa sul mio collo. Il suo corpo iniziò a tremare,

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scosso da fremiti violenti, come se fosse presa da una crisi epilettica. Gli occhi le si rovesciarono ecominciò a perdere saliva da un lato della bocca.

Vidi Nausica e la ragazza che mi somigliava afferrare Ligea da dietro. Entrambe indossavano unpaio di guanti, come per proteggersi dal contatto con il suo corpo. La trascinarono all’indietro. —Calmati — sentii dire Nausica.

Ligea assunse un’espressione spaventata. — Non… non volevo farle male — balbettò. — Volevosolo che smettesse di picchiare la mia amica.

— Non è stata colpa tua — disse la ragazza dagli occhi gialli come i miei. E mi sembrò discorgervi all’interno autentica compassione. — Vai a riposare nella tua stanza. Sistemeremo tutto noi— aggiunse.

Ligea mi lanciò uno sguardo implorante, come per chiedere il mio aiuto. Le feci un cenno persuggerirle che la cosa migliore era fare come le avevano detto.

— Sto bene — mi limitai a dire. Ma lo vedevo, che era profondamente turbata. Se era successoquel casino era stato solo per colpa mia. Non avrei dovuto accettare le provocazioni di Tamara, equando lei e Ligea avevano cominciato a discutere, avrei dovuto comportarmi con maturità, cercandodi calmarle. Ma non ebbi il tempo di lasciarmi andare alle recriminazioni perché, non appena Ligeafu uscita dalla stanza, Nausica mi si parò davanti, mentre la ragazza che mi somigliava prestavasoccorso a Tamara.

— Ora tu verrai con me — ringhiò. — In poche ore sei già riuscita a sconvolgere l’ordine traqueste mura. — Il suo sguardo sembrava compiaciuto. Mi prese per un polso e mi trascinò fuori dallamensa con un tale impeto che i miei passi incespicavano. — Imparerai a sottostare alle regole —sbraitò. — E io so come insegnartelo.

Pochi istanti dopo aprì una porta di servizio che dava su una scalinata ripida. — Fai piano! — milamentai, ma lei non ci fece caso. Mi condusse fino a uno scantinato buio e umido, illuminato dallafioca luce di una lampadina nuda che penzolava dal soffitto.

Nausica aprì una porta di metallo e mi scaraventò all’interno. — Qui dentro avrai modo diriflettere — sibilò, prima di lasciarmi sola. La sentii chiudere la porta con un paio di mandate, poinon udii più alcun rumore.

Mi ci vollero alcuni secondi per abituare gli occhi alla penombra. La luce che provenivadall’oblò quadrato sulla porta non bastava a illuminare la stanza. Mi resi conto che le pareti eranoimbottite, così come la porta. Il pavimento era rivestito da una moquette che attutiva i miei passi.Forse Nausica voleva tenermi in isolamento per tutta la notte, ma non c’era nemmeno una branda sucui riposare.

Mi ricordai le parole che mi aveva detto Ligea: Se la fai proprio arrabbiare, be’, in quel casoc’è la Stanza della Colpa. Lì dentro non devi finirci mai.

Mi chiesi se era a questo che si riferiva. Mi sedetti sul pavimento, appoggiando la schiena allaparete.

Sentivo il respiro che stava accelerando, ma non dovevo farmi prendere dal panico. Avrei volutoessere insieme a Ligea per consolarla.

Cos’era successo poco fa in sala mensa? Era bastato che toccasse il braccio di Tamara per farlacrollare a terra in preda alle convulsioni. Possibile che fosse questo che Ligea intendeva permalattia? Ripensai alla sua reazione quando l’avevo toccata. Non potevo nemmeno immaginare cosasignificasse vivere senza il tocco consolatorio di qualcuno. Una carezza, un abbraccio.

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Tante volte, in quella che ormai mi sembrava la mia vita precedente, era bastato un abbraccio diChloe per ritrovare la fiducia. Per non parlare del tocco di Sebastian, che ogni volta era capace difarmi rinascere. Fu in quel momento, al buio, sola in quella stanza ostile che mi resi conto di essermidavvero affezionata a quella ragazzina impertinente dal sorriso contagioso.

Mi era capitato spesso, nella mia vita, di sentirmi sola. Io e mio padre non eravamo bravi acomunicare il nostro affetto. Ma per Ligea era diverso. Lei era davvero sola. Mi ripromisi di starlevicina, e forse dare una mano a lei avrebbe aiutato anche me. Avrebbe tenuto a bada il vuoto chesentivo crescere di ora in ora.

Poi percepii un fruscio provenire dall’angolo più buio della stanza.— C’è qualcuno? — chiesi con voce fioca.Per un istante che durò un’eternità, non ricevetti nessuna risposta. Poi vidi una figura emergere

dall’ombra. Sbarrai gli occhi.— P-papà? Sei proprio tu? — dissi con voce strozzata.Era vestito come nel nostro ultimo incontro, quando l’avevo incontrato prima di andarmene, ma

sembrava ancora più vecchio e più stanco di come mi era parso allora. Aveva gli occhi cerchiati dirosso e un’espressione smarrita.

— Perché mi hai lasciato solo, Zoe? — chiese.— Ho dovuto farlo — mi difesi. — Se fossi rimasta a Milano ti avrei messo in pericolo. Gli

Inquisitori erano sulle mie tracce e non si sarebbero fermati davanti a niente.— Sono solo scuse. Hai preferito abbandonarmi, come se non avessi già sofferto abbastanza.— Non sai quanto sia stato doloroso dirti addio quella notte — sussurrai, con i lucciconi che si

affacciavano alle ciglia.— Mi hai lasciato, proprio come ha fatto tua madre prima di te, senza neanche una spiegazione —

disse. — Mi hai spezzato il cuore — aggiunse, appoggiandosi una mano sul petto.Anche le sue mani sembravano invecchiate precocemente, solcate da venature in rilievo.

Sembrava così fragile, mio padre, che persino stare in piedi doveva costargli fatica.— Devi credermi — protestai. — Non ti avrei mai abbandonato se non fosse stato necessario.— Necessario per chi? — sibilò. Poi scosse la testa. — Ogni notte torno a casa e trovo solo il

vuoto ad attendermi. Passo ore nella tua stanza a cercare tracce di mia figlia, la mia bambina adorata.Mi hai fatto credere che potevamo ancora essere una famiglia, ricordi? Ma era una menzogna.

Iniziai a singhiozzare, senza riuscire a trattenermi. Le lacrime bruciavano sulle guance come rivoliroventi. Avrei voluto dargli una spiegazione, ma la voce era stretta da un nodo alla gola. Mossi unpasso verso di lui, protendendo la mano per trattenerlo, ma lui raggiunse il buio da cui proveniva,fino a esserne inghiottito.

Nel buio ci sono le voci, aveva detto Ligea. Non basta tapparti le orecchie, le voci ti urlanonella testa.

La stanza si impregnò all’improvviso di un terribile odore di bruciato. Sentii una manoappoggiarsi alla mia spalla.

Mi voltai di scatto e incontrai gli occhi vitrei di Federica, la barista del Bloody Mary. La fronteera corrugata, la bocca stretta in una smorfia rabbiosa. La sua pelle era raggrinzita per le ustioni.

— Volevo solo un po’ di affetto — disse con voce tremolante. — Eri un esempio per me, tuttoquello che avrei sempre voluto essere. Quante volte ho sognato che Sam mi dedicasse le stesseattenzioni che riservava a te. Per questo ho cercato di assomigliarti.

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— Non avresti dovuto farlo — mormorai. Allungai la mano cercando di sfiorarle i capelli cheaveva tinto del mio stesso colore, e una ciocca mi rimase tra le dita. La ritrassi, inorridita.

— Hai distrutto la mia vita, hai infranto i miei sogni.— Non sono stata io! Sono stati gli Inquisitori.I miei occhi erano aperti, ma era come se stessi vivendo un incubo.— Oh, sì — disse lei con voce insinuante. — Ma stavano cercando te. Sono morta al posto tuo,

per una colpa che non avevo commesso. Ero soltanto una ragazza insicura. Avevi detto di essere miaamica, hai finto di comprendermi.

— Ti capivo davvero! — protestai. — Non sai quante volte mi sono sentita persa, proprio comete.

— Hai sempre avuto tutti al tuo fianco! — strillò. — E cos’hai fatto? Hai rovinato la vita a chicercava di aiutarti. Prima tra gli altri, Sam. L’hai coperta di ridicolo di fronte alla Sorellanza, quandohai rifiutato l’iniziazione. Il locale che aveva costruito con tanti sacrifici è stato distrutto dal fuoco,insieme a me. Ed è stata solo colpa tua.

Mi coprii il volto con le mani. Non poteva essere vero. Era il mio senso di colpa a parlare, eFederica non poteva essere lì con me. Perché era morta, assassinata dagli Inquisitori che mi davanola caccia.

Avrei voluto scrollarmi di dosso quelle allucinazioni. Ma nella mia testa risuonò la voce diBruno. — Sono morto per colpa tua — mormorava.

Mi ostinai a tenere le mani davanti agli occhi. — Non sei reale — dissi ad alta voce.— Allora guardami. Se non sono reale, scomparirò.Obbedii, come se non potessi fare altro. Di fronte a me c’era Bruno, il padre di Sebastian, e nella

sua gola si apriva un taglio come un sorriso sinistro.— Sebastian non ti perdonerà mai per quello che mi hai fatto.Rividi il momento in cui ero entrata nell’ufficio di Bruno all’università e avevo trovato il suo

corpo senza vita riverso sulla scrivania. — Non è vero — esplosi. — Ho parlato con Sebastian, luinon ha dubitato di me neanche per un istante.

Lui scosse la testa con decisione. — Sebastian ti odia.— Lui mi ama — balbettai.— E allora perché non era con te, quando ti sei svegliata?Crollai a terra. — Io… non lo so… Non so neanche dove mi trovo! — Mi piantai le unghie nel

palmo della mano nel tentativo di ritrovare il senso della realtà. — L’unica cosa che so è cheSebastian ha vinto la morte per ritrovarmi. E mi ritroverà anche questa volta.

— Sono stato uno stupido — disse una voce alle mie spalle.La sua voce. — Sebastian! — urlai, voltandomi.Mi sovrastava, con il suo metro e novanta di altezza. — Ho creduto in un sogno, ma finalmente mi

sono svegliato — disse.Indossava un paio di pantaloni sdruciti e gli anfibi, ma il suo torace era scoperto. La sua pelle era

attraversata da centinaia di tatuaggi, al punto che non c’era un solo centimetro libero. Sapevo cheogni tatuaggio, per un Inquisitore, rappresentava una strega uccisa. Che ognuno di essi permetteva diassorbirne l’energia, l’esperienza, il soffio vitale.

Feci un passo in avanti. — Cosa dici? Ora che finalmente mi hai trovato, il nostro sogno potràdiventare realtà — sospirai. Allungai la mano per sfiorargli le labbra. Erano fredde al tocco, così

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come i suoi occhi color smeraldo. Scintillavano nella penombra, e nelle sue pupille era assente ognitraccia di emozioni. C’era solo determinazione.

— Sono felice di averti trovato — disse accarezzandomi il volto.Sorrisi debolmente.— Così potrò ucciderti — aggiunse.Indietreggiai, ma dopo aver compiuto un passo mi scontrai con qualcuno che stazionava alle mie

spalle. Sobbalzai, guardandomi intorno. La figura con cui mi ero scontrata sembrava composta dellastessa ombra che mi circondava.

— Io sono Adam — disse l’ombra. — È me che stai aspettando.— No — protestai. — Io non ti conosco.— Ti sbagli. Ma forse, quando capirai, sarà troppo tardi.Tutto iniziò a girare, come se fossi nella stiva di una nave col mare in tempesta. Poi crollai a terra,

priva di sensi.

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Il destino di un’Amazzone

Sentii qualcuno che mi scuoteva per le spalle con insistenza. — Basta, vi prego — farfugliai. —Lasciatemi stare.

Poi una voce che sembrava provenire da lontano disse: — Svegliati, Zoe.Ci volle un po’ prima che le mie percezioni riemergessero dal torpore. Infine, mi resi conto che

c’era Sasha con me. — Sei… davvero tu? — chiesi. Il mio corpo era scosso da tremiti e la vistaannebbiata.

— Oh, Dea — proruppe lei, mettendomi una mano sulla fronte. — Ma tu scotti! Hai la febbre.Poi mi aiutò a rialzarmi. — G-grazie — balbettai.Salii le scale con passo malfermo, mentre Sasha mi sosteneva con un braccio dietro la schiena.

Oltrepassammo la porta che conduceva nel corridoio. Non c’erano rumori provenienti dalla mensa odalla sala ricreativa. Immaginai fossero passate parecchie ore.

— Ti accompagno nella tua stanza — disse Sasha sottovoce. — Non mi interessa quello che diràNausica, non potevo lasciarti laggiù.

— Dov’è lei? — riuscii a chiederle.— Nausica non è qui, ora. Tornerà domani mattina. Anche se sembra instancabile, di notte deve

riposare anche lei. Be’… almeno un paio d’ore.A parte l’affermazione di Sasha e l’assoluto silenzio che aleggiava tra le pareti, niente faceva

supporre che fosse notte. I neon mantenevano l’ambiente sospeso in un tempo indefinito, uncrepuscolo costante dello stesso colore del latte avariato.

— Io… mi spiace per quello che è successo… non potevo immaginare…Sasha scosse la testa. — Ho visto tutto, alla mensa. Tu non hai… non hai nessuna colpa. Nausica è

stata ingiusta con te. — Evitava il mio sguardo come se sapesse il motivo per cui Nausica ce l’avevatanto con me. Ma di cosa poteva trattarsi, dato che non l’avevo mai incontrata prima?

Sasha continuò a sostenermi finché non fummo nella mia camera. Mi aiutò persino a sistemarmisotto le lenzuola.

— Ho visto delle cose, mentre ero laggiù — farfugliai. — È stato orribile.— Shhh — mormorò lei. — È tutto finito, ora. Sei al sicuro.Non ero affatto convinta che fosse tutto finito. Al contrario, pensavo che la lotta coi fantasmi dei

miei sensi di colpa era appena cominciata. — Io… non so più cosa è reale… — mugugnai.— Io sono reale — affermò Sasha. Cercavo di farmi forza, anche se i tremori erano così violenti

da farmi battere i denti. — Aspettami qui — aggiunse, dopo un lungo silenzio.— No, ti prego — mi lamentai. — Non lasciarmi sola.— Torno subito — mormorò, poi sparì oltre la soglia senza darmi il tempo di ribattere,

camminando silenziosamente.

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Persi lo sguardo da qualche parte tra le pareti della stanza, lottando per non scivolare di nuovonell’incoscienza. Mi guardavo intorno, febbrile, sperando che le visioni non tornassero atormentarmi. Ritrovai il disegno di Ligea appoggiato alla parete dietro il comodino, e riuscii asorridere.

Qualche minuto dopo, vidi riapparire Sasha sulla porta. In mano aveva una tazza fumante simile aquella che mi aveva offerto Adelaide.

Si avvicinò. — Bevi — disse, porgendomela. — Ti farà stare meglio.— No — protestai. — Non voglio… — Avevo paura che fosse un altro trucco di Adelaide, un

modo per approfittare di un mio momento di debolezza per somministrarmi qualcosa che l’avrebbeaiutata a entrare nella mia mente.

— Fidati di me, l’ho preparato con le mie mani. Non hai niente da temere. — Sasha mi mostrò ilpalmo della mano sinistra alzata, posizionandoci l’altra davanti, di taglio.

Assaggiai un sorso dalla tazza. — Cosa vuol dire quel gesto? — le chiesi, incuriosita.Sasha si strinse nelle spalle. — È un gesto che tra la mia gente significa: sono disarmata.La bevanda di Sasha sapeva di bacche, piante officinali, radici, e aveva un retrogusto amaro. Mi

ricordava certi infusi che preparava Sam quando non mi sentivo bene. Mentre scendeva nella gola misentii pervadere da un calore avvolgente. I brividi cessarono quasi all’istante, e sentii i muscoli chesi rilassavano.

— La tua… gente? — chiesi.Lei si schermì con la mano. — Hai ragione, scusa. A volte dimentico che tu provieni da un mondo

lontano anni luce dal mio. Io sono un’Amazzone. Nella mia vita non ho avuto molta scelta: ho sempresaputo che il mio destino sarebbe stato quello di combattere. Appartengo alla più antica stirpe didonne guerriere, le discendenti di Artemide, l’antica divinità dalla cui prole è nato anche il fondatoredi Sparta.

Rimasi imbambolata ad ascoltare le sue parole, come se mi stesse sfuggendo il loro significato. —Per questo sei… vestita in quel modo?

Sasha annuì. — Quella che indosso sotto il camice è la mia divisa. — Poi, addomesticò la vocecome se stesse recitando un mantra: — Sono nata per essere un soldato, e morirò con un’arma inmano.

— Cioè?— È il nostro motto. I nostri valori sono la fedeltà alla nostra regina, la lealtà, il valore in

combattimento e il perseguimento della vittoria. Le mie antenate provenivano dalle steppe dellontano Nordest. Per loro il più grande onore era morire in battaglia. Quando questo avveniva, il lorocorpo veniva arso in una pira funebre, e la loro spada conficcata sul terreno ancora tinto del lorosangue.

— Quindi… anche Nausica e le altre sono Amazzoni — pensai a voce alta.— Sì. Nausica, nonostante la sua giovane età e la sua intemperanza, è la più valorosa tra noi.— Anche tu hai una spada?Sasha fece spallucce. — Sì, ma sono ancora inesperta. Mi sto esercitando con il bastone.— Allora siamo alla pari. Tu un’apprendista Amazzone, io un’apprendista strega.Sorrise, scoprendo una fila di denti bianchi. Finalmente cominciavo a decifrare le insolite

abitudini delle mie sorveglianti. Indossavano armature di pelle e calzari che permettessero loro dicamminare senza far rumore. Le Amazzoni erano guerriere legate alla terra, letali quanto silenziose.

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Ancora una volta, mi venne in mente Sam quando diceva che dietro ogni leggenda si cela un fondo diverità.

— Ma allora… cosa ci fate qui? Perché fingete di fare le infermiere? — obiettai.— Posso assicurarti che c’è un motivo ben preciso, anche se è una lunga storia — rispose Sasha.

— Diciamo che non tutte le guerre si combattono sul campo di battaglia. Ma non è questo il momentodi parlarne, il tempo stringe.

Mi resi conto solo adesso che mi sentivo molto meglio. Ciò che mi aveva fatto bere Sasha avevaavuto un effetto miracoloso. — Cosa c’era nella tazza? — le chiesi.

— Un infuso a base di ulmaria e rosa canina — rispose lei. — L’ho preparato secondo un’anticaricetta tradizionale. È in grado di accelerare non solo la guarigione delle ferite riportate in battaglia,ma anche di quelle dell’anima. Come nel tuo caso.

La osservai con aria interrogativa. — Cosa intendi?— Il tuo organismo è sfiancato dalla lunga convalescenza, ma non è per questo che ora stai male

— affermò. Per un istante si guardò intorno, come se stesse cercando le parole. Rimasi appesa al suosguardo, trattenendo il fiato, finché non aggiunse: — Il motivo per cui il tuo corpo sta soffrendo è laseparazione dal tuo famiglio.

Quasi sobbalzai, sbalordita. Avevo ritrovato il legame con il mio famiglio dopo secoli,ricongiungendomi a Misha. Da quando era entrato nella mia vita aveva vegliato sui miei passi e miera sempre stato accanto senza mai diventare invadente.

Misha aveva riempito i miei silenzi con la sua presenza, mi aveva ascoltato quando avevo bisognodi confidarmi. Mi aveva offerto una spalla su cui piangere senza chiedere nulla in cambio, e quandomi sentivo sopraffatta dalle difficoltà un suo abbraccio era capace di riportarmi coi piedi per terra.

Misha aveva ammesso che poteva percepire le mie emozioni, che quando ero felice lo era anchelui, ma quando ero malinconica il suo cuore diventava pesante come una pietra.

Chissà cosa avrebbe provato, ora, se fosse stato al mio fianco. Forse mi avrebbe sorriso,stringendo i suoi occhi neri da squalo, e avrebbe detto qualcosa che apparentemente non c’entravaniente, ma che in qualche modo avrebbe finito per rassicurarmi. Parlando, avrebbe inclinato la testadi lato proprio come un furetto e si sarebbe passato una mano sui capelli neri graffiati di bianco,scompigliandoli come faceva di solito.

Finalmente capivo il significato delle sue parole quando sosteneva che il famiglio deve essereprotetto e accudito perché la sua perdita, per una strega, può comportare una sofferenza fisica. Mishaera molto più che il mio migliore amico. Il mio legame con lui era più profondo di quanto non avessimai voluto ammettere. Sasha aveva ragione, sentivo la sua lontananza fin dentro alle ossa.

Mi coprii il volto con le mani, sforzandomi di respingere le lacrime. A ogni ora che passavasentivo il fardello delle mie mancanze farsi più pesante. — È terribile… io… mi sento spogliata ditutto — mormorai, in preda allo sconforto. — Senza Sebastian, lontana dalla mia città e da miopadre, lontana dalla mia migliore amica e dal mio pianoforte, separata dal mio famiglio… non so sece la faccio a…

Sasha non mi lasciò finire la frase. — Non permettere al dolore di sopraffarti — disse con tonorisoluto. — È successo anche a me, e ti assicuro che non serve a niente.

— No. — Scossi la testa con forza. — Non credo che tu possa capire cosa sto provando.— Ti sbagli — disse guardandomi intensamente. — Anch’io sto soffrendo per una mancanza

incolmabile. E non è questione di un momento. La mancanza ti pugnala alle spalle, ti lacera

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dall’interno. La mancanza ti spoglia dei desideri e rende insopportabili i minuti. — Sasha si morseun labbro, abbassando lo sguardo, come se un’improvvisa strozzatura nella gola le rendesseimpossibile continuare a parlare.

— Scusa — dissi debolmente. — Non volevo…— Non hai niente di cui scusarti, e non voglio certo annoiarti con i miei problemi.Rimanemmo in silenzio per un lungo istante. — C’è una cosa che vorrei chiederti — dissi poi. —

Hai mai sentito parlare di un certo Adam?Lei rimase pensierosa per qualche secondo. — No, mi spiace — ammise, infine. — È qualcuno

che ha a che fare con la tua amnesia?— No… niente. Lascia stare.— Spero che troverai le risposte che cerchi — disse lei, prendendomi la mano. — Ora che stai

meglio c’è una cosa importante che ti voglio consegnare. — Lasciò la presa, e mi ritrovai sul palmouna piccola chiave dalla forma allungata.

— E questa cos’è? — chiesi, meravigliata.— La chiave dell’archivio di Adelaide, dove è custodito il fascicolo su di te. Credo sia da lì che

devi cominciare la tua ricerca.Sgranai gli occhi per la sorpresa. — Ma come…— L’ho presa dal quadrante della guardiola. Non è stato facile, ma ho pensato che ne valeva la

pena. Io… ti ammiro. Ho capito subito che hai lo spirito di una vera combattente e che, a differenzadi quello che ho fatto io, avresti lottato per il tuo amore fino alla fine. — I suoi occhi si animarono diuna luce brillante, un guizzo vitale che non avevo mai visto, fino a quel momento, nel ceruleo dellesue iridi.

— Ma quel corridoio è sorvegliato da una telecamera — puntualizzai. — Nausica scoprirà chesono entrata nell’ufficio dello schedario e me la farà pagare.

— C’è un modo per evitare di essere ripresa — ribatté Sasha. — La telecamera impiega sessantasecondi per compiere una rotazione completa da un’estremità all’altra. Rimani dietro l’angolo finchénon inizia a ruotare in direzione opposta, e poi cammina raso alla parete fino alla porta dell’ufficio.

— Ma… la sorvegliante? La sua guardiola è proprio di fianco all’ufficio.— Ogni sera alle 10 scatta il coprifuoco e tutte le pazienti devono ritirarsi nelle loro stanze.

Mancano pochi minuti alle 11, l’ora in cui parte il primo giro di ispezione. Inizierà dalla mensa, poipasserà alla sala ricreativa. In seguito, farà ronda per i corridoi. Il giro dura circa venti minuti,quindi dovrai farteli bastare per visionare il file e rientrare in camera prima che torni alla suapostazione.

Mi sentivo pervasa da un’agitazione crescente. Non solo per la sottile eccitazione di trasgredire auna regola che mi avevano imposto mio malgrado, ma soprattutto perché finalmente avrei saputoqualcosa di più sul motivo per cui ero sorvegliata con tanto zelo.

Sasha mi voltò le spalle e stava per uscire dalla stanza quando la fermai, trattenendola per ilbraccio. Mi rivolse un’occhiata sorpresa.

— Grazie. Non dimenticherò mai quello che hai fatto per me — le dissi, guardandolaintensamente. — Anche tu sei una ragazza coraggiosa. Non permettere mai che ti facciano credere ilcontrario.

Lei si limitò ad annuire. — Ora devo rientrare nelle camerate prima che si accorgano della miaassenza.

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Sbirciai dalla porta, osservandola mentre percorreva il corridoio col suo passo felpato. Dopo chefu scomparsa dalla visuale, lasciai aperto lo spiraglio, osservando attentamente la porta della mensa,in attesa che facesse la sua comparsa la sorvegliante. Sapevo che, come tutte le Amazzoni, nonavrebbe fatto alcun rumore, quindi dovevo tenere alto il livello di attenzione. Non potevo perderequesta occasione. Sapevo che non ce ne sarebbe stata un’altra.

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Adam?

La sorvegliante comparve nel mio campo visivo. Non appena la vidi entrare nella mensa, uscii dallamia stanza velocemente, cercando di fare il meno rumore possibile. Ancora pochi passi e fui nelpassaggio che conduceva al corridoio dove si trovava l’ufficio di Adelaide. Mi sporsi con cautelaper sbirciare l’orientamento della telecamera, ma mi ritrassi subito perché sembrava puntata proprioverso di me. Decisi che non avrei aspettato che compisse una rotazione completa prima diintrufolarmi, ma di contare fino a dieci per lasciare che iniziasse la rotazione verso la pareteopposta. Dato il poco tempo che avevo a disposizione, anche un solo minuto recuperato era prezioso.

Otto, nove… dieci.Cominciai a correre verso la porta cercando di rimanere il più possibile accostata alla parete.

All’altezza della guardiola rallentai l’andatura per assicurarmi che non ci fossero imprevisti, masembrava tutto a posto: la sedia della sorvegliante era vuota. Sbirciando nei monitor, la vidi usciredalla mensa e dirigersi verso la sala ricreativa. Poi, un’immagine mi fece sobbalzare.

La telecamera sopra di me stava inquadrando una porzione della mia ombra, un’eventualità chenon avevo considerato. Avrei dovuto essere discreta, agire come un fantasma. E invece avevo giàlasciato una traccia nelle registrazioni della sorveglianza. Se le Amazzoni si fossero insospettite eavessero deciso di controllarle, avrebbero potuto vedere il momento esatto del mio passaggio.

Mi ripetei che non aveva nessuna importanza, quell’ombra poteva appartenere a chiunque.Già, chiunque avesse interesse a rovistare tra i documenti di Adelaide alla ricerca di informazioni

riservate. Il buon senso mi suggeriva che era una pessima idea proseguire, che se mi avesseroscoperto mi aspettava ben altro che una notte rinchiusa nella Stanza della Colpa. Avrei dovutoapprofittare dell’orientamento favorevole della telecamera per togliermi di lì e tornare di corsa nellamia stanza, ma non sono mai andata granché d’accordo col buon senso.

Vinsi lo spazio che mi separava dalla porta dell’ufficio e agguantai la maniglia, cercando diabbassarla. Ma, con mia grande sorpresa, la maniglia non si mosse. La porta era chiusa a chiave. Chesciocca, pensai. Era così ovvio, eppure non avevo neppure contemplato quella possibilità.

Gettai un’occhiata verso la telecamera. Aveva cominciato il movimento per inquadrare il lato delcorridoio in cui stazionavo. Ancora pochi secondi e sarei stata ripresa. Ero in trappola.

Guardai lo spazio che avevo percorso fino a qui: l’uscita era troppo distante per riuscire araggiungerla prima di essere inquadrata. Possibile che dovessi rassegnarmi a essere scoperta e non cifosse più niente da fare per evitarlo?

Un’idea azzardata si fece strada nella mia mente. Forse con la magia avrei potuto sbloccare laserratura. Certo, Nausica sembrava sicura di sé quando aveva affermato che qui dentro i miei poterinon funzionavano. Non mi aveva dato l’idea di bluffare, e in effetti il mio tentativo di respingerlasfruttando il Dono non aveva dato i risultati sperati. Ma non potevo dimenticare che quello che

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Adelaide aveva cercato di fare per frugare tra i miei ricordi aveva tutta l’aria di un vero e proprioincantesimo.

Mi convinsi che il Dono si era soltanto indebolito. Quando avevo cercato di usarlo su Nausica,dopotutto, mi ero appena risvegliata dal coma ed ero a corto di energie. Oppure il blocco dei mieipoteri era dovuto alla suggestione. Forse volevano solo intimorirmi per tenermi sotto controllo. Maora che avevo ripreso le forze, anche grazie all’infuso di Sasha, ero decisa a tentare il tutto per tutto.Ero determinata ad aprire quella porta, e l’avrei fatto subito.

Presi un ampio respiro. Entrare in contatto col Dono fu come ascoltare un sussurro in mezzo allegrida, e dovetti concentrarmi per zittire tutto, come se la percezione della realtà fosse un rumore difondo che stavo isolando.

Sentii il cuore accelerare. Ora potevo percepire il Dono scorrere dentro di me come l’acqua puradi una sorgente sotterranea. Risvegliarlo fu come sentire il sangue tornare a fluire dopo un blocco chegli impediva di circolare.

Cercai di allontanare l’ansia che stava montando, di svuotare la mente. Focalizzai la miaattenzione sulla serratura della porta, come se intorno a me non ci fosse nient’altro. La visualizzaicome fosse un ingranaggio fatto di trucioli di metallo che dovevo sbloccare. Ma, quando tesi la manoper concentrare il mio potere sul meccanismo di chiusura, sentii mancare il respiro. Mi paralizzai,accecata da un dolore che si propagava dall’interno, quasi le pareti delle mie vene si fosseroincendiate e il mio sangue stesse prendendo fuoco come la benzina di un motore.

Fui colpita alle tempie da una serie lancinante di fitte acuminate. La bocca fu invasa da un saporeferroso, come se fossi in preda a un’emorragia violenta.

C’era qualcosa tra le pareti, nell’aria che respiravo; un’energia sconosciuta che aleggiava nellospazio al di fuori di me e che bloccava il flusso del mio potere. Mi piegai in due per lo sforzo dimantenermi lucida. Non volevo permettere al dolore di sopraffarmi. Continuai a lottare contro lestilettate che mi trafiggevano la testa e la nausea che montava fino a strozzarmi la gola. Deglutii conforza.

Lottare per incanalare il Dono verso quella maledetta serratura mi costava uno sforzo sovrumano.Mi sentivo come se stessi cercando di sostenere un peso troppo grande per le mie braccia, ocorrendo per una salita troppo ripida.

— Apriti — mormorai, stringendo i denti, e infine lo sentii, il clic che annunciava lo sbloccodella serratura.

Aprii la porta appena in tempo per non essere inquadrata dalla telecamera, e una volta dentro milasciai cadere sul pavimento, vinta dal dolore, credendo che sarei morta. Rimasi a terra per un tempoche mi sembrò infinito, i respiri che sembravano rantoli. Tossii nervosamente più volte, come perespellere una sostanza velenosa che mi stava infettando. Poi mi portai una mano al petto, ansimando,e finalmente mi resi conto che le pulsazioni stavano recuperando una parvenza di regolarità.

Dalla finestra proveniva una luce pallida, la falce della luna dominava l’orizzonte placido dellago. Ce l’avevo fatta, ero dentro. La magia aveva funzionato, anche se il prezzo era stato alto e nonavrei voluto ripetere mai più quell’esperienza. Era evidente che per qualche motivo utilizzare ilDono tra queste mura era a malapena possibile, come se ci fosse uno scudo di energia impenetrabile.

Quel che era certo era che non avevo tempo da perdere. Mi alzai, anche se stare in piedi micostava uno sforzo terribile. Infilai nella serratura dello schedario la piccola chiave che mi aveva

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dato Sasha e aprii un cassetto dopo l’altro, alla ricerca della cartellina con sopra stampato il mionome.

Quando la trovai, la appoggiai sulla scrivania e mi misi a sfogliarne il contenuto. Un po’ per laluce scarsa e un po’ per la spossatezza, faticavo a mettere a fuoco quello che era scritto nei pochifogli custoditi all’interno, quindi per prima cosa decisi di dedicare la mia attenzione alle foto. Cen’erano molte altre, fissate ai fogli con delle graffette, oltre a quella che mi aveva mostrato Adelaide.Mi misi a guardarle una per una. Uno scatto riprendeva l’esterno della fabbrica abbandonata in cuimi ero recata con Sam e dove eravamo state aggredite da un gruppo di Inquisitori. C’era una foto cheritraeva quello che restava del Bloody Mary dopo l’incendio e perfino una del palco durante larappresentazione di Paolo e Francesca. Un refolo di brividi si scaricò lungo la schiena quando vidiuna foto del Duomo col tetto in fiamme, durante l’attacco di Cappuccetto Indemoniato. Qualcunoaveva camminato nella mia ombra durante le ultime settimane a Milano, documentando ogni miamossa.

Ma non solo. Quasi sobbalzai nel trovarmi in mano una foto di mamma che non avevo mai vistoprima d’ora. Era giovane e sorridente, seduta sulla sponda di un lago, con indosso una camicetta blua pois che non ricordavo fosse mai stata nel suo armadio. Sullo sfondo si intravedevano le rovine diun acquedotto romano. Volsi lo sguardo fuori dalla finestra, verso le acque del lago. Era forse statascattata qui fuori, quella foto, sulla riva dello stesso lago su cui mi trovavo adesso? Anche mia madreera stata a suo modo malata, proprio come me, come Ligea definiva questa strana reclusione?

La mia attenzione fu attirata da una foto scattata in piena notte con l’inquadratura di un angolo diautostrada illuminato di arancione da un lampione. Il cuore perse un battito quando mi resi conto che,abbandonata a ridosso del limitare della corsia di emergenza, c’era la moto di Sebastian. Lacarrozzeria era ammaccata e c’erano i segni di una lunga frenata, e vetri e schegge di metallotutt’intorno.

Mi misi a rovistare febbrile tra i fogli, sforzandomi per cercare di leggere il testo stampato alcomputer, ma mi resi conto che c’erano soltanto indirizzi dei luoghi che frequentavo a Milano, comela scuola, il Bloody Mary, perfino casa mia, e non c’era proprio niente che riguardasse i dettaglidell’incidente, qualche indizio su dove mi trovavo ora o il motivo per cui ero qui, piuttosto che in unvero ospedale.

Mi capitò tra le mani un foglio bianco, al cui centro campeggiava una scritta di pugno, sottolineatapiù volte con un pennarello rosso:

Adam?

Scorsi velocemente gli altri fogli alla ricerca di indizi, ma niente. E non c’era tempo per unaricerca più approfondita: una vocina dentro di me suggerì che le lancette dell’orologio stavanocorrendo in fretta ed era giunto il momento di lasciare quell’ufficio.

D’istinto, anche se sapevo che era sbagliato, presi la foto di mia madre e me la infilai nella tascadei pantaloni, prima di rimettere a posto la cartellina. Ma mentre chiudevo lo schedario a chiave,calciai inavvertitamente qualcosa di morbido appoggiato sul pavimento. Mi chinai, incuriosita.Spalancai la bocca per la sorpresa quando mi resi conto che si trattava del mio zaino.

Lo aprii d’istinto, emozionata all’idea di ritrovare gli oggetti a cui tenevo e che avevo deciso diportare con me durante la fuga da Milano. Rovistando tra i miei vestiti preferiti ritrovai il foulard coi

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teschi che mi aveva regalato Chloe, il foglio ripiegato col disegno che avevo fatto da bambina e cheraffigurava la mia famiglia, la collana con il pentacolo che mi aveva regalato Sam. Annodai ilfoulard al collo sperando che fosse di buon auspicio. Saltò fuori anche il mio cellulare e provaisubito ad accenderlo, immaginando di poter finalmente chiamare a casa per far sapere che stavobene. Eppure non solo non c’era campo, ma l’indicatore della batteria dava il tre per cento.

Dalla tasca interna dello zaino tirai fuori l’anello con l’occhio di tigre. Lo strinsi forte al pettoprima di infilarlo all’indice della mano sinistra.

Nonostante il sollievo per averlo ritrovato, non potei fare a meno di pensare che non c’era tracciadell’oggetto più prezioso che mi apparteneva: il fermacapelli con le rune incise nel metallo che miaveva regalato mia madre per il mio diciassettesimo compleanno, e che a sua volta le era statoregalato da mia nonna in occasione dei suoi diciassette anni. Ricordo che nella lettera mia madreaveva scritto: la sua funzione principale non è quella visibile agli occhi. E infatti la notte chel’Ombra di Azalhee mi aveva intrappolato nelle prigioni d’aria avevo scoperto che al suo internonascondeva una lama affilata. Si trattava del mio athame, il mio pugnale cerimoniale. Ogni strega nepossiede uno, e le viene consegnato all’età di diciassette anni da una strega più potente.

Ispezionai il contenuto dello zaino più volte, poi mi guardai intorno per controllare che non fossestato appoggiato su uno dei mobili dell’ufficio, frugai nei cassetti della scrivania, ma alla fine dovettiarrendermi all’evidenza: il mio athame era scomparso. E i minuti stavano continuando a marciarecontro di me come un esercito inarrestabile. Aprii la porta dell’ufficio per sbirciare fuori. Inlontananza, vidi la sagoma della sorvegliante che sopraggiungeva.

Ero spacciata.

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Vieni via con me

Indietreggiai, ritirandomi all’interno dell’ufficio. Accostai la porta cercando di non far rumore,sperando di non essere stata vista, ripetendomi mentalmente di stare calma. Ma a cosa sarebbeservita la cautela, ora? Ormai, che differenza poteva fare? Avevo giocato all’agente segreto e ora eroin trappola. Entro pochi secondi avrei visto la porta aprirsi e comparire di fronte a me lasorvegliante. Senza poter utilizzare nemmeno la magia come difesa, avrei solo dovuto pregare chenon mi facesse troppo male. E con la mia imprudenza avevo offerto a Nausica e Adelaide un pretestoperfetto per confermare i loro sospetti. Se credevano che fossi una traditrice, ecco la prova: colta sulfatto mentre cercavo informazioni da passare al nemico.

No, protestai tra me e me. Non avrei sopportato di essere rinchiusa di nuovo nella Stanza dellaColpa. Qualunque cosa aleggiasse tra quelle pareti imbottite, era una presenza oscura, maligna, ingrado di rendere reali le mie peggiori paure. Capivo perfettamente perché Ligea mi avevaraccomandato di non finirci mai. Forse, proprio essere rinchiusa lì dentro aveva spinto Tamara aperdere il senno.

Deve esserci una via di fuga, pensai. Volsi lo sguardo verso la finestra. Ma certo, come avevofatto a non pensarci prima? Sarei fuggita da questo posto e dai suoi fantasmi, avrei trovato un sentieronel bosco che mi conducesse il più lontano possibile da qui, mi sarei diretta verso un luogo civile –ci sarà pur stata una città, nelle vicinanze – al riparo dalle Amazzoni e dalle streghe che miaccusavano di tradimento, in modo da poter cominciare la ricerca di Sebastian.

Mi precipitai ad aprire le ante. Sporgendomi, una folata di aria fresca mi accarezzò il viso,scompigliandomi i capelli. Respirai il profumo della notte come se fosse la prima volta, come setutta la mia vita si fosse svolta all’interno di queste pareti. Poi guardai in basso.

Dovetti respingere una violenta vertigine che mi fece girare la testa. Il muro era un’altissima,sterminata distesa di mattoni e calce, che si incuneava su una parete di roccia a strapiombo su alcuniscogli lambiti dall’acqua del lago. In lontananza, la vegetazione del bosco era rigogliosa e alberi dalfusto longilineo sembravano volersi elevare nel tentativo di catturare un raggio di luna. Chissà se daqualche parte c’era davvero la sequoia di cui mi aveva parlato Ligea.

Guardandomi intorno, mi parve di essere sul punto più alto di una roccaforte che si estendeva adestra e a sinistra molto più di quanto mi aspettassi. Dall’interno avevo avuto l’impressione ditrovarmi in una piccola struttura, ma ora scoprivo che la mia prigione aveva piuttosto l’aspetto diun’enorme, antica fortezza, come facevano supporre le torri dal tetto aguzzo che svettavano dallastruttura.

Non potevo certo tuffarmi da quell’altezza. Non c’era modo di scendere a valle attraverso lafinestra. Non scorgevo alcun appiglio nelle vicinanze, nessun arbusto a cui aggrapparmi per evitaredi precipitare giù e schiantarmi sugli scogli. Mi venne in mente la finestra della sala ricreativa,

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quella da cui Ligea guardava fuori mentre dipingeva. Probabilmente si affacciava su una parete più amonte, perché da lì gli alberi apparivano come presenze vicine. Ma non avrei mai potutoraggiungerla, tra me e quella finestra si frapponeva un’Amazzone, una guerriera invincibile.

Sconfortata, tornai con lo sguardo all’interno della stanza. La luna stendeva una patina opalescentesulla donna del quadro. Avrei voluto chiederle quali segreti celasse il suo sguardo altero, di cosafosse stata testimone muta durante l’avvicendarsi degli anni, all’interno di queste mura.

Poi la sottile griglia di metallo posizionata sopra il quadro attirò la mia attenzione. Era larga amalapena mezzo metro, e pensai che fosse l’entrata di un condotto dell’aria. Magari sbucava in unpunto della fortezza da cui avrei potuto trovare una via più agevole per l’esterno. Forse sarei riuscitaa infilarmi dentro, anche se questo avrebbe significato fare i conti con la mia claustrofobia. Ma nonaveva importanza, ero disposta a tutto pur di andarmene.

Salii sulla scrivania e provai ad armeggiare con la grata. Riuscii a sfilarla senza sforzo, poi laappoggiai sul pavimento di fianco allo schedario, dove prima c’era il mio zaino, in modo che nonfosse immediatamente visibile.

Dato che non potevo indossarlo sulla schiena per non rischiare di non riuscire a passare, infilai lozaino nell’apertura e lo spinsi per fare abbastanza spazio per entrare a mia volta. Non c’era il mioathame, ma questo non era un buon motivo per lasciare in mano a Adelaide le cose che miappartenevano. E mi convinsi che, forse, un giorno sarei tornata qui per reclamare il mio pugnalecerimoniale.

Provai a intrufolarmi dentro lo stretto passaggio, appoggiando i gomiti sull’apertura e facendomiforza per riuscire ad arrampicarmi sulla parete. Avevo paura di non farcela e, in quel momento,maledissi tutte le volte che con un pretesto avevo saltato la lezione di Educazione fisica. Ma strinsi identi e, anche se mi costò uno sforzo immane, riuscii a sollevarmi abbastanza da sgusciare nelpertugio con il torace. Poi presi un ampio respiro e con un colpo di reni infilai le gambe.

Davanti a me si apriva un lungo cunicolo dalla sezione quadrata, attraversato da una costantecorrente d’aria. Strisciai per alcuni metri, spingendo lo zaino davanti a me e cercando di controllareil respiro per respingere l’ansia, nonostante la luce fosse scarsa e il senso di claustrofobia semprepiù opprimente.

Giunsi a un bivio: a sinistra il cunicolo si immergeva in una fitta penombra, mentre dalla destraproveniva un bagliore giallastro. Capii subito che si trattava della luce dei neon. Probabilmente, perparte del percorso, il condotto procedeva a fianco dei corridoi. Decisi quindi di proseguireattraverso la parte più illuminata. Non ero affatto sicura di essere in grado di muovermi nel buio piùcompleto.

Mentre avanzavo, oltrepassai alcune grate simili a quella da cui mi ero intrufolata. Passai difianco alla mia stanza e a quella della ragazza che avevo intravisto quando ero uscita per la primavolta insieme a Sasha e Nausica. Spalancai gli occhi quando mi trovai accanto alla grata che davasulla stanza di Ligea.

Era seduta sul letto, con la statuina di ceramica appoggiata al fianco. Stava riordinando i suoidisegni, osservandoli uno a uno come alla ricerca di un particolare mancante.

Rimasi per qualche istante indecisa se attirare la sua attenzione o proseguire. Vista da qui, con lesue gambe esili come rami di frassino e il viso punteggiato di lentiggini, sembrava proprio unabambina come tutte le altre. Ma avevo visto con quale tipo di maledizione doveva convivere ognigiorno. Chissà se Sam avrebbe sostenuto che anche il suo era un dono, e non una condanna.

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Qualunque fosse la risposta, sapevo che non avrei mai potuto lasciarla sola, anche se questosignificava rallentare la mia fuga.

— Ehi — le sussurrai.Ligea sobbalzò e cominciò a guardarsi intorno. — Zoe? Sei tu? — chiese.— Sono quassù — dissi cercando di fare forza per aprire la grata.Lei scoppiò in una risata trattenuta, coprendosi la bocca. Poi prese la sedia, la sistemò a ridosso

della parete sotto la grata, ci salì sopra e spingendosi in punta di piedi mi aiutò a rimuoverla.— Che ci fai lì? — mi chiese infine.— Ho deciso di andarmene — dissi risoluta.Sul viso di Ligea scomparve l’entusiasmo di poco fa. I suoi occhi si adombrarono, come se il suo

cielo si fosse riempito di nuvole. — Quindi… non ti rivedrò mai più?— Al contrario. Tu verrai via con me — dissi.Ligea sgranò un sorriso radioso, che tuttavia durò il tempo di un battito di ciglia. Distolse

immediatamente lo sguardo, dicendo: — Non posso, anche se lo vorrei tanto. Io sono malata, Zoe. Ilmio posto è qui, dove non posso fare del male a nessuno.

Appoggiai i gomiti sull’apertura, facendomi forza per protendermi in avanti. — È quello chevogliono farti credere, ma ti stanno solo tenendo in gabbia. Non vorresti tornare nel bosco dove seinata, riabbracciare la tua famiglia?

Lei scosse la testa, piegando le labbra in una smorfia di sconforto. — Il bosco dove sono nata nonesiste più — disse. — Lo hanno raso al suolo per costruire quartieri residenziali e centricommerciali. E dopo la morte di mia sorella non mi è rimasta nessuna famiglia a cui fare ritorno.

La schiena fu percorsa da un grappolo di brividi, come se fosse appena stata sferzata da una folatad’aria fredda. — Mi dispiace — mormorai. Soffiai via una ciocca di capelli dal viso, poi mi schiariila voce e aggiunsi: — Potrai restare con me! Il mio appartamento è piccolo e mio padre è un po’scontroso, ma sono sicura che ci divertiremmo, io e te insieme. Non vedo l’ora di farti assaggiare lacrostata di mirtilli che prepara Sam e… — Mi interruppi bruscamente. Potevo immaginare che tuttofosse come prima, ma in realtà non avevo idea di cosa avrei dovuto fronteggiare fuori da quellemura. Avevo lasciato Milano e la mia famiglia da più di sei mesi. Tutto poteva essere precipitato.

Ligea sembrò intercettare il mio turbamento. — Hai visto cosa succede quando mi avvicinotroppo a una persona — disse. — È più sicuro che rimanga qui.

— Ma a me non hai fatto alcun male! — protestai. — Lo so che hai paura dei tuoi poteri. Anche secerco di non darlo a vedere, ti assicuro che anch’io sono terrorizzata al solo pensiero di poter faredel male alle persone che amo. Ma ce la sto mettendo tutta per imparare a governarlo. Possiamofarcela insieme. Possiamo imparare insieme. — Allungai una mano per sfiorarle il braccio.

Lei sembrò titubante, indecisa se accettare il mio contatto o ritrarsi come faceva d’abitudine. —Non… farlo — mormorò debolmente. — Hai visto cos’è successo a Tamara. — Era come se ilricordo di quando le avevo accarezzato i capelli fosse stato cancellato dall’incidente accaduto insala mensa.

— Non ho paura di te — affermai con decisione.Le nostre mani si toccarono. L’aria vibrava di un’elettricità palpabile, ma non successe nulla di

quello che avevo visto poche ore prima, quando Ligea aveva stretto il braccio di Tamara. Nessunapropagazione di energia incontrollabile, nessuna reazione sottopelle, come se le vene si stesseronecrotizzando. Niente, a parte un contatto che significava più che amicizia. Significava appartenenza.

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— Nolwenn era l’unica che poteva farlo — esclamò Ligea, con occhi colmi di meraviglia. —Soltanto su di lei la mia… malattia… non aveva effetto, ma ora…

Mi portai l’indice alla bocca dicendo: — Shhh — per interromperla. Attraverso il condottodell’aria avevo sentito un rumore provenire da una stanza poco lontana. Era il lieve cigolio di unaporta, ne ero certa, e fu seguito da un altro rumore analogo, come se la porta fosse stata aperta erichiusa. Seguirono alcuni bisbigli; qualcuno stava parlando sottovoce nelle vicinanze di un’altraapertura del condotto. Non c’era alcun dubbio: avevano già scoperto la mia fuga. Immaginai leAmazzoni che si muovevano rapide per i corridoi, mentre ispezionavano le camere, sibilando ordinialle sottoposte. Stavano venendo a cercarmi e non c’era più tempo da perdere.

— Vieni via con me — dissi a Ligea.Lei scosse la testa, e ai suoi occhi si affacciarono i lucciconi. — Non… posso — sussurrò. —

Io… devo restare qui. Per colpa mia sono morte delle persone.Mi protesi verso di lei, prendendole le mani e stringendo forte. Magari sarei riuscita a

convincerla, ma avevo bisogno di più tempo. Ed ero disperatamente a corto di tempo, adesso.— Andrai a cercare Adam? — mi chiese.— Sebastian — precisai.Ruotò gli occhi verso l’alto. — D’accordo.Io e Ligea ci scambiammo un’intensa occhiata, come due sorelle prima di lasciarsi per un lungo

periodo. — Tornerò a prenderti. Te lo prometto — le dissi. Mi sfilai dal collo il foulard che miaveva regalato Chloe e glielo porsi.

Ligea se lo strofinò sul viso, come per saggiarne il profumo. — È bellissimo — disse. Poinascose gli occhi tra i capelli, forse per non mostrare le lacrime che si stavano affacciando dietro leciglia. Anch’io dovetti distogliere lo sguardo.

Il contatto che aveva avuto con me sarebbe stato l’ultimo per chissà quanto tempo. Ligea erarimasta senza una famiglia e senza alcun modello di riferimento che la aiutasse a capire che non eranata sbagliata, ma soltanto con un potere troppo grande per essere contenuto nel suo piccolo corpo dibambina. Avrei voluto abbracciarla forte, stringerla più che potevo per farle sentire quanto misarebbe mancata, farle capire quanto mi pesasse lasciarla da sola proprio come avevano finito perfare tutti quanti, prima di me. Ma dovevo andarmene.

Restando lì dentro non avrei potuto aiutare lei, e nemmeno me stessa. Fui costretta a voltarle lespalle, mentre con la coda dell’occhio la vedevo protendersi in punta di piedi per rimettere a postola grata.

Spinsi in avanti lo zaino, cercando di fare piano nell’eventualità che ci fosse una delle Amazzoninelle vicinanze. Poi cercai di avanzare spingendomi sui gomiti, strisciando come una recluta durantel’addestramento militare.

— Zoe? — sentii bisbigliare dietro di me.Era Ligea.— Sì? — mormorai.Per un lungo istante, non aggiunse nulla. La immaginai volgere gli occhi al cielo, come alla ricerca

della parola giusta, nascondere le mani dietro la schiena e corrugare la fronte prima di ricominciare aparlare. — Ti voglio bene — disse poi con un filo di voce, ma che nella mia testa echeggiò come iltintinnare di centinaia di piccoli campanelli.

Strinsi i pugni, lottando per non farmi sopraffare dalla tristezza. Ora non avevo più alcun dubbio,

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Ligea era davvero una fata. Esiliata dalla sua terra natale, privata dei suoi affetti, soverchiata da unpotere troppo grande per riuscire a controllarlo.

— Anch’io ti voglio bene — ribattei con voce spezzata, sperando che il mio sussurro non siperdesse tra queste pareti, troppo strette per contenere la malinconia che sentivo esplodere dentro dime.

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Il sangue delle streghe

Procedetti a lungo attraverso il cunicolo, cercando di non fermarmi anche se mi sentivo soffocare, coigomiti che mi facevano male a forza di puntarli sul piano del condotto. Oltrepassai un paio di grateche davano su passaggi troppo bui, al punto che nemmeno il led del telefonino – l’unica sorgente diluce su cui potevo fare affidamento, per il momento – mi permise di scalfire l’oscurità.

La tentazione di provare a uscire da una di quelle grate era stata forte, ma avevo deciso diproseguire. Speravo di aver fatto la scelta giusta. Avanzare lungo il condotto mi dava laclaustrofobia, ma temevo che uscendo avrei potuto trovarmi in una situazione ancora peggiore,magari bloccata all’interno di una stanza chiusa, senza la possibilità di ritornare sui miei passi.

Mi sentivo una cavia di laboratorio in un labirinto. Dovevo tenere duro e trovare un passaggio chemi conducesse in qualche modo all’esterno dell’edificio. Ma sarei stata abbastanza scaltra da trovarela via d’uscita?

Svoltai da un bivio all’altro, affidandomi solo all’istinto per decidere la direzione, sperando disentire prima o poi soffiare sul viso l’aria pulita del lago, o almeno di sbucare in una stanza da cuidefilarmi. Era come intrufolarmi sempre più in profondità nelle viscere della terra, lungo le galleriedi una miniera abbandonata. Il senso di oppressione contro cui dovevo lottare diventava sempre piùinsostenibile e, a peggiorare le cose, la mia visuale era intralciata dallo zaino.

Orientarmi era impossibile, ed essere costretta in quel pertugio angusto mi fece perdere il sensodel tempo, al punto che credetti che la mente mi stesse facendo un brutto scherzo quando cominciai audire una musica sinfonica provenire da qualche parte, davanti a me. La melodia si insinuava tra lepareti della conduttura e cresceva di intensità man mano che avanzavo.

Il telefonino si spense all’improvviso, lasciandomi immersa nel buio. La batteria aveva esaurito lapoca carica che le restava. Cercai di aggrapparmi alle mie motivazioni per non perdere il controllo.Ce la mettevo tutta per non farmi sopraffare dall’ansia, non potevo certo rischiare un attacco dipanico dentro quel passaggio stretto.

Puoi farcela, Zoe, mi ripetevo. Come quando Sebastian mi aveva portato sul tetto del Duomotramite quello strettissimo passaggio segreto. Immaginavo che anche adesso fosse la sua voce aincalzarmi, a sostenermi. Poi, per una strana associazione mentale, mi venne in mente il nome cheLigea aveva detto che ripetevo durante il mio lungo sonno.

Chi era Adam, e cosa aveva a che fare con me? Forse era solo una presenza spettrale come ifantasmi che infestavano la Stanza della Colpa.

Ormai non aveva più importanza. Ora avevo un’occasione per andarmene, però dovevo riuscire astare calma. Anche se non potevo fare a meno di chiedermi per quanto ancora avrei dovutocontinuare a fuggire. Ero scappata dagli Inquisitori, poi dalle Amazzoni e da una strega della quale

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non riuscivo ad afferrare le intenzioni. E se i miei fossero stati solo patetici tentativi di fuggire da mestessa?

Il percorso di accettazione della mia vera natura aveva subito una battuta d’arresto dopo cheavevo rifiutato l’iniziazione. All’improvviso tutti i libri che avevo letto e credevo mi potesseroaiutare a riconoscere la vera me, al di là del rumore di fondo delle responsabilità e dei sensi dicolpa, mi sembravano colmi di parole vuote, concetti astratti impossibili da applicare nella vitareale. Non lo sapevo più nemmeno io se mi sentivo appartenere al sangue delle streghe, o se erosoltanto una rinnegata in cerca di rifugio.

E poi c’era quella musica armoniosa e carezzevole, che continuava a riempire il poco spaziovuoto intorno a me. Rifiutai l’ipotesi che stessi diventando pazza, che l’incidente in moto fosse statol’iceberg contro cui si era scontrata la nave della mia sanità mentale e l’aver perso i ricordi il primosintomo della deriva. Era un suono di archi, quello che udivo, un tessuto melodico in cui si incastravaun cinguettio di strumenti a fiato, cadenzato dal battito delle percussioni.

Man mano che procedevo, strisciando sull’addome, la musica si faceva sempre più distinta.Ormai ero certa di essermi persa, ma in qualche modo la melodia riuscì a essermi di conforto. Finchénon arrivai alla fine del percorso e mi resi conto che non avevo più scelta. Di fronte a me c’era unagrata che dava su una stanza fiocamente illuminata. Era da lì che proveniva la musica. Ora dovevosoltanto fare pressione con le braccia, rimuovere la grata e strisciare fuori. E qualunque cosa miaspettasse all’esterno del passaggio, ero determinata ad affrontarlo.

Ero esausta, ed essere costretta tra queste pareti anguste mi toglieva il respiro. Il senso diclaustrofobia mi schiacciava, mi sentivo morire. Non sarei riuscita a proseguire oltre. Dovevo usciredi lì. Era l’unica cosa che mi importava, ormai.

Spinsi più forte che potevo. Dopo qualche istante, la grata si sbloccò, ma non riuscii a trattenerlae cadde in avanti, all’esterno del cunicolo. Sentii il clangore del metallo che sbatteva contro ilpavimento. Lanciai lo zaino e mi precipitai fuori dal pertugio. Avevo il fiato corto e mi lasciaiscivolare a terra, esausta. Inspirai un’ampia boccata d’ossigeno, sforzandomi di riprendere unrespiro regolare.

Alzando gli occhi, mi resi conto di trovarmi all’interno di un’ampia sala dalla forma allungata e ilsoffitto altissimo, al centro della quale erano allineati lunghi banchi simili a quelli di una cattedrale.Il pavimento era ricoperto di un legno scuro dalla superficie irregolare e l’aspetto molto antico. Ibanchi erano occupati da una moltitudine di persone che mi davano le spalle, e che stavanoassistendo al concerto di una piccola orchestra, posizionata su un piano rialzato raggiungibile da unadecina di gradini. La situazione era così surreale che sbattei più volte le palpebre per essere sicurache non si trattasse di un’allucinazione.

La musica cessò di colpo. La ragazza che suonava il violoncello lasciò cadere l’arco e spalancòla bocca nel vedermi comparire dal fondo della stanza. Due dei violinisti sgranarono gli occhi, comese fossi stata un fantasma comparso a interrompere la loro rappresentazione.

Senza più la musica a saturare l’aria, la stanza era piombata in un silenzio irreale. Ogni personaseduta sui banchi si voltò, e mi trovai al centro di un fuoco incrociato di sguardi increduli. Nelpubblico c’erano numerose ragazze, e notai che avevano tutte i capelli corti: tagli dal pigliomaschile, asimmetrici, con piccole frangette o ciuffi spettinati. In alcuni casi la rasatura era stata piùdecisa, altre ancora avevano un taglio a scodella o un caschetto cortissimo, come le tizie che avevoincontrato nella sala ricreativa.

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Poi, tra la folla di visi sconosciuti, il mio sguardo fu calamitato da un ragazzo dagli occhi scuricome quelli di uno squalo.

Il cuore perse un battito. — Misha — sussurrai.— Zoe — esclamò lui, alzandosi in piedi e facendosi spazio tra le persone sedute al suo fianco.

Scavalcò una fila dopo l’altra di banchi, con un ampio sorriso a illuminargli il volto. Era proprio lui,con la sua figura longilinea e i capelli neri striati di bianco, anche se molto più corti di come liricordavo.

Sgranai gli occhi, incredula, e riuscii a tirare a mia volta un debole sorriso. Avevo vissuto in unincubo ma finalmente mi ero svegliata.

Mentre Misha mi si avvicinava, allargai le mani per accogliere il suo abbraccio, ma lui non fecein tempo a raggiungermi che due Amazzoni gli si pararono davanti. Mi sentii afferrare da dietro, evoltandomi di scatto incontrai lo sguardo color amaranto di Nausica. Era stato tutto inutile, alla fineero stata beccata comunque. Mi diedi della stupida anche solo per averci provato. Ma non ci fu iltempo per lasciarmi andare allo sconforto.

Una voce proveniente dalla prima fila intimò: — Lasciatela. — Era Adelaide. Comparve a latodella sala, con la sua aria altera, camminando con incedere controllato fino a raggiungermi. Quandofu a un passo di distanza, prelevò un fazzoletto di stoffa dalla tasca interna della giacca. — Hai ilviso pieno di polvere — disse, porgendomelo.

D’istinto, mi guardai i palmi delle mani e vidi che anch’essi erano completamente anneriti. Vistada fuori dovevo essere uno strano spettacolo, con i pantaloni della tuta e la maglietta sgualcita a forzadi strisciare, tutta impolverata come una specie di spaventapasseri. Cercai di scrollarmi di dosso lapolvere con pochi gesti stizziti.

Adelaide fece un cenno col capo in direzione di Nausica, che compì un passo indietro. Poi mi tesela mano, come per indicarmi di seguirla. Dopo un lungo istante di indecisione gliela presi, e di nuovofui colpita dal fatto che al contatto era molto più ossuta che alla vista. Tenendola, avevo la stranaimpressione di sfiorare la corteccia di un albero.

Lanciai un’occhiata fugace a Misha. Lui sembrò sul punto di aprire la bocca per dire qualcosa, masi trattenne.

Dovetti voltargli le spalle, incalzata da Adelaide. Sotto un crogiolo di sguardi attoniti, percorsicon lei il corridoio laterale che fiancheggiava i banchi, con Nausica che ci seguiva mantenendo ladistanza di un paio di metri.

Adelaide mi fece salire sul palco dove stazionava l’orchestra e la violoncellista si dovettescostare per fare posto a noi due. Nausica si posizionò a lato della prima fila, assumendo laposizione di soldato a riposo.

Adelaide rimase un lungo istante in silenzio, immobile di fronte alla platea, come incontemplazione dell’attesa che stava suscitando nei presenti. La sua figura dominava la scena comeuna teatrante navigata. La postura era elegante, come quella di un’autentica aristocratica, mentre iostavo ancora prendendo fiato e mi sentivo più che mai a disagio. Ero disorientata, e stare su quelpalco mi faceva sentire esposta come una bestia al mercato. Il mio stato d’animo era peggiorato dalfatto che Nausica era a pochi passi da me e mi squadrava in modo poco amichevole.

Adelaide si schiarì la voce. — Non era certo previsto, dato che stasera siamo riuniti qui in aulamagna per il saggio dell’orchestra che apre le celebrazioni del solstizio d’estate — annunciò. — Ma

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dato che le circostanze lo impongono, vi chiedo di dare il benvenuto a Zoe Malaspina, la vostranuova compagna.

Disciplinati come un esercito di automi, tutti si alzarono in piedi all’unisono. — Benvenuta, Zoe— dissero in coro.

Ero attonita. Abbassai lo sguardo, ma Adelaide mi sospinse il mento con un dito per forzarmi aguardarla.

— Benvenuta al Santuario delle streghe — mi disse.

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— 2 — Il ragazzoche non sapeva piangere

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Crisalide di pietra

Adelaide mi guardò con aria conciliante. — Date le tue buone condizioni di salute, domani stessosaresti stata integrata nell’Accademia del Santuario, di cui ho l’onore di essere la direttrice.

Non potei fare a meno di pensare che fino al giorno prima mi avevano tenuta prigioniera, guardataa vista dalle Amazzoni, interrogata senza tregua. E ora, come se niente fosse, Adelaide micomunicava che avrei cominciato a frequentare l’Accademia.

— Per questo ti avevo chiesto di rincontrarti in ufficio — continuò Adelaide — per renderti i tuoioggetti personali e consegnarti il prospetto delle attività didattiche. Ma a quanto pare preferisci leentrate a effetto.

— Io… io non… insomma… — balbettai. Ero troppo frastornata per ribattere. Dunque eraproprio lì che mi trovavo: nel leggendario Santuario delle streghe, il rifugio in cui, secondo Sam,avrei potuto esercitarmi nelle arti magiche sotto la guida della Sorellanza, l’antico luogo sacro alriparo dalle persecuzioni, perché nessun Inquisitore sapeva dove si trovava. Chissà se esisteva uncorso di Incantesimi. Pensai che avrei potuto imparare un modo per contattare Sebastian ovunque sitrovasse ora, oppure avrei sempre potuto scegliere una specializzazione in Escapologia e diventareun’artista della fuga.

Adelaide mi rivolse un sorriso cordiale ma sbrigativo. Avrei pagato per conoscere i suoi pensieri.Quella donna sembrava incapace di provare empatia, ma anche questa volta era riuscita asorprendermi. Piuttosto che un benvenuto all’interno del Santuario, mi aspettavo che mirinchiudessero nella Stanza della Colpa e buttassero via le chiavi.

Immaginai che avrei dovuto esserle riconoscente per aver ignorato il mio tentativo di fuga, ma nonriuscivo a fidarmi di lei. Ero certa che avesse in mente qualcosa. Altrimenti, perché mi avrebbetenuto all’oscuro di tutto, dopo che mi ero risvegliata? E cos’era quella specie di clinica dove miavevano tenuto fino a ora? Ligea aveva detto che ci finivano i casi disperati, quelli che non possonoguarire. Ma guarire… da cosa, esattamente? Non avrei potuto definire Ligea malata, come le avevanofatto credere, e nemmeno Tamara, che mi aveva dato l’idea di una persona disturbata, certo, masembrava più un’anima tormentata che un caso patologico.

Adelaide si girò di nuovo verso la platea. Il suo apparente distacco mi faceva paura, una paurairrazionale come quella del buio, dei rumori della notte o delle maschere dei clown.

— Lo spettacolo può proseguire — annunciò, scendendo i gradini del palco e invitandomi aseguirla.

Scortata da Adelaide e Nausica, raggiunsi Misha nel fondo della sala. Aveva ancora le dueAmazzoni alle calcagna, che tuttavia lo ignorarono quando fece un passo nella mia direzione. Quantomi sarebbe piaciuto passare un po’ di tempo con lui, riassaporare il suono familiare della sua voce e

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i piccoli gesti che lo rendevano unico. Lo avrei tempestato di domande. Da quanto tempo era qui?Sapeva cosa mi era successo? Ma soprattutto, sapeva dov’era Sebastian?

Senza nemmeno guardarlo, Adelaide fece un cenno con la mano in direzione di Misha perfermarlo.

— Potrai ricongiungerti al tuo famiglio domani — mi disse. — Ora, Zoe, hai bisogno di un po’ ditempo per riposarti e recuperare un aspetto decoroso. — Poi si rivolse a Nausica. — Accompagnalaalla sua stanza.

Misha non rispose e si limitò a osservarmi, comunicandomi il suo disappunto. Ma quando glipassai accanto, protese la mano verso di me. Feci altrettanto, e le nostre dita si sfiorarono. Fuipervasa da un calore improvviso che in un istante cancellò il malessere e sciolse l’inquietudine. Imiei muscoli si rilassarono, e dopo i temporali emotivi di quelle giornate riuscii persino aintravedere un barlume di speranza.

Nausica mi condusse attraverso un dedalo di corridoi illuminati da lampade a parete chesembravano gigli dai petali di vetro e tingevano i muri di una luce soffusa, in cui le nostre ombreguizzavano come fantasmi di fumo. Camminavo come in trance, ancora incredula per l’accaduto. Unattimo prima ero chiusa in una stanza isolata, ora mi ritrovavo nei corridoi di un luogo mitico. Apartire dall’indomani mi sarei trovata a fronteggiare persone sconosciute, le mie nuove compagne,come le aveva definite Adelaide, proprio come se fossi appena stata ammessa in una nuova scuola.

Di tanto in tanto la mia attenzione veniva rapita da una delle tele appese alle pareti, quadri a olioche ritraevano signore austere vestite con abiti d’altri tempi e uomini dalla barba folta e lo sguardoarcigno.

Oltrepassammo una sala dalle ampie finestre. Le pareti erano occupate da meravigliosi arazzi.Rimasi colpita da un arazzo che ritraeva una scena di battaglia campestre in cui i combattentisguainavano le spade, fiancheggiati da un gruppo di donne che scatenavano la magia contro schiere dicreature demoniache.

Oltre una porta su cui era dipinto un motivo floreale, sbucammo in un corridoio dalle pareti colorporpora e il pavimento in legno scuro, fiancheggiato da porte verniciate di nero.

— Questo è il dormitorio femminile — disse Nausica. Circa a metà del corridoio, si fermò. Io miincantai a osservare un dipinto che raffigurava una donna nuda dalle forme generose. Era immersa inuna fitta vegetazione, aveva capelli come lunghi filamenti di rame ed era abbracciata a un serpente.

— La tua stanza — disse Nausica indicando la porta a lato del quadro.La maniglia era ricurva proprio come un piccolo serpente dalle scaglie di metallo. Per un istante

mi sembrò che si animasse, sibilando minaccioso come prima di un attacco. Sobbalzai, poi sbattei gliocchi più volte per assicurarmi che fosse stata solo un’allucinazione dovuta alla tensione. Avvicinaila mano con cautela, e al momento di premere la maniglia per aprire la porta il contatto mi strappò unbrivido.

Mi trovavo nel mitico Santuario delle streghe, ma l’interno della stanza ricordava piuttosto quellodi uno studentato del mondo reale. Nausica premette un piccolo interruttore e il lampadario rotondoche pendeva dal soffitto si illuminò come un sole di vetro, circondato da pendenti di cristallo simili apiccoli satelliti.

Le pareti color ocra erano spoglie, eccetto che per uno specchio dalla cornice dorata appeso a unangolo e un poster attaccato con lo scotch che sovrastava uno dei due letti disposti sui lati.Raffigurava una ragazza con un arco a tracolla, che marciava tra gli alberi, circondata da un branco

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di lupi. In un angolo c’era una scrivania con sopra una lampada e qualche foglio sparso. A fiancodella scrivania si apriva una finestra con vista sul bosco. Mi avvicinai per osservare il paesaggio.Guardare giù era da vertigini, eravamo almeno a quattro piani dal suolo. Il mio sguardo si soffermòsu un grande salice piangente che la luna plasmava di riflessi argentati. Sognai di potermi rifugiaretra le sue fronde, accarezzare le foglie sottili luccicanti di rugiada.

— Tu dormirai lì — aggiunse Nausica, indicando il letto dalle lenzuola viola e una pila diasciugamani posizionati sopra. — Puoi occupare l’anta sinistra dell’armadio. Quella destra è dellatua compagna di stanza.

— Grazie — farfugliai, abbozzando un sorriso.Nausica mosse un passo verso di me. — Non devi ringraziarmi, sto solo eseguendo gli ordini. —

La sua espressione contrita e i dread raccolti sulla nuca come una criniera la facevano sembrare unafiera pronta a balzare sulla preda. — Ancora non capisco perché la direttrice sia stata così tollerante.Io ti avrei riservato un trattamento diverso. — Congiunse le labbra fino a far diventare la bocca unasottile linea che le tagliava il viso. — Sappi solo che ti terrò d’occhio.

Nonostante l’ostilità delle sue parole, riuscii a sostenere il suo sguardo. — Perché ce l’hai tantocon me, Nausica? — protestai. — Non ti ho fatto niente di male.

In tutta risposta, lei mi voltò le spalle con un movimento secco, per poi sparire oltre la porta.Mi lasciai cadere sul materasso e rimasi per un po’ immobile, incapace di compiere qualsiasi

azione. Ero priva di forze. Era successo tutto così in fretta che ora non ero in grado di ragionare inmodo lucido. Non posso negare che provavo una sottile eccitazione all’idea di trovarmi in un luogoleggendario dove avrei potuto esercitarmi a governare il Dono, imparare a focalizzare l’energia perdominare le leggi della natura ed essere introdotta a segreti iniziatici. Davanti a me c’era un enormefoglio bianco in cui avrei scritto le nuove pagine della mia vita. Il problema è che non mi sentivopronta a ricominciare di nuovo. E ancora di meno a farlo senza Sebastian. Come avrebbe potutoritrovarmi nell’unico luogo al mondo completamente al sicuro dagli Inquisitori?

Cercai di focalizzare l’attenzione sulle mie necessità primarie. Per il momento, avevo soprattuttobisogno di una doccia per scrollarmi di dosso la polvere e la stanchezza. Dallo zaino prelevai unamaglietta extralarge dallo scollo ampio e un paio di shorts di cotone da utilizzare come pigiama. Poisistemai lo zaino dalla mia parte dell’armadio. Non ero ancora pronta a disfarlo: la verità è che nonavevo nessuna intenzione di rimanere lì a lungo.

Notai con disappunto che non c’era il bagno in camera, quindi presi un asciugamano tra quelli cheerano piegati sul letto e mi misi a vagare per il corridoio finché non lo trovai.

Anche se molto spazioso e non esattamente moderno, almeno era pulito. C’erano alcuni lavandinicon specchiera e, dietro un divisorio, una fila di docce. Ringraziai che tutte le altre ragazze fosseroriunite in aula magna, perché non ero pronta a spogliarmi di fronte ad altre persone. Ero sempre statacosì timida da sentirmi a disagio anche di fronte alle mie compagne di classe ogni volta che a scuolaci dovevamo cambiare per andare in palestra, figuriamoci con delle estranee. Forse dipendeva dalfatto che non avevo ancora imparato ad amare il mio corpo e le sue imperfezioni, che secondo mesaltavano agli occhi non appena mi spogliavo.

Miscelai l’acqua fin quasi a farla scottare e mi immersi sotto il getto. Era quasi insopportabile, masentivo il bisogno di farmi un po’ male per tornare a sentirmi viva. Avevo bisogno che quel calore mientrasse dentro fino a scaldarmi in profondità. Rimasi sotto l’acqua fino a che i polpastrelli dellemani non furono raggrinziti come la pelle di un rettile.

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Poi mi andai ad asciugare i capelli con uno dei phon appesi alle pareti. Faceva un rumoreinfernale e mi strappò un sorriso ripensando a tutte le volte che io e Chloe avevamo tentato undialogo sui massimi sistemi mentre ci asciugavamo i capelli in palestra, finendo immancabilmenteper urlare così forte da perdere la voce.

Osservai la mia immagine allo specchio e mi vidi completamente cambiata dall’ultima volta chel’avevo fatto. I capelli si erano allungati, ma mi sembravano spenti e i miei occhi gialli, piuttosto chedi un animale selvatico, sembravano quelli di un gattino spaventato. Per non parlare delle occhiaie! Illungo periodo in cui ero rimasta in coma si era stampato sulla pelle donandomi il pallore di un cigno.Chissà cosa avrebbe detto Sebastian, vedendomi così, ora, con le guance scavate e l’aspetto di unozombie.

Tornata nella mia stanza, la prima cosa che feci fu cercare una presa di corrente a cui collegare ilcaricabatterie per resuscitare il mio iPhone. Bastarono un paio di minuti perché si riaccendesse.Quasi mi tremavano le gambe al pensiero che avrei potuto risentire la voce di Sebastian. Cercai ilsuo numero nella rubrica, ma quando feci partire la chiamata l’auricolare rispose con una serie di bipprolungati. Non c’era campo. Mi diedi della sciocca per aver pensato che sarebbe stato cosìsemplice comunicare con il mondo esterno. Credevo davvero che se il cellulare avesse funzionatoNausica me l’avrebbe lasciato tenere?

Per fortuna, almeno le playlist erano al loro posto. Quando finalmente mi infilai sotto le coperte espensi la luce, più che sollievo provai un senso di straniamento. Mi ero quasi abituata ad avere laluce del neon costantemente puntata addosso, al punto che ora non riuscivo ad abbandonarmiall’oscurità. Forse temevo che, con la complicità del buio, le mie peggiori paure riuscissero di nuovoa raggiungermi. Pensai di accendere la lampada della scrivania, ma poi mi sentii ridicola. Dopotuttonon ero più una bambina, anzi, ero stata costretta a crescere fin troppo in fretta.

Mi chiesi se capitava anche alle altre ragazze, a volte, di desiderare di poter riportare indietro lelancette del tempo, tornare piccole in modo da poter sgattaiolare dentro il letto della mamma esentirsi protette fino all’arrivo dell’alba. Io avrei voluto tornare indietro, ma soprattutto per poterlariabbracciare, mia madre. Mi era stata strappata via da un giorno all’altro e adesso, in questo luogocosì distante da casa, mi mancava più che mai.

Quasi sobbalzai quando sentii il lieve cigolio della porta. Rimasi in ascolto, immobile, stringendoil lenzuolo col pugno. Anche se fingevo di dormire, socchiusi gli occhi per abituarli all’oscurità,pronta a scattare alla prima avvisaglia di pericolo.

Una figura si introdusse all’interno della stanza, camminando senza fare rumore, silenziosa comeNausica e le altre Amazzoni. Vidi la sua sagoma alta e slanciata stagliarsi contro la finestra,evidenziata dal tenue bagliore della luna.

— Zoe? — mormorò, facendomi sobbalzare.— Sì?— Sei sveglia? — mi chiese.— Adesso sì — ribattei.Lei accese la luce della scrivania. — Sono la tua compagna di stanza — borbottò.Mi sollevai sui gomiti, stringendo gli occhi per abituarli di nuovo alla luce. — Anche tu ami gli

ingressi a effetto.— Cosa?— Lascia perdere — bofonchiai.

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— Io sono Ginevra — mi disse lei, tendendomi la mano.— Piacere, Zoe.Ginevra aveva larghe spalle da nuotatrice e corti capelli castano scuro. Indossava una camicia

bianca aderente abbottonata fino al collo e una gonna al ginocchio in tartan blu. Ai piedi portava unpaio di ballerine nere. Sul viso squadrato si aprivano due occhi stretti dalle ciglia rade.

Si sedette sul suo letto. — Quando ho visto la direttrice presentarti davanti a tutti, sul palco, hopensato che sarei svenuta. Abbiamo sentito molto parlare di te, qui al Santuario.

— E perché mai? — chiesi. Immaginavo fosse per la storia del coma, o forse l’eco dei casinicombinati a Milano era giunta fin qui.

— Dicono che tu sia la Custode — affermò. Mi attraversò la schiena una scarica di brividi. Eccoun’ipotesi che non avevo considerato. Azalhee sosteneva che io fossi la Custode delle falene, laPrescelta della Dea destinata a riportare l’armonia sulla Terra tra le streghe e il resto del genereumano. Quando ne avevo parlato con Sam, lei aveva tergiversato, e secondo me era stato megliocosì. Non mi sentivo affatto a mio agio nei panni della predestinata di qualche profezia.

Scossi la testa. — Non so nemmeno cosa significhi.— Vuoi dire che non conosci la leggenda della Custode delle falene?— Ne ho sentito parlare, niente di più.— Capisco — borbottò Ginevra, assumendo un’aria pensierosa. — È vero che sei stata in coma

per più di sei mesi? — mi chiese poi.— Così pare. Io non ricordo niente.Fece un ampio sorriso. — Sei simpatica. Andremo d’accordo, io e te.Era la prima volta che il mio sarcasmo veniva scambiato per simpatia quindi, anche se suppongo

che avrei dovuto sentirmi lusingata, provai un lieve disagio. — Non scherzavo, io… non ricordodavvero nulla. Non so nemmeno come ci sono finita, qui dentro.

— Davvero? Vuoi dire che hai avuto una specie di amnesia?— Più o meno. Un attimo prima ero in moto col mio ragazzo, e un attimo dopo mi sono risvegliata

in quella che sembrava una stanza d’ospedale.— E il tuo ragazzo che fine ha fatto? — chiese, controllando il tono come se sapesse di toccare un

tasto dolente.— Non lo so — risposi, sconfortata. — Per questo ho cercato di andarmene. Nessuno si era

degnato di informarmi che mi trovavo al Santuario delle streghe, pensavo di essere una specie diprigioniera di guerra delle Amazzoni.

Ginevra scoppiò a ridere. — L’ho sentito dire, che in Riabilitazione la vita è piuttosto difficile.— Riabilitazione… cosa intendi?— Il Santuario è una grande struttura autosufficiente — spiegò. — Dall’esterno può sembrare una

specie di fortezza medievale, e un tempo lo è stata davvero. Oggi non è più una difesa militare, ed èorganizzata in modo diverso. Nella parte centrale, dove ci troviamo ora e che comunemente vienechiamata Accademia, ci sono i dormitori per gli studenti e le aule dedicate alle attività didattiche.Una torre ospita gli alloggi per i docenti, mentre un’ala del Santuario l’infermeria e la Riabilitazione,dove vengono curati i casi più difficili di dipendenza dalla magia e i soggetti ritenuti troppopericolosi per stare con gli altri.

Ora cominciavo a capire cosa intendeva Ligea quando diceva che nessuno era mai stato dimesso.La Riabilitazione era un modo comodo per nascondere gli elementi più difficili da gestire.

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— È possibile sviluppare una dipendenza… dalla magia?Ginevra alzò un sopracciglio. — Pare di sì.— Quindi, in un certo senso, possiamo dire che le Amazzoni sono la security del Santuario. —

Questa ipotesi rendeva plausibile il fatto che Nausica non desse l’idea di essere preoccupata per lamia incolumità, ma piuttosto decisa a contenere i danni che ero in grado di causare. Lei e le altreAmazzoni non stavano cercando di guarire nessuno, ma facevano da carceriere a tutte coloro cheerano ritenute inadatte a vivere in comunità. Proprio come Ligea, condannata alla solitudine da unpotere troppo letale per controllarlo.

Ginevra arricciò le labbra, come a cercare un modo migliore per descrivere la situazione, madopo qualche istante sembrò arrendersi. — In un certo senso — disse. — Comunque non ti devipreoccupare, le Amazzoni sono dalla nostra parte. C’è un antico patto tra loro e le streghe,un’alleanza stretta secoli e secoli fa, quando gli Inquisitori al servizio dell’imperatore romanoAdriano ci davano la caccia, ai tempi delle Guerre della Barriera.

— Le… Guerre della Barriera?— Nel Secondo secolo l’imperatore Adriano fece erigere una barriera per dividere in due la

Britannia. Lo scopo era segnare il confine tra le terre conquistate dai romani e quelle ancora in manoalle tribù celtiche. Queste ultime erano rimaste indipendenti grazie all’uso della magia, i cui ritualierano accettati, anzi, fortemente radicati nella loro società. L’imperatore riuscì a infiltrare tra la lorogente dei soldati specializzati nell’assassinio delle incantatrici. Li chiamavano Inquisitores, poichéil loro compito era indagare alla ricerca dei punti deboli della difesa nemica, per poi agirenell’oscurità. Erano maestri nelle tattiche di guerriglia. Gli Inquisitores romani erano istruiti sullearti iniziatiche, ma avevano una capacità di combattimento superiore ai pretoriani e ai gladiatori. Perdifendersi dagli Inquisitores, le druidesse della Sorellanza fecero un patto con le Amazzoni, leguerriere provenienti dalle steppe dell’Est. Alcuni dei clan amazzoni promisero di essere il braccioarmato della Sorellanza quando sul campo di battaglia la magia non era abbastanza.

Ascoltai rapita la spiegazione di Ginevra. Ero indecisa se considerarla una secchiona oun’aspirante professoressa del corso di Storia segreta dell’antichità.

— Questo non spiega il modo con cui mi ha trattato Nausica — borbottai. — Ti assicuro che èstata davvero dura.

— Capisco — convenne lei. — Però, anche se non giustifico il suo comportamento, immagino cheabbia avuto i suoi buoni motivi.

— Ma io non la conosco nemmeno!Ginevra si strinse nelle spalle. — Be’, nemmeno io la conosco bene. Sono qui da appena un

semestre. — Non sapevo perché, ma ebbi l’impressione che non fosse vero. Forse fu un’incrinaturanella voce, o il fatto che distolse lo sguardo subito dopo, per incollarlo al paesaggio fuori dallafinestra. — Piuttosto, hai deciso quali sono i corsi che vuoi seguire? — mi chiese, dopo un istante disilenzio.

— Corsi? No, io… non ne so nulla.— La direttrice non ti ha informata? Quando vieni ammessa all’Accademia devi scegliere le

materie di studio per i primi due semestri. Alla fine di ogni ciclo di lezioni c’è un esame dasostenere.

— Adelaide mi ha parlato di un prospetto delle attività didattiche, ma io non l’ho ancora avuto.— Ci puoi pensare domani mattina. Ora ci conviene andare a letto, la sveglia è alle sei e mezzo.

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— Così presto? — sbottai.— Ti ci abituerai — ribatté lei, spegnendo la luce.Incredibile a dirsi, Ginevra si abbandonò al sonno nel giro di pochi minuti, come se nel suo

cervello fosse scattato il tasto OFF, mentre io rimasi a fissare l’oscurità a lungo, sopraffatta da millepensieri. Nonostante fossi esausta, ero incapace di lasciarmi andare, pervasa com’ero da unacrescente agitazione. Negli ultimi giorni avevo dovuto affrontare troppi cambiamenti e tropporadicali per poterli assimilare. E ora mi sentivo sopraffatta dal peso di tutte le rivelazioni, senzacontare il senso di straniamento per aver perso interi mesi della mia vita.

Niente avrebbe più potuto restituirmeli. Allo stesso modo, non avrei più potuto riavere la vita cheavevo lasciato a Milano. Le consuetudini che rassicuravano la mia quotidianità erano ora soltantoreminiscenze che rendevano più difficile sostenere il peso delle mancanze. Pensai che doveva esserequesto il motivo per cui Adelaide aveva cercato di tenermi all’interno di una struttura protetta,all’oscuro di quello che succedeva intorno a me: per darmi il tempo di ambientarmi. Ma, come alsolito, avevo voluto fare di testa mia, e ora mi trovavo più che mai spaesata e priva di punti diriferimento. Quanto avrei voluto che ci fosse stato Sebastian, accanto a me, ora!

Sarei rimasta ore ad ascoltarlo, mentre mi parlava dei suoi viaggi e delle persone straordinarieche aveva conosciuto. Avremmo parlato per un po’ della vita sregolata di qualche rockstar, poi luiavrebbe suonato per me una vecchia canzone con la sua chitarra. E poi… poi ci saremmo lasciatiandare a un bacio infuocato. Forse, finalmente, avrei trovato il coraggio di donargli tutta me stessa,lasciando da parte le inibizioni e la paura, fino a raggiungere l’istante perfetto in cui c’eravamosoltanto io e lui e i nostri corpi intrecciati.

Mi sentivo finalmente pronta ad accoglierlo senza compromessi. Dovetti scacciare il pensiero, orischiavo davvero di perdere il controllo. Mi sentivo come febbricitante, e questa volta non era perla mancanza del mio famiglio, ma per la mancanza della metà del mio cielo, l’altra ala che mipermetteva di volare più in alto delle nuvole.

Sebastian non era con me, dovevo farmene una ragione. E anche se non avevo il coraggio diammetterlo nemmeno con me stessa, forse non ci sarebbe stato mai più.

Mai più avrei potuto baciare le sue labbra. Mai più lui avrebbe intrecciato la sua mano tra i mieicapelli. Mai più mi avrebbe detto che ero l’unica e la sola, che era stato così da sempre, e sarebbestato così fino alla fine dei tempi.

No, mi dissi. Non lo permetterò. Non mi sarei mai arresa. Avrei cercato Sebastian anche a costodella mia stessa vita, non mi sarei fermata finché avessi avuto un alito di forza nel corpo. Doveva pursignificare qualcosa il fatto che avevamo attraversato gli oceani del tempo per rincontrarci, dopo chenella nostra vita passata avevamo dovuto sopportare solo sofferenza.

Perché altrimenti ritrovarci, se anche in questa vita eravamo costretti a stare separati, come duefarfalle divise dal Maestrale?

I minuti, forse le ore, passavano indifferenti al mio tormento e io non facevo che rigirarmi tra lelenzuola. Allungai la mano per trovare il contatto con qualcosa di solido, per assicurarmi che il maredella penombra non si stesse impennando, che non potesse travolgermi coi suoi flutti. Le ditaincontrarono il legno ruvido della testata del letto, e il contatto mi diede un brivido. Con sorpresa, miresi conto che c’era una piccola incisione su un lato. Mi ripromisi di dare un’occhiata, non appenafosse stato giorno.

Dall’esterno proveniva una tenue luce che tingeva le pareti di un bagliore lunare. Mi raccolsi in

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posizione fetale, e per un attimo mi sentii una creatura in grembo alla fortezza, come se il Santuariofosse stato un’entità viva e pulsante, una crisalide di pietra, madre depositaria di memorie assopite,impregnate di remoti rancori.

Non c’era alcun rumore intorno a me. Solo silenzio. Eppure mi sembrava di poterlo udire, ilrespiro di questi antichi muri. Era basso e cadenzato, scandiva i nomi di divinità dimenticate,raccontava di gesta leggendarie la cui eco non si era ancora spenta.

Nonostante Sam mi avesse detto che al Santuario sarei stata al sicuro, non riuscivo a sentirmiprotetta. C’era qualcosa di crudele che aleggiava nell’aria intorno a me, una forza oscura etravolgente come quella della natura più violenta. Mi sentivo come se fossi stesa sulle pendici di unvulcano in procinto di eruttare, o coi piedi bagnati dalla risacca quando l’aria è ancora ferma, maall’orizzonte si staglia il profilo di un uragano.

Eppure tutto taceva, tutto sembrava tranquillo. Mi sforzai di pensare positivo, mi dissi che eratutto sotto controllo. Che le streghe che abitavano questa roccaforte non avrebbero permesso che misuccedesse nulla di male.

Finalmente, poco prima dell’alba riuscii a prendere sonno. Giusto in tempo per essere svegliatadal trillo della sveglia.

— Iniziamo bene — mugugnai, coprendomi la testa con le lenzuola per concedermi almeno unminuto di quiete prima di iniziare ufficialmente la mia nuova vita, al Santuario delle streghe.

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Le Tre Madri Erranti

— Che stai facendo? — mi chiese Ginevra.— Non si vede? Sto cercando di evitare di svegliarmi — mugugnai.— Sei pazza? Abbiamo dodici minuti per prepararci e presentarci all’adunata nella Sala della

Sorgente.Non avevo idea di dove fosse la Sala della Sorgente, ma dodici minuti contati per alzarmi e

prepararmi suonavano come una minaccia. — Cooosa? — urlai, sollevandomi sui gomiti.Ginevra era in piedi al centro della stanza. Aveva già indossato gonna e camicia e mi osservava a

braccia conserte, battendo il piede sul pavimento come se stesse tenendo il tempo di una canzone dalritmo sincopato. — Ti conviene sbrigarti, se non vuoi beccarti una punizione il tuo primo giorno.

— Che razza di scuola è mai questa? — brontolai, catapultandomi fuori dal letto. — Dodiciminuti non mi bastano nemmeno per decidere cosa mettermi. — Aprii l’armadio e, dato che avevo lavista annebbiata, prelevai dallo zaino i jeans e una maglietta a caso. Infilai le Converse slacciate, manon feci in tempo a uscire dalla stanza che inciampai nelle stringhe, quindi dovetti fermarmi perallacciarle strette, sotto lo sguardo impaziente della mia compagna di stanza. Poi la seguii fino aibagni. Ginevra camminava davanti a me, con la schiena dritta e l’incedere sicuro. Tra l’andirivienidelle altre ragazze che occupavano a turno le toilette e i lavandini, ebbi a malapena il tempo di farepipì e sciacquarmi la faccia che di nuovo mi dovette richiamare all’ordine perché, a detta sua, cistavo mettendo troppo tempo.

Non riuscii nemmeno ad asciugarmi il viso, dato che avevo dimenticato l’asciugamano e Ginevrasosteneva che non c’era tempo per tornare nella stanza a prenderne uno. Mi condusse attraverso unasequenza di gradinate che scendevano fino al piano terra. Ebbi a malapena il tempo di guardarmiintorno, e riuscii a prendere fiato solo quando mi trovai di fronte a un’arcata di marmo checonduceva a una sala in cui stavano fluendo una moltitudine di ragazze e ragazzi.

I maschi provenivano da un’altra scalinata, all’opposto della nostra. Non serviva una fervidaimmaginazione per capire che conduceva al dormitorio maschile. Mi guardai intorno alla ricerca diMisha, ma non vidi altro che volti sconosciuti. D’altronde, eravamo così tanti che dovevo stareattenta a non perdere di vista Ginevra e a non farmi inghiottire dalla ressa. Era impossibile contaretutti i presenti, ma se mi avessero detto che eravamo in duecento ci avrei creduto.

Stavo per entrare anch’io nella sala, seguendo come un cagnolino la mia compagna di stanza,quando una tipa più alta di me di almeno una spanna mi tagliò la strada, costringendomi a fermarmi dicolpo. — Che modi — borbottai.

Lei si voltò di scatto e mi dardeggiò un’occhiata fredda come i suoi occhi color perla. Eranoallungati ai lati, incastonati in un viso dall’ovale perfetto e la pelle di alabastro. Non mi degnò di una

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risposta, limitandosi ad alzare un sopracciglio e osservarmi da capo a piedi con un’espressione disufficienza.

Mi sentii afferrare per il braccio. — Lasciala perdere — mi incalzò Ginevra. — Lucrezia è moltosuscettibile. Fartela nemica significherebbe solamente assicurarti un tormento quotidiano. — Poi siavvicinò, e sussurrandomi all’orecchio aggiunse: — Lei è la figlia di una Furia.

— Fu-che? — balbettai.Ginevra scosse la testa, come se avessi appena ammesso di non conoscere nemmeno l’ABC della

mitologia. Certo che lo conoscevo, ma provenivo dal mondo reale! Da noi la mitologia è scritta suilibri, non la incontri per strada.

— Lucrezia è una mezzo demone della Vendetta — mi disse. — Ti consiglio di tenerti alla largada lei e dalle sue tirapiedi. È istinto e crudeltà allo stato puro. Sono convinta che in un accesso dirabbia potrebbe cavarti gli occhi prima che tu possa accorgertene.

— M-mezzo… demone?! — esclamai. — Co-cosa ci fa una mezzo demone nel Santuario dellestreghe?

— Il Santuario deve il suo nome al fatto che la sua fondazione è stata fortemente voluta dallestreghe della Sorellanza, ma offre asilo anche ad altre creature — affermò Ginevra. — Devi sapereche, verso la fine del Dodicesimo secolo, la Sorellanza incaricò Emilio da Vareilles, un architettoche aveva contribuito a realizzare Notre Dame de Paris, di progettare un rifugio in cui le streghepotessero riunirsi e divulgare liberamente la propria conoscenza. Col tempo, verso la fine delQuattrocento, in piena escalation della caccia alle streghe, la struttura venne estesa fino a rendere ilSantuario una vera e propria cittadella fortificata. Quasi un secolo dopo, mentre in Europaimperversavano i roghi, le tre streghe più potenti dell’epoca si riunirono per proteggere il Santuariodal mondo esterno, in modo che non fosse visibile eccetto che per gli iniziati. Questo fu possibilegrazie a un incantesimo generato dall’unione della loro magia. — Ginevra mi guardò intensamentenegli occhi. — Quelle tre streghe erano chiamate le Tre Madri Erranti. Una di loro era ErzsebetBathory.

— Erzsebet ha fatto parte della Sorellanza? — sbottai, meravigliata. — Com’è possibile? Vogliodire… era un’assassina!

— All’epoca aveva diciotto anni, sebbene avesse già il pieno controllo di un potere pressochéillimitato — rispose Ginevra. — Nonostante la sua intemperanza la mettesse spesso in contrasto coni vertici della Sorellanza, il suo lato oscuro non aveva ancora preso il sopravvento.

Rabbrividii al pensiero che c’era stato un giorno in cui persino la strega più malvagia di tutti itempi aveva messo il suo potere al servizio del bene. Mi chiesi se Erzsebet fosse stata consapevoledel momento in cui le sue scelte l’avevano portata oltre il confine tra bene e male, se si fosse mairesa conto che le conseguenze delle sue azioni la stavano rendendo più simile a un demone che a unessere umano.

Quando Erzsebet aveva la mia età, di certo non sapeva che un giorno sarebbe stata ricordata per lasua crudeltà, piuttosto che per aver contribuito a costruire un rifugio in cui le streghe di tutto il mondoavrebbero potuto sentirsi al sicuro. Non potei fare a meno di pensare che, forse, a diciotto anni nonera molto diversa da me. Anche il mio caratteraccio mi aveva spesso messo in contrasto con Sam econ la Sorellanza. E se Azalhee avesse avuto ragione?

Ho sempre sostenuto che il nostro futuro non è scritto, che lo costruiamo noi stessi con le nostrescelte. Ma se invece fossi stata destinata ad abbracciare l’oscurità? Se non fossi stata in grado di

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distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato? Se un giorno il potere che scorre dentro di meavesse soggiogato la mia anima, sarei stata capace di risvegliare la mia coscienza?

— Questo però non ha a che fare con i mezzi demoni… — obiettai.— All’inizio del secolo scorso, la Sorellanza ha aperto le porte dell’Accademia e, quindi, del

Santuario, a tutte le creature non umane in difficoltà o vittime di persecuzioni. Ancora oggi si chiamaSantuario delle streghe, ma nei suoi corridoi è comune imbattersi in creature di tutte le specie, comesemidei e mutaforma…

— … e fate — conclusi.— Anche fate, certamente — concordò Ginevra. — Una specie ad altissimo rischio di estinzione.Mi guardai intorno, come cercando di cancellare l’espressione sbalordita che sicuramente avevo

dipinta sul volto. Le facce accanto a me sembravano quelle di comuni esseri umani, ma mi chiesi chespecie di creature potessero essere. D’altronde, non potei fare a meno di notare che tutti, maschi ofemmine, avevano i capelli corti.

Io ero l’unica con i capelli oltre le spalle, per di più scarmigliati per la lunga nottata insonne.Forse per questo, o forse perché avevo stampato sulla fronte “ultima arrivata”, percepivo tutti gliocchi addosso. Perfino in mezzo alle altre streghe, tra Amazzoni, fate e mezzi demoni, ero condannataa sentirmi quella diversa. Nel mondo reale era a causa dei miei occhi gialli, al Santuario per lalunghezza dei capelli.

— Perché avete tutti i capelli corti? — mi decisi a chiedere a Ginevra.— La vanità avvelena le intenzioni — rispose lei, addomesticando la voce in una cantilena.— Cioè?Ginevra si strinse nelle spalle. — È un modo di dire della direttrice — affermò. — Secondo lei

mantenere un aspetto sobrio aiuta a focalizzarsi sulle cose davvero importanti della vita.— Una tipa singolare, Adelaide — dissi, mentre pensavo che obbligare tutti quanti a tagliarsi i

capelli non suonava come una rinuncia alla vanità, ma un modo per mortificare la personalità.La Sala della Sorgente era una stanza grande quanto un campo da pallavolo, stretta e lunga, dal

pavimento di terra battuta. Le pareti erano fiancheggiate da dodici colonne di marmo per lato. Infondo alla sala c’era un altare con quattro candele, posizionate secondo i punti cardinali. Alle spalledell’altare era incastonata nel muro una vasca di pietra che somigliava a un fonte battesimale e da cuisgorgava un rigagnolo di acqua corrente, come una piccola fontana.

Dopo che fummo entrate, Ginevra mi fece segno di posizionarmi accanto a lei. Tutti quanti sistavano disponendo in maniera ordinata, e mi resi conto che nelle prime file erano allineate alcunedelle Amazzoni che avevo incontrato in Riabilitazione, compresa Nausica e la ragazza che misomigliava. Non c’era traccia, invece, di Sasha. Sperai che non le fosse capitato niente di brutto acausa mia.

In breve, mi trovai inquadrata all’interno di una specie di formazione militare. Poi, d’un tratto, ilbrusio di sottofondo si placò e seguirono lunghi attimi di silenzio.

— Cosa stiamo aspettando? — chiesi a Ginevra, sforzandomi di parlare a bassa voce.Prima che lei potesse rispondere, qualcuno sibilò dietro di me: — Shhh.Mi voltai di scatto, indispettita. Se si fosse trattato di Lucrezia, mezzo demone o no, non le avrei

dato la soddisfazione di starmene zitta. Con mia grande sorpresa, invece, incontrai lo sguardodivertito di Misha, che si stava sforzando di trattenere una risata facendo finta di schiarirsi la voce.

— Mi fa piacere notare che non sei cambiato affatto — sibilai. — Sei sempre il solito cretino.

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— Anch’io sono contento di rivederti, Zoe — ribatté lui, sorridendo.Mi sforzai di scoccargli un’occhiataccia, ma riuscii soltanto a evitare di scoppiare a ridere a mia

volta. Non potevo negare di essere parecchio sollevata per averlo ritrovato. Sapere che Misha erainsieme a me riusciva a calmare i moti tempestosi della mia anima e dovetti resistere alla tentazionedi abbracciarlo più forte che potevo.

— Siamo allineati per ricevere la benedizione da parte di Antonia, la sacerdotessa di Iside —mormorò Ginevra, per rispondere alla mia domanda.

Mi resi conto che una donna con indosso una tunica bianca con dei ricami color oro stava uscendodalla porticina di legno nella parete a fianco dell’altare. Da quella distanza non riuscii a vederne ilineamenti, ma a colpo d’occhio sembrava più o meno dell’età di Adelaide.

— Invoco le forze della terra — annunciò Antonia — perché questa giornata vi porti concretezzacome il terreno su cui poggiate i piedi. — Poi ci girò brevemente le spalle per raccogliere nel palmoun po’ dell’acqua che sgorgava dalla sorgente. Mosse la mano nella nostra direzione con qualcherapido movimento, e intorno a me si materializzarono piccole gocce simili a rugiada, che mibagnarono appena la pelle. — Invoco le forze dell’acqua — disse — perché le vostre azioni sianopermeate di purezza.

— Be’, in fondo i nostri rituali non sono molto diversi da quelli degli Inquisitori — borbottai.— Semmai sono i loro rituali a essere simili ai nostri — puntualizzò Misha. — Questa

benedizione è stata insegnata personalmente dalla dea Iside alla sua prima sacerdotessa, oltre seimilaanni fa.

Antonia, muovendo soltanto le dita con piccoli gesti calibrati, accese le quattro candele che sitrovavano sull’altare. Lo fece seguendo il senso orario, quello che, comeavevo imparato, si usavaogni volta che si compiva un rituale di ottenimento.

— Invoco le forze del fuoco — disse. — Auspico che il vostro cuore e le vostre menti sianoscaldati dall’amore per la Dea.

Ero sempre più confusa. Stava chiaramente compiendo degli incantesimi, per quanto insignificanti.Che il blocco della magia valesse soltanto all’interno della Riabilitazione?

— Invoco le forze dell’aria, che vi proteggano a ogni respiro — aggiunse Antonia, tracciando conla mano destra una croce nell’aria. Sembrava molto concentrata. Mi sentii rapidamente pervadere dauna sensazione di calma interiore.

— Però la croce… — mugugnai.Misha non mi lasciò finire la frase. — Per i celti, la croce era il più potente simbolo di protezione

— lo sentii dire, dietro di me.— Insomma, la volete piantare? — brontolò Ginevra, facendomi sobbalzare.Sul momento pensai che fosse indispettita perché io e Misha, con le nostre chiacchiere, stavamo

disturbando la cerimonia. Non era quello il vero motivo, ma l’avrei scoperto molto tempo dopo.Quando ormai non avrebbe avuto più importanza.

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Nuovi nemici e vecchi amici

— Be’, io vi lascio soli. Il mio ragazzo mi aspetta per fare colazione — mi disse Ginevra. — E poiimmagino che ne avrete di cose da dirvi, tu e il tuo famiglio.

— Okay, a dopo — disse Misha.Pensai che anche lui avesse voglia di fare colazione. Percepivo il borbottio del suo stomaco

nonostante fossi a un passo di distanza e la folla, una volta terminata la cerimonia, fosse tutt’altro chesilenziosa. Per quanto mi riguardava avevo ancora lo stomaco chiuso, ma pensavo che qualcosadovevo pur mangiarla; ero a digiuno da quasi un giorno.

Presi Misha a braccetto e seguimmo Ginevra per alcuni passi, finché giungemmo in un lungocorridoio. Procedevamo affiancati da una moltitudine di altri ragazzi che chiacchieravano escherzavano tra loro.

— Allora, è molto che sei qui? — chiesi a Misha.Lui si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, un gesto che faceva quando era nervoso. —

Sono arrivato la stessa notte in cui sei arrivata tu. La notte dell’incidente.Mi immobilizzai per cercare il suo sguardo. — Sapevi che ero al Santuario?— No, io… non avevo idea di cosa ti fosse capitato — rispose Misha. — Anche se quella notte

ho provato una sensazione orribile che mi ha stritolato lo stomaco. È stato così doloroso che hocreduto tu fossi morta.

Non poteva essere che così. Io e Misha eravamo collegati al punto che lui poteva sentire quelloche sentivo io. E se l’incidente era stato così brutto come l’avevano descritto, doveva aver provatoun’angoscia indescrivibile.

— Mi spiace — riuscii solo a dire. — Nonostante le mie buone intenzioni, non faccio cheprovocare dolore.

— Non dirlo, non è colpa tua.— Sì, invece! — protestai. — Sono stata una delusione per tutti. Non sono stata capace di

compiere le scelte giuste nemmeno quando tu e Sam mi davate i migliori consigli.— Ti prego, Zoe, non fare così — disse Misha con tono accondiscendente. — Devi essere forte,

oggi più che mai.Abbassai lo sguardo. — Come posso essere forte, se mi è stato portato via tutto?Lui mi accarezzò una guancia, costringendomi a guardarlo negli occhi. — Hai ancora me.Il suo contatto era caldo, rassicurante. — Me ne rendo conto, ma…— Stai pensando a Sebastian?Annuii con un cenno del capo. — Mi manca.— Capisco — mormorò.— Ti prego, non fare quella faccia da… furetto bastonato — lo rimproverai.

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Riuscii a strappargli un sorriso, che però scomparve subito. — Scusami, Zoe. Mi rendo conto chenon dovrei interferire nelle tue scelte, ma non posso fare a meno di pensare che…

Appoggiai la mano sul suo viso per farlo smettere di parlare. — Lo so che non siete mai andatid’accordo, tu e Sebastian — dissi. — E mi rendo conto che il suo atteggiamento possa essere statocontroverso, nella nostra vita passata. Ma ti assicuro che è stato tutto un terribile equivoco. Anch’iocredevo che avesse fatto parte della giuria che mi ha condannato al rogo, ma ho scoperto che lui hasolo cercato di salvarmi. Per questo si è tuffato nel fuoco insieme a me.

— Già… non posso credere che siano passati quattrocento anni. Ricordo quel momento come sefosse ieri, come ricordo l’esercito di farfalle che è spuntato dal nulla, all’orizzonte, i vostri due corpiscomparsi… — Poi Misha scosse la testa, come per scacciare un cattivo pensiero. — Ma non puoifidarti di lui, Zoe. Non lo capisci, che potrebbe essere tutto un inganno? Tramite te gli Inquisitoripotrebbero avere in pugno l’intera Sorellanza. A quel punto nemmeno il Santuario sarebbe più unluogo sicuro.

— No — dissi con decisione. — Sebastian non mi ingannerebbe mai. Lui è arrivato a mettere indiscussione tutto per me, persino la sua appartenenza all’Ordine degli Inquisitori. Le fazioni, laguerra e tutto il resto non hanno più importanza, ormai. Quello che conta è che lui mi ama.

— So quello che provi — affermò Misha, con una lieve incrinatura nella voce. — Ma non possoessere sicuro dei suoi sentimenti nei tuoi confronti. Non odiarmi ma forse, anche se dolorosa, lavostra separazione è stata necessaria.

— Come puoi dire una cosa del genere? Mi fai male — dissi, posizionando una mano sul suopetto come per cercare di spingerlo via, anche se sapevo che non avrei mai potuto allontanarlo perdavvero. I suoi pettorali si irrigidirono al contatto. Misha e io ci appartenevamo, anche se il nostrorapporto sarebbe stato incomprensibile per qualunque essere umano, per cui è impossibile capire lamutua dipendenza di una strega col suo famiglio.

Misha prese la mia mano nella sua. — Non potrei mai farti del male, lo sai. — Potevo sentire ilsuo cuore battere attraverso il contatto. Un battito più veloce di quello di una persona normale, piùsimile a quello di un animale, anche se quando si trasformava in un furetto era ancora più rapido.

— Eppure mi dai l’impressione di saperne di più. Dimmi la verità, Misha — e lo guardaiintensamente negli occhi. — Sai dove si trova Sebastian?

Lui scosse la testa. — Non ne ho idea, Zoe, davvero. Se sapessi dove si trova te lo direi,nonostante tutto. Io sarò sempre il tuo compagno più fedele. Non posso nasconderti nulla, è nella mianatura.

— Lo so — mi limitai a ribattere.— Ho creduto che tu fossi morta, Zoe. Per mesi ho provato un vuoto incolmabile. Pensavo che non

ti avrei più rivista, e faceva male, molto male. Al punto che più di una volta ho pensato che la miavita fosse diventata inutile.

Fui colta da una vertigine. — Non dirlo neanche per scherzo. E promettimi che non penserai maipiù cose del genere — riuscii a dire, dopo un lungo istante di silenzio. — E poi come avrei fatto ora,senza di te?

— Il problema era proprio stare senza di te. — La voce di Misha si incrinò lievemente. Poi mirivolse uno sguardo così intenso che dovetti distogliere gli occhi.

— Non riuscivi a percepire la mia presenza? — farfugliai. — Voglio dire… ero solo a pochimetri di distanza da te, eppure…

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— Ho cominciato a percepirla quando ti sei risvegliata. Ed è stato come iniziare a respirare dopouna lunga apnea. Da quel momento mi aspettavo di vederti sbucare da ogni angolo. La notte sognavoil tuo volto sorridente, ma al contempo provavo la stessa angoscia che hai provato tu, quando haipensato di essere in un luogo ostile e temevi che ti tenessero prigioniera.

Era proprio così che mi ero sentita, un ostaggio in mano alle Amazzoni lontano dalla mia casa edai miei affetti. Non avrei mai potuto mentire a Misha, neanche impegnandomi come quando con miopadre recitavo la parte della figlia perfetta per non fargli pesare che la nostra famiglia si eradisintegrata, da quando mamma non c’era più. Con Misha era diverso. Non avrei potuto mentirglineanche se fosse stato necessario. La mia anima non aveva segreti, per lui.

Mi sforzai di tirare un sorriso. — Finché non ti sono sbucata davanti agli occhi dal condotto diaerazione.

— Prima che mi rendessi conto che eri ancora viva, nessuno mi aveva informato che eri qui alSantuario, né che fossi in stato di incoscienza.

— A quanto pare la direttrice non è una tipa particolarmente loquace. Non ha per nientel’attitudine a condividere le informazioni. E dire che sarebbe bastato poco… se mi avessero dettodove mi trovavo, forse avrei combinato meno casini.

— Penso che anche Adelaide fosse indecisa sul da farsi — disse Misha. — Secondo me nonsapeva se poteva fidarsi di te, non dopo che avevi tentato la fuga con un Inquisitore. E da quello cheho sentito, sei stata sospesa in una condizione al confine tra il sogno e il coma…

— … come un lungo sonno — lo interruppi. Un sonno durante il quale ripetevo il nome di unapersona che non ho mai conosciuto: Adam. Ero sul punto di parlarne con Misha, ma decisi dirimandare la questione. — Sì, me l’hanno detto — mi limitai ad aggiungere, con una punta di ironia.

— Quando ho ricominciato ad avvertire la tua presenza ho iniziato a chiedermi cosa ti fossesuccesso. Ho cercato di scoprire qualcosa di più, ma è stato inutile. La notte che hai deciso di fuggirecon Sebastian ti abbiamo aspettato a lungo, alle colonne di San Lorenzo. Poi ho sentito che ti erasuccesso qualcosa di terribile. C’è stata un’esplosione di dolore dentro di me, come se mi stesserolacerando la carne. — Strinse le labbra, come se anche il ricordo fosse doloroso. Poi continuò: —Sam ha dimostrato, come sempre, freddezza e grande capacità di decisione. Secondo lei era piùsicuro per tutti raggiungere ugualmente il Santuario, e da qui iniziare le tue ricerche.

— Sam… era con te? — chiesi, anche se la mia attenzione era stata attirata da un grido cheproveniva da poco più avanti.

Intorno a noi non c’era più il viavai di poco fa, in compenso c’era un assembramento intorno a unaragazza che stava urlando: — Toglietemelo di dosso, vi prego!

Conoscevo quella voce.— Sì — disse Misha. — Siamo partiti quella notte insieme a…— … Angelica! — esplosi. Era sua, la voce che stavo sentendo. Corsi in direzione delle urla, e

mi resi conto che era proprio lei.Angelica era circondata da un capannello di ragazzi e ragazze che ridevano e si sgomitavano, al

punto che dovetti faticare non poco per riuscire a raggiungerla.Era molto diversa da come la ricordavo. Tanto per cominciare era più magra. Non aveva più i

lunghissimi capelli decolorati che quando si muoveva sembravano danzare, ma il suo castanonaturale. I capelli davano l’impressione di essere stati tagliati con colpi di forbice frettolosi e leciocche sparse sulla fronte, più che a una frangetta, assomigliavano a un’opera astratta. Il viso era

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pallido, gli occhi affaticati di chi non dorme da giorni, solcati da occhiaie profonde. Indossava unamaglietta azzurra e leggings neri su un paio di scarpe da ginnastica bianche.

Angelica si muoveva con scatti repentini, come se fosse in preda a una crisi epilettica. Ben prestone capii il motivo. Sulla sua schiena era arrampicato un ragno dal corpo carnoso, grosso come unpugno, dalle lunghe zampe pelose. Angelica si divincolava furiosamente, con l’unico risultato che ilragno sembrava aggrapparsi sempre più saldamente alla sua maglietta.

— Vi prego, mandatelo via! — strillava.— Stai calma, Angelica — le dissi.— Ho paura, ho paura! — ribatté lei, ignorandomi.Mi sentii picchiettare su una spalla. Mi voltai di colpo e incontrai lo sguardo gelido di Lucrezia.— Che c’è, non hai niente di meglio da fare? — mi incalzò con voce velenosa. — Non

intrometterti in questioni che non ti riguardano. — Aveva il gomito appoggiato alla spalla di unaragazza che indossava una T-shirt rossa. Quest’ultima aveva il viso appuntito e gli occhi colorporpora. Aveva un piercing su un lato della bocca. I suoi capelli erano neri come una colatad’inchiostro, con rasature laterali e una piccola cresta. Mi chiesi se Adelaide avrebbe obiettato cheerano troppo appariscenti, o meglio inappropriati, per un luogo dove era stata bandita la liberaespressione della propria personalità.

Decisi di ignorare Lucrezia e la sua amica, e continuai a concentrare la mia attenzione suAngelica. Le tesi la mano fino a trovare il contatto con la sua, nonostante si agitasse così tanto chetemevo avremmo finito per farci male a vicenda. Percepivo a malapena il vociare indistinto deicuriosi che ci circondavano.

— Ascolta la mia voce — le dissi, conciliante. — Te lo tolgo io di dosso.I nostri occhi si incrociarono per un secondo. Il suo sguardo era implorante e allo stesso tempo

spaventato. — Zoe… sei proprio tu? — farfugliò, con voce strozzata.— Sono io — dissi. — Fidati di me. Lascia che ti aiuti.Angelica, stringendo forte la mia mano, lentamente smise di agitarsi, anche se continuava a

muovere le gambe.— Ehi, strega in crisi d’identità, sto parlando con te! Sei ritardata o stai solo cercando di

ignorarmi? — sbottò la voce impertinente di Lucrezia alle mie spalle.Questa volta non persi nemmeno tempo a guardarla. Cercai di vincere l’aracnofobia, avvicinando

le dita quanto bastava per provare a scrollare via il ragno dal dorso di Angelica e allo stesso temporespingere i brividi lungo la schiena. O almeno questa era la mia intenzione.

— Ferma! — sentii urlare dietro di me prima di poter attuare il mio proposito. Questa volta nonera la voce di Lucrezia. La sua amica dagli occhi porpora si stava avvicinando con passo sicuro.Senza darmi il tempo di reagire, prese in mano il ragno con estrema disinvoltura. — Non ti azzardarea toccare il mio famiglio — sibilò, dardeggiandomi un’occhiata minacciosa.

Angelica tirò un sospiro di sollievo, si appoggiò al muro e si lasciò scivolare fino a sedersi sulpavimento.

— Tutto bene? — le chiesi. Avrei potuto anche evitare di chiederlo, aveva l’espressione stravolta.— Tu che ne dici? — sbottò.In quel momento mi sentii ghermire da dietro. Lucrezia mi costrinse a voltarmi, afferrandomi per

le spalle. Senza aggiungere una parola e senza preavviso mi colpì con un pugno nello stomaco, cosìforte che mi fece piegare in due.

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Sentii la bocca riempirsi del sapore del sangue e crollai sulle ginocchia col fiato spezzato. Mi civolle un po’ prima di ricominciare a respirare.

Quando finalmente alzai lo sguardo, Lucrezia sbottò: — Non mi piacciono le guastafeste. — Poi sivoltò verso la sua amica. — Andiamo, Jezebel — le disse. — Lasciamo che si lecchino le ferite traloro.

Jezebel esplose in una risata forzata. Vidi che il ragno le si stava arrampicando su per il braccio,un po’ come Nosferatu era solito fare con me. Era davvero una strega, e quello era il suo famiglio.

Ero troppo frastornata per ricordare le parole di Ginevra. Lasciala perdere, mi aveva detto,parlando di Lucrezia. Ed ero troppo furiosa per tollerare quell’umiliazione senza reagire.

— Non farlo — esplose Misha. Era chiaro che aveva intuito le mie intenzioni.Con la forza che mi rimaneva, balzai in piedi e presi la rincorsa. Caricai Lucrezia come un toro

imbizzarrito, fino ad afferrarle le gambe. Lei barcollò per un istante, poi perse l’equilibrio. PerLucrezia fu inutile aggrapparsi alla camicia di Jezebel: riuscì soltanto a trascinare giù anche lei. Nelgiro di un attimo rovinammo tutte e tre sul pavimento. Vidi il ragno correre via e infilarsi sotto unaporta chiusa.

Caricai un diretto destro, ma prima di poter colpire Lucrezia mi trovai bloccata da una presa diferro. La voce di Nausica mi sibilò nell’orecchio: — Stai ferma e non ti farò male.

Nausica mi trattenne finché non sentì i miei muscoli rilassarsi, poi lasciò che mi rimettessi inpiedi a mia volta.

Misha mi guardava con espressione sconfortata, mentre Angelica si copriva il viso con le mani.— Non sono stata io a iniziare — protestai.— Questo lo spiegherai alla direttrice — ribatté Nausica.Dalla stanza dove poco prima era entrato il ragno uscì un ragazzo dal corpo flessuoso, i capelli

corvini dai riflessi viola e gli occhi dalla sclera completamente nera, come levigate pietre diossidiana. Stava finendo di allacciare sul petto gli ultimi bottoni di una camicia nera. Mi dardeggiòuno sguardo ostile e si chinò per aiutare Jezebel a rialzarsi.

Feci appena in tempo a vedere Lucrezia che mi squadrava con un’espressione compiaciuta, perpoi allontanarsi nella direzione dove prima era scomparsa Ginevra. Nausica mi prese per un braccioe mi forzò a seguirla dalla parte opposta del corridoio.

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Come Sofia

L’ufficio di Adelaide all’interno dell’Accademia era molto più spazioso di quello in cui mi avevaricevuto in Riabilitazione. Era arredato in modo minimale, con una scaffalatura di alluminio su cuierano riposti libri dall’aspetto antico insieme a volumi più recenti. Il lato di una parete era occupatoda una stampa di grandi dimensioni, con la foto in bianco e nero di un grattacielo in costruzione. Leimpalcature erano come un fitto telaio stagliato contro il cielo terso, a dominare uno scorcio urbano.Di fianco erano appese altre fotografie raffiguranti palazzi dall’aspetto moderno e plasticidall’architettura avveniristica.

Mentre mi guardavo intorno, notai un’ampia finestra panoramica da cui si poteva ammirare il lagoda una nuova angolazione. Le rovine di un acquedotto romano si estendevano a tagliare il profilo dellago, come se i pilastri stessero camminando sulla sua superficie, specchiando ciò che restava degliarchi nelle acque quiete. Quasi sobbalzai nel rendermi conto che erano le stesse rovine che avevovisto sullo sfondo della foto di mia madre, quella che avevo trovato nella mia scheda. La foto erastata scattata su quella riva. Anche mia madre, quando aveva circa la mia età, era stata ospite delSantuario.

Adelaide sedeva a un tavolo di cristallo su cui era posizionato un computer dall’ampio schermo ele finiture metalliche. Indossava un tailleur color sabbia sull’immancabile camicia bianca. Stavaarmeggiando con la tastiera e sembrava molto concentrata, come se fosse intenta a redigere unimportante documento. Nausica le si avvicinò e cominciò a parlarle sottovoce.

In piedi, di fianco a Adelaide, c’era Sam. Lo notai soltanto quando mosse un passo verso il tavolodi cristallo, uscendo dal cono d’ombra dove era poco fa.

Aveva sempre i capelli rasati di lato e la mohicana asimmetrica, ma gli occhi color acquamarinasembravano più cupi di come li ricordavo, come se l’anima che ne traspariva fosse reduce da unatempesta. Quasi mi cadde la mandibola dalla sorpresa, non potevo credere che ci fosse anche lei.

Stavo per correrle incontro per abbracciarla, ma ebbi un tentennamento nel vedere che il suosguardo era sfuggente. E non potei fare a meno di chiedermi: perché non si era fatta vedere prima?Non era contenta di rincontrarmi, dopo tutto il tempo che era passato? E se anche Sam si trovava alSantuario, come aveva potuto permettere che mi svegliassi dopo un sonno di mesi nella più completasolitudine, per di più tra le grinfie ostili delle Amazzoni? Ero forse diventata una zavorra troppopesante, dopo che non avevo fatto che deluderla? E perché Misha non me l’aveva detto, che c’eraanche lei?

— Sam… — proruppi, senza riuscire ad aggiungere altro. Le parole mi si spensero in gola.Temevo che non le importasse più di me. Certo, sapevo di averla ferita. Le avevo promesso che

sarei partita con lei e Angelica per trovare rifugio al Santuario, ma all’ultimo istante avevo deciso difuggire insieme a Sebastian, nell’assurda speranza di sottrarmi alla persecuzione degli Inquisitori e

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alle aspettative della Sorellanza. Ci sentivamo soli contro il mondo intero, Sebastian e io. Eravamodeterminati a combattere, ma una guerra che fosse soltanto nostra, in nome del nostro amore che erasopravvissuto alle barriere del tempo. Ma l’illusione era durata poco. E senza che potessi nemmenoricordare come si era infranta.

Cosa stava succedendo alla mia mente? I ricordi avrebbero ricominciato ad affiorare giorno dopogiorno, o dovevo aspettarmi che i frammenti della mia memoria si sgretolassero l’uno dopo l’altrosotto i colpi di un maleficio di cui ero vittima, come una malattia degenerativa che si nutriva dei mieisogni e delle mie speranze?

Sam compì un passo nella mia direzione e strinse forte le mie mani nelle sue.— Ti prego, Zoe. Non ora — disse con un filo di voce.Bastò uno sguardo fugace per capire che le importava, eccome. Tirai un sospiro di sollievo. Era

sempre lei, la Sam che conoscevo, la ragazza dal passato turbolento che era in grado di indovinare ilmio umore con una sola occhiata, la proprietaria della caffetteria dove bastava sedersi per trovare unangolo di serenità. Era lei la stella che mia madre aveva lasciato a guida del mio cammino. Solo chein quel momento non poteva cedere a slanci di entusiasmo. C’era qualcosa che la turbava, e pensaifosse il fatto che ci trovavamo al cospetto di Adelaide e Nausica.

O forse l’eco dei miei sbagli faceva ancora male, dentro il suo cuore.Scossi la testa, nel ricordare che il Bloody Mary non esisteva più. Ed era stato a causa mia e della

mia imprudenza.Nausica mi spintonò per farmi sedere e si posizionò dietro di me. Adelaide sollevò lo sguardo per

osservarmi, come se fossi un animale raro. La sua espressione era a metà tra l’incredulità e larassegnazione.

Ci fu un lungo istante di silenzio, in cui non riuscii a ritrovare una parvenza di calma.— Mi ascolti, direttrice, io non c’entro… Lucrezia… — borbottai.Adelaide mi interruppe con un gesto secco della mano. — Abbi almeno la compiacenza di non

tentare di difenderti, Zoe — disse. — Due risse in due soli giorni sono di gran lunga al di là dellemie peggiori aspettative. Sai benissimo che non tollero la violenza.

— Cos’avrei dovuto fare? — sbottai. — Rimanere indifferente di fronte alla prevaricazione?Lasciare che a vincere sia sempre l’ingiustizia?

— Certo che no — affermò lei. — Ma non devi permettere alla rabbia di dominarti. Stai facendodel male soprattutto a te stessa, te ne rendi conto?

— Lo so. Sam me l’ha ripetuto fino alla nausea — bofonchiai.Adelaide si sistemò gli occhiali sul naso. — E allora dovresti saperlo, che l’autocontrollo è

fondamentale per una strega.Mi stropicciai gli occhi, appoggiando i gomiti sul bordo della scrivania. — Quindi cos’ha

intenzione di fare? — la incalzai. — Vuole farmi rinchiudere di nuovo nella Stanza della Colpa?Nausica intervenne, tirandomi per un braccio. — Un po’ di decoro, ragazzina — sibilò. — Ti trovi

di fronte alla direttrice dell’Accademia.Quanto detestavo sentirmi chiamare ragazzina. Per quanto mi sembrasse che il mio sonno fosse

durato un solo giorno, ero comunque a pochi mesi dal compiere diciotto anni. Le rivolsiun’occhiataccia, per poi alzare le braccia in segno di resa, sotto lo sguardo sollevato di Sam.

Adelaide scosse la testa debolmente. — Sto cercando di venirti incontro, Zoe, ma tu non faciliti dicerto il mio compito.

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— Se è per questo, nemmeno lei rende le cose semplici — protestai. — Prima ha cercato di farmibere un intruglio perché confessassi non so quali colpe, ora vorrebbe punirmi per essermi difesa daun’irascibile e intollerante mezzo demone.

— Attaccare alle spalle è una forma di difesa?— Sono stata provocata! Angelica…— Ti prego, Zoe! — esplose. — Non coinvolgere altre persone. Abbi il coraggio di assumerti le

tue responsabilità.— Lo faccio — quasi urlai. — Ogni giorno della mia vita porto il peso delle conseguenze delle

mie azioni.Adelaide appoggiò i palmi sulla scrivania e si protese leggermente in avanti. — Ma non fai nulla

per impedirti di commettere altri sbagli.— È per questo che mi ha chiamata? Per sottolineare che sono un fallimento su tutti i fronti?— No — ammise. — Solo che puoi fare molto meglio di così.— Potrei mostrarmi più… obbediente? — chiesi, con una punta di sarcasmo.— Potresti smetterla di comportarti come una nemica della Sorellanza.Sentii il sangue scaldarmi le tempie. — Se si riferisce al fatto che stavo scappando con un

Inquisitore, ci sono molte cose che lei non sa. Io e Sebastian siamo fatti l’uno per l’altra. Non ègiusto che la Sorellanza mi impedisca di seguire il mio cuore.

— Sebastian è un Inquisitore — sentenziò Adelaide. — Uno che, se solo potesse, farebbe a pezziogni singola persona che abita questo Santuario. Come puoi fidarti di lui?

— Non ho bisogno dell’approvazione di qualcuno per scegliere di chi mi devo fidare, o di chi miposso innamorare.

— È questo il motivo per cui hai rinunciato alla tua iniziazione? Per amore di uno sterminatore distreghe?

— La smetta con le insinuazioni! In più di un’occasione è stato proprio Sebastian a intervenirepresso il Consiglio dell’Ordine per opporsi alle fazioni più radicali.

— E tu eri presente, durante le riunioni del Consiglio, quando il tuo ragazzo avrebbe difeso lestreghe di fronte agli altri Inquisitori? — mi chiese Adelaide. — Sei stata al cospetto di PadreHeinrich, il Gran Maestro dell’Ordine? Hai visto la maschera d’argento dietro cui cela il suo voltoscarnificato?

L’ultima frase mi fece accapponare la pelle. No, non ero presente. Sarebbe stato impensabile peruna strega infiltrarsi tra le file degli Inquisitori. Ma Sebastian mi aveva raccontato che lui e suopadre avevano tentato il tutto per tutto per salvare una giovane strega, anche se il loro intervento erastato inutile. La poverina era stata bruciata nell’intimità della sua casa, proprio come era successo inseguito a Federica, arsa viva nel rogo del Bloody Mary al posto mio. Certo, avevo letto di PadreHeinrich, sapevo che era stato uno degli autori del famigerato Malleus Maleficarum, il libro cheaveva dato inizio all’escalation della caccia alle streghe. Sapevo che Heinrich, ossessionatodall’esoterismo, tra le pagine maledette del Malleus Maleficarum aveva occultato oscuri ritualiiniziatici. Grazie a essi, gli Inquisitori erano in grado di appropriarsi dell’energia vitale dellestreghe. Sapevo che Heinrich aveva tentato di ottenere l’immortalità siglando un patto con undemone, e che era stato ingannato. Era stato Misha a farmi sapere che, a ogni strega uccisa, Heinrichcompiva un passo per uscire dalla sua esistenza a metà tra il mondo dei demoni e il mondo degli

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umani, ma non avevo mai saputo cosa significasse esattamente. Del suo volto scarnificato e di unamaschera d’argento non sapevo nulla. Di cosa stava farneticando Adelaide?

— I-io… non… — balbettai.— Non mi hai lasciato scelta, Zoe — sentenziò Adelaide. — Ho dovuto cercare di sapere fino a

che punto ti eri compromessa con gli Inquisitori. Per la sicurezza di tutti, al Santuario, sono statacostretta a tenerti in isolamento finché non avessi scoperto i tuoi rapporti con l’Ordine.

Deglutii una boccata di fiele. Dunque si riduceva tutto a questo: la Sorellanza non si fidava più dime, e le streghe non si disturbavano a nasconderlo. Era evidente che non ero un’ospite gradita alSantuario. Quindi perché Adelaide si prodigava tanto per tenermi all’interno di quelle mura?

Feci un ampio respiro, cercando di mantenere la calma. — Avrei un’obiezione riguardo allasicurezza del Santuario.

Adelaide sembrò per un attimo interdetta. — Cosa intendi dire?— Il mio fermacapelli con le rune — dissi, decisa. — Mi è stato rubato.Sam fu sul punto di intervenire, ma Adelaide la bloccò con un cenno della mano.— Non ti è stato rubato — ribatté. — Ce l’ho in custodia io. — Aprì un cassetto della scrivania e

ne estrasse il mio fermacapelli. Me lo mostrò brevemente, tenendolo tra le dita di una mano. Il cuoreperse un battito. Bastò un’occhiata per rendermi conto che era proprio lui. Era una lucidissima asta dimetallo dalle forme intarsiate. In cima c’era un serpente attorcigliato, con incastonati al posto degliocchi due rubini luccicanti. Il resto somigliava a un lungo punteruolo arrotondato con zigrinaturecome se fossero le scaglie del serpente. Per tutta la lunghezza erano incise delle lettere dell’alfabetorunico.

— Lo rivoglio — sibilai. — Apparteneva a mia madre.Adelaide lo ripose nel cassetto. — Come la foto che hai sottratto allo schedario?Quasi sobbalzai sulla sedia. Si era resa conto che dalla mia scheda mancava la foto che ritraeva

mia madre da giovane, scattata proprio sulla riva del lago che si vedeva dalla finestra. Ogni miotentativo di difendermi era inutile. Adelaide mi aveva già giudicato, e il verdetto era una condanna.Era solo indecisa su quale fosse la pena più appropriata per le mie colpe.

— Io… lo rivoglio — riuscii a ribattere. — Appartiene alla mia famiglia. Era di mia madre, e dimia nonna Isabella prima di lei.

Adelaide ebbe un’esitazione nell’udire il nome di mia nonna, ma la sua incertezza durò il tempo diun battito di ciglia. — Non cercare di ingannarmi, Zoe. Quel fermacapelli nasconde il tuo athame, el’uso della magia è proibito all’interno del Santuario.

Dunque quello che fino a ora avevo sospettato era vero. Ma com’era possibile che la magia fosseproibita proprio nell’unico luogo dove si poteva imparare a controllarla? Decisi di tentare il tutto pertutto. — E lei non offenda la mia intelligenza. Ho visto con i miei occhi Antonia compiere degliincantesimi, durante la benedizione.

Per un lungo istante, Adelaide non disse nulla e si limitò a osservarmi da dietro gli occhiali con lamontatura rettangolare. Poi si schiarì la voce. — Vuoi dire che Antonia ha utilizzato il suo potere inmodo inappropriato, durante la benedizione?

— N-no, voglio solo dire che… potrei compiere delle magie anche senza utilizzare il mio athame,se lo volessi — balbettai. Dopotutto, pensai, l’athame non è una bacchetta magica, ma uno strumentoche può aiutare una strega a focalizzare la sua energia.

— Per esempio per attaccare Lucrezia, come hai fatto con Nausica? — insinuò. — Sono certa che

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ti sei resa conto di cosa succede quando cerchi di utilizzare il Dono, come quando l’hai sfruttato persbloccare la serratura dell’ufficio dello schedario. — Sgranai gli occhi. Adelaide sapeva. Vedendola mia espressione sorpresa, aggiunse: — Lo so, credevi che nessuno se ne fosse accorto. Ma ognimagia lascia una traccia, e la tua impronta è inconfondibile.

La schiena fu percorsa da un brivido. Adelaide era una donna dallo sguardo algido e la posturaaltera, eppure ebbi l’impressione che l’apparenza fosse ingannevole, come se lei stessa fosse partedel Santuario, un’emanazione dei suoi muri e delle sue stanze, scolpita nell’essenza impalpabiledell’aria che si respirava al suo interno. Adelaide sapeva tutto, come se il Santuario le parlasse, e leipotesse sussurrare al Santuario frasi di un linguaggio segreto che solo lei e il Santuario potevanocomprendere. All’apparenza Adelaide aveva l’età che avrebbe avuto mia madre se fosse stata ancoraviva. Ma in quel momento pensai che poteva essere vecchia quanto il Santuario stesso.

— No — dissi, scuotendo il capo. — Non voglio nuocere a nessuno. Non è mai stata miaintenzione.

— Ma potresti farlo — sentenziò. — Potresti fare del male a qualcuno. Sei proprio sicura che nonricorreresti alla magia, la prossima volta che perderai il controllo di fronte a una tua compagna?

— C-certo che ne sono sicura — bofonchiai, poco convinta. Ma forse aveva davvero ragione lei.Ero una bomba a orologeria pronta a esplodere. E Adelaide, Sam, persino Nausica stavano cercandodi impedire che travolgessi tutte le persone che mi volevano bene.

— Imparerai a controllare le tue emozioni, Zoe. Imparerai a dominarle, senza che siano loro adominare te — disse conciliante. — Gestire il proprio potere può essere complicato, per una giovanestrega. C’è chi sviluppa delle forme di ossessione, chi persino una dipendenza dal Dono.

Quella frase mi fece tornare in mente quello che mi aveva detto Ginevra. Forse alcune delleragazze che avevo incontrato in Riabilitazione stavano davvero cercando di liberarsi da qualcosa disimile a una dipendenza dalla magia, come la tipa che avevo intravisto nella stanza adiacente allamia, per esempio. Mi aveva dato l’idea di essere in preda a una crisi di astinenza. Anche le ragazzeche non facevano che guardare la TV col volume a zero sembravano in uno stato alterato, forse dovutoa farmaci per contenere i sintomi della dipendenza.

— Io faccio del mio meglio, ma…Adelaide non mi lasciò finire la frase. — L’iniziazione è un passo importante dell’accettazione di

sé e delle proprie potenzialità. Il tuo continuo rifiutare l’aiuto che ti offre la Sorellanza, la tuainsistenza nel cercare conforto tra le file dei nostri persecutori, sono solo scappatoie che ha trovatola tua mente per negare ciò che sei.

Avrei voluto ribattere che non stavo affatto cercando conforto tra le braccia di Sebastian, che ilsentimento che ci legava aveva un altro nome. Era amore, senza dover cercare implicazionipatologiche, ma ero troppo frastornata.

— A volte non è facile essere me — ammisi.— Credimi, ho a che fare ogni giorno con casi difficili, proprio come il tuo — disse Adelaide. —

Il tuo percorso è appena iniziato. È capitato a tante altre ragazze prima di te. Alla tua età è normaletrovarsi disorientata quando si sgretolano le piccole certezze che rendono rassicurante la vita deicomuni esseri umani. — Distolse lo sguardo per un istante, per poi tornare a incollarlo al mio viso.— È successo anche a tua madre.

Se avevo bisogno della conferma che mamma era stata ospite al Santuario, era arrivata. — Lei…l’ha conosciuta?

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Adelaide annuì. — Sofia era coraggiosa e caparbia, proprio come te. Una cosa che ammiravo dilei, e che al tempo stesso mi spaventava, era il fatto che nonostante la vita l’avesse colpita duramentefin da giovanissima e gli esseri umani non facessero che deluderla, lei continuava a coltivare lasperanza. La speranza che il mondo potesse rinascere, che ci fosse un futuro migliore, che le streghe egli esseri umani potessero convivere in pace. Soprattutto, era animata dalla convinzione che chiunquemeritasse una seconda opportunità. Non le ho mai nascosto che secondo me questa era la sua piùgrande forza, ma anche il suo punto debole.

Fui costretta ad abbassare lo sguardo. Gli occhi mi si erano riempiti di lacrime, e diedi la colpa alfatto che i miei nervi erano ancora scossi per lo scontro con Lucrezia. Tuttavia, non volevo cheAdelaide pensasse che ero una ragazzina debole, quindi in qualche modo riuscii a riprendermi eribattere: — Immagino che lei la pensi in maniera diametralmente opposta rispetto a mia madre.Altrimenti si porrebbe qualche domanda in più prima di chiudere una bambina indifesa in un’ala delSantuario, per poi buttare via la chiave. Penso a Ligea, costretta a una vita desolante, priva di affettie di amicizia, prigioniera come una colomba in gabbia.

Adelaide rimase pensierosa per qualche secondo. — Ligea… — disse, scuotendo la testa. — Nonpuoi capire. Ci sono poteri così grandi che non possono essere controllati. Così come in certepersone l’oscurità annienta ogni barlume di umanità. Ma ti capisco, sai? Anch’io sono stata giovane.E ho commesso un errore fatale nel valutare una giovane strega che mi era molto vicina, proprio acausa dell’inesperienza.

— Non è la mia a essere inesperienza, ma il suo a essere cinismo — sibilai.— Zoe! — si intromise Sam, ma Adelaide le rivolse un cenno per farle capire che era tutto sotto

controllo. Poi, con un lieve movimento del capo, mi fece segno di proseguire.Presi un ampio respiro. — Mi sono sempre sentita affine ai mesi invernali. Soprattutto dopo la

morte di mamma, erano le giornate fredde quelle che sentivo più vicine al mio umore. Ma poi, colpassare degli anni, mi sono resa conto che ogni volta tornava la primavera e anche dopo gli invernipiù freddi, quando il buio sembra non avere fine, il germoglio della rinascita era sempre lì, daqualche parte, in attesa di sbocciare. E anch’io, prima o poi, avrei potuto sbocciare con lui.

Adelaide mi osservava incuriosita. — È davvero sorprendente quanto assomigli a Sofia —mormorò.

— Allora dovrebbe capire cosa significa per me il fermacapelli che le apparteneva — mormorai,senza poter fare a meno, però, di pensare che non mi sentivo affatto come mia madre. Lei era semprestata un esempio di discrezione e sobrietà, mentre il mio carattere irrequieto non faceva che metterminei guai.

— Se ti soffermi a rifletterci, sono certa che capirai che al momento non posso lasciarti tenere iltuo athame senza compromettere la sicurezza all’interno del Santuario. È un pugnale cerimoniale,certo, ma pur sempre un pugnale. Un’arma con cui potresti ferire qualcuno, anche senza doverricorrere alla magia.

Decisi di mostrarmi accomodante. — D’accordo — sospirai. Allo stesso tempo, mi chiedevo seci fosse un modo per intrufolarmi nel suo ufficio, magari con la complicità della notte, e riuscire ariprendermi il fermacapelli. Il solo pensiero che un oggetto che era stato così prezioso per mammafosse nelle mani di Adelaide mi riempiva di rabbia. Se solo avesse potuto leggere i miei pensieri, sisarebbe di certo tolta l’espressione compiaciuta che le era comparsa in volto.

— Bene. È un passo avanti — ammise. — Nonostante tutto, sono contenta di aver avuto

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l’opportunità di parlare con te con franchezza, anche se in cuor mio avevo sperato di vederti piùtardi, dopo la colazione, non a causa di una tua bravata ma per discutere dei corsi a cui hai intenzionedi iscriverti.

Allargai le braccia in segno di resa. — Mi hanno accennato dei corsi, ma non so nemmeno da cheparte cominciare — ribattei.

— A questo penserà Sam. Le ho chiesto di darti una mano per orientarti tra le materie di studio.Lanciai un’occhiata in direzione di Sam. — Puoi contare su di me — disse lei, ricambiando il mio

sguardo.— Supereremo i conflitti e la diffidenza, vedrai — proseguì Adelaide. Cambiò posizione,

incrociando le gambe sotto la scrivania. Seguì un lungo istante di silenzio. Poi: — Non ho intenzionedi punirti per quello che è successo fuori dalla Sala della Sorgente. Ti chiedo però di passare daAnna Markos, la nostra psicologa, in tarda mattinata. Sam ti accompagnerà al suo studio.

Scattai all’indietro, come colpita da un proiettile invisibile. — Psicologa? — balbettai. — Nonho bisogno di parlare con una psicologa, non sono mica pazza!

— Lo so — disse Adelaide, sorridendo. — Si tratta soltanto di una chiacchierata informale.Niente di cui ti debba preoccupare. — Poi tornò a concentrarsi sullo schermo del computer.

Avrei voluto protestare, ma non ne ebbi la possibilità. Nausica mi si posizionò di fianco e mi fececenno di alzarmi. — Andiamo — disse.

Mentre stavo aprendo la porta, Adelaide aggiunse: — Ah, un’ultima cosa, Zoe. La prossima voltache ci incontriamo, vorrei che i tuoi capelli fossero sistemati in modo più consono al decoro diquesto istituto.

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Ferite

Nausica rimase in ufficio con Adelaide. Le immaginai confabulare sulla necessità di tenermid’occhio per evitare che combinassi altri guai. Fu Sam ad accompagnarmi fuori dalla stanza.

Ad attendermi in corridoio c’era Misha, che quasi sobbalzò nel vedere Sam. Spalancò gli occhi eil suo viso si illuminò di un sorriso aperto. Evidentemente neanche lui sapeva che lei era alSantuario. Si guardarono per un lungo istante, poi si abbracciarono forte.

— Ne è passato di tempo — disse Sam.— È una gioia rivederti — ribatté Misha.Rimasi interdetta dal calore con cui si erano salutati, proprio come due vecchi amici che ne

avevano passate tante insieme. Detestavo ammetterlo, ma avevo la sgradevole sensazione di essereesclusa dalle loro confidenze. Fu una punta di gelosia a spingermi vicino a Sam, sperando a mia voltain un abbraccio, ma lei compì un passo indietro.

Incollai lo sguardo alla punta delle scarpe, imbarazzatissima di fronte al suo distacco. — E io? —chiesi. — Sam, non sei contenta di rivedermi?

Lei mi guardò con aria sorpresa. — Ma certo che lo sono, Zoe. Mi sono precipitata al Santuarioappena mi hanno detto che ti eri svegliata. Non puoi immaginare il sollievo quando ho saputo chestavi bene.

— Credevo di trovarti al mio fianco, quando mi sono ripresa dal mio… lungo sonno — replicai.— In mezzo a volti sconosciuti, in una specie di clinica per casi disperati, con Nausica che faceva ilpoliziotto cattivo e Adelaide che mi trattava come se avessi disertato, mi sono sentita perduta.

— Me ne rendo conto, dev’essere stato terribile — disse Sam con un filo di voce. — E midispiace non esserci stata in un momento così importante. Ma non sapevo niente di te fino a poche orefa.

— Cosa? — sbottai — Come si è permessa Adelaide di tenere te e Misha all’oscuro di tutto?Sam incrociò le braccia sul petto. — Devi capire che Adelaide, con te al Santuario in stato di

incoscienza, si è trovata in una posizione scomoda. In molte erano convinte che tu avessi tradito laSorellanza, e Adelaide ha preferito mantenere il più assoluto riserbo finché non avesse avuto lacertezza che eri ancora dalla nostra parte. Non dev’essere stata una passeggiata per lei mantenere ilsegreto per tutti questi mesi.

— Ma forse avere voi due al mio fianco mi avrebbe aiutato a risvegliarmi prima! — esclamai.— Forse hai ragione, ma non potevo pretendere di essere informata su una faccenda così delicata.

Agli occhi della Sorellanza, ormai anch’io ero compromessa. Ho fallito su tutti i fronti, a partiredalla tua iniziazione. Avevo giurato che mi sarei presa cura di Federica, e invece… — Nelpronunciare le ultime parole, la voce di Sam si fece strozzata. Per un istante, fui certa di vedere loscintillio di una lacrima che si affacciava dietro le ciglia dei suoi occhi color acquamarina.

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— Non è giusto! — esplosi. — Tu non hai sbagliato niente. Anche con Federica sei statafantastica. La Sorellanza avrebbe dovuto tenere conto della situazione complicata in cui ti sei trovata.E io avrei potuto fare di meglio, cercando di coinvolgerti di più nelle mie scelte. È stata tutta colpamia. Ogni volta che ho sbagliato sono andata contro i tuoi consigli. Non ho fatto che tradire la tuafiducia.

— Già — disse Sam con amarezza. — Ma a mia volta avevo chiesto alla Sorellanza di fidarsi dime, che eri sotto la mia responsabilità. Ho convinto tutte che avevi solo bisogno di tempo e nonavresti creato altri problemi.

— Come invece ho fatto — conclusi con un filo di voce. — Non posso fare a meno di pensare chea volte Adelaide sembri spietata quanto un Inquisitore.

— Ti assicuro che non è così — ribatté Sam. — Nonostante la facciata della direttriceinflessibile, Adelaide è una persona dal grande cuore. L’immensa responsabilità di cui è investita lacostringe a prendere decisioni difficili ma credo che, nonostante le vostre divergenze, dovrestiesserle grata. Ti sta offrendo un’immensa opportunità, prendendosi cura di te al Santuario.

— Non ne sono affatto convinta — bofonchiai.— Anch’io avrei preferito essere informato su quello che ti era successo, Zoe — si intromise

Misha. — La notte in cui sei scomparsa volevo restare a Milano. Ero determinato a ritrovarti aqualunque costo. Ma sapevo che gli Inquisitori erano sulle mie tracce, dopo lo scontro che avevoavuto con Sebastian al teatro. Dopo una lunga attesa in cui ho pregato di vederti arrivare, abbiamodeciso a malincuore di partire senza di te. È stato Ezekiel a scortarci fino al Santuario. Lui è unastrega dal grande potere, un vero guerriero.

Sam riprese la parola. — Nessuno di noi aveva idea di cosa ti fosse successo. Mi sonopreoccupata da morire, quando non ti sei presentata all’appuntamento. In seguito, Misha mi ha dettoche aveva provato una sensazione orribile, e mi ha confessato che aveva paura che tu fossi morta.Una volta arrivati al Santuario, sono potuta rimanere solo pochi giorni, poi sono stata costretta arientrare a Milano per seguire delle faccende importanti. Qualche settimana più tardi, ho ricevuto unatelefonata da parte di Donatella.

— Cosa ti ha detto? — chiesi, colma di apprensione.— Che si era sparsa la voce che avevi avuto un incidente stradale mentre eri in viaggio con

Sebastian. La sua moto era stata trovata sul ciglio della strada, ma non c’era traccia di voi due.— E non ti ha detto nulla riguardo alle mie condizioni.Sam scosse la testa. — Non sapevo nemmeno che ti avessero portata al Santuario. Ti confesso che

per settimane non ho fatto che sperare di ricevere buone notizie. Tenevo sempre a portata di mano ilcellulare, nell’attesa spasmodica di un segnale da parte tua. Ero convinta che da un momento all’altromi avresti chiamato per dirmi che stavi bene. Tuttavia, questo non succedeva mai. Ho composto il tuonumero un’infinità di volte, ma il tuo cellulare era sempre staccato. E il barlume della speranza siaffievoliva sempre di più, giorno per giorno. Avevo già perso il Bloody Mary, Federica. Infine,avevo perso anche te. Avevo tradito la promessa che avevo fatto a tua madre, di stare al tuo fianco, diproteggerti.

Sentii le gote arrossire violentemente per l’imbarazzo. Mi mancavano le parole, non avrei saputocome giustificarmi. Quindi mi limitai ad abbassare lo sguardo.

— Credimi, Zoe, non sei l’unica ad aver passato un periodo terribile. Le cose sono cambiateparecchio, da quella notte. Gli Inquisitori hanno sferrato un attacco al cuore della Sorellanza, a

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Milano come in tutte le grandi città europee. Molte di noi non ce l’hanno fatta. Le sopravvissute sonocondannate alla clandestinità, costrette a guardarsi le spalle ogni istante. E in risposta a questa seriedi attacchi, sempre più streghe stanno passando dalla parte della Cerchia delle Arpie, rafforzando ilfronte estremista di Erzsebet.

Annuii con un cenno del capo. Conoscevo bene i metodi degli Inquisitori. La maggior parte di loroerano assassini senza scrupoli, e le ferite inferte dalle loro armi in lega di ferro e cristalli di giadanon lasciavano scampo.

— Heinrich è determinato a riavere il suo corpo — aggiunse Sam. — Niente sembra in grado difermarlo, nemmeno le più valorose tra noi. Per questo, nonostante tutto, dobbiamo restare unite.

— Io… non capisco. Cosa significa?Fu Misha a prendere la parola. — Come sai, sul letto di morte Padre Heinrich ha fatto un patto

con un demone, nella speranza di ottenere la vita eterna. Ma il risultato non è stato all’altezza dellesue aspettative. È sprofondato in uno stato di esistenza aberrante, a metà tra la vita e la morte.Heinrich ha dovuto assistere al lento e inesorabile disfacimento del suo corpo, pur mantenendosisempre cosciente di quello che gli succedeva. Per questo è spesso raffigurato come un uomo dallungo abito scuro, incappucciato e con indosso una maschera d’argento: è per nascondere il suocorpo scarnificato. Grazie agli arcani rituali del Malleus Maleficarum, a ogni strega uccisa daimembri dell’Ordine il suo corpo si riforma sempre di più.

A quelle parole, mi si accapponò la pelle. Nei miei disegni di bambina avevo ritratto proprio lui,Heinrich l’oscuro, il Gran Maestro dell’Ordine degli Inquisitori. L’avevo disegnato come un uomoincappucciato, dal lungo abito nero e gli occhi dalle orbite vuote. Sapevo che quella era unareminiscenza della mia vita precedente, quando aveva cercato di uccidermi in un rogo. Heinrichsembrava la personificazione della morte stessa ma, anziché la falce, in mano teneva un libro.Ingenuamente, avevo pensato che fosse la Bibbia, il testo a cui si ispiravano gli Inquisitori, ma illibro tra le mani di Heinrich doveva essere invece il Malleus Maleficarum.

— Credimi — intervenne Sam. — È una fortuna che tu sia riuscita ad arrivare al Santuario. Anchese ancora non so spiegarmi come sia successo.

— Cosa vuoi dire? — chiesi, al colmo della sorpresa.— Adelaide mi ha informato che sei stata rinvenuta ai piedi di un salice, nel bosco di fronte al

Santuario, poco dopo il mio rientro a Milano. Eri in stato di incoscienza, e riportavi ferite gravissimein tutto il corpo.

Un salice come quello che cresceva di fronte alla mia stanza al dormitorio, pensai.La notte in cui avevo lasciato Milano ero rientrata a casa per vedere mio padre l’ultima volta. E

avevo trovato i due Inquisitori che tenevano d’occhio il mio appartamento privi di sensi, i corpioccultati all’ombra della scalinata d’ingresso della palazzina. Qualcuno mi aveva aiutato, ma chi?Sapevo che non era stato Misha perché si trovava con Sam, e sapevo che non poteva essere statoSebastian. In quel momento era a casa sua, sorvegliato dagli altri membri dell’Ordine che lovedevano come un traditore. Se non era coinvolta nemmeno la Sorellanza, chi poteva essere stato?

— Io… non capisco… — balbettai.— Nessuno ha mai saputo chi ti ha condotto fin lì. Questo luogo è inaccessibile ai comuni mortali

— affermò Sam. — Il Santuario è stato costruito al centro del triangolo esoterico che collega le cittàdi Torino, Lione e Praga, ma non è possibile determinare la sua posizione su una mappa. Immagina ilpiano reale come un oceano: grazie agli incantesimi che lo proteggono il Santuario può spostarsi

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come un’onda. Oppure, puoi immaginarlo come la duna di un deserto di sabbia, in grado di viaggiareseguendo il vento.

— Ma allora… com’è possibile arrivarci?— Per ogni persona il percorso è diverso — affermò Sam. — L’accesso al Santuario avviene per

mezzo di un Traghettatore, ovvero una strega o un mezzo demone capace di aprire un portaled’accesso. Questa antica fortezza è un luogo incantato, circondato da portali che possono condurrepersino ad altre dimensioni.

— Perché proprio streghe e mezzi demoni? Cos’ha in comune una strega con un mezzo demone?— Più di quanto tu creda. Noi streghe dobbiamo il nostro potere alla discendenza dalla dea Iside,

i mezzi demoni alla discendenza da un demone. Tuttavia c’è stato un tempo antichissimo in cui nonc’era distinzione tra demoni e divinità. In seguito alla Caduta, i demoni ribelli sono stati confinati nelMondo Sotterraneo.

— Esiste un mondo sotterraneo?Sam si strinse nelle spalle. — Lo chiamano così, anche se si tratta di un piano di realtà

alternativo. È da lì che provengono i demoni, ed è lì che devono restare.Ero troppo meravigliata per poter ribattere. Rimanemmo in silenzio finché non arrivammo

all’ingresso della mensa.Prima di entrare, mi decisi a chiedere a Sam se sapeva qualcosa di mio padre.— No — ammise lei. — Non l’ho più visto, dalla sera del teatro. Ma sono convinta che stia bene.— Già — dissi con una punta di amarezza. — Senza di me starà sicuramente meglio. Come tutti,

d’altronde.— Ti prego, Zoe. L’autocommiserazione non serve a niente.— Non mi sto autocommiserando — protestai. — Ma credo finalmente di capire il motivo per cui

la gente mi ha sempre evitato. Stare al mio fianco è pericoloso, è molto meglio starmi lontano.Comincio davvero a pensare di essere nata sbagliata.

— Non dirlo — proruppe Misha. — Non sei tu a essere sbagliata. È il mondo a essere impietoso,violento. E spesso ingiusto.

Scossi la testa con forza. — Lo so, ma… non riesco a togliermi dalla testa Federica — mormorai.— Anche lei era una ragazza problematica, proprio come me. Forse è anche a causa di quello che leè capitato che ho deciso di andarmene da Milano insieme a Sebastian. Ma comincio a pensare cheabbia ragione Adelaide, stavo solo fuggendo dalle conseguenze delle mie azioni.

Sam mi afferrò le spalle e mi guardò fermamente in viso. — Anch’io non faccio che pensare a lei,te l’assicuro — disse, con la voce che tremava leggermente. — Ma torturarci non servirà a riportarlain vita. Dobbiamo guardare avanti, nonostante tutto. Io guardo al futuro sforzandomi di non rinunciarealla speranza, proprio come mi ha insegnato Sofia, tua madre. Lo faccio anche se so che certe mieferite non si rimargineranno mai. — Sam smise di parlare per un attimo, guardandosi intorno comeper cercare le parole. Quando ricominciò, la voce le usciva a fatica. — Federica non era solo unacara amica. Lei… era la mia ragazza.

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Magia avversa

La mensa dell’Accademia era composta da una serie di stanze dai muri in mattoni collegate da ampiearcate. A ridosso delle pareti erano posizionati dei lunghi tavoli, affollati da ragazzi e ragazze chechiacchieravano animatamente, seduti su panchine di legno. Quando entrammo, mi guardai intornoalla ricerca di Angelica, ma non riuscii a scorgere il suo viso tra la moltitudine dei presenti. Avreivoluto chiederle se era tutto okay, mi era sembrata spaventata, persino stremata. Forse assicurarmiche almeno lei stava bene mi avrebbe aiutato a risollevare l’umore.

Ora finalmente mi spiegavo perché Sam era così scostante. Speravo che facesse i salti di gioia nelrivedermi, e ci ero rimasta parecchio male quando si era sottratta al mio abbraccio. Ma come avreireagito io, al suo posto? Come mi sarei comportata se mi fossi trovata nella sua situazione? Se leifosse stata la causa della morte di Sebastian, avrei ancora avuto il coraggio di guardarla negli occhi?

Mentre Misha riempiva il vassoio al buffet, mi sedetti al tavolo con Sam. Incollai lo sguardo alpavimento, schiacciata dalla vergogna.

— Non permettere che i sensi di colpa ti facciano a pezzi — proruppe Sam. — In questi mesi hoavuto modo di riflettere molto, per tentare di dare un senso a tutto questo dolore. È facile incolparequalcuno quando le cose vanno male, e finiamo sempre per prendercela con noi stesse. Mi sonoconvinta che non c’è un motivo per cui le cose brutte succedono. A volte, semplicemente, succedonoe basta.

Annuii con un debole cenno del capo, anche se non ero convinta che la morte di Federicarientrasse nella categoria degli eventi per cui non si poteva incolpare nessuno. Nella mia menterimbalzava l’immagine del suo corpo carbonizzato mentre i Vigili del Fuoco la portavano fuori dalBloody Mary. Federica mi aveva chiesto aiuto a modo suo, in varie occasioni, ma non avevo saputocomprenderla. Ora, finalmente, mi era tutto molto più chiaro. L’ultima volta che l’avevo incontrataera stata molto dura con me. Adesso sapevo che era stato soprattutto per gelosia. Non doveva esserestato facile per Federica vedere che Sam dedicava più attenzioni a me che a lei. Avrei dovutocapirlo, che aveva solo bisogno di essere rassicurata, ma avevo pensato solo a me stessa, incurantedella catena di conseguenze che il mio egoismo stava innescando.

— Potrai mai perdonarmi? — chiesi con voce tremante.— Non chiedermelo, Zoe, ti prego. Non adesso — sentenziò Sam. — Ci vuole… molto tempo per

aggiustare qualcosa di rotto. E il mio cuore è andato in frantumi. — Nel sentir pronunciare quelleparole fu il mio cuore ad avere una fitta. — Ti vorrò sempre bene — aggiunse — e potrai semprecontare su di me. Di questo non devi dubitare. Soltanto, non puoi pretendere che sia tutto come prima.

Sam aveva ragione. In passato continuavo a prometterle che mi sarei comportata bene, ma poi nonfacevo che deluderla. Decisi che l’avrei piantata con le promesse, che era il momento di impegnarmia dimostrarle con i fatti che avevo imparato la lezione, che potevo essere una persona migliore.

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Misha si accomodò porgendomi il vassoio con la colazione. — Grazie, ma non ho fame — dissi.Lui mi allungò una mela rossa e lucida dall’aspetto invitante. — Almeno questa la devi mangiare.

Ci tengo alla salute della mia strega preferita.Nonostante mi sentissi malissimo, riuscì quasi a strapparmi un sorriso. — Non è avvelenata,

vero? Ho già recitato la parte di Biancaneve e non mi è piaciuto affatto — riuscii a scherzare.— Non ti preoccupare, il cibo del Santuario è di prima scelta — ribatté Misha.Sam si schiarì la voce. — Forza, abbiamo un sacco di cose di cui parlare — disse, tirando fuori

dalla tasca dei jeans un plico di fogli ripiegati.Presi un ampio respiro. — D’accordo. Ti ascolto.— Per prima cosa devi sapere che le lezioni all’Accademia sono divise in due semestri. Le

sessioni d’esame sono concentrate nell’ultimo mese dei corsi, con un calendario ragionevolmentescaglionato. A differenza di quello che avviene in una scuola tradizionale, però, non sono previstelunghe interruzioni, tipo vacanze estive o cose del genere. A parte le giornate di pausa per lefestività, tra un semestre e l’altro ci sono solo due settimane di tregua. Qui ci sono i prospetti deicorsi del primo anno. Ho cerchiato in rosso quelli che secondo me ti potrebbero interessare.

Mi protesi verso di lei per dare un’occhiata al prospetto. — Filologia, letteratura e storiadell’antichità? Logica, filosofia e storia della scienza? Ma non ci troviamo al Santuario dellestreghe? — obiettai. — Non c’è un corso di Incantesimi?

— Stai scherzando, vero? — mi chiese Sam guardandomi intensamente.Mi strinsi nelle spalle. — Volo notturno? Principi di magia applicata? — ribattei, sorridendo.Sam non si scompose. — Il Santuario è un luogo di formazione e cultura, non un parco di

divertimenti a tema. La capacità di dominare il tuo potere, Zoe, deve scaturire da dentro di te.Incantesimi, magie, sortilegi… sono solo il risultato della tua abilità nel controllare la tua energia.

— Non capisco in che modo studiare Fondamenti di sociologia mi possa dare una maggiorecapacità di controllo sul Dono.

— La conoscenza aumenta la consapevolezza. Per questo nei secoli passati alle donne era proibitofrequentare l’università. Tenere le streghe nell’ignoranza era un modo per controllare le loro facoltà— disse Sam. — Più cresce la tua consapevolezza, più conosci le leggi della natura, e più sarai ingrado di incanalare il tuo Dono per influenzarle.

Il discorso di Sam aveva una sua logica, tuttavia ero sbalordita. — Ma come? Dovrei restarechiusa qua dentro a studiare, mentre là fuori c’è l’esercito di Heinrich che sta dando la caccia allestreghe per sterminarle? Io voglio combattere! Voglio dare il mio contributo per cancellarel’Inquisizione dalla faccia della Terra.

— Anche quando te ne sei andata con un Inquisitore, voltando le spalle alle tue Sorelle, aveviintenzione di combattere?

Un nodo mi si strinse alla gola. — Non puoi dirmi questo! — esplosi. — Non posso farci nientese io e Sebastian siamo nati in due schieramenti contrapposti. Faccio del mio meglio per dimostrarmiall’altezza delle aspettative della Sorellanza, ma non posso impedire al mio cuore di battere per lui.Non dimentico che gli Inquisitori hanno ucciso mia madre, e non mi darò pace finché non avròtrovato i responsabili.

Seguì un lungo istante di silenzio. Il mio respiro era affannoso come dopo una lunga corsa. Mishadovette rendersi conto che ero molto tesa e mi accarezzò il braccio. Ero certa che fosse mosso dallemigliori intenzioni, sicuramente era un tentativo per cercare di calmarmi. La rabbia stava montando e

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feci per sottrarmi al suo tocco con un gesto stizzito, ma mi bloccai. Il semplice contatto col miofamiglio mi stava facendo sentire meglio, come se il sole all’improvviso avesse diradato una coltredi nubi. Mi voltai verso Misha, incontrando il suo sguardo al tempo stesso amichevole e determinato.

— Sono certo che non voleva offenderti, vero Sam? — disse lui.— Sì. Scusami, ti prego — mormorò Sam. — Ma a volte sai essere davvero testarda. Nonostante

le tue enormi potenzialità, Zoe, ora saresti una preda fin troppo facile per Heinrich. La sua sconfinataconoscenza delle arti esoteriche lo rende forte e letale quanto la più potente tra le streghe. Per nonparlare del fatto che è sempre circondato dai suoi luogotenenti, e questo ne fa un bersaglioinavvicinabile.

— Non hai niente di cui scusarti — ammisi. — Sono io a essere un po’ tesa. È che mi sento sottopressione, qui dentro, oltre che impotente. Vorrei fare qualcosa di concreto, mostrarmi utile, mi sentocome una prigioniera di guerra. — E poi Sebastian mi mancava come l’ossigeno per respirare, maquesto non potevo confessarlo a nessuno.

— La cosa migliore che puoi fare ora è applicarti nello studio — disse Sam. — Scegli bene icorsi da frequentare, concentrati per ottenere buoni voti. Conoscere la storia, impegnarti nelle arti enell’esercizio fisico ti metterà in contatto con la vera te stessa e le tue potenzialità. Scoprirai di averemolto più potere di quanto immagini. Allo stesso tempo, avrai la conoscenza sufficiente per saperecome usarlo nel modo migliore, per il bene di tutti.

— Non lo so, Sam. Forse hai ragione tu, ma ci sono delle cose che non mi tornano. Sei propriosicura che non sia tutto inutile in ogni caso? Se la magia è proibita, qui al Santuario, come possoesercitarmi a entrare in contatto con il Dono?

— Fidati di me, col tempo lo capirai. Questa fortezza è stata resa invisibile per scongiurare ilpericolo di attacchi esterni. Allo stesso modo, i suoi muri sono protetti da antichi e potentiincantesimi che impediscono di attivare il Dono, per prevenire eventuali attacchi che provenganodall’interno. Con le Arpie di Erzsebet a piede libero siamo sempre in pericolo, anche tra streghe.

Ora capivo meglio la sensazione che avevo provato quando avevo cercato di utilizzare il Dono.L’aria stessa che si respirava tra le pareti del Santuario era impregnata di una magia avversa, chescorreva come una corrente contraria alla mia energia. Vincerla mi aveva quasi ucciso.

Sam iniziò a spalmare della marmellata di mirtilli su una fetta biscottata. — Eppure, nonostante lebarriere, sei riuscita a compiere un incantesimo per sbloccare la serratura dell’archivio inRiabilitazione — disse. — Ti assicuro che Adelaide è rimasta molto impressionata. Non è maisuccesso che una studentessa riuscisse a compiere una magia all’interno dell’area protetta, il che tidovrebbe dare la misura del grande potere di cui disponi. Inutile che ti ribadisca che per laSorellanza a un grande potere corrisponde la responsabilità di usarlo per il bene di tutti.

— Ci sono altre spiegazioni possibili — obiettai. — Forse ha influito il fatto che sono stata inbilico tra la vita e la morte per un lungo periodo, e il mio potere è destinato ad affievolirsi nel giro diqualche giorno. Oppure… le barriere magiche del Santuario si stanno indebolendo.

Sam rimase per un lungo istante pensierosa. Poi disse: — Sono certa che Adelaide ha valutatoanche queste eventualità. Ma ora concentriamoci sulle tue materie di studio — e mi passò i foglispiegazzati con l’elenco delle materie.

Li studiai per qualche istante. Tra corsi di Psicologia e Astronomia, non sapevo davvero da doveiniziare. Al liceo era tutto molto più semplice, e cominciava a mancarmi persino la cara vecchia

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sezione C. Se almeno ci fosse stata Chloe, la mia migliore amica, sarebbe stato tutto più facile. Conun sorriso era capace di illuminare anche la giornata più grigia. — Qualche idea? — chiesi a Misha.

Lui si mise a guardare a sua volta il prospetto dei corsi. — Che ne dici di cominciare con Storiamedievale?

— Non mi sembra una cattiva idea. Anche se Fondamenti di filosofia antica mi tenta non poco.— Puoi scegliere quattro corsi per semestre. Considera che puoi ottenere dei crediti anche dalle

attività parallele ai corsi di studio. Per esempio, so che è vacante il posto di pianista per il corso diDanza classica.

Quasi sbarrai gli occhi per la gioia. Una delle cose che mi mancava di più della mia vitaprecedente era proprio suonare il pianoforte, anche se a Milano potevo farlo nella solitudine del mioappartamento, dove adoravo lasciarmi cullare dalle note avvolta nella penombra del tramonto. Maandava bene anche così. Dopo aver suonato sul palco di un teatro gremito nel Paolo e Francesca diSebastian avevo vinto anche la mia timidezza di esibirmi in pubblico. — Potrei davvero suonare ilpianoforte? — chiesi.

— Certo. È stata Adelaide stessa a chiedermelo. Evidentemente le voci sul tuo talento ti hannopreceduto. Solo, ti devo avvertire che il corso è frequentato anche da Lucrezia e Jezebel. Miraccomando, non raccogliere le loro provocazioni. Tieniti alla larga da loro, non hai bisogno diprocurarti altri guai.

— In effetti, quanto a guai ne ho già abbastanza dei miei — ammisi. — Mi spiace per quello che èsuccesso prima. È solo che stavo cercando di dare una mano ad Angelica. Mi rendo conto cheabbiamo avuto dei contrasti in passato, ma ora mi sembra davvero cambiata. Mi ha datol’impressione di essere così fragile, persino indifesa. È molto diversa dall’Angelica che ricordavo,la goth queen del liceo, la ragazza più invidiata e desiderata della scuola.

— Credo che Angelica non stia attraversando un bel periodo. Vedrò se posso fare qualcosa per lei— ribatté Sam. — Piuttosto, dato che stavamo parlando del corso di Danza, mi è venuto in mente cheè il caso che tu scelga anche un’attività sportiva.

— Ma io sono davvero negata nello sport. Non ho alcuna speranza…— Perché non provi Tiro con l’arco? — mi chiese Misha. — Potrebbe essere divertente. È una

buona occasione per uscire da queste quattro mura, e respirare l’aria sana che proviene dal lago. Epoi ci sono anch’io. — Addentò l’ennesimo croissant ripieno di cioccolato.

— Mi sembra una buona idea — assentì Sam.— Affare fatto — mormorai, anche se mi vedevo già trafiggere per errore una delle insegnanti e

guadagnarmi una punizione.Misha si pulì le labbra macchiate di cioccolato con una salvietta. — Per concludere, che ne

diresti di Fondamenti di anatomia umana?— Bleah! — borbottai. — Come ti viene in mente? Non lo sai che rischio di svenire alla sola

vista del sangue?— Non devi fare a pezzi nessuno. Ma considera che se in battaglia sarai costretta a fermare il

cuore di un Inquisitore, devi sapere come funziona.Sam gli dardeggiò un’occhiataccia. — Non dargli ascolto, Zoe, anche se ha messo in luce un

giusto argomento. Ti sarebbe utile un corso legato alla medicina, per imparare ad applicare le cure ei rimedi naturali.

Sam non aveva tutti i torti, ma le parole di Misha mi fecero riflettere. Se mi fossi trovata faccia a

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faccia con uno degli Inquisitori che avevano ucciso mia madre, avrei avuto il coraggio di ucciderlo asangue freddo?

Cappuccetto Indemoniato era così consumata dalla bramosia di potere che ormai somigliava più aun demone che a un essere umano. Averla affrontata non era la stessa cosa che togliere la vita a unaltro uomo, per quanto pervaso dall’odio per le streghe.

— Sam, dovresti saperlo che Zoe è nata per essere una guerriera — borbottò Misha. — Tra noisei tu la guaritrice.

— Certo, ma allo stesso tempo non sono il suo animale domestico, io.Misha fece uno scatto con la testa all’indietro, proprio come un furetto indispettito. — Ehi! Io non

sono il suo animale domestico. Io sono il suo famiglio! — protestò.A Sam sfuggì una risatina. — Intendevo dire che non sarò sempre al vostro fianco. Anche una

guerriera deve essere in grado di prestare il primo soccorso a una compagna ferita, o provvedere acurare se stessa, se necessario.

— D’accordo — dissi alzando le mani in segno di resa. — Seguirò il corso di Anatomia, a pattoche l’esame non preveda un intervento a cuore aperto. In ogni caso, sarà pur sempre meglio diAnalisi matematica.

— Be’, di matematica e fisica se ne può pur sempre parlare al prossimo semestre — ribatté Sam.— Sono propedeutici all’esame di Cabala, numerologia e alchimia del secondo anno.

Tirai un sorriso di circostanza. Tutto sommato non era andata poi così male, c’era voluto menotempo del previsto a scegliere i corsi. Assaggiai un morso della mela che mi aveva dato Misha, eracroccante e succosa. Mi sentivo quasi ottimista in vista dell’inizio delle lezioni, anche se il pensierodi rimanere qui per mesi, forse anni, a dedicarmi allo studio mentre fuori, nel mondo reale, siscatenava l’inferno contro le streghe, mi faceva sentire come se stessi perdendo tempo. Non potevosapere che l’occasione di dare il mio contributo in battaglia sarebbe arrivato molto prima di quantopotessi immaginare.

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Ricomincio da zero

— Da questa parte c’è la segreteria — mi disse Sam, mentre percorrevamo un corridoio chesembrava infinito. — Lì potrai formalizzare la tua iscrizione e ti verrà consegnato il prospetto dellelezioni. Ti sarà assegnato anche un armadietto dove custodire i libri e le attrezzature sportive.

— Spero che mi diano anche una piantina dell’edificio. Credo di essermi persa almeno dieci voltein questi pochi minuti — brontolai.

Misha mi teneva a braccetto e forse, a vederci dall’esterno, potevamo sembrare una coppia difidanzatini al primo appuntamento. — Non temere, ci sono io per aiutarti a orientarti — disse.

— Ah, quasi dimenticavo — disse Sam. — Se dovessi avere bisogno di vestiti, prodotti da bagnoo, naturalmente, quaderni per prendere appunti, c’è un piccolo emporio nell’ala norddell’Accademia. C’è persino una caffetteria.

— Non sarà mai come il Bloody Mary — bofonchiai. — Certo, bisogna ammettere che hannopensato davvero a tutto.

— Non hai idea di cosa ci si può trovare lì dentro, Zoe — si intromise Misha. — Ti assicuro cherimarrai sorpresa.

Avevo il sospetto che Misha avesse ragione. Dopotutto, avevo conosciuto delle Sorelle chelavoravano nel mondo dell’arte e della moda e probabilmente qualcosa delle loro creazioni finivaqui al Santuario. — Tuttavia un dubbio ce l’ho — borbottai. — Come faccio a pagare? Le miefinanze sono allo sbando, avrò con me sì e no cinquanta euro.

— Uhm, sei una tipa parsimoniosa — disse Misha.Gli allungai una gomitata tra le costole e lui si tolse dalla faccia il sorrisetto compiaciuto.Sam si mise a ridere. — No, non credo proprio che accettino pagamenti in euro — disse. — Il

Santuario dispone di una valuta locale, anche se non si tratta di vere e proprie monete, ma piuttostodei crediti che vengono rilasciati secondo le frequenze dei corsi e i risultati nei test intermedi.

— Oh. Capisco.— I crediti possono essere scambiati con beni materiali all’emporio o in caffetteria. Ma hanno

una particolarità: non possono essere accumulati.— Cosa vuoi dire? — chiesi.— Semplicemente, che il primo giorno di ogni mese torni a zero — si intromise Misha. — Così

non devi affaticarti a cercare inutilmente di risparmiare.Di nuovo puntai il gomito con decisione verso le sue costole, ma questa volta sgusciò via e me lo

trovai alle spalle che mi avvolgeva il torace con le braccia per impedirmi di muovermi. Il suoabbraccio era così stretto che non riuscii a liberarmi di lui, per quanto cercassi di divincolarmi. Miero accorta di quanto fosse agile, ma non mi ero mai resa conto che fosse così forte. Mentre mistringeva, sentivo i suoi pettorali che premevano con decisione contro la mia schiena. Mi voltai di

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lato, indispettita, decisa a intimargli di mollare la presa, ma ottenni solo di trovarmi a un soffio dalsuo viso. Mi stava guardando intensamente, e a quel punto fui io ad arrossire. Trovarmi a un fiato didistanza da Misha mi costrinse a osservarlo sotto una luce diversa rispetto al solito. Quanto erabello, con quei suoi lineamenti ben definiti, gli occhi dalle lunghe ciglia e i capelli sempre spettinaticome se fosse appena sceso dal letto.

Rimanemmo in silenzio per un istante che mi sembrò infinito. Poi Misha aprì la bocca come perparlare e io rimasi in attesa, senza smettere di fissare il suo viso. Ma non disse nulla.

— Lasciami — feci io, con un filo di voce. Lui non si mosse.Ero avvolta dalle sue braccia e dal suo profumo, una fragranza dolce e amara allo stesso tempo,

che sapeva di notti trascorse in mezzo a un bosco, di corteccia e di muschio impregnati di rugiadaalle prime luci dell’alba, del sole che scalda la pelle in un pomeriggio estivo, quando all’orizzonte ilcielo si confonde con il mare.

Poi, all’improvviso, Misha si staccò, e schivando il mio sguardo incominciò a camminarevelocemente per raggiungere Sam, che nel frattempo si era allontanata di qualche passo.

Era come se Misha stesse scappando da qualcosa. Avvertii chiaramente il sottile turbamento chelo pervadeva. Rimasi immobile, in mezzo al corridoio, un po’ scombussolata a mia volta perl’agitazione che mi aveva provocato l’inaspettato incrocio di sguardi, ma soprattutto incredula. Poi,mi decisi a raggiungere a mia volta Sam. Camminammo tutti e tre senza più dirci una parola fino allasegreteria, di buon passo, allineati come un plotone durante l’addestramento.

Una volta lì, una ragazza dai modi sbrigativi mi fece firmare qualche documento e mi consegnòuna copia del piano di studi che avevo richiesto insieme alle chiavi di un armadietto. Mi diede ancheuna busta che conteneva il badge magnetico dove memorizzare voti e crediti e un foglio con leistruzioni per creare un account con cui usare i computer a disposizione degli studenti.

Mi stavo proprio chiedendo se sarei riuscita a mandare una mail a Chloe o a mio padre, quandoSam precisò che l’account serviva più che altro per memorizzare i miei documenti quali ricerche otesine, mentre la navigazione era limitata alla rete di ricerca interna. Era come se il Santuario fosseuna prigione in cui scontare le mie colpe. Più che una studentessa, mi sentivo una prigioniera a cuinon era concesso nemmeno l’onore delle armi.

La lezione di Storia sarebbe iniziata di lì a un quarto d’ora, quindi Sam disse che ci dovevamosbrigare ma che avrei fatto in tempo. Nonostante le mie resistenze, insistette perché iniziassi afrequentare le lezioni da subito, spiegandomi che avrei avuto tutto il pomeriggio libero per impararea orientarmi nel labirinto di corridoi e scalinate del Santuario.

Sembravano tutti così indaffarati da darmi l’idea di non vedere l’ora di liberarsi di me. Misha misalutò in fretta dicendomi che doveva correre o rischiava di far tardi a non so quale corso, per cuinon mi rimase che arrendermi. Sam mi accompagnò fino all’armadietto, poi mi indicò l’aula dove sisarebbe svolta la mia prima lezione.

Mi sentivo come quando mia madre mi aveva accompagnato in classe il primo giorno di scuolaalle elementari, nello stomaco ero tutta un ribollire di ansia e imbarazzo. Considerando il modo concui ero stata accolta al Santuario, non mi aspettavo di certo benevolenza da parte degli insegnanti,anzi. Non escludevo che nell’Accademia fossero ancora in voga le pene corporali per chi non siapplicava abbastanza.

— Senti, Zoe — mi disse Sam. — Per i capelli… so quanto ci tenevi a farli allungare. Ma laregola al Santuario è che tutti li portino corti. Adelaide preferisce…

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— Lo so — la interruppi. — Sono stata già informata. A parte il fatto che mi sembra una barbarie,non me la sento ancora di tagliarli.

— Capisco — mormorò lei. — Cerca però di non metterti contro Adelaide. Può sembrare severa,ma è dalla tua parte.

Avevo perso sei mesi della mia esistenza. Solo la lunghezza dei miei capelli era lì a testimoniareil tempo che era passato. Se li avessi tagliati ora, sarebbe stato come accettare una detestabileingiustizia. Non che pensassi che avrei potuto riavere i mesi che mi erano stati rubati. Sapevo cheerano perduti per sempre. Non mi sentivo pronta, tutto qui.

— Ci penserò su — sospirai.Ma era sui miei capelli che si erano posate le carezze di Sebastian. Ricordavo ogni volta che mi

aveva sistemato una ciocca dietro l’orecchio per osservare con più attenzione il mio viso, o mentremi baciava.

Salutai Sam mentre gli altri studenti facevano il loro ingresso alla spicciolata in classe. Leisorrise debolmente, prima di voltarmi le spalle e incamminarsi lungo il corridoio.

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Come nel sogno

Prima di entrare, feci capolino dalla porta per dare un’occhiata ai miei compagni di corso. L’aula erapiù o meno della stessa dimensione della mia classe al liceo, ma i banchi erano disposti insemicerchio su una gradinata, come in un anfiteatro greco in miniatura. A ridosso della paretecampeggiava una lavagna dalla cornice in legno che sembrava fuoriuscita da un film degli anni Ventie una cattedra massiccia dalla superficie consunta.

Compii il primo, timido passo oltre la soglia. Mi guardai intorno per accertarmi che nessuno mistesse osservando. Detestavo essere l’ultima arrivata e mi aspettavo di essere presa di mira nonappena avessi messo piede in classe. Tirai un sospiro di sollievo nel rendermi conto che nessunostava facendo caso a me. A quel punto, però, mi preoccupai di essere trattata come un’aliena. Avreiugualmente odiato che nessuno mi rivolgesse la parola. Con tutti i gruppi e le amicizie già formati,temevo di finire isolata dal resto della classe. Insomma, mi sentivo come se mi avesseroparacadutato dietro le linee nemiche e dovessi infiltrarmi tra le file degli avversari senza saperenemmeno una parola della loro lingua. Fronteggiare un’orda di Inquisitori, forse, sarebbe stato piùfacile che affrontare il primo giorno nella nuova scuola.

Poi lo vidi.Era di spalle, seduto sulla cattedra. Un ragazzo dai capelli castani, sui quali la luce che entrava

dalle ampie vetrate stendeva riflessi color cenere. A occhio si vedeva che era alto almeno un metro enovanta. Indossava jeans scuri e una camicia color melanzana che aderiva perfettamente allamuscolatura, mantenendo il tessuto in tensione. C’era qualcosa di estremamente familiare, nella suapresenza. Qualcosa che riconobbi senza aver bisogno di guardare il suo viso.

— Sebastian — mi sfuggì, anche se la mia voce era debole e strozzata.Non importava quanto l’idea potesse sembrare ridicola. Una mezzo demone o una fata al Santuario

delle streghe erano presenze in qualche modo giustificate, ma un Inquisitore tra i banchidell’Accademia, quella sì che era un’idea davvero assurda. Eppure in quel momento la miarazionalità si era arresa al desiderio di ritrovare il mio amore, e per un attimo ebbi la sicurezza cheera davvero lui, al punto che sentii le gambe diventare di burro.

Doveva essere lui. Tutte le mie angosce e le mie insicurezze si sarebbero dissipate. La mia metà,la seconda ala con cui avrei finalmente potuto spiccare il volo e sentirmi me stessa di fronte almondo.

Per un attimo, mi parve che il brusio degli studenti presenti nell’aula fosse scomparso, scioltocome la nebbia alle prime luci del mattino, e ci fossimo soltanto io e lui, e la stanza fosse diventatanient’altro che una scenografia.

Forse l’aria era davvero impregnata di un silenzio inaspettato perché, come se mi avesse sentito,lui si voltò nella mia direzione.

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Incontrai i suoi occhi.Erano color noce, molto diversi da quelli smeraldo del ragazzo che amavo. Erano tagliati come

due fessure in un viso di marmo. E nonostante la corporatura fosse tanto simile a quella di Sebastianda avermi tratto in inganno, in volto non gli assomigliava nemmeno. I suoi lineamenti erano decisicome se fossero stati scolpiti nell’alabastro, il naso sottile e le labbra allungate. Era di una bellezzascultorea, devastante. Ma non era Sebastian.

Avrei voluto sprofondare per l’imbarazzo, fuggire via e tornare in segreteria per chiedere dicambiare il piano di studi. Mentre il ragazzo sconosciuto mi guardava con un’espressioneindecifrabile, sentii le gote andare a fuoco.

I suoi capelli erano tirati indietro, con due ciocche ribelli che scendevano ai lati della fronte.— Be’? Che c’è da guardare? — mi incalzò lui. La sua voce era bassa e tagliente insieme.— N-non ti sto… io… credo di averti scambiato per un’altra persona — balbettai. Corsi a

prendere posto nell’ultima fila di banchi, nascondendo il viso tra le mani. Sentii la pressione dellelacrime farsi decisa, dietro le ciglia. Cosa mi era preso? Come avevo potuto essere così patetica dascambiare un perfetto sconosciuto per il mio ragazzo? Era come se la mia mente stesse rifiutandol’idea che mi trovavo al Santuario delle streghe, come se stesse cercando senza sosta l’approdo di unviso conosciuto su cui posare il bagaglio di insicurezze che rischiava di schiacciarmi.

Ma la verità è che ero più che mai lontana da casa, in un luogo che fluttuava sull’orlo dello spazioe del tempo. Un luogo dove i miei nemici non mi potevano trovare, ma nemmeno le persone più care.Il lungo sonno doveva aver danneggiato il mio fragile equilibrio psicologico, sospesa com’ero tra ilsentirmi un’aliena tra gli esseri umani o soltanto una strega diversa da tutte le altre.

In uno dei libri che mi aveva prestato Sam in vista dell’iniziazione, avevo letto che noi streghesiamo le discendenti della dea Iside. Una bella contraddizione avere nelle vene il sangue di un’anticadivinità, ma essere perseguitate alla stregua di una razza di demoni.

Pochi attimi dopo fece il suo ingresso nell’aula l’insegnante. Era una donna minuta, con i capelligrigi acconciati in due trecce raccolte in cima alla nuca. Indossava una giacca camoscio su un paio dipantaloni verdone, e sotto il braccio teneva un libro spesso quanto un’enciclopedia.

Incollai lo sguardo su di lei per distoglierlo dal ragazzo sconosciuto che, nel frattempo, stavasalendo la gradinata per prendere posto a sua volta. Un tipo che era seduto in un banco a pocadistanza dal mio attirò la sua attenzione.

— Adam — chiamò.Poi disse qualcos’altro che non riuscii a sentire. Il nome che aveva pronunciato riecheggiava nella

mia mente come un proiettile vagante. Mi sconvolse al punto che ebbi un capogiro. Nelle orecchieesplose un ronzio fastidioso, come se a un passo da me fosse appena scoppiata una bomba. Tuttointorno si fece sfocato, e il respiro affannoso.

Non l’avevo mai visto, quel ragazzo, ed era evidente che nemmeno lui mi conosceva. Come avreipotuto spiegare che avevo invocato il suo nome durante il mio lungo sonno?

Dovevo trovare il modo di ritornare in Riabilitazione e parlare ancora con Ligea. Forse leisapeva qualcosa di più riguardo a Adam, e magari durante il mio stato di incoscienza mi ero lasciatasfuggire qualche dettaglio su di lui che ora avrebbe potuto aiutarmi a dare un senso a questa vicenda.

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La metà oscura

La prof non si preoccupò di introdurmi al resto della classe, e mi chiesi se era abituataall’andirivieni di nuovi studenti al suo corso o se non mi avesse proprio notato. Esclusi la secondaipotesi, dato che era impossibile non far caso ai miei lunghi capelli rossi in mezzo alle variedeclinazioni di corto che avevano le altre ragazze. Forse dava per scontato che ormai tutti miconoscessero, dopo il mio ingresso plateale durante il saggio dell’orchestra. Oppure non importavaproprio a nessuno, che ci fossi o meno. Quanto mi mancava, ora, il mio vecchio liceo! Non ero maistata popolare, ma almeno a qualcuno importava di me. Persino le attenzioni asfissianti di Damiano,il mio atletico e molesto compagno di classe, erano preferibili a questo totale disinteresse.

Per tutta la durata della lezione non potei fare a meno di lanciare occhiate sfuggenti in direzione diAdam, anche se mi sentivo un’autentica idiota.

Perché mi comportavo in modo così infantile? Ogni volta speravo che lui non se ne accorgesse,ma in un paio di occasioni finimmo per incrociare gli sguardi e, nonostante distogliessi gli occhiimmediatamente, poi sentivo il peso del suo sguardo su di me, ed era come se scottasse sulla pelle.

Alla fine della lezione cercai di precipitarmi fuori dall’aula, come se fuggire da Adam potesselasciare indietro anche le domande che faceva scaturire nella mia mente. Ma sapevo che niente, ora,poteva farmi sentire meglio. La mancanza di Sebastian si era fatta ancora più tagliente, dopo che miera parso di riconoscerlo nel volto di un altro.

Come se non bastasse, la ressa degli studenti che si accalcavano mi impedì di raggiungerevelocemente l’uscita, così me lo trovai di fianco mentre scendevo i gradini dell’aula. Inchiodai losguardo alla punta delle scarpe, sforzandomi di non incontrare il suo. L’unico risultato che ottenni fudi perdere l’equilibrio, quando una ragazza che camminava davanti a me si fermò di colpo e io, perevitarla, poggiai malamente il piede tra il gradino e il vuoto. Mi immaginavo già con il pavimentostampato in faccia, quando mi sentii afferrare da una presa di ferro, che mi impedì di capitolare.

— Qualcosa non va? — chiese Adam.— Ho solo perso l’equilibrio — dissi in tono un po’ troppo sgarbato, considerando che era lui ad

avermi sorretto e magari un “grazie” sarebbe stato più appropriato.Alzò le mani come in segno di resa. — D’accordo — disse. Poi, dopo una lunga pausa, aggiunse:

— Ho avuto la strana sensazione che tu mi osservassi, invece di ascoltare la lezione.— Ti sbagli — lo seccai. — Non ci conosciamo, no?Lui sembrò studiarmi, incuriosito. — Infatti. Sei nuova, vero?— Si vede così tanto?Il suo viso si illuminò di un sorriso, che scoprì una fila di denti bianchissimi. — Bei capelli —

disse dopo un istante di silenzio.— Grazie — sibilai, scoccandogli un’occhiata velenosa.

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— A quanto pare ti piace attirare l’attenzione.— No, non è per questo — mi giustificai. Poi mi morsi la lingua. Perché sentivo la necessità di

spiegare a un perfetto sconosciuto che non ero un’egocentrica, ma avevo solo bisogno di ricordarechi ero? Di aggrapparmi ai ricordi, di cui i capelli erano diventati il simbolo, per non rischiare diperdermi? Mi liberai della sua presa e accelerai il passo.

— Attenta a dove metti i piedi — lo sentii dire. — La prossima volta potresti farti male.Mi voltai di scatto e gli mostrai il dito medio, ma me ne pentii subito. Che mi prendeva? Non era

il caso di lasciarmi andare a simili confidenze con un perfetto sconosciuto. Corsi fuori più in frettache potevo prima che si accorgesse che ero avvampata.

Una volta in corridoio quasi mi scontrai con Misha, che proveniva dalla direzione opposta. — Ehi— mi disse. — Che ti prende? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.

Gli appoggiai una mano sulla spalla, come per aiutarmi a sostenermi. Avevo il fiato corto e lelabbra secche, quasi avessi camminato nel deserto per tutta la mattina. Le inumidii con la lingua efeci un ampio respiro prima di rispondere. — No, è tutto a posto — borbottai. Ma la sua espressioneera poco convinta. Sentiva quello che sentivo io, quindi anche il suo stomaco doveva essere insubbuglio. — Ma tu non avevi un’imperdibile lezione di non-so-che dall’altra parte della scuola? —gli chiesi.

— È terminata con un po’ di anticipo — rispose.— Bene — bofonchiai, guardandomi intorno per assicurarmi che non ci fosse ancora Adam nei

paraggi. — Ora però devo andare. La strizzacervelli mi sta aspettando.— D’accordo. Se non sai dov’è il suo studio ti posso accompagnare.— Sam mi ha detto come arrivarci, ma in effetti mi sentirei più tranquilla se tu mi accompagnassi.

Non ho ancora capito se sono le porte che cambiano posizione o il mio senso dell’orientamento adare il peggio di sé.

Ci avviammo lungo il corridoio. Misha manteneva la distanza di sicurezza, come se fossimo pocopiù che estranei. O forse ero soltanto io che lo mettevo a disagio, con il mio continuo controllare chenon ci fosse Adam. Il quale, però, sembrava scomparso. Che mi fossi immaginata tutto? In quel caso,Adelaide aveva visto giusto a mandarmi in terapia.

— Senti, io… — mormorò Misha. — Volevo chiederti scusa per prima. Non so che mi è preso, misono comportato da vero idiota.

— Non ti preoccupare — lo rassicurai. — Mi rendo conto che non dev’essere facile avermiritrovato dopo aver pensato che ero morta. So di essere una strega tutt’altro che perfetta. Immaginoche ci vorrà un po’ prima di abituarti di nuovo ad avermi intorno.

— Ma che dici? No, io… non intendevo questo. Tu sei fantastica. Certo, quando mi hai piantato inasso per fuggire con Sebastian ci sono rimasto parecchio male. Al contempo, prima dell’incidente, hoprovato la stessa felicità e il senso di fiducia in un futuro migliore che hai provato tu. Soprattutto, peril periodo in cui siamo stati separati non ho fatto che desiderare di essere di nuovo al tuo fianco.

— Grazie — dissi, abbassando gli occhi. — È bello sapere che nonostante tutto mi vuoi ancorabene.

— Non potrei smettere di volerti bene nemmeno se mi impegnassi per una vita intera — disse lui.— Siamo legati, Zoe. Per te, io ci sarò sempre.

Mi limitai ad annuire, e il resto del tragitto lo facemmo mano nella mano.Una volta arrivati di fronte allo studio della psicologa, non riuscivo a decidermi a entrare.

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Improvvisamente, mi sentivo pervasa da un crescente senso d’ansia. Temevo che il tutto si risolvessecon l’ennesimo interrogatorio, e non ce la potevo fare ad affrontarlo. Così, mi decisi a fare a Mishauna proposta che sorprese me per prima.

— Che ne dici di entrare insieme? — gli chiesi.Lui mi guardò con aria smarrita. — Non credo che sia possibile. Appena Anna mi vedrà, mi

metterà alla porta.— Non se ti intrufoli sotto forma di furetto. Mi sentirei decisamente più tranquilla, sapendo che

sei nei paraggi.Misha rimase pensieroso per un lungo istante, poi disse: — Ma sì, d’accordo, perché no? Basta

con quest’aria da furetto beneducato — e mi diede un pugno sulla spalla.— Ahio — protestai. — Attento a non farti vedere, però. Immagino che la Markos sia abituata ad

avere a che fare con streghe e relativi famigli. Non vorrei che ti chiudesse in una gabbia in salad’attesa.

— Non temere, sarò discreto. Non mi vedrai comparire, ma sappi che sarò al tuo fianco.Tirai un sospiro di sollievo e bussai con decisione prima di cambiare idea. Una voce dall’interno

mi disse di entrare.Io e Misha ci trovammo in una saletta con le pareti chiare, dall’intonaco un po’ sbeccato. Mi

appuntai mentalmente di segnalare a Adelaide che il Santuario aveva bisogno di una rimodernata. Delresto, c’era qualche sedia sparsa e un tavolino basso che mi ricordavano la sala d’aspetto del miodentista. Misha sparì dietro una pianta dalle ampie foglie, simili a barche a vela, e tornò un istantedopo con le sembianze del mio furetto, Nosferatu. Io attraversai la porta socchiusa e mi trovaiall’interno di uno studio arredato con mobili antichi e un tappeto dall’aspetto pregiato steso sulpavimento.

Seduta a una scrivania c’era una donna vestita con eleganza. Indossava una giacca nera sopra unacamicia color crema, con un ampio fiocco a chiudere sul colletto, e aveva un caschetto di capelligrigi ondulati. Avvicinandomi mi resi conto che i suoi occhi erano piccoli e rotondi, tra il blu e ilverde, cupi come acque profonde.

Lei tirò le labbra sottili in un sorriso cordiale. — Il famiglio sta fuori — disse con una lieveinflessione straniera. A colpirmi fu la particolarità della sua voce, non l’avrei definita roca, ma…frastagliata.

Balbettai qualcosa, e girandomi feci appena in tempo a vedere Nosferatu sgattaiolare fuori dallastanza. Era stato davvero cauto nell’entrare, al punto che non l’avevo notato neppure io. Lei,evidentemente, sì.

Senza perdere il sorriso, si alzò e mi venne incontro. — Piacere, Anna.— Zoe — ribattei, stringendole la mano.— Prego, accomodati — mi disse, indicando una sedia con le gambe a forma di zampe di leone.

— Ho sentito molto parlare di te.Con Misha fuori dalla stanza, mi sentii immediatamente a disagio. — Immagino non si dicano cose

molto lusinghiere sul mio conto.— Al contrario. Adelaide si aspetta grandi cose da te — ribatté lei prendendo posto su un divano

di fronte a me. A separarci c’era un tavolino di vetro su cui erano appoggiati alcuni libri dallacopertina sgualcita.

— Senza offesa, ma fatico a crederci, dottoressa. Non lo vede che mi ha persino mandato in

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analisi?— Oh, lascia pure da parte i titoli accademici. E diamoci del tu, ti prego — disse Anna,

schermendosi con una mano. — Non preoccuparti, se siamo qui è per una chiacchierata. Servirà aconoscerci meglio. In seguito, sarai tu a decidere se vorrai incontrarmi con regolarità. Naturalmente,spero che lo farai. Credo molto nel potere della parola per risolvere i contrasti.

Anna era gentile e accomodante, e allora perché una vocina, dentro di me, mi suggeriva di nonfidarmi?

— Be’, tra Adelaide e me non è certo un idillio…— Vuoi parlarmene? — mi chiese, incrociando le gambe. Notai che ai piedi portava un paio di

scarpe di vernice e il tacco alto. Il gusto moderno dell’abbigliamento di Anna strideva con l’aspettoantico di tutto il resto che si trovava all’interno del suo studio.

— È Adelaide che ti ha detto di chiedermelo?Scosse la testa. — No. È che la cosa sembra preoccuparti. E non hai tutti i torti, in un luogo chiuso

e isolato come il Santuario è essenziale mantenere buoni rapporti con tutti.— Già. Non c’è una via di fuga, a quanto pare.— Forse è proprio questo il tuo problema, Zoe. Sei convinta di essere trattata come una

prigioniera ma, ti assicuro, non è così.— Vuoi dire che posso andarmene quando voglio?Anna si mise a ridere. — Intendevo dire che qui sei un’ospite. Un’ospite di assoluto riguardo, per

di più. Se Adelaide ti ha chiesto di restare è perché è preoccupata per la tua incolumità.— Non lo so… mi sono convinta che ci sia dell’altro.— Per esempio?Rimasi a lungo a fissarla negli occhi, cercando di decifrare la sua espressione. Ma senza

successo. Era come fissare una porta chiusa e sperare di vedere cosa si nascondeva oltre la soglia.— C’è quella vecchia storia, la Custode delle falene… — dissi infine. — Non che io creda aprofezie o premonizioni.

— Ma il mondo è magia, Zoe. L’eco di un evento particolarmente significativo può esserepercepita ancora prima che l’evento stesso abbia luogo.

Corrugai la fronte. — Cosa intendi per “significativo”? — chiesi.— Un evento come la Rinascita, per esempio. L’epoca in cui finalmente le streghe e gli umani

potranno vivere in pace e integrarsi, imparando dalle rispettive esperienze. E anche dalle differenze.Niente più persecuzioni, né conflitti combattuti in nome della presunta superiorità di una religionesull’altra, ma una pacifica coesistenza. Un evento lungamente atteso, annunciato fin dall’antichità. Èdi questo che parla la leggenda della Custode delle falene.

— Ma, appunto, è solo una leggenda.— Dietro ogni leggenda c’è un fondo di verità, Zoe. Dovresti saperlo.— Già — ammisi. — Ma ho sentito opinioni contrastanti riguardo alla vera natura della Custode.— Per esempio?— Si dice che scatenerà una nuova guerra da cui le streghe usciranno vincitrici, soggiogando il

genere umano. Che grazie alla Custode i demoni marceranno sulla Terra.— È questo che ti ha fatto credere Azalhee?Quasi sobbalzai sulla sedia nell’udire quel nome. Anna sapeva di Cappuccetto Indemoniato, e

forse anche dell’abisso di oscurità che mi aveva spalancato davanti agli occhi. Sperai non sapesse

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anche della domanda che continuava a tormentarmi: ero stata io a osservare l’abisso, o era statol’abisso a guardare dentro di me? Mi limitai ad annuire con un cenno del capo.

— I demoni non possono camminare sulla Terra — sentenziò Anna. — C’è un antico patto tra idemoni e le creature terrestri. Un patto stretto quando la Terra era governata da sciamani e saggisacerdoti, quando le streghe non erano costrette a vivere ai margini, ma erano parte integrante dellasocietà a tutti i livelli, anche quelli più alti. In quei tempi remoti il divino maschile era in simbiosicon il divino femminile. — Anna smise di parlare per un attimo, come se un pensiero improvvisol’avesse portata lontano. Poi aggiunse: — Dopo che fu siglato il Patto, i demoni sono diventati isignori incontrastati del Mondo Sotterraneo.

— Una specie di… caduta, come racconta la leggenda di Lucifero — pensai a voce alta. Tuttavia,se davvero i demoni non potevano camminare sulla Terra, allora uno come Heinrich avrebbe dovutoessere rispedito all’inferno a cui apparteneva.

— Più o meno.— Ma allora cosa ci fanno dei demoni qui al Santuario?Anna curvò le labbra in un sorriso. — So a chi ti stai riferendo, ma devi sapere che Lucrezia non è

propriamente un demone. Sua madre è una Furia, ma suo padre era umano. Ai mezzi demoni come leiè assegnato il gravoso compito di vegliare sui portali che conducono al Mondo Sotterraneo, perevitare che tramite essi il male possa risalire in superficie. Per questo quelli come lei vengonocomunemente chiamati Guardiani. Lucrezia è qui per porre rimedio a un vecchio errore in cui haperso la vita un Guardiano che aveva giurato di servire.

— Lucrezia non ha per niente l’aria di una tipa servile — obiettai.— In una guerra, l’obbedienza ai propri superiori è un valore fondamentale. — Da come parlava,

Anna non sembrava affatto una psicologa, ma il comandante di una compagnia di fucilieri. E in effettil’Accademia, tra discorsi sull’obbedienza e le Amazzoni che piantonavano l’edificio, mi davasempre più l’idea di una struttura militare piuttosto che di un luogo dove veniva tramandata l’anticasapienza delle streghe. Ma come poteva essere altrimenti, considerando che una fata era reclusa inuna zona destinata alla riabilitazione dei casi disperati? C’era davvero differenza tra le streghe dellaSorellanza e gli Inquisitori a cui si opponevano?

— Se davvero Lucrezia ha commesso degli errori, non mi sembra affatto pentita — mormorai.— Ci stiamo lavorando — ammise Anna. — Comunque, al momento non ha importanza. Non è per

parlare di lei che siamo qui. Preferirei concentrarmi sulle tue sensazioni, sulle tue opinioni. Vorreisapere cosa provi, Zoe, sapendo che ti trovi così lontano dalla tua casa e dai tuoi affetti.

Nonostante la mia diffidenza, dovevo ammettere che Anna era capace di un’empatia sconosciutaalle streghe che avevo incontrato finora. A nessuno, prima di lei, era sembrato importare cosaprovavo di fronte a un così brusco sconvolgimento della mia vita. E parlando di sensazioni, tornaicon la mente al momento in cui avevo incrociato gli occhi di Adam.

Cos’avevo provato, davvero? A trarmi in inganno era stata solo la mancanza devastante diSebastian, o c’era davvero qualcosa di familiare in quell’individuo all’apparenza arrogante edegocentrico?

Scossi la testa con forza. Non ero ancora pronta per razionalizzare le mie emozioni. Decisi didirottare l’attenzione di Anna, parlando d’altro. — Me ne sono accorta, sai? — la provocai.

Lei mi studiò per un lungo istante con aria interrogativa. — Di cosa?— Che hai sviato dall’argomento Custode delle falene.

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Anna appoggiò i gomiti sulle ginocchia, protendendosi leggermente verso di me e guardandomicon decisione. — Non mi spiego la tua resistenza nel voler parlare di te stessa. Cosa ti spaventadavvero, Zoe?

Fui tentata di ribattere che non c’era proprio niente che mi spaventava. Volevo rispedire almittente la sua accusa, ma ebbi un tentennamento. — I-io non… — balbettai.

E se Anna avesse avuto ragione? Forse, mettermi sempre sulla difensiva era solo un modo per nonaffrontare ciò che temevo di più, ovvero la parte ombrosa della mia personalità, proprio quella concui Cappuccetto Indemoniato mi aveva costretto a confrontarmi. Sam non aveva fatto che ripetermiche dovevo essere iniziata al più presto o i miei poteri avrebbero potuto prendere il sopravvento.Non avevo mai riflettuto a fondo sul significato di quella frase, ma cominciavo a sospettare a cosa siriferiva: potevo essere inghiottita in una spirale alimentata dalla rabbia contro chi mi aveva strappatovia tutto quello che avevo, a partire dall’amore di Sebastian. Se avessi avuto il potere di recideredelle vite umane e in cambio poterlo riabbracciare, avrei avuto la fermezza di compiere la sceltagiusta o mi sarei fatta dominare dalla sete di vendetta?

— Non temere. — Anna abbassò il tono della voce. — Non c’è fretta. Avremo modo diriparlarne. Ti va di tornare domani?

— Devo controllare l’orario delle lezioni.— Facciamo così, allora — disse lei, conciliante. — Domani mattina, dopo la benedizione, mi

dirai se riesci a trovare un ritaglio di tempo anche per me, tra i tuoi impegni.— D’accordo — bofonchiai, alzandomi in piedi. Le strinsi la mano in fretta e mi avviai verso la

porta. La immaginai seguirmi con lo sguardo mentre mi allontanavo. Aveva toccato un nervoscoperto, ma non era solo per questo che mi sentivo turbata. Nemmeno io avrei saputo spiegarmene ilmotivo, ma non vedevo l’ora di uscire da quella stanza.

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Run

Una volta fuori, mi misi a percorrere i corridoi sperando di smaltire un po’ dell’inquietudine che miaveva lasciato la chiacchierata con Anna. Mentre mi chiedevo dove si fosse cacciato Misha, finii perperdermi. Cercai di tornare indietro, ma dove pensavo ci fosse un corridoio mi sorpresi a trovare unarampa di scale. Feci retromarcia di nuovo e camminai per un po’, finché mi trovai di fronte alla portasocchiusa di un’aula. Dalla mia posizione mi parve di distinguere, all’interno, la sagoma di unpianoforte. Incuriosita, mi sporsi dalla porta per sbirciare.

Era una stanza ampia e spoglia dal pavimento in legno e specchi alle pareti, con delle sbarre acircondare il perimetro. Era un’aula di danza. E quello in fondo alla sala era uno splendidopianoforte a coda. Era costruito in legno laccato di nero, e la sua sagoma lucida si stagliava controuna grande vetrata che dava sul lago.

Il coperchio della tastiera era aperto, come se qualcuno avesse appena finito di suonarlo e fossescappato in fretta.

Mi avvicinai fino a sfiorare i tasti con le dita, come facevo di solito con il pianoforte di casa mia.Poi non seppi resistere e mi sedetti sullo sgabello, decisa a improvvisare una melodia. Scelsi disuonare una delle mie canzoni preferite, Run degli Snow Patrol, adattando al pianoforte la tracciadella chitarra acustica.

Mentre le note si susseguivano melodiose, mi sentii come se fossi sospesa sull’acqua del lago.Chiusi gli occhi, immaginando che Sebastian fosse con me, seduto sul pavimento alle mie spalle. —Light up, light up — canticchiai. — Even if you cannot hear my voice I’ll be right beside you dear.— Immaginai di sentirlo alzarsi, avvicinarsi a me, accarezzarmi le spalle con le mani. Voltarmidolcemente il viso di lato, appoggiare le labbra sulle mie.

Poi mi fermai di colpo, certa di aver sentito dei passi. Aprii gli occhi e lanciai un’occhiata allaporta.

Quasi sobbalzai. Adam era appoggiato con una spalla allo stipite, un sorriso compiaciuto sulvolto. Mi stava osservando. — Continua, ti prego — disse con voce profonda.

Mi affrettai a chiudere il coperchio e mi alzai dallo sgabello. — Cosa ci fai qui?— Potrei chiederti la stessa cosa — ribatté lui senza scomporsi.Mi accorsi che il cuore aveva cominciato a battere più forte. Diedi la colpa allo spavento. — Non

lo vedi? Stavo…— … suonando — concluse Adam. — Meravigliosamente.Sentii le gote farsi calde per l’imbarazzo. — Non erano previsti spettatori, per questo spettacolo.— Strano — mormorò. — Avrei scommesso che stavi suonando per qualcuno.— Ti sbagli — dissi abbassando lo sguardo.— Eppure giurerei di aver visto sul tuo viso un’espressione malinconica, come se stessi cercando

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di scappare da qui, con il pensiero.— Mi capita spesso quando suono — dissi con voce ferma, incollando gli occhi ai suoi. Ma fu

uno sbaglio: ottenni soltanto di rendermi conto una volta di più di quanto era bello. Cercai diripetermi che la sua bellezza non mi interessava affatto, ma il suo sguardo era in grado di stringermilo stomaco e farmi tremare le gambe. — Lascia stare — mi corressi, con voce incerta. — Non puoicapire.

Compì un passo verso di me. — Ora sei tu che ti sbagli. So cosa significa essere portati via dauna canzone.

— Stammi lontano — sibilai.— Sicura che è quello che vuoi?— Non so di cosa tu stia parlando.— Mi sono accorto di come mi guardavi, a lezione.— Sei troppo sicuro di te.— Sto solo cercando di capire.Se davvero avevo invocato il suo nome durante la convalescenza, c’erano parecchie cose da

capire. — Qualunque cosa tu stia cercando di fare, non mi interessa.Tirò un sorriso sarcastico. — Perché sei sulla difensiva?Non avrei saputo dirlo. Avevo paura di non ritrovare mai più Sebastian o di essere attratta da un

altro ragazzo? Mi limitai a scuotere la testa.Adam ricominciò ad avanzare, e si fermò a un paio di metri da me. Cercai di schivarlo e

raggiungere la porta, ma mi prese per un gomito e mi tirò a sé.— Lasciami o mi metto a urlare — sbottai.— I tuoi capelli profumano di buono — disse lui, sciogliendo la presa.— Sarà lo shampoo.Lui scoppiò a ridere. Cercai di non voltarmi mentre attraversavo la stanza con passo veloce.

Osservavo la porta, sforzandomi di ignorare la presenza di Adam alle mie spalle. Ma resistere eramaledettamente difficile.

— Aspetta — fece lui, raggiungendomi. — Non ci siamo nemmeno presentati.— Non ha nessuna importanza — feci. — Tanto non ci parleremo mai più.

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— 3 — Se solo potessi leggerela mia mente

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Le ferite dell’anima

— No, decisamente non c’è paragone col Bloody Mary — dissi entrando nella piccola caffetteria.Due tavolini erano occupati da ragazzi che parlavano fitto davanti a spessi libri di testo e blocchi diappunti, ma gli altri tre erano vuoti. Dato che era l’ora di pranzo, la maggior parte degli studenti eraradunata in mensa e la cosa non mi dispiaceva. Avevo bisogno di un momento di tranquillità.

— Attenta a non giudicare dalle apparenze — ribatté Misha. A forza di girare per il Santuario eroriuscita a ritrovarlo, si era fermato a chiacchierare con certi suoi compagni di corso. — Siamo pursempre al Santuario delle streghe. Le ragazze che si occupano della cucina sono delle fuoriclassenella conoscenza delle erbe. Ti stupirai nel renderti conto degli effetti benefici sull’organismo dicerte specialità che servono qui dentro.

— E tu che ne sai? Sei un mutaforma, il tuo sistema immunitario è in grado di guarirti molto più infretta di qualsiasi essere umano.

— L’ho sentito dire — disse lui, sorridendo.— Certo che me lo immaginavo molto diverso — ammisi.— Che cosa? — mi chiese lui.— Il Santuario. Non mi sarei mai aspettata di trovare tanta tecnologia. Voglio dire, abbiamo

persino un badge che somiglia a una carta di credito per pagare le consumazioni!— La magia e la scienza sono in fondo due modi di controllare le stesse energie — replicò Misha.

— Se ci pensi, persino l’elettricità è una specie di magia. Non a caso, quelli che vengono chiamaticomunemente eventi paranormali sono spesso fonte di interferenza con i dispositivi elettrici. E cisono addirittura streghe specializzate nel controllare i fenomeni elettromagnetici.

— Come una tempesta? — chiesi.— Con sufficiente talento e una buona pratica, sì. A costo di un enorme dispendio di energie,

naturalmente. Compiere un incantesimo al di sopra delle proprie possibilità può essere letale, peruna strega inesperta. — Mi fece ripensare a quando usare la magia, per sbloccare la porta delloschedario, mi aveva quasi ucciso.

La ragazza dietro il bancone ci servì le nostre ordinazioni. Misha aveva chiesto un sandwich alprosciutto cotto, io una spremuta d’arancia. Bevvi il primo sorso e dovetti ammettere che eradavvero deliziosa. Poi sentii il tintinnio del campanello posto sull’ingresso. Mi voltai d’istinto.Angelica entrò, camminando con passo incerto. Forse anche lei cercava un po’ di sollievo dalla ressadegli studenti che affollavano la mensa.

La salutai con un cenno della mano, ma lei sembrò non notarmi, come se fosse assorta nei suoipensieri. Così, le andai incontro. — Mi fa piacere rivederti — le dissi.

— Anche a me — ribatté lei, dopo un istante di esitazione.Le presi la mano, un gesto amichevole che per me significava molto, considerando i dissidi che

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avevamo avuto. A Milano non erano mancate le occasioni di scontro. Quando aveva fatto unincantesimo per legare Chloe, ci eravamo affrontate apertamente. Ora, però, avevo voglia dilasciarmi alle spalle il passato. Era un bagaglio troppo pesante per portarmelo sempre addosso. Enon dimenticavo che, nonostante per me fosse passato soltanto un giorno, per il resto del mondo,Angelica compresa, erano trascorsi più di sei mesi. Dalla faccia sbattuta che aveva, immaginai chenell’ultimo periodo ne dovesse aver passate parecchie. Persino il colore dei suoi occhi era cambiato.Ricordavo che erano blu, torbidi come il mare in tempesta, mentre ora erano più scuri, opachi, e lasua espressione sembrava rassegnata.

— Ti va di mangiare qualcosa?— No, io… non ho fame — rispose. — Pensavo di bere una spremuta d’arancia.Mi misi a ridere. — È esattamente quello che ho preso io. Andrà a finire che scopriremo di avere

più cose in comune di quello che sospettavamo.— Immagino che te ne sia già accorta, ma qui l’ambiente è molto diverso dal liceo che

frequentavamo a Milano — disse lei, sarcastica. Quasi tirai un sospiro di sollievo. Da qualche parteera sopravvissuta la vecchia Angelica, anche se le difficoltà di ambientazione al Santuariosembravano aver smussato parecchio il suo carattere spigoloso.

— In effetti il primo impatto non è stato dei più piacevoli — ammisi — ma credo che Sam abbiaragione, qui siamo al sicuro, e possiamo perfezionare la nostra preparazione per diventare streghemigliori, un giorno.

Angelica scosse la testa. — Che illusa sei, Zoe. Non cambierai mai, vero? Continui a nutrire lasperanza, anche quando ti chiudono sotto chiave in una fortezza medievale. Come fai a pensareragionevolmente che il Santuario sia un rifugio dove vengono preparate le streghe di domani?

— Di cosa stai parlando?— Davvero non l’hai ancora capito? — sibilò. — Il Santuario non è la Terra Promessa per le

streghe! Il Santuario è un istituto di correzione per disadattati. Gente come me e Lucrezia e, midispiace dirlo, Zoe, anche come te.

Quasi sobbalzai. Angelica mi stava dicendo che eravamo un problema per la società, e sembravarassegnata a questo ruolo al punto da pensare che non ci fosse redenzione.

— Cosa vuoi dire? — le chiesi, con voce tremante.— Riflettici su — rispose lei abbassando il tono. — Gli incontri con la psicologa, il fatto che la

magia sia proibita. Siamo sorvegliate a vista dalla più antica e valorosa razza di cacciatrici. — Miguardò dritto negli occhi prima di aggiungere: — Stanno cercando di contenere i danni che siamo ingrado di provocare.

— Come puoi dirlo? — sbottai. — L’Accademia…Non mi lasciò finire la frase. — Le lezioni dell’Accademia servono a convincerci che siamo parte

di qualcosa di grande, che stiamo lottando per un avvenire migliore — affermò. — La maggior partedei soggetti più pericolosi ha la tendenza a comportarsi in maniera individualista. Con l’immensopotere che abbiamo tra le mani, è fin troppo facile scegliere la strada del vantaggio personale. L’hofatto anch’io, finché non mi sono resa conto delle conseguenze disastrose del mio comportamento. Ein definitiva le capisco, le dirigenti della Sorellanza. Non so se agirei in maniera diversa, se mitrovassi nei loro panni. Siamo un problema per loro e per l’immagine che vorrebbero dare dellestreghe, soprattutto oggi che le persecuzioni degli Inquisitori si sono fatte più pesanti.

— Ma noi streghe discendiamo direttamente dalla dea Iside — protestai. — E il potere che scorre

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nel nostro sangue è un dono, non una condanna. — Questa, almeno, era la convinzione di mia madre.Lei sapeva bene che utilizzare a fin di bene un grande potere richiedeva un grande senso diresponsabilità. Con la sua lettera aveva cercato di mettermi in guardia dalla tentazione di usarlo ascopi personali, e anche Sam aveva fatto del suo meglio per aiutarmi ad accettare la mia vera natura.

— Vorrei che fosse così — sospirò Angelica. — Ci vorrei credere davvero, che la Dea ci hagraziate con la sua benevolenza. Vorrei esserle grata per il Dono, ma non è facile. Una cosa possodirtela: dentro di noi scorre l’energia creativa dell’universo, ma anche la forza distruttrice dellanatura più selvaggia. Ogni giorno dobbiamo convivere con la contraddizione di avere il potere direalizzare grandi cose, ma anche le stesse pulsioni di qualsiasi essere vivente, non ultimo il desideriodi prevalere sugli altri. Dobbiamo accettare la diffidenza dei comuni esseri umani, e allo stessotempo condividere le loro fragilità.

Era incredibile sentire quelle parole dalla voce di Angelica. Proprio lei, che sembrava avereavuto tutto dalla vita: la bellezza, l’intelligenza, una famiglia ricca e persino la sfrontatezza diprendersi quello che desiderava senza preoccuparsi delle conseguenze.

— Puoi trovarla dentro di te, la forza di crederci, Angelica — le dissi con convinzione. —Ricordi quando Ecate ti tormentava per farti capire che la strada che avevi intrapreso era sbagliata?

— Come potrei dimenticarlo? Ancora oggi, dopo tutto il tempo che è passato, ho il terrore diudire la nenia che cantava la bambina dai lunghi capelli neri e le scarpette rosse. Al risveglio laprima cosa che faccio è controllare le braccia, perché ho paura che compaiano di nuovo quei graffi.

Povera Angelica, non mi sarei mai aspettata di provare compassione per lei. Quella terribileesperienza le aveva lasciato delle ferite difficili da rimarginare. Non osavo pensare quanto dovesseessere stata dura per lei tentare di integrarsi al Santuario.

— E allora dovresti sapere che sei stata scelta per un motivo ben preciso — la incalzai. — Spettaa te dimostrarti all’altezza delle aspettative della Dea.

— È facile parlare così, per te! — sbottò. — Io non sono la protagonista di un’antica profezia,non sono la Custode sulla quale poggia la speranza di un futuro migliore, sono solo una ragazza cheha scoperto di avere un potere troppo grande per sapere come controllarlo.

Se solo Angelica avesse saputo quanto mi pesavano le aspettative degli altri! Anche se c’era chisosteneva che fossi una specie di predestinata, io non ne ero affatto convinta. Ero una strega, certo,ma questo per me non significava rinunciare alla mia parte razionale e credere che il mio destinofosse scritto. Avvicinai la mano ai suoi capelli per lasciarle una carezza, ma Angelica si ritrasse,compiendo un passo indietro.

— Io ti capisco più di quanto credi — dissi con trasporto. — So che anche tu, come me, sei statastrappata ai tuoi affetti per trovarti gomito a gomito con dei perfetti sconosciuti.

— I miei affetti? — Fece una risatina isterica. — Non lo conosci proprio, mio padre. A volte michiedo se almeno si sia reso conto che non sono più a Milano. O forse sì, perché ha smesso diricevere le telefonate dalla banca per le mie spese non autorizzate con la carta di credito. E poi ionon ho mai nemmeno trovato il mio famiglio, almeno tu hai…

— Ragazze, non litigate. — La voce di Misha, alle mie spalle. — È stato così bello ritrovarsi.Il viso di Angelica si illuminò di un sorriso spontaneo, e fui certa di vedere nelle sue iridi blu

baluginare una luminescenza che le restituì per un attimo la sua autentica bellezza. — … Misha —disse, con un filo di voce.

— Non stavamo litigando — lo rassicurai. — Io e Angelica abbiamo soltanto due modi diversi di

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interpretare la realtà.— Diciamo piuttosto che Zoe deve ancora aprire gli occhi. Se siamo al Santuario non è perché

siamo speciali, ma perché siamo un problema da risolvere.— Ti prego, Angelica — disse Misha — abbiamo già avuto modo di parlarne. Sai che anch’io non

riesco a essere critico nei confronti della Sorellanza. E nonostante il Santuario non sia perfetto, quisiamo al sicuro.

Lei si strinse nelle spalle. — Certo, tu non hai una mezzo demone che ti perseguita.— Mi spiace che Lucrezia ti abbia preso di mira — disse Misha con voce accorata. — Ma credo

che persino lei finirà per stufarsi della sua stessa arroganza.— Vorrei che fosse così. Sapevano che ho il terrore dei ragni e hanno convinto Jared a

nascondersi nel mio armadietto. Stamattina sono quasi morta di paura.— Jared è l’uomo ragno?Angelica si limitò ad annuire.— Ma allora dobbiamo parlarne con Adelaide! — esplosi. — Non può starsene con le mani in

mano… dovrà prendere dei provvedimenti.Angelica quasi scoppiò a ridere. — Ma che dici! Quella è capace di punire me dicendo che le ho

provocate. Adelaide è convinta che Lucrezia sia solo un po’ esuberante, e nell’ultimo periodo non misono certo data da fare per conquistarmi la benevolenza della direttrice.

— Oh no. Parli del diavolo… — Misha non finì la frase.Dalla porta a vetri vidi Lucrezia che si avvicinava, scortata da Jezebel e dal suo famiglio.— Ora gliene dico quattro — annunciai.— Zoe, ti prego. Non è il momento di fare scenate — intervenne Misha.Strinsi i pugni per la rabbia. È vero, io e Angelica in passato avevamo avuto parecchi scontri. Ma

questo non significava che avrei permesso a Lucrezia di tormentarla.— D’accordo — dissi — dopotutto siamo qua per mangiare qualcosa in santa pace.Avevo appena finito di parlare che la porta si spalancò e Lucrezia fece il suo ingresso nella

caffetteria.— Ma guarda chi abbiamo qua — disse. — Una strega sull’orlo di una crisi di nervi e una che non

è nemmeno capace di difendersi da sola.— A difendermi ci riesco benissimo — sibilò Angelica. — Se solo tu avessi il coraggio di

affrontarmi faccia a faccia.In tutta risposta, Misha la prese sottobraccio per condurla al bancone. Mi accorsi che le

sussurrava qualcosa all’orecchio, probabilmente per stemperare la tensione. Io feci per seguirlo, mami sentii tirare per la maglietta.

— Ehi, rossa, dove vai? Mammina non ti ha detto che è maleducazione voltare le spalle a chi ti staparlando? — mi chiese Jezebel.

— Non ti azzardare mai più a nominare mia madre — intimai. — In quanto alla tua amica, seisicura che stesse parlando con me? Ero convinta che stesse facendo i gargarismi.

Jezebel inarcò un sopracciglio, mentre sul viso di Lucrezia si dipinse un’espressione accigliata.Immaginai che non avesse capito la battuta, oppure non era abituata al fatto che qualcuno rispondessealle sue provocazioni. Approfittai del suo momento di incertezza per raggiungere Misha e Angelica albancone.

— Attenta, strega — disse Lucrezia, dopo che mi fui allontanata di qualche passo. — Cerca di non

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tirare troppo la corda. Potrebbe spezzarsi.Mi voltai lentamente verso di lei. — Le metafore non sono il tuo forte, vero? Non ci riuscivi

proprio a trovare una minaccia più originale? Che so, avresti potuto dirmi di non stuzzicare il dragoche dorme, oppure di stare attenta a non giocare coi fulmini, se non voglio prendere la scossa.

— Zoe, ti prego! — sibilò Misha.— È tutto a posto — lo rassicurai. — Non ho certo paura di quelle presuntuose.— Questo lo so — affermò lui. — Ma tu non le conosci bene. Lucrezia è una mezzo demone della

Vendetta, stuzzicarla non fa altro che aumentare la sua aggressività — aggiunse sottovoce.Udii i passi del trio che si avvicinava. — Ti senti più furba degli altri, strega? — cantilenò

Lucrezia.Bevvi un altro sorso della mia spremuta d’arancia. — E tu, ti senti forte quando hai la tua servetta

a reggerti lo strascico? — ribattei, senza nemmeno degnarli di uno sguardo.Misha si voltò appena per controllare che non facessero scherzi. Lo vidi sgranare gli occhi e,

prima che riuscissi a rendermi conto del motivo per cui si era allarmato, mi sentii strattonareviolentemente per i capelli.

— Ahia! — strillai, voltandomi di scatto e caricando un ceffone che nelle mie intenzioni dovevacolpire la faccia compiaciuta di Jezebel, che quasi mi aveva strappato una ciocca di capelli.

Ma Jared fermò la corsa del mio braccio, bloccandomi il polso. — Non ci provare — mi disse.Misha, a sua volta, con uno scatto afferrò il braccio con cui Jared mi stava tenendo. — Lasciala

— gli intimò. Poi, con un tono di voce così basso che assomigliava a un ringhio animalesco,aggiunse: — Subito.

Mentre io cercavo di divincolarmi dalla presa dell’uomo ragno, lui e Misha rimasero immobiliper alcuni secondi, studiandosi come due belve in attesa di far scattare gli artigli.

— Altrimenti? — lo sfidò Jared, rompendo il silenzio.— Altrimenti te la dovrai vedere con me — sentenziò Misha con voce tagliente.Dopo un istante che mi sembrò durare un’infinità, Jared distese le sopracciglia e tirò un sorriso

che gli scoprì parte della dentatura. Poi, con un gesto plateale, aprì le dita per liberarmi il polso. —Sono davvero impressionato, Misha — disse con tono ironico. — Immagino di averti sottovalutato,in tutto questo tempo.

La sua era una stretta maledettamente forte, al punto che avevo il polso indolenzito, e dovettimassaggiarlo con l’altra mano.

— Si può sapere che ti è preso? — sbottai in direzione di Jezebel.Lei si strinse nelle spalle. — Volevo sentire se erano veri. Mi piacerebbe farmici una parrucca.Lucrezia esplose in una risata forzata.Misha non la degnò di attenzione. Senza smettere di fissare Jared negli occhi e muovendosi con

una lentezza esasperante, lasciò la presa col braccio di Jared.— Smettila di fissarmi — intimò Jared, allargando entrambe le braccia come per mostrare che era

disarmato. — Chi l’avrebbe detto che persino un roditore può tirar fuori gli artigli?— Il furetto non è un roditore — si intromise Angelica.Sia Lucrezia che Jezebel si voltarono verso di lei, squadrandola con aria di sufficienza.— Ehi, lo sanno tutti — aggiunse.— Scusami — ribatté Jared — devo aver fatto qualche assenza di troppo al corso di animali da

compagnia.

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— Misha non è il mio animale da compagnia — ringhiai. — E ti stupiresti di quanto siano affilatii suoi artigli.

— Davvero? Perché non lo mettiamo alla prova, allora? — disse lui, facendo partire un pugnodiretto al volto di Misha così velocemente che non ebbi il tempo di vederlo caricare.

— Mishaaa! — urlai.Ma lui era già uscito dalla traiettoria del colpo. Poi, con un movimento veloce, sinuoso ed

elegante, si posizionò a lato di Jared. Gli prese il braccio ancora disteso e glielo torse dietro laschiena. Jared emise un lamento roco, iniziando a compiere una serie di movimenti nervosi percercare di divincolarsi.

— Non farlo — sibilò Misha. — Non ti muovere. O ti farà ancora più male.Vidi il volto di Jared arrossire, i lineamenti contrarsi per la rabbia e il dolore che stava provando.Infine, crollò in ginocchio, mormorando: — D’accordo, hai vinto. Lasciami.— Lo farò dopo che avrai chiesto scusa alle mie ospiti — gli intimò Misha.— Cosa? — eruppe Jezebel. — Non se ne parla! — E si gettò contro Misha, cercando di fargli

mollare la presa con cui teneva immobilizzato Jared.Misha la schivò con disinvoltura, senza lasciare il braccio di Jared. Jezebel perse l’equilibrio e

me la trovai addosso che quasi mi abbracciava per non rischiare di cadere. Per un istante i nostri visifurono l’uno a un soffio di distanza dall’altro.

— Il tuo piercing puzza — le dissi.— Chiedi scusa! — intimò Misha a Jared, premendogli il braccio contro la schiena.— Ungh — rantolò Jared.Lucrezia fece un passo verso di lui, ma Angelica si frappose tra lei e Misha.La tensione nella stanza era palpabile. La ragazza dietro il bancone si era immobilizzata, e i pochi

avventori presenti ci fissavano con lo sguardo colmo di apprensione.Il volto di Jared era una maschera di dolore. Jezebel fece di nuovo per aggredire Misha, ma la

trattenni per la camicia. — Non si interrompe un discorso tra uomini — le dissi.Lei ribatté con un’occhiata velenosa.— La mia pazienza ha un limite, uomo ragno — lo incalzò Misha.— S-scusatemi — balbettò Jared. La sua voce era così contrita che sembrava voler trattenere le

parole tra i denti.— Molto bene — mormorò Misha, lasciandogli il braccio. Poi compì un passo verso di me e si

girò in direzione della ragazza dietro il bancone. — Vorrei un altro sandwich al prosciutto cotto,grazie — disse in tono controllato. A sentirlo, non si sarebbe detto che era appena stato coinvolto inuna quasi-rissa. — A proposito, era squisito.

La ragazza curvò le labbra in un sorriso che somigliava a un sospiro di sollievo e si mise adarmeggiare con l’affettatrice.

— E una spremuta d’arancia per la mia amica — mi intromisi io.Jezebel si assicurò che Jared stesse bene. Prima di girare le spalle, Lucrezia si limitò a scoccarmi

uno sguardo affilato. — Non finisce qui — sibilò, avviandosi poi fuori dalla caffetteria insieme alresto della compagnia.

Dopo che furono scomparsi dalla visuale, Misha fece il gesto di asciugarsi la fronte, come sefosse reduce dalla maratona di New York. — Certo che l’abbiamo scampata bella — sospirò. —Ammetto che questa volta non avrei scommesso un euro sulla squadra dei buoni.

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— Lucrezia e Jezebel ci penseranno due volte prima di tornare all’attacco — esultai. Nelfrattempo, Angelica aveva perso lo sguardo da qualche parte, davanti a sé. Sembrava pensierosa. —Va tutto bene — tentai di rassicurarla.

Angelica appoggiò i gomiti sul bancone. — Tu non le conosci, Zoe — disse poi, voltandosi nellamia direzione. — Misha ha ragione, sono perfide e vendicative. Sono persone pericolose e ticonviene guardarti le spalle, da oggi in poi.

— Non mi fanno paura, sono solo delle esaltate. Ne avevano proprio bisogno, di una lezione. E tusei stato grande, Misha — e gli allungai una gomitata tra le costole.

Misha fece finta di incassare il colpo e tirò un ampio sorriso, anche se vedevo che sul suo sguardosi era posato un velo di preoccupazione.

In risposta alla mia affermazione, Angelica scosse la testa. — Forse è così, ma non credo tu abbiafatto un buon affare, dandomi una mano questa mattina. Hai attirato la loro attenzione su di te e,credimi, non è piacevole avere il loro fiato sul collo. Mi stanno addosso da quando sono arrivata eme ne hanno fatti passare parecchi, di brutti quarti d’ora.

— Ora siamo una squadra — ribattei. — Non possono farci nulla, se restiamo uniti.La tipa della caffetteria ci servì le ordinazioni su un vassoio. Angelica si limitò a osservare la

spremuta che avevo ordinato per lei senza decidersi a prelevare il bicchiere.— È davvero buonissima — le dissi, porgendogliela.Lei fece no con lievi movimenti del capo. — Mi si è chiuso lo stomaco. Anzi, ora scusatemi ma

devo proprio andare. — Rivolse un’occhiata fugace verso Misha, poi si avviò all’uscita.Feci un balzo per raggiungerla, ma lei si voltò di scatto e mi fece segno di fermarmi. Mi arrestai a

pochi passi di distanza, sorpresa dal suo improvviso distacco.— Qualcosa non va? — chiesi ingenuamente.Angelica iniziò a toccare nervosamente il ciondolo che portava al collo. Era composto da pietre

circolari dalla forma piatta e di vari colori, tra i quali spiccavano il turchese, l’ambra e l’indaco,incastonate in maniera concentrica e separate da cornici dorate. — Senti, Zoe… — disse Angelicacon voce fredda. — Ti ringrazio, ma non ho bisogno del tuo aiuto. Ce l’ho fatta da sola in tutti questimesi, e ora tu non puoi pretendere di piombare qui e sistemare tutto nel giro di mezza giornata. Ilmondo è pieno di ingiustizie, e il Santuario non fa eccezione. Fattene una ragione. — Nel suo sguardocontrito riconobbi qualcosa dell’espressione che aveva Federica l’ultima volta che l’avevo vista, unmisto di rabbia e rassegnazione.

Proprio come aveva fatto Sam, anche Angelica mi stava sbattendo in faccia quanto il mioatteggiamento fosse contraddittorio. Da un lato non avevo esitato ad abbandonare tutti, salvo tentarepoi di risistemare le cose in modo maldestro. Ma il resto del mondo era andato avanti senza di me,per sei lunghi mesi. Certo che sul fronte dei rapporti interpersonali ero un vero disastro. Non avevoidea di come rispondere alle parole di Angelica, per cui rimasi un po’ in silenzio.

— È-è bellissimo, il tuo ciondolo — finii per balbettare, per sentirmi subito dopo una stupida.Angelica abbassò gli occhi per un istante, come se si fosse resa conto di averlo al collo solo

adesso. Ritrasse bruscamente la mano con cui lo stava rigirando. — È solo l’ultimo ricordo di unabrutta storia — disse a voce così bassa che la udii a malapena. Poi mi voltò le spalle e uscì dallacaffetteria, camminando velocemente, come per lasciare indietro un cattivo pensiero.

D’istinto mi toccai l’anello con l’occhio di tigre. Senza alcun motivo apparente, mi ritrovai apensare che il ciondolo di Angelica era appartenuto a qualcuno che aveva subito un tragico destino.

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In qualche modo, forse, anche lei stava cercando il modo di non dimenticare una persona che le erastata cara. Ero sempre stata convinta che fosse una ragazza superficiale, attenta solo all’apparenza.Ma ora capivo che anche Angelica nascondeva un universo di emozioni contrastanti e ricordidolorosi. Proprio come me. Mi chiesi se avrei mai conosciuto la storia che custodiva il ciondolo cheportava al collo.

Tornai da Misha con la coda tra le gambe. Lui mi accarezzò la schiena come se fossi io, il suofamiglio. Mi lasciai cullare dal suo tocco, al punto da credere che avrei finito per fare le fusa.

— Non prendertela — mi disse con voce affettuosa. — Considera che fino a ieri anche lei eraconvinta che tu fossi morta. Penso che in qualche modo si sia sentita abbandonata. E, forse, dopo tuttoquesto tempo si era abituata all’idea che tu non ci fossi più. Ora non sa come reagire nel vedere chesei sana e salva. Non mi fraintendere, sono convinto che sia contenta di rivederti. Sta solo…cercando di affrontare questo nuovo sconvolgimento a modo suo.

— Io… non capisco — mormorai.Misha si avvicinò, come se potesse riscaldare il mio corpo col calore del suo. — Credo che

Angelica ci sia rimasta molto male quando non ti sei presentata all’appuntamento per venire alSantuario. Penso che si sentisse in debito nei tuoi confronti, e in qualche modo tu fossi diventata unasorta di… — Alzò gli occhi al soffitto, come per cercare le parole. Poi aggiunse: — Ecco, eridiventata una guida, per lei. Aiutandola ad affrontare Ecate le hai dimostrato che fare del bene aglialtri non rende più deboli. Grazie all’esperienza che avevate condiviso, Angelica aveva messo indiscussione il suo atteggiamento non solo nei confronti della magia, ma della vita stessa. — Misha misistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e non potei fare a meno di provare un brivido, perchéquello era un gesto che faceva sempre Sebastian. Schivai il suo sguardo, e Misha continuò: — PerAngelica eri diventata la cosa più simile a un’amica. La prima vera amica che abbia mai avuto. AMilano, dopotutto, era circondata soltanto da leccapiedi che avrebbero fatto qualsiasi cosa pur dicompiacerla. — Prelevò dal bancone una bustina di zucchero e cominciò a giocherellarci. — Quandosiamo dovuti partire per il Santuario senza di te, si è sentita piantata in asso. Questo l’haprofondamente turbata, si è sentita di nuovo perduta, senza più un modello da seguire o almeno unpunto di riferimento a cui chiedere un consiglio.

Nascosi il viso nel petto di Misha, avevo voglia di sprofondare dentro il suo abbraccio. Erosempre stata così impegnata a riflettere sulle mie debolezze che non avevo mai considerato che perqualcuno potevo essere un esempio. Eppure avrei dovuto saperlo. Con Federica era stata la stessacosa. Dopo che mi aveva donato la sua fiducia, l’avevo ripagata con l’indifferenza.

Era strano a dirsi e non l’avevo mai ammesso neppure con me stessa, ma ero stata fortunata.Almeno io avevo potuto contare su Sam, la stella che mia madre aveva lasciato sul mio cammino peraiutarmi a diventare una persona migliore, una strega migliore. Angelica, nonostante l’apparenzadella ragazza frivola, ricca e viziata, in realtà non aveva mai potuto contare su nessuno. Avevosempre pensato che fosse troppo egocentrica per avere dei sentimenti, ma mi sbagliavo. E alla fineero riuscita a ferire anche lei.

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L’oscurità cammina al suo fianco

Avere Misha come chaperon tra i corridoi labirintici del Santuario riuscì a risollevare il mio umore.Gli sfuggì un sorriso nel mostrarmi l’aula magna dell’istituto, ricordando che era lì che ero sbucata,uscendo dal condotto di aerazione. Sembrava molto diversa da quando l’avevo vista la prima volta,forse perché in quell’occasione ero allo stremo delle forze, e poi scoprire che in realtà mi trovavo alSantuario delle streghe era stato un autentico shock.

Quando Misha mi condusse in biblioteca, ebbi quasi un mancamento per il senso di meraviglia chel’immensa struttura mi suscitò. All’ingresso era posizionato un banco dove una ragazza con gliocchiali dalla montatura rotonda e i capelli rasati si occupava di controllare e catalogare i libri darimettere negli scaffali. La sua postazione era sommersa da una pila di volumi e lei sembrava moltoconcentrata su un computer portatile, al punto che ci degnò a malapena di un’occhiata. Alle sue spallesi apriva una sala dal soffitto inverosimilmente alto, sorretto da archi a sesto acuto dalle volteaffrescate che poggiavano su colonne di marmo bianco.

Ogni parete era interamente occupata da decine di scaffali stipati di libri, la maggior parte deiquali, a colpo d’occhio, sembravano molto antichi. Il pavimento della sala era diviso in quadri, concommessi marmorei dai sofisticati ornamenti a mosaico che ricordavano quelli di certe abbazierinascimentali. Ogni illustrazione ritraeva una specie animale.

— Si tratta di antiche raffigurazioni dei famigli, una sorta di celebrazione dei compagniinseparabili di ogni strega — mi disse Misha, sottovoce.

— Già, a volte mi chiedo come farei senza di te — farfugliai.Lui si limitò a schermirsi con una mano.Seduti ai grandi tavoli in legno c’erano decine di studenti impegnati nella consultazione dei

volumi. — A questo proposito, c’è una cosa che volevo chiederti — ribattei.Fatta eccezione per noi due, il silenzio in sala era assoluto, quasi irreale. Misha mi fece cenno di

seguirlo fino a una porticina che conduceva in una piccola stanza interamente occupata da schedari dicolore nero.

— Qui potremmo chiacchierare senza disturbare nessuno — disse.Su ognuno dei piccoli cassetti era stampata una lettera dell’alfabeto. Ne aprii uno, incuriosita, ed

era stipato di schede ingiallite con titolo, autore, argomento dei libri.— Che ci fa la bibliotecaria con il MacBook se poi deve comunque mettere il naso tra queste

scartoffie? — obiettai.— Sai com’è, qui al Santuario modernità e tradizione sono in turbolenta convivenza. Tra i

responsabili della biblioteca ci sono ancora parecchie streghe che preferiscono i vecchi metodi dicatalogazione e non saprebbero trovare un volume tramite il computer neanche applicandosi per ungiorno intero.

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— Mi ricorda qualcuno — bofonchiai.— Stai insinuando che sono negato per la tecnologia?— Sbaglio o in questa stanza è presente qualcuno che per scrivere un’email ha quasi provocato un

blackout nella sala computer del liceo?— Ehi, quando sono nato io le uniche macchine esistenti erano i carillon!— Hai ragione — dissi con un sorriso. — Anche se questo significa che dovrò impegnarmi a darti

qualche lezione.— Non ce ne sarà bisogno, mi sono iscritto a un corso base di informatica — brontolò lui,

incrociando le braccia al petto. — Anche se ammetto che sono un po’ preoccupato per l’esame.Finirò per dover chiedere il tuo aiuto comunque — aggiunse, con una punta di sconforto.

— Sarà meglio — gli intimai scherzosamente.— Piuttosto… di cosa volevi parlarmi?Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. — Le streghe… hanno tutte un famiglio, vero?— Certamente — disse. — Perché me lo chiedi?— Be’, si tratta di Angelica. Quello che ha detto poco fa mi ha fatto riflettere. Ha detto che lei non

ha mai trovato il suo famiglio.Misha assunse un atteggiamento pensieroso. — Mmm — mormorò. — In effetti è una situazione

piuttosto insolita, e non saprei spiegartene il motivo. I sensi di un famiglio si possono risvegliareprima che i poteri della sua strega si manifestino. Può succedere che un famiglio trovi la sua stregaanche molto prima che lei compia diciassette anni, ma non ho mai sentito di una strega che nonl’avesse trovato, per quell’età. È un istinto primordiale a spingerci a cercare tracce della nostrastrega. Possiamo percepire la sua presenza a chilometri di distanza. È un po’ imbarazzante doverloammettere, ma trovare la propria strega per un famiglio è un po’ come ritrovare la strada di casa perun cane che si sia perso. Ecco, l’ho detto, ora puoi prendermi in giro.

— Ma come si può decidere di appartenere a una strega piuttosto che a un’altra?— Questo è un discorso complesso, e temo di non saperti dare una risposta. — Mi guardò

intensamente negli occhi, aggiungendo: — Penso che sia lo stesso motivo per cui non possiamoscegliere di chi innamorarci. Succede e basta.

— Lo diceva sempre anche Chloe — sospirai.Senza aggiungere altro, Misha mi accarezzò il viso, fino a lambire l’attaccatura dei capelli. —

Ritroverai la tua amica quando tutto sarà finito, vedrai — mi disse, con voce morbida come untessuto pregiato.

La mia migliore amica mi mancava, è vero. Ma c’era dell’altro. Mi vergognavo ad ammetterlo ma,per quanto la presenza di Misha fosse rassicurante e riempisse il mio cuore di vibrazioni positive,desiderai che al mio fianco ci fosse Sebastian, adesso.

— C’è qualcosa che ti turba? — mi chiese Misha, dopo un lungo istante di silenzio in cui sospesinell’aria c’erano soltanto i nostri respiri.

Sapevo di poter parlare di qualsiasi argomento con lui, dopotutto era il mio famiglio. Conun’unica eccezione: nominare Sebastian lo contrariava, e non poco. Sollevare quell’argomento ognivolta risvegliava antichi rancori. Misha non aveva perdonato Sebastian per quello che era successonella mia vita precedente, e d’altronde potevo capirlo.

Decisi quindi di mordermi le labbra e tenere per me il motivo della mia inquietudine. — No,niente — mormorai.

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Misha mi prese per le spalle e mi guardò intensamente. — Sicura?Annuii con ampi movimenti della testa. — Sì, è tutto okay. Be’… quasi — e tentai di sorridere,

con scarso successo. C’era anche un’altra domanda che mi ronzava in testa, e di cui da tempo avreivoluto conoscere la risposta. — Stavo pensando a Sam. Anche lei non ha il suo famiglio… — E nonha più una fidanzata, pensai. Non da quando Federica era morta a causa mia.

— Non te ne ha mai parlato? — ribatté Misha, sorpreso.— In effetti, non ce n’è mai stata l’occasione — ammisi.L’espressione di Misha si adombrò. — Saprai che l’adolescenza di Sam è stata tutt’altro che

facile — disse con voce bassa. — Lo aveva trovato, però, il suo famiglio. Ho sentito dire che era unamagnifica civetta dalle piume argentate e gli occhi dalle sfumature iridescenti. Ma non è andata afinire bene. È una vicenda molto triste, di cui credo Sam preferirebbe parlarti di persona.

— Capisco.— Che ne dici di proseguire il nostro giro turistico? — mi chiese lui, come per smorzare

l’atmosfera pesante che quelle poche parole erano state in grado di evocare.— D’accordo — dissi, prendendolo a braccetto.— Ti faccio vedere la mia stanza, se ti va.Uscimmo dalla biblioteca dirigendoci verso una rampa di scale. Avevamo percorso pochi gradini

quando mi sentii chiamare. Era la voce di Ginevra.Mi voltai verso di lei. Non era sola.Balbettai un ciao poco convinto.Stava uscendo dalla biblioteca anche lei. Era trafelata.— Che bella coincidenza — disse Ginevra.Accanto a lei c’era Adam.— Stavo riordinando gli appunti di Filosofia orientale quando vi ho visti passare accanto al

nostro tavolo — continuò.Adam aveva un’espressione accigliata. Evitava il mio sguardo, come se fossi un’appestata. —

Già, Misha mi sta facendo da guida tra le bellezze del Santuario — riuscii a ribattere.— Allora dovreste assolutamente visitare la pinacoteca — si intromise Adam, lanciando

all’improvviso lo sguardo su di me come se fosse un dardo avvelenato. — Ci sono capolavori degnidi un museo. Per esempio, lo sapevi che la Gioconda del Louvre è una copia? L’originale è molto piùgrande, ed è custodito qui.

— D-davvero? — balbettai.Ginevra gli diede un pizzicotto sul fianco. — Non starlo a sentire, Zoe! Ti sta prendendo in giro. A

proposito, non vedevo l’ora di presentartelo. Lui è Adam, il mio ragazzo.Per poco non ebbi un mancamento, al punto che Misha mi cinse la vita col braccio per evitare che

cadessi giù dalle scale. E per fortuna che eravamo solo sul secondo gradino. Adam mi rivolseun’occhiata divertita. Possibile che in sua presenza non riuscissi nemmeno a mantenere l’equilibrio?

Anche se era di una bellezza devastante, non potevo credere che quel tipo arrogante fosse ilragazzo della mia compagna di stanza. Alzai gli occhi al cielo, senza poter trattenere una smorfia difastidio. Se prima avevo desiderato cambiare corso di studi per non doverlo più incontrare, oracontemplai l’ipotesi di chiedere a Adelaide di assegnarmi una nuova stanza.

— Certo che è vero — protestò Adam. — Con quel dipinto, Leonardo da Vinci ha inteso ritrarreuna delle streghe più potenti del suo secolo. — Poi, guardandomi intensamente, aggiunse: — Sono

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certo che Zoe sa apprezzare l’arte almeno quanto tu ami il tiro con l’arco, Ginevra.Era vero, sono sempre stata affascinata dall’arte, soprattutto da quando avevo scoperto che per

molte streghe il Dono si manifesta come uno spiccato talento. Ma cosa ne poteva sapere, lui?— Frequentate il corso di Tiro con l’arco? — Ero sempre più convinta che la mia scelta del piano

di studi fosse un fallimento su tutti i fronti.Ginevra assentì. — Perché ho come l’impressione che vi conosciate già, voi due? — chiese in

tono insinuante.— Non ci conosciamo affatto — mi affrettai a puntualizzare.— Abbiamo avuto un incontro casuale sui gradini dell’aula di Storia — aggiunse Adam.— Be’, non ha alcuna importanza — tagliò corto Ginevra. — Adam, lui è Misha, il famiglio di

Zoe.Adam tese la mano, in attesa che Misha facesse lo stesso.Ma Misha rimase immobile, con le labbra strette e l’espressione contrita. Per un lungo istante non

disse nulla, ed ebbi paura che si mettesse addirittura a ringhiare. — Piacere di conoscerti, Adam —affermò poi, con un tono che non aveva niente di accomodante.

— Anche tu frequenti Tiro con l’arco, vero? — chiese Ginevra.Misha si limitò ad annuire.Senza distogliere lo sguardo da Misha, Adam tirò un sorriso, poi ritrasse lentamente la mano. —

Non è fantastico? — proruppe. — Ci vedremo tutti quanti a Tiro con l’arco. Potremmo formare unasquadra in vista dei test intermedi.

— Sarebbe? — chiesi, incuriosita.— I test di Tiro con l’arco sono articolati in modo da simulare delle azioni di guerriglia — spiegò

Ginevra. — Syara, l’Amazzone che ci fa da istruttrice, sostiene che aiuti a rafforzare lo spiritocameratesco e i legami tra i compagni di corso, in vista di una possibile battaglia contro gliInquisitori.

— Non credo affatto che sia una buona idea — sentenziò Misha.— Insisto — disse Adam. — Gli amici di Ginevra sono amici miei.Ero così disorientata che non sapevo come intervenire per smorzare la tensione. Da un lato,

Ginevra si era dimostrata amichevole e mi avrebbe fatto piacere conoscerla meglio, ma dall’altrol’atteggiamento di Adam mi indisponeva. Cosa aveva in mente? E per quale motivo Misha era cosìostile nei suoi confronti?

Certo, se la prospettiva di suonare il pianoforte durante le lezioni di Danza con Lucrezia e Jezebelera poco allettante, come avrei potuto definire trovarmi gomito a gomito con Adam durante unasimulazione di guerriglia?

— E se ne parlassimo a lezione? — riuscii a dire, interrompendo Misha prima che aggiungessequalcosa di avventato.

— Ha ragione Zoe — proruppe Ginevra. — Magari Syara non è d’accordo e ci troveremmo a farepiani di battaglia per niente.

Poco dopo, io e Misha ci trovammo a percorrere il corridoio che conduceva al dormitoriomaschile.

— Dovremo fare presto, alle ragazze non è consentito entrare in quest’ala del Santuario — midisse.

— Lo immagino. Da quello che ho visto, Adelaide è piuttosto attenta alle regole.

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— Infatti — confermò Misha — ma ci tenevo a mostrarti parte di quello che è stata la mia vita quisenza di te.

Incontrammo alcuni ragazzi che mi rivolsero occhiate tra il meravigliato e il preoccupato, e cheMisha si limitò a salutare con un cenno del capo. Immaginai che fossero sorpresi di trovare unaragazza tra corridoi riservati ai maschi, e provai un profondo imbarazzo.

— Si può sapere che ti è preso? — chiesi a Misha, mentre lui si fermava di fronte alla porta dellasua stanza.

Lui si strinse nelle spalle. — Parli di Adam?— E di chi, se no? Anch’io sono rimasta stupita dalla sua proposta, e lui non brilla certo per

simpatia, ma la tua era ostilità allo stato puro.— Non so che dirti, Zoe. È una sensazione, non mi piace quel ragazzo. Secondo me nasconde

qualcosa.— Può darsi… ma è pur sempre il fidanzato della mia compagna di stanza. Magari è il caso di

usare un po’ più di diplomazia.Misha si mise a ridere. — Zoe Malaspina, da quando ti intendi di diplomazia?Incrociai le braccia sul petto e adottai l’espressione più indispettita del mio repertorio. — Ehi,

Misha De Gregori. Mostra un po’ di rispetto per la tua strega.Lui si passò una mano tra i capelli. — Credo che non sia opportuno frequentare quel ragazzo, tutto

qui. Qualcosa di oscuro cammina al suo fianco.— Non ti pare un po’ affrettato come giudizio? Magari nasconde un cuore d’oro sotto la corazza di

presunzione. — Ne sapevo qualcosa, di corazze sotto le quali nascondere i propri sentimenti. Per unavita ero stata considerata una ragazza cattiva solo perché non reagivo bene alle battute sui miei occhigialli. Quando ero bambina, mia madre mi diceva sempre che come un gatto rosso avevo la tendenzaa graffiare per difendermi dai predatori.

Quanto aveva ragione mamma, anche se allora non potevo immaginare che quella dei predatorinon era una metafora. Gli Inquisitori non avrebbero mai smesso di darmi la caccia per permettere alloro tenebroso Gran Maestro di tornare completamente umano. Mi chiesi se Sebastian avesse maisaputo a che razza di mostro aveva giurato fedeltà. Quando ne avevamo parlato, non mi era sembratoche conoscesse la vera identità del Gran Maestro. Al contrario, mi dava l’impressione di non sapereaffatto che si trattava di un Inquisitore vissuto addirittura nel Sedicesimo secolo. D’altronde l’Ordinenon aveva affatto l’abitudine di informare Sebastian anche su questioni importanti.

— Me ne rendo conto, Zoe — mormorò Misha, riportandomi coi piedi per terra. — Ma nonchiedermi come lo so… lo so e basta.

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Non c’è luce senza oscurità

Misha aprì la porta e mi precedette nella sua stanza. Gli scuri erano socchiusi, per cui era immersanella penombra e dovetti attendere qualche istante perché gli occhi si abituassero all’oscurità. Unodei due letti era posizionato a ridosso di una parete tappezzata di ritagli e fotografie cheraffiguravano boschi, cascate, campagne sconfinate dove gli alberi crescevano allo stato brado.Immaginai che Misha avesse voluto ricreare uno scorcio che gli ricordasse i luoghi dove eracresciuto. In basso, vicino alla testata del letto, c’era una mia foto. Era stata scattata a scuola, unamattina d’autunno, durante l’intervallo. Indossavo una maglietta a righe bianche e rosse con lo scolloa barchetta e sorridevo. Sembravo così spensierata. Provai una fitta di nostalgia.

— E questa da dove salta fuori?Misha arrossì, e con un movimento fulmineo la staccò dalla parete per nasconderla nel cassetto

della scrivania. — Solo un ricordo del liceo — farfugliò.— La guardava sempre quando era triste. E capitava spesso, te l’assicuro. L’ha praticamente

consumata, quella foto.Mi girai in direzione della voce che aveva pronunciato quelle parole. Steso sul letto alla parete

opposta c’era un ragazzo che indossava una camicia bianca aperta sul petto e un paio di pantaloniaderentissimi di pelle nera. Nonostante la penombra, era assorto nella lettura di un libriccino dallacopertina sgualcita. Sbirciai il titolo: I fiori del male.

— Il tuo compagno di stanza è un vampiro? — scherzai con Misha, parlando sottovoce.In tutta risposta, Misha mi lanciò un’occhiataccia.— No, certo che no — rispose il ragazzo con voce bassa e profonda. — Se fossi un vampiro,

forse la gente mi guarderebbe con meno diffidenza.Arrossii, imbarazzata. — Scusami. Credo di aver dimenticato di nuovo di collegare la lingua al

cervello.— Figurati — sorrise lui. — Io sono un negromante.Lo guardai perplessa.— Be’, è un buon inizio — aggiunse. — Di solito quando lo dico l’espressione varia dallo

sgomento al terrore.Mi strinsi nelle spalle. — Un modo come un altro per rompere il ghiaccio, no?Di nuovo sorrise. Il suo volto emaciato era di un pallore innaturale, gli occhi acquosi e le labbra

sottili come un filo di cotone. Aveva lineamenti regolari, era bello ma non appariscente. Mi tese lamano. — Io sono Valentino. Tu devi essere Zoe, la strega di Misha.

— Piacere — dissi. — Hai buon gusto in fatto di letture.— Ti piace Baudelaire?— Lo adoro — ammisi. — Tu… pratichi la magia nera? — mi decisi a chiedere, dopo un istante

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di silenzio.— Sono un pittore che un Dio ironico condanna, ahimè, a dipingere le tenebre — recitò

Valentino citando una delle poesie di Baudelaire. — Noi negromanti discendiamo da Seth, il dioegizio delle tenebre. Siamo considerati malvagi, solo perché l’oscurità è la nostra dimensione. Ma, tiassicuro, non è così. Non c’è oscurità senza luce, e non c’è luce senza oscurità.

— Si dice che un negromante sia in grado di resuscitare i morti.— Un corpo morto è soltanto… un corpo. Non è propriamente vita quella che posso donare a un

cadavere. Posso dialogare con gli spiriti, e a volte aiutarli a trovare la strada verso la luce. Sono ingrado di evocare i demoni, ma non lo farò mai più. Non dopo quello che è successo. — Abbassò losguardo, come per respingere un ricordo doloroso.

Decisi di non approfondire, ma era evidente che anche Valentino si trovava al Santuario per unerrore che aveva commesso nell’uso della magia. Aveva ragione Angelica. L’Accademia era unprogramma di recupero e correzione per coloro che avevano fatto cattivo uso della magia. Cercai discacciare un moto di disagio. Dopo un lungo istante di silenzio in cui mi guardai intorno, rimasicolpita dalla custodia di violino appoggiata ai piedi del letto.

— Suoni il violino? — chiesi a Valentino.— Suono nell’orchestra del Santuario. Forse eri un po’ troppo sconvolta per farci caso, ma ero sul

palco quando hai fatto il tuo inaspettato e spettacolare ingresso.Mi sentii avvampare per l’imbarazzo. — Ma certo che mi ricordo — dissi. — Anche se devo

ammettere che ero davvero frastornata. E forse lo sono ancora, mi ci vorrà un po’ prima di abituarmiallo stile di vita del Santuario.

— Se mi avessero confinato in Riabilitazione, anch’io avrei cercato di scappare dalle condutturedell’aria — fece Valentino con un sorriso. — Tu suoni il piano, vero?

Feci sì con la testa. — Adelaide mi ha reclutato per accompagnare le lezioni di Danza.Valentino corrugò la fronte. — Allora è vero quello che Misha dice di te. Sei una strega

coraggiosa.Guardai Misha con aria interrogativa.— Diciamo che i pianisti ingaggiati per il corso di Danza finora non hanno avuto vita lunga —

ribatté Misha. — Artisticamente parlando, s’intende. Oltre al fatto che tra le ballerine ci sonoLucrezia e Jezebel, pare che l’insegnante sia parecchio esigente.

— Grazie mille, ora mi sento decisamente meno tesa — borbottai.Dato che era il momento di lasciare il dormitorio maschile, salutai Valentino.— Spero di rivederti alla festa del solstizio — mi disse lui.Corrugai la fronte. — Ci sarà una festa, qui al Santuario?Misha annuì. — Il solstizio d’estate è una delle feste pagane più importanti, e qui al Santuario i

festeggiamenti durano giorni. Il saggio dell’orchestra faceva parte delle celebrazioni, cheraggiungeranno il culmine la notte tra il 23 e il 24 giugno.

— Se non mi espellono prima, immagino che ci sarò — dissi a Valentino con un sorriso.Poi seguii Misha fuori dalla stanza. Mentre stavamo percorrendo il corridoio che conduceva alle

scalinate, chiesi a Misha: — Cos’ha fatto di tanto grave Valentino per finire qui?— La sua ex ragazza è morta dopo essere stata posseduta da un demone che lui aveva evocato.— E lo dici con questa tranquillità? — sbottai.— Be’… Valentino è un tipo a posto. Lo conosco solo da qualche mese, ma so che avrà avuto i

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suoi buoni motivi per fare quello che ha fatto. Tutti commettiamo degli errori.— Ne so qualcosa — ammisi.— Anche Erzsebet era una negromante. Ma non è per questo che ha fatto quello che ha fatto. La

negromanzia non è sbagliata di per sé. Come tutti noi, anche Erzsebet ha avuto la possibilità discegliere tra il bene e il male. Si dice che sia impazzita dopo la morte del marito, lo spietato FerencNàdasdy, un generale ungherese noto per le torture che infliggeva ai prigionieri. Come la dea Isideaveva cercato di resuscitare l’amato Osiride fatto a pezzi dal fratello, così Erzsebet, travisando ilsignificato di questo mito, cercò di fare lo stesso con Ferenc. Come saprai, sfruttare la magia per unoscopo personale porta a conseguenze terribili. Se prima Erzsebet era una nobildonna intransigente, ilsuo uso scellerato della negromanzia la trasformò in un’assassina sanguinaria e finì per divorare ciòche restava della sua umanità.

— Per questo la chiamavano la Contessa vampira?— C’è un motivo ben preciso che le ha fatto guadagnare quel soprannome. La sua ossessione per

la bellezza era pari solo alla sua crudeltà — affermò Misha. — Erzsebet fece sterminare una famigliadi zingari perché la figlia di uno di loro era considerata più bella di lei. Prima di morire, la madre,che era una strega, lanciò una maledizione contro Erzsebet. Da quel giorno, la contessa fu condannataa nutrirsi di sangue per evitare che la sua bellezza sfiorisse.

La schiena mi si riempì di brividi. — È orribile.— Purtroppo non tutti la pensano come te. Erzsebet agiva con la sfacciata presunzione della

nobiltà di quell’epoca. Dopo che fu espulsa dalla Sorellanza, le sue idee radicali la fecero diventareleader incontrastata di una frangia estremista che intendeva sottomettere il genere umano in nome diuna presunta superiorità del sangue delle streghe. La sua corte era frequentata da persone malvagie eservitori privi di scrupoli e dalla fedeltà assoluta. Tra loro spiccava Darvulia, un’enigmatica figuraavvolta dal mistero. Per alcuni era una strega, per altri un demone. Pare sia stata lei a organizzare lafuga della contessa, dopo il suo arresto.

— Come hanno potuto permettere che accadesse?Misha si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. — La giustizia del re ungherese si mosse,

ma era troppo tardi. La Cerchia delle Arpie era forte, e il germe dell’odio era già stato sparso pertutta l’Europa. Quando finalmente Erzsebet fu arrestata, non era rimasta alcuna traccia delle sue molteseguaci, compresa Darvulia. E nonostante i crimini che aveva commesso, a quell’epoca non eraprevista la pena capitale per i nobili. Per questo fu condannata a un castigo ugualmente terribile: fumurata viva nella torre più alta del suo castello, guardata a vista da uomini armati, con un solospiraglio da cui le veniva passato il cibo. — Misha mi guardò intensamente negli occhi, aggiungendo:— Ma la mattina del 21 agosto del 1614, quando i suoi carcerieri le portarono da mangiare, di leinon c’era più traccia. I muri della sua prigione furono abbattuti per effettuare una perquisizioneapprofondita alla ricerca di eventuali passaggi segreti, ma non fu trovato niente. Il re fece spargere lavoce che quel giorno Erzsebet Bathory era morta, ma la contessa era scomparsa. A terra era rimastosoltanto lo specchio che lei aveva chiesto come unico conforto, per continuare a contemplare la suaimmutabile bellezza.

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La notte in un abbraccio

Quella sera, in mensa, andai a sedermi al tavolo con Sam e Misha. In lontananza vidi Adam eGinevra, ma mi limitai a salutarli con un breve cenno della testa. Per qualche motivo, il pensiero diincontrarli l’indomani alla lezione di Tiro con l’arco mi intimoriva. Forse era per via della reazioneche aveva avuto Misha. Sapevo che di solito il suo istinto nel fiutare il pericolo non sbagliava. Mistavo convincendo che Adam stesse nascondendo qualcosa, e il suo comportamento amichevole fosseun modo per mascherare le sue vere intenzioni.

Forse la mia era soltanto diffidenza, ma detestavo il fatto che mi bastava incrociare il suo sguardoper sentirmi vulnerabile. Qualcosa di Adam mi attirava, eppure soltanto lontano da lui mi sentivo alsicuro. Tuttavia, mi ritrovai a cercare i suoi occhi senza volerlo davvero.

Come se non aspettasse altro, lo vidi dire qualcosa all’orecchio di Ginevra e poi alzarsi. Lei miseuna specie di broncio, sembrava molto arrabbiata.

Ti prego, fa’ che abbia solo dimenticato il sale, pensai. Incollai lo sguardo al mio piatto e cercaidi ignorare il fatto che Adam si stava invece dirigendo a passo sicuro verso il mio tavolo.

— Zoe — sentii dire dalla sua voce calda, quando fu a un metro di distanza.Alzai gli occhi e glieli piantai addosso. — Adam — ribattei seccata.— Posso parlarti? — mi chiese.— È un luogo pubblico, no? Sei libero di fare ciò che vuoi — riuscii a rispondere, senza

addomesticare il tono.Adam fece un sorriso che trovai irresistibile, e sono certa che sul mio viso si dipinse

un’espressione idiota. Cercai di scrollarmela di dosso come una presenza indesiderata.— In privato — aggiunse lui.Sam mi guardò con aria vagamente divertita. Misha era troppo stupito per ribattere.— Sono al tavolo coi miei amici. Non mi sembra carino lasciarli a metà della cena.— Ti chiedo solo un minuto — disse Adam. — Poi non ti disturberò più.— L’hai sentita, no? — intervenne Misha. — Ora, se ci vuoi scusare…Fermai Misha con un cenno. Ci mancava solo di scatenare un’altra rissa. — È tutto okay, Misha —

lo rassicurai. Poi, rivolgendomi a Adam dissi: — D’accordo — e mi alzai. Lo seguii fino a un angolodel locale.

Mi accorsi che seduta in disparte c’era Angelica. Evitava il mio sguardo, e per un attimo fuiindecisa se chiederle se andava tutto bene o limitarmi ad assecondarla. Prima che potessi prendereuna decisione, fu lei a togliermi d’impiccio. Si alzò, prese il suo vassoio e andò a sedersi… al mioposto! Misha e Sam si scambiarono un’occhiata, poi si misero a ridere e iniziarono unaconversazione. Alzai gli occhi al cielo mentre Misha, guardandomi, allargava le braccia in segno diresa.

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— Verrai anche tu alla festa del solstizio? — mi chiese Adam.— Non sono dell’umore giusto per festeggiare — risposi.Lui esibì un sorriso da diavolo in libera uscita, studiandomi come per capire se lo stavo

provocando. E in un certo senso aveva ragione. Non pensavo di evitare la festa, mi stavo solochiedendo come evitare Adam durante la festa.

— Potrebbe essere una buona occasione per conoscere i tuoi compagni di corso.— In realtà stavo pensando di cambiare piano di studi. — Mi accorsi che mentre parlavo lui mi

fissava la bocca. Mi ritrovai ad avvampare, pensando che forse avevo un residuo di cibo. — Chec’è? — lo incalzai. — Ho qualcosa sulle labbra? — e cominciai a strofinarle per pulirmi.

— No — mormorò lui, scoccandomi un’occhiata decisamente troppo sexy perché potessi far fintadi niente. Poi fu sul punto di dire qualcos’altro, ma si interruppe, mordendosi le labbra.

Questo non fece che peggiorare l’imbarazzo ed ebbi il desiderio irrefrenabile di spintonarlo efuggire via. — Be’, se non c’è altro, allora io…

— Perché hai sempre tanta fretta di andartene?— Forse perché trovo la tua compagnia irritante?Questa volta scoppiò a ridere come se avessi raccontato una barzelletta sconcia. Chiaramente

aveva un’opinione di sé talmente alta da ritenere impossibile un rifiuto. — No, non credo che siaquesto.

— Allora dovresti farti un esame di coscienza. Comportarsi come uno stalker tende ad allontanarele ragazze, non te l’hanno insegnato al corso di seduzione?

— Mi trovi seducente? — mi chiese divertito.— No! — protestai.Fece di nuovo quel sorriso maledettamente insostenibile.— Senti — feci. — Non ho tempo adesso, e non mi sembra il caso di starcene qui in disparte… io

e te soli. Insomma, cos’è che volevi dirmi di così importante?Si guardò intorno per un istante, poi tornò a focalizzare l’attenzione su di me. — Non volevo

spaventarti mentre suonavi, stamattina — ammise. — È solo che ho sentito una bellissima melodia enon ho resistito. Dovevo scoprire chi era in grado di trasmettere tante emozioni attraverso le note.Non pensavo fossi tu.

Distolsi lo sguardo per non arrossire di nuovo ma fallii miseramente, perché sentii una vampata dicalore invadere le guance. — Mi sono esercitata qualche volta — dissi soltanto, con un tono di vocevagamente fuori luogo.

Adam allungò una mano per scostarmi il viso e spingermi a guardarlo di nuovo. Fui pervasa dalprofumo di sapone che emanava la sua pelle e quello fu davvero troppo. Il contatto mi fece tremare legambe e il cuore nel petto si mise a correre come un atleta sul punto di battere il record dei centometri a ostacoli.

— Le emozioni non si imparano con l’esercizio — disse.Mi strinsi nelle spalle, incapace di ribattere. Avrei voluto avere a portata di mano un libriccino

con le risposte d’emergenza in caso di forte imbarazzo, e invece i miei neuroni erano bloccati dallasua presenza.

— Sbaglio o tendi a sottovalutarti? — mi incalzò.— Sbagli — mormorai con la voce che tremava. La gola mi si stava stringendo per il turbamento e

parlare mi costava fatica. Cosa mi stava succedendo?

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Adam non era Sebastian, e mi sentivo patetica per non riuscire a controllare il corpo in suapresenza. Sapevo cosa avrei dovuto fare: lasciar perdere la conversazione e andarmene sdegnata. Einvece rimasi incollata di fronte a lui come se le mie caviglie fossero diventate di cemento.

— Ascolta — disse dopo un lungo silenzio carico di elettricità. — Suonerò sul palco durante lafesta del solstizio e sarà la mia prima volta davanti a un pubblico. Mi farebbe piacere sapere che cisarai tu, tra quel pubblico.

— Perché non lo chiedi alla tua ragazza?— Credo che solo tu, qui dentro, possa capire quanto sia difficile mettersi in gioco su un

palcoscenico.Scossi la testa nervosamente. Sì, suonare davanti alla gente mi aveva sempre spaventato a morte, e

solo sapendo che Sebastian era al mio fianco ci ero riuscita, durante la rappresentazione del Paolo eFrancesca, a Milano. Tuttavia, non avevo dimenticato l’espressione di Sebastian quando avevainterpretato la parte di Gianciotto, il marito tradito di Francesca. Il guizzo in fondo al suo sguardo miaveva fatto pensare che in quel momento si sentisse davvero come il mio nemico naturale, unInquisitore determinato a uccidere la strega che aveva giurato di amare.

— Ci sarà Ginevra con te — dissi.Adam fece una smorfia che lo rese ancora più bello. — Lei… non capisce — disse con una punta

di sconforto. — Secondo Ginevra la musica è solo una sequenza di note.Scossi la testa. — Se stai pensando di scaricarla non hai bisogno di usare la musica come

pretesto. Cerca solo di essere onesto con lei. — Ero orgogliosa di me, stavo riprendendo ilcontrollo. Forse.

Adam dischiuse le labbra e questa volta fui io a trovarmi a osservarle con troppa attenzione.Erano polpose e decisamente più belle delle labbra di qualsiasi altro ragazzo in sala, ma era il modocon cui le muoveva a renderle terribilmente sexy. Tutto, nei suoi gesti, comunicava sensualità. Michiesi se sfoggiare il suo repertorio di espressioni irresistibili fosse un modo di mettersi alla provacon le ragazze e tutto si riducesse a una costruzione per compiacere il suo ego. Forse le avevaprovate allo specchio, e ora stava solo cercando di fare colpo sull’ultima arrivata dopo averconquistato il resto del genere femminile al Santuario.

— Non parliamo di lei, ti prego. È già abbastanza complicato.— E tu rendi le cose semplici, no?Si sistemò una ciocca di capelli che gli scendeva sulla fronte. — Ci ho provato, ma è…— Complicato — conclusi, incrociando le braccia al petto. — Ora scusami, ma devo proprio

andare. Non vorrei che la mia compagna di stanza mi accusasse di averle rapito il fidanzato. — Giraii tacchi e mi avviai verso il mio tavolo. A metà del tragitto, mi voltai per lanciare un’occhiata nellasua direzione e lui era lì, immobile dove lo avevo lasciato, con l’espressione affranta e gli occhipuntati su di me. Mi sforzai di respingere il desiderio di tornare da lui e intimargli di non rivolgermimai più la parola. Il mio cuore era impegnato, e anche il suo. La convivenza forzata nel Santuario nonmi obbligava a essere socievole con chiunque, no?

Sam si alzò e mi venne incontro. — Tutto okay? — mi chiese.Annuii, anche se dentro ero un turbinio di sensazioni contrastanti.Mi avvicinai al tavolo. Angelica non mi degnò di uno sguardo, rimanendo seduta a quello che

prima era stato il mio posto. Misha mi scoccò un’occhiata inquisitoria.— Che cosa voleva, quello? — sbottò.

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— Niente di importante — dissi. — Sono molto stanca, ora. È stata una giornata impegnativa e hobisogno di riposare — aggiunsi per congedarmi. La verità era che avevo bisogno di tempo permettere ordine tra i miei pensieri.

In mensa non c’era traccia di Sasha e mi resi conto che non l’avevo incrociata per tutto il giorno.Pensai che doveva essere stata molto impegnata in Riabilitazione, dove c’era sicuramente bisogno ditutte le risorse disponibili e le Amazzoni dovevano vigilare con attenzione. Con elementi comeTamara in circolazione, tuttavia, ebbi paura per Ligea. Odiavo averla dovuta lasciare sola, mi sentivocome se avessi tradito la sua fiducia. E non potei fare a meno di riflettere su cosa potesse aver spintosua sorella Nolwenn a scegliere la strada del suicidio. Possibile che la vita in Accademia fosse statacosì dura per lei, al punto di abbandonare la sorellina al suo destino?

Una volta nella mia stanza, osservai la parete spoglia a lato del mio letto. Era inquietante sapereche gli incantesimi che aleggiavano nel Santuario erano opera di una persona come Erzsebet Bathory,la strega più malvagia di tutti i tempi. Era come se parte della sua essenza fosse sopravvissuta traqueste mura. Il solo pensiero bastava a rendermi irrequieta, quindi lo scacciai con forza.

Dato che la mia permanenza al Santuario sembrava doversi protrarre a lungo, decisi che dovevofare qualcosa per rendere la stanza un po’ più mia. Non ero ancora pronta a disfare lo zaino, quindimi limitai a incollare alla mia anta dell’armadio la foto di mia madre che avevo sottratto al miofascicolo, quella scattata sulla riva del lago in cui era così giovane e sorridente. Non potei fare ameno di chiedermi quale concatenazione di eventi avesse portato mamma al Santuario, molto primadi conoscere mio padre.

Poi mi spostai verso la finestra e la spalancai per respirare un po’ d’aria fresca. Mentre guardavofuori, lo sguardo si posava spesso sul salice che in precedenza aveva attirato la mia attenzione. PerValentino osservare il paesaggio notturno doveva essere come tornare a casa; l’ombra era il suoelemento. Ma le notti del Santuario, per me, non avevano niente di rassicurante.

Mi sforzai di immaginare il mio corpo esanime abbandonato ai piedi di quell’albero, il giorno chemi avevano ritrovato. Come ero arrivata fin qui, dopo aver avuto un incidente a Milano?

Ma ogni sforzo era vano. Non c’era altro che nebbia tra i corridoi della mia memoria. Nient’altroche un’ostinata, densa oscurità sulla quale, però, all’improvviso si sovrappose il volto amorevole diSebastian. Chiusi gli occhi per sognare di perdermi nel suo sguardo.

Immaginai di sentire la porta socchiudersi, poi i passi familiari dei suoi anfibi sul pavimento.Avrei finto di non accorgermi della sua presenza, continuando a scrutare la luna che si specchiavasulle acque del lago, controllando il respiro per non fargli capire che il mio cuore stava accelerando.

Poi avrei avvertito la sua mano che mi accarezzava i capelli, il suo tocco che si posava delicatosul ventre. Avrebbe accostato le labbra al mio orecchio e mi avrebbe sussurrato parole che soltantoio potevo sentire. Mi avrebbe voltato delicatamente. Gli avrei detto che mi era mancato da morire.Mi avrebbe chiesto di chiudere gli occhi e avrebbe risposto con un bacio profondo e appassionato.Riaprendo gli occhi, però, nella mia mente si sovrappose l’immagine di Adam che mi baciava.

Lo strillo di una civetta mi riportò bruscamente con i piedi per terra. Ero sempre sola, nella miastanza, ma con l’attenzione proiettata verso il bosco fuori.

Poi la porta cigolò per davvero, facendomi sobbalzare. Mi voltai di scatto, aspettandomi ditrovare Ginevra sulla soglia. Ma anziché lei, c’era la figura longilinea di un ragazzo alto dai capellineri graffiati di bianco.

— Misha — mormorai.

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Senza dire una parola si avvicinò, un passo alla volta, con l’incedere felpato di un animaleselvatico, fino a raggiungermi. Non smisi nemmeno per un istante di guardarlo fisso in viso. Avevagli occhi malinconici almeno quanto dovevano essere i miei.

Mi abbracciò, e io gli dissi: — Stringimi forte.Restammo allacciati per un tempo che mi sembrò infinito. Era come se nell’intero Santuario ci

fossimo soltanto io e lui, tra quattro pareti che somigliavano ai confini di una terra straniera.— Resta con me questa notte — sussurrai, per poi arrossire subito dopo per l’imbarazzo. —

Scusa — mi affrettai a dire. — N-non intendevo in quel senso… cioè, io… è solo che con te accantola notte è meno nera. — E la mancanza di Sebastian non rischia di uccidermi, avrei volutoaggiungere, ma non lo feci.

— Shhh — fece lui, appoggiandomi il dito sulle labbra per interrompermi. — Sono qui perrestare.

— Ma… la mia compagna rientrerà da un momento all’altro — protestai debolmente. — Potrebbescoprirti.

— Non ti preoccupare di Ginevra, non mi farò vedere da lei. Come furetto sarà facile tornarenella mia stanza senza farmi notare.

Scossi la testa con forza. — Adelaide potrebbe venirlo a sapere! Ha occhi e orecchie dappertutto.— Non ci pensare, ora — mormorò Misha. — L’unica cosa che so è che non posso lasciarti sola

questa notte. Resterò con te fino alle prime luci dell’alba, poi mi dissolverò come un sogno, esembrerà che non ci sia mai stato. Per tutti, tranne che per te.

Ci infilammo sotto le coperte e io mi feci piccola piccola, premendo la schiena contro il suo petto.Il suo abbraccio si fece avvolgente, protettivo. Intrecciai una mano alla sua, stringendo forte, come seil suo tocco potesse impedire ai miei pensieri peggiori di riemergere. La sua pelle era calda, il suoprofumo speziato e selvatico. Per un attimo mi sembrò di esserci davvero, all’interno del bosco,protetta da una coperta di foglie. Restammo così, cullati solo dai nostri respiri cadenzati, finché lepalpebre si fecero pesanti, e scivolai lungo la china del sonno.

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Le parole che non ti ho detto

Mi svegliai di soprassalto col fiato corto, come se per riprendere coscienza avessi dovuto scalareuna montagna. Ero sudata ma allo stesso tempo sentivo freddo, e il corpo era scosso da brividi alpunto che mi battevano i denti. Mi guardai intorno, febbrile. C’era qualcosa che non andava nella miastanza. L’arredamento era diverso da come lo ricordavo, persino la disposizione dei letti eracambiata. Anziché perpendicolare alla parete, il mio letto era parallelo alla finestra. Attraverso ilvetro, una luna al culmine della pienezza spargeva petali d’argento in tutta la stanza.

Rimasi a guardarmi intorno, disorientata, finché non mi resi conto che dal letto di fianco al mioproveniva un respiro roco, affilato. Mi protesi verso la mia compagna di stanza, rendendomi contoche si trattava di una ragazza corpulenta dal viso seminascosto dal lenzuolo. Aveva un aspettofamiliare. Qualche istante dopo quasi sobbalzai, nel rendermi conto che si trattava di Tamara.

Aprii gli occhi, questa volta per davvero.Mi guardai intorno, la stanza era di nuovo quella che conoscevo. Era stato solo un sogno.Tastai il letto alla ricerca di Misha, ma se n’era andato, lasciando una traccia del suo profumo tra

le lenzuola. Un profumo che era solo suo, e desiderai che non si dissolvesse più.Lanciai un’occhiata fuori dalla finestra. Era ancora buio, il cielo era solcato da alcune nuvole

grigie sospinte dal vento e la luna ne illuminava i bordi frastagliati. Ginevra dormiva tranquilla nelsuo letto. Il mio cuore, invece, non ne voleva sapere di rallentare la corsa.

Cercai di restare immobile e controllare la respirazione, sperando di riprendere sonno, ma nonc’era niente da fare. Mi sentivo come se prima di coricarmi avessi bevuto cinquanta caffè.Nonostante Misha mi avesse aiutato a sciogliere l’inquietudine, la mancanza della seconda metà dellamia anima continuava a stringermi il petto. Per quanto fosse triste da ammettere, sapevo di non potercondividere con nessuno i miei pensieri su Sebastian. Nessuno poteva capire quello che stavoprovando, quanto la sua mancanza stesse svuotando di senso ogni mia azione, ogni mio respiro.

Come sarebbe potuto essere altrimenti? Dopotutto mi trovavo al Santuario delle streghe. Il solonominare un Inquisitore era in grado di scatenare le peggiori reazioni anche da parte delle persone ame più vicine. E poco importava se quell’Inquisitore era il ragazzo che amavo, o se aveva dato provadi essere diverso dagli altri. Tutti avrebbero continuato a vedere in lui la maschera del nemico.

Scivolai fuori dal letto cercando di non far rumore. Non volevo rischiare di svegliare Ginevra. Miavvicinai alla scrivania camminando in punta di piedi, poi accesi la piccola lampada per illuminarneil ripiano. Tirai fuori un foglio da un cassetto e in qualche modo riuscii a trovare anche una penna.Decisi che avrei scritto una lettera a Sebastian, l’avrei fatto anche se al momento non avevo idea dicome gliel’avrei fatta avere. Non avevo certo un indirizzo da scrivere sulla busta, e chissà se oltre aun sistema di pagamenti personalizzato al Santuario stampavano anche una serie limitata difrancobolli. Il pensiero riuscì a strapparmi un debole sorriso, anche se l’amara verità era che

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Sebastian non avrebbe mai letto le parole che mi accingevo a scrivergli. Ma avevo bisogno disentirlo vicino in qualche modo, condividere con lui le emozioni che stavo provando e i momentiimportanti della mia nuova vita di cui mio malgrado non sarebbe stato testimone.

Caro Sebastian,non so se leggerai mai queste mie righe. Le scrivo di getto, nel cuore di una notte agitata in cui

di dormire non se ne parla proprio. Ci sono così tante cose di cui ti vorrei parlare e non sodavvero da dove iniziare.

Dove sei? Io mi sono ritrovata al Santuario delle streghe. Ricordi? Era qui che dicevi che avreipotuto ricevere aiuto per diventare una strega migliore, o forse solo una persona migliore. Ilproblema è che non so nemmeno come ci sono arrivata. Dicono di avermi trovata in fin di vita aipiedi di un salice. Per questo ho deciso di affidare queste mie parole proprio a quel salice, perchéle custodisca in attesa di rincontrarti.

Rivolsi un’occhiata alla finestra. Se come aveva detto Misha le lezioni di Tiro con l’arco eranouna buona occasione per trascorrere del tempo fuori dal Santuario, ne avrei approfittato per cercareun buon posto dove nascondere la lettera per Sebastian, e il salice di fronte alla finestra mi sembravaun posto perfetto. Non volevo custodirla all’interno della mia stanza o nell’armadietto, mi avrebbedato ancora di più la sensazione che le mie parole fossero prigioniere di questo posto almeno quantolo ero io. Affidandole alla terra mi sembrava di dare loro la possibilità di viaggiare lontano daqueste mura.

Per quanto mi riguarda, sono troppe le cose che non riesco a ricordare. Non ricordo come èavvenuto l’incidente che ha provocato la nostra separazione, quindi per me è come se tu fossiscomparso dalla mia vita da un giorno all’altro, senza alcun preavviso. Già, sembra solo ungiorno che le nostre strade si sono separate. E dire che ho passato così tanti mesi in coma che nelfrattempo i miei capelli sono cresciuti tantissimo. Sono certa che ti piacerebbero! Adoro quandomi passi le dita tra i capelli come per districarli, mi fa sentire bene.

Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ripensando a tutte le volte che lo aveva fattoSebastian e cacciai indietro una lacrima. Una farfalla notturna comparve improvvisamente,volteggiando nello spazio tra il muro e la scrivania. Si andò a posare sul ripiano, accanto al foglio.La osservai per qualche istante, prima di vederla spiccare nuovamente il volo e scomparire dal miocampo visivo.

Chissà quante novità avrai da raccontarmi. Qui la vita è molto diversa da come l’avevoimmaginata. Il Santuario mi sembra una roccaforte difensiva, ma più che da pericoli esterni, lesue mura sembrano innalzate per difenderlo da chi ci abita. Lo so, sembra un controsenso. E forselo è. D’altronde, questo posto sembra costruito sulle basi di una contraddizione. Da un lato offrerifugio a creature straordinarie, dall’altro fa di tutto per sopprimere le loro capacità.

Vorrei che le fazioni non esistessero più. Vorrei che tutto l’odio di cui siamo stati testimoni sidissolvesse come l’alba dissolve la notte.

Mi trovai a pensare che riversare i miei pensieri sulla carta aveva un effetto terapeutico su di me,mi stava aiutando a rimettere ordine nella mente, come quando mi confidavo con la mia migliore

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amica. Decisi che dopo questa lettera ne avrei scritte altre. Sì, avrei tenuto Sebastian vicino a metramite le parole che gli avrei scritto. E se davvero un giorno l’avessi ritrovato, regalandoglieleavrei accorciato la distanza del tempo passato l’uno lontano dall’altra.

Mi detesto perché non riesco a ricordare l’ultima volta che ci siamo baciati. Quando eravamoinsieme ero convinta che sarebbe durato per sempre. Non avrei mai immaginato di dover ripensareai momenti belli che abbiamo trascorso con nostalgia. Il futuro sembra sempre lontano, mentreviviamo così ostinatamente il presente.

In calce al foglio scrissi:

Per sempre. Zoe.

Poi lo ripiegai con cura e lo nascosi sotto il cuscino. Tornai a stendermi avvolgendomi nellelenzuola, sperando come una bambina che una fata benevola mi restituisse il mio amore insieme alleluci del mattino.

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Segui la lepre bianca

Al risveglio, acconciai i capelli in una coda di cavallo, fermando con delle forcine le ciocche ribelliai lati della testa. Speravo di dare un po’ meno nell’occhio dal momento che ero l’unica ad avere icapelli lunghi.

Misi la lettera per Sebastian in tasca, nella speranza di riuscire ad allontanarmi il temponecessario per nasconderla sottoterra, ai piedi del salice, durante la lezione di Tiro con l’arco.

Mentre si svolgeva la benedizione, guardai nella zona dove erano radunate le Amazzoni allaricerca di Sasha, ma non c’era e cominciai seriamente a preoccuparmi per lei. In compenso,intercettai un paio di occhiate poco amichevoli da parte di Lucrezia, in netto contrasto con le parolebenevole che stava pronunciando Antonia durante la cerimonia.

— Stai cercando qualcuno?Sobbalzai nel sentire la voce di Adam. Tentai di ricompormi e rivolgergli un’occhiata al curaro,

ma credo mi uscì qualcosa di buffo, perché vidi le sue labbra incurvarsi in un sorriso. Perché i suoilineamenti dovevano essere così perfetti?

— No — cercai di sbottare, con un colpo di tosse.— Allora, ci hai pensato?— A cosa, scusa? — e abbassai la testa per non intercettare il suo sguardo. Ovviamente sapevo

che si stava riferendo alla festa, ma speravo di trovare il modo per evitare di dargli una risposta.Lui mi infilò un dito sotto il mento e mi costrinse a guardarlo. I suoi occhi color noce brillavano

sotto le ciglia lunghe. — La festa è domani. Non mi dirai che hai intenzione di non venirci.Forse cercava di suscitare in me una reazione. Pensai che tutto quello che dovevo fare era

rimanere calma e se ne sarebbe andato senza insistere troppo. Si sa, l’indifferenza è l’arma piùefficace con gli egocentrici. Ma il profumo della sua pelle mi schiaffeggiò come un guanto di sfida.Era troppo attraente perché potessi tollerarlo. Mi fece venir voglia di torcergli il braccio come avevafatto Misha con Jared.

— Io e le feste non andiamo molto d’accordo — borbottai.— Potrebbe essere l’occasione per fare pace — disse lui senza smettere di guardarmi

intensamente.Mi sforzai di tenere sotto controllo il respiro. Rimanemmo in silenzio per un paio di secondi. —

Che c’è, ti si è paralizzato il nervo ottico? — lo incalzai, per smorzare la tensione.Fece un sorriso che somigliava a un ghigno. — Non posso fare a meno di guardarti — rispose.Sentii le guance andare in fiamme. — Ginevra è molto più bella di me — ribattei, sentendomi

un’idiota subito dopo. Il punto non era se Ginevra fosse più bella, ma che sia io che Adam eravamoimpegnati. In più, lo detestavo. Nonostante non avessi fatto niente di male, non potei fare a meno disentirmi in colpa.

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— Ti assicuro che non è così — mormorò Adam.Fece un altro passo verso di me. Era così vicino che potevo sentire il calore del suo corpo. Il

profumo del suo sapone si mescolava a quello della colonia ed era inebriante come un cocktail abase di tequila.

Appoggiai i palmi delle mani ai suoi pettorali per respingerlo e mi accorsi troppo tardidell’errore. I suoi muscoli erano così tonici che sembravano scolpiti nel marmo, e dato che subitodopo presi un colorito paonazzo il mio gesto poteva essere frainteso.

— Io non… non volevo — balbettai, ritirando le mani come se avessi toccato una superficieincandescente.

Poi mi voltai e mi mescolai tra gli altri studenti. Per fortuna pochi istanti dopo arrivò Misha arisollevarmi l’umore. Rimasi insieme a lui per tutto il tempo della benedizione di Antonia, senza maigirarmi per controllare dove fosse Adam, anche se la tentazione era fortissima.

Mentre uscivamo dalla Sala della Sorgente persi di vista Misha e mi imbattei in Anna.— Allora, Zoe, pensi di riuscire a passare dal mio studio per proseguire la nostra chiacchierata?

— mi chiese.— Io… non so… oggi credo di non farcela — ribattei. Non me la sentivo di affrontare un’altra

seduta con la strizzacervelli, non ero pronta a dover di nuovo difendere le mie ragioni, o a lasciareche lei mettesse in luce le mie contraddizioni.

Lei mi scrutò per un lungo istante. — Capisco — affermò. — Anche se il primo passo sarebbemostrarti più disponibile a farti aiutare.

Primo passo verso… cosa?, mi chiesi. Evitai di sollevare la questione, sperando di liberarmi infretta di lei. Anche se il suo tono di voce era conciliante, i suoi occhi indagatori mi mettevano adisagio. — Ma certo che lo sono — obiettai. — È solo che per me sono i primi giorni di lezione esto ancora cercando di prendere il ritmo.

— Be’, considera che potrei darti una mano anche in questo, se solo tu lo volessi.— Certamente. Grazie. Non me ne dimenticherò — dissi, facendo un cenno in direzione di Misha,

che nel frattempo era ricomparso a un paio di metri di distanza.Lui mi si avvicinò, chiedendomi: — Tutto bene?Annuii, e Anna tirò un mezzo sorriso. — Facciamo così. Ti aspetto questa sera, dopo le lezioni.

So che ambientarsi al Santuario può essere difficile per una ragazza che viene dalla grande città, evorrei solo assicurarmi che tutto vada per il meglio.

— Okay — farfugliai. Non c’era proprio niente da fare, Anna voleva vedermi a tutti i costi. Chestesse eseguendo degli ordini precisi di Adelaide?

Cercai di non pensarci, mentre Misha mi prendeva a braccetto per condurmi attraverso ilcorridoio. — Che ne dici se dopo colazione facciamo un salto all’emporio?

— Non credo di essere in vena di shopping — bofonchiai.— Dovrai procurarti qualcosa di adeguato per la tua prima lezione di Tiro con l’arco.— Cosa vuoi dire? Arco e frecce non sono forniti dal Santuario?Misha si mise a ridere. — Certamente! Anche se gli allievi più esigenti preferiscono usare

attrezzature proprie. Ma non ti consiglio di presentarti per un’escursione con i jeans e le Converse. Tiserviranno un paio di pantaloni comodi e dei calzari adatti a camminare sul terreno scosceso delbosco che circonda il Santuario.

— Be’, in ogni caso, non credo di potermi permettere nulla. Considerando che questo è il mio

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secondo giorno direi che non ho ancora fatto in tempo a guadagnare crediti.— Ti sbagli. Nella carta che ti hanno dato è disponibile una specie di… credito di benvenuto. Sai,

per le prime necessità.— Mi sembra giusto — conclusi. Camminammo per un po’ in silenzio, poi dissi: — Non

scherzavi, ieri sera, quando dicevi che saresti scomparso.— Puoi immaginare quanto siano rigide le regole della convivenza tra maschi e femmine al

Santuario. I rispettivi dormitori sono off-limits per l’altro sesso, e se Adelaide scoprisse che mi sonointrufolato di nascosto nella tua stanza sarebbero guai seri.

— Per non parlare del mio letto — scherzai.Misha avvampò violentemente. Si schiarì la voce, cercando di ricomporre un’espressione

disinvolta. — Lasciamo perdere. La tua compagna di stanza è riuscita a sorprendere anche me. Nonl’ho sentita arrivare, e per poco non mi scopriva.

— Vuoi dire che non ti sei trasformato in furetto non appena mi sono addormentata?Misha si scompigliò i capelli e arrossì leggermente. — Può essere che nel frattempo mi fossi

appisolato anch’io. Comunque, a quel punto mi sono trasformato in furetto e sono sgattaiolato via.— Sgattaiolare non mi sembra un vocabolo adatto a descrivere la fuga di un furetto da un

dormitorio femminile.— Smettila di prendermi in giro! Pensa piuttosto che i miei vestiti di ieri sono ancora sotto il tuo

letto.Questa volta fui io ad avvampare. Sentii le gote scaldarsi come braci e immaginai di essere

diventata rossa come una ciliegia. — S-sotto il mio… cosa?! — balbettai. — Devo rientrare subitoin camera per recuperarli, non si sa mai che a Ginevra venga in mente di fare pulizie mentre siamoall’emporio.

— D’accordo. Allora ti aspetto per la colazione — fece Misha, mentre io mi affrettavo a tornareindietro.

Feci le scale di corsa e mi precipitai in corridoio, rischiando di andare a sbattere contro delle tipedi passaggio, finché arrivai alla mia stanza. Quando entrai, fortunatamente di Ginevra non c’eratraccia. Non avevo intenzione di destare domande inopportune, facendomi vedere in giro per ildormitorio con degli indumenti maschili sottobraccio, quindi raccolsi i vestiti di Misha, li ripiegaiper bene e li infilai nello zaino. Ci stavano a malapena, ma il problema rimanevano le sue sneakersnere. Quelle, proprio non avevo idea di dove nasconderle. Mentre mi guardavo intorno alla ricercadel posto adatto fuori dal radar di Ginevra, mi accorsi di un’incisione nel lato della testata del lettopiù a ridosso del muro. Ma certo, come avevo potuto dimenticarmene. L’avevo notata la prima notteche avevo dormito qui.

Mi avvicinai con cautela, come se stessi ficcando la testa nella tana di una bestia feroce. Laaccarezzai con le dita, aveva tutta l’aria di essere una scritta. Mi protesi per riuscire a leggerla.

Segui la lepre bianca.

Una frase quantomeno criptica, ma era questo che c’era scritto. Cosa poteva significare? Mi sareiaspettata di trovare una firma, la traccia del passaggio di chi aveva occupato il letto prima di me. Perun’involontaria associazione di idee, mi venne in mente la lepre di cui mi aveva parlato Ligea. Avevadetto che era bianca, ma con la coda e le orecchie nere.

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— Che stai facendo? — La voce di Ginevra, alle mie spalle.Sobbalzai, e per poco non sbattei la testa contro il muro.— Io? Ehm… niente.— Sono tue, quelle? — mi chiese con voce meravigliata.Mi voltai verso di lei, anche se guardarla mi costò fatica. Ero ancora imbarazzata per quello che

era successo poco fa con Adam. Mi ripetevo che non avevo fatto niente di male, e allora perché misentivo così in colpa? Poi mi resi conto che stava indicando le sneakers di Misha che avevo lasciatonel bel mezzo della stanza. Sentii le guance avvampare.

— Sì… cioè… no! Sono di Misha. Me le ha prestate per la prima lezione di Tiro con l’arco. Miha detto che non posso mica andarci, nel bosco, con le mie Converse.

Ginevra si mise a ridere. — Ma che dici! Quelle scarpe saranno un quarantaquattro! Certo che èproprio un bel tipo, il tuo famiglio. Se vuoi ti posso accompagnare all’emporio, dove potraicomprare…

— … un paio di pantaloni e dei calzari.— Esatto. Che fai, mi leggi nel pensiero?— No, al contrario! Non sono mai stata brava nell’indovinare i pensieri degli altri. Diciamo che

mi è stato caldamente consigliato.Ginevra indossava un paio di shorts che io non avrei mai avuto il coraggio di portare, ma che a lei

stavano benissimo. Mettevano in risalto le sue cosce tornite e la muscolatura delle gambe. Ai piedi,anziché le solite ballerine, indossava un paio di splendidi calzari in camoscio dalla suola in cuoio,che le fasciavano la caviglia e si allacciavano al polpaccio. Somigliavano in tutto e per tutto a quelliche avevo visto indosso a Nausica e Sasha. — Quelli li hai presi all’emporio? — le chiesi.

— Sì. Ti piacciono?— Sono stupendi! Se non ti dispiace, penso che ne prenderò un paio identici ai tuoi.Ginevra si strinse nelle spalle. — Figurati se mi dispiace. Li costruisce a mano Syara, la nostra

istruttrice di Tiro con l’arco.— È una ragazza di grande talento, allora.— Sì, è davvero fantastica. Hai già fatto colazione? — mi chiese Ginevra, tirando fuori

dall’armadio un’attrezzatura degna di un’autentica cacciatrice.— Non ancora. In effetti sarà meglio che mi sbrighi, se voglio riuscire a fare tutto.— Mi spiace, io sono un po’ di fretta. È un peccato, perché mi sarebbe piaciuto farla insieme —

ribatté lei.— Sarà per la prossima volta — dissi, cercando di nascondere il sollievo per aver evitato di

trovarmi di nuovo faccia a faccia con Adam. — Piuttosto, posso farti una domanda? Sai chi occupavaquesto letto, prima di me?

Ginevra scosse la testa. — Non ne ho idea. Quando mi hanno assegnato questa stanza il letto eragià vuoto. Sono rimasta senza compagna di stanza per tutto questo tempo. Se non fossi arrivata tusarei morta di noia.

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Another Love

Uscendo in corridoio quasi mi scontrai con Angelica. Dato che stavamo andando nella stessadirezione, mi trovai a camminare fianco a fianco con lei, anche se dopo la discussione di ierieravamo entrambe imbarazzate.

— Sono tue, quelle? — mi chiese dopo un po’, rompendo il silenzio. Neanche a lei era sfuggitoche avevo in mano le sneakers di Misha.

— No, ehm… è una lunga storia — bofonchiai.Misha mi aspettava seduto sull’ultimo gradino. Quando si accorse di me, mi guardò con aria

interrogativa. — Be’? Tutto qui? — mi chiese, mentre gli porgevo le sue scarpe.Gli dardeggiai un’occhiataccia. — Non potevo mica andare in giro con il tuo guardaroba in mano

per tutto il Santuario, col rischio che pensassero che ero la tua domestica! — protestai.— Da quando ti preoccupi di quello che pensano gli altri? — ribatté lui con un sorriso sarcastico.— Più o meno da quando tu sei solito seminare i vestiti per il dormitorio come le briciole di

Pollicino — sibilai.Poi mi resi conto che Angelica si stava guardando intorno apprensiva. Capii il motivo della sua

agitazione quando vidi Lucrezia e Jezebel che si avvicinavano.Apparentemente, non ci degnarono di uno sguardo. Tuttavia, durante il passaggio, anziché

schivarmi, Lucrezia mi urtò violentemente. Evidentemente, stava fingendo di non avermi visto,proprio come se io non esistessi.

— Ehi! — le urlai dietro. — Ma non ti stanchi mai di essere te stessa?Lei mi mostrò il dito medio con una certa disinvoltura, continuando a camminare fianco a fianco

con la sua amica. Per un attimo, fui certa di sentirle sghignazzare. Un’eruzione di sangue bollente miera già salita alle tempie. Feci per seguire Lucrezia, ma Misha mi fermò per il braccio.

— Lasciala andare — mi disse con decisione. — Penso che abbia imparato la lezione. Se hadeciso di ignorarti, fidati, è meglio così.

Tuttavia, Angelica non sembrava affatto convinta della teoria di Misha, e la sua espressione sidistese soltanto dopo che le due furono scomparse dalla nostra vista.

— Stavamo andando all’emporio per comprare dell’abbigliamento tecnico per Zoe. Vieni connoi? — le chiese Misha.

Il viso di Angelica si illuminò per un istante. — Sì, certo — mormorò.Se solo un anno fa qualcuno mi avesse detto che sarei andata a guardare le vetrine con Angelica,

probabilmente gli avrei riso in faccia.Capii il motivo del suo entusiasmo quando varcai la soglia dell’emporio. Era un enorme open

space con stendini ed espositori un po’ ovunque, al punto che pensai che un negozio del genere nonavrebbe sfigurato in centro a Milano. C’erano abiti di tutti gli stili e le fogge, e la maggior parte

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sembravano usciti da un atelier di alta moda. La cosa non mi stupiva, dato che avevo conosciutodelle Sorelle, a Milano, che prestavano la loro creatività a famose case di moda. C’era persino unasezione hi-tech con computer portatili (ecco dove l’aveva preso il MacBook, la bibliotecaria!),reflex digitali e accessori per smartphone.

Da un paio di diffusori provenivano le note malinconiche di Another Love di Tom Odell. D’istintomi trovai a canticchiare: — I wanna cry and I wanna love, but all my tears have been used up onanother love.

Mi persi a guardare tra gli espositori, finché mi imbattei in uno scaffale con varie tipologie dicalzari simili a quelli che avevo visto indosso a Ginevra. Con Misha che mi faceva da assistente misedetti sul pouf che campeggiava in un angolo e ne provai alcuni modelli. Con un paio in particolarescattò il colpo di fulmine. Mi fasciavano il piede alla perfezione, avevano una suola in cuoio che aocchio sembrava molto resistente e il tessuto mi avvolgeva la caviglia, per allacciarsi con una seriedi fibbie all’altezza del polpaccio. Per certi aspetti mi ricordavano i calzari che portavo nella miavita precedente, e che mi era capitato di vedere più di una volta in sogno.

Una volta avuto l’okay di Misha e dopo aver scelto un paio di pantaloni adeguati a un’escursione,mi avviai verso la cassa. Durante il percorso, però, mi imbattei in Angelica. Con gli occhi lucidi,stava scrutando la propria immagine allo specchio con appoggiato sul seno la stampella di unincredibile abito bianco col corpetto ricamato e la gonna lunga con due vertiginosi spacchi laterali.C’era uno scintillio, in fondo al suo sguardo, che mi ricordò quanto la “vecchia” Angelica fosseattenta all’abbigliamento. A Milano non l’avevo mai vista a scuola per due giorni di seguito con lostesso vestito, e ogni volta che faceva il suo ingresso in una stanza riusciva a suscitare le occhiateammirate di tutti i presenti, maschi e femmine.

— Non è meraviglioso? — disse Angelica, rivolgendosi a Misha.— Sarebbe perfetto per la festa di domani — ribatté lui.— Be’, e poi non resterò mica qui dentro per sempre — aggiunse Angelica. — Potrebbe tornare

utile per una passeggiata in corso Como, una volta o l’altra.— Non avrei mai detto che esistesse una vita mondana anche all’interno del Santuario —

considerai.— Non esageriamo nel definirla vita mondana — borbottò Angelica. — Ci sono le festività

pagane, gli spettacoli in aula magna, i balli in occasione dei solstizi e degli equinozi. Diciamo che inqualche occasione, per qualche ora, riesco perfino a dimenticare di essere una segregata. Spero chela festa del solstizio sia una di queste.

— Comunque quel vestito sembra cucito per te — dissi, ammirata. — Che ne dici di provarlo?Lei increspò le labbra. — Mmm… no, preferisco evitare. Ho sbirciato il cartellino del prezzo ed

è decisamente al di sopra delle mie possibilità. Neanche applicandomi al massimo potrei arrivare inun solo mese a compensare il prezzo del vestito coi crediti guadagnati con lo studio.

Era davvero cambiata, Angelica. Abituata com’era ad avere tutto quello che voleva al suocomando doveva essere stata dura, adesso, imparare a dover fare i conti con ogni più piccola spesa.A maggior ragione perché, da quello che avevo inteso, agli esami dell’ultimo semestre non avevaottenuto valutazioni incoraggianti. Non so dire secondo quale criterio, ma mi trovai a pensare cheregalarle un istante di felicità pura potesse essere di buon auspicio, o quantomeno attirare una spiraledi energie positive. Oppure era il fatto che condividevamo la stessa sorte a farmela sentire più vicinadi come non mi sarei mai aspettata.

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Così, d’impulso, proposi: — Ho giusto appena ricevuto il mio credito di benvenuto, quindi seMisha è d’accordo nel rinunciare a una fetta del suo sudato stipendio e la commessa acconsente afarci un piccolo sconto…

— Non dirlo — mi intimò Angelica. Ma già si intravedeva un sorriso in procinto di sbocciarle sulviso.

— Perché no — propose Misha. — Io ci sto.— Affare fatto, allora — proclamai.— E tu come farai? — chiese Angelica. — Se spendi il tuo credito per me non potrai comprarti un

vestito per la festa del solstizio.Mi strinsi nelle spalle. — Mi inventerò qualcosa.Angelica mi guardò negli occhi con un’espressione tra l’incredulo e l’esultante. Poi mi si

scaraventò praticamente addosso, stritolandomi in un abbraccio inatteso. — Grazie — disse, con lavoce che tremava dalla gioia. — Ti prometto che ti restituirò fino all’ultimo centesimo.

— Non ci pensare — mormorai. — Non sono davvero miei, quei crediti. E poi nemmeno io hointenzione di restare qui dentro per sempre.

Angelica si voltò verso Misha e gli fece una carezza sul viso. — Grazie — gli disse. Poi,inaspettatamente, gli stampò un bacio sulle labbra che lui non riuscì, o non si impegnò abbastanza, aschivare.

Misha diventò color melanzana. — P-prego — farfugliò.Io e lei ci guardammo, per poi scoppiare a ridere all’unisono. Per un istante, fu come ritornare a

vestire i panni di una ragazza normale, capace di lasciarsi tutto alle spalle con un sorriso.

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Salice piangente

Infilai i jeans e le Converse nella busta di tela che mi avevano lasciato all’emporio e me la sistemaia tracolla. Mi presentai all’adunata davanti all’uscita del Santuario con la speranza che la scelta diindossare i nuovi calzari non mi si ritorcesse contro. Scarpe nuove ed escursione nel bosco eranoconcetti apparentemente inconciliabili, ma persino Ginevra mi rivolse un’occhiata di approvazionecon tanto di pollice alzato quando le mostrai il mio nuovo acquisto. L’atteggiamento di Adam nei mieiconfronti, invece, sembrava improvvisamente cambiato, dato che mi ignorò del tutto. Ma forse erameglio così. Quel ragazzo aveva la capacità di rendermi vulnerabile con un solo sguardo.

Ci saranno stati una ventina di studenti, al corso di Tiro con l’arco. Ero emozionata per la nuovaesperienza, ma soprattutto trepidavo all’idea di uscire finalmente all’aria aperta. D’un tratto, eracome se mi fosse piombato addosso in una volta il peso dei mesi passati all’interno del Santuario,senza mai poter mettere il naso fuori dalle mura.

— Tutto bene? — chiesi a Misha. Mi ero resa conto che era pallido, e il suo sguardo sembravasofferente.

— Sì — disse lui, passandosi una mano tra i capelli. — Solo un po’ di mal di testa.— Non ti capita spesso, vero?Lui si strinse nelle spalle. — In effetti, no. Sarà per colpa della notte insonne.Tra gli altri studenti si stava diffondendo un brusio insistente. — Cosa stiamo aspettando? —

chiesi a Misha.— Syara, l’istruttrice. È strano, perché di solito è la prima ad arrivare. Non è mai successo,

dall’inizio del corso, che si sia presentata in ritardo.L’attesa si interruppe quando in lontananza, dal corridoio laterale, vidi che si stavano avvicinando

due ragazze che camminavano fianco a fianco. Quando furono abbastanza vicine, quasi sgranai gliocchi. Con indosso la tradizionale divisa da Amazzone, c’era la ragazza che mi somigliava.

— Eccola — proruppe Misha. — Lei è Syara. L’altra, invece, non la conosco.Ad accompagnare Syara c’era Sasha. Aveva un’aria dimessa e teneva gli occhi bassi, come se

fosse molto imbarazzata. Le avevano tagliato i capelli e non c’era più traccia dei suoi splendididreadlocks. Non era in divisa, ma era vestita come tutti noi, con un paio di leggings e una maglietta.

— La conosco io — ammisi. — Lei è Sasha, l’Amazzone che si prendeva cura di me inRiabilitazione.

— Amazzone? — sbottò Misha. — Non ha affatto l’aspetto di un’Amazzone.— L’ultima volta che l’ho incontrata era in divisa, ma ora…— Scusate il ritardo — disse Syara. Poi fece segno a Sasha di allinearsi insieme agli altri.Con mio grande stupore, Sasha si sistemò nella fila dietro di me. Mi sarei aspettata che facesse da

aiutante o qualcosa del genere, proprio come in Riabilitazione, dove il suo ruolo sembrava quello

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dell’apprendista tuttofare. E invece ora veniva trattata al pari di una studentessa qualunque.— Ciao Sasha — le dissi, sforzandomi di sorridere.Nel riconoscermi, il viso di Sasha si illuminò di un sorriso aperto. — Zoe! — esclamò.— Che ci fai qui? — le chiesi a bassa voce per non farmi sentire da Syara.Il sorriso scomparve e lasciò il posto a un’espressione affranta. — Mi hanno degradata —

rispose, dopo un attimo di incertezza.Quasi sobbalzai nell’udire quella parola. — Cosa vuoi dire?— La notte in cui sei fuggita, dopo averti lasciato, sono rientrata nella camerata delle Amazzoni,

ma lì ho trovato Nausica che mi stava aspettando. Penso sospettasse qualcosa, perché mi ha travoltadi domande. Ho negato, ma è stato inutile. E quando è venuta a cercarti nella tua stanza, si è accortache eri sparita. Si è convinta che ero stata io ad aiutarti, e a quel punto è stato impossibileconvincerla del contrario.

— Mi dispiace — riuscii solo a ribattere.— Non è colpa tua — disse lei. — Ero cosciente del rischio che correvo, quando ho deciso di

darti una mano. E poi lo sai che Nausica è testarda. A quel punto ci ho provato a dirle che ti avevosoltanto dato le chiavi dello schedario, ma non mi ha creduto. E forse, ormai, non avrebbe fattoalcuna differenza. Nausica mi ha confinato all’interno delle camerate, impedendomi di uscire per duegiorni. Poi, d’accordo con Adelaide, ha deciso di rimandarmi in Accademia. Per farmi imparare unavolta per tutte il valore della disciplina, ha detto.

— Silenzio! — sentii dire dalla voce di Syara. Sobbalzai, e voltandomi nella sua direzione miresi conto che il suo sguardo era fisso su di me. Ancora una volta mi sorpresi a riflettere su quanto isuoi occhi somigliassero ai miei e quindi, transitivamente, a quelli di mia madre. In un certo senso,guardare lei era come guardarmi allo specchio, anche se il volto di Syara era più spigoloso e le suelabbra più carnose. Nonostante mi avesse appena ripreso, la sua espressione aveva una sfumaturabenevola. Avrei detto che sembrava contenta di avermi nel suo corso.

Lo considerai un buon auspicio per il futuro, ma se Sasha era stata rispedita a studiare inAccademia per punizione, allora le convinzioni di Angelica erano giuste. Forse, sotto la facciata ditempio della cultura, l’Accademia era un luogo dove rieducare creature soprannaturali insofferentiall’autorità della Sorellanza.

Syara sbloccò il catenaccio della grande porta e aprì il primo spiraglio. Nella sala si diffusero iraggi del sole mattutino. — Andiamo — disse. — Abbiamo già perso abbastanza tempo.

Dovetti stringere le palpebre per abituare la vista al paesaggio esterno. La vegetazione siestendeva a perdita d’occhio, fino a inerpicarsi sul dorso di una montagna. Mi guardai intorno perorientarmi, e mi resi conto che gli alberi che vedevo dalla mia stanza non dovevano essere moltolontani. Ero certa che si trovassero un po’ più a sud, in direzione del lago, di cui ora intravedevo lariva.

Mentre Syara ci conduceva attraverso il sentiero, mi decisi a chiedere a Sasha: — Sai qualcosa diLigea?

Sasha annuì con decisione. — Sono riuscita a vederla solo una volta. Non sta bene, credo non siastato facile per lei accettare il fatto che te n’eri andata. Si era affezionata parecchio a te, sai?

Anch’io mi ero affezionata a lei, pensai, ma evitai di sottolinearlo anche perché al solo pensieromi si era già stretto il cuore.

— Penso che per lei sia stato come perdere la sorella per la seconda volta — aggiunse Sasha.

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— Credi che possa andare a trovarla?Sasha scosse la testa. — Purtroppo non è consentito alcun contatto tra gli studenti dell’Accademia

e i degenti della Riabilitazione — spiegò. — Però Ligea mi ha chiesto di darti questa. — Si tolse lozaino dalla tracolla e lo aprì. Ne estrasse una scatola di legno con un coperchio scorrevoleabbastanza grande da contenere un grosso gatto. — Non so a cosa serva. Ligea mi ha detto che avresticapito.

Guardai la scatola: il legno era consumato ai lati e sembrava aver assorbito parecchia umidità,dato che si chiudeva a malapena. La aprii e con mia grande sorpresa mi accorsi che conteneva ildisegno di uno specchio dalla cornice intarsiata. Riflessi al suo interno, due occhi dal taglioallungato. Osservai il disegno per qualche istante, cercando di decifrarne il significato. Di chi eranoquegli occhi? Poi lo riposi, e mi affrettai a nascondere la scatola dentro la borsa dello shoppinginsieme ai jeans e alle scarpe da ginnastica.

Ma certo, pensai. La scatola doveva essere il rifugio che Ligea aveva costruito per Ventosa, lalepre ferita che aveva adottato quando viveva nel bosco. E il disegno lo aveva fatto per me, affinchénon mi dimenticassi di lei.

Segui la lepre bianca, mi echeggiò nella mente.Decisi che sarebbe stato dentro quella scatola che avrei conservato le lettere per Sebastian.

Dovevo solo trovare il modo di arrivare al salice che avevo scelto come custode delle mie parole.— Grazie — dissi col cuore stretto dalla malinconia.Arrivammo a un capanno degli attrezzi, dove ci aspettava un’altra Amazzone. A ogni studente

vennero consegnati un arco e una faretra contenente alcune frecce. Syara scelse personalmente l’arcoda dare a me, dopo aver testato la tensione della corda e la rigidezza del flettente.

Lo soppesai tra le mani, imbracciare un’arma era una sensazione insolita per me. Ricordavo condisappunto tutte le volte che papà aveva dimenticato la sua pistola in soggiorno, ma a quei tempicredevo ancora che l’incidente in cui aveva perso la vita mia madre fosse stato provocato darapinatori armati. Ora che sapevo che invece si era trattato di Inquisitori avrei voluto trafiggere ilcuore di ognuno di loro con una delle mie frecce. Ma mi sforzai di scacciare quel pensiero. Per tuttele volte che la magia si fosse dimostrata inefficace, non era per la sete di vendetta che avrei imparatoa tirare con l’arco, ma per la sete di giustizia.

Purtroppo, nonostante le mie migliori intenzioni, i primi tentativi con l’arco furono disastrosi.Fummo schierati in una fila ordinata su un piazzale dall’erba tagliata di fresco, e mentre gli altri siesercitavano a colpire i bersagli posizionati a una ventina di passi di distanza, io non riusciinemmeno a scoccarla, la prima freccia, dato che cadde ai miei piedi senza che riuscissi neanche atendere l’arco.

Con la seconda freccia vagante, invece, per poco non colpii un innocente merlo che svolazzava trai bersagli.

— Attenta — urlò la ragazza al mio fianco. Era una tipa minuta dagli occhi color fumo e i capellidritti come un cespuglio d’ortica.

— Non l’ho fatto apposta — mi difesi. — Devo ancora prenderci la mano.Lei si strinse nelle spalle. — Per quanto io cerchi di insegnargli a badare a se stesso, Merlino non

mi sta mai a sentire.— Merlino?— È il mio famiglio — ribatté. — L’ho chiamato così in onore del più grande incantatore mai

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vissuto.Alla lista delle catastrofi mancava solo che privassi una strega del suo famiglio. — Mago Merlino

è esistito veramente? — le chiesi, incuriosita.— Certo! Anche se non è corretto definirlo “mago”. All’epoca delle Guerre della Barriera lui e

Morgana erano streghe così potenti da fare la differenza negli scontri tra i ribelli e le armateimperiali. Per questo l’imperatore romano inviò gli squadroni degli Inquisitores. Morgana,purtroppo, scelse la via del lato oscuro… ed è parecchio imbarazzante per me portare il suo nome.

Rimasi un istante in silenzio, con uno sguardo perplesso dipinto in volto. Poi mi decisi a dire: —Be’, io sono Zoe. Piacere di conoscerti, Morgana.

— Morgwen — mi corresse lei, stringendomi la mano. — Ho cambiato la desinenza del nome perprendere le distanze da un’omonimia tanto imbarazzante — disse a voce bassa. — Già è difficileconvivere con un famiglio indisponente. Merlino, purtroppo, ha mantenuto la sua forma animaletroppo a lungo e ora non è più in grado di tornare alla forma umana — aggiunse con una punta disconforto. — Succede a volte, ai mutaforma.

— Poverino, che disdetta — borbottai, appuntandomi mentalmente di non permettere mai a Mishadi rimanere furetto per troppo tempo.

— Merlino, insomma! Torna subito qui — intimò la ragazza al volatile. Il merlo compì una seriedi evoluzioni sopra le nostre teste, planò per alcuni metri e poi si andò ad appollaiare sulla spalladella sua strega. Tirai un sospiro di sollievo, almeno non se ne stava più nell’area di tiro.

In quel momento mi accorsi che Adam mi stava osservando con un sorriso sarcastico. Schivò ilmio sguardo e rivolse la sua attenzione al bersaglio. Prese un ampio respiro e iniziò a vibrare unafreccia dopo l’altra con velocità impressionante. Era incredibile, ognuno dei suoi colpi finivaimmancabilmente col fare centro. Anche le frecce di Ginevra erano di una precisione sbalorditiva.Come diavolo facevano?

Da un’occhiata sommaria ai risultati degli altri studenti mi resi conto che loro due erano senzadubbio i migliori del corso, e in effetti Syara osservava la perfezione dei loro tiri con un certocompiacimento.

Anche Sasha se la cavava piuttosto bene, ma quando le chiesi qualche consiglio si limitò astringersi nelle spalle e a dire che le veniva naturale.

— Io non so nemmeno dove guardare! — protestai.Syara, forse impietosita dalla mia scarsa attitudine al tiro, si posizionò dietro di me e mi aiutò ad

assumere quantomeno una corretta postura mentre prendevo la mira e mi consigliò di chiudere unocchio mentre scoccavo la freccia. Finivo sempre per chiuderli tutti e due ma, grazie a lei, riuscii acolpire il bersaglio per la prima volta, anche se nell’angolo più esterno della cornice.

Poco dopo, Syara annunciò che avremmo seguito un percorso nel bosco dove erano stati dispostidei bersagli, tra cui alcuni in movimento. Pensai che, molto probabilmente, si sarebbe preannunciatauna lunga ricerca delle mie frecce che finivano fuori dai bersagli.

— Naturalmente, Zoe, dato che sei una principiante assoluta — aggiunse Syara — puoi limitarti amirare i bersagli più vicini. Non ti preoccupare per quelli in movimento, avrai tempo di esercitarti.

Adam mi si accostò. — Serve una mano? — chiese.— No, grazie. Ce la faccio benissimo da sola.— Lo vedo — borbottò.— Facciamo così — ribattei, seccata. — Se dovessi aver bisogno del tuo aiuto, ti faccio un colpo

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di telefono.Syara mi lanciò un’occhiata severa. — Zoe, non essere così intransigente. Non c’è niente di male

nell’accettare l’aiuto di qualcuno.— Adam ha sicuramente di meglio da fare che insegnare a me a tirare con l’arco — puntualizzai.— Tu che ne dici, Adam? — gli chiese Syara. — Ti andrebbe di dare una mano a Zoe?— Lo farei con piacere — rispose lui guardandomi intensamente.Gli lanciai un’occhiataccia. — No, davvero… non vorrei compromettere il suo rendimento —

sibilai.— Affare fatto — stabilì Syara, ignorando le mie proteste. — Avete il permesso di uscire dal

Santuario per un paio d’ore ogni mattina. Compatibilmente col vostro calendario delle lezioni,naturalmente.

Dopo che si fu allontanata, feci un passo in direzione di Adam. I nostri visi erano a un respiro didistanza. Volevo intimargli di lasciarmi stare, che le sue attenzioni lo stavano facendo sembrare unostalker, ma mi accorsi che le gambe avevano cominciato a tremare. Mi chiesi se fosse la rabbia chemi stava stringendo lo stomaco o qualcos’altro. Senza motivo mi tornò in mente il momento in cui miaveva fatto capire che ero più carina di Ginevra.

— Non avresti… dovuto — riuscii solo a dire.Allargò le braccia in segno di resa. — Cosa posso farci? Ho il cuore tenero e non riesco a vedere

una fanciulla in difficoltà.Serrai i pugni per contenere un accesso di rabbia. Avrei voluto cancellare l’espressione sarcastica

dal suo viso a forza di schiaffi.— Dai, scherzavo. Sto solo cercando di essere gentile. Continuo a pensare che tu abbia bisogno di

qualche consiglio. Anche nella scelta delle amicizie.In qualche modo riuscii a riprendere il controllo del corpo e dei pensieri. — Di chi stai parlando?— Di Morgana, naturalmente.Sgranai gli occhi, allibita. — Morgwen — lo corressi.— Oh, non basta cambiare il nome per nascondere la propria natura.— Se c’è qualcosa che intendi dirmi, Adam, puoi farlo chiaramente e senza girarci troppo intorno

— ribattei, senza sforzarmi di addomesticare il tono della voce.— D’accordo — mormorò. — Ma non ti sei chiesta il motivo per cui sua madre ha deciso di

chiamarla come una delle streghe malvagie più famose di sempre?— Si vede che le piaceva. Se è per questo, so che in Ungheria Erzsebet è un nome molto comune.

— Poi mi strinsi nelle spalle. — E io comincio ad averne abbastanza di chi mi dice con chi possofare amicizia e da chi devo tenermi alla larga — affermai. — Posso decidere con la mia testa.

— E questo non ti spaventa?Avrei voluto spintonarlo via, ma mi limitai a replicare: — Ah. Ah. Divertente.Lui incurvò la bocca in un sorriso indisponente, anche se incredibilmente sexy. Scossi la testa. In

che razza di pensieri mi stavo lanciando? Dentro di me il cuore scalpitava. Detestavo non avere ilcontrollo sulle sensazioni che stare vicino a lui mi provocava. Aumentai l’andatura per seminarlo,mentre col gruppo proseguivamo nel folto del bosco.

Di tanto in tanto incontravamo delle radure in cui erano disposti i bersagli. Come previsto, finiiper perdere tutte le frecce che avevo nella faretra. Pensai che andare a recuperarle potesse esserel’occasione che aspettavo per cercare il mio salice. Misha tentò di dissuadermi, ma per fortuna Syara

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mi diede il suo assenso, quindi attraversai la zona di tiro e quando fui fuori dalla sua visuale mi misia correre attraverso il bosco, seguendo la direzione del lago. Se anche Syara si fosse accorta che erostata via più del necessario, avrei sempre potuto dirle che mi ero persa.

Quando raggiunsi il salice ebbi una sensazione di déjà vu, ma fu un flash che durò un attimo.Accarezzai la terra che circondava il grande albero, immaginandomi distesa ai suoi piedi, ferita. Eraqui che mi avevano trovato dopo l’incidente.

Peccato che l’incidente fosse avvenuto a Milano e non avessi idea di come ero finita qui. I mieiricordi erano chiusi nei recessi della mente e non potevo fare niente per recuperarli.

Presi la scatola di legno e la aprii come se stessi compiendo una cerimonia. Estrassi il disegno elo infilai con cura all’interno della busta con i miei vestiti.

Poi, dentro la scatola, misi la lettera che avevo scritto a Sebastian. Mi intrufolai allora tra i ramiflessuosi del salice. Erano così lunghi che strisciavano a terra. Mi sentivo protetta tra le sue verdichiome. Protetta dagli occhi del mondo. Mi inginocchiai e con le mani scavai una buca abbastanzaprofonda per farci stare la scatola. Per fortuna il terreno era soffice in quel punto, e la terraprofumava di muschio e radici.

Poi coprii il tutto, cercando di camuffare il nascondiglio con delle foglie e qualche rametto perchénon fosse troppo evidente che il terreno era stato smosso.

Chiesi alla terra di consegnare le mie parole a Sebastian, ovunque egli fosse. Poi presi un ampiorespiro e mi preparai a riunirmi al gruppo.

Prima che potessi compiere un passo per tornare indietro, un movimento tra i cespugli attirò lamia attenzione. Mi avvicinai, cauta, e vidi una lepre che saltellava via. Si fermò a qualche metro didistanza e si mise a osservarmi. Che fosse Ventosa, attirata dall’odore della tana in cui avevatrascorso il periodo di convalescenza? Era incredibile, ma a colpo d’occhio sembrava proprio lei. Ilsuo pelo era bianco, con la coda e le orecchie nere. Gli occhi rotondi erano grigi come una nuvolache annuncia tempesta.

Segui la lepre bianca, mi tornò in mente. Quella frase risuonava nella mia testa senza che potessidarle un senso.

Dopo un istante in cui il tempo parve cristallizzarsi, con una sequenza di balzi repentini la lepreiniziò ad allontanarsi e io, dopo alcuni passi, mentre le andavo dietro, mi trovai sulla riva del lago.Le acque erano immobili e davano alla superficie l’aspetto di uno specchio sconfinato. In lontananzasi intravedevano le rovine dell’acquedotto romano. Era qui che era stata scattata la foto di miamadre?

Mi guardai intorno. Della lepre non c’era più traccia, era scomparsa tra le siepi.Dal lago proveniva una brezza leggera che mi accarezzava il viso. Osservai a lungo le acque

ferme e la tentazione di immergere i piedi fu fortissima, come se un sussurro silenzioso mirichiamasse dalle sue profondità.

Mi slacciai i calzari e mi avvicinai al lago. Mi aspettavo che l’acqua fosse fresca, ma mi sembròdi bagnarmi con un liquido inerte, privo di spessore e di volume. Mentre l’acqua mi lambiva lecaviglie, guardai in basso per osservare il mio riflesso.

Sobbalzai nel rendermi conto che a fianco della mia immagine c’era quella di un’altra ragazza conindosso un’ampia camicia da notte bianca. Aveva i capelli verdi e i lineamenti delicati. Gli occhierano punte di spillo, circondati da un alone rossastro come se non dormisse da settimane. Mi voltaidi scatto alla ricerca della ragazza del riflesso, ma non c’era nessuno di fianco a me. Solo acqua e

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cielo e il silenzio rotto dal frullo degli uccelli del bosco. Tornai a guardare in basso; anche la suaimmagine si era dissolta tra le lievi increspature dell’acqua. Mi stropicciai gli occhi, convinta diavere avuto un abbaglio. Respirai un’ampia boccata d’ossigeno, riempiendo i polmoni di aria pura.

E un profumo conosciuto mi solleticò le narici. Evocava lontani ricordi provenienti dalla miainfanzia, frammenti di istanti sereni passati tra le mura di casa insieme alle persone care. Il petto misi riempì di nostalgia.

Ma certo, pensai. Era il profumo inconfondibile dei biscotti che faceva mia nonna quand’erobambina. A quel pensiero scossi la testa con forza, credendo di sognare a occhi aperti. Macompiendo un passo per uscire dall’acqua mi resi conto che a un centinaio di metri da me c’era unaradura, e al centro un basso casolare dal cui camino usciva un rivolo di fumo. Come avevo fatto anon notarlo, prima? Incuriosita, mi incamminai con passo spedito.

Raggiunta la porta del casolare, dopo una breve esitazione, mi decisi a bussare.

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Arrivederci, Zoe

Una voce dolce e femminile mi invitò a entrare. — È aperto — disse.Compii il primo timido passo oltre la soglia, e mi trovai in un ingresso immerso nella penombra.

Il profumo che proveniva da oltre una porta socchiusa mi spinse a proseguire finché mi trovai in unapiccola cucina, in compagnia di una ragazza che mi dava le spalle. Indossava un vestito a fiori cheaveva qualcosa di familiare.

Sgranai gli occhi nell’accorgermi che i suoi fluenti capelli rossi erano raccolti da un fermacapellidel tutto simile al mio athame. Ancora più sorprendente fu quando si voltò, e fui certa di distinguerenei suoi lineamenti un viso conosciuto.

— Chi sei? — le chiesi.— Io sono Isabella — rispose lei.Quasi sobbalzai nel sentire il nome di mia nonna. Ecco dove avevo già visto quel vestito. Lo

indossava proprio nonna Isabella, un lontano giorno d’estate in cui avevamo passeggiato in riva allago.

— Tu devi essere Zoe — aggiunse.Feci cenno di sì con la testa.— Ti stavo aspettando — disse lei. — Ti va di assaggiare i miei biscotti? Li ho appena infornati,

saranno pronti tra qualche minuto.— Tu… vivi qui?— Sì. Questa è la mia casa.Mi guardai attorno: la cucina era arredata in modo semplice, rustico, con scaffalature in legno e

utensili di rame appesi alle pareti. Dal forno proveniva un lieve crepitio di braci. Il soffitto eraattraversato da travi di legno, e dall’unica finestra proveniva una luce soffusa che dava alla stanzal’aspetto di un luogo sospeso nel tempo. Un tavolo era posizionato a ridosso di un muro, con sedieimpagliate disposte intorno.

— Somigli in modo impressionante a una persona che conoscevo molto bene, una volta — dissi.Isabella era una mia coetanea, eppure aveva un’aria così familiare, al punto che una parte di me eraconvinta che fosse davvero mia nonna. Ma non era possibile, mia nonna era morta quand’ero piccola.Soprattutto, se fosse stata ancora viva, non avrebbe di certo avuto l’età della ragazza che si trovavadi fronte a me. Ero stupita e incredula, la situazione era assurda ma non sentivo di essere fuori posto.Al contrario, una voce dentro di me suggeriva che era proprio qui che dovevo trovarmi, ora.

— Davvero? — ribatté lei, avanzando di un passo nella mia direzione. Il suo viso venneilluminato dalla luce che proveniva dalla finestra e mi resi conto che i suoi occhi erano di un colorechiaro, luminoso, gialli come l’ambra proprio come quelli di mia nonna.

— I tuoi occhi… — mormorai.

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— Sono una caratteristica di famiglia — disse lei con voce delicata. — Qualcuno è spaventatodal loro colore, ma io ne vado orgogliosa. Come il mio fermacapelli, li ho ereditati da mia madre.Perché io sono una strega. — Mi guardò intensamente, prima di aggiungere: — Proprio come te, Zoe.

— Come fai a saperlo? — farfugliai, indietreggiando. — Non ci siamo mai incontrate, primad’ora.

— Ma hai detto tu stessa che ho un viso familiare.— Sì, ma… non è possibile — esclamai. — Lei è morta tanto tempo fa. E poi… come conosci il

mio nome?Isabella mi prese le mani tra le sue. Ricordo che mia nonna lo faceva spesso, quando si accorgeva

che ero turbata. — Davvero non ricordi nulla? — mi chiese. Sembrava sorpresa. — Forse dovrestimangiare uno dei miei biscotti. Potrebbe aiutarti a recuperare la memoria.

Mi sottrassi al suo contatto anche se era caldo, amichevole. — Se davvero sei una strega, perchévivi da sola nel bosco, anziché al Santuario?

— Il Santuario delle streghe è infinitamente lontano da qui — rispose Isabella.— Ti sbagli. È dal Santuario che provengo. Stavo facendo lezione di tiro con l’arco, e poi…— Ci troviamo nel Giardino dello Spirito. Cerca di ricordare, Zoe. È qui che ho curato le tue

ferite.— No — esplosi. — Io… non sono mai stata qui. Mi hanno curato al Santuario. Mi sono

risvegliata in una stanza bianca, spoglia…Isabella scosse la testa lievemente. — Ho fatto del mio meglio per guarirti, ma eri molto grave.

Dopo l’incidente eri in fin di vita e ho dovuto compiere una scelta dolorosa. Sapevo che il mioincantesimo ti avrebbe lasciato in uno stato di incoscienza per mesi, forse per anni. Ma non avevoalternative.

— Sei stata tu — dissi con un filo di voce. Mi accorsi che le mie mani stavano tremando. — Haicompiuto il maleficio che mi ha tenuto in coma per tutto quel tempo.

— Non si è trattato di un maleficio, tutt’altro — affermò Isabella, conciliante. — Per strappartiall’abbraccio della morte ho dovuto correre il rischio che qualcosa andasse perduto.

— Qualcosa andasse perduto? — ripetei. — Ho perso sei mesi della mia vita, ho perso il mioamore, ho perso la memoria di quello che mi è successo!

— Per ogni magia c’è un prezzo da pagare — disse Isabella senza scomporsi. — E quando dimezzo c’è la vita, può essere molto alto. Quando lui ti ha portato da me eri in condizioni disperate.

Mi toccai istintivamente la cicatrice dietro la testa. Era assurdo e sconvolgente. Possibile che aguarirmi dopo l’incidente fosse stata mia nonna, e il mio lungo sonno nient’altro che un effettocollaterale della cura?

— Lui chi? — sbottai. — Chi mi ha portato in questo posto?— Dovresti saperlo. Cerca nel tuo cuore, è lì che stanno tutte le risposte.Era stata la persona che mi aveva aiutato a Milano? Chi mi seguiva come un’ombra, vegliando su

di me come un angelo custode? — Tutto questo non ha senso! Io… non dovrei essere qui — esplosi,e uscii più in fretta che potevo dalla cucina. — Devo tornare nel bosco, mi staranno cercando —aggiunsi attraversando l’ingresso con passi veloci. Mi diressi con decisione verso la porta ma, unavolta aperta, anziché nel bosco, mi trovai al limitare di un deserto di sabbia che si estendeva aperdita d’occhio, con dune sferzate dal vento sotto un sole torrido. Il cielo era così luminoso daaccecare.

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Richiusi la porta di colpo e, voltandomi, mi resi conto che mi trovavo ancora nella piccola cucina,come se non fossi mai uscita da quella stanza.

— Tu stai cercando delle risposte — mi incalzò Isabella. Era così vicina che mi sembrava che isuoi occhi stessero rovistando nella mia anima. — Ma non è fuori che le puoi trovare, bensì dentro dite.

Abbassai la testa, in preda allo sconforto. — Cos’è questo posto? Mi hai intrappolata inun’illusione, come ha fatto Azalhee?

— Non temere, Zoe — disse Isabella con tono benevolo. — Azalhee non può nuocerti, dove titrovi ora. Il Giardino dello Spirito ha un aspetto diverso per ogni persona che lo visita ma, tiassicuro, è tutto meno che un’illusione. Questo luogo è reale. Se ora non ti appare come vorresti, èperché hai smarrito la consapevolezza di chi sei veramente.

— Io so chi sono — protestai.— Credi di saperlo ma, fidati, sei ancora lontana dalla verità — affermò Isabella. — Mi dispiace

tanto per quello che ti è successo, Zoe.— Parli dell’incidente?— Anche dell’incidente.Per quanto mi sforzassi di ignorarla, c’era una voce dentro di me che continuava a insistere che in

sprezzo alla razionalità e contro ogni obiezione del buon senso, la persona che avevo di fronte eradavvero mia nonna.

Il mondo è magia, mi aveva detto Sam un giorno. Ma quale magia poteva rendere possibilel’incontro tra me e mia nonna, in un punto del tempo e dello spazio in cui avevamo la stessa età?

Avrei voluto chiederle se fosse davvero lei, ma la ragione mi impediva di farlo. Continuavo aripetermi che era morta, e se quello era un sogno pregai di svegliarmi al più presto. Tuttavia, un’altraparte di me voleva sapere qualcosa di più. Per esempio, se in questo luogo e in questo tempo c’eraancora una traccia di mia madre. Presi un ampio respiro e ignorai la razionalità. — Hai una figlia?— chiesi.

— Io? — si schermì Isabella. — No… anche se mi piacerebbe molto averla. — Il volto si erailluminato di un’espressione protettiva. La stessa espressione che riconoscevo in mia nonna ognivolta che mi incontrava. — Credo che la chiamerei Sofia, in onore dell’antica dea della sapienza.

Mi coprii il volto con le mani, respingendo le lacrime che incombevano. — Sofia è… era… ilnome di mia madre — sospirai.

— Mi spiace per la tua perdita. Doveva essere una persona straordinaria — mormorò Isabella. —Se la Dea lo vorrà, spero di avere un giorno una nipotina proprio come te — aggiunse.

Ero sconvolta e incredula. Ero davvero di fronte a mia nonna, o a una proiezione di ciò che lei erastata quando aveva la mia età.

— Zoe? — sentii chiamare in lontananza. La voce era maschile, avrei giurato che fosse quella diAdam.

Corsi alla finestra, ma anziché il paesaggio mi trovai a osservare l’interno di un’altra stanzaidentica a quella dove mi trovavo adesso, con un’altra Isabella al centro e una figura identica a meche stava guardando dalla finestra.

Mi girai di scatto verso Isabella. — Come faccio a uscire da qui?— Sei già fuori — disse Isabella. — Devi solo rendertene conto. La magia si fa con le intenzioni,

ricordi?

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— Sì, ma… non è possibile compiere incantesimi al Santuario.— Te l’ho detto, Zoe. Il Santuario si trova infinitamente lontano da qui.Mi voltai di nuovo in direzione della finestra. Sul davanzale c’era un giovane merlo dal

piumaggio nero e il becco arancione. — Merlino — esclamai.Poi volsi lo sguardo a Isabella. Era immobile, come se fosse in attesa di qualcosa.— Prima di andare via, posso farti una domanda? — le chiesi. — Hai detto che il fermacapelli

l’hai ereditato da tua madre…— Certamente. L’ho ricevuto in dono per i miei diciassette anni.— Ne avevo uno identico — le dissi. — Mi permetteresti di dargli un’occhiata?Con un movimento fluido, Isabella ondeggiò la testa di lato e si sciolse i capelli. Poi mi porse il

fermacapelli. — Tienilo, è tuo — affermò. — È sempre stato tuo.Le rivolsi un’occhiata sorpresa. Il sorriso sul suo volto faceva intendere che era questo che stava

aspettando.Soppesai il fermacapelli nella mano, sfiorando le incisioni delle rune con i polpastrelli.

Accarezzai le scaglie del serpente e poi i rubini incastonati al posto degli occhi. Infine, fecipressione sulla scanalatura per liberare la lama dell’athame. Con uno scatto, il fermacapelli si aprì.Il metallo affilato liberò un riflesso così accecante che dovetti chiudere gli occhi.

— Arrivederci, Zoe — sentii echeggiare nella mente dalla voce di Isabella. Era come se lei nonfosse più accanto a me, ma fosse il ricordo lontano di una gita fuori porta di tanto tempo addietro.

Quando riaprii gli occhi ero in riva al lago, immersa fino alle caviglie. L’acqua era fresca, mossada piccole increspature. Tra le mani, stringevo il mio athame.

E Adam era di fronte a me.

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Cos’è successo al mio famiglio?

Mi guardai intorno, spostando freneticamente lo sguardo da un albero all’altro, da un cespuglio alsuccessivo. Non c’era traccia della radura, né della casa di Isabella. C’erano solo il bosco, il lago, ilcielo attraversato da nuvole rapide. E Adam, che mi stava osservando con aria interrogativa.

— Cos’hai intenzione di fare con quello?Nascosi il mio athame dietro la schiena. — Niente che ti riguardi — risposi.— Mi riguarda eccome. Potresti ferire qualcuno. O te stessa.— Non trattarmi come una ragazzina — protestai. — So badare a me stessa.— Non fai altro che ripeterlo, ma guarda invece dove sei. Per poco non finivi in mezzo al lago, e

tutto questo per cercare le tue frecce?— Mi sono persa — sibilai. — Volevo tornare al sentiero dei bersagli, e invece mi sono trovata

qui.Adam mi guardò con aria perplessa. — E allora perché sono convinto che tu sia venuta fin qui di

proposito?Compii un passo verso di lui, senza smettere di guardarlo fisso negli occhi. Potevo avvertire il

calore della sua pelle accarezzare la mia. — Perché sei arrogante, e presuntuoso.Lui incurvò le labbra in un sorriso. — Forse è così. Oppure sei tu a essere una strega ribelle,

impulsiva e diffidente.— E tu? — lo incalzai, ignorando il turbamento sottile causato dall’eccessiva vicinanza dei nostri

corpi. — Tu cosa sei? Non sei una strega, dato che non hai neanche un famiglio. Sei bravo con l’arco,ma per ovvi motivi non sei un’Amazzone. Sei forse un mezzo demone come Lucrezia?

Adam indietreggiò di un passo. — No, non sono un mezzo demone — disse a voce bassa. — Ma,credimi, non vorresti saperlo, cosa sono io.

— Non ha nessuna importanza — sbottai. — Tanto non mi interessa. — Gli voltai le spalle,stizzita e al tempo stesso sollevata per essere riuscita a mettere una distanza tra me e lui, e andai arinfilarmi i calzari. Poi mi incamminai verso il sentiero che si inoltrava nel bosco. Adam fece peravvicinarsi ancora, ma mi voltai verso di lui, fulminandolo con un’occhiataccia. — Si può sapereperché mi stai tanto addosso?

— Hai… ehm… sbagliato direzione — borbottò lui. — Syara ci ha condotto dall’altra parte dellacollina, e se vogliamo arrivare in fretta dobbiamo tagliare per l’altro sentiero.

Sentii le gote scaldarsi. Dovevo essere avvampata vistosamente, e questo non fece che aumentareil mio imbarazzo. Cercai di ricompormi e gli feci segno di precedermi. — Intendevo la tua assurdaproposta di esercitarci insieme e tutto il resto.

— Mi sembrava una buona idea, tutto qui — disse lui. — Ginevra mi ha parlato benissimo di te.— Credo che tu e Ginevra abbiate di meglio da fare che parlare di me — sbottai. Ero convinta

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che stesse solo cercando di provocarmi.— Be’, tanto per cominciare mi ha detto che sei un’ottima compagna di stanza.— Wow — bofonchiai. — Devo ricordarmi di inserirlo nel curriculum. — Mi accorsi in quel

momento che sopra le nostre teste Merlino stava compiendo delle evoluzioni rapide, sembrava moltoagitato. — E tu, cosa ci fai qui? — gli chiesi. In tutta risposta, eseguì un volo in picchiata e poi risalìseguendo traiettorie concentriche.

— Sei di Milano, vero? — mi chiese Adam.— Fa qualche differenza?Lui si strinse nelle spalle. — Ci sono stato, qualche volta.— Immagino che a questo punto dovrei chiederti se hai visitato qualcosa di interessante.— Non ho avuto molto tempo di ammirare il panorama — affermò. — Però mi è sembrata una

città affascinante.— Lo è — ammisi con nostalgia. — Anche se come tutte le città antiche nasconde dei segreti.— Lo sapevi che è stata capitale dell’impero Romano?Mi fermai di colpo, sbottando: — Hai davvero intenzione di fare conversazione, mentre

raggiungiamo il gruppo?— E tu hai intenzione di essere intrattabile per tutto il tragitto? — mi incalzò.Alzai gli occhi al cielo, alla ricerca di una dose extra di pazienza. — Sono solo stanca, tutto qui

— bofonchiai. — Mi sono persa nel bosco e ora vorrei tornare a fare una pessima figura a Tiro conl’arco.

— Il segreto è nella respirazione — mi disse. — Sentirai l’arco come un prolungamento del tuocorpo. Devi inspirare profondamente col naso mentre incocchi la freccia, e tendere la cordaseguendo la linea dello sterno. Trattieni il respiro durante la mira ed espira con la bocca mentrerilasci la corda. Il resto verrà da sé.

— E se avessi il raffreddore?Adam scoppiò a ridere. — Non sei poi così scontrosa come cerchi di far credere, allora.— Posso essere molto peggio di così — sentenziai. — Sappi che se ti rivolgo la parola è solo per

via delle referenze che ha presentato Ginevra.— Oh. Avete parlato di me.— No — sbottai. — Ma se non fossi il ragazzo della mia compagna di stanza, non perderei tempo

a conversare con te.— D’accordo — disse lui alzando le mani. — La prossima volta che ti perdi nel bosco, dirò a

Syara di mandare qualcun altro a cercarti.— Ti ha chiesto lei di venirmi a cercare? — chiesi, meravigliata. Non sarebbe stato più logico

chiederlo al mio famiglio?— Be’… più o meno. Misha non si sentiva molto bene e mi sono offerto di venire al suo posto.— In che senso Misha non si sentiva molto bene? — chiesi, mentre il cuore faceva un balzo.

Merlino continuava a volare irrequieto sopra di noi, come se stesse cercando di avvertirmi di unpericolo imminente.

— Non so dirti cos’abbia di preciso, lui non parla volentieri con me — rispose Adam. — Avràavuto un capogiro. L’ho visto accasciarsi a terra, ma poco dopo ho avuto l’impressione che stesse giàmeglio.

— Cosa? — esplosi. — Perché non me l’hai detto subito?

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Poi, d’istinto, iniziai a correre, come se potessi lasciare indietro il brutto presentimento che mistava mordendo il petto.

Quando fui nelle vicinanze del gruppo, vidi un assembramento di alcuni ragazzi intorno a unalbero. Sgomitai per farmi spazio e mi trovai di fronte Misha, seduto, con la schiena appoggiata altronco e lo sguardo basso.

Gli presi la mano e strinsi forte. — Misha — sussurrai.Lui alzò la testa lentamente per guardarmi. — Zoe, sei qui — disse con un filo di voce. Aveva gli

occhi acquosi e il viso imperlato di sudore.Merlino si andò ad appollaiare su un ramo basso. Morgwen gli si avvicinò e protese il braccio

verso di lui. Merlino ruotò la testolina con movimenti a scatti, guardandosi intorno per qualcheistante, poi compì un balzo e andò a posarsi sul dorso della mano della sua strega.

— Cosa ti è successo? — chiesi a Misha.— N-non saprei dirlo con esattezza — rispose, con la voce che tremava. — C’è questo mal di

testa che non mi dà tregua, e poi… prima, all’improvviso, ho sentito che le gambe non mi reggevanopiù.

Gli asciugai la fronte con un lembo della mia maglietta. — Ma tu scotti.— Naaa, sto già bene — e fece per alzarsi. Ma le gambe cedettero e dovetti sorreggerlo per

evitare che cadesse.Lo aiutai a sedersi di nuovo a ridosso dell’albero. — Non provare a rifarlo — gli intimai.— No, davvero, non ti preoccupare… devo solo recuperare le forze.Gli accarezzai i capelli, sforzandomi di respingere una lacrima.Syara mi si avvicinò e mi appoggiò una mano sulla schiena. Mi voltai verso di lei, il suo sguardo

era gentile. — Ero preoccupata per te — mi disse. — Per un attimo ho temuto che volessi scappare.Scossi la testa con forza. — No… sono stanca di fuggire.— Ti capisco — mormorò lei.Certo, andarmene dal Santuario era tutto quello che volevo. Ma non sarebbe stata una fuga. Se

avessi continuato a scappare, sarei scappata per sempre. E poi non avevo intenzione di ripetere glierrori del passato. Questa volta, nessuno sarebbe rimasto indietro.

— Cos’è successo al mio famiglio? — chiesi a Syara.— Non lo sappiamo ancora — rispose lei. — I sintomi sono quelli di un’intossicazione, ma è

molto strano… il cibo del Santuario è lo stesso per tutti, quindi non dovrebbe essere l’unico a staremale. E poi i pasti sono rigidamente controllati.

— Potrebbe aver contratto qualche malattia, che ne so, tramite una ferita?— È possibile, anche se estremamente improbabile. I mutaforma hanno un sistema immunitario

sviluppatissimo. Potrebbe trattarsi di un virus molto aggressivo — affermò.Mi alzai e mi misi a camminare nervosamente avanti e indietro. — Insomma, non c’è proprio

niente che possiamo fare? — sbottai.— Dobbiamo aspettare che Sasha ritorni. L’ho inviata al Santuario per cercare una guaritrice che

presti a Misha il primo soccorso.— Ma sta troppo male — protestai — Non c’è tempo!— Quando si tratta di correre, nessuno può battere Sasha. Lei è la più veloce tra le Amazzoni. Se

anziché una guerriera fosse un’atleta, sarebbe una campionessa di fondo. Vedrai, sarà di ritorno conla guaritrice nel giro di pochi minuti.

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Abbracciai forte Misha e gli sussurrai all’orecchio che sarebbe andato tutto bene. Mentre lostringevo, mi accorsi che Adam era a qualche metro di distanza e mi stava osservando.

Sentii un impeto di rabbia nascere alla base del ventre e salire fino a strozzarmi il respiro. Mialzai di scatto, corsi incontro a Adam e lo spintonai. — Cosa gli hai fatto? — esplosi.

— Di cosa stai parlando? — si difese lui, indietreggiando.Continuai a seguirlo come un segugio che ha fiutato la preda. — Lo sai benissimo! Puoi ingannare

qualcun altro, ma io non ci casco. Ho visto come vi guardavate, ieri. Hai pianificato tutto findall’inizio, vero? — sibilai. — Rispondi alla mia domanda, Adam, perché non ho intenzione diripeterla due volte. Perché stai cercando di togliere di mezzo il mio famiglio?

— Calmati, Zoe — disse Adam allargando le braccia come in segno di resa. — Non sto affattocercando di fargli del male, io… non lo conoscevo nemmeno, prima che Ginevra ci presentasse, ieri.

— Ah, sì? E allora perché hai insistito che stessimo insieme durante Tiro con l’arco?— Mi era sembrata una buona idea, tutto qui!— Zoe, ti prego! — urlò Syara.Disse qualcos’altro, ma non la stavo a sentire. Continuavo a caricare Adam come un toro verso il

drappo rosso. Lo afferrai per il collo della maglietta. — Risposta sbagliata.Poi mi sentii strattonare per un braccio, e mi voltai come una belva inferocita. Era Ginevra. —

Adam non ha fatto niente di male — disse. — Per tutta la lezione è stato con me. La tua accusa èassurda, non si sono nemmeno salutati, lui e Misha.

— Lasciami stare — sbottai.— E tu lascia in pace Adam. Capisco che tu sia sconvolta, ma non vedi che ti stai rendendo

ridicola davanti a tutti? — Nel suo sguardo non riconobbi quello abituale della mia compagna distanza, ma intravidi una punta di cattiveria. Mi chiesi se fosse dettata dalla gelosia. Ieri sera, inmensa, non mi erano sfuggite le sue occhiatacce.

Un’altra voce si sovrappose a quella di Ginevra. — Zoe, smettila. — Era Sam. Stava ancoraansimando per la lunga corsa a fianco di Sasha. Dunque era lei la guaritrice che avevano chiamatoper prestare il primo soccorso.

Lasciai la presa sulla T-shirt di Adam. — Sam, Misha sta male — gemetti.— Lo so — ribatté lei. — Ma comportarti in questo modo non lo aiuterà. Ricorda che lui

percepisce tutto quello che provi. Devi sforzarti di essere positiva, di respingere le emozionipeggiori. Se non puoi farlo per te stessa, fallo per lui. Misha ha bisogno di tutte le energie possibili,adesso.

Sam aveva ragione. Sciogliere le briglie alla rabbia non avrebbe lenito la sofferenza di Misha.Abbassai il capo e mi sedetti su una radice sporgente, coprendomi il volto con le mani. Se persino lemie emozioni potevano sopraffarmi, come potevo pretendere di riuscire a controllare i miei poteri?Se davvero mi avevano portato al Santuario delle streghe per correggere le mie cattive abitudini,qualcuno doveva essere convinto che non ero irrecuperabile. In caso contrario mi avrebberorinchiuso per sempre in Riabilitazione. E allora perché stavo dando il peggio di me, dimostrando cheavevano torto?

Misha aveva gli occhi socchiusi e sembrava a malapena cosciente. Sam si chinò per appoggiare aterra la valigetta che aveva con sé, poi tamponò la fronte di Misha con un panno, dopo averloimbevuto in una soluzione contenuta in una bottiglietta di vetro. Sembrava molto concentrata. Prese inmano il polso di Misha e fece una leggera frizione.

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Mi avvicinai camminando con cautela, come se avessi paura di disturbarla. — Come sta? —chiesi, anche se la risposta era evidente. Misha stava malissimo, e io non stavo facendo niente peraiutarlo.

Sam mormorò: — Respira a fatica, e il battito è fortemente irregolare. Aiutami a sostenergli latesta, dobbiamo impedire che si addormenti.

Feci come mi aveva chiesto, lei svitò il tappo di un flacone e versò un po’ del liquido checonteneva tra le labbra di Misha.

— Perché non deve addormentarsi? — chiesi a Sam.Lei non rispose. Si mise ad armeggiare nella borsa e ne estrasse una piccola ciotola, poi da alcuni

barattoli di vetro prelevò delle polveri che sembravano spezie e ce le mescolò dentro.— Perché non deve addormentarsi? — ripetei, con un filo di voce. Ogni battito del cuore era

doloroso come se uno scalpello mi stesse incidendo le ossa.Sam mi guardò per un lungo istante, poi disse: — Potrebbe andare in arresto respiratorio.— A-arresto respiratorio? — balbettai, sgranando gli occhi. — Vuoi dire che potrebbe morire?— Non se lo teniamo sveglio — disse Sam. — Ma non c’è tempo da perdere. Dobbiamo portarlo

al Santuario, prima che peggiori.

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L’effetto farfalla

— Ti ho fatto prendere un bello spavento, vero? — disse Misha, sforzandosi di sorridere.Lo avevano sistemato nell’unico letto dell’infermeria dell’Accademia, che poi era una stanza

angusta nello stesso corridoio dello studio di Anna, la psicologa.Somigliava piuttosto a uno sgabuzzino, con la sola differenza che c’era una finestra con vista sul

bosco. Tirai un sospiro di sollievo: almeno non l’avevano portato nell’infermeria dellaRiabilitazione, dove non avrei potuto nemmeno fargli visita.

Alle pareti c’erano diversi armadietti pieni di barattoli con estratti di piante officinali, scatole dibendaggi, siringhe e tutto l’occorrente per il primo soccorso. A quanto vedevo, la medicina che sipraticava al Santuario era un curioso ibrido tra erboristeria, omeopatia e tecniche più convenzionali.Con un tocco di magia, naturalmente.

— Non ci riprovare o ti spezzo le ossa — ribattei.Misha si mise a ridere, poi iniziò a tossicchiare. Aveva occhiaie profonde e l’incarnato pallido.

— Non ti libererai così facilmente di me — sospirò.— Come ti senti, adesso?Increspò le labbra in una smorfia eloquente. — Come se mi avessero dimenticato in mezzo alle

lenzuola da centrifugare in lavatrice. A parte questo, tutto okay.Mi risistemai sulla sedia, ma era davvero scomoda. — Sam dice che stai rispondendo bene alle

cure.Annuì. — Il mal di testa si è attenuato, ma immagino che Sam voglia tenermi sotto osservazione

finché non ha capito cosa ha provocato il malore. — Si schiarì la voce, poi aggiunse: — In ogni caso,sono certo che non è niente di grave.

— Questa cosa mi sta facendo impazzire — dissi, mordendomi le labbra. — Il fatto che tu stiamale e io non possa fare niente per aiutarti, intendo.

— Non ti preoccupare, sono in buone mani — mi interruppe lui. — Sam è fantastica, e sono sicuroche quando ci saremo lasciati questa storia alle spalle ci chiederemo come abbiamo fatto aspaventarci tanto per una sciocchezza.

— La chiami sciocchezza una crisi respiratoria durante una semplice esercitazione di Tiro conl’arco?

Misha si strinse nelle spalle. — Magari è solo l’aria del bosco che è inquinata.— Oh, certo! Non ci sono città nel raggio di centinaia di chilometri, siamo immersi in una natura

rimasta incontaminata da secoli, per di più a pochi passi da un’infinità di portali interdimensionali, emi parli di inquinamento?

— Sam ti ha detto dei portali?Annuii. — E se tu fossi vittima di qualche tipo di maledizione?

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Misha corrugò la fronte. — Oh, andiamo. Non è consentito compiere malefici tra le mura delSantuario.

Misha aveva ragione, ma solo la magia avrebbe potuto permettermi di raggiungere mia nonna in unluogo e in un tempo in cui aveva ancora diciassette anni. Infilai la mano nella tasca anteriore deijeans e strinsi forte l’athame che mi aveva donato. Anche se la mia parte razionale suggeriva che ilviaggio nel Giardino dello Spirito poteva essere stato un sogno a occhi aperti, quell’oggetto erareale.

— A meno che… — aggiunse Misha.Rimasi appesa alle sue parole, in attesa che concludesse la frase, ma non lo fece. Sembrava

pensieroso. — A meno che? — ripetei.Misha si inumidì le labbra. — Gli incantesimi che proteggono il Santuario sono più deboli in

certe aree. Le chiamiamo Anomalie. Da lì è possibile compiere magie, ma non credo che si tratti diquesto.

— Cosa? — sbottai, incredula. — È possibile compiere magie all’interno del Santuario?Misha fece un cenno di assenso. Non potei fare a meno di chiedermi se anche il lago fosse stata

un’Anomalia, un’area dove gli incantesimi che inibivano il Dono non avevano effetto.— Non potrebbe essere partita da un’Anomalia la maledizione che ti ha colpito? — chiesi.— No — obiettò lui. — Adelaide se ne accorgerebbe all’istante. Lei e il Santuario hanno una

connessione molto profonda.— Ho avuto la stessa impressione.— Se qualcuno sfruttasse un’Anomalia per compiere un incantesimo, per lui si aprirebbero le

porte della Riabilitazione. O peggio.— Non riesco a immaginare niente di peggio della Riabilitazione — ammisi. — Là dentro è un

vero inferno.Misha cambiò posizione, sistemandosi su un fianco. A giudicare dalla sua espressione, tuttavia, il

solo muoversi sembrò provocargli dolore. — Non la penseresti così, se avessi visitato i sotterraneidel Santuario.

— Cosa vuoi dire?— Le fondamenta del Santuario poggiano su un’intricata rete di gallerie costruita originariamente

per proteggere l’accesso al Mondo Sotterraneo. In entrambe le direzioni. È proibito per gli esseriumani attraversarle, così come alle sue creature è proibito risalire sulla Terra. Il Santuario dellestreghe, insomma, è anche un baluardo di difesa dai demoni.

— Parli come se ci fossi stato.Misha scosse lievemente la testa. — No, io no. Ma tu potresti essere costretta a farlo.— Non capisco…— Sento che qualcosa di terribile sta per avvenire. Qualcosa di così spaventoso da rasentare

l’Apocalisse.Gli strinsi forte la mano. — Non dire così. Vedrai che queste brutte sensazioni scompariranno man

mano che starai meglio.Misha scosse la testa con forza. — No, Zoe, ti assicuro che non è il mio malessere a

condizionarmi — affermò. — Io sono il tuo famiglio. Posso percepire l’eco degli avvenimentiparticolarmente terribili che ti colpiranno. È successo prima che tu avessi l’incidente con Sebastian.Ed è successo quando hai conosciuto Adam.

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— A-Adam? Cosa c’entra Adam, adesso? — balbettai. — No, io… scusami, ma mi rifiuto dicrederci — protestai. — Niente è scritto. Siamo noi a determinare il nostro destino, con le nostrescelte.

— È vero — concordò Misha. — Ma le nostre scelte possono innescare delle catene diavvenimenti impossibili da prevedere. E anche le migliori intenzioni possono portare sciagure, nellungo periodo. Una sorta di effetto farfalla.

Lo guardai con aria interrogativa. — Effetto cosa?— L’effetto farfalla è un modo per spiegare il caos. È una teoria scientifica secondo la quale

persino una piccola variazione dello stato di un sistema, come il battito d’ali di una farfalla, puòprodurre effetti catastrofici a lungo termine. Come un uragano dall’altra parte del mondo, peresempio.

— Forse non ho fatto i compiti a casa, ma credo di non riuscire a seguirti.— Tu potresti essere quella farfalla, Zoe — disse lui con enfasi. — Quella che porta il germe

della rinascita, ma che allo stesso tempo può scatenare la catastrofe che spazzerà via l’umanità dallafaccia della Terra.

— Non ti sembra di esagerare, adesso? — Lo dissi anche se, dopo quello che era successo aMilano, non ero ancora riuscita a scrollarmi di dosso l’impressione di correre sul filo di un rasoio.

— Credimi, Zoe. Vorrei che fosse così — disse Misha, guardandomi intensamente. — E so che èspaventoso da credere. Ma tu hai il potere di porre fine alla guerra, o di scatenare la più cruenta cheil mondo abbia mai visto.

— Parli della guerra con gli Inquisitori?— Sì, ma non solo. Siamo sull’orlo di una rappresaglia da parte delle Arpie, che sono alla ricerca

di una nuova sorgente di potere. Quella sorgente potresti essere tu. Per questo Adelaide si èdimostrata così indulgente nei tuoi confronti. La verità è che lei ti teme, più di quanto sia disposta adammettere.

— Adelaide che ha paura di me? È ridicolo! — sbottai. — È una delle streghe più potenti cheesistano al mondo.

Lo sguardo di Misha si fece più serio. — Ma si è rifiutata di dirti la verità sulla Custode dellefalene, e del perché tutti sono convinti che sia tu.

Scattai all’indietro, come se fossi stata colpita da un pugno in pieno volto. — Perché, tu lo sai,invece?

Misha tossì un paio di volte. — Diciamo che ho una mia opinione al riguardo. Le falene che hannotrasportato la tua anima e quella di Sebastian nel tempo presente erano fee, una sottospecie dicreature soprannaturali appartenenti alla famiglia delle fate. Secondo un’antica credenza, le fee sonole depositarie dell’anima dei mortali.

Un po’ come le lucciole coi desideri, pensai ricordando la fiaba che mi aveva raccontato miamadre, molto tempo fa. — Le falene sono una specie di… fate? — pensai a voce alta. Che fosse perquesto che il potere di Ligea non aveva avuto effetto su di me? Lei era una fata, dopotutto. Che inqualche modo il suo potere mi avesse riconosciuto?

— Le fee hanno trasportato la tua anima fino a oggi, in vista dello scontro finale con gli Inquisitori— affermò.

Se una farfalla poteva provocare un uragano dall’altra parte del mondo, di cosa era capace unesercito di fate in grado di trasportare l’anima degli esseri umani?

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Lasciai la sua mano per tamponargli la fronte con un fazzoletto. — Perché mi stai dicendo questecose?

— Perché, nel caso io non debba farcela, voglio che tu sappia tutto ciò che c’è da sapere percompiere la scelta giusta.

— Smettila di dirlo. Tu guarirai. Devi guarire. Io… ho bisogno di te — dissi, tremando.Misha schivò il mio sguardo, ruotando la testa verso la finestra. — Siamo tutti in pericolo. C’è

qualcosa che non va nella rete di sicurezza del Santuario, un’interferenza nelle barriere magiche.Qualcosa sta cercando di entrare. Un male antico e pieno di rancore. — Tornò a incollare gli occhisu di me. — Nemmeno questa roccaforte è più un luogo sicuro.

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Cieli neri

Sam fece il suo ingresso nella piccola stanza, seguita a un passo da Angelica.Quest’ultima aveva gli occhi arrossati, come se avesse appena smesso di piangere. — Come sta?

— mi chiese, con la voce che tremava.— Un po’ meglio — dissi, spostando il mio sguardo su Sam.Sam mi prese da parte e mi condusse fuori dalla stanza. — Gli antipiretici stanno tenendo a bada

la febbre, ma ho dovuto somministrargli una dose massiccia di antidolorifici. Purtroppo la situazionenon è ancora sotto controllo, c’è molto da fare.

— Vuoi dire che Misha non è fuori pericolo?— Non finché non avrò scoperto cosa sta provocando questo malessere. Il suo sistema

immunitario è fortemente debilitato, come se qualcosa lo stesse facendo a pezzi dall’interno.Deglutii a fatica, cercando di respingere l’ansia. Misha era in grado di percepire le mie emozioni,

quindi dovevo sforzarmi di pensare positivo.— Credi che se si trasformasse in furetto potrebbe affrontarlo meglio?Sam esitò, prima di rispondere. — Forse sì, ma non me la sento di rischiare. Se da un lato i suoi

anticorpi potrebbero beneficiare dalla mutazione, dall’altro le energie spese potrebbero rendereimpossibile un ritorno alla forma umana. Ma lo scenario potrebbe essere ancora peggiore.

— In che modo?— Non sappiamo contro cosa stia combattendo. La mutazione stessa potrebbe ucciderlo.Sgranai gli occhi, allibita. — Non possiamo stare a guardare mentre quel qualcosa lo sta

uccidendo — sbottai.— Sto facendo tutto il possibile, Zoe! Sono in attesa dei risultati delle analisi alla ricerca di un

indizio da cui partire per la diagnosi. Farò altri test, ma i sintomi sono contraddittori. È complicato,perché Misha è un mutaforma e le sue reazioni agli esami non sono le stesse di un comune essereumano.

Non potei fare a meno di pensare a mia nonna, che aveva compiuto un incantesimo su di me peraiutare il mio corpo ferito a guarire dopo un incidente mortale. Forse lei avrebbe potuto guarireanche Misha. Mi chiesi se sarei stata disposta ad accettare le controindicazioni, come doversopportare la lontananza dal mio famiglio per mesi, in attesa del suo risveglio. Mi risposi che sì,potevo farcela. Ero disposta a tutto, pur di salvargli la vita.

— Non possiamo trasportarlo in un luogo dove la magia sia efficace? — mi risolsi a chiedere aSam.

Lei fu categorica: — Nello stato in cui si trova, Misha non è in grado di affrontare un altroviaggio. Persino averlo trasportato attraverso il bosco fino al Santuario lo ha debilitato. E, tiassicuro, nemmeno la magia può fare miracoli.

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— Non possiamo chiamare, che so, un elicottero che lo porti all’ospedale più vicino?— Non sai quello che dici… — mormorò Sam. — Nessun veicolo umano può raggiungere il

Santuario. Anche ragionando per assurdo e sperando che un contro-incantesimo di Adelaide dissolvale barriere che proteggono il Santuario dalle interferenze esterne, come puoi pretendere che lamedicina tradizionale sia in grado di curare una creatura di cui non conosce nemmeno l’esistenza?

— È che… è così difficile accettare di essere impotente, Sam — singhiozzai, rifugiando la testanella sua spalla. — Non riesco a farmene una ragione. A cosa serve la nostra magia, il Dono con tuttele responsabilità che comporta, se poi di fronte al male siamo costretti ad arrenderci?

Lei mi accarezzò i capelli con tocchi gentili, come pensavo non avrebbe fatto mai più. — È prestoper trarre conclusioni affrettate — disse. — E nessuno ti sta chiedendo di arrenderti. Il tuo ruolo,adesso, è sostenere la fiaccola della speranza. Portala più in alto che puoi, con orgoglio, anche se ilcielo della tua anima sembra oscurato. Nessuna tempesta può spegnere il tuo fuoco, se ci crediabbastanza. — Fece una breve pausa, in cui mi parve di udire la sua voce risuonare come un’ecodistante. — È stata tua madre a insegnarmelo.

Rimanemmo per qualche istante in silenzio, mentre sentivo le ginocchia che mi cedevano e ilcuore che si stringeva. — Mi dispiace così tanto — mugolai. Stavo pensando a Federica, a Sam cheaveva perso il suo amore per causa mia. — Potrai mai perdonarmi?

Sam mi costrinse a guardarla negli occhi. — Non è stata colpa tua. — Com’era successoun’infinità di volte, in passato, a Sam non servivano parole per capire a cosa stavo pensando. — Oravai nella tua stanza a riposare un po’. Ne hai bisogno almeno quanto ne ha bisogno Misha.

— Non posso — ribattei. — Devo suonare il piano per il corso di Danza. Anche se con Misha inquesto stato non so come farò.

Prima di andarmene, entrai nella stanza per salutare Misha. Aveva gli occhi chiusi, sembravastesse dormendo. Anche se prima mi aveva dato l’idea di essere migliorato, mi rendevo conto soloora di quanto in realtà fosse esausto. Il viso era opaco, la pelle priva della sua naturale luminosità.Le labbra erano molto secche e avevano un colorito perlaceo.

Angelica era in piedi. Si era posizionata a ridosso della parete e stava osservando il panoramadalla finestra, mantenendo una postura raccolta, con le braccia a coprire il ventre e la testaleggermente reclinata. Sembrava spaventata, come se stesse contemplando uno scorcio apertosull’inferno stesso. — È stato il bosco — disse, spostando lo sguardo su di me.

— Cosa?— È stato il bosco a fare questo a Misha. Non avrebbe mai dovuto iscriversi a Tiro con l’arco. È

meglio stare all’interno delle mura. È più sicuro. — I suoi occhi erano sgranati, sembrava davvero incrisi.

— Ma cosa dici? — ribattei.— Tu non capisci — protestò Angelica. Si toccava insistentemente il ciondolo che portava al

collo. — Temi il bosco quanto il peggiore dei tuoi incubi. Lo diceva sempre la mia tata, quando eropiccola. Ma io non ho voluto darle ascolto e ora…

Mi avvicinai e le feci una carezza sul braccio. — Misha stava già male prima di uscire per lalezione di Tiro con l’arco, Angelica — le dissi, sforzandomi di mantenere la voce calma ma ferma.— E non sai quanto mi sento responsabile per non aver seguito l’istinto. Quando Misha mi ha detto diavere mal di testa, sapevo che c’era qualcosa che non andava. Qualunque sia la causa del suomalessere, la dobbiamo cercare tra le mura del Santuario.

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Misha socchiuse gli occhi. — Zoe — sussurrò.— Sono qui — risposi, precipitandomi al suo capezzale.— Promettimi che terrai presente quello che ti ho detto — mi disse con un filo di voce.Feci sì con la testa, mentre una lacrima scivolava fuori dalle ciglia e si infrangeva sul pavimento.— Ora vai — aggiunse.— No — protestai. — Non voglio lasciarti solo.Lui si inumidì le labbra screpolate. — Finché esisti, non sarò mai solo — mormorò.Prese la mia mano e se la appoggiò al petto. Potei sentire il suo battito accelerato attraverso il

sottile tessuto della maglietta. Poi me la baciò delicatamente.— Ora ho bisogno di riposare — aggiunse. — Ma con te nella stanza sarebbe impossibile — e si

sforzò di sorridere.Feci un cenno di assenso, respingendo una lacrima. Poi mi chinai e gli lasciai un bacio tra i

capelli.Mi diressi verso la porta camminando velocemente, sforzandomi di non guardarmi indietro, anche

se lo sentivo, lo sguardo pesante di Angelica sulle mie spalle, mentre mi allontanavo. Prima di aprirela porta, mi immobilizzai di fronte a Sam.

— Ti prego — implorai. — Non permettere che qualcun altro muoia per colpa mia.

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Troppo tardi per un cuore ferito

Mancavano quindici minuti alla lezione di Danza, e il buon senso mi avrebbe suggerito di avviarmiverso la sala in cui si teneva. Ma un’idea aveva cominciato a ronzarmi in testa, e mi diressi consicurezza verso la biblioteca del Santuario.

C’era un viavai di studenti e molti di loro lanciarono un’occhiata fugace ai miei capelli. Losapevo, erano lunghi, a differenza di quelli di tutti gli altri. Ma mi ero stufata di dovermi giustificareper la mia diversità. Non avevo intenzione di lasciarmi giudicare dalle apparenze, non più. Se glialtri si erano conformati alle regole di Adelaide, io avevo i miei buoni motivi per non farlo, a costodi dover sopportare i loro sguardi di sufficienza.

Prima di entrare in biblioteca, mi sentii afferrare per un braccio. Mi girai di scatto, pronta areagire, immaginando si trattasse di qualcuno che avesse qualcosa da ridire. E invece vidi gli occhitaglienti di Adam piantati nei miei.

— Che vuoi? — sibilai.— Solo dirti che mi spiace per quello che è successo a Misha.Feci un sorriso sarcastico. — E perché dovrebbe dispiacerti? Lo conosci a malapena.— Ma so che è il tuo famiglio.— Che differenza fa? — sentenziai. — Sono solo la compagna di stanza della tua ragazza,

dopotutto.— A questo proposito, mi volevo scusare per il comportamento di Ginevra. Lei è molto protettiva,

ma non avrebbe dovuto reagire in quel modo.Abbassai lo sguardo. — No, ha fatto bene. Ti sono saltata addosso come una pazza, anch’io avrei

fatto lo stesso se fossi stata la tua ragazza.Mi sfiorò con le dita la punta dei capelli. — Se tu fossi la mia ragazza, non permetterei a nessuno

di offenderti come ha fatto lei.Quel semplice contatto mi provocò un brivido. Avrei dovuto dirgli di non essere ridicolo, che il

mio cuore apparteneva a un altro, che quelle erano soltanto chiacchiere vuote come le sue scuse, mariuscii solo a ribattere: — Non ha importanza, è acqua passata.

Dovetti lottare per mantenere il controllo mentre lui avvicinava il viso al mio. Il suo profumo eracosì avvolgente che rischiai un capogiro. Credevo avesse intenzione di baciarmi, e per un attimodesiderai che lo facesse. Mi diedi della stupida, ma comunque non mi ritrassi. Mi piaceva il suoprofumo, maledettamente. E mi odiavo per questo.

Adam appoggiò la testa sulla mia spalla. — Dio, perché dev’essere tutto così complicato? —disse a voce bassa. Le sue labbra erano a un centimetro dall’incavo del mio collo, e il suo respiro misolleticava la pelle.

Senza chiedermi cosa stavo facendo, mi trovai a sfiorare la sua testa con la mano, e le mie dita si

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intrecciarono ai suoi capelli. Sapevo che avrei dovuto respingerlo e andarmene, ma al mio corpo noninteressava. Era attratto da lui come una calamita. Forse ero soltanto più vulnerabile, ma quelcontatto inaspettato mi stava dando una sensazione di sollievo, come se dopo tanto tempo stessitornando a casa. Mi chiesi cosa sarebbe successo se avessi conosciuto Adam prima di Sebastian, equesto suonò come un campanello d’allarme che non potevo ignorare. Mi sentivo un’idiota insicura, eil senso di colpa mi pervase come un torrente in piena. Scossi la testa con forza e cercai diriprendere il controllo.

Posai i palmi delle mani sul suo petto e mi sforzai di fare pressione per spingerlo via, ma misentivo improvvisamente svuotata da qualsiasi energia.

— Te l’ho detto, se le cose ti sembrano complicate, cerca di renderle semplici. — La mia voceavrebbe dovuto suonare decisa, ma uscì poco più che un bisbiglio. Alzai lo sguardo, sforzandomi diapparire determinata. — Tu stai con Ginevra, e anch’io… sono impegnata. Io e te non siamo amici, enon c’è nessun motivo per cui dovremmo rivolgerci la parola.

Lui prese le mie mani e le strinse a sé, premendole con forza ai suoi pettorali. Sentivo i suoimuscoli sotto le dita, mentre con lo sguardo passava dai miei occhi alla mia bocca, provocandomi unbrivido lungo la schiena. Per un lungo istante, mi dimenticai di respirare.

Adam contrasse la mascella. — Non è così facile.— Lo è. Ci salutiamo quando ci incontriamo per i corridoi, quando verrai a prendere Ginevra o

quando ci troveremo in aula durante le lezioni. Ma al di là di qualche cenno o delle poche parole chepotremo scambiarci in mensa, non ci sarà mai niente tra me e te.

— Smettila di nominare Ginevra — sentenziò. — Non ho bisogno che mi ricordi che lei sta conme. Il punto è che… — fece una pausa per guardarsi intorno. Un po’ di gente ci passava accanto, e trai loro volti Adam sembrava cercare un appiglio per trovare le parole. — … Non sono più sicuro seio sto con lei — concluse.

La saliva mi andò di traverso. Dovetti schiarirmi la voce un paio di volte per poter ricominciare aparlare senza tossire. — Questo discorso non ha senso — dissi scuotendo la testa. — Tutte le coppieattraversano momenti di crisi. Non tirarmi in ballo nella tua, però. Io non voglio avere niente a chefare con te.

— Io e Ginevra non siamo in crisi, è che…— Ora devo andare — lo interruppi. — Ho un sacco di cose da fare.Gli voltai le spalle e mi diressi con passo sicuro verso la biblioteca.Mentre stavo per entrare, sentii la voce di Adam. — Non dimenticare della nostra lezione privata

di Tiro con l’arco, domani mattina — mi disse.Un sorrisetto ebete sfuggì al mio tentativo di controllarmi, mentre sentivo le guance scaldarsi per

l’imbarazzo. Oltrepassai la postazione della bibliotecaria, cercando di dimenticare il senso diturbamento che mi aveva lasciato Adam. Detestavo l’effetto che aveva su di me. Aveva il potere difarmi sentire fragile, esposta, come se il suo sguardo fosse in grado di rovistare tra i miei pensieripiù nascosti.

Mi vergognai perché la sua presenza mi aveva distratto dal pensiero di Misha. Avevo unamissione da compiere, adesso. Occupai una delle postazioni al computer ed eseguii il log-inservendomi delle credenziali che mi avevano consegnato in segreteria. Cominciai a inserire i sintomiche stava accusando Misha nella speranza che il motore di ricerca mi desse una traccia da cui

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iniziare un’indagine più approfondita. Purtroppo il tempo stringeva e dovetti limitarmi a scriverequalche appunto sommario sui risultati, nell’applicazione Note dell’iPhone.

Prima di andare via, chiesi alla bibliotecaria se c’erano testi specifici sulla cura dei mutaforma.Lei mi spiegò che avrei potuto trovarli nella sezione dedicata alla medicina generale. Anche inquesto caso, però, dovetti annotarmi le coordinate dello scaffale e rimandare a più tardi laconsultazione.

Entrai nella sala di Danza appena in tempo per l’inizio della lezione. Sul pavimento di legnolucido e chiaro si rifletteva la luce proveniente dall’ampia vetrata. Le allieve erano già allineate allesbarre disposte lungo il perimetro di fronte agli specchi, tutte vestite con body e calze nere e ai piedile scarpette da punta allacciate alle caviglie.

Evitai di guardare in direzione di Lucrezia e Jezebel, anche se con la coda dell’occhio mi resiconto che erano entrambe rivolte verso di me e stavano confabulando a bassa voce. L’insegnante, unatipa sulla quarantina dagli occhi chiari e il viso affusolato, era vestita con una canottiera lilla sopraun paio di pantaloni ampi che le lambivano i polpacci. Non appena mi presentai, fece una smorfiaben poco incoraggiante, per poi puntualizzare che avrebbe preferito avere un po’ di tempo persentirmi suonare prima della lezione, che si aspettava maggiore serietà, più senso del dovere, che neavrebbe parlato con Adelaide, eccetera eccetera.

Pensai che era inutile starle a spiegare che avevo faccende ben più importanti che meritavano lamia attenzione, quindi mi affrettai a sedermi sullo sgabello del pianoforte e cominciai a sfogliare lospartito.

Poi alzai il coperchio e accarezzai la fila dei tasti come ero abituata a fare con il mio pianoforte,respingendo la nostalgia di casa e sforzandomi di trovare la concentrazione necessaria. Non erafacile, l’immagine di Misha e del suo volto esanime mi si parava davanti in continuazione, mentre erasteso sul letto dell’infermeria e mi diceva che se non ce l’avesse fatta avrei dovuto conoscere laverità per essere in grado di compiere le mie scelte. Non potevo neanche pensarci, alla possibilitàche avrebbe potuto non essere più al mio fianco. Eppure, mi suggerì una voce dalle profondità dellamia anima, ero stata capace di abbandonarlo a se stesso quando ero fuggita da Milano, pur sapendoquanto un famiglio soffra per la mancanza della sua strega.

Forse, la verità era che avevo dato la sua presenza per scontata, mentre lui meritava molto di più.Forse, avrebbe meritato una strega migliore di me. Ma, come aveva ammesso lui stesso, un famiglionon può scegliere a quale strega appartenere. Come una strega non può scegliere di chi innamorarsi.E a quel punto, inspiegabilmente, fu il volto di Adam a comparire davanti agli occhi della mente.Scossi la testa con forza, non volevo permettere che con la sua arroganza si intromettesse nella miavita privata. Eppure, liberarsi del pensiero di lui mi risultò più difficile del previsto, anche dopo chela lezione fu cominciata. Mi sforzavo di seguire alla lettera le note dello spartito, mentre l’insegnantechiamava i passi che le allieve dovevano eseguire, ma mantenere la concentrazione mi sembravaimpossibile.

— Insomma, più brio, più dinamismo — sentii dire, a un certo punto, dalla voce striduladell’insegnante.

Pensai che stesse parlando con le sue allieve, ma pochi istanti dopo me la ritrovai di fianco alpianoforte. — Zoe, andiamo! Più grinta.

— Faccio del mio meglio — borbottai. E dentro di me pensavo che Misha stava malissimo,maledizione, e io ero lì a suonare il pianoforte in un corso di Danza classica.

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— Il tuo meglio non mi basta — sibilò lei. — Io pretendo il massimo, e anche di più, da tuttiquanti, in questa stanza.

Potrei giurare di aver sentito, in quel momento, una risatina provenire da qualcuno, dal latoopposto della sala. Non faticavo a immaginare di chi si potesse trattare, di certo erano Jezebel oLucrezia, che si compiacevano nel vedermi in difficoltà.

L’insegnante si voltò rapidamente verso le sue allieve. — Uno, due… tre. Forza, andiamo! — ecolpì il pianoforte con uno schiaffetto, per incalzarmi a ripartire.

Per quanto mi sforzassi di dare un ritmo più allegro alle note, mi rendevo conto che ciò chesuonavo somigliava al lamento di un’anima inquieta.

L’insegnante si spostò per andare a correggere la postura di una delle ballerine, e potei tirare unsospiro di sollievo. Anche se la tentazione di alzarmi e piantare tutto per correre da Misha erafortissima, riuscii a resistere fino alla fine della lezione. Poi, però, non persi tempo neppure persalutare l’insegnante di Danza, attraversai i corridoi del Santuario fino a raggiungere l’infermeria,col cuore in gola, sperando che Sam avesse in serbo delle buone notizie.

Purtroppo, la mia rimase soltanto una vana speranza. Quando entrai in infermeria, Misha stavadormendo, ma il suo viso non appariva disteso, come se la lotta contro il male che lo stava divorandodall’interno fosse nel pieno. Con lui c’era Angelica. Era seduta accanto a lui e gli stava tenendo lamano.

— Qualche novità? — le chiesi.Angelica scosse la testa, senza alzare lo sguardo.— Dov’è Sam?— È andata via poco fa. — Si tirò su le maniche della maglia che indossava. — Non posso

crederci che stia succedendo davvero…— Nemmeno io. Mi sforzo di pensare positivo, ma in momenti come questo non è facile.— Ah sì? Certo, io posso solo immaginare cosa significhi che qualcuno possa provare le tue

stesse emozioni. — Nel suo tono c’era una venatura di sarcasmo.— So che Misha ha bisogno del mio supporto, e sono pronta a fare qualsiasi cosa per lui.— Ne sei proprio sicura? Dov’eri quando lui credeva che tu fossi morta e la sua vita sembrava

aver perso ogni senso?Indietreggiai di un passo, avvertendo una fitta al petto come se mi avesse centrato con una freccia

invisibile. — N-non è dipeso da me… l’incidente… — tentai di giustificarmi.— Già, l’incidente. Ma come sarebbe andata se non fosse successo? Ti sei mai chiesta dove ti

troveresti ora? Eri pronta ad abbandonare tutti, compresi quelli che credevano in te.Mi sarei aspettata una frase del genere da parte di Sam, mai da Angelica. — So di aver sbagliato

— ammisi. — Ma dovresti sapere quanto mi è costato accettare la mia natura di strega. Ho passatoun periodo d’inferno, a Milano. Ho agito d’istinto, pensando solo a me stessa, è vero. Credo di nonaver valutato fino in fondo le conseguenze delle mie azioni, ma ora sono pronta a rimediare.

— E sei tornata a riprendere possesso del tuo territorio, giusto?Sgranai gli occhi, allibita. — Il mio territorio? Ma che dici!Angelica si alzò e compì un passo nella mia direzione. — Come fai a non capire? Hai sempre

avuto tutto, e hai sempre dato tutto per scontato.— Cosa intendi?— Tu non l’hai visto, Misha, com’era in questi mesi, prima che tornassi tu. Sembrava che niente

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avesse senso per lui. Era infelice, avvilito. Ho cercato di stargli accanto, ma la mia vicinanza nonleniva la sua solitudine. — Una lacrima le scivolò sulla guancia. — E non sai quanto faceva male —aggiunse.

Per poco la mandibola non mi cadde per terra nel rendermi conto del motivo per cui Angelica eraimprovvisamente così ostile. — Tu sei… innamorata di Misha — pensai a voce alta. Ma certo, comeavevo fatto a non rendermene conto? Abituata com’ero alla ragazza superficiale che cambiavafidanzato con la stessa disinvoltura con cui cambiava vestito, non avevo riflettuto che in questo lungoperiodo Angelica potesse essere maturata al punto da stringere un vero legame affettivo conqualcuno.

Lei mi rivolse uno sguardo colmo di amarezza. — Il punto non è se io sono innamorata di Misha— mormorò. — Ma il fatto che Misha è innamorato di te.

— Ti sbagli — affermai con decisione. — Anche per me la sua mancanza era dolorosa, ma ilrapporto tra una strega e il suo famiglio…

Non mi lasciò finire la frase. — Non raccontarmi la fiaba della reciproca dipendenza di unastrega col famiglio — esplose. — Sarà per il fatto che io non posso nemmeno immaginare com’èavere un famiglio, ma questa storia comincia davvero a stufarmi.

— Mi spiace, non intendevo ferirti — bofonchiai.— Lascia perdere, Zoe. Sei così abituata a vederti giustificare tutto con la scusa che non lo fai

apposta, che non ti rendi minimamente conto di cosa significhi ferire i sentimenti degli altri.Ero sconcertata. Se a Milano Angelica mi aveva ferito con la magia, adesso erano le sue parole a

pugnalarmi.— Non è vero — protestai. — Ma posso capire che certi aspetti del mio rapporto con Misha

possono essere fuorvianti, visti dall’esterno. Anch’io all’inizio credevo di essermi presa una cottaper lui, e solo in seguito mi sono resa conto della vera natura del nostro rapporto.

— Ma che ne sai — sbottò Angelica. — Mi chiedo soltanto come fai a essere così insensibile. Seitutto per lui, sei il centro del suo universo. Non c’è spazio per nessun’altra nel suo cuore, e tunemmeno te ne accorgi. Come fai ad essere così egoista?

— Sto solo cercando di spiegarti che la realtà è molto diversa da come la immagini. Misha non èinnamorato di me, anche se a volte certi atteggiamenti nei miei confronti possono averti fatto pensareil contrario. È il mio famiglio, è vero. Ma il suo cuore è libero.

Angelica schivò il mio sguardo e scosse la testa. — Sei troppo indaffarata a pensare sempre esoltanto a te stessa, Zoe, per accorgerti di quello che ti succede intorno. Hai tutto e nemmeno te nerendi conto. Potresti essere felice, se solo lo volessi. Ma non fai che buttare tutto all’aria.

— Come puoi dire così? Essere una strega mi ha portato via tutto quello che avevo! — protestai.— Cosa dovrei dire, io, allora? Io che non ho mai avuto niente! Per mia madre ero un ostacolo

alle sue ambizioni. Se n’è andata a vivere a Londra per seguire la carriera di modella insieme a certesue colleghe della Sorellanza. Mio padre mi ha sempre considerato soltanto uno dei suoi tantiproblemi. Ho avuto molti ragazzi, è vero, ma per loro ero poco più di un trofeo da esibire, la ragazzadell’alta società che li aiutava a sollevare il loro ego. — Percorse lo spazio che la separava dallaporta e appoggiò la mano sulla maniglia. Prima di aprirla, aggiunse: — La cosa buffa è che ho apertogli occhi grazie a te. Ma non mi ha aiutato a stare meglio. Ora mi sento più sola che mai, per di più ècome… quello che tu ti ostini a chiamare Dono per me assomiglia molto di più a una malattia rara.

— Non sei più sola, Angelica. Ci sono tante altre persone come te… come noi, qui al Santuario.

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— Persone come Jezebel, come Lucrezia? O come le Amazzoni che ci controllano a vista? —sbottò. — Fin da quando sono stata ammessa all’Accademia sono stata guardata con diffidenza,isolata, emarginata. Con Misha era diverso. Da lui mi sentivo compresa, era gentile, protettivo.Avevo finito per convincermi che col tempo avrebbe imparato a ricambiare i miei sentimenti, ma misono soltanto illusa. Per lui esisti soltanto tu.

Oltrepassò la soglia, e mi affrettai a seguirla in corridoio. Mentre si allontanava, mormorai: — Tiprego, Angelica. Ascoltami. Io… ti chiedo scusa per averti piantato in asso. Per aver piantato in assotutti voi. L’ho fatto per amore, ma mentirei se ti dicessi che non ho avuto paura. Ti prego, permettimidi rimediare.

Angelica si immobilizzò. — È troppo tardi, lo capisci? — Aveva i lucciconi. — È tardi per lescuse, per i ripensamenti. Il tempo è passato, ma anziché curare le ferite le ha rese più profonde. —Poi ricominciò a camminare velocemente, e io seguii la sua sagoma esile allontanarsi fino ascomparire nel corridoio che conduceva al dormitorio femminile.

Rientrai nell’infermeria, il tramonto tingeva il viso di Misha di un rosso sanguigno. Scivolai inginocchio sul pavimento, lasciando fluire le lacrime. Il silenzio, intorno, era rotto soltanto dai mieisinghiozzi.

Dopo qualche istante che sembrò durare un’eternità, sentii la voce di Misha. Era poco più di unsussurro. — Va tutto bene, Zoe?

— Sì — ribattei, asciugandomi il viso con un lembo della maglietta. — Scusami, non volevosvegliarti.

— No, sono io che devo scusarmi. Non avrei dovuto dirti quelle cose. Non volevo spaventarti.Me la caverò, vedrai. Sam sta analizzando i miei valori e sono più che convinto che nel giro di pocheore sarà qui con una cura.

Mi limitai ad annuire, sforzandomi di nascondere il mio turbamento. — Dovrei essere io aincoraggiarti, sono proprio una pessima strega.

— Sei la migliore che avrei mai potuto desiderare.Sorridere mi costò fatica, come se i miei muscoli facciali stessero opponendo resistenza.Quasi sobbalzai nel sentir bussare alla porta. Poco dopo, nella stanza comparvero Sam e

Adelaide. Dall’espressione di Sam, non sembrava che avesse delle buone notizie.Mi alzai di scatto. — Qualcosa non va? — le chiesi.— Ci sto lavorando su. I valori di Misha sono fortemente fuori norma. E c’è una tossina, nel suo

sangue, che non sono ancora riuscita a identificare.— Non capisco…— Ti prego, Zoe, non è il momento delle discussioni — si intromise Adelaide. — Misha è in

buone mani. Torna nella tua stanza e cerca di riposare.— Come faccio ad andarmene? Il mio posto è qui, di fianco al mio famiglio — protestai.— Zoe — chiamò Misha, con un filo di voce. — Per favore, non insistere. Sam sa quello che fa. È

la migliore nel suo campo, e io mi fido ciecamente di lei.Mi immobilizzai per qualche istante, ancora incerta sul da farsi. Poi feci un cenno di assenso. — E

va bene — ammisi. — Ma solo perché me lo chiedi tu.Misha abbozzò un sorriso.— Mi raccomando — mormorai a Sam, sfiorandole il braccio. — Lo affido a te.Adelaide mi rivolse un’occhiata fugace, e mi trovai a riflettere sulle parole che mi aveva detto

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Misha su di lei. Non ero in grado di decifrare i suoi pensieri, e cominciavo a pensare che si fosseallenata a lungo a non far trapelare le sue emozioni. Ma non sembrava affatto che avesse paura di me.Eppure, avrei scoperto presto che Misha aveva avuto i suoi buoni motivi per sostenerlo.

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Giorni perduti

Ginevra era probabilmente in compagnia di Adam, e fui contenta di non incrociarla per tutta la sera.Sarebbe stato imbarazzante rivederla dopo la scenata che avevo fatto nel bosco. Quando fui nella miastanza, estrassi il disegno che mi aveva regalato Ligea. Aprii l’armadio e rimasi a lungo indecisa seincollarlo di fianco alla foto di mamma. Quel disegno non era rassicurante come gli altri, forserifletteva il suo stato d’animo di quel momento. Era sottilmente inquietante, e anche il tratto era piùnervoso, quasi rabbioso.

Sgranai gli occhi nel cogliere un dettaglio che prima mi era sfuggito. La cornice dello specchiodisegnato da Ligea era identica a quella dello specchio della mia stanza. Ma come poteva saperlo?Era stata qui prima di me? E chi intendeva raffigurare con quegli occhi che si specchiavano? Nonpotevano essere i miei, avrebbe di certo utilizzato lo stesso giallo della prima volta che avevaimmaginato me e lei insieme, nella sequoia che era stata la sua casa.

Mi mancava Ligea, il modo in cui increspava le labbra quando era indispettita e il suo sorriso daStregatto. Doveva esserci un modo per incontrarla, anche se eravamo separate da pareti invalicabili.Magari potevo convincere Adelaide ad ammetterla all’Accademia, con la promessa che mi sareioccupata di lei, ma scacciai subito il pensiero. Anche se aveva evitato di dirmelo apertamente,Adelaide non si fidava di me. Figuriamoci se mi avrebbe affidato una creatura dal potere cosìdevastante. Ligea era una fata, non una strega. Per questo il suo potere non era bloccato dagliincantesimi che proteggevano il Santuario.

All’interno della stanza era molto buio. Prima del tramonto il cielo si era rannuvolato, e dai lampiche provenivano in lontananza pensai che fosse in arrivo un temporale. Infilai le cuffie dell’iPhone efeci partire una delle playlist che mi aveva regalato Sebastian. Iniziarono a diffondersi le note dolci estruggenti di Lucky dei Radiohead.

I feel my luck could change, canticchiai, inseguendo la melodia con voce bassa. Kill me againwith love, it’s gonna be a glorious day.

Mi sedetti alla scrivania e accesi la lampada. Scrissi a Sebastian:

Prima di andare a letto vorrei lasciare la luce accesa per te, così sapresti che ti sto aspettando.E se dovessi morire prima di svegliarmi, prego la Dea che ti consegni le mie ultime parole. Se

dovessi svegliarmi prima di morire, vorrei che tu potessi stringermi una volta ancora, più forte disempre.

I miei giorni perduti sono stati inghiottiti dal silenzio. Il torrente delle mie lacrime si èasciugato.

Se l’amore è un tempio, questa è la mia preghiera.

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Ripiegai il foglio e lo nascosi sotto il cuscino insieme al mio athame. Quando mi infilai sotto lelenzuola ero esausta, e il sonno non tardò ad arrivare. Ma prima di scivolare nel regno dell’Uomodella Sabbia, un pensiero volò verso Misha e sperai che l’indomani, come per magia, al risvegliotutto il suo dolore si fosse dissolto.

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— 4 — Ho attraversato il confine

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Memorie perdute

Aprii gli occhi di colpo, ingoiando aria con avidità, come se fosse il mio primo respiro. La stanzaera illuminata dalla luce della luna piena. La vedevo bene, dato che il mio letto era parallelo allafinestra. Un pensiero debole mi si affacciò alla mente. C’era qualcosa che non andavanell’arredamento della stanza. Già, ma cosa? Tamara dormiva di fianco a me, e il suo respiro pesanteera come un grugnito cadenzato.

Mi sentivo spettatrice delle mie stesse azioni, e mi sembrava che i miei pensieri non miappartenessero più. Era come se non fossi io a muovermi e agire, ma un’altra persona che vestiva lamia pelle. E, come se non potessi fare altrimenti, scivolai fuori dal letto e camminai fino allospecchio che campeggiava sulla parete a fianco. Osservai per un lungo istante il riflesso dei mieiocchi, mentre tutto il resto intorno mi pareva sfocato, al punto che non riconobbi il mio viso. Erocerta di aver già visto qualcosa di simile, e per un attimo l’immagine ebbe un tratto infantile, manervoso, inquieto, come un disegno di bambina realizzato sotto l’incalzare di una brutta sensazione.Si trattava forse di un presagio?

Dalla scrivania presi una graffetta e mi misi a incidere alcune parole nel lato della testata delletto. Segui la lepre bianca, scrissi. Una filastrocca. Forse, un epitaffio.

Indossavo soltanto una camicia da notte bianca. Camminando sul pavimento freddo coi piediscalzi, mi avvicinai alla porta e la aprii con cautela. Poi sgusciai fuori dalla stanza, attraversai conpasso veloce il corridoio e scesi le scale. Dopo una serie di svolte, mi ritrovai nella sala degliarazzi. Mi soffermai a osservarne uno che ritraeva una scena di caccia, con un gruppo di Amazzoniintente a inseguire una lepre. Una piccola lepre bianca.

Seguii la lepre con lo sguardo, si trovava in basso, nel lembo più estremo dell’arazzo. Scostai iltessuto, scoprendo dietro di esso un anello di metallo incastonato nella parete di mattoni, al centro diun piccolo rettangolo circondato da una scanalatura. Puntai i piedi e cominciai a tirare con tutta laforza che avevo.

Poi aprii gli occhi, questa volta per davvero. Mi sentivo esausta, come se mi fossi interrottamentre stavo compiendo uno sforzo. Toccandomi la fronte, la trovai imperlata di sudore. Ma ero stesanel mio letto, era stato soltanto un sogno. Di nuovo.

La disposizione dei mobili nella stanza era quella a cui ero abituata. La temperatura dell’aria eracalda, anche se fuori la pioggia batteva incessante e un vento leggero faceva frusciare le foglie.

Ginevra giaceva sul suo letto, abbandonata al sonno. Come al solito, non l’avevo sentita rientrare.Pensai che era meglio così, e mi chiesi come ci saremmo salutate al risveglio, se con la cordialità didue buone compagne di stanza, o se nel suo sguardo avrei ritrovato una punta di astio. È vero, avevotratto delle conclusioni affrettate, avevo agito d’istinto con Adam. Ma pensai che in fondo non avevofatto niente di irreparabile.

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Rimasi a lungo distesa, immobile, chiedendomi se i miei sogni stessero riflettendo le mie paure.Ma c’era un’altra possibilità: che in qualche modo fossi entrata in contatto con la persona che avevaoccupato questo letto prima di me. Ciò che avevo vissuto nei miei sogni era così vivido chesembrava essere successo per davvero. Dopotutto, era così che avevo scoperto della mia vita passatacon Sebastian, anche se in quel caso avevo solo risvegliato ricordi che mi appartenevano già, ederano stati sepolti dalla sabbia del tempo.

Tuttavia, non potevo dimenticare le parole che un giorno mi aveva detto Sam: Ogni luogo porta insé la memoria di quello che vi è accaduto. E il Santuario delle streghe mi dava l’impressione diessere impregnato di vecchi rancori e ricordi dolorosi.

In ogni caso, c’era un solo modo per scoprire quanto di vero c’era nei miei sogni. Andare nellasala degli arazzi e seguire la lepre bianca.

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Come un giorno qualunque

Mentre scendevo dal letto, il materasso cigolò lievemente. Ginevra aprì gli occhi. Aveva il sonnoleggero, accidenti. Oppure era soltanto ancora tesa per quello che era successo nel bosco. In ognicaso, per stanotte avrei dovuto rinunciare ai miei propositi esplorativi.

— Stai andando da qualche parte? — mi chiese.— N-no — balbettai.— Ma che ore sono? — sbadigliò.— Non ne ho idea — risposi, insicura. — Mi sono svegliata da un incubo e volevo appunto

controllare l’orario.Ginevra si sedette sul letto e cominciò a stirarsi. — Quindi non volevi strangolarmi nel sonno —

disse, e sorrise.— Ma che dici? — mi schermii.Lei si schiarì la voce. — Non sono molto brava con le scuse, ma… insomma, mi spiace di averti

detto quelle cose, nel bosco.— Non devi scusarti — bisbigliai. — Sono io che mi sono comportata da vera stronza. Non so

neanche come mi sia venuta in mente una stupidaggine del genere.Ginevra annuì. — Il tuo famiglio stava male e hai accusato la prima persona che ti è capitata a

tiro, tutto qui.— Ma non avevo il diritto di trattare Adam in quel modo.Ginevra allargò le braccia. — Facciamo pace, da buone compagne di stanza?Mi sforzai di sorridere. — Okay — e la abbracciai, anche se fu imbarazzante. Sebbene con Adam

non fosse successo niente, non potevo fare a meno di sentirmi come se avessi tradito la fiducia diGinevra. Detestavo Adam, ma non potevo evitare di pensarlo.

Il mattino dopo svegliarmi fu ancora più difficile del solito. Mi sentivo come se non avessi chiusoocchio tutta la notte, e in effetti Ginevra mi disse che mi ero agitata parecchio, al punto che l’avevosvegliata diverse volte.

All’ingresso della Sala della Sorgente, incontrai Anna. — Non sei venuta ieri sera, nel mio studio— mi disse.

Con quello che era successo a Misha, ovviamente, me n’ero dimenticata. — Mi spiace — migiustificai — ma ho avuto un contrattempo.

— Certo, ho saputo del tuo famiglio — ribatté lei, conciliante. — Non farti scrupoli a venirmi atrovare anche senza appuntamento, comunque. Se vuoi parlarne, sai dove trovarmi.

— C-certo — bofonchiai. E se fosse stata proprio lei la persona con cui confidarmi? Intentacom’ero a diffidare di tutto ciò che riguardava il Santuario, non avevo minimamente considerato didare ad Anna una possibilità. Il nostro primo incontro mi aveva lasciato inquieta, ma forse avevamo

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solo cominciato col piede sbagliato. Mi ripromisi di passare da lei non appena avessi avuto unritaglio di tempo.

Arrivai in ritardo alla mia prima lezione di Anatomia anche perché, senza Misha ad aiutarmi atrovare l’aula, persi l’orientamento come al solito. Per non parlare del fatto che avevo la testaaltrove, dato che continuava a vorticarmi in mente l’incubo di stanotte e non facevo che pensare aquando sarei potuta andare nella sala degli arazzi e vedere cosa c’era dietro la lepre bianca.Scambiai qualche sorriso con alcune facce note che frequentavano come me anche il corso di Storia.Forse la convivenza al Santuario non era male come avevo temuto, dovevo solo darmi il tempo diambientarmi.

All’uscita dell’aula ero determinata a raggiungere Misha, ma trovai Adam ad attendermi.— E tu che ci fai qui? — gli chiesi.— Sono venuto a prenderti.Gli rivolsi un’occhiata allibita.— Per la nostra… ehm… lezione di Tiro con l’arco — precisò.— L’avevo capito. Pensavo che stessi scherzando.— Sono serissimo, non si vede? — ribatté lui con un sorriso obliquo.— Senti, ho altro a cui pensare, adesso — lo liquidai. — Misha sta male, devo occuparmi di lui.— Potrai passare da Misha nel pomeriggio. Un po’ di pratica con l’arco non ti farà male.Pensai che farla insieme a Adam, quello sì che mi avrebbe fatto male. Stare vicino a lui mi

mandava in confusione e in questo momento non riuscivo a immaginare niente di peggio. — Nondovresti prepararti per il concerto di stasera?

— Suonerò solo un paio di pezzi, e li ho già provati abbastanza — disse stringendosi nelle spalle.Per qualche motivo, mi parve poco convinto.

Mi guardai intorno come alla ricerca di una rete di sicurezza. Parlare con Adam mi faceva sentiresospesa nel vuoto. — Senti… Ginevra…

— Non farò niente che Ginevra non approverebbe — mi interruppe.C’era qualcosa, nell’inflessione della sua voce, che riuscì a farmi persino paura. Oppure le

ginocchia avevano cominciato a tremare soltanto perché temevo di essere io a fare qualcosa che lamia coscienza non avrebbe approvato?

Avrei voluto dirgli di lasciar perdere, una parte di me lo avrebbe voluto disperatamente. Allostesso tempo, mi rifiutavo di ammettere a me stessa che avevo il desiderio nascosto di rimanere solacon lui, anche soltanto per fare chiarezza su quello che provavo davvero. I suoi occhi erano fissi suimiei, come una sfida a distoglierli io per prima. Se si fosse trattato di chiunque altro, lo avreiallontanato in malo modo senza pensarci due volte.

Ma Adam non era chiunque altro. E nemmeno io ero più la ragazza irrequieta che graffiavachiunque si avvicinasse troppo.

— D’accordo — mi arresi. — Dammi il tempo di mettere qualcosa di adatto. Ci vediamo tramezz’ora all’uscita del Santuario. — Poi quasi corsi via, per tornare nella mia stanza.

Dopo che mi fui cambiata, passai da Misha per vedere come stava. Lo trovai seduto sul letto chefissava la finestra. Mi sforzai di parlare del più e del meno, come se fosse una giornata qualunque,ma Misha non ci mise molto a capire che c’era qualcosa che non andava.

— Farò un po’ di pratica con l’arco insieme a Adam — gli dissi d’un fiato, come se stessiconfessando una colpa.

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— Non credo sia una buona idea — ribatté Misha.Abbassai la testa, sapevo che aveva ragione. — Avrei preferito che fossi tu a darmi lezioni

private — tentai di giustificarmi.— Adam è… pericoloso.— Non ti sembra di esagerare?Misha scosse la testa. — Forse hai ragione. Ma il mio compito è metterti in guardia. Sono sicuro

che sta nascondendo qualcosa. Ho riflettuto su tutte le volte che l’ho incontrato a lezione, prima chetu fossi ammessa all’Accademia. Non ho mai fatto caso al suo atteggiamento, ma ripensandocisembrava… in attesa di qualcosa. Come se si trovasse al Santuario per uno scopo ben preciso.

— Lo terrò presente — e gli diedi un bacio sulla fronte.Mi resi conto che era ancora caldo, forse gli stava tornando la febbre. Mi ripromisi di parlarne

con Sam, sperando che prima o poi mi avrebbe dato buone notizie. Era presto per gettare la spugna:avrei continuato le mie indagini in biblioteca nella speranza di aiutarla a fare una diagnosi accurata.

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Cosa sei tu?

Davanti all’uscita del Santuario, ad attendermi, con Adam, c’era Sasha.— Syara mi ha chiesto di informarvi che avete soltanto un paio d’ore a disposizione — disse lei.Adam annuì. — Non ti preoccupare. La riporterò sana e salva per l’ora di pranzo.Io sorrisi nervosamente. — Senti, Sasha — le dissi, dopo un istante di indecisione. — So che non

si possono visitare i pazienti della Riabilitazione, ma… voglio dire, Ligea è solo una bambina. Mipiacerebbe davvero farle sentire che le sono ancora vicina. E poi oggi è la festa del solstizio, non sipotrebbe fare un’eccezione?

Sasha corrugò le labbra, pensierosa. — Farò del mio meglio per convincere Nausica. Anche senon posso prometterti niente.

— Grazie — le dissi.— Parteciperai ai festeggiamenti, questa sera? — mi chiese lei.Lanciai un’occhiata a Adam, che teneva lo sguardo fisso su di me. Mi morsi la lingua per cacciare

la tentazione di chiudere la questione con un semplice no. — Ci penserò — mi limitai a dire.Sasha curvò le labbra in un sorriso. — Fidati, ne vale la pena. Le feste pagane sono uno dei pochi

svaghi dalla routine del Santuario, e la festa del solstizio è una delle più importanti. Oltre ai concertiin aula magna, ci sarà la tradizionale raccolta delle erbe all’interno dell’Altare dei Megaliti.

— L’Altare dei Megaliti? — chiesi stupita.— È un’area della corte interna alle mura, in cui sorge un complesso di monoliti disposti in

cerchio, simile a quello di Stonehenge. È un antico osservatorio astronomico e, in un certo senso, èquello il cuore del Santuario.

— Wow. Sembra affascinante.— Lo è — ammise Adam.Fuori, il cielo prometteva ancora pioggia. Si era completamente rannuvolato e l’aria era fresca.

Seguimmo Sasha fino al magazzino degli attrezzi, dove lei si premurò di consegnarmi un arcoadeguato alle mie capacità e un incredibile arco lungo dall’impugnatura intarsiata con delle rune perAdam.

Quando ci lasciò soli ebbi la tentazione di fuggire via. Adam sembrò leggermi nel pensiero,perché mentre mi conduceva alla piazzola coi bersagli allineati mi disse: — Non mordo. Promesso.

— Ne sei sicuro? Per un attimo avevo pensato che tu fossi un mutaforma. Un lupo, per esempio.— No, niente affatto — si schermì. — Anche se, in qualche modo, ti sei avvicinata alla verità.— Sei un cane?Adam scoppiò a ridere. — Smettila di distrarti. Concentriamoci sui bersagli.— D’accordo — mi limitai a dire.Lui si posizionò di fianco a me, indicandomi il bersaglio più vicino. — Controlla il respiro,

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mentre incocchi la freccia — mormorò, come se non volesse disturbare uno spirito dormiente.Cercai di seguire il suo consiglio, ma la sua vicinanza rendeva il mio respiro affannoso. Persino

tenere salda la presa sull’arco richiedeva concentrazione, e finii per far cadere la freccia anzichéscoccarla.

Mi imbronciai, brontolando: — Credo proprio di essere negata.— Hai solo bisogno di credere in te stessa.— Sam me l’avrà ripetuto allo sfinimento. Possibile che non ci sia qualcosa che possa fare senza

dover scomodare l’autostima?Di nuovo Adam scoppiò a ridere.— Non è divertente — protestai.In tutta risposta, appoggiò il suo arco a terra, si posizionò dietro di me e mi abbracciò come se mi

stesse proteggendo dal vento. — Guarda — mi disse, sfiorandomi l’orecchio con le labbra. Laschiena si riempì di brividi e il cuore si mise a martellare nel petto. — Immagina che l’arco sia ilprolungamento del tuo braccio. Puntalo verso il centro del bersaglio.

Il suo profumo mi avvolgeva fin quasi a darmi alla testa. — S-sì — bofonchiai.Adam strinse la mano con cui tenevo l’impugnatura dell’arco e mi aiutò a incoccare la freccia.

Cercavo di concentrarmi sul bersaglio, ma era difficile con i suoi pettorali che premevano sul dorso.— Ora inspira — disse, mentre con l’altra mano mi faceva tendere la corda fino alla massimaestensione, arrivando a sfiorarmi il seno con le dita.

Il contatto mi fece avvampare e mi dimenticai chi ero e cosa stavo facendo. — Lascia fluire l’ariafuori mentre fai partire la freccia — sussurrò Adam. — Ora! — intimò poi, deciso.

Feci partire la freccia più per lo spavento per l’improvviso cambiamento nel tono della sua voce,che per seguire il suo insegnamento. Quella andò a conficcarsi nel bersaglio a pochi centimetri dalcentro.

— Wow! — esultai.Lui fece un passo indietro e riprese in mano il suo arco. — Non male — ammise. — Ora prova da

sola.Scoccai una freccia, poi un’altra. Riuscii a colpire il bersaglio con sorprendente precisione, al

punto che se non avessi saputo che al Santuario gli incantesimi non avevano effetto avrei detto che sitrattava di magia.

Mi voltai verso di lui con gratitudine, ma mi sorpresi nel vedere che la sua espressione eracontrita. — Che c’è?

— Niente — disse poco convinto. Schivò il mio sguardo e raccolse il suo arco. Scoccò alcunefrecce con rabbia, che andarono tutte perfettamente a centro.

Lo imitai, e quando ebbi finito le frecce della faretra mi incamminai per andarle a recuperare dalbersaglio. Ripensai a quando Misha aveva detto che secondo lui nascondeva qualcosa. — Ho fattoqualcosa che ti ha irritato?

Adam scosse la testa. — Non sei tu. Sono io.La frase suonò quantomeno criptica. Nel frattempo, la leggera brezza di prima era cresciuta fino a

diventare un vento insistente e fastidioso.— È qualcosa che riguarda Ginevra?— Smettila di tirar fuori Ginevra.— E allora che c’è? Mi hai asfissiato per convincermi a fare questa lezione privata di Tiro con

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l’arco e ti ringrazio per avermi dato una mano, ma poi non puoi piantarmi un muso lungo, come se lacosa ti dispiacesse. Insomma, deciditi! Vuoi che siamo amici oppure no?

— Scusa. Credo di aver rovinato tutto, immagino.Lo guardai fisso negli occhi. — Sei un negromante?— Cosa?Mi strinsi nelle spalle. — Ho pensato che non vuoi far conoscere la tua natura perché hai paura

del giudizio degli altri. Ho sentito dire che i negromanti non sono molto ben visti da queste parti.Tirò un sorriso che scoprì i suoi denti bianchissimi. — Non sono un negromante.— E allora cosa sei?Fece una pausa di un paio di secondi prima di ribattere. — Cosa stavi facendo ieri, quando ti sei

persa nel bosco?Spalancai la bocca, sbalordita. — Non posso crederci, stai cercando di cambiare discorso!— Ho avuto l’impressione di averti interrotto mentre facevi qualcosa, tutto qui.— Mi sono soltanto persa — sbottai.— Come vuoi — disse lui freddamente.

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Vagabondi e prigionieri

Io e Adam tornammo al Santuario senza rivolgerci parola. Durante il tragitto mi trovai a ripensare alsogno della scorsa notte. Ero combattuta tra il desiderio di andare nella Stanza degli Arazzi pervedere coi miei occhi se davvero dietro la lepre bianca si nascondeva un misterioso anello dimetallo, o piuttosto arrendermi alla razionalità e liquidare la questione come frutto della mia fantasia.

Sasha ripose nel capanno le nostre attrezzature, poi mi prese in disparte.— Riguardo a Ligea, ne ho parlato con Nausica — mi disse. — Ma lei insiste che è troppo

pericoloso. Mi dispiace moltissimo.Avvertii una fitta al petto. Per quanto tempo ancora Ligea avrebbe dovuto essere punita per quello

che era? — Non ti preoccupare, tu hai fatto il possibile — la rassicurai. Non potei fare a meno, però,di stringere i pugni pensando all’insensibilità di Nausica.

Mentre mi incamminavo per andare in mensa, Adam mi raggiunse. — Mangiamo insieme?Lo guardai come se fosse appena sbarcato da un pianeta alieno. — Sei impazzito o cosa?— Vorrei farmi perdonare per il mio comportamento di poco fa.— Non ho intenzione di fare da terzo incomodo tra te e Ginevra.— Ginevra non ci sarà. È occupata tutto il giorno con i preparativi per la festa di stasera.

Immagino mangerà qualcosa al volo in caffetteria.— Senti, anch’io ho molto da fare, e mangerò qualcosa al volo. Devo occuparmi di Misha e…— Misha sarebbe felice di sapere che ti stai distraendo un po’.Non se sto con te, avrei voluto ribattere. — Lo so — dissi invece. — Ma è il mio famiglio, ed è

mio dovere fare il possibile per confortarlo, soprattutto ora che sta male.— Andiamo, Zoe, ti chiedo solo di darmi un’altra possibilità. Farò del mio meglio per

comportarmi in maniera decente.Mi sfuggì un sorriso. — Perché vuoi passare del tempo con me? Io… non ho niente da offrirti.— Ti sbagli. Ti ho sentita suonare il piano e… non ho mai provato niente del genere. Sei in grado

di trasportare le emozioni insieme alle note. Hai un talento incredibile.— E questo cosa c’entra? — chiesi, confusa.— Vorrei farti leggere una canzone che ho scritto. La canterò questa sera, credevo fosse buona ma

quando l’ho riletta mi è sembrata terribile.Alzai gli occhi al cielo. — Perché è così difficile dirti di no? — bofonchiai.Lui mi prese a braccetto e insieme ci recammo in mensa. Il suo braccio allacciato al mio bastò a

farmi palpitare il cuore. Dopo aver riempito i vassoi, mentre ci andavamo a sedere scambiai deicenni di saluto con i ragazzi che avevo visto ai corsi di Anatomia e di Storia.

— Allora? Questa canzone? — incalzai Adam, giocando con la forchetta nel piatto di pasta. Conlui di fronte, sentivo lo stomaco stringersi e mi era impossibile inghiottire anche solo un boccone.

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Lui tirò fuori un foglietto ripiegato dalla tasca e me lo porse. — Non oso rileggerla — mormorò.— È per questo che eri così intrattabile, stamattina?Adam abbassò lo sguardo. — No — si limitò a rispondere.— Vuoi che ti dia la mia opinione sulla tua canzone ma non sei disposto a dirmi cosa ho fatto per

renderti così intrattabile.— Te l’ho detto, tu non c’entri. Quello che è successo stamattina riguarda solo la mia coscienza.— Addirittura — esclamai.— Non prendermi in giro. Dovresti saperlo quanto pesano, a volte, le aspettative degli altri.Lo guardai con aria sospettosa. — Cosa ti fa pensare che io ne sappia qualcosa?Allargò le braccia come in segno di resa. — Be’, si dice che tu sia la Custode, la Prescelta della

Dea. Non vorrai fingere che il modo in cui ti vedono gli altri non ti condizioni.— Dicono questo di me? — chiesi, sapendo benissimo la risposta. Era chiaro che le voci sul

risveglio della presunta Custode si erano diffuse al Santuario più velocemente di un raffreddore.— Sono solo chiacchiere prive di importanza.— Non per me. Cos’altro dicono? — sbottai.— Be’, c’è un ragazzo che sostiene che sei anche molto carina.Avvampai, colta alla sprovvista. — Chi…?— Un tipo poco raccomandabile, un certo… Adam.— Stupido! — e finsi di colpirlo alla spalla con un pugno.— Allora, dai un’occhiata o no alla mia canzone? — mi chiese, fissandomi intensamente.— D’accordo — mi arresi. Presi un respiro e guardai il foglietto con il testo della canzone di

Adam. La calligrafia era nervosa e piena di sottolineature, cancellazioni e annotazioni. — Comepretendi che riesca a leggerla?

— Oh, andiamo. Non far caso alla scrittura. Scrivo di getto, non posso certo badare allacalligrafia.

— Ecco uno che è stato baciato dalla dea Ispirazione — lo presi in giro.— Sei crudele.— E tu ti prendi troppo sul serio — conclusi. Poi iniziai a leggere ad alta voce. — Dunque…

Siamo giovani e siamo… vecchi? — lessi. — C’è scritto così?— Ti prego, non ad alta voce. È già abbastanza imbarazzante.— Okay — mormorai. Lessi mentalmente il testo del ritornello.

Siamo giovani e siamo vecchiVagabondi e prigionieriGli anni passano, la strada restaLasciamo indietro la nostra innocenzaPer seguire le luci della speranza

Al termine, un brivido mi percorse la schiena. — È… bellissima — riuscii soltanto a dire.Adam mi guardava con un’espressione tra l’ansioso e lo speranzoso, come uno studente prima

dell’esame di maturità. — Dici sul serio?Annuii, mentre cercavo di scacciare la malinconia che mi aveva colto all’improvviso. — Hai

viaggiato molto?

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— Sì. E per strada credo di aver trovato molto, ma di aver perso altrettanto.Abbassai la testa e cercai di concentrarmi sul cibo che si stava raffreddando nel piatto. — Credo

sia così per chiunque.— La suonerai insieme a me? — mi chiese Adam.Deglutii rumorosamente. — Cooosa?— Stasera saranno montati tutti gli strumenti, pianoforte compreso, per permettere ai musicisti di

alternarsi sul palco. Inizialmente avevo pensato di fare l’accompagnamento con la mia chitarra, mapoi ho sentito come suonavi. Non ho potuto fare a meno di pensare a come sarebbe suonarla insieme,io alla chitarra e tu al pianoforte.

— Non se ne parla! Non conosco nemmeno gli accordi, né ho idea di quale sia la base armonicadel brano!

— Possiamo provarla prima dello spettacolo — disse Adam senza scomporsi.Mi sentivo con le spalle al muro, ma riuscii a mantenere il controllo. — Ci penserò — dissi,

alzandomi.— È già un miglioramento.— In che senso?— Avevi detto che avresti pensato se venire alla festa, ora stai pensando se suonare sul palco con

me.— Dipende da come sta Misha. Adesso è lui la mia priorità. Non ho ancora detto che ci verrò.— Io credo di sì.— O forse preferirò restare nella mia stanza a rileggere gli appunti di Storia — lo sfidai.Adam scosse la testa, sorridendo. — Non hai affatto l’aria della secchiona.— Hai ragione. Per quello basta Ginevra.Lui si fece serio. Poi concluse: — Oggi pomeriggio non ci saranno lezioni, per permettere a tutti

di prepararsi per la festa. Vediamoci tra un’ora in aula magna. Porterò la chitarra.

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Come in un film in bianco e nero

Mentre mi avvicinavo all’aula magna continuavo a scuotere la testa e parlare tra me e me. Comeavevo potuto essere così arrendevole? D’altronde, il pianoforte mi mancava e riuscii ad ammettere ame stessa che nonostante tutto era una buona occasione per ricominciare a suonare e magari distrarmiun po’.

Mi soffermai davanti alla porta prima di entrare. Dall’interno sentivo provenire un dolce suono dichitarra.

Poi feci un ampio respiro e mi decisi a entrare nella grande sala. Adam era seduto sul palco,intento a suonare la melodia della sua canzone. Alle sue spalle erano montati gli strumenti, propriocome quando ero arrivata qui dal condotto dell’aria e avevo interrotto il saggio dell’orchestra.

— Neanche tu te la cavi male — dissi per rompere il ghiaccio.— Grazie — ribatté lui, sorridendo. In fondo agli occhi vedevo lo scintillio inequivocabile di chi

sta facendo una cosa che ama.Dopo qualche minuto mi stava mostrando come intendeva impostare la melodia della canzone.

Cercai di ignorare il nervosismo che mi provocava la sua presenza, sforzandomi di focalizzare la miaattenzione soltanto sugli accordi.

Ma ogni volta che ci sfioravamo per caso, il mio cuore accelerava. Cosa mi stava succedendo?A un certo punto entrarono alcuni studenti per posizionare degli addobbi floreali. Tra loro c’era

Ginevra. Vedendomi in compagnia di Adam, mi lanciò un’occhiata stupefatta.Avrei voluto raggiungerla e dirle che non stavamo facendo niente di male, ma pensai che tentare di

giustificarmi sarebbe stato un’ammissione di colpevolezza. Mi limitai a salutarla con un cenno dellamano, poi guardai in direzione di Adam e mi resi conto che lui non la stava degnando della minimaattenzione. Adam e Ginevra non si erano scambiati neppure un saluto.

Mi odiai per aver sperato, anche solo per un istante, che la loro storia fosse a un punto di rottura.Cosa avrebbe cambiato, dopotutto? Appartenevo a Sebastian, anche se il mio cuore aveva cominciatoa compiere impreviste e indesiderate evoluzioni al solo avvicinarsi a Adam.

— Si è fatto tardi — gli dissi con malcelato imbarazzo. Avevo imparato la canzone abbastanzabene e non c’era motivo di rimanere ancora.

— D’accordo — ribatté. — Abbiamo fatto un buon lavoro, dopotutto.— Già.— Sono molto curioso di sapere come ti vestirai questa sera.Sgranai gli occhi. A come vestirmi non avevo minimamente pensato! Per non parlare del fatto che

nello zaino non avevo di certo un abito da sera. Scartai mentalmente la possibilità di procurarmeneuno all’emporio: avevo pressoché esaurito il credito per aiutare Angelica a comprare il suo.

Non avrei mai pensato che a venire in mio aiuto sarebbe stata addirittura Anna, la psicologa. La

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incrociai in corridoio mentre stavo andando verso la camera di Misha.— Sembri pensierosa — mi disse.— È solo una sciocchezza — ribattei. In effetti, mi sentivo ridicola e superficiale a chiedermi

come mi sarei vestita per partecipare a una festa, mentre Misha era ricoverato in infermeria. Fui sulpunto di tornare da Adam e dirgli che non se ne faceva nulla.

Tuttavia, nonostante le mie resistenze, Anna riuscì a farmi ammettere che non avevo niente damettermi per la festa del solstizio.

Anna tese le labbra in un sorriso di cui non pensavo fosse capace. — Ho un intero guardaroba divestiti che avrò portato sì e no una volta — ammise. — Alcuni sono campioni che provengonodall’atelier di Donatella, ma la maggior parte li ho comprati in momenti in cui avevo bisogno di unpo’ di autostima.

Sorrisi, pensando che persino una psicologa aveva ceduto alle lusinghe della vanità senza perforza tirare in ballo una nevrosi. — Grazie, ma non vorrei essere di disturbo — dissi poi, lievementeimbarazzata.

— Se una donna è malvestita si nota l’abito. Se è benvestita si nota la donna — proclamò.— Cosa? — chiesi, frastornata.— È una frase di Coco Chanel. — Anna mi guardò stringendo le palpebre, come se stesse

prendendo a occhio le mie misure. — Io e te non abbiamo la stessa taglia, ma penso che con qualchepiccola modifica uno dei miei vestiti si potrebbe adattare alla perfezione.

Prima che potessi contraddirla, mi fece strada fino alla torre adibita agli alloggi dei docenti.Salimmo fino alla sua stanza. Entrando, mi stupii dell’incredibile stile con cui era arredata. Con illetto a baldacchino, mobili antichi in ottimo stato e quadri alle pareti, sembrava la camera di unacastellana.

Quando Anna aprì le ante di un gigantesco armadio a muro, quasi mi cadde la mandibola nelvedere appesi così tanti abiti di fattura pregiata, di ogni colore e lunghezza.

— Che ne dici di questo? — mi chiese, estraendo un abito di seta stampata con un motivo florealedi splendidi gigli bianchi.

— È meraviglioso, ma…Prima che potessi concludere la frase, lo aveva già posizionato sulle mie spalle e stava valutando

le modifiche da effettuare per farlo mio.— Provalo — disse perentoria.— Non vorrei…— Sarà solo per stasera. Domani me lo renderai, e tornerà a prendere la polvere in questo

vecchio guardaroba. — Poi aprì un cassetto e ne estrasse un kit per il cucito.— D-d’accordo — bofonchiai. — Però vorrei contraccambiare il favore, in qualche modo.Andai a cambiarmi dietro un paravento in stile liberty. Mi sentivo come una diva del cinema muto.— Facciamo così: se accetti di venire nel mio ufficio domani pomeriggio per una chiacchierata,

siamo pari.— Affare fatto — annunciai.

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Cos’ho di sbagliato?

Quando raggiunsi Misha in infermeria, ero così raggiante che avrei voluto contagiarlo con il miobuon umore.

— Che scarpe hai intenzione di mettere sotto quel vestito? — mi chiese Misha, indicando l’abitoche tenevo appoggiato sul braccio.

— Le Converse, naturalmente! — risposi senza esitazione. — Non ho intenzione di torturare imiei piedini con delle scarpe col tacco.

— Be’, se cambi idea puoi sempre fartene prestare un paio da Angelica.— A proposito di Angelica, l’hai vista oggi?— Sì, è stata con me fino a cinque minuti fa — disse Misha. — Mi è sembrata inquieta. Non avete

litigato di nuovo, vero?Feci no con la testa. — Credo abbia bisogno di un po’ di tempo per abituarsi alla mia presenza.Vedendo che Misha aveva un colorito un po’ più roseo, sperai che stesse migliorando. Ma chi

stavo prendendo in giro? Sam l’aveva detto chiaramente: finché non avesse saputo cos’aveva erainutile sperare in un miracolo.

— Ho dovuto insistere parecchio per convincerla a partecipare alla festa del solstizio — mi disseMisha. — Pensa che voleva passare tutta la sera in infermeria con me! — Poi si interruppe per unbreve accesso di tosse.

Sapendo che Angelica era innamorata di Misha la cosa non mi stupì affatto, quindi mi limitai adaccennare un sorriso di circostanza. L’Angelica di un tempo avrebbe preferito lanciarsi inun’occasione mondana piuttosto che fare assistenza a un malato, ma adesso era cambiata.

Io e Misha parlammo a lungo, e quando gli confessai che avrei suonato sul palco con Adam, siaccigliò ma cercò di non darmelo a vedere. Notando il mio entusiasmo, aveva deciso di fare del suomeglio per non rovinarmi la serata.

Mi sorpresi nel rendermi conto che provavo una sorta di aspettativa per la festa di stasera,un’eccitazione che mi pervadeva e che non riuscivo a spiegarmi, considerando che avevo sempreodiato esibirmi in pubblico. Senza contare che al mio fianco ci sarebbe stato il ragazzo che piùdetestavo al Santuario. Mi sforzai di liberare la mente o avrei davvero finito per mandare tutto amonte.

Il viavai di ragazze tra i corridoi era così frenetico che il dormitorio femminile sembrava il dietrole quinte di uno spettacolo teatrale. Quando indossai il vestito che mi aveva prestato Anna mi resiconto che mi calzava alla perfezione. Pensai che, oltre ad ago e filo, lo avesse sistemato con un toccodi magia.

Feci cento volte il tragitto tra i bagni e la mia stanza per darmi un aspetto decente in vista dellafesta. Con la matita nera tracciai il contorno degli occhi, poi la sfumai con la punta delle dita. Il

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giallo del mio sguardo risaltava come una pietra preziosa. Con una fitta di nostalgia, mi tornaronoalla mente le parole di Sebastian quando mi chiamava occhi zafferano.

Utilizzai il fermacapelli di mia madre per farmi un concio sulla nuca. Sapevo che era rischioso,ma feci in modo che fosse completamente coperto dai miei lunghi capelli rossi. Non volevo certo cheAdelaide si accorgesse che avevo recuperato il mio athame. Non avrei proprio saputo comespiegarle che a restituirmelo era stata mia nonna, dopo che l’avevo incontrata nel Giardino delloSpirito.

Sorrisi a Morgwen vedendola arrivare fasciata in uno splendido abito di pizzo nero. — Staidivinamente — le dissi.

— Anche tu — ribatté lei.Cambiai subito espressione accorgendomi che poco lontano c’era Jezebel. Trovai strano anche

che non fosse in compagnia di Lucrezia, quelle due mi erano sembrate inseparabili come gemellesiamesi. Tuttavia, contrariamente alle mie aspettative, Jezebel non fece nessuna smorfianell’accorgersi che l’avevo notata. Evidentemente si sentiva meno arrogante quando era da sola.

Sobbalzai, sentendomi afferrare per un braccio. Era Ginevra, ma non riuscii a tirare un sospiro disollievo. — Dobbiamo parlare — mi disse imperativa, trascinandomi verso la nostra stanza.

Non avevo niente di cui rimproverarmi, eppure mi sentivo in imbarazzo. Temevo che avesse daridire sul fatto che Adam ultimamente mi era stato addosso come un parassita.

— Adam mi ha detto che suonerete insieme, questa sera — esordì, iniziando a sbottonare glishorts che indossava.

Annuii. — Già. È una pazzia, vero? — Come minimo mi aspettavo che mi saltasse alla gola comeuna leonessa che difende il territorio.

— No, è… fantastico! — esclamò lei, saltando fuori dai pantaloncini per abbracciarmi.Fui così sorpresa che non riuscii a ricambiare il suo abbraccio. — Sicura? Credo che avrei

dovuto dire di no, ma Adam è stato così insistente…Ginevra si tolse la T-shirt, rimanendo in mutandine e reggiseno. Aveva davvero un fisico

incredibile, asciutto e muscoloso, eppure molto femminile. — Già, Adam sa come ottenere ciò chevuole — disse con una punta di ironia. Poi aprì l’armadio e si mise a rovistare al suo interno, per poiestrarre un abito lungo color ruggine con delle frange applicate lungo i fianchi. — Che ne dici diquesto?

— È perfetto — dissi entusiasta.Oltre ad ammirare il vestito, l’occhio mi cadde su una strana fodera che fino a poco fa era

nascosta dagli indumenti. Pensai di aver avuto un abbaglio. Sembrava la custodia di una spada, eNausica non avrebbe mai permesso a un’allieva di tenere un’arma nel proprio armadio.

Prima che potessi avvicinarmi per curiosare, mi sentii chiamare dall’esterno. — Zoe?Mi voltai di scatto. Sulla soglia c’era Sam. Indossava un paio di pantaloni neri dal cavallo

incredibilmente basso, strettissimi sulle caviglie, un paio di anfibi sdruciti e una camicetta bianca diseta con dei meravigliosi bottoncini di madreperla. Aveva fermato la mohicana sui lati con deifermacapelli a forma di teschi e steso sulle palpebre una dose abbondante di trucco smokey. Misorrise.

— Ti stanno aspettando in aula magna — aggiunse.— Arrivo — ribattei, allacciando le Converse. Rivolsi a Ginevra un cenno di saluto. — Ci

vediamo dopo.

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— Contaci — mi disse Ginevra.Prima di uscire, lanciai un’occhiata alla testata del mio letto. Ripensai alla scritta Segui la lepre

bianca che avevo scoperto sul lato, e al sogno in cui avevo visto la ragazza dai capelli verdiinciderla sul legno. Era il ricordo di un’altra persona, o un presagio? Cos’avrei trovato nella Stanzadegli Arazzi?

Quando fui di fronte a Sam, lei mi studiò per un lungo istante. — Quell’abito ti sta d’incanto — midisse, con il suo tipico sorriso obliquo.

— Grazie. Come puoi ben immaginare, non è mio…— Sembra fatto su misura per te. E tutto sommato non sta affatto male con le Converse.Mi schermii con la mano. — Ci vorrà ben altro che la festa del solstizio per farmele cambiare. —

Poi aggiunsi: — Sam, ti prego. Dimmi che Misha è fuori pericolo.— Sai che stiamo facendo tutti del nostro meglio — rispose lei, evasiva. — Sto cercando di fare

una diagnosi differenziale, ma alcuni sintomi sono contraddittori.Mi morsi le labbra. Mi sentivo così inadeguata. Quanto avrei desiderato che Sam mi desse

finalmente delle rassicurazioni!Non parlammo per un po’, mentre ci dirigevamo verso l’aula magna. Poi fu Sam a rompere il

silenzio. — So che non è il momento più appropriato per parlarne, ma volevo chiederti se è tuttookay. È un bello stravolgimento per la tua vita trovarti qui, ora.

— Mi manca mio padre e mi mancano i miei amici. Ma ti confesso che se Misha stesse benepenserei seriamente che studiare qui sia una bella alternativa al liceo a Milano.

— Ti capisco. So cosa si prova a veder soffrire il proprio famiglio.— Misha mi ha accennato che… il tuo era una persona fantastica —dissi dopo un istante di

indecisione.Sam fece un respiro profondo. — Orlando era un ragazzo dal carattere dolce, ma in combattimento

aveva lo spirito di un rapace. Non per niente era in grado di trasformarsi in una civetta dal magnificopiumaggio e gli occhi iridescenti. Quando gli Inquisitori sono riusciti a portarmelo via, per mesi nonsono stata in grado di mangiare. Sono arrivata a perdere quindici chili. Non è stato facile rifarmi unavita, dopo. Ringrazio la Dea perché ho potuto contare sulla vicinanza di tua madre. Se non fosse statoper lei, probabilmente mi sarei lasciata morire.

— Mi spiace — riuscii solo a dire.— Quando anche Federica è morta mi è crollato il mondo addosso — ammise Sam. — Non sai

quanto mi sono sentita ridicola… nonostante la guerra con gli Inquisitori fosse ogni giorno piùcrudele, io e lei stavamo pianificando di andare a vivere insieme. Ci crederesti? — e fece una breverisata sarcastica.

Cercai di non farmi sopraffare dal nodo alla gola. — Non hai idea di come mi senta per averrifiutato l’iniziazione. Volevo renderti orgogliosa, davvero. E invece finisco sempre per deludere tuttiquanti. — Scossi la testa. — Anzi, chi mi si avvicina troppo finisce male.

Sam si fermò e mi prese entrambe le spalle. Guardandomi intensamente, mi disse: — Non è vero.Per anni mi sono chiesta cos’avevo di sbagliato per meritare tanta sofferenza. È successo ogni voltache mia madre era fuori di sé per l’astinenza dall’eroina, è successo quando ho perso Orlando,quando mi hanno portato via Federica. So che è difficile ma dobbiamo guardare avanti, per nonrischiare di impazzire.

— Hai ragione — dissi. — Però mi sento così in colpa…

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— Non farlo — insistette Sam. — Goditi la festa, questa sera. Anche per chi non c’è più.— Ti ha chiesto Misha di dirmelo?Sam annuì. — Sei una ragazza meravigliosa e una strega di talento. Misha è orgoglioso di te. E lo

sono anch’io.Dovetti lottare per respingere le lacrime. Solo ora capii che Sam mi aveva davvero perdonato, nel

profondo dei suoi occhi splendenti come pietre di acquamarina.

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Un concerto per due

Quando entrai nell’aula magna la riconobbi a malapena, tanto era ricoperta di festoni e addobbifloreali. I banchi erano stati spostati per fare spazio a un grande buffet al centro della stanza, e ai dueangoli in fondo alla sala c’erano un paio di postazioni per le bevande.

Il Santuario si apprestava a dare il benvenuto alla stagione del raccolto a modo suo, nel giorno incui le credenze popolari ritenevano che gli spiriti erranti vagassero per i campi di grano. Mi chiesiquale fondo di verità si celasse sotto quella leggenda.

Io e Sam fummo raggiunte da una ragazza con i capelli corti ma folti e ricci, con un paio diocchiali dalla montatura spessa e una cartellina tra le mani. A colpo d’occhio mi ricordò Chloe.Quanto mi mancava la mia amica! Inevitabilmente, finii per chiedermi se l’avrei mai più rivista.

— Ciao, io sono Clara — mi disse, tendendomi la mano. — So che suonerai il pianoforte insiemea Adam — e le si illuminarono gli occhi. Era evidente che aveva un debole per lui. Immaginai chenon fosse l’unica al Santuario su cui l’atteggiamento sbruffone di Adam aveva fatto breccia. —Sarete i secondi artisti a esibirvi sul palco — continuò — e volevo chiederti se la posizione delpianoforte sul palco per te va bene.

Lanciai un’occhiata in direzione del palco e non ebbi nulla da eccepire. Si trattava probabilmentedi un eccesso di zelo da parte dell’organizzazione. Sapendo quanto Adelaide fosse scrupolosa, eranaturale che si premurasse che anche durante una festa ogni dettaglio fosse al proprio posto.

Man mano che i minuti passavano, la sala si riempiva sempre di più. Poco dopo finii per perderedi vista Sam. Mentre la cercavo tra la folla, intravidi Adam.

Nello stesso istante anche lui mi notò.Rimasi immobile. Lui iniziò a camminare verso di me. Fendeva la folla fissandomi intensamente.

Indossava un paio di pantaloni di velluto neri, aderentissimi, e una camicia scura con le manichearrotolate fino ai gomiti.

Per un attimo fu come se non esistesse nient’altro a parte noi, appesi l’uno agli occhi dell’altra.Quando fu di fronte a me, mi sfiorò la mano. — Sei bellissima — sussurrò. Il suono della sua

voce era basso e sensuale.— Grazie — farfugliai. Strinsi la sua mano con forza e il contatto mi fece inceppare il respiro.Le emozioni che avevo appena provato mi riportarono alla mente il primo incontro con Sebastian.

Dovetti lottare per riprendere il controllo. Provai una stretta al cuore pensando che Adam stavainfettando i miei ricordi. No, non potevo permetterglielo.

Mi divincolai e senza aggiungere altro gli voltai le spalle, decisa ad andarmene. Camminaivelocemente, resistendo alla tentazione di correre.

— Che ti prende? — Sentii la voce di Adam che mi stava seguendo.— Lasciami in pace — lo liquidai.

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Adam mi bloccò sul ciglio della porta d’uscita. Trascinandomi di lato, al riparo da sguardiindiscreti, mi afferrò per il gomito e mi strinse a sé. — Si può sapere cosa c’è che non va?

Il suo respiro era a un soffio dal mio viso. Sostenni fermamente il suo sguardo. Il mio corpobruciava di sentimenti opposti in lotta tra loro. — Vattene.

Mi dibattei tra le sue braccia, ma lui mi bloccò entrambi i polsi e li premette contro la parete. Inostri corpi erano così vicini che fui sommersa dal suo profumo.

— Ti odio — sibilai. — Odio la tua voce, odio come ti muovi. Soprattutto, odio come mi faisentire.

— Ne sei proprio sicura? — Il suo sguardo indugiò su di me, passando dai miei occhi alle labbra.— Forse ti faccio soltanto sentire viva.

Feci per ribattere, ma le parole mi morirono in gola. Lui liberò la presa, e quello che provai fuquasi dolore.

Feci per andarmene, ma mentre mi allontanavo, lo sentii dire: — Non te ne andare. Non lasciarmisolo sul palco, non stasera.

Mi immobilizzai. — Non posso…— Suona insieme a me. È l’unica cosa che ti chiedo. Poi non ti cercherò più, se è quello che vuoi.Mi voltai per incontrare i suoi occhi. — E va bene — risposi, raccontando a me stessa che l’avrei

assecondato solo questa volta, per poi essere lasciata in pace. Ma in fondo al cuore sapevo che nonera così.

Rimanemmo in silenzio per una manciata di secondi. Poi Adam disse: — Quello che ci vuoleadesso è qualcosa di forte per sciogliere la tensione. — Mi rivolse un’occhiata di traverso. — Ti vaun mojito?

— Adelaide permette che si servano alcolici durante una festa religiosa? — chiesi, allibita.— Non esattamente. Ma conosco i ragazzi che si occupano delle bevande — e mi condusse a una

delle postazioni dei baristi. Dietro il bancone c’era un nostro compagno di corso. — Un mojito per laragazza e uno per me — annunciò Adam.

— Non so se… — protestai debolmente.— Che c’è? Hai paura di lasciarti andare? — insinuò Adam.— Non è questo. Esibirmi in pubblico mi rende nervosa, preferisco essere lucida.— Fidati di me. Non ti farà male — sorrise Adam.Nel frattempo, il ragazzo dietro al bancone stava pestando la menta nei bicchieri. Aggiunse

ghiaccio tritato, zucchero di canna e succo di lime, poi si guardò intorno con circospezione per unistante. Con un movimento rapido da prestigiatore estrasse da sotto il banco una bottiglia senzaetichetta e versò una quantità abbondante di quello che immaginavo fosse rum.

— Ehi, ne basta molto meno — protestai.Lui si limitò a sorridere. Aggiunse acqua gassata e una cannuccia colorata, poi ci porse i cocktail

con orgoglio. Assaggiai il mio e dovetti ammettere che era delizioso.Dieci minuti e alcuni sorsi dopo la testa aveva cominciato a girare, ma a dispetto della promessa

di Adam la tensione era rimasta a livelli di guardia.La sala fu ben presto gremita di studenti e professori che chiacchieravano tra loro.Intravidi Sasha, vestita con un paio di pantaloni rossi aderenti e una giacca nera che ne

evidenziava la figura slanciata. Stava discutendo con Valentino, gesticolando animatamente. Poco

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dopo, gli voltò le spalle e corse via. Mi chiesi quale fosse la natura del rapporto tra Sasha e ilcompagno di stanza di Misha.

Il vociare si placò quando le luci si affievolirono, calando la sala nella penombra. Camminandocon la consueta eleganza, Adelaide salì sul palco. — Benvenuti alla festa del solstizio d’estate —annunciò. — Più tardi siete tutti invitati al rituale della raccolta delle erbe nell’area dell’Altare deiMegaliti. Come sempre, la cerimonia sarà condotta da Antonia. Ma ora non mi resta che lasciare ilpalco ai nostri musicisti, che si alterneranno sul palco per il tradizionale concerto del solstizio.

La folla si profuse in un caloroso applauso mentre una ragazza con in mano un violino saliva lescale del palco.

— Tra poco toccherà a noi — dissi preoccupata a Adam. — E io non ricordo più nulla di quelloche abbiamo provato. Me lo sento, sarà un disastro!

— Shhh — mormorò Adam. — Andrà alla grande. Se proprio te la vedi brutta, improvvisaseguendo gli accordi della mia chitarra.

Trangugiai con la cannuccia l’ultima sorsata del cocktail, che terminò con un borbottio prolungato.Non c’era modo di calmarmi, ero così tesa che credevo di non riuscire a reggermi in piedi,figuriamoci suonare. Ma a quel punto non sapevo se dare la colpa all’alcol o alla vicinanza conAdam.

Quando fu il nostro momento, sentivo tutti gli occhi addosso. C’erano dei fari puntati su di noi chenon mi permisero di riconoscere i volti del pubblico, ma fui quasi certa di sentire un incoraggiamentodalla voce di Sam.

Io e Adam ci sistemammo nelle rispettive postazioni al centro del palco. E quando mi sedetti alpianoforte, tutta la tensione si sciolse come per magia.

Mi ritrovai a suonare seguendo la melodia di Adam, che faceva vibrare le corde della chitarra conuna rabbia controllata, simile a nostalgia. La voce che era in grado di tirare fuori mentre cantava erabassa e incantevole.

Ora Adam non mi sembrava più il ragazzo presuntuoso che avevo conosciuto, ma un’animasensibile capace di evocare tutte le sfumature delle emozioni. Il suono del mio pianoforte si inserivaperfettamente tra le sue parole, come un lamento dolce e suadente, e ricordai tutte le volte che,suonando, ero stata in grado di rievocare la mia vita passata al fianco di Sebastian.

Al termine della nostra esibizione, esplose un applauso scrosciante che mi fece sentire partecipedi qualcosa di unico. Fui raggiunta da Adam, che mi prese la mano e mi invitò a inchinarci di fronteal pubblico.

Dal fondo della sala provenivano dei cori per richiedere il bis, e Adam mi rivolse un’occhiata diintesa. — Run? — mi disse.

Non serviva aggiungere altro. Dissi di sì con un sorriso e tornai al mio posto. Adam si andò asedere ai piedi del mio sgabello. Insieme intonammo Run degli Snow Patrol, la canzone che miaveva sentito suonare nell’aula di Danza. E mentre giungeva al termine, mi fu impossibile trattenerele lacrime.

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La promessa immortale

Mentre scendevo dal palco fui raggiunta da Angelica. Era splendida, fasciata nel suo vestito nuovo.Sembrava una principessa d’altri tempi. Quasi mi saltò al collo per abbracciarmi. Ricambiai, anchese ero un po’ imbarazzata.

— Mi hai commosso — mi disse, piena di entusiasmo. Anche se si notava che aveva pianto, era laprima volta dal mio arrivo in Accademia che la vedevo serena.

Adam e Ginevra, invece, stavano discutendo animatamente poco lontano da noi. Forse Ginevraaveva deciso di mostrarsi accomodante con me, ma non sembrava aver gradito la scelta di Adam dicoinvolgermi nel concerto a due.

Intanto sul palco si alternavano le esibizioni. Ora c’era un gruppo di ragazzi che servendosi dimandolino, violino, arpa e flauto eseguivano una serie di incalzanti ballate celtiche. Quasi tutti, insala, si lanciarono in danze forsennate. Mi affrettai ad allontanarmi dalla pista improvvisata perevitare di essere travolta, e andai a sedermi in disparte.

Mi accorsi che Lucrezia era in compagnia di Jared, e stavano parlottando a pochi passi da me.Ancora una volta mi stupii che Jezebel non fosse insieme a loro. Jared era pur sempre il suofamiglio… che avessero rotto?

Quasi sobbalzai nel sentirmi toccare. Mi voltai di scatto, ma anziché una persona vidi Merlino,appollaiato sulla mia spalla. Inclinò la testolina di lato con una serie di movimenti a scatti.

Morgwen mi si avvicinò. Aveva una borsa a tracolla. — Merlo cattivo — disse, puntando il ditocontro il piccolo volatile. — Smettila di disturbare Zoe.

Lui rispose gracchiando un paio di volte.— Non ti preoccupare, non mi dà affatto fastidio — ribattei. Merlino aggiustò la posizione

spostando il peso da una zampetta all’altra e rendendo la presa più salda.— Credo che tu gli piaccia — sorrise Morgwen.— Be’, il sentimento è reciproco — ammisi.— Ti va di fare un giro all’Altare dei Megaliti? La raccolta delle erbe comincerà tra poco.— D’accordo — dissi, alzandomi lentamente per evitare di spaventare Merlino, ma lui non

sembrava comunque intenzionato a lasciare la sua postazione. Sperai che non avesse intenzione dicostruire un nido, sopra la mia spalla.

Morgwen, Merlino e io imboccammo un lungo corridoio a cui si accedeva da una porticinalaterale. Mi chiesi quanto tempo aveva impiegato Morgwen per imparare a districarsi nel labirinto distanze e passaggi del Santuario.

Dovemmo attraversare un portale di pietra per uscire. Il giardino era grande almeno come duecampi da calcio affiancati ed era così ricco di vegetazione che sembrava un giardino botanico.

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Quando mi trovai dinanzi ai giganteschi megaliti che svettavano verso l’alto, disposti in cerchioproprio come il complesso di Stonehenge, rimasi letteralmente senza fiato.

Merlino ne approfittò per spiccare il volo e fece una lunga planata sopra le teste della piccolafolla che si era riunita intorno ad Antonia. Quest’ultima stava dando istruzioni sulle modalità diraccolta di foglie, radici e bacche e si raccomandò di ringraziare ogni pianta al momento dellaraccolta.

Dal cielo cadeva una pioggia leggera, e un vento lieve mi accarezzava le braccia lasciate scopertedal vestito.

Morgwen ripose le erbe nella borsa a tracolla e io mi limitai a seguirla incuriosita, con Merlinoche andava e veniva da un punto all’altro del giardino.

Finché Adam mi comparve davanti. Aveva un bicchiere mezzo vuoto in mano e barcollavaleggermente.

— Ti stavo cercando — mi disse.— Perché avresti dovuto?— Siamo stati grandi sul palco, io e te.— Non ha alcuna importanza.Morgwen mi guardò con aria imbarazzata. — Be’, vi lascio soli — disse.— Vengo via con te — le dissi. — Adam e io non abbiamo altro da dirci.Morgwen andò a unirsi a un gruppetto di ragazzi che stavano raccogliendo erbe a ridosso dei

megaliti. Un lampo illuminò le pietre come il flash di un fotografo, seguito dal brontolio di un tuono.Merlino compiva evoluzioni sopra di noi, sempre più nervoso.

Feci per raggiungere Morgwen, ma Adam si frappose tra me e lei. — Stai cercando di fuggire daqualcosa, Zoe — mi disse.

— Sei ubriaco, Adam. Vattene, prima di fare qualche sciocchezza — gli intimai.Lui si avvicinò ancora. Il suo sguardo era fisso sui miei occhi. — Di cosa hai paura?Indietreggiai. — Ho rispettato il mio impegno, Adam — dissi con un filo di voce. — Ho accettato

di suonare con te. Hai detto che se lo avessi fatto mi avresti lasciato in pace. Ora mantieni la parola elasciami stare.

— È questo che vuoi veramente? — e allungò la mano per accarezzarmi una guancia.Avrei voluto gridare che sì, era quello che volevo. Ma le mie labbra restarono chiuse, per non

diventare complici di una menzogna. Perché mi sentivo così insicura dinanzi a Adam?Tentai di sottrarmi al contatto, ma il corpo non rispondeva. Un brivido si scaricò lungo la spina

dorsale quando le sue dita incontrarono la mia pelle.— È… sbagliato — sussurrai.Adam mi sciolse i capelli e mi restituì l’athame con cui tenevo il concio, dopo avergli rivolto

un’occhiata incuriosita. Poi tornò con lo sguardo sui miei occhi, e intrecciò le dita ai miei capelli chesi adagiavano sulle spalle.

— Sono bellissimi — mormorò. — Tu sei…— No — protestai, scuotendo la testa con forza. Adam non avrebbe dovuto ripetere il gesto che

faceva Sebastian. Stava violando ogni ricordo che mi legava al ragazzo che amavo e che non avreimai smesso di amare. Riuscii a riprendere il controllo di me stessa. Io e Sebastian eravamo legati dauna promessa immortale che ci aveva riportato in questo presente sulle ali delle fate depositariedelle anime umane, e non avrei mai smesso di cercarlo.

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Il cuore mi batteva all’impazzata. Non avrei permesso a Adam di distruggere l’unica cosa cheancora mi legava a Sebastian: i ricordi dei nostri gesti, le nostre abitudini.

Lo spintonai e corsi via, rientrando nell’aula magna, dove mi scontrai con i ragazzi che ballavanoal ritmo della musica che proveniva dal palco. Continuai a correre senza fermarmi e senza voltarmiindietro, facendomi spazio a testa bassa nella calca, finché rischiai di scontrarmi con Adelaide.

D’istinto, nascosi dietro la schiena il mio athame e lo strinsi forte.— Ti stavo cercando — esordì, spiazzandomi.Balbettai qualcosa a proposito del fatto che stavo tornando nella mia stanza perché non mi sentivo

molto bene.Adelaide fece un sorriso comprensivo. — Hai davvero un talento straordinario — disse. —

Proprio come tua madre. — Il suo tono non mi convinse fino in fondo. Come se in realtà avessequalcos’altro in mente.

— Grazie — mi limitai a ribattere.— Tuttavia, non posso fare a meno di sottolineare che hai accettato di salire sul palco pur non

essendoti conformata ai… canoni estetici che questo luogo impone. — Come mi aspettavo, ecco chearrivava la frecciata.

— Di cosa sta parlando? Non le piace il mio vestito? — le chiesi.— I capelli, Zoe. Credevo di essere stata chiara.Quasi mi cadde la mandibola per la sorpresa. — Non posso crederci — sospirai.— Salire sul palco con un aspetto volutamente contrario alle convenzioni è stato un gesto

inappropriato. Hai approfittato dei riflettori per mandare un messaggio di ribellione.— Io non ho proprio approfittato di niente, non ci ho nemmeno pensato! — mi difesi. — Sono

salita sul palco cercando di essere me stessa.— È questo il tuo problema, Zoe. Non pensi alle conseguenze delle tue azioni. Ogni ragazza e

ragazzo ammesso all’Accademia ha accettato di conformarsi alle regole mentre tu, esibendo sul palcola tua vanità, hai implicitamente affermato che non è necessario. Hai messo in discussione la miaautorità, e l’hai fatto di fronte a tutti durante una festa sacra per la Sorellanza. Ti rendi conto dellagravità del tuo gesto?

Feci un ampio respiro prima di rispondere. Sentivo il sangue ribollire nelle vene e mi fuimpossibile controllare il tono. — No — sbottai. — Non credo affatto che il mio comportamento siastato… inappropriato, come dice lei! Sa cosa penso? Che l’imposizione del taglio dei capelli nonabbia niente a che fare con la vanità. Quello che lei pretende da ognuno di noi è un gesto diobbedienza.

Adelaide perse la freddezza del suo sguardo, e per un istante vidi baluginare un lampo di autenticarabbia. — Non esiste ordine senza autorità, Zoe. Prima o poi dovrai scegliere da che parte stare.

— Non sono disposta a tagliare i miei capelli per compiacere la sua smania di controllo —sibilai, per poi voltarle le spalle.

— Fino a questo momento ho cercato di proteggerti, di essere comprensiva. Ma questa volta la tuaarroganza non rimarrà impunita.

Sapevo che avrei dovuto tornare sui miei passi e chiederle scusa, era pur sempre la direttrice. Maadesso non riuscivo a essere razionale. Il tocco di Adam, il suo sguardo, le sue parole mi eranoscivolati sotto la pelle e stavano scavando un solco dentro di me. Tutto quello che volevo eraandarmene da lì e cercare di lasciarli indietro.

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Iniziai a correre. Attraversai le scalinate e i corridoi che conducevano al dormitorio femminilesenza mai fermarmi, nemmeno per riprendere fiato. Finché mi arrestai di colpo, quando mi trovainella Stanza degli Arazzi.

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Il buio oltre i tuoi occhi

Osservai a lungo il grande arazzo con la scena di caccia, e quasi trasalii nel riconoscere quello cheavevo visto in sogno. Ogni particolare era al suo posto.

Segui la lepre bianca, echeggiò nella mia mente. All’improvviso, tutto perse di importanza. Lafesta, il concerto, le insinuazioni di Adelaide, il comportamento di Adam.

Trattenni il fiato e spostai lo sguardo verso l’estremità dell’arazzo. Con gli occhi sgranati,individuai la lepre bianca. La fissai per alcuni istanti mentre il respiro si faceva irregolare. Poi,allungai la mano per sfiorarla.

Dopo un attimo di esitazione, mi decisi a spostare il lembo di tessuto dietro la lepre. Ebbi un tuffoal cuore. Nella parete di mattoni era incastonato un anello di metallo identico a quello che avevovisto in sogno.

Mi parve di sentire un rumore in lontananza, una sorta di scalpiccio. Come mi sarei giustificata seavessi incontrato una delle insegnanti o, peggio, un’Amazzone durante la ronda? Rimasi in ascoltoper un minuto lungo un’eternità, ma c’era soltanto silenzio. I suoni della festa ancora in corso nonerano udibili da qui.

Dopo un istante di incertezza, mi decisi ad afferrare l’anello. Prima di provare a tirarlo, mi chiesise fossi pronta a scoprire quale segreto poteva celare. Ma qualunque fosse la risposta, era troppotardi per tornare indietro. Mi convinsi che dovevo approfittare dell’occasione offerta dal fatto cheerano tutti riuniti per le celebrazioni, quindi puntai i piedi come la ragazza del sogno e tirai con tuttala forza che avevo.

Nonostante i miei sforzi, però, l’anello rimase immobile. Lasciai la presa per prendere un ampiorespiro. Poi mi decisi a riprovare, con più determinazione.

Ci fu il clic di un meccanismo, seguito da uno sferragliare metallico. L’anello cedette, trascinandocon sé un tratto di catena dalle viscere del muro. Allo stesso tempo, una porzione del pavimento delledimensioni di una piccola botola iniziò a scorrere verso il basso.

Il mio viso fu sferzato da un refolo d’aria fresca e umida, che profumava di pioggia. Immaginaiprovenisse direttamente dall’esterno del Santuario. Lasciai la presa dell’anello e spinsi la partemobile del pavimento verso il basso, liberando una stretta apertura. Mi protesi al suo interno persbirciare, e con mia grande sorpresa mi ritrovai a osservare un cunicolo che sboccava nella nudaterra fuori dal perimetro della fortezza. Da lì si intravedevano gli arbusti della prima parte del bosco.Dunque era questo che intendeva la ragazza del sogno. Segui la lepre bianca era un suggerimento sucome trovare un passaggio segreto per uscire dal Santuario.

Senza esitare, mi infilai nella botola e strisciai finché non fui fuori. Dal cielo proveniva unapioggia leggera. Meravigliata ed euforica, mi guardai intorno alla ricerca di un punto di riferimento.Lo trovai nelle rovine dell’acquedotto romano che si scorgevano in lontananza.

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Il mio piano era semplice: avrei cercato di raggiungere il salice e da lì avrei camminato fino allago. Ripetendo i gesti che avevo già compiuto, sarei tornata al Giardino dello Spirito. Forse mianonna avrebbe saputo come curare Misha.

Mi inoltrai nella vegetazione e cominciai a camminare velocemente, senza mai smettere diguardarmi intorno. L’idea di perdermi nel bosco richiamava l’eco di paure ataviche. Sotto i lampiche illuminavano occasionalmente i miei passi, cercai di proseguire stando bene attenta a dovemettevo i piedi.

Quando riconobbi la parte del bosco che si intravedeva dalla mia finestra, tirai un sospiro disollievo. Camminai, sospinta dalla determinazione. Ed eccolo, infine, il salice che era diventato ilcustode delle mie parole per Sebastian. Mi avvicinai fino a sfiorarne le foglie, accarezzai la suacorteccia. Desiderai avere con me la lettera che avevo scritto ieri per nasconderla nella scatola cheavevo sepolto sotto le fronde.

Mentre la pioggia aumentava di intensità, mi diressi verso il lago con la certezza che attraverso lesue acque avrei potuto raggiungere il Giardino dello Spirito. Mi immersi fino alle caviglie, senzastaccare gli occhi dal mio debole riflesso. Mi concentrai, pensando al luogo in cui avrei volutoessere, al viso di mia nonna all’età di diciassette anni, alla casa nella radura da cui proveniva ilprofumo dei suoi deliziosi biscotti. La magia si fa con le intenzioni, mi ripetevo mentalmente.

Strinsi con forza il mio athame, ripensando al momento in cui mia nonna me l’aveva restituito. Manon successe niente di quello che mi aspettavo. Mi trovavo nello stesso luogo da cui ero partita per ilviaggio che mi aveva condotto al Giardino dello Spirito, ma apparentemente non era così che ci sareiritornata.

Decisi che non mi sarei data per vinta. Cercai di attivare il Dono, dentro di me, ma l’unica cosache ottenni fu di procurarmi uno sgradevole mal di testa. Poi, un rumore secco alle mie spalle, comedi foglie calpestate, attirò la mia attenzione. Infine sentii lo schiocco secco di un ramo spezzato. Mivoltai di scatto, spostando lo sguardo febbrilmente da un albero all’altro.

Ma nel buio non vidi che le sagome degli arbusti nella fitta vegetazione.— C’è qualcuno? — chiesi, senza ricevere alcuna risposta. Che si fosse trattato solo di un

animale selvatico?Mi sedetti sulla riva del lago, fissando come ipnotizzata le gocce di pioggia che ne scalfivano la

superficie.Pensai a Sebastian, e a quanto avrei voluto che fosse con me. Mi sentivo perduta, e così inutile.

Insignificante, come una goccia di pioggia nel lago. Mi sentivo in colpa per Misha. Dentro di me unavoce sussurrava che quello che gli era successo era stato per colpa mia. Avrei dovuto prendermi curadel mio famiglio, offrirgli la mia protezione. Ma avevo pensato a me stessa, e mentre lui giaceva inun letto a lottare da solo contro un male subdolo e invisibile ero addirittura salita sul palco conAdam.

Ma forse a parlare era solo il mio senso di colpa per tutte le volte che lo avevo trascurato. Forseaveva ragione Angelica, ero soltanto un’egoista, incapace di guardare oltre i miei desideri e le mienecessità. Continuavo a ferire chi mi stava accanto, e non sapevo prendermi cura delle persone cheamavo, mentre Misha si era preso cura di me dal primo istante in cui era entrato nella mia vita.

Poi, di nuovo un rumore. Questa volta più vicino. E fui certa che si trattava del frusciare di vestiti.Balzai in piedi, e il mio sguardo incrociò gli occhi affilati di Adam.

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La battaglia

— Non volevo spaventarti — mi disse Adam. Un lampo in lontananza illuminò brevemente il suovolto di un bagliore sinistro.

— Ti è passata la sbronza? — sbottai.Adam tirò un sorriso obliquo. — Come stai? — mi chiese.— Avevi promesso di starmi lontano.— Il clima non sembra l’ideale per una passeggiata notturna — ribatté lui senza scomporsi. — A

meno che in riva al lago tu non stia dando la caccia ai fantasmi.— Che ne sai tu di fantasmi?— Più di quanto sembri — ammise. — Come sei uscita?— Ho seguito la lepre bianca — risposi d’istinto. — Ma a quanto pare non sono l’unica ad aver

scoperto un passaggio verso l’esterno.Adam si strinse nelle spalle. — Il Santuario è pieno di risposte, se poni le domande giuste.— Me l’hanno detto.— Davvero? E chi?— La stessa persona che mi ha consigliato di diffidare dei tipi come te.— Come sarebbero, i tipi come me? Non credevo di appartenere a una categoria.— Oh, certo che sì. Quelli supponenti, sicuri di sé e del proprio fascino.— Quindi ammetti che mi trovi affascinante.— Cosa? — sbottai. — Al contrario. Non so cosa ci trovi Ginevra, in te. Dev’essere una ragazza

molto paziente per sopportare il tuo ego.— Forse ho delle doti nascoste.— Ho i miei dubbi. A meno che non siano mooolto nascoste.Un tuono improvviso mi fece sobbalzare, e nel giro di mezzo secondo la pioggia si tramutò in un

violento acquazzone.Corremmo fino a trovare riparo sotto le fronde del mio salice. Le foglie erano così folte che la

pioggia filtrava a malapena. Purtroppo, però, il mio vestito era talmente zuppo che aderiva al toracecome una seconda pelle. Sotto non avevo nemmeno il reggiseno.

— Dobbiamo rientrare — dissi, e incrociai le braccia al petto per strofinarmi le spalle cercandodi cacciare il freddo, ma soprattutto per coprirmi il seno.

— Già. Ripararsi sotto un albero non è il massimo durante un temporale.— Oh, Dea — esclamai. — Mi manca solo di essere colpita da un fulmine come degna

conclusione di una serata disastrosa.Adam era vicino, troppo vicino. Potevo sentire il calore del suo corpo diffondersi sotto il nostro

rifugio improvvisato. — Non è stata così male — disse, compiendo un passo verso di me.

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Voltai la testa di lato per evitare il suo sguardo. Era così profondo che temevo potesse rovistaretra i miei pensieri. E in quel momento erano più confusi che mai.

— Vattene — gli intimai. — Non vorrei che a Ginevra venga voglia di cercarti.— Ginevra non verrà. — Intrecciò le dita tra i miei capelli e le fece scorrere per tutta la

lunghezza.— Ti ho detto di lasciar stare i miei capelli — ringhiai. Ma desideravo che lo facesse di nuovo.— Ti sono cresciuti — mormorò lui.Era una frase apparentemente insignificante, ma che mi costrinse a riflettere. Adam non poteva

saperlo. Lui mi conosceva da pochi giorni, non poteva sapere niente di me, prima che fossi ammessaall’Accademia.

Inchiodai lo sguardo ai suoi occhi. — Come lo sai?— Andiamo, Zoe — ribatté — come potevo credere alla storia che mi hai raccontato quando hai

detto che ti eri persa nel bosco?— Non capisco come poteva interessarti.— Ho pensato di dare un’occhiata, tutto qui.Rimasi in silenzio per un lungo istante. Continuavo a ripetermi che quello che mi stava dicendo

era assurdo. — E perché avresti dovuto farlo, scusa?— Non hai tutti i torti quando pensi che il Santuario sia una roccaforte difensiva, e le sue mura

siano innalzate per difenderlo da chi ci abita.Sentii le gote scaldarsi all’improvviso. Avevo scritto quella frase nella mia lettera per Sebastian,

quella che avevo nascosto ai piedi del salice. Bastarono quelle poche parole per innescare la catenadelle supposizioni, che nel giro di un attimo diventarono un’unica, terribile certezza. Adam l’avevaletta.

D’istinto, guardai in basso per vedere se la terra era stata smossa, ma c’era troppo fango e troppobuio.

Immaginai di essere livida di rabbia, anche se dubitavo che Adam potesse rendersene conto. —Come ti sei permesso di leggere la mia lettera? — esplosi.

— Dovevo sapere cosa stavi nascondendo.Era troppo vicino, come se mi stesse togliendo lo spazio per respirare. — E perché? Era privata,

non avevi il diritto di farlo! — La voce mi uscì tremante, per la rabbia e per i brividi di freddo.La figura di Adam si ergeva di fronte a me, immobile, col bosco che si estendeva sconfinato alle

sue spalle, illuminato solo dai lampi che fendevano l’oscurità. Se non fosse stato per il viso, la suasagoma alta stagliata contro la notte mi avrebbe fatto pensare che di fronte a me c’era Sebastian, equesto rendeva la situazione ancora più surreale.

— Avevo bisogno di capire — disse con fermezza.— Capire… cosa, esattamente? — sibilai. — Chi sei davvero, Adam?— Forse sono solo uno dei fantasmi a cui stai dando la caccia.— C-cosa vuoi da me?— Credimi, non vorresti saperlo.— La smetti di parlare per enigmi? — sbottai. Lo spintonai, come se insieme a lui potessi

allontanare il turbamento che mi provocava nel profondo.Poi scivolai fuori dal rifugio e mi diressi correndo verso il Santuario. Avrei voluto mettere un

milione di chilometri tra me e lui, ma alle mie spalle sentii l’incalzare di passi veloci. Mi voltai

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appena, solo per rendermi conto con la coda dell’occhio che Adam era dietro di me. Mi raggiunse inun baleno. — Fermati — mi intimò, afferrandomi per un polso e cercando di trattenermi.

Mi divincolai con forza, e grazie anche al fatto che la pelle era umida riuscii a sgusciare dalla suapresa. Ricominciai a correre, anche se mantenere l’equilibro sull’erba bagnata era difficile, finchénon arrivai al cospetto delle altissime mura del Santuario. Ma avevo perso l’orientamento, e nonavevo idea di che direzione seguire per ritrovare il passaggio da cui ero uscita.

Adam mi si parò davanti. Entrambi eravamo senza fiato dopo la lunga corsa. Rimase immobile unistante, limitandosi a fissare il mio viso, poi compì un passo verso di me. Cercai di sgattaiolare dilato, ma in una frazione di secondo mi fu addosso. Mi abbracciò da dietro, bloccandomi, e a nullavalsero i miei strilli per convincerlo a lasciarmi andare. La sua presa era salda, non aveva intenzionedi mollarmi.

Il cuore batteva così forte che ero convinta che il mio petto sarebbe esploso. — Si può saperecosa stai facendo?

Mi costrinse a voltarmi, e tenendomi per le braccia mi rivolse uno sguardo infuocato. — Non lovedi? — Avvicinò il viso al mio. I nostri respiri si fermarono a un soffio di distanza. — Hointenzione di baciarti.

Le sue parole mi colpirono come uno sparo sulla faccia. Scattai con la testa all’indietro, anche seuna forza invisibile mi spingeva verso di lui, quasi dal profondo fosse emersa la consapevolezza chetutto quello che volevo era il contatto con le sue labbra.

All’improvviso, anche lui parve titubante, come se sotto la pelle si fosse scatenata una lottainteriore. Adam lasciò la presa e ritrasse le mani fino a posizionarle lungo i fianchi, con i palmirivolti verso di me, come per mostrare che era disarmato.

La pioggia scrosciante disegnava sui nostri volti un reticolo di rivoli argentati che sembravanolacrime di rabbia, gioia e paura insieme.

Mi protesi verso di lui con impeto. Gli presi il volto tra le mani e gli morsi le labbra, quasi checon quel gesto potessi strappargli via la maschera. Adam socchiuse la bocca e ci lasciammo andare aun bacio profondo, violento, un gesto a lungo atteso ma a lungo temuto. Mi abbeverai alla sua boccacome a una sorgente d’acqua fresca dopo giorni passati nel deserto, come fuoco avido di legna eossigeno, incalzato da un vento torrido, affamato.

La reazione del mio corpo fu impetuosa, sentivo lo stomaco in subbuglio e la pelle che fremeva.Adam mi prese le spalle tra le mani, poi scese attraverso i miei fianchi fino a lambire l’estremità delvestito. Infilò le dita sotto il tessuto, e il contatto con la sua pelle si mescolò a quello della pioggia,sommergendomi con una sensazione che era molto di più di quello che ero in grado di affrontare inquesto momento.

Il mio respiro diventò un rantolo, mentre lui gemeva nella mia bocca. Stavo perdendo il controllo,il sangue scalpitava e il cuore urlava in preda a un desiderio a cui non volevo dare un nome.

Adam inarcò la schiena per aderire al mio corpo. Mentre le nostre lingue si intrecciavano, mispinse contro il muro e io dischiusi dolcemente le cosce, intrecciando le gambe alle sue per farcombaciare i nostri corpi. Sentivo la durezza del suo addome premere contro il mio, i suoi muscolierano tesi allo spasmo, anelando a un contatto più intimo.

Poi, senza alcun preavviso, mi staccai con forza. Scivolai di lato, respingendolo. Lui sembravastordito. Non smetteva di guardarmi con occhi febbricitanti.

Ero incredula e sconvolta per quello che ero appena stata capace di fare. Come se non fossi stata

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io a baciare Adam, ma fossi stata testimone di quello che era avvenuto, come nei sogni che miavevano portato fin qui. Ma ero stata io, eccome. Un’altra me era emersa all’improvviso, cacciandorazionalità e buon senso in un angolo.

Con Sebastian lontano e Misha gravemente ammalato, come avevo potuto lasciarmi andare inquesto modo? Barcollai all’indietro, compiendo qualche instabile passo. Guardai Adam con odio.

Poi mi voltai e mi incamminai verso qualunque direzione, purché fosse lontano da lui.Lui mi raggiunse e mi fermò, tirandomi per un braccio. — Aspetta — disse con voce tremante.Mi voltai di scatto, e senza alcuna esitazione né preavviso lo colpii con un pugno in pieno volto.— Devi starmi lontano, hai capito? — esplosi.Lui rimase fermo sotto la pioggia, massaggiandosi il mento. Gli occhi avevano perso l’abituale

sfrontatezza. Era stravolto. Sembrava spaventato. Ma non era per il colpo che aveva subito, c’eradell’altro in fondo al suo sguardo, come se uno spirito inquieto si fosse destato nel punto più buiodella sua anima.

Avrei scoperto presto di cosa si trattava. E sarebbe stato sconvolgente.

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Il mio cuore è tempesta

Quando rientrai nella mia camera era quasi l’alba. Mi tolsi il vestito bagnato e indossai qualcosa dicomodo per quel poco tempo che mi restava per dormire.

Stesa nel letto, mi ritrovai a fissare il soffitto della stanza come un cielo livido e senza stelle.Scossi la testa. Chi cercavo di prendere in giro? Era chiaro che anche se ero sfinita non sarei piùriuscita a prendere sonno. Mi vergognavo così tanto che avrei voluto scomparire dalla faccia dellaterra e non rivedere più nessuno per almeno un migliaio di anni. Il punto non era se sarei stata più ingrado di guardare Ginevra negli occhi, ma se sarei stata in grado di guardare la mia immagine allospecchio.

Non potevo nemmeno pensare alle conseguenze se Adam avesse parlato del nostro bacio alla miacompagna di stanza. Mi sentivo malissimo, come se avessi tradito con un solo gesto tutto ciò in cuicredevo.

Mi ripetevo che quel bacio non significava niente, che era forse solo la disperata ricerca di unapprodo mentre i punti di riferimento si erano dissolti come castelli di sale. Era il contatto con lelabbra di Sebastian che desideravo, non certo con quelle di uno sconosciuto, per di più uno chedetestavo. Che sfrontato, poi, ad ammettere che aveva letto la mia lettera, come se dovessi rendergliconto di quello che facevo.

Ma non era così semplice. La verità era che Adam mi attraeva e mi respingeva allo stesso tempo.Tuttavia, come avevo potuto essere così irrazionale? Cosa avrebbe lavato la mia colpa? Come avreipreteso un’assoluzione per il mio peccato? Era tra le braccia di Sebastian che avrei voluto cercarerifugio, e ora mi sentivo più sola che mai. Inoltre, baciando Adam avevo cancellato dalle labbra letracce dei baci dell’amore della mia vita. Me le sfregai più volte con decisione nella speranza dicacciare il sapore di quel bacio che ancora faceva pulsare i miei sensi.

Quando suonò la sveglia, ero appena scivolata in un dormiveglia viscoso che mi aveva restituitoinsistentemente il volto di Misha con lo sguardo pieno d’ira. Mi stropicciai gli occhi per respingerequell’immagine. Non bastavano i morsi della mia coscienza?

Ginevra non era rientrata. Mi sorprese trovare il suo letto intatto. A costo di arrivare tardi allabenedizione di Antonia, mi feci una doccia bollente per compensare il freddo che avevo accumulato.Ma l’inquietudine rimase appiccicata alla pelle. Quella era impossibile da lavare via.

Dopo la cerimonia, mi affrettai a raggiungere l’infermeria. Misha era pallido come non mai, congli occhi cerchiati da occhiaie rossastre. Non appena mi vide, curvò le labbra in un sorriso. — Ehi,cos’è quella faccia? — mi chiese. — Hai fatto le ore piccole?

La sua domanda era ironica, ma non aiutò di certo a cacciare i miei sensi di colpa. — Più o meno— mi decisi a rispondere, dopo un secondo di silenzio.

— Ho saputo che il concerto è stato un successo.

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Mi strinsi nelle spalle. — Te l’ha detto Angelica?— Sì. È venuta qui subito dopo la tua esibizione.Sentii una fitta di gelosia. Avrei dovuto esserci io, al capezzale di Misha, al posto di Angelica. —

Mi spiace non essere venuta, dopo la festa.— Non ti preoccupare, mi sono addormentato presto. Piuttosto, non dovresti fare colazione

adesso?— Mangerò qualcosa più tardi — ribattei.Misha protese una mano per afferrare la mia. — Non lasciarti andare, Zoe. Quando succede

qualcosa di brutto ci dobbiamo aggrappare alle nostre abitudini.— Non ho più le mie abitudini, da quando sono al Santuario. La mia vita è stata stravolta al punto

che forse non so nemmeno più chi sono — mormorai.— Ne avrai delle nuove. E nuove amicizie, e forse persino…— Non dirlo — lo bloccai. — Ti prego, non parlare come se fossi in punto di morte. È…

deprimente. È già abbastanza difficile dover accettare di vederti steso qui senza poter fare niente. Mati riprenderai. Sei la persona più forte che abbia mai conosciuto.

— Certo — assentì. — Hai lezione, questa mattina?Esitai prima di rispondere. Poi ammisi: — Storia. Ma non credo di andarci.— Oh, certo che ci andrai.Potevo forse dirgli che non avevo nessuna intenzione di rivedere Adam, dopo quello che era

successo? — Preferisco restare con te.— C’è qualcosa che ti turba — disse lui, sorprendendomi. — Lo sai che puoi parlarmi di tutto. Io

sono qui per te. Ci sarò per sempre, Zoe.— Vorrei che tu stessi bene, tutto qui — ribattei, celando a malapena l’imbarazzo.— E poi? — mi incalzò. — Lo sento che c’è dell’altro.Cercai di rimanere impassibile, ma dentro di me era in atto una tempesta. — È solo che…Bussarono alla porta e un istante dopo entrò Valentino. — Ecco il mio negromante preferito —

disse Misha.Valentino mi salutò con una stretta all’avambraccio, poi si andò a sedere in un angolo del letto di

Misha. In mano teneva un foglio ripiegato. — Non l’avrei mai detto, e invece mi manchi — ammise.— Ieri sera sarò rimasto alla festa neanche una mezz’ora. Poi, sono stato sveglio tutta la notte ascrivere.

Misha sorrise. — Valentino scrive poesie — mi disse. — Anche se non vuole mai farmeleleggere.

Valentino mi rivolse uno sguardo insicuro. — Ho paura che siano terribili. Avevo una ragazza, quial Santuario, ma mi ha lasciato dopo che le avevo dedicato uno dei miei componimenti.

— Ma ora hai deciso di rompere gli indugi, giusto?— L’idea era questa. Sono solo poche righe, eh? Non aspettarti un poema.— Sento che avrò un peggioramento delle mie condizioni nei prossimi dieci secondi — brontolò

Misha. Gli allungai un pizzicotto nella spalla. — Ahia — si lamentò.— Stava scherzando, naturalmente. Puoi iniziare, ora.— D’accordo — ribatté lui. Rivolse una breve occhiata al panorama attraverso la finestra e si

schiarì la voce.

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Non c’è magia, non c’è doloreUna foglia che cade è solo una foglia che cadeInseguo il tempo come un randagioIl tempo è il mio miglior nemicoIl mio unico conforto in questa terra desolatache chiamo amoreCerco il tuo viso tra le spine, il tuo respirotra gli affanniCome in un impulso infinitoun abbraccio di tenebraIl mio cuore è tempesta, il mio spiritosabbia e pioggiaUn fiore asciutto, il germoglio di un sognoAspetto la scintilla di folliache ci farà sentire simili

Una lacrima mi bagnò le ciglia. Non riuscii a dire niente perché avevo un nodo alla gola. Vidi chele labbra di Misha tremavano e anche lui stava lottando per non piangere.

— È bellissima — sussurrò. — Grazie, amico mio. — Pochi istanti dopo, però, la sua bocca sistropicciò in una smorfia di dolore. Si appoggiò una mano sul petto e tossì.

— Tutto bene? — chiesi, allarmata.— Sì, sono solo un po’ affaticato — rispose Misha.— Scusate, la porta era aperta. — La voce di Angelica. Aveva gli occhi pesti, probabilmente la

sua notte era stata inquieta quanto la mia. Rimase immobile sulla soglia.— Entra pure — disse Misha. — Stavamo commentando la poesia di Valentino.— B-bene — ribatté Angelica. Sembrava imbarazzata. Forse pensava che fossi gelosa di Misha, e

un po’ aveva ragione. Ma non avevo intenzione di farle una scenata solo perché lei gli era stata vicinain un momento in cui io non ero stata abbastanza determinata per esserci. — Ero solo passata perfarti un saluto — aggiunse. — Ma devo proprio scappare, ho un milione di cose da fare, prima diandare a lezione. — Poi girò le spalle e se ne andò.

Feci per seguirla, ma quando mi affacciai al corridoio era già sparita.— Credo che sia un po’ sotto pressione — mi disse Misha. — Cerca di starle vicino. Anche se

graffia un po’, chiede solo di essere addomesticata.— Ne so qualcosa, di gatti selvatici — mi limitai a commentare.

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Carte da decifrare

Misha riuscì a convincermi ad andare a lezione di Storia, con la scusa che lui e Valentino avevanodei discorsi da uomini in sospeso. Gli lasciai un bacio sulla fronte. Respinsi le lacrime cheincombevano ogni volta che mi apprestavo a lasciarlo solo e uscii dalla stanza.

Mentre percorrevo il corridoio, mi chiesi chi potesse essere stata la ragazza di Valentino, qui alSantuario. Forse non apprezzava la poesia, oppure si era spaventata a causa del suo passato.

Prima di entrare in aula, presi un ampio respiro. Speravo che Adam non si presentasse, non avevoidea di come comportarmi con lui. Per precauzione, feci in modo di arrivare quando la lezione eragià cominciata, ma salendo le scalinate dell’aula finii per incrociare il suo sguardo e il battito delcuore fece una brusca accelerata.

Alla fine della lezione mi affrettai verso l’uscita, sperando che lui avesse il buon senso dievitarmi. E invece me lo trovai di fianco, in corridoio.

— Aspetta — mi incalzò.— Non abbiamo altro da dirci — risposi senza voltarmi.— Al contrario. C’è una cosa che devo dirti assolutamente.— Non mi interessa.Lui fece uno scatto e si posizionò di fronte a me. — Devi ascoltarmi.— Ti sbagli — sbottai. — Io non ti devo niente. Quello che è successo ieri notte… — mi guardai

intorno per un lungo istante — … non è successo. E non c’è altro da dire.— No — sentenziò. — Da quando ci siamo baciati, io…— Non dirlo! — sbottai. — È stato uno sbaglio, un incidente!— D’accordo, però…Lo spintonai e ripresi a camminare in direzione della biblioteca. — Ho molto da fare, devo

preoccuparmi delle persone a cui tengo. Non ho tempo da dedicare a uno che non ha niente di meglioda fare che spiare la vita degli altri.

— Ho sbagliato, va bene? Ti chiedo scusa per aver letto la tua lettera — mi disse, ricominciandoa camminare di fianco a me. — Ma non me ne pento, perché da quel momento qualcosa è cambiato,dentro di me. Ho… delle visioni.

Mi immobilizzai, e lo guardai dritto negli occhi. Quanto a visioni, ne avevo già abbastanza dellemie. — Ascoltami, Adam. Quello che ti capita non mi riguarda, e non mi interessa — sentenziai. —Torna dalla tua fidanzata, fa’ quello che ti pare. Ma stammi alla larga.

Non potei fare a meno di chiedermi che fine avesse fatto Ginevra. Non solo non era rientrata incamera, ma non l’avevo vista alla benedizione, né per i corridoi. In ogni caso, ora avevo ben altro dicui occuparmi.

Quando mi sedetti al tavolo della biblioteca con il volume di Medicina generale, ero piena di

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buoni propositi. Mi ero convinta che avrei trovato le risposte che cercavo sulla malattia di Misha emagari persino una cura. Sapevo che Sam stava facendo il possibile, ma se il possibile non fossestato abbastanza? Passai ore a studiare sintomi e terapie, senza trovare nemmeno l’ombra di unatraccia concreta.

A peggiorare il mio umore, Jezebel entrò in biblioteca e si andò a sedere in una postazione nonmolto lontana dalla mia. Immaginai che volesse sfidarmi, ma il suo sguardo non aveva niente diaggressivo.

Piuttosto, si guardava intorno con circospezione, come se avesse paura di incontrare qualcuno. Néil suo famiglio né Lucrezia erano con lei e nella mia mente si rafforzò l’ipotesi che avessero litigato.Col caratteraccio che avevano, la cosa non mi avrebbe stupito.

Jezebel mi si avvicinò e senza alcun preavviso lasciò scivolare un foglietto di carta sul miotavolo. Quindi si avviò verso l’uscita. Ci misi un po’ prima di decidermi a guardarlo, poi pensai chequalunque cosa ci avesse scritto sopra, non mi sarei fatta condizionare.

Incontriamoci al tramonto nei sotterranei della Sala della Sorgente, c’era scritto. Io possoaiutarti. So cos’è successo a Misha. Però vieni sola, e non far parola con nessuno di questomessaggio.

Jezebel che decideva di aiutarmi? Tra tutte le ipotesi su cui potevo fantasticare, questa era la piùassurda. Perché, poi, aspettare il tramonto? Se c’era qualcosa che potevo fare per aiutare Misha, lovolevo sapere subito. Ripiegai il foglio, me lo infilai in tasca insieme al mio athame, da cui nonvolevo separarmi mai più, e uscii dalla biblioteca in fretta per cercare di raggiungere Jezebel, ma erascomparsa.

Figurarsi se sapevo come andare nei sotterranei. Ero convinta che non fosse nemmeno consentitoagli studenti accedere alla Sala della Sorgente, tranne che durante l’adunata mattutina. Tuttavia, avreifatto qualsiasi cosa per salvare Misha. E infrangere una regola del Santuario non lo consideravo cosìgrave, se poteva servirmi a trovare una cura.

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Come un topo in un labirinto

— Come ti senti? — mi chiese Anna. Mi trovavo nel suo studio, seduta sulla sedia dalle zampe dileone, in posizione composta. Come l’ultima volta, lei si era sistemata sul divano di fronte a me.

— B-bene — risposi, incerta sul reale significato della domanda. Senza sottolineare il fatto che,nonostante l’apparente affabilità di Anna, il suo sguardo gelido continuava a mettermi in soggezione.

— Sono contenta che tu abbia deciso di proseguire le nostre chiacchierate — disse.Mi strinsi nelle spalle. — Credo che tutto sommato non potrà farmi male, giusto?— No, certo che no — sorrise. — Il mio compito è soltanto quello di aiutarti a trovare le tue

motivazioni.Mi aggiustai la coda di cavallo, risistemando l’elastico con cui avevo raccolto i capelli. A

differenza degli altri studenti dell’Accademia, che non perdevano occasione di squadrarmi come sefossi un’aliena, Anna sembrava indifferente al fatto che avevo tenuto i capelli lunghi.

— Quindi non hai intenzione di rovistare nel mio cervello, alla ricerca di qualche difetto difabbrica? — mi sforzai di scherzare, nel tentativo di stemperare la tensione. Accidenti a me, perchéero così tesa?

— Non sono qui per emettere giudizi o sentenze — affermò. — Ma come un’amica con cui puoiconfidarti.

Wow, Zoe, ecco una cosa che non avevi considerato: una strizzacervelli per amica. Non volevofare il gatto rosso, per una volta, ma per quanto mi sforzassi, non mi sembrava uno scenariocredibile.

— Che c’è? — mi incalzò Anna. — Mi sembri perfino turbata. Spero di non aver detto qualcosadi inopportuno.

Turbata, pensai. E perché dovrei? Ho soltanto perso l’amore della mia vita, il mio famiglio stalottando contro una malattia sconosciuta e ho baciato il ragazzo che più detesto al mondo. Vatutto alla grande!

— Misha non sta bene, e… — mormorai, interrompendomi per guardarmi intorno, come se leparole fossero sospese nell’aria intorno a me e io stessi cercando di pescarle una a una.

— Sappi che ti sono vicina, in questo momento difficile — disse lei con voce ferma. — Vuoidescrivermi cosa provi, quando pensi allo stato in cui si trova il tuo famiglio?

Ci pensai a lungo, poi mi decisi a dire: — Come un topo in un labirinto.Anna abbozzò un sorriso e scrisse qualcosa sul bloc notes che teneva in mano. — Sei convinta che

ci sia una via d’uscita, quindi.Feci sì con la testa. — Deve esserci — sentenziai. — Mi rifiuto di gettare la spugna. Non mi darò

pace finché non avrò trovato il modo di aiutarlo.— Questo ti fa onore — disse Anna, conciliante. — Ma non pensi che la Sorellanza stia già

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facendo del proprio meglio per guarirlo?— Certamente — dissi, dopo una breve esitazione. Di nuovo, la vidi scrivere sul blocco. — Ma

se non dovesse essere abbastanza… voglio dire, Misha è pur sempre il mio famiglio, dovrei essereio a prendermi cura di lui, come lui si è sempre preso cura di me.

— Molto bene. E a cosa saresti disposta a rinunciare per salvarlo? — domandò a bruciapelo.Anche se il tono di Anna si era addomesticato, mi sentii pervadere dall’inquietudine. — Cosa

intendi?— È solo una domanda ipotetica — affermò. — Cosa faresti se ti trovassi di fronte a una scelta

tra qualcosa di molto caro e la completa guarigione per il tuo famiglio?Strinsi gli occhi, rivolgendo ad Anna uno sguardo perplesso. — Non potresti essere più chiara?— Qual è la cosa a cui tieni più di ogni altra al mondo?L’amore di Sebastian, pensai. E davanti agli occhi mi si parò l’immagine di Adam, mentre lo

stavo baciando. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. — Io… non lo so più.Lei scrisse qualcosa nel blocco. — D’accordo. Allora parliamo della fedeltà alla Sorellanza, per

esempio. Saresti disposta a tradire la fiducia della Sorellanza pur di aiutare il tuo famiglio?Appoggiai lo sguardo a un quadro appeso alle sue spalle, pensierosa. Raffigurava la scena di un

antico matrimonio tra nobili. Intorno agli sposi c’era una moltitudine di persone vestite in modoelegante e a un lato del salone un gruppo di zingari che suonavano e ballavano.

— È una domanda trabocchetto? — mi decisi a chiedere.— Assolutamente no — disse lei scuotendo la testa. — È solo un’ipotesi. Immagina che ti venga

chiesto un pegno per salvare il tuo famiglio. Come reagiresti?La luce che proveniva dalla finestra era il livido rossore del sole che si andava a nascondere tra

le acque del lago. Accarezzai il foglietto ripiegato che tenevo in tasca e ripensai alle parole cheJezebel ci aveva scritto sopra: Incontriamoci al tramonto.

— Non credo di essere in grado di rispondere a questa domanda — borbottai. — Ma credo chemetterei la salvezza del mio famiglio sopra ogni cosa.

Seguì un silenzio imbarazzato, in cui mi parve di poter sentir risuonare il battito del mio cuore intutta la stanza. — D’accordo — disse Anna. — Anche se preferirei che tu fossi completamentesincera con me, Zoe.

— Lo sono — protestai. — È solo che non riesco a capire se si tratta di un test, e quali sono lefinalità di queste domande.

— Non sei sotto esame — affermò Anna. — Non c’è una risposta esatta o una sbagliata e non hointenzione di darti un voto. Sto solo cercando di capire le tue motivazioni, tutto qui. Pensaci, Zoe,fino a che punto saresti disposta a spingerti per difendere le persone a cui tieni?

— Fino in fondo — dissi con sicurezza.— E allora perché colgo una vena di incertezza nella tua voce?Scattai all’indietro, come se dovessi evitare un pezzo del soffitto che mi stava cadendo addosso.

Ma in fondo era così che mi sentivo, fin da quando mi ero risvegliata all’interno del Santuario. Comese il castello delle mie certezze mi fosse crollato sulla testa e il peso delle macerie stesse diventandogiorno dopo giorno più pesante da sopportare.

— Perché non sono più sicura di niente — mormorai, con la voce che tremava.Fui certa di intravedere l’ombra di un sorriso comparire sul volto di Anna. — Troverai la tua

strada, Zoe. Ne sono certa. Sei ancora confusa, è vero, ma ciò che sei davvero è lì, dietro la barriera

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che ci hai costruito intorno per difenderti dal mondo, in attesa di risvegliarti. — Si protese verso dime, guardandomi intensamente. — Prima di quanto immagini, dispiegherai le ali e uscirai dal bozzoloin cui ti sei rinchiusa, proprio come una farfalla, la più bella che si sia mai vista. E il tuo volo nonavrà limiti.

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Una fiaba crudele

Di fronte all’ingresso della mensa, incontrai Sasha. La chiacchierata con Anna mi aveva lasciataesausta e turbata, ma era ben altro a occupare i miei pensieri in quel momento. Chiesi a lei comeraggiungere i sotterranei della Sala della Sorgente.

Sasha rispose senza riflettere. — C’è una porticina laterale che conduce nel sotterraneo.— È quella da dove entra Antonia — dissi.— Proprio così. Ma perché ti interessa? — ribatté Sasha. — Ti prego Zoe, non avrai in mente

qualcosa di cui potresti pentirti?— Al contrario — dissi. — Credo finalmente di poter fare qualcosa per aiutare Misha.— Ma come… — borbottò lei, confusa.Il messaggio di Jezebel era chiaro, non avrei dovuto parlarne con nessuno. Ma mi fidavo di Sasha,

dopotutto aveva rischiato grosso per aiutarmi e ne stava ancora pagando le conseguenze. — Jezebelmi ha dato appuntamento al tramonto — le dissi. — Mi ha detto che è a conoscenza di qualcosa chepotrebbe aiutare Misha a guarire.

Sasha mi rivolse uno sguardo colmo di stupore. — E ti fidi di lei?— Non ho altra scelta — ammisi. — Misha sta peggiorando, e io non so più dove sbattere la testa.

Sam mi dice di stare calma, ma io… — Strinsi i pugni, e abbassai lo sguardo, cercando dicontrollare il respiro.

Sasha si protese verso di me. — Posso capire il tuo desiderio di fare qualcosa per il tuo famiglio,ma questa storia non mi piace. Jezebel è una ragazza pericolosa. Ho sentito dire che una persona èmorta a causa di un suo incantesimo.

— Non può farmi niente — dissi con convinzione. — La magia non ha effetto al Santuario. Sedovessi notare qualcosa di strano, tornerò sui miei passi. E poi nemmeno io sono da sottovalutare, tiassicuro che ho avuto modo di verificare che ho un discreto diretto destro.

— C’è una bella differenza tra lei e te — disse Sasha con decisione. — Jezebel è cresciuta sullastrada, in mezzo alla violenza, non conosce la pietà. Più volte, in passato, è stata sul punto di esseretrasferita in Riabilitazione, ma se l’è sempre cavata. Nonostante le difficoltà che hai dovutoaffrontare, almeno tu hai avuto una vera famiglia, qualcuno che ti ha trasmesso dei valori.

— Non ne sono convinta — ribattei. — Non credo di poter definire la mia una vera famiglia.— So che quello che è successo a tua madre ti ha sconvolto, e posso solo immaginare quanto

siano profonde le tue ferite. Quello che sto cercando di dirti è che a differenza di Jezebel, ma anchedella maggior parte di noi, almeno tu l’hai avuta, una madre.

— Cosa intendi?Sasha si guardò brevemente intorno, come per cercare le parole. — Prendi per esempio noi

Amazzoni. La nostra società è regolata da leggi molto severe e… non c’è molto spazio per gli affetti.

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Ricordavo che quando ero in Riabilitazione Sasha mi aveva detto una frase di cui sul momentonon avevo colto il senso. Io non ho una famiglia. Nessuna di noi ce l’ha.

— Non capisco… dove vuoi arrivare? — le chiesi, meravigliata.— Alcuni trovano le nostre usanze barbare, persino crudeli — affermò Sasha. — Ma le Amazzoni

sono un popolo antico fortemente ancorato alle tradizioni e, anche se mi è capitato di mettere indiscussione i nostri valori, sono fiera di farne parte.

— In che senso… crudeli?— Be’, per quanto sia difficile da comprendere per qualcuno che non è nato all’interno della

nostra società, sappi che non possiamo sposarci, né crescere i nostri figli.— Quindi… non hai mai conosciuto tua madre — pensai a voce alta, e mi sentii un’idiota

insensibile subito dopo. La faccenda era così delicata che avrei dovuto dosare meglio le parole.Sasha non sembrò particolarmente turbata dalla mia mancanza di tatto. — Anche mia madre, come

tutte le Amazzoni che restano incinte, è stata isolata dal resto della comunità al sesto mese digravidanza, e trasferita in una delle cliniche gestite dalla Sorellanza dove tutte le neo madri sonotrattenute in attesa del parto.

— Oh, Dea! È davvero spaventoso! — sbottai. — Come si può affrontare una gravidanza lontanodai propri affetti, addirittura isolate, imprigionate, come se desiderare un figlio fosse una colpa?

— Per noi è normale — rispose lei senza scomporsi. — Si tratta di un’antica usanza, e la colpanon c’entra. Dopo la nascita, tutte noi diventiamo responsabili dell’educazione delle figlie femmine.Solo a loro è concesso di essere cresciute all’interno della comunità. I bambini maschi, invece,vengono dati in adozione.

Sgranai gli occhi, allibita. — Ma come può una madre accettare una cosa del genere? — le chiesi.Sasha si strinse nelle spalle. — È la tradizione. Se cresci tra le Amazzoni sai che passerai la tua

esistenza a combattere. E il valore, in battaglia, si misura anche dallo sprezzo del pericolo. I legamirendono deboli, e visto che la morte cammina al nostro fianco, possiamo affrontarla con più serenità.Non esistono vedove, né orfane. La nostra famiglia sono le nostre compagne. Siamo figlie, sorelle emadri allo stesso tempo.

— Siamo nel Ventunesimo secolo, Sasha! Possibile che una pratica tanto disumana venga ancorarispettata come una tradizione?

Sasha mi guardò attentamente. Sembrava indecisa se dirmi qualcosa oppure tacere. Rimasi appesaal suo sguardo per alcuni istanti, finché si decise a parlare. — Una volta ho sentito di una vicendaavvenuta molti anni fa, prima che io nascessi — disse. — È una storia di cui si parla sottovoce,stando attente a non farsi sentire, la storia di una madre che non ha voluto separarsi dalla suabambina. Il suo nome era Felitsia. Era fuggita dalla clinica insieme alla sua bambina subito dopo ilparto, ma era molto debole e fu ritrovata poche ore dopo, mentre cercava aiuto presso un comuneospedale. Così, fu riportata tra le sue compagne e, come consuetudine, separata dalla figlia. Per nonessere bandita, Felitsia promise che non avrebbe mai più cercato sua figlia, e la regina decise diessere clemente. E così fu, per sedici anni. Finché, un giorno, Felitsia la riconobbe in un campo diaddestramento. — Sasha si inumidì le labbra, prima di continuare. — Era sicura che si trattasse disua figlia, per via di una piccola macchia sull’avambraccio a forma di mezzaluna. E decise di dirle laverità. Quel giorno, la figlia di Felitsia era di sentinella, ma fu talmente sconvolta dalla rivelazionedella madre che lasciò la sua postazione per andarsi a rifugiare nel bosco. Quando tornò, scoprì con

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orrore che c’era stato un attacco da parte degli Inquisitori. Fu una strage. Colte di sorpresa, morironomoltissime streghe e moltissime Amazzoni. Tra cui Felitsia.

Deglutii rumorosamente. — Cosa ne è stato della figlia di Felitsia? — chiesi, dopo una lungaesitazione.

— Nessuno lo sa. A forza di essere tramandata per via orale, non escludo che la storia sia statadistorta in qualche modo, al punto che ne ho sentite varie versioni. Non sono nemmeno sicura chequella madre si chiamasse Felitsia, o se sia davvero esistita. È possibile che sia solo un racconto perricordare che le regole non devono essere infrante. Un po’ come una fiaba.

— Separare una madre dalla propria figlia è mostruoso in ogni caso — sbottai.— Forse nel tuo mondo — ribatté Sasha. — Ho sempre saputo che non avrei mai potuto formare

una famiglia insieme alla persona che amo. — Schivò il mio sguardo, ma mi resi conto che aveva gliocchi lucidi. — Ammetto che a volte mi sono trovata a pensare di meritare qualcosa di più. —Abbassò la testa, e rimase per un istante in silenzio. — Ma alla fine sono riuscita a farmene unaragione..

In quel momento, Valentino comparve nel mio campo visivo. Sorrise e mi venne incontro. Maquando Sasha si voltò verso di lui, si immobilizzò. Gli feci cenno di raggiungerci e lui avanzò,seppure con titubanza. Quando fu abbastanza vicino, Sasha gli scoccò un’occhiata gelida a cui luirispose con uno sguardo imbarazzato. Poi Sasha disse che aveva molto da fare e che doveva andarevia.

Prima di lasciarci soli, Sasha mi disse: — Non andare, ti prego. Non fidarti di Jezebel.— Non ho altra scelta — ribattei. — Devo tentare il tutto per tutto per salvare Misha.

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Il sangue della Furia

Percorsi le gradinate che conducevano alla Sala della Sorgente. Attraversai l’arco di marmo e senzaindugio mi diressi fino alla porticina di legno di fianco all’altare. Prima di aprirla mi guardai intornoper assicurarmi di non essere seguita. Ero certa che se mi avessero scoperto mi sarebbe toccatal’ennesima punizione.

Dopo un lungo momento di incertezza, mi decisi ad aprire la porticina. Oltre, c’era uno strettocorridoio dalle pareti grezze che sembrava scavato nella roccia. Era fiancheggiato da svariateaperture laterali che davano su anguste stanze dalla forma quadrata, come cubicoli di una catacomba.La tenue illuminazione proveniva da alcune torce accese appese ai muri. Il fuoco si muoveva come sedanzasse, e la luce che irradiava era dorata.

Percorsi il corridoio fino alla fine, dove trovai un’altra scala che conduceva verso il basso. Igradini erano ripidi, stretti, scivolosi, e dovetti fare molta attenzione per non cadere. Avevol’impressione di inoltrarmi nelle viscere della terra. Le torce erano sempre meno frequenti, e la lucesi faceva più fioca man mano che proseguivo. La discesa mi sembrò infinita, al punto che quandofinalmente appoggiai il piede sul pavimento tirai un sospiro di sollievo.

A quel punto, però, si estendeva davanti a me un altro lungo corridoio che sprofondavanell’oscurità. Prelevai una delle torce, e stando attenta a non darmi fuoco ai vestiti mi incamminaitenendola ben salda nella mano sinistra.

Proseguii per alcuni minuti che mi sembrarono un’eternità, sforzandomi di controllare il respiro.Non dovevo pensare che mi trovavo chissà quanti metri sotto terra, o avrei rischiato una crisid’ansia. Ero stata impulsiva a venire fin quaggiù, ma non sapevo cos’altro fare per aiutare Misha.Ora non potevo evitare di ripetermi che ero stata una stupida ad accettare di incontrare Jezebel in unluogo tanto isolato, ma non avevo idea di quanto potessero essere angusti i sotterranei della Saladella Sorgente.

A un certo punto mi resi conto che a poca distanza c’era un’altra fonte di luce. Accelerai il passo,e mi trovai di fronte a un ingresso fiancheggiato da due colonne in marmo che sostenevano un piccolotimpano triangolare, anch’esso in marmo, simile a quello dei templi greci. Sul timpano era presenteuna scultura in bassorilievo che ritraeva alcune figure femminili in posizione benedicente.Oltrepassai l’ingresso ed entrai in una grande stanza dalle pareti di mattoni, con colonne circolari chesostenevano un soffitto di volte a crociera. Una torcia era appesa a una delle pareti e spargevatutt’intorno una luce spettrale.

— Sei tu, Zoe? — La voce di Jezebel mi strappò un brivido.Mi voltai nella sua direzione. — Sì — risposi con un sussurro. Era in un angolo, seduta a gambe

incrociate, con la schiena appoggiata a un muro in cui erano ricavate delle nicchie che contenevanoossa.

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— Carino qui, non trovi? — ironizzò.— N-non saprei — balbettai. Sentivo lo stomaco stringersi, incalzato da una brutta sensazione. —

E comunque non sono qui per discutere dell’arredamento dei sotterranei, ma per sapere cosa puoidirmi sulla malattia di Misha.

— Non così presto — disse una voce maschile.Mi voltai di scatto e incontrai lo sguardo glaciale di Jared, il famiglio di Jezebel. Il ragazzo

capace di tramutarsi in un ragno velenoso. E capii di essere caduta in una trappola. Aveva ragioneSasha, avevano avuto ragione tutti quando mi avevano detto di tenermi alla larga da Lucrezia e daJezebel. Le avevo sottovalutate, e ora ne avrei subito le conseguenze. Con un’ingenuità imbarazzantemi ero ficcata da sola nella ragnatela che avevano tessuto per me. Forse potevo ancora uscire di lì,pensai. Ma dovevo farlo subito.

Gettai la torcia a terra e girai le spalle a Jared. Corsi in direzione dell’uscita, solo per trovarmifaccia a faccia con Lucrezia, che proveniva dalla direzione opposta.

— Perché tanta fretta? — mi chiese con un sorriso sarcastico.Tentai di spintonarla, ma Lucrezia fu incredibilmente veloce nell’intercettare il mio movimento e

mi bloccò entrambi i polsi con le mani, per poi respingermi, con tanta forza che venni sbalzatalontano. Sbattei la testa contro una colonna, ma cercai di ignorare il dolore e mi rialzai subito,determinata a trovare una via d’uscita. Mi guardai intorno, febbrile, ma ero stordita per l’urto e gliocchi riuscivano a malapena a orientarsi nella penombra. Intanto, Jezebel si era alzata e camminavaverso di me. Lucrezia e Jared si stavano avvicinando per circondarmi.

Tentai uno scatto di lato, ma Lucrezia fu più veloce e mi artigliò un braccio. Poi, come se nonavessi alcun peso, mi scaraventò al centro della stanza, facendomi strisciare la schiena contro ilpavimento.

— Come diavolo fai? — la incalzai.Lei rise di gusto. — Oh, il diavolo è decisamente sopravvalutato — disse. — Ma essere la figlia

di una Furia ha i suoi vantaggi.Tentai di rialzarmi, ma Jezebel fece un gesto rapido delle dita, e sentii come se la forza di gravità

fosse aumentata in modo esponenziale, trattenendomi al suolo.Jezebel stava palesemente usando la magia, e con assoluta disinvoltura. Ma com’era possibile?

Gli incantesimi che proteggevano il Santuario non consentivano l’utilizzo del Dono. A meno che nonci troviamo in una delle zone cieche di cui parlava Misha, pensai. Una di quelle aree dove gliincantesimi che inibivano il Dono non avevano effetto. Ecco il motivo per cui mi avevano attiratoproprio in questo sotterraneo, erano determinate a punirmi per averle umiliate, anche a costo di usarei loro poteri.

— State sfruttando la magia — sbottai.— Proprio così — ribatté Lucrezia. — Questo era il tempio dove anticamente le streghe si

esercitavano nell’utilizzo dei propri poteri. Dato che in passato c’è stato qualche… ehm…inconveniente, la Sorellanza ha deciso di non permettere più che gli studenti si sfidassero utilizzandola magia. Decisamente un eccesso di zelo, non trovi? Tutto questo potere tra le mani, e nessun mododi sfruttarlo… Il Santuario e la sua Accademia sono ormai una pallida imitazione di ciò che erano untempo.

— Adelaide non ve la farà passare liscia!— Adelaide non è qui, ora — sentenziò Lucrezia. — E non credo che sia interessata a quello che

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succede nei sotterranei del Santuario. Lei si preoccupa di ciò che avviene in superficie, a leiinteressa mantenere le apparenze. Questa è la nostra terra di mezzo, dove le sue stupide regole non cipossono raggiungere.

Cercai nuovamente di rialzarmi, ma niente da fare. Anzi, più mi dibattevo e più mi sembrava che inodi invisibili che mi tenevano a terra si facessero stretti.

— Possiamo ancora risolvere le nostre divergenze in maniera civile — dissi, sforzandomi dimantenere un tono conciliante. Non credevo che mi avrebbero dato ascolto, ma avevo bisogno diprendere tempo, di trovare il modo di sfruttare la magia a mia volta. — Liberatemi e non dirò nulla.

— Non hai capito niente — sibilò Jared. — Questa non è una trattativa, e tu non sei in grado didettare condizioni.

— E dire che Jezebel non credeva che saresti venuta — ironizzò Lucrezia. — Anche tu seisopravvalutata, dopotutto.

— Di cosa stai parlando?— Di quelle favole riguardo alla Custode delle falene, della strega tanto potente da liberare tutti

noi dalla spina nel fianco degli Inquisitori, bla, bla…Vidi che Jezebel stava tirando fuori qualcosa dalla tasca dei jeans, ma persino voltarmi mi

costava fatica.— Guardati, invece — aggiunse Lucrezia. — Sei soltanto una ragazzina viziata, troppo debole

anche solo per alzare i piedi da terra.La forza invisibile evocata da Jezebel mi tratteneva al pavimento come se fossi un insetto

imprigionato nella carta moschicida. — Lasciami! — esplosi.— Lo farò — affermò Lucrezia. — Dopo che avremo sistemato una certa faccenda…— Cosa… vuoi fare?Jezebel si avvicinò e mi resi conto di cosa teneva in mano: un paio di forbici dalle lunghe lame.

— È giunto il momento di rinunciare alla tua vanità, rossa — sibilò.— Non ci provare — ringhiai.— Non prenderla come un fatto personale — rise Lucrezia. — Un cambio di look ti farà bene,

fidati.— E stai ferma! — mi intimò Jezebel. — Non vorrei sfregiare per sbaglio quel tuo bel faccino. —

Poi, prese tra le dita una ciocca dei miei capelli e accostò le lame, pronta a chiudere le forbici pertagliarla.

— Non mi toccare! — esplosi. Lo sentivo chiaramente, il sussurro del Dono che scorreva dentrodi me. Mi concentrai per attivarlo, ma senza le mani libere mi riusciva difficile incanalare l’energia,quindi lo sforzo di lottare contro l’incantesimo che mi immobilizzava finì per stremarmi nel giro dipochi attimi.

— Si può sapere cosa stai cercando di fare? — sibilò Lucrezia. — Non puoi opporti a Jezebel, leinon è mica una principiante come te. Da quanto ho saputo, non sei nemmeno stata iniziata. Nonappartieni alla Sorellanza e te la facevi con un Inquisitore. In fondo, non sei altro che una pateticacreatura sola.

Eccomi, impotente, nelle mani di una strega malvagia e una mezzo demone senza scrupoli. Stavodeludendo tutti quanti, a cominciare da Sam, che aveva cercato di insegnarmi come controllare i mieipoteri, ma anche Misha, che inutilmente mi aveva messo in guardia. Jezebel chiuse le forbici e unaciocca di capelli cadde a terra. Ero inerte, sembrava che stesse tagliando i capelli alla sua bambola.

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Ma erano i miei capelli, i capelli che tante volte aveva accarezzato Sebastian. Li aveva baciati,facendomi sentire la ragazza più desiderata al mondo, regalandomi brevi quanto intensi istanti difelicità.

Jared si avvicinò fino a sfiorare il mio respiro. — Dov’è il tuo famiglio, adesso che hai piùbisogno di lui? — sibilò.

Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, incalzata da una certezza improvvisa. Ma certo, comeavevo fatto a non pensarci prima? Misha non si era ammalato, era stato punto dal ragno!

E sapevo quando era avvenuto, era stato poco prima di andare all’emporio, mentre Misha,Angelica e io stavamo chiacchierando sulle gradinate dell’Accademia. Lucrezia mi aveva urtato,come se non mi avesse visto. Jezebel era con lei ma non c’era Jared, che da loro non si separava mai.Probabilmente era stato un diversivo per non farmi accorgere che nel frattempo, sotto forma di ragno,stava pungendo Misha. Per quanto fosse spaventoso pensarci, ero certa che avessero cercatodeliberatamente di ucciderlo. Se non c’erano riusciti era solo per la sua eccezionale resistenza alveleno. Ma per quanto tempo ancora il suo organismo avrebbe retto? Ora che sapevo la verità,dovevo correre ad avvertire Sam. Lei avrebbe saputo cosa fare, magari avrebbe trovato un antidoto,e Misha sarebbe stato salvo.

— Tu… hai avvelenato il mio famiglio — esplosi.Come se niente fosse, Jezebel chiuse le forbici su un’altra ciocca, poi ne prese un’altra tra le dita.

Considerando quello che avevano fatto a Misha, era ridicolo pensare che ora Lucrezia e Jezebel sisarebbero accontentate di tagliarmi i capelli. Dovevo liberarmi, dovevo fuggire. O forse nemmeno ione sarei uscita viva.

— Vedo che hai fatto i compiti a casa — ribatté Jared.— Io… non ti perdonerò mai per questo — sibilai.— Nelle condizioni in cui sei, il tuo perdono è una moneta che vale davvero poco — si intromise

Lucrezia. — Quelle come te hanno solo bisogno di una lezione per imparare a stare al loro posto. Eio sono qui per questo. Per spiegarti con parole mie come si pareggiano i conti al Santuario.

Jared sorrise. — Misha ha sbagliato a credere di potermi umiliare. Ora io e lui siamo pari.Sentii il viso scaldarsi sotto l’impeto di un moto di rabbia. Di nuovo tentai di divincolarmi,

facendo appello alle ultime forze. E una fiammata di potere grezzo mi pervase, come se il sanguenelle vene avesse preso fuoco e il mio corpo fosse una caldaia pronta a esplodere. Frantumare con unsolo pensiero l’incantesimo di Jezebel fu semplice. Jezebel fece appena in tempo a sgranare gliocchi, sorpresa. Con uno sguardo la respinsi lontano da me, proiettandola contro la parete. Le forbicile caddero di mano mentre sbatteva violentemente la testa contro il muro e si accasciava alpavimento, lasciando sui mattoni una traccia di sangue.

Mi rialzai e imposi le mani sul viso di Jared. Sentivo i palmi arroventati. Lui lanciò un urlo didolore, cercando di liberarsi, ma la mia presa era di ferro. Perse i sensi e crollò a terra, con la pelleche sfrigolava ed emetteva un fumo bianco come se stesse andando a fuoco. Nella mente sentii Annache diceva: Troverai la vera te stessa.

Era questa, la vera Zoe? Ed era questo il potere che custodivo in fondo all’anima e che avevalungamente atteso di potersi risvegliare? Quella che sentivo non era la sensazione abituale di quandoattivavo il Dono, ma un sussurro oscuro che proveniva dalle profondità della mia essenza.

— Io sono la Custode. E ora tu pagherai per le tue colpe, Lucrezia. — Ero stata io a parlare, mala voce che usciva dalla mia bocca non assomigliava alla mia. Sembrava un coro distorto di voci

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dissonanti, corrosive.Lucrezia fece alcuni passi indietro e assunse la posizione di un predatore che si appresta a

sferrare l’attacco. Non era affatto intimorita per quello che ero stata capace di fare a Jared e Jezebel.In viso le era spuntato un sorriso che avrei definito quasi compiaciuto, come se risvegliare la miaanima oscura fosse un gradito fuori programma.

— Ora vedremo di cosa sei capace, strega. — Allargò di colpo le braccia e, come in risposta aquel gesto, i suoi piedi si distaccarono dal suolo. Intorno a lei si diffuse un’aura nera, una luminositàfluorescente che dipingeva la forma di un corvo dalle ali spiegate. Rimanendo sospesa, protese lemani verso di me e dalle sue dita presero a scaturire un’infinità di aculei, come proiettili che misibilavano intorno. Uno di essi mi colpì di striscio al collo, lacerando la carne e provocando una fittalancinante. Un rivolo di sangue iniziò a colarmi sul petto, inzuppandomi la maglietta.

Incalzata dal dolore, focalizzai la mia energia per costruire una barriera tra me e i proiettili cheLucrezia mi lanciava. Ma bastò a malapena a rallentarli. Venni colpita ancora, questa volta a unfianco, e il dolore mi fece piegare in due.

— Sei debole, strega! — urlò Lucrezia, riprendendo contatto con il pavimento. Presto, l’aura sidissolse, e intorno a lei rimase solo una tenue luminescenza. Camminò verso di me, poi mi colpì allostomaco con un pugno così potente che mi tolse il respiro per qualche secondo. Con uno schiaffo, mifece crollare al pavimento.

— E allora? Dov’è finito il tuo potere? — mi provocò.Mi colpì con un calcio al volto, e sentii la bocca riempirsi di sangue.— Penso che ti finirò a calci, strega — aggiunse dandomi un calcio allo stomaco. Cercai di

strisciare via, ma lei mi afferrò per la maglietta. — Dove stai andando? Ho appena cominciato. — Sichinò e iniziò a colpirmi ripetutamente al volto e alle costole con pugni e calci che sembravanomartellate.

Mentre sentivo che la coscienza mi stava per abbandonare, riuscii a infilare una mano nella tascadove tenevo il mio athame. Stringendolo tra le dita, mi sentii pervadere dal potere dello strumentoche era appartenuto alle streghe della mia famiglia.

Riuscii a rotolare di lato, e prima che Lucrezia mi fosse di nuovo addosso, estrassi la lama delpugnale cerimoniale e gliela puntai contro.

Lucrezia si immobilizzò, alzando le mani come in segno di resa. — Cos’hai intenzione di farci,con quello? Sei solo una dilettante — e ricominciò ad avvicinarsi.

— No — dissi. — Ho intenzione di restituirti un po’ del dolore che hai provocato agli altri.La lama iniziò a brillare, e anche la mia mano cominciò a emettere una luminescenza violacea.

Stringere il mio athame amplificò il mio potere al punto che mi sembrava di essere in sella a uncavallo impazzito. Finché la luce prese la forma di centinaia di farfalle che a sciami si dirigevanoverso Lucrezia, avvolgendola in un vortice che la imprigionava.

— Cosa…? — riuscì soltanto a dire, prima che le farfalle luminose iniziassero a sollevare il suocorpo e poi a scuoterlo come fili che sostenevano una marionetta.

Lucrezia tentò di richiamare il suo potere, ma la sua aura demoniaca venne inghiottita e dissoltadalla luminescenza delle farfalle.

Dominata dal mio potere, mi bastò voltare lo sguardo prima a destra e poi a sinistra per far volareil suo corpo contro un muro, poi contro quello opposto, poi contro una colonna, con una violenza taleche l’intera stanza sembrò tremare, e alcuni calcinacci caddero sul pavimento.

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Continua così, falla a pezzi, risuonò la voce di Anna nella mia testa. Ma come faceva a entrarenella mia mente? Quali erano le sue reali intenzioni?

— Ferma! Lasciala andare — echeggiò una voce nella sala. Mi voltai. Nausica era in piediall’ingresso e mi stava osservando con sgomento.

— I-io… — balbettai. Il corpo di Lucrezia cadde a terra come un manichino disarticolato. Erapriva di coscienza.

Nausica mi si avvicinò con cautela, come se fossi una belva feroce da domare. — Non voglio fartidel male — disse. Con la mano fece il gesto che per le Amazzoni significava che era disarmata. —Ma tu non devi farne a lei.

Mi guardai intorno, come se mi stessi svegliando da un sogno. La torcia che avevo gettato a terraera ancora lì, e a fianco era abbandonato il corpo di Jared. Respirava, anche se a fatica. Jezebelaveva gli occhi chiusi, ma il suo petto si muoveva ancora al ritmo di un respiro sincopato.

— Loro… hanno fatto del male a Misha — mormorai.— Lo so. Sam è riuscita a isolare la tossina che stava avvelenando il suo sangue. Sappiamo che è

stato Jared.Sgranai gli occhi, meravigliata. — Se la caverà?Nausica non rispose, continuava ad avvicinarsi con passi lenti.— Rispondi! — esplosi. — Se la caverà?— Misha ha bisogno di te — disse Nausica.— Come mi hai trovata? — le chiesi.— Sasha mi ha detto che Jezebel ti aveva dato appuntamento nei sotterranei. Era preoccupata per

te. Sono accorsa più in fretta che potevo, ero certa che lei e Lucrezia ti stessero tendendo unatrappola.

— Mi dispiace — dissi. — Ma non posso fermarmi. — Bastò pronunciare quelle parole perché laluce violacea nella mia mano ricominciasse a pulsare. Sentivo il mio potere che si caricava comeun’onda pronta a sommergere ogni cosa, e l’adrenalina spingere il mio cuore alla velocità di unbolide. — Non voglio fermarmi — sibilai. — Devo finire quello che ho iniziato, o costoro potrannoancora fare del male a persone innocenti, distruggere, seminare paura.

Sollevai l’athame e lo puntai in direzione di Lucrezia.— No! — esplose Nausica. — Non diventare come loro. Guardami negli occhi. Io posso capirti.

Anch’io, per anni, non ho fatto che nutrire il mio odio per gli Inquisitori, e sono arrivata aprendermela persino con te, che con la mia storia non c’entravi nulla.

La mia mano cominciò a tremare, una parte di me era divorata dal desiderio di andare fino infondo, di annientare le persone che avevano fatto del male al mio famiglio. Ma la voce di Nausica mistava guidando verso la mia parte più razionale. Mi voltai verso di lei. — Di cosa stai parlando?

Con un gesto secco, Nausica si sollevò una manica della tuta, scoprendo l’avambraccio. Sullapelle c’era una piccola macchia a forma di mezzaluna. Sgranai gli occhi. Era lei la ragazza di cui miaveva parlato Sasha! Nausica era la figlia di Felitsia.

— A nessuna Amazzone è concesso di conoscere la propria madre — affermò Nausica. — Io hoavuto questo privilegio, ma non ho saputo gestirlo. A causa della mia impulsività, mia madre è morta,insieme a decine delle mie compagne. È stato solo per colpa mia, ma da allora non ho fatto altro chenutrire la mia sete di vendetta verso gli Inquisitori. Finché non sei arrivata tu.

La guardai negli occhi. Per la prima volta da quando la conoscevo, Nausica aveva un’espressione

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amichevole.— Comincio a credere che avevano ragione quelli che a scuola mi evitavano. Sono una persona

cattiva. — Fissavo la mia stessa mano che ancora stringeva l’athame, pronta a scoccare il colpomortale a Lucrezia.

— Tu non sei cattiva, Zoe. Sei solo sopraffatta dalla responsabilità di un potere troppo grande peressere controllato.

Scossi la testa con forza. — Io… non merito la tua comprensione. Da quando sono qui non ho fattoaltro che provocare casini.

— Tu mi hai mostrato che il tuo amore era sincero. Se persino una strega può innamorarsi di unInquisitore, significa che la speranza non è ancora morta.

— No — protestai. — Non so nemmeno cosa resta del mio amore. — Per quanto mi detestassi,non potevo più far finta di non essere attratta da Adam. — Ho così tanti rimorsi che riesco amalapena a guardarmi allo specchio.

Nausica scosse la testa. — Sono io che ho sbagliato. Ti ho odiata, Zoe, anche se in fondo sapevoche avevi bisogno del mio aiuto — ammise. — Purtroppo, quando ho saputo che avevi tentato la fugacon un Inquisitore, la mia rabbia si è risvegliata. E ora… spero soltanto che non sia troppo tardi perchiederti scusa. — Gli occhi color amaranto luccicavano come piccoli gioielli. Persino i suoilineamenti affilati sembravano addolciti. — Puoi perdonarmi? — e allungò la mano verso di me.

Mossi un passo per avvicinarmi a Nausica, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, intercettai unmovimento veloce dietro di lei. Lucrezia era alle sue spalle, e stava brandendo le forbici comeun’arma bianca. Le conficcò con violenza nella schiena di Nausica.

Sul viso di lei si dipinse di una smorfia di dolore. Tossicchiò un rivolo di sangue e crollò sulleginocchia.

— Nooo! — urlai, cercando di sostenerla.Lucrezia estrasse le forbici dal corpo di Nausica e mi puntò il dito contro. — Ora è il tuo turno —

disse barcollando.In preda alla collera, diressi il mio athame verso di lei e scatenai un’ondata di energia pura, che la

sbalzò contro una colonna con tale forza che i mattoni si sgretolarono, facendo sussultare il soffitto.Poi mi scagliai contro il suo corpo, puntando il pugnale al cuore. Mentre appoggiavo la lama al pettodi Lucrezia, nella mente sentivo ripetere dalla voce di Anna: Fallo, e sarai libera. Com’erapossibile? Come aveva fatto Anna a insinuarsi nella mia testa senza che me ne rendessi conto?

— Fallo — disse Lucrezia, prendendo la mia mano tra le sue. — Uccidimi, se ne hai il coraggio.Sono io che ho fatto avvelenare il tuo famiglio, ricordi?

Misha ha bisogno di te, mi aveva detto Nausica. Sei ancora in tempo. Non diventare come loro.Con la voce che mi tremava, riuscii a dire: — No.Adesso dovevo pensare solo a Misha. Lui aveva bisogno di me, non dovevo perdere un secondo

di più con Lucrezia e i suoi giochetti. Dovevo correre dal mio famiglio e utilizzare tutta la miaenergia per aiutarlo a guarire.

— Non diventerò come te — dissi. Poi mi allontanai per aiutare Nausica a rialzarsi.Lucrezia esplose in una risata sarcastica. — Tu sei come me, anche se non vuoi ammetterlo. E

presto saprai cosa significa avere addosso una maledizione fin dalla nascita.— Ti sbagli — le dissi. — Il mio è un dono, non una condanna. — Dovetti respingere un moto di

sconforto nel rendermi conto che Nausica era a malapena cosciente. C’era sangue dappertutto, e

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sembrava impossibile arrestare l’emorragia. Mi costò uno sforzo enorme aiutarla a sollevarsi, esostenerla mentre si trascinava fuori dalla stanza.

Ero appena giunta nel corridoio che conduceva alla scalinata quando sentii dei passi dietro di me.Mi voltai, giusto in tempo per vedere Lucrezia inferocita che correva nella mia direzione con le manicongiunte, circondata da una debole aura demoniaca.

Le dita emanavano scintille di energia oscura, come se stesse caricando un colpo mortale.Rimasi per un istante pietrificata. Il volto di Lucrezia era una maschera di odio, come se il sangue

della Furia avesse cancellato ogni traccia di umanità. Capii che non avevo altra scelta. Mi focalizzaisul timpano di marmo che campeggiava sull’ingresso della sala e scatenai il mio potere per farglieloprecipitare addosso, trascinando su di lei le due colonne che lo sostenevano.

Schiacciato dal peso, il corpo di Lucrezia si accasciò a terra in posizione scomposta. E vidiscomparire dal suo sguardo il bagliore vitale.

Poi, privati del sostegno, i mattoni collassarono, seppellendo ciò che rimaneva di lei e sbarrandol’ingresso della stanza da cui ero appena riuscita a fuggire.

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La voce dell’ombra

Nausica camminava a fatica e dovetti sostenerla per tutto il tragitto fino alla superficie. Dopo untempo che mi parve infinito, entrammo nella Sala della Sorgente.

— Lasciami qui — disse con un filo di voce.— Non posso — ribattei. — Se non cerchiamo subito aiuto, morirai.— No — mormorò. — Devi correre da Misha. Sarà la Dea a decidere il mio destino. Aiutami

soltanto ad abbeverarmi alla sua sorgente.Misi la mano a coppa e raccolsi un po’ dell’acqua che sgorgava dalla fontanella, poi la rovesciai

sulle labbra di Nausica. — Ecco — dissi.Lei si sforzò di deglutire. — Ora vai.Le strinsi forte la mano. — Grazie per aver creduto nella parte migliore di me — aggiunsi.Nausica sorrise debolmente. — Vai — disse ancora, anche se suonò poco più di un rantolo.Dopo un attimo di incertezza, le voltai le spalle e corsi fuori dalla sala. Percorsi col cuore in gola

e lo stomaco in subbuglio i corridoi del Santuario. Gli studenti che incontravo mi guardavanosbalorditi, portavo sul volto e sul corpo i segni del combattimento con Lucrezia. Il dolore eramartellante, e le ferite sanguinavano. Ma tutto ciò a cui pensavo era raggiungere Misha più in frettache potevo. Avrei pensato più tardi a rimettermi in sesto.

Quando arrivai a pochi passi dall’infermeria, avevo il fiato corto e i polmoni in fiamme. IncrociaiAngelica che stava uscendo trafelata, con l’espressione sconvolta e gli occhi arrossati, come seavesse appena finito di piangere. Mi urtò una spalla e proseguì la sua corsa senza nemmeno alzareuna mano per scusarsi.

Un attimo dopo fu Sam, scura in viso, a uscire dalla stanza.— Zoe… stai sanguinando — mi disse allarmata, non appena si rese conto che ero di fronte a lei.— Nausica… la Sala della Sorgente… fai presto — balbettai tra gli affanni.— Cosa è successo? — mi incalzò.— Nausica è stata ferita… Lucrezia… — Ero così scossa che non riuscivo ad articolare una frase

di senso compiuto.— D’accordo — affermò Sam. — Vado subito. — C’era qualcosa che non andava in lei, e non

poteva essere soltanto perché sembravo reduce da uno scontro frontale con un autobus.— Come sta Misha? — le chiesi col cuore pieno di apprensione. — Nausica ha detto che aveva

bisogno di me.Lei mi guardò con uno sguardo implorante. — Io… — mormorò, quasi stesse parlando tra sé. Poi

si guardò intorno, come a cercare le parole. — Ho fatto tutto il possibile ma… Misha non… — siinterruppe per respingere un moto di sconforto. — Non ce l’ha fatta — concluse con voce strozzata.

— N-non è possibile — balbettai. Spalancai la porta dell’infermeria e piombai dentro. Misha era

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disteso sul letto, inerte. Il respiro era assente, il volto livido. — No, no, no! — gridai.Sam mi seguì all’interno, ma mantenne una rispettosa distanza. Era distrutta. — Il veleno del ragno

era letale, e non gli ha lasciato scampo. Quando sono riuscita a identificare la tossina e gli hoiniettato l’antidoto era già troppo tardi. — Rimase per un lungo istante immobile, alle mie spalle,mentre io cercavo di scuotere Misha, sperando che non fosse vero, che non fosse davvero morto,perché Sam si stava sicuramente sbagliando, Misha non poteva avermi lasciato, non potevano avervinto loro, non poteva aver vinto l’odio.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime. — Per favore, lasciami sola con lui — mormorai.Sam si limitò ad annuire, poi si avviò fuori dalla stanza.Abbracciai Misha, incredula. Il suo corpo era tiepido, come se da qualche parte ci fosse ancora un

alito di vita pronto a risvegliarsi. Ma fissare le sue palpebre chiuse sperando che riaprisse gli occhifu inutile. Rimase ostinatamente fermo, abbandonato sul letto, come una statua di cera.

— Mi spiace così tanto — singhiozzai. Gli accarezzai il viso dolcemente, poi baciai le sue labbrapallide. Le mie lacrime si mescolavano alle ferite e scesero sulla sua pelle, così fu un bacio salatoche sapeva di sangue. Un bacio disperato, un bacio di addio. Un bacio che lui non poteva ricambiare.

— Non volevo… — dissi. — Credevo che saresti rimasto per sempre con me.Piansi così a lungo che persi la cognizione del tempo, finché all’interno della piccola stanza

ritornò Sam.— Adelaide vorrebbe parlare con te — mi disse.— Non ora, ti prego — la supplicai.Sam mi accarezzò un braccio. — È per Nausica.Per quanto la situazione fosse drammatica, sapevo di doverle una spiegazione. Solo che adesso

non ce la facevo, ero piena di dolore per la perdita di Misha, e non mi importava più di nient’altro.— Nausica ci ha detto quello che è successo nei sotterranei della Sala della Sorgente — continuò

Sam.— Come sta? — riuscii a chiedere.Sam assunse un’aria pensierosa. — La sua è una brutta ferita, la lama ha sfiorato il cuore e ha

perso molto sangue. Ma se la caverà.— Grazie a Nausica mi sono fermata in tempo — ammisi. — C’era qualcosa di oscuro dentro di

me. La voce dell’ombra stava per prendere il sopravvento. — Cercai lo sguardo di Sam, anche se misentivo a pezzi e sostenerlo era più difficile che mai. — Volevo solo annientare Lucrezia, Jezebel e ilsuo famiglio. La rabbia per quello che hanno fatto a Misha era insostenibile…

— Ma sei riuscita a dominarla. Se l’avessi voluto davvero, fidati, né Nausica, né io, forsenemmeno tua madre, se fosse ancora con te, saremmo riuscite a fermarti. La verità è che sei figliadella luce, Zoe. Tu sei la figlia prediletta della Dea.

— E allora perché la Dea ha permesso che Misha morisse al posto mio? — Crollai in ginocchio escoppiai a piangere.

— Shhh… — Sam si chinò a sua volta e mi prese per le spalle. Poi, la sua presa diventò unabbraccio stretto a cui non riuscii, però, ad abbandonarmi. Rimasi rigida, incapace di ricambiare ilsuo tentativo di avvicinamento. — Non hai colpa. Nessuno poteva immaginare che Lucrezia sarebbearrivata a tanto.

— Se solo ti avessi dato ascolto, se non avessi reagito alle provocazioni, ora… — singhiozzai.— Colpevolizzarti non servirà. Non c’è alcun modo di cambiare il passato. Dobbiamo accettarlo,

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guardare avanti, anche se a volte è difficile.Osservai un’ultima volta il corpo di Misha abbandonato sul letto. È falso quello che dicono, una

persona morta non sembra che stia dormendo. Un corpo senz’anima rimane solo un corpo.— Il problema è che sapere di averlo vendicato mi lascia completamente indifferente — dissi. —

È terribile la consapevolezza che niente potrà restituirmi quello che ho perso. È… desolante.Adelaide fece il suo ingresso nella stanza. D’istinto, mi alzai in piedi e mi asciugai gli occhi. —

Sono spiacente per la tua perdita — mi disse lei, con voce accorata.Feci un cenno affermativo con il capo.— Ho inviato le Amazzoni a liberare i sotterranei dalle macerie — proseguì. — Quello che hanno

fatto Lucrezia, Jezebel e Jared è intollerabile, ma non li lascerò morire di asfissia laggiù.— Per Lucrezia non credo ci sia molto da fare.— Lo so — ammise Adelaide. — Nausica mi ha detto di averla vista morire nel crollo. Ma,

considerando la natura dei mezzi demoni, al momento non posso escludere nessuna ipotesi.Le sue parole si dissolsero nella mia mente come un rumore bianco. Avevo esaurito le forze e non

ero in grado di prestarle attenzione. Senza aggiungere altro, mi avviai verso l’uscita. Mentrepercorrevo il corridoio, mi sentii chiamare.

— Zoe. — Era Adelaide.Le lacrime ricominciarono a fluire come un torrente in piena, mentre mi allontanavo.— Era un bravo famiglio — aggiunse.Mi immobilizzai, poi mi voltai lentamente verso Adelaide. Il suo sguardo era indecifrabile come

sempre. — Come ci riesce? — le chiesi.Non rispose. La sua espressione rimase immutata.Feci un passo verso di lei. Le mie labbra tremavano, avevo paura di non riuscire a parlare. —

Voglio dire, come fa a rimanere distaccata di fronte a tanto dolore?Per un attimo mi parve di intravedere uno spiraglio di umanità brillare dietro i suoi occhiali.Scossi la testa debolmente. — Vorrei proprio saperlo — aggiunsi, sforzandomi di trattenere i

singhiozzi. — Ho appena saputo che il cuore del mio famiglio si è fermato mentre mi battevo controil mezzo demone responsabile della sua morte. E tutto quello che lei è riuscita a dirmi è che era unbravo famiglio. Ma Misha non era solo questo, era un compagno fedele, è vero, ma era soprattuttouna persona meravigliosa. — Feci un sorriso amaro, mentre sentivo le lacrime che continuavano arigarmi le guance. — Era generoso, era coraggioso. Era l’unica persona capace di calmarmi soloprendendomi la mano. Sapeva dirmi la parola giusta per accendere la luce della speranza anchequando sembrava che le tenebre divorassero ogni cosa. Era molto più di quanto meritassi, e non sonostata capace di proteggerlo. Avrei davvero bisogno di sapere come fa a mantenere il distacco. Perchéin questo momento, le giuro, darei tutto per essere come lei.

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Schegge di ricordi

Nel tragitto verso la mia stanza incontrai Adam. — Devo parlarti — mi disse.— Non ora — gli intimai, cercando di schivare il suo sguardo. Accelerai il passo, ma lui non mi

dava tregua, al punto che dovetti rifugiarmi all’interno e sbattergli la porta in faccia.Con le mani che tremavano, chiusi a chiave. Lui iniziò a bussare ripetutamente. — Fammi entrare

— mi pregò.— No — sbottai. — Non abbiamo niente da dirci, noi due.— È importante, maledizione! — sbottò. — C’è una cosa che devi sapere.— Stai zitto! — urlai. — Ho appena saputo che il mio famiglio è morto. Non hai proprio rispetto

per niente e per nessuno, nemmeno per un dolore così grande. Sei un egocentrico, insensibilefarabutto.

— Mi dispiace per Misha. — La sua voce era accorata. — Dico sul serio. Ma quello che devodirti non può più aspettare.

La rabbia e il dolore prendevano a pugni il mio petto, e ora ci si metteva anche Adam. Non potevopiù tollerare la sua voce oltre la porta. — Smettila di tormentarmi! Non ti basta aver profanato leparole che avevo dedicato a un’altra persona?

Estrassi il mio athame. Liberai la lama e la osservai per un lungo istante. Poi mi posizionai difronte allo specchio.

— Ho sbagliato, lo so! E ti chiedo scusa per aver letto la tua lettera. Ma quando l’ho fatto, mi èsembrato che quelle frasi fossero dirette proprio a me. O forse lo stavo solo sperando con tutto mestesso.

Scossi la testa, non volevo stare ad ascoltarlo. Non adesso. — Ho sempre i tuoi occhi addosso, miprovochi in continuazione. Si può sapere cosa vuoi da me?

— Credi che lo faccia apposta? — ribatté lui. — Credi che non preferirei guardare Ginevra nelmodo in cui guardo te? Ma incontrarla non mi fa tremare le gambe, il solo parlare con lei non miprovoca il mal di stomaco. Te l’assicuro, Zoe, vorrei non guardarti. Ma non posso farne a meno.

— Vattene — esplosi.Qualcosa si era rotto dentro di me nel momento in cui avevo perso Misha. Presi una ciocca di

capelli e con un colpo secco della lama li tagliai. Dopo che l’ebbi recisa, cadde a terra insieme airicordi di cui era stata testimone. Come in una sinistra iniziazione, sussurrai: — Rinuncio alla vanitàdi essere donna. — Feci lo stesso con un’altra ciocca. — Rinuncio alla speranza di poter essereancora felice.

— Cosa stai facendo? — gridò Adam.Non gli prestai attenzione. Afferrai una ciocca di capelli dietro la nuca e la tagliai con un gesto

secco. — Rinuncio ai sogni, alla luna e alle stelle, perché ho infranto la mia promessa e ora tutto

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è perduto.Baciando Adam avevo tradito la promessa che io e Sebastian ci eravamo fatti nella vita

precedente. Avevamo giurato solennemente che nemmeno la morte avrebbe potuto separarci. E ora,fidandomi di Jezebel, avevo permesso che Misha morisse in solitudine.

— Zoe, ascoltami, ti prego — disse Adam. — Non posso più mentire a me stesso, e nemmeno ate.

— Lasciami sola — singhiozzai. Continuai a tagliare, tagliare, finché l’immagine che vedevo allospecchio non fu radicalmente diversa dalla me stessa che ricordavo, dalla ragazza innamorata che erostata e non sarei mai più potuta essere. Continua a cercarmi, non ti arrendere, mi aveva dettoSebastian in sogno, quando mi sembrava che le acque gelide stessero per inghiottirmi. Mi rendevoconto ora che avevo gettato la spugna nel momento in cui avevo deciso di rimanere al Santuario. Macos’altro avrei potuto fare? Misha non avrebbe mai accettato di seguirmi se avessi tentato di nuovo lafuga, e adesso che non c’era più era anche peggio. Mi sentivo svuotata, ero sola, più sola di quantonon fossi mai stata. Perché avevo provato cosa significava non esserlo più, ma avevo perso tutto. Eadesso ciò che restava erano soltanto ricordi dolorosi.

— Io… ho visto emergere il tuo viso dalla nebbia del passato — disse la voce di Adam.— Cosa vuoi dire? — ribattei, come in trance.— Da quando ci siamo baciati, è come se si fossero risvegliati dei ricordi che non credevo di

avere.Rimasi in silenzio, a osservare il mio viso pieno di escoriazioni, stravolto, incorniciato dal taglio

corto che avevo imposto ai miei capelli.— Dei ricordi in cui io e te siamo insieme, a Milano — continuò Adam.Andai alla porta camminando con passo deciso. Appoggiai la mano contro il sottile strato di legno

che ci separava e rimasi immobile.— Ti prego, aprimi — sussurrò.Sbloccai la porta e aprii uno spiraglio. Quando il suo viso fu di fronte a me, mi accorsi di

qualcosa di diverso. Gli occhi erano color smeraldo, proprio come quelli di Sebastian. — Cos’èsuccesso ai tuoi occhi?

— L’effetto della velatura si sta dissolvendo — mormorò.— Di cosa stai parlando?— L’altra notte ero pronto a ucciderti, Zoe — affermò. E le sue parole mi colpirono più forte di

quanto non avessero fatto i pugni di Lucrezia. — Credevo di non conoscerti. Tutto quello che sapevodi te era che avevi assassinato mio padre. Gli Inquisitori mi avevano mostrato il video dellasorveglianza dell’università, poco prima che tu distruggessi la telecamera, col pugnale ancorainsanguinato tra le mani.

— Non sono stata io! — protestai. — Quando sono arrivata nel suo ufficio, Bruno era già morto.— Mi avevano detto che l’avevi ucciso per coprire la tua fuga.Scossi la testa con forza. — N-non è possibile — balbettai. — Tu non puoi essere… —

mormorai, senza avere il coraggio di terminare la frase.— … Sebastian — concluse lui.Sgranai gli occhi, indietreggiando. — Non ti credo.Adam mi afferrò per i polsi. Il suo tocco era così familiare che per un attimo credetti che fosse

davvero il ragazzo di cui ero innamorata. — Ero accecato dalla vendetta, ed ero pronto a fare quello

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che gli Inquisitori mi avevano chiesto: mettere fine alla tua vita.— Ma come hai fatto a modificare i lineamenti del tuo viso? — chiesi, al colmo della sorpresa.— Gli Inquisitori hanno risorse che neanche puoi immaginare. Il mio aspetto ora è il risultato

della trasfigurazione compiuta da Iscaris, un alchimista al servizio dell’Ordine. Per nascondere ilmio volto e i tatuaggi è stato necessario ricorrere alla velatura, un metodo occulto che permette dimascherare il proprio aspetto, persino la voce. Mantenerlo costa una grande quantità di energia, e lamia l’ho tratta dal desiderio di vendicare Bruno, mio padre.

— Stai mentendo! — urlai. — Gli Inquisitori non possono entrare nel Santuario delle streghe. Lebarriere di protezione impediscono persino di vedere dove si trova!

— Credimi, non è stato facile infiltrarsi, ma Ginevra è un’Amazzone, e con lei al suo fianco hopotuto ingannare la Sorellanza.

— Ginevra… un’Amazzone?— Lei fa parte del clan delle Amazzoni Nere, coloro che anticamente rifiutarono l’alleanza con le

streghe. Le Amazzoni Nere hanno tolto il colore rosso dalla loro uniforme, in favore del nero dellaragione. Per questo hanno giurato fedeltà all’Ordine degli Inquisitori.

— Quindi la vostra storia d’amore è solo una copertura.Lui scosse la testa con decisione. — Non proprio. Poco prima di iniziare questo incarico,

l’Ordine mi ha assegnato Ginevra come compagna. Scegliere le compagne tra le Amazzoni è un modoper gli Inquisitori di saldare l’alleanza, e per le Amazzoni l’occasione per crescere personalmente ipropri figli. Ma io sentivo che c’era qualcosa che non andava nel nostro rapporto, non riuscivo alasciarmi andare con lei. Era come se avessi già donato il mio cuore a qualcun’altra, ma non avevoalcun ricordo che lo provasse. Finché ho incontrato te, e le mie certezze hanno cominciato avacillare.

— Perché mi stai dicendo questo? — Una lacrima mi si staccò dalle ciglia. — Mi odi al punto davoler distruggere la cosa più sacra che mi è rimasta? Solo il pensiero di ritrovare Sebastian mi hapermesso di sopravvivere in questo periodo.

— Perché ho bisogno di sapere se i miei ricordi sono veri. Da quando mi hai baciato il flusso èstato inarrestabile. Ricordo di un teatro, eravamo insieme, e tu stavi suonando il piano per me, e poiricordo di una corsa a piedi lungo i navigli di Milano, fino a un negozio in cui ti ho comprato un paiodi occhiali da sole.

In un gesto automatico mi voltai, raggiunsi l’armadio ed estrassi dallo zaino gli occhiali che miaveva regalato Sebastian. — Li ho portati con me — sussurrai. — Mi avevi detto che…

— … attraverso queste lenti avresti visto un mondo migliore — concluse lui.— Non può essere — mormorai. Cercai il suo sguardo, gli occhi non potevano mentire. E in fondo

c’era la luce smeraldo che avevo sempre riconosciuto in quelli di Sebastian. — Come hai potutodimenticarti di noi?

— Non lo so! — gridò. — Ogni volta che cerco di tornare con la mente alla notte dell’incidente,vengo assalito da dei tremendi mal di testa.

— Ricordi l’incidente? — chiesi, incredula.— Solo dei frammenti confusi. Ricordo che era notte ed ero in sella alla mia moto, poi un bagliore

accecante di fari e un boato fortissimo. Devo essere stato sbalzato via nell’urto. Quando ho aperto gliocchi, ero circondato da Inquisitori. Qualche giorno dopo mi hanno raccontato che ero l’unicosopravvissuto a un’imboscata della Sorellanza.

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— Ti hanno mentito, non c’è stata nessuna imboscata! Io e te stavamo fuggendo da Milano a bordodella tua moto, perché sapevamo di non poterci più fidare di nessuno. Per l’Ordine tu eri un traditore,e avevano cominciato a tenerti sotto controllo.

— Non riesco a ricordare… io… sono confuso. Ho dei blackout nella memoria che sono lunghigiorni interi, loro dicevano che era per via dell’incidente…

— Devono averti fatto qualcosa per cancellare quella parte della vita che hai passato con me —esclamai.

— È possibile, ma c’è una gran confusione nella mia testa. Quando mi hanno mostrato quel videoe mi hanno chiesto di vendicare mio padre, ho pensato che fossi tu il mio nemico. Ora non so piùcosa credere…

Gli presi il viso tra le mani e mi avvicinai al suo respiro. — Baciami — sussurrai. — Erecupereremo i nostri ricordi. Lo faremo insieme.

— Non sai quanto ho desiderato baciarti — disse lui. — Anche quando sapevo che avrei dovutoodiarti, non facevo che pensare a quanto avrei voluto stringerti tra le braccia.

Le nostre labbra si unirono, mentre intrecciavo le dita ai suoi capelli e premevo la testa contro lasua. Il nostro bacio diventò sempre più profondo, infuocato. Sentivo come se io e Sebastian fossimouna cosa sola. Il cuore scalpitava e mi sembrò che il sangue accelerasse la corsa.

E c’era un’energia, dentro di me, che montava ogni secondo di più. Forse davvero le barriere cheproteggevano il Santuario dalla magia si stavano indebolendo, oppure la magia attivata durante loscontro con Lucrezia era ancora in circolo. Attivai il Dono con la stessa facilità con cui si accende uninterruttore. L’antica magia iniziò a premere contro gli argini che trattenevano i nostri ricordi fino aliberarli.

Nella mente esplose una catena di immagini frammentarie, brevi flash, finché la visione non sistabilizzò e mi rividi stretta al corpo di Sebastian, la notte in cui avevamo tentato la fuga e stavamocorrendo a bordo della sua moto lungo la strada che ci avrebbe portato lontano da Milano. I fari di unSUV che proveniva dall’altra corsia mi accecarono, forzandomi a distogliere lo sguardo. Poi sentii uncoro di motori che ruggivano dietro di noi, seguito da clacson che suonavano all’impazzata.

Alle nostre spalle c’erano altri fuoristrada che si stavano avvicinando a velocità sostenuta. Uno diessi ci raggiunse, sembrava volerci sorpassare, ma all’ultimo istante ci speronò, urtando lacarrozzeria della moto e facendo perdere a Sebastian il controllo del veicolo. Finimmo fuori strada eil mio corpo venne sbalzato lontano, tra la vegetazione che fiancheggiava la carreggiata.

Sdraiata sull’erba, lottai per non perdere conoscenza. Ero debole e il solo tenere gli occhi apertimi costava fatica. A parte il fatto che sentivo freddo, il corpo aveva perso sensibilità. I SUV siarrestarono intorno al rottame della moto, e ne scesero degli uomini vestiti di nero. Dai pendentiargentati a forma di croce che indossavano e dai tatuaggi che sbucavano dal collo e dalle braccia dialcuni, capii che si trattava di Inquisitori. Non ci potevo credere, avevano deliberatamente provocatoun incidente che poteva rivelarsi mortale al solo scopo di fermarci.

Poi, lo vidi. Un uomo in un lungo abito talare nero col cappuccio alzato e il volto coperto da unamaschera metallica. La sua voce sembrava provenire dall’interno di una caverna.

— Cercate la strega — sibilò. Indossava guanti color porpora. Doveva essere lui, padreHeinrich, il Gran Maestro dell’Ordine degli Inquisitori. La vista era annebbiata, e dalla distanza nonriuscivo a distinguere i particolari. Ma fui certa che il bastone che reggeva era lo stesso bastone conla testa di cane che avevo visto in sogno, molto tempo fa, quando ero ancora a Milano.

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Gli Inquisitori si divisero in gruppi. Non riuscivo a muovermi, ma dalla mia posizione scorsi unpaio di loro che prelevavano il corpo di Sebastian e lo caricavano su uno dei fuoristrada, per poiripartire sgommando.

Altri Inquisitori si diressero verso di me, puntando delle torce elettriche. In quel momento misentii chiamare da qualcuno alle mie spalle.

— Non temere, Zoe. — Era poco più di un sussurro. — Non permetterò che ti facciano del male.— A chi apparteneva quella voce?

Cercai di voltarmi nella sua direzione, ma un dolore lancinante al collo me lo impedì. Mi sentiiavvolgere da un abbraccio gentile e venni pervasa da un calore rassicurante, poi persi conoscenza.

La visione si interruppe e, riaprendo gli occhi, mi guardai intorno, smarrita, prima di ritrovare ipunti di riferimento familiari della mia stanza al Santuario. Ero lì, stretta forte a Sebastian. Lui mistava guardando con occhi increduli.

— Sono stati loro — mormorò. — I miei stessi compagni hanno provocato l’incidente che ci èquasi costato la vita.

La magia della velatura si era dissolta, il viso di Sebastian era tornato quello che conoscevo. Erabello da far male, nei suoi lineamenti si rincorrevano dolcezza e severità. I suoi occhi verdi,brillanti, tagliavano più di una lama affilata. Accarezzai i suoi zigomi ben delineati, seguendo con ledita la linea della mascella, fino a posarle sulle sue labbra carnose.

— Non sono stata io a uccidere tuo padre — gli dissi. — Gli Inquisitori mi hanno teso unatrappola. Quando sono arrivata nel suo ufficio, all’università, ho trovato il suo cadavere riverso sullascrivania. È stato terribile.

— Lo so — replicò Sebastian, prendendo le mia mano nella sua e portandosi le mie dita allelabbra per baciarle. — Ora ricordo tutto. Ricordo la nostra vita passata, la promessa che ci siamofatti all’ombra della grande quercia, la tua condanna, il rogo, e poi le falene che hanno trasportato lenostre anime fino a oggi — ammise. — Ricordo bene che abbiamo parlato a lungo, quella notte,prima di decidere di lasciare insieme Milano. E che non avevo avuto alcun dubbio, non potevi esserestata tu ad assassinare mio padre.

— Io… credo che siano stati gli Inquisitori — ribattei con un filo di voce. — Poco prima diessere ucciso, Bruno mi aveva telefonato per dirmi che aveva delle rivelazioni sconvolgenti. Masono arrivati prima loro, e l’hanno messo a tacere.

Sebastian si coprì il viso con le mani. — Mi hanno mentito — sospirò. — Hanno manipolato lemie emozioni, si sono serviti della mia ingenuità per arrivare a te.

— Credevo di averti perso — mormorai, stringendogli le mani e guardandolo intensamente. — Einvece sei sempre stato accanto a me.

— Mi spiace per i tuoi capelli — sussurrò, sfiorandomi la nuca e provocandomi un brivido. —Ma sei bellissima anche così.

Poi avvicinò la bocca alla mia e mi baciò con dolcezza. Un bacio lungo e vellutato, in cui misembrò di perdere e poi ritrovare me stessa. Sentivo il turgore dei suoi pettorali premere contro ilmio seno, mentre il fuoco del desiderio per lui cresceva, come dopo una mancanza durata secoli. Eforse era davvero così. Per la prima volta, dopo quattrocento anni di incomprensioni, io e Sebastianstavamo accettando noi stessi per quello che eravamo, un ragazzo e una ragazza finalmente pronti adonarsi l’uno all’altra senza preclusioni. Il bacio si fece sempre più profondo, al punto che la testami girava leggermente e mi sentivo sul punto di perdere il controllo.

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Ma l’idillio si interruppe nel momento in cui la porta della stanza si spalancò. Io e Sebastian civoltammo all’unisono.

Ginevra era immobile sulla soglia. I suoi lineamenti erano contratti dall’ira, e impugnava unapiccola spada dalla lama ricurva.

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— 5 — Il cerchio di fuoco

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Un bacio di puro amore

— Traditore — sibilò Ginevra, la voce distorta dalla collera.Sebastian compì un passo verso di lei. — Non sono stato io a tradire — disse — ma l’Ordine

degli Inquisitori, il giorno che ha ordinato l’assassinio di mio padre.— Ti sbagli — sbottò Ginevra, senza perdere il contatto con gli occhi di Sebastian. — È Zoe la

causa della morte di tuo padre, apparteneva a lei l’arma che l’ha colpito. Sei stato mandato qui percompiere la tua vendetta, non per innamorarti di questa strega.

Dunque era tutto vero. Ginevra era d’accordo con gli Inquisitori, e aveva aiutato Sebastian ainfiltrarsi nel Santuario. Heinrich mi voleva morta, ma perché proprio per mano di Sebastian? Nonpoteva essere solo per il fatto che era uno dei migliori combattenti dell’Ordine, e nemmeno unpuntiglio per separare due amanti. Doveva esserci un motivo per cui Heinrich era arrivato amodificare il viso e i ricordi di Sebastian purché fosse lui a uccidermi. Ma quale?

— Non puoi capire — disse Sebastian, rivolgendosi a Ginevra. — Io e Zoe stiamo insieme damolto prima che ti conoscessi. Ci apparteniamo da sempre, e per sempre saremo due metà dellastessa anima. Gli Inquisitori hanno giocato con i miei ricordi, ma ora questo gioco è finito.

— È questo che pensi? — esplose Ginevra. — Che sia soltanto un gioco? La vita di Heinrich ènelle tue mani mentre tu non fai che prendere tempo.

— Cosa vuoi dire? — mi intromisi.Mi guardò sprezzante. — Solo l’essenza della Custode delle falene è in grado di completare la

rinascita di Heinrich. Dopo essere fuggito dall’Inferno in cui era stato ingiustamente recluso, haerrato per centinaia di anni, nutrendosi del potere delle streghe per ricostruire il suo corpo. Ma perquanti roghi fossero innalzati nel suo nome c’era sempre un tassello mancante, qualcosa che lomanteneva sospeso tra i due mondi, quello dei demoni e quello degli umani. Il tassello mancante seitu, Zoe. Nella tua vita passata sei riuscita a fuggire, servendoti del tuo potere sulle creature fee. Ma ègiunto il momento della resa dei conti.

— Perché Sebastian? — le chiesi.Ginevra fece un sorriso sarcastico. — Heinrich sostiene che soltanto Sebastian può essere il

tramite per trasferire la tua essenza nel suo corpo. Ma non ci ho mai creduto, al punto che mi eroofferta di ucciderti personalmente. — Brandì la spada, puntandomela contro. I riflessi sulla lamascintillavano con bagliori verdastri. Era ferro e giada. Come le armi degli Inquisitori, anche quellaspada era stata forgiata allo scopo di uccidere le streghe.

— È giunto il momento di verificare chi aveva ragione. — Poi caricò un affondo, ma Sebastian,che aveva continuato ad avvicinarsi a lei, riuscì a intercettare il suo braccio, deviando la traiettoria.

Ginevra mi mancò per un soffio. — Togliti di mezzo! — urlò a Sebastian.— È finita, Ginevra — ribatté lui.

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— Sarà finita quando avrò compiuto la mia missione. Ho giurato che avrei fatto in modo che tuuccidessi la Custode, ma se sei troppo vigliacco per farlo, allora ci penserò io.

Partì con un fendente e io schivai il colpo, spostandomi contro la parete. Sebastian cercò didisarmarla, ma lei si sottrasse alla sua presa. Si muoveva con una rapidità e un’agilità fuori dalcomune, e riuscì a colpire Sebastian sulla nuca con l’elsa della spada. Lui crollò a terra ma, dopo unbreve attimo di stordimento, cercò di rialzarsi.

— Non costringermi a farlo — sibilò Ginevra, puntando la lama al cuore di Sebastian.— No! — urlai. Tesi la mano per compiere un incantesimo e sbalzare la spada dalla sua mano, ma

avevo utilizzato troppe energie per recuperare i ricordi. Ero esausta, e il mio palmo si illuminòdebolmente di una tenue luminescenza che si spense quasi subito.

— Ginevra, ci hanno ingannati — mormorò Sebastian. — Pensaci bene. Come puoi servire unuomo che ha stretto un patto con un demone?

Ginevra scosse la testa. — Ho giurato fedeltà alla regina delle Amazzoni Nere, e la sua parola perme è legge. L’alleanza con gli Inquisitori è sacra. Non mi importa quello che ha fatto Heinrich,l’unica cosa che conta per me è compiere la mia missione. La nostra missione.

— Questa missione è stata una follia sin dall’inizio — affermò Sebastian. — Zoe non merita dimorire.

— Non sai cosa stai dicendo! Questa strega… — le labbra di Ginevra tremavano — … ti hairretito al punto che non sai più quello che dici. — Si toccò nervosamente un lato della testa, comeper scacciare un cattivo pensiero. — E ora io la ucciderò.

— Prima dovrai trapassare il mio cuore — sentenziò Sebastian.Ginevra rimase a lungo immobile, fissando Sebastian. Poi strinse gli occhi e assunse una

posizione marziale. — Hai scelto da che parte stare — sibilò a bocca stretta. Il suo volto era unamaschera di risentimento. Avrei voluto fare qualcosa, almeno gridare, invocare aiuto. Ma mi sentivointrappolata nel bozzolo della paura. Avevo ritrovato l’amore della mia vita soltanto per vederlomorire.

Ginevra sferrò il colpo. E in quel momento vidi una sagoma che si muoveva rapida comparire allesue spalle. La lama si arrestò a un soffio dal cuore di Sebastian, graffiando la sua pelle. Qualcunoaveva fermato la mano di Ginevra, e le stava stringendo un braccio intorno al collo.

— Ferma — disse la voce dietro di lei. — Non lottare, o sarà peggio. — Non era possibile.Eppure… sembrava proprio lui.

— Misha, sei vivo! — esclamai. Fu come sentire il sangue che ricominciava a fluire nel corpo.Avrei voluto correre ad abbracciarlo, ma non mi sembrava il caso, non finché Ginevra stringevaancora in mano la spada.

Misha non sembrava sorpreso che Sebastian avesse preso il posto di Adam. Forse era sollevatonell’aver capito perché l’istinto gli consigliava di non fidarsi di Adam. Pensavo che Misha odiasseSebastian. Eppure gli aveva appena salvato la vita.

— Pare che un bacio di puro amore faccia miracoli, al giorno d’oggi — fece Misha.Sebastian mi scoccò un’occhiata. — Hai… baciato Misha?— È il mio famiglio — mi difesi. — E poi credevo fosse morto!— Spero di non dover morire di nuovo per averne un altro — ironizzò Misha.— Lasciami andare, furetto — sibilò Ginevra.— Non finché tieni in mano quell’arma — ribatté lui senza scomporsi.

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Ginevra sembrò incerta sul da farsi. Poi lasciò la presa sulla spada, che cadde a terra.— Credo che dovrai più di una spiegazione a Adelaide — borbottò Misha.— Non credo proprio — replicò Ginevra. Caricò una gomitata e cercò di colpire Misha al volto,

ma lui fu più veloce e riuscì a sgusciare fuori dalla traiettoria. Nonostante il braccio di Misha fossesaldamente stretto al collo di Ginevra, lei tentò di colpirlo ripetutamente con calci e testate, cheMisha puntualmente riuscì a evitare.

— Sapevo che non ci si poteva fidare di te — disse Misha.Il combattimento tra loro sembrava una danza al ritmo di una musica sincopata, in cui si

alternavano i colpi secchi di Ginevra alle schivate veloci di Misha. Quest’ultimo erastraordinariamente agile, per essere uno che era appena scampato alla morte.

— L’ho capito il primo giorno di Zoe all’Accademia — continuò Misha — quando ti sei tantoscaldata perché io e Zoe stavamo scherzando durante la benedizione.

Ginevra riuscì a ruotare il corpo e si trovò faccia a faccia con Misha. Lo colpì con una serie diginocchiate alle costole, mentre lui tentava di immobilizzarla, storcendole il braccio che tenevaancora stretto.

— Le vostre chiacchiere mi stavano distraendo — sibilò Ginevra.— Non è vero — ribatté Misha. — Ti infastidiva sentir parlare della croce celtica.— La croce appartiene ai Domini Canes, i guardiani del Signore — sbottò Ginevra.Domini Canes, i Mastini di Dio. Rabbrividii nel sentire il soprannome con cui gli Inquisitori

domenicani erano conosciuti all’epoca di Torquemada.Ginevra sfiorò il viso di Misha con una gomitata. Per schivarla, lui dovette lasciare la presa dal

braccio di Ginevra. Lei ne approfittò per allacciare le mani dietro il collo di Misha e caricò unaginocchiata al mento. — Le streghe non possono usurpare i simboli della nostra religione!

Misha incassò, ma approfittò del momentaneo sbilanciamento di Ginevra per farle perderel’equilibrio. Entrambi rotolarono a terra, come stretti in un abbraccio mortale.

— La croce è il simbolo di protezione più antico di qualsiasi religione — disse Misha con voceaffannata. — Siamo nati tutti sotto lo stesso cielo. La croce ci dovrebbe unire, non dividere.

— No — esplose Ginevra. — I vostri dei sono bugiardi! Noi siamo i guardiani dell’ordine, idifensori dell’autorità suprema. Un mondo senza streghe è un mondo migliore.

— Maledizione, Ginevra, piantala! — si intromise Sebastian. — Misha ha ragione. È giunto ilmomento di ripensare il nostro credo, perché le differenze non possono essere fonte di discordia, madi conoscenza.

Ginevra gli scoccò uno sguardo carico d’odio, poi con un colpo di reni riuscì a liberarsi dallapresa di Misha e si precipitò in corridoio. Misha, Sebastian e io le corremmo dietro, sotto gli occhiincreduli delle altre ragazze che si erano radunate intorno alla mia porta, attirate dai rumori cheprovenivano dalla mia stanza.

La fuga di Ginevra durò poco: di fronte a lei comparve Sasha. Era vestita con l’uniforme daAmazzone e sfoggiava una spada corta simile a quella di Ginevra, ma dai riflessi rossi, come se sottol’acciaio vibrasse un cuore di lava pulsante.

— Non costringermi a usarla — sentenziò Sasha.Ginevra fece un passo indietro, ma noi tre stavamo sbarrando la sua via di fuga. Dopo un istante di

tentennamento, alzò le mani in segno di resa. Sasha le si avvicinò, camminando lentamente, pronta aimmobilizzarla e legarle le mani con una fascetta.

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Seguirono istanti in cui pensai che la tensione fosse insostenibile. Poi, senza alcun preavviso,Ginevra riuscì a sorprendere Sasha con un calcio diretto allo stomaco e corse via a testa bassa.

Sasha si riprese in un batter d’occhio e si lanciò all’inseguimento. Misha e Sebastian la imitarono,anche se non riuscivano a correre alla sua velocità.

Alcuni minuti dopo, Misha tornò col fiato corto. — Purtroppo Ginevra è riuscita a far perdere lesue tracce — ammise.

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I gargoyle di Notre Dame

Mi avvicinai a Misha e lo stritolai nell’abbraccio più forte di cui ero capace.— Non morire mai più, ti prego — mormorai.— Farò del mio meglio — ribatté lui, accarezzandomi i capelli.Quando mi slacciai dalla stretta, mi resi conto che stava perdendo sangue da un labbro. — Ti fa

male? — chiesi.Lui scosse la testa. — Niente di insopportabile. — Poi ci scambiammo un lungo sguardo carico di

significati.— Mi spiace così tanto per quello che ti è successo — dissi. — È stato terribile. Io… avrei

dovuto capirlo prima, ma…— Shhh — fece lui, appoggiandomi l’indice sulla punta delle labbra. — Tu mi hai salvato.Abbassai lo sguardo, avvampando per l’inaspettato contatto. — Non so come sia successo… il

tuo cuore si era fermato…— È così — ammise. — Mentre combattevi nei sotterranei con Lucrezia il mio cuore ha cessato

di battere. E in quel momento è successa una cosa che fatico a descrivere. La stanza è piombata nelbuio e c’è stato solo silenzio, finché non mi sono accorto che erano i miei occhi a essere chiusi.Quando li ho aperti ero ancora in infermeria e tutto sembrava al suo posto. Mi sentivo stranamentebene, come se finalmente mi fossi liberato dalle tossine che stavano avvelenando il mio sangue. Misono alzato ma Angelica, che era al mio fianco, è sembrata non rendersene conto. Continuava afissare il letto, singhiozzando, come se io fossi ancora steso lì. Così ho aperto la porta, ma anzichéuscire nel corridoio del Santuario, mi sono ritrovato nell’ingresso di una casa sconosciuta, dove unaragazza di nome Isabella mi ha accolto, pregandomi di sedermi in un piccolo soggiorno, e attendere.

— Sei stato nel Giardino dello Spirito — pensai a voce alta.Lui mi guardò con aria interrogativa. — Come lo sai?— Ci sono entrata per caso un giorno in cui avevo un disperato bisogno di risposte — dissi. — Il

fatto è che Isabella era… è… non so nemmeno come dirlo e so che ora mi prenderai per pazza ma…si tratta di mia nonna, ecco.

— Com’è possibile? — sbottò Misha. — Avrà avuto la tua età.— Me lo sono chiesta anch’io. E poi lei è… — Abbassai la testa, mordendomi un labbro. — È

morta tanti anni fa. Eppure sono sicura che quella ragazza è mia nonna Isabella. Me lo suggerisce lavoce dell’istinto. — Alzai lo sguardo. — Tuttavia, Isabella non ha memoria della sua vita trascorsa.Non sa di aver avuto una figlia, né tantomeno una nipote. È come se nel Giardino dello Spirito fossepresente una sua… emanazione di quando aveva diciassette anni.

— Chiunque fosse Isabella, era in grado di trasmettermi una sensazione di benessere mai provataprima. All’inizio pensavo che si trattasse soltanto di un’allucinazione dovuta al veleno, ma una cosa

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era certa: non c’era modo di uscire da quella casa. La porta d’ingresso, la stessa da cui ero entratopoco prima, conduceva a una scogliera in cui si infrangevano le onde dell’oceano. E il vento era cosìforte che ho rischiato di farmi trascinare in mare.

Era proprio vero quello che aveva detto Isabella. A ogni persona il Giardino dello Spirito apparediversamente. Fuori da quella porta avevo intravisto un deserto, Misha una scogliera a piccosull’oceano.

— E poi? — lo incalzai.— Ho chiesto a Isabella cos’avrei dovuto aspettare, e lei mi ha assicurato che l’avrei saputo al

momento opportuno — disse Misha. — Sono rimasto in quella sala dalla carta da parati a fiori afissare un vecchio orologio a pendolo per un tempo che mi è sembrato infinito. Poi ho udito la tuavoce che mi chiamava, e tutto si è fatto confuso, indistinto. Ho sentito le tue lacrime scendere sul mioviso, ho perfino sentito il sapore del tuo sangue in bocca. E mi sono ritrovato di nuovo in infermeria.Ero cosciente, ma non riuscivo a muovermi, né a parlare. Ti ho sentito uscire dalla stanza e avreivoluto avvertirti che stavo bene, finalmente, ma non mi è stato possibile. Ci è voluto un bel po’ primadi riprendere il controllo del corpo. Sam mi ha aiutato, preparandomi un tonico.

Fui scossa da una serie di brividi. Non potevo crederci; Isabella aveva custodito l’anima di Mishanella speranza che io compissi la magia per riportarlo indietro.

— È stato il tuo amore a farmi restare, Zoe — aggiunse Misha.Proprio come nelle fiabe, pensai. Ma non mi sentivo a mio agio nei panni di una principessa in

grado di svegliare il suo amato.— Credo di essere un po’ confusa — dissi.Vidi che Sasha e Sebastian stavano sopraggiungendo, in lontananza. Entrambi scuotevano la testa.

Immaginai che non fossero riusciti a riacciuffare Ginevra.Misha mi spostò una ciocca di capelli dalla fronte. — Non ti stanno poi così male — mormorò.— Ti prego, non rendere tutto più difficile — dissi. Mi morsi un labbro, imbarazzata. — Io… non

credo di poterti amare come vorresti tu. Voglio dire, io e te siamo legati profondamente, ma ti amocome una strega ama il suo famiglio.

Sebastian ci raggiunse e si fermò a un metro da noi. Sasha rimase in disparte, come se temesse diessere di troppo.

— Lo so — ammise Misha, sorridendo. — Il tuo cuore appartiene a Sebastian — e gli rivolseun’occhiata fugace.

Tirai un sospiro di sollievo. L’amore ha molteplici forme, e non avrei mai voluto che Mishafraintendesse i miei sentimenti.

— Mi fa piacere che tu sia tornato tra noi, Misha — disse Sebastian.— Grazie — fece Misha. — Ma vale anche per te. Non sei stato molto te stesso ultimamente, o

sbaglio?— Non sbagli. Gli Inquisitori mi hanno rivoltato la testa come un calzino. Non posso credere che

siano riusciti a manipolare le mie emozioni in questo modo.— Ammetto di essere stato diffidente nei tuoi confronti — ammise Misha. — Ma dopo quello che

ho visto, so che il tuo amore per Zoe è sincero. Eri pronto a sacrificare la tua vita per lei. — Cosìdicendo, tese la mano a Sebastian. — Che ne dici di lasciarci alle spalle gli attriti del passato? — glichiese, mentre un sorriso amichevole gli compariva sul viso.

Sebastian ebbe un istante di incertezza, come se fosse stato colto alla sprovvista. Anch’io non mi

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aspettavo un gesto di avvicinamento da parte di Misha dopo quattrocento anni di ostilità, ma nonpotevo negare di essere sollevata.

— Per Zoe — lo incalzò Misha.Sebastian osservò la mano di Misha, poi tirò un ampio sorriso a sua volta. — Per Zoe — disse

stringendola vigorosamente.Sasha sorrise. — Anche se credo di essermi persa una parte della storia, sono felice per voi,

ragazzi.— Poi ti spiego — le dissi.Dal fondo del corridoio vidi arrivare Sam, trafelata. — Avete visto Angelica? — chiese con la

voce che tradiva una certa apprensione.— No — risposi, stringendomi nelle spalle. — L’ultima volta che l’ho incontrata stava uscendo

dall’infermeria e… sembrava davvero disperata.— Sono preoccupata per lei — disse Sam. — In questi mesi Angelica si è molto affezionata a

Misha. Ora che è convinta che sia morto, ho paura che possa compiere un gesto estremo.— Dividiamoci e andiamo a cercarla — propose Sebastian.Sam sembrò accorgersi solo in quel momento della sua presenza. Sgranò gli occhi e indietreggiò

di un passo. — Ma io ti conosco… tu… tu sei… — balbettò.Mi precipitai di fronte a lei. — È tutto a posto, Sam — le dissi con voce ferma. Guardandola

dritto negli occhi, aggiunsi: — Sebastian è dei nostri.Lei mi scrutò con un’espressione allibita. — Cosa ti è successo ai capelli?— È… una lunga storia — risposi.— Tranquilla, Sam — si intromise Misha. — Qui è tutto sotto controllo. Sebastian ha appena

salvato la vita a Zoe. Se lui non fosse intervenuto non sarei mai arrivato in tempo, e Ginevral’avrebbe uccisa.

— Ginevra? — sbottò Sam, sempre più sbalordita.— Sì. Abbiamo scoperto che è un’Amazzone Nera.Sasha intervenne: — Sebastian, che prima era Adam… insomma… come sono andate esattamente

le cose devo ancora capirlo, ma l’ho visto coi miei occhi che cercava di fermare Ginevra, però lei èstata più veloce ed è riuscita a fuggire.

Sam e Misha si scambiarono un’occhiata. — Un’Amazzone Nera e un Inquisitore al Santuariodelle streghe — mormorò lei, come se stesse riflettendo tra sé. — Prevedo che sarà una lunga notte.

— Ora pensiamo a trovare Angelica — ribattei.— Giusto. Affrontiamo un problema alla volta — affermò Sam.Aveva ragione. Io stessa pensai che avrei dovuto rimandare a più tardi il mio confronto con Anna.

Ero determinata a scoprire come era riuscita a entrare nella mia testa, e perché avesse cercato dispingermi a uccidere Lucrezia.

— Forse so dove può essere andata — disse Misha. — Muoviamoci. Non c’è un attimo daperdere. — Mentre ci conduceva verso l’aula di Danza, aggiunse: — Angelica adorava la danza, mapoco tempo fa si è dovuta ritirare dal corso a causa dei continui soprusi da parte di Lucrezia. Unavolta mi ha confidato che, quando era giù di morale, era lì che si rifugiava per ballare da sola, e tragli specchi e il profumo del legno ritrovava la calma.

— Spero soltanto che non sia troppo tardi — ribattei. Quando fummo di fronte alla porta, miaccorsi che qualcosa bloccava l’apertura. Pensai che non era un buon segno. Ma non potevo

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immaginare fino a che punto avessi ragione.Misha diede un calcio alla porta e la spalancò, quasi scardinandola. La sedia che la bloccava

rotolò via.Il cuore perse un battito quando, entrando nella sala, la vidi.Il corpo di Angelica era riverso sul pavimento, poco lontano dal pianoforte. Era come se si fosse

preparata accuratamente per partecipare a una cerimonia. Aveva indossato il vestito bianco, quelloche avevamo comprato insieme all’emporio per la festa del solstizio. Si era messa il rossetto e si eratruccata gli occhi, ma le lacrime avevano sciolto il mascara, tracciando dei solchi neri sulle guancecolor porcellana. In mano stringeva ancora il frammento di uno specchio con cui aveva reciso le venedei polsi. Nell’altra, teneva il ciondolo che le avevo visto al collo.

— Nooo — urlai, correndo verso di lei. E per un istante, un istante soltanto, nella scheggia dellospecchio vidi il riflesso del mio viso distorto dallo sgomento. In un’incontrollabile associazione diidee mi venne in mente la frase che Angelica aveva pronunciato guardando fuori dalla finestradell’infermeria: Temi il bosco quanto il peggiore dei tuoi incubi. E non potei fare a meno dichiedermi quanto fossero spaventosi i ricordi che la tormentavano nella solitudine della sua stanza.

Sam mi chiese di lasciarle spazio. — Il battito è molto debole — disse, appoggiando le dita alcollo di Angelica. — Ha perso molto sangue. Dobbiamo intervenire con urgenza. — Si tolse la T-shirt e la strappò per tamponare le ferite e fare dei bendaggi provvisori.

— Vado a cercare aiuto — fece Sasha. Sam annuì e lei scomparve oltre la soglia, correndoveloce.

Misha si inginocchiò di fianco ad Angelica e le accarezzò i capelli. — Non mi lasciare —sussurrò.

Sebastian mi appoggiò una mano sulla spalla e strinse con vigore per farmi sentire che era al miofianco.

I miei errori avevano innescato una catena di eventi che aveva portato alla morte di Misha. EAngelica non aveva retto all’ennesima perdita nella sua vita. Solo in questo momento mi resi contoche doveva amarlo profondamente, che dietro i sorrisi e i cambi d’espressione repentini quando luientrava in una stanza si celava un sentimento forte. Angelica doveva aver pensato che una vita senzaMisha non valeva la pena di essere vissuta. Era troppo fragile per affrontare un dolore così grande dasola, e aveva tentato un’estrema via di fuga.

— Stupida! — gridai. — Bisogna combattere per il proprio amore, anche quando tutto sembraperduto. — Pensai che anche nei momenti più bui avevo lottato per mantenere accesa la luce dellasperanza. Quando avevo perso mia madre, quando avevo creduto che il contatto con il mio famigliosi fosse spezzato per sempre, quando avevo pensato che non avrei mai più rivisto Sebastian, mi erodetta che avrei dovuto vivere anche per loro, che glielo dovevo.

— Egoista — singhiozzai. — Sei ancora la ragazza viziata che conoscevo a Milano. E io che miero illusa che fossi maturata.

— Zoe, smettila! — mi intimò Sam. — Capisco la tua rabbia, ma devi liberartene una volta pertutte. Ti farà solo del male, se non impari a canalizzarla.

Osservai il volto esanime di Angelica, incapace di aggiungere altro. In cosa avrei potutocanalizzare la mia rabbia di fronte a una situazione come quella?

Sam addolcì lo sguardo. — Dopo la morte del mio famiglio ero così arrabbiata col mondo chepensai che smettere di combattere avrebbe messo a tacere il dolore. Mi sentivo perduta. Ero arrivata

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a fare pensieri autodistruttivi. — I suoi occhi acquamarina brillavano come il cielo sopra le nuvole.— L’alcol e la droga possono sembrare scorciatoie per sfuggire alla quotidianità soffocante. Stavomorendo un poco alla volta, come Angelica ha cercato di fare oggi. È stata tua madre a salvarmi, aimpedirmi di andare a fondo.

— Mamma — sussurrai, ripensando al suo sorriso dolce. Mi aveva parlato di Sam un’infinità divolte, quella ragazza che con coraggio era riuscita a sfuggire a una madre tossicodipendente e aisoprusi di un patrigno violento.

— Una mattina Sofia mi è passata a prendere in auto e mi ha portato in un ospedale dove lavoravacome volontaria. — Si inumidì le labbra, prima di proseguire. — Mi sono ritrovata tra i malati inattesa della seduta giornaliera di chemioterapia. Gente che voleva vivere, e combatteva ogni giornoper non soccombere alla malattia. Non mi dimenticherò mai di una ragazzina che ho conosciuto inquell’occasione. Si chiamava Letizia. Aveva solo dodici anni, la testa rasata e due grandi occhinocciola. Mi aveva detto che quando sarebbe uscita dall’ospedale avrebbe voluto fare un viaggio aParigi, salire sulla torre Eiffel e fare un picnic nei giardini di Notre Dame. E innamorarsi. Ma Letiziaè morta due settimane dopo. Piansi così tanto per lei e mi vergognai profondamente di non aver datoabbastanza valore al dono più importante che avevo ricevuto: la vita. Così, pochi giorni dopo lamorte di Letizia, sono partita per Parigi. Sono salita sulla torre Eiffel, e mi sono soffermata aosservare i gargoyle di Notre Dame. Quando sono rientrata a Milano era una persona totalmentediversa. Non ho mai più toccato la droga, e ho messo a tacere il desiderio di annientarmi, con lacertezza che ero fortunata a poter scegliere cosa fare della mia vita. Mi sono ripromessa di diventareuna donna migliore, l’ho fatto anche per Letizia. Avrei trasformato la rabbia, giorno per giorno, inqualcosa di costruttivo. Come aiutare gli altri, per esempio. Come tua madre aveva fatto con me.

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Il primo fiore sulla Terra

Mentre lei si occupava di Angelica, Sam pregò me e Sebastian di recarci da Adelaide per spiegarequello che era successo. Ci disse di cercarla nel suo ufficio, dove era solita lavorare fino a tardi.

Avrei voluto rimanere accanto ad Angelica, ma Misha disse che sarebbe rimasto lui. — Glielodevo — affermò. — Quando stavo male, Angelica non ha mai smesso di vegliare su di me.

Mentre camminavo al fianco di Sebastian mi immobilizzai di colpo, come se d’un tratto fossiincapace di proseguire. Avevo il respiro corto, iniziai a tremare e avere delle vertigini. PregaiSebastian di avvicinarsi e sprofondai con la testa nel suo petto.

Dopo un lungo silenzio, riuscii a sussurrare: — Stringimi, ti prego.— Sono qui — ribatté lui. — Non ti lascio più.Mi abbandonai al suo abbraccio e al suo profumo. — Non posso crederci — singhiozzai. —

Continuo a commettere gli stessi errori. Non ho riflettuto su quanto Angelica fosse esasperata, eora…

— Non è colpa tua — sussurrò Sebastian. — Angelica avrebbe dovuto confidarsi, anziché tenersitutto dentro.

— Lo so. Ma a volte non è facile aprirsi con gli altri, quando credi che il mondo intero ti stiacrollando addosso. Finisci per pensare che nessuno possa capirti. L’ho fatto anch’io.

— Anche per me non è mai stato facile aprirmi. Finché tu mi hai mostrato che un peso è piùleggero, se si è in due a portarlo.

— Angelica non aveva nessuno che l’aiutasse a portare il peso della sua sofferenza. Ammettere diessersi innamorata di Misha non dev’essere stato facile, dato che lui non sembrava affatto ricambiarei suoi sentimenti. E poi io non ho fatto che deluderla, perché mai avrebbe dovuto fidarsi di me?

— Perché sei una persona generosa, nonostante tu faccia di tutto per far credere il contrario — midisse con voce gentile.

— La vita non può finire a diciassette anni — protestai. — Per quanto fosse disperata, non riescoa credere che l’abbia fatto davvero.

— Vedrai che se la caverà — mi rassicurò Sebastian. — La conosco poco, ma tanto basta perpoter dire che Angelica ha la forza di superare anche questo, se le staremo vicini e le faremo capireche non è sola. Non più.

Annuii, e lasciai che mi asciugasse le lacrime sul viso.— Credi che Ginevra avesse ragione? — gli chiesi poi, dopo un lungo istante di silenzio.— Riguardo a cosa? — ribatté lui.Mi morsi un labbro per scacciare l’inquietudine che si era insinuata sotto la pelle. — Il fatto che

dovessi essere proprio tu a uccidermi per permettere a Heinrich di riavere il suo corpo.Sebastian si strinse nelle spalle. — Non ne ho idea — mormorò. — Anche se devo ammettere che

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gli Inquisitori hanno passato mesi a prepararmi a questo incarico, come se fosse un affare dellamassima importanza. Non può essere soltanto per vendetta, non avrebbe senso. E il Gran Maestro nonlascia mai niente al caso. Dev’esserci per forza qualcosa sotto.

— L’hai mai incontrato personalmente?— Solo il giorno del mio giuramento — ammise Sebastian. — Tuttavia, data la natura segreta

dell’Ordine, ognuno dei partecipanti alla cerimonia aveva il viso nascosto da una maschera. Nonavrei immaginato che la sua servisse a celare un volto reso mostruoso dal patto con un demone. Sel’avessi saputo, non avrei mai accettato di diventare un Inquisitore. Ero convinto che gli Inquisitorifossero un baluardo di difesa dalle creature infernali, non l’esercito personale di un uomo assetato dipotere.

Quando arrivammo di fronte all’ufficio di Adelaide, ebbi un attimo di titubanza, prima didecidermi a bussare. Travolta dagli eventi drammatici delle ultime ore, non mi ero soffermata ariflettere su quale potesse essere la reazione di Adelaide di fronte a un Inquisitore infiltrato nelSantuario. Come avrei potuto oppormi se la sua decisione fosse stata di sbatterlo in Riabilitazione,imprigionarlo nei sotterranei o chissà cos’altro?

Vedendomi incerta, Sebastian mi disse: — So a cosa stai pensando. Temi che Adelaide possaprendere male la mia presenza qui al Santuario.

Feci sì con la testa. — Non potrei sopportare che ci dividano di nuovo.— Non accadrà. Ammetterò le mie colpe, ma difenderò anche le mie ragioni. Il mio posto è

accanto a te, e sono pronto a lottare per questo.— Non ce ne sarà bisogno — disse la voce di Adelaide dietro di noi.Mi voltai, sorpresa. Era a pochi passi, eppure non l’avevo sentita arrivare.— So tutto di Ginevra e del vostro piano, Sebastian — aggiunse. — Ho appena incontrato Sasha,

e lei mi ha raccontato com’è andata. — Poi tirò un mezzo sorriso, aggiungendo: — Piacere di farefinalmente la tua conoscenza, Sebastian Carelli.

— Come sa il mio nome? — chiese Sebastian.— Diciamo che ho svolto le mie indagini. So che ormai sono passati alcuni mesi, ma vorrei

ugualmente farti le mie condoglianze per la perdita di tuo padre. Nonostante militasse tra le fila deinostri persecutori, Bruno Carelli era un uomo dalla mente brillante e dai forti principi.

— G-grazie — balbettò Sebastian, visibilmente imbarazzato. — Quindi, riguardo alla mia…chiamiamola intrusione, non ha intenzione di prendere provvedimenti?

— Certo che sì — affermò Adelaide. — Sarai sottoposto a un regolare processo da parte dellaSorellanza, ma al momento opportuno. Ora dobbiamo affrontare un pericolo imminente, e nonriguarda né gli Inquisitori né le Amazzoni Nere.

— Un… pericolo imminente? — proruppi, meravigliata.— Speravo che fossi proprio tu, Zoe, ad aiutarmi a vederci chiaro. Ti prego, entriamo nel mio

ufficio — e ci fece strada all’interno. Non potevo fare a meno di notare che il suo atteggiamento neimiei confronti era cambiato. Forse sapere che non avevo indietreggiato di fronte all’arroganza diLucrezia aveva contribuito a dissipare i suoi dubbi sulla mia fedeltà alla Sorellanza. Ma adesso eroio ad avere dei dubbi. Non mi sentivo pronta a schierarmi apertamente con la Sorellanza, non ancora.Soprattutto, non ero disposta ad accettare che Sebastian fosse processato. Anche se aveva avutointenzione di uccidermi, bisognava considerare che gli Inquisitori gli avevano fatto un vero e propriolavaggio del cervello, dopo avergli cancellato il ricordo di noi.

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Io e Sebastian ci sedemmo di fronte a Adelaide. Ero piuttosto confusa, come potevo aiutarequalcun altro a fare chiarezza? E qual era il pericolo imminente che incombeva su tutti noi?

— La pace al Santuario è stata funestata da alcuni avvenimenti terribili — disse Adelaide. —Angelica non è stata la prima a tentare il suicidio, negli ultimi tempi. Il caso più recente è statoquello di Nolwenn, una giovane fata dalle straordinarie facoltà e incredibile talento.

Quasi sobbalzai nel sentire il suo nome. — Cosa le fa pensare che io ne sappia qualcosa? —chiesi, meravigliata.

— Per esempio, il fatto che in Riabilitazione hai stretto amicizia con sua sorella Ligea. —Sembrava che niente di quello che succedeva al Santuario sfuggisse agli occhi indagatori diAdelaide. Eppure qualcosa doveva essere sfuggito alla rete del suo controllo, al punto da spingerla achiedere il mio aiuto.

— Ho a malapena avuto il tempo di parlarle un paio di volte — affermai. Non era esattamente laverità, ma non riuscivo ancora a fidarmi di Adelaide. Pensai che tacere il legame profondo che avevoinstaurato con Ligea fosse un modo per proteggerla. — Ligea l’ha nominata soltanto una volta, suasorella. Penso che si sia sentita abbandonata. — Evitai di aggiungere che anch’io, in qualche modo,ero convinta di averla abbandonata. Ligea non meritava la solitudine a cui era stata condannata, eanche se non dipendeva da me non smettevo di torturarmi all’idea di non poterla più vedere.

Adelaide mi guardava con un misto di curiosità e diffidenza. Forse aveva capito che non ero deltutto sincera con lei. — Nolwenn era una studentessa modello, oltre che una ragazza generosa edequilibrata. Dopo essere stata ammessa all’Accademia, aveva portato di nascosto la sorellina con sé.Continuò a occuparsi di Ligea per darle l’affetto necessario ed evitare che i suoi poteri potesserocreare disordini. L’aveva aiutata a trovare un nascondiglio nel bosco, dove Ligea poteva vivere acontatto con la natura, la sua vera casa. Abbiamo saputo dell’esistenza di Ligea solo molto dopo lamorte di Nolwenn, perché alcuni studenti l’hanno vista vagabondare in cerca della sorella.

— Non capisco… non esiste un modo per inibire il potere di Ligea? Non è giusto che rimangaconfinata in Riabilitazione.

— Ligea è una fata, e la fonte del suo potere è completamente diversa da quella di tutti gli altri.Non deriva dal Dono o dalla quantità di sangue demoniaco che le scorre nelle vene. Le fateappartengono alla natura stessa, sono loro a regolare i flussi di energia, a custodire le anime deimortali. Si dice che con il primo fiore, sulla Terra, sia comparsa anche la prima fata. Il problema conLigea è che il suo tocco è in grado di prosciugare il soffio vitale di qualsiasi essere umano, sia essouna strega o persino un mezzo demone, senza che lei sia in grado di controllarlo. Una volta scatenato,il potere di Ligea è semplicemente inarrestabile. Per questo motivo, mio malgrado, sono costretta atenerla in Riabilitazione.

— Se quello che dice fosse vero, dovrei essere morta.— A parte sua sorella, sei la prima persona che sopravvive al tocco di Ligea — affermò

Adelaide.— Ma allora… cosa è successo a Nolwenn? Cosa può averla spinta a suicidarsi, sapendo che

avrebbe lasciato sola l’adorata sorella?— È quello che sto cercando di scoprire — ammise Adelaide. — E sono giunta alla conclusione

che nel Santuario si sia infiltrata una Lamia.— Non capisco — mormorai.— Le Lamie sono creature immortali in grado di nutrirsi dei sogni e delle speranze degli esseri

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umani — spiegò Sebastian. — Deve averla svuotata della voglia di vivere, inducendola a pensareche quella del suicidio fosse l’unica via d’uscita.

Adelaide gli rivolse un’occhiata compiaciuta. — Vedo che tuo padre ti ha ben istruito.— Papà ha dedicato tutta la vita allo studio delle radici delle leggende popolari. Sosteneva che

solo una fortissima fede nel potere della ragione può impedirti di impazzire, quando una Lamia riescea entrare nella tua testa. A parte un paletto di legno conficcato nel cuore del demone, naturalmente.

— In che senso… entrare nella tua testa? — chiesi.— Il sussurro di una Lamia può essere percepito come una voce che suggerisce pensieri maligni, o

come un senso di colpa viscerale. Ti conduce lungo una spirale di disperazione, finché ti convinceche l’unica via di fuga è rinunciare alla vita.

— Ma allora… deve trattarsi di Anna! — sbottai.— Cosa? — esplose Adelaide. — Anna è una delle streghe più rispettate della Sorellanza. La sua

fedeltà è indiscutibile!— Mentre combattevo nei sotterranei, ho sentito la voce di Anna — spiegai. — Sussurrava nella

mia mente cose tremende, mi suggeriva di non fermarmi, di fare strazio di Lucrezia.L’espressione di Adelaide vacillò dall’incredulità allo sgomento. — Oh, Dea — esclamò. — Sia

Nolwenn che Angelica erano in cura da Anna. E anche tu, Zoe… Sono stata io stessa a spingerti aconfidarti con lei.

— Se Anna non è una strega, perché rifugiarsi nel Santuario? — obiettò Sebastian. — Una sceltadel genere è terribilmente rischiosa. Avrebbe potuto agevolmente confondersi tra i comuni mortali.Predatori come le Lamie sono attratti dalle grandi metropoli, piuttosto che dalle piccole comunitàdove ci sono più possibilità di essere scoperti.

— Deve avere uno scopo — pensai a voce alta.— Sì, ma quale? — si interrogò Sebastian.— Ultimamente faccio strani sogni — ammisi. — Forse è a causa della sua influenza. Sogno di

essere all’interno della mia stanza, nel dormitorio femminile. Solo che l’arredamento è diverso e, nelletto di fianco al mio, anziché Ginevra, c’è Tamara.

— Chi è Tamara? — chiese Sebastian.Adelaide sgranò gli occhi. — Tamara è l’Amazzone che divideva la stanza con Nolwenn. La

stessa stanza che ora occupi tu, Zoe. — Si aggiustò gli occhiali sul naso con un movimento nervoso.— Dalla notte in cui Nolwenn si è tolta la vita, Tamara è letteralmente impazzita, al punto cheabbiamo dovuto rinchiuderla in Riabilitazione. Non sappiamo a cosa abbia assistito da sconvolgerlaa tal punto. La mattina dopo che Nolwenn si è gettata nel lago, l’abbiamo trovata che vagava nelbosco, in stato confusionale.

— Segui la lepre bianca — mormorai, come in trance. I miei sogni erano davvero la reminiscenzadi qualcosa di brutto che era accaduto, l’eco lasciata dal gesto disperato di una fata che aveva messofine alla sua vita sotto l’influenza di un demone che si nutriva della sua speranza in un futuromigliore. — Io… l’ho vista. Ho visto Nolwenn osservare il suo riflesso allo specchio, prima difuggire fuori dal Santuario tramite un passaggio segreto nella Stanza degli Arazzi. Tamara dormiva,ma potrebbe essersi svegliata e aver deciso di seguire Nolwenn. Forse aveva intuito che la suacompagna di stanza stava per compiere un gesto estremo e voleva tentare di dissuaderla.

Adelaide estrasse una cartellina da un cassetto. La aprì e mi mostrò una fotografia contenuta al suointerno. — È questa la ragazza che hai visto?

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La ragazza ritratta nella foto aveva lineamenti dolci, affusolati. E lunghissimi, brillanti capelliverdi. Verdi come il trifoglio, aveva detto Ligea parlando dei capelli di sua sorella. Anche Ligeadoveva essere tormentata dagli incubi per quello che era successo a Nolwenn, come testimoniava ildisegno che mi aveva fatto avere tramite Sasha.

Annuii con un cenno del capo. — Ho visto il suo riflesso nel lago.Sebastian mi rivolse uno sguardo pensieroso. — Ma certo, lo specchio è la chiave.— Cosa vuoi dire? — chiesi, meravigliata.— Nella visione, tu stessa hai visto Nolwenn specchiarsi, la notte in cui si è tolta la vita. Persino

la superficie del lago dove Nolwenn si è gettata può essere considerata uno specchio, e Angelica si ètagliata i polsi usando il frammento di uno specchio.

— Anna sta compiendo un rituale — concluse Adelaide, come se stesse pensando a voce alta.— D’accordo, ma a che scopo? — obiettai.— Questa notte ci sarà la luna piena, proprio come la notte in cui Nolwenn si è tolta la vita. E

quando c’è la luna piena in corrispondenza del solstizio, qualsiasi magia viene amplificata. È chiaroche Anna sta preparando un oscuro rituale allo scopo di ottenere qualcosa. Qualunque cosa abbia inmente, dobbiamo fermarla subito, prima che sia troppo tardi.

C’era un pensiero insistente che girava nella mia testa. Ero sicura che la questione degli specchifosse collegata a qualcosa che mi aveva detto Misha di recente. — Ma certo — proruppi. — È tuttocollegato alla contessa Erzsebet Bathory!

— Non è possibile — mormorò Sebastian. — Erzsebet è morta quattrocento anni fa!Adelaide scosse la testa. — È stato il re di Ungheria a divulgare la notizia della sua morte. Ma il

suo corpo non è mai stato ritrovato, nonostante fosse stata murata in una torre priva di vie di fuga.— E sul pavimento della sua prigione era stato trovato soltanto un frammento di specchio —

aggiunsi.— Per secoli le seguaci della Cerchia delle Arpie si sono riunite sotto l’egida del suo nome,

rivendicando la superiorità del sangue delle streghe — continuò Adelaide. — Dicevano che fossestata la sua servitrice più fedele a farla fuggire — aggiunse, dopo un istante di silenzio. — Il suonome era Anna Darvulia, e di lei si sono perse le tracce il giorno dell’arresto di Erzsebet.

— Ma allora Anna Markos, la psicologa, potrebbe essere in realtà Anna Darvulia — pensai avoce alta.

— Non… posso crederci — balbettò Adelaide. — L’ho avuta al mio fianco per tantissimi annisenza mai sospettare di niente, mentre lei tramava alle mie spalle, come un serpente in seno allaSorellanza pronto a sferrare un morso letale. È stata lei a indurre le ragazze al suicidio, servendosidel suo potere oscuro e della sua posizione privilegiata per manipolare le loro debolezze.

Il fatto che Anna fosse in realtà una Lamia spiegava il fatto che fosse vissuta tanto a lungo. Ecominciavano a essere chiare anche le sue intenzioni. — Quando Misha era in infermeria — dissi —mi ha confessato che avvertiva un male antico e pieno di rancore che stava cercando di entrare nelSantuario. Sul momento non gli avevo dato importanza, pensando che le sue brutte sensazioni fosserocausate dal veleno.

— No, Misha aveva ragione — affermò Adelaide. Poi si tolse gli occhiali con un movimento lentoe li appoggiò sul ripiano della scrivania. Mi accorsi che le sue mani stavano tremando. — Anch’ioho percepito delle interferenze nelle barriere magiche. E ora conosco il motivo. — Mi rivolse uno

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sguardo privo del distacco che la contraddistingueva. Avrei giurato che aveva paura. — Anna stacercando di riportare indietro Erzsebet — mormorò.

Le luci si spensero di colpo, e la stanza precipitò nella penombra. Il buio era rischiarato soltantodal bagliore della luna piena che si specchiava nel lago.

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Ti fidi di me?

— Riportare indietro… da dove? — chiese Sebastian, alzandosi in piedi.D’istinto, mi diressi verso la porta cercando di aprirla. Ma la maniglia era bloccata.— Se opportunamente incantati, gli specchi possono essere portali per il Limbo, un luogo ai

confini tra il mondo degli umani e quello dei demoni — affermò Adelaide. — Quando Erzsebet eraprigioniera, Darvulia deve aver aperto le porte del Limbo per lei. Era l’unico modo per farla fuggire,in attesa di poter compiere l’incantesimo che l’avrebbe riportata in questa dimensione. — Adelaiderimase per un attimo in silenzio, abbassando lo sguardo, come rapita da un pensiero improvviso. —Ma per farlo, doveva rompere i sigilli che la trattenevano nel Limbo… — proseguì. Congiunse lemani e corrugò la fronte, pensierosa. — Ma certo… come ho fatto a non capirlo prima? — esclamò.— Il sacrificio di una fata, il sangue di una Furia… facevano parte del rituale!

Da quello che aveva detto, finalmente mi era chiaro il motivo per cui Anna mi spingeva adannientare Lucrezia. Ero riuscita a fermarmi in tempo, ma Lucrezia era inarrestabile, e per salvareNausica ero stata costretta a ucciderla.

Adelaide si guardò intorno, come se ci fosse un particolare che le stava sfuggendo. — Tuttavia,per poter ritornare, Erzsebet ha bisogno di un corpo in cui reincarnarsi — affermò.

— Non c’è più tempo per le spiegazioni! Siamo bloccati dentro questo ufficio — dissi concitata.— La porta sembra chiusa dall’esterno.

Adelaide tese la mano e pronunciò una formula a bassa voce. Immaginai che fosse un incantesimoper aprire la porta, ma il risultato non fu quello atteso. Ci fu un lampo, come una scossa che sipropagava dalla maniglia al corpo di Adelaide. Il suo corpo venne sbalzato con violenza contro laparete.

Accorsi verso di lei per controllare che non fosse ferita, ma vidi con sgomento che le stavaaccadendo qualcosa. Era come se stesse invecchiando precocemente sotto i miei occhi.

— Cosa le sta succedendo? — chiesi.— Erzsebet… mi ha teso… una trappola — disse lei con un filo di voce.— Erzsebet è al Santuario?Adelaide si limitò ad annuire. — È… troppo tardi. — La sua voce era strozzata. — Niente può

fermarla… Erzsebet conosce ogni incantesimo che protegge il Santuario, perché lei stessa hacontribuito a innalzare le sue barriere. E me le sta ritorcendo contro.

— Dev’esserci un modo per fermarla! — protestai.Il viso di Adelaide era diventato quello di un’anziana scheletrica dalla pelle incartapecorita. Era

forse questo il suo vero aspetto? — Non… guardarmi, ti prego — mi implorò.Le strinsi una mano per darle conforto. — Cosa le sta succedendo?— Il mio corpo è invecchiato, ma non il mio spirito — rispose. — Il Santuario è parte di me, e io

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sono parte del Santuario.— Non capisco.— Io sono una delle Madri Erranti — affermò.Quasi sobbalzai nel sentirglielo dire. — Non è possibile… dovrebbe avere più di quattrocento

anni — ribattei.— Insieme a Erzsebet e Antonia ho contribuito a rendere il Santuario ciò che è oggi — disse con

fatica. — Purtroppo la superbia di Erzsebet ha finito per allontanarla dal sentiero di luce tracciatodalla Sorellanza. Ha rifiutato i miei insegnamenti e si è macchiata di crimini orrendi. Da allora èbandita da questo luogo. Io e Antonia abbiamo dedicato la nostra vita a custodire il Santuario, finchéle mura sono diventate parte della nostra essenza. Ma questa è stata al contempo una benedizione euna condanna. Finché queste mura reggeranno, anche il mio corpo sopravvivrà.

— Per questo Erzsebet vuole distruggere il Santuario? Per vendicarsi?— Sì, ma non solo. Erzsebet non si fermerà finché non avrà ottenuto il suo vero scopo:

sottomettere il genere umano e restituire la Terra ai demoni che la dominavano nella notte dei tempi.— Dobbiamo fermarla — dissi con decisione. — Andiamo, la aiuto ad alzarsi — e cercai di

sostenerla.— Lasciami qui. Ho fatto del mio meglio per non deludere la Sorellanza. Forse sono stata un po’

severa, a volte, ma cercavo di indirizzare verso il sentiero della Dea le streghe che avevano smarritola via e che trovavano rifugio al Santuario. Il mio cammino però è giunto alla fine. — Smise diparlare per tossire un paio di volte. — Ormai sono troppo debole anche solo per alzarmi in piedi —ammise. — Ma voi siete ancora in tempo per fuggire. Cercate Antonia e chiedete il suo aiuto. La suastanza è nella torre all’estremità sud, dove ci sono gli alloggi dei docenti. Erzsebet sarà qui amomenti, cercherò di trattenerla in qualche modo.

— Ma come facciamo? Non possiamo nemmeno uscire da questa stanza — obiettai.— La finestra — disse Sebastian. La aprì e si sporse per un attimo, guardandosi intorno. —

Maledizione, siamo troppo in alto per tentare di calarci giù — aggiunse, scuotendo la testa. — E nonc’è nessun appiglio per camminare raso al muro e da qui sperare di raggiungere un’altra finestra.

— Potremmo strisciare attraverso il condotto dell’aria — proposi, indicando la grata sulla paretealle spalle della scrivania di Adelaide.

La temperatura nella stanza si fece improvvisamente gelida. Da sotto la porta soffiava unacorrente insistente che sembrava provenire da una ghiacciaia.

— Non c’è più tempo — sussurrò Adelaide. — Erzsebet è qui.Nonostante fuori non ci fosse nemmeno un alito di vento, l’aria all’interno dell’ufficio sembrava

impazzita, con correnti che aumentavano di intensità attimo dopo attimo, al punto che persino stare inpiedi era difficoltoso. Non serviva molta immaginazione per capire che si trattava di magia.

— Allora è tempo di combattere — affermò Sebastian. — Io sono pronto. — Estrasse da unafondina nascosta dalla camicia i suoi Caledvitke, i pugnali forgiati in ferro e cristallo di giada chefacevano parte del suo equipaggiamento da Inquisitore. Mi aveva detto che con quelli avrebbe potutouccidere qualsiasi strega, ma cominciavo a temere non sarebbero bastati a contrastare Erzsebet.

— Non potete combatterla — sentenziò Adelaide. — Dovete andarvene di qui. Ora!Gli oggetti e i fogli appoggiati sulla scrivania di Adelaide iniziarono a volteggiare per la stanza, il

computer si rovesciò, incalzato da una corrente d’aria che proveniva dal nulla. Sul frastuono si

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frappose un rumore basso, distorto, che somigliava a una voce scomposta e mal assemblata. Misoffermai ad ascoltarla, e per un istante fui certa di cogliere un sussurro.

— Adelaide — sembrava voler dire. — Sono venuta a prenderti.La porta si spalancò all’improvviso, sbattendo violentemente contro la parete. E il vento si fece

così turbolento da colpirci con folate come schiaffi, facendo perdere l’equilibrio a me e a Sebastian.Fummo scaraventati contro la finestra, e io finii sospinta oltre il davanzale, rimanendo aggrappatasoltanto con una mano. Sotto di me c’era il vuoto.

Gli alberi del bosco sottostante mi apparivano piccoli come batuffoli di cotone. Se fossiprecipitata giù non avrei avuto nessuna speranza di farcela. A meno che non riuscissi a dare fondo atutte le mie energie per compiere il più difficile incantesimo che avessi mai tentato.

— Tieni duro! — urlò Sebastian, tendendomi la mano.La afferrai, stringendo con forza. Guardandolo dritto negli occhi, gli chiesi: — Ti fidi di me?Lui non ebbe alcuna esitazione. — Ti affiderei la mia stessa vita.— Meglio — affermai. — Perché stai per farlo. — Strinsi forte la sua mano, e con l’altra cercai

di aggrapparmi al suo avambraccio.Lui abbozzò un mezzo sorriso. C’era uno scintillio in fondo ai suoi occhi. Uno sguardo colmo di

amore e di coraggio. E fiducia. Uno sguardo che valeva più di cento parole. E io non avevo bisognodi nient’altro per trovare la forza necessaria per l’incantesimo che stavo per compiere. Mi sentiipervasa da un’energia senza limiti, rafforzata dalla fiducia che Sebastian stava dimostrando nei mieiconfronti.

— Non lasciarmi per nessun motivo — urlai.— Non lo farò — ribatté Sebastian.Dietro di lui vidi comparire una sagoma scura che non riuscii a distinguere. Se si trattava di

Erzsebet, come immaginavo, allora aveva ragione Adelaide. Non c’era un attimo da perdere.Entrai in contatto con la parte più profonda di me. Sentii l’energia del mio potere fluire insieme al

mio sangue, fino al cuore, e dal cuore irradiarsi in tutto il mio essere. Sapevo di poter richiamare lefee, le fate che somigliavano a falene e che si diceva custodissero l’anima dei mortali. Farlo fu cometrovarmi in mezzo a una tempesta e cercare di afferrare una per una le gocce di pioggia.

Incalzate dal mio richiamo, comparvero intorno a me le prime farfalle luminescenti, volteggiandocon traiettorie a spirale, come se stessero tessendo bozzoli di energia pura. In pochi istanti furonocentinaia, forse migliaia, e avvolsero me e Sebastian in un abbraccio protettivo sempre più stretto,finché la gravità perse di significato. Mi strinsi forte a Sebastian, mentre ci trovammo a fluttuaresospesi a mezz’aria, trasportati dalle fee fino alla torre che aveva indicato Adelaide, quella più asud, che poggiava quasi a picco sulle acque del lago.

Quando posammo i piedi su uno dei balconi che sporgevano dalla struttura, le fee iniziarono adisperdersi.

— Grazie — sussurrai, mentre si allontanavano da noi.Una di esse si era posata sul dorso della mia mano. Aveva ali nere ricamate da arabeschi gialli.Le sbatté un paio di volte, come se fosse incerta se andare o restare. Poi, d’un tratto, spiccò il

volo, scomparendo nella notte.Stavo malissimo all’idea di aver lasciato sola Adelaide, ma non avevo avuto scelta.Sebastian appoggiò la schiena al muro. Tirò un sospiro di sollievo. — Non posso crederci. Ce

l’abbiamo fatta. — Poi mi rivolse uno sguardo ammirato. — Sei stata fantastica.

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Mi schermii con la mano. — Non ci resta che trovare la stanza di Antonia — dissi.Sebastian sbirciò attraverso la portafinestra che dal balcone dava sulla stanza. — L’abbiamo

trovata — ribatté. La scardinò con una spallata ed entrò. — Ma temo che siamo arrivati troppo tardi— aggiunse con sconforto.

Lo seguii all’interno. Antonia era riversa sul pavimento, priva di vita, con un’espressione disgomento ancora impressa sul volto.

— No… — mormorai.In quel mentre, il pavimento e le pareti cominciarono a tremare, quasi il Santuario fosse sotto un

bombardamento. Le scosse erano accompagnate da rumori acuti, stridenti, prolungati, come se ognimattone fosse oggetto di sfregamento e torsione.

— Non è sicuro qui — disse Sebastian. — Dobbiamo andarcene.— Hai ragione. Dobbiamo riunirci a Sam e Misha.Uscimmo dalla stanza e scendemmo un’infinità di scalini, per poi sbucare in un corridoio che

sembrava non terminare più. Le luci si accendevano e si spegnevano a intermittenza, dando alleantiche mura un’apparenza spettrale.

Finalmente, arrivammo nei pressi dei dormitori degli studenti, ma erano deserti. L’intero Santuariosembrava improvvisamente svuotato. Non sapevo da dove cominciare le ricerche degli altri.

— Dove sono andati tutti? — chiesi a Sebastian, mentre la struttura continuava a scricchiolare e atremare. Se davvero Erzsebet era determinata a radere al suolo il Santuario, dovevamo trovare unavia d’uscita e metterci tutti in salvo.

— Proviamo con l’infermeria — propose lui.L’idea sembrava logica, considerando lo stato di Angelica. Corremmo più veloci che potevamo,

mentre pensavo a Ligea. Avrei dovuto trovare il modo di raggiungere la Riabilitazione, liberarladalla prigione in cui era suo malgrado rinchiusa. Questa volta, nessuno sarebbe rimasto indietro.

Una volta in infermeria ci rendemmo conto che anche lì non c’era nessuno. Finché non sentii unavoce femminile provenire da qualche parte, in corridoio.

— Da questa parte — disse. Il frastuono non mi permise di riconoscerla immediatamente.D’istinto seguii la voce, ma per quanto mi guardassi intorno non riuscivo a vedere nessuno.

Finché un’ombra sbucò da un angolo. Si muoveva lentamente, in netto contrasto con ciò cheavveniva tutt’intorno. Dei calcinacci cadevano dal soffitto. I muri sembravano voler crollare da unmomento all’altro.

Di fronte a me sbucò Angelica. Aveva i piedi nudi e indossava il suo vestito bianco. — Oh, Dea!Per fortuna stai bene — esclamai, percorrendo il corridoio a passi veloci per andare adabbracciarla.

Ma quando fui vicina, mi immobilizzai di colpo. Mi resi conto che il suo sguardo non somigliavaa quello dell’Angelica che conoscevo. Aveva qualcosa di feroce, ancestrale. Esprimeva rancore e unsenso di angoscia che proveniva da lontano.

— D-dove sono gli altri? — le chiesi.Lei non rispose. Si limitò a compiere un passo verso di me, lentamente, senza perdere contatto con

il mio sguardo.Sobbalzai nel sentirmi sfiorare il braccio. Sebastian era alle mie spalle e stringeva i Caledvitke.

— Lei non è più Angelica — mormorò.

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Il futuro in una bolla di sapone

Angelica rimase per un lungo istante immobile, guardando Sebastian con aria incuriosita. Poi tornò arivolgere gli occhi verso di me. — Ho atteso così tanto tempo di poterti conoscere, Custode dellefalene — disse con una voce che somigliava solo lontanamente a quella di Angelica. Sembravacomposta da strati di rumore bianco assemblati in maniera disordinata.

— Non può essere vero — mormorai.Adelaide aveva detto che Erzsebet aveva bisogno di un corpo in cui reincarnarsi.Aveva scelto quello di Angelica.— Sì che lo è — continuò Erzsebet. — Era inevitabile che ci incontrassimo, prima o poi.— Niente è inevitabile — dissi.Erzsebet tirò un mezzo sorriso. — Sei così ingenua, piccola Zoe. Il futuro è scritto. Vuoi vederlo?Posizionò una mano davanti a sé con il palmo rivolto verso l’alto. Da lì si diffuse un bagliore

improvviso, come un’enorme bolla di sapone, che nella frazione di un istante mi inglobò,mostrandomi una visione apocalittica di città devastate e creature spaventose intorno a cui siassembravano moltitudini di persone inginocchiate.

— Coloro che furono cacciati dalla Terra stanno per tornare — echeggiò la voce distorta diErzsebet. — Gli antichi dei, quelli che dopo la Caduta furono chiamati demoni, torneranno a regnare.E noi streghe siederemo alla loro destra.

Scossi la testa con forza per scacciare quell’immagine. — Non riuscirai a imprigionarmi inun’illusione.

— Non ne ho bisogno — sentenziò Erzsebet. — Tu sei come me. Hai guardato l’abisso senzaesserne intimorita. Hai avvertito la voce dell’ombra sussurrare dentro di te.

— Era soltanto la voce di Darvulia! Lei… si è insinuata nella mia testa…— Darvulia è stata un tramite tra te e la tua vera natura. Lei è sempre stata la più fedele tra le mie

servitrici. Ha fatto in modo che venissero rotti, uno per uno, tutti i sigilli che mi intrappolavano nelLimbo. Ha predisposto ogni cosa per il mio ritorno. Trae la sua forza dai sogni e dalla speranza degliesseri umani. — Strinse gli occhi e mi rivolse un’occhiata rapace. — E se a una persona togli i sognie la speranza, ciò che resta è soltanto angoscia.

— Non avevi il diritto di farlo! Quelle ragazze non meritavano di morire.— Sono io che non meritavo di essere rinchiusa in una torre, ripudiata e tradita dall’uomo che

amavo, allontanata dai miei figli! Mi hanno condannata a una morte atroce, a cui sono sfuggita solograzie a Darvulia.

— Tutto questo non ha niente a che fare con me — sbottai.— Ti sbagli — sentenziò Erzsebet. — Io e te siamo più simili di quanto tu creda. Entrambe

abbiamo aspettato più di quattrocento anni per poter compiere la nostra vendetta. Quando saremo

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unite, niente potrà fermarci.— No — mormorai. — Ho atteso quattrocento anni per ritrovare il mio amore, non per cercare

vendetta.Sebastian compì un passo avanti e si portò al mio fianco.— L’amore per uno sterminatore di streghe, il cui unico scopo era ucciderti? — sibilò Erzsebet.Sebastian mi prese la mano e intrecciò le dita alle mie. — Mi hanno mentito — si difese.— Gli Inquisitori sono dei bugiardi — ribatté Erzsebet. — Ma le menzogne si attaccano dove il

terreno è più fertile. Il loro odio per noi streghe è motivato soltanto dalla brama di potere. E Heinrichè più assetato di chiunque altro.

— Lo so — ammise Sebastian. — Ma ho smesso di essere uno di loro. Heinrich ha tradito iprincipi dell’Ordine quando ha cercato di ottenere l’immortalità. L’Ordine dovrebbe combattere idemoni, non stringere patti con loro.

— Ci sono tante cose che non sai, Sebastian, sul Gran Maestro Heinrich Kramer! Cose chemetterebbero in discussione molto più della tua fedeltà ai principi dell’Inquisizione.

— C-cosa vuoi dire? — balbettò Sebastian.— Sicuro di volerlo sapere? Sicuro di voler sapere come Heinrich ha bruciato sul rogo tua madre,

dopo che lei lo aveva respinto?— Di cosa stai farneticando? — protestò lui.— Vedo la scintilla della curiosità nel tuo sguardo — ribatté Erzsebet. — Ma sei davvero

disposto ad accettare le conseguenze di ciò che sto per dirti? — Alzò un dito per indicare Sebastian.— Sei una strega, Sebastian — aggiunse. — Proprio come tua madre.

Sebastian sgranò gli occhi. Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma le parole gli rimasero strozzatein gola.

— Ebbi modo di conoscerla bene, Anja, tua madre — continuò Erzsebet. — Era la primogenita diuna nobile famiglia proveniente degli altopiani della Croazia. Ciò che sto per raccontarti avvenneverso la fine del Cinquecento, dopo che un lungo periodo di guerre e persecuzioni aveva sfiancato glianimi europei. Quando Heinrich si invaghì di Anja, lui era già il mostro che è ora. Nessuno sapeva ilvero motivo della sua deformità. La sua vera identità non poteva essere rivelata, dato cheufficialmente era deceduto quasi un secolo prima. Ma il suo aspetto era così ripugnante che durante leudienze presso il Tribunale dell’Inquisizione appariva sempre con indosso la sua mascherad’argento. Anja era una giovane strega dalla carriera promettente nella Sorellanza. Era fidanzata conun capitano dell’esercito boemo che si era distinto nella guerra contro gli invasori ottomani. Siamavano molto, proprio come credete di amarvi voi. — Scoccò un’occhiata a Sebastian, poi spostòlo sguardo su di me. Quindi roteò la testa e tornò a incollare i suoi occhi foschi su quelli diSebastian. Gli strinsi forte la mano. Erzsebet continuò: — Nonostante l’alto lignaggio della suafamiglia imponesse una cerimonia ufficiale, Anja era così spaventata dalle attenzioni indesiderate diHeinrich che decise di sposarsi in segreto. In quei giorni, aveva appena scoperto di essere incinta.Ma Heinrich trovò il modo di corrompere il sagrestano e si presentò alle nozze, dove fece giustiziaretuo padre davanti agli occhi di Anja. Lei tentò la fuga per proteggere il frutto del suo amore perduto.Irritato dall’ennesimo rifiuto, Heinrich la fece catturare e condannare per stregoneria. Infine, la fecebruciare sul rogo, ma solo dopo averle fatto partorire suo figlio. Quel bambino eri tu, Sebastian.

— Stai mentendo — sbottò Sebastian.Erzsebet sorrise. — Non ti sei chiesto come mai ti è stato così facile infiltrarti nel Santuario?

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Prima che io facessi a pezzi gli incantesimi di Antonia, questo posto era così protetto che unInquisitore non avrebbe mai potuto metterci piede. Nessun Inquisitore, tranne te, avrebbe potutoentrare nel Santuario. Bruno, il tuo padre adottivo in questa tua seconda vita, l’aveva scoperto. Perquesto Heinrich l’ha fatto uccidere.

— Era questo che doveva dirmi Bruno prima di essere ucciso — pensai a voce alta. — Avevadetto: Sebastian non è chi credi che sia. Intendeva dire che non sei affatto un Inquisitore, ma unastrega!

— L’odio per colei che aveva osato respingerlo era così insaziabile che Heinrich decise di farcrescere il figlio di Anja tra le file di coloro che l’avevano condannata a morte — concluse Erzsebetcon la sua voce velenosa.

— Heinrich… ha distrutto la mia famiglia — mormorò Sebastian.— Il figlio di una strega al servizio della Santa Inquisizione… Heinrich ha fatto di te lo

sterminatore di streghe più forte e letale che sia mai esistito. Non sei né una strega né un Inquisitore,Sebastian. Per questo sei l’unico in grado di restituire a Heinrich la sua forma umana, l’unico capacedi trasmettergli l’essenza della Custode.

Mi accorsi che Sebastian aveva cominciato a tremare. — Perché dovremmo crederti? — gridai.— Sei solo un’assassina! Hai seviziato e ucciso centinaia di ragazze innocenti, nel tuo castello!

— Non erano affatto innocenti! — ruggì Erzsebet. — Nessuno lo è. Mi sono limitata a punirle perla loro disubbidienza, per la loro incapacità! Non avevano rispetto per il mio rango, si credevanomigliori di me soltanto perché erano giovani e arroganti. Rubavano l’argenteria della mia famiglia,passavano il tempo a sussurrare malignità alle mie spalle e a fornicare con i loro amanti. Nonavevano un minimo di gratitudine per me, che avevo concesso loro un tetto sotto cui dormire e unlavoro col quale dare un senso alla loro stupida vita. Dovevo punirle, capisci? Era l’unico modo perottenere il loro rispetto.

— Tu sei pazza…— È quello che sostenevano i miei accusatori, ma non c’è niente di più falso. Non ho mai fatto

nulla che non fosse nelle prerogative del mio titolo nobiliare. Ho fatto ciò che andava fatto perproteggere i miei figli e tutelare le proprietà della famiglia Bathory finché loro non fossero stati ingrado di amministrarle personalmente. Gli Inquisitori pretendevano che mi sottomettessi alla loroautorità, ma per me non esiste altra autorità che quella degli Antichi Dei.

— Evocare demoni tramite rituali sanguinari non è nelle prerogative di nessuna nobildonna.— Quando la smetterai di credere alle bugie della Sorellanza, Zoe? Tu sei parte di me, nelle tue

vene scorre il sangue più puro della razza delle streghe. — Si guardò intorno, come se un rumorel’avesse distratta, poi tornò a focalizzare l’attenzione su di me. — Ti ho osservato attraverso lospecchio nella tua stanza. Se solo potessi vederlo, il tuo sangue, così come lo vedo io, nella suaterribile bellezza. Posso vedere i segni del tuo vissuto, le emozioni che hai provato. Sento il velenodell’amore per lo sterminatore di streghe, il profumo del tuo potere.

Così dicendo, Erzsebet allungò una mano come per lasciarmi una carezza sul viso, ma Sebastian labloccò, intimandole: — Non toccarla!

Lei lo guardò meravigliata. — Sei molto protettivo nei suoi confronti. Niente male per uno chefino a poche ore fa aveva intenzione di ucciderla.

— Lasciali stare! — echeggiò una voce alle sue spalle.Non l’avevo sentita arrivare, come avveniva di solito con le Amazzoni. La sagoma di Nausica si

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ergeva minacciosa dietro Erzsebet, con la spada sguainata, in posizione di guardia. Il suo torace erastretto da una larga fasciatura per via della ferita ricevuta da Lucrezia. Il volto era pallido e provato.

— Andate — proseguì Nausica. — Gli altri si sono rifugiati nella biblioteca.— Cosa credi di fare con quella? — la canzonò Erzsebet, volgendosi verso di lei.— Ucciderti — sentenziò Nausica. Poi partì decisa con un affondo ma Erzsebet, con un semplice

movimento della mano, fece perdere consistenza al proprio corpo, e il colpo finì a vuoto. Erzsebet sidissolse in un attimo come un vento di tempesta, per poi riformare il suo corpo a un passo di distanzadalla sua assalitrice.

Nausica fece un passo indietro, prima di sferrare un altro attacco. Mi accorsi che dalla fasciaturasi stava espandendo una macchia di sangue. La ferita precedente doveva essersi riaperta per lo sforzodi brandire la spada.

— Non sei degna di impugnare quella spada — sibilò Erzsebet. — La sua lama dovrebbe essereal servizio delle streghe. Sei una traditrice.

— No — ribatté Nausica. — Sei tu ad aver tradito la Sorellanza. Non sei più una strega, contessaBathory. Ma qualcosa di diverso, più simile a un demone che a un essere umano.

Considerando che era ferita, Nausica era straordinariamente agile. Fece roteare la spada e tentòun fendente che però Erzsebet schivò con facilità.

— Non possiamo lasciarla sola — dissi a Sebastian. — Erzsebet la ucciderà!Nausica si rese conto che ero titubante e mi rivolse un’occhiata severa. — Non siate sciocchi,

fuggite! — gridò. — Tu sei la Custode, devi donare la speranza al tuo esercito impaurito, e guidaretutti fuori di qui. Sbrigatevi! — E si preparò a un nuovo attacco.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime. — Dobbiamo muoverci — sussurrò Sebastian. — O ilsacrificio di Nausica sarà vano. — Poi mi trascinò via.

Corremmo più forte che potevamo, senza voltarci indietro.

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La contessa nera

Arrivammo alla biblioteca col fiato spezzato e i polmoni in fiamme. Di fronte all’entrata erano statepredisposte delle barricate con alcuni tavoli rovesciati.

— Zoe! — sentii chiamare, dall’interno. — Entra, ti faccio spazio. — Era Sasha. Spostò uno deitavoli per farci passare. Di fianco a lei c’era Valentino. Si scambiarono uno sguardo di intesa e poisorrisero all’unisono.

— Ma allora… voi due… — balbettai.— È… complicato — disse Sasha.— Hanno fatto di tutto per separarci — ammise Valentino. — Le Amazzoni non hanno mai visto di

buon occhio la nostra relazione, anche per via dei miei… ehm… precedenti.— Con tutto quello che è successo, ho deciso che non permetterò mai più a nessuno di stabilire di

chi mi posso innamorare — disse Sasha.La abbracciai con forza, tirando un sospiro di sollievo. — Sono davvero contenta per te.— Sono felice di rivederti — disse Valentino. — Ho temuto che ti fosse successo qualcosa, anche

se Misha mi ha assicurato che stavi bene.— Dov’è Misha? — chiesi.— È con Sam, nella sala interna. Stanno pianificando una strategia di difesa.— Capisco. Ma temo che queste barricate saranno inutili. Ci vorrà ben altro per fermare Erzsebet.— Si tratta di creare un diversivo — ribatté Sasha. — Le insegnanti più anziane stanno cercando

di evocare una barriera psichica abbastanza forte per trattenere Erzsebet fuori di qui, mentre leAmazzoni si occupano di far evacuare il Santuario.

— Nella biblioteca c’è un passaggio che conduce ai tunnel sotterranei, da dove sarà più facileorganizzare una resistenza — aggiunse Valentino.

La cosa non mi stupì. Avevo già avuto modo di notare che la struttura del Santuario era quella diuna vera e propria roccaforte, e comprendeva un’infinità di passaggi segreti da utilizzare in caso diemergenza, un po’ come quello che avevo scoperto nella Stanza degli Arazzi.

— Cerca Sam — aggiunse Sasha. — Lei ti spiegherà tutto.Io e Sebastian percorremmo i corridoi della biblioteca finché non giungemmo nella sala

dov’erano raccolti tutti gli studenti. Tra i volti spaventati riconobbi alcuni compagni dei corsi diStoria e Tiro con l’arco.

Vedendo entrare Sebastian con ancora in mano i Caledvitke, Morgwen cacciò uno strilloallarmato. Merlino, che era appollaiato sulla sua spalla, sobbalzò e si mise a volare nervosamente,planando tra gli altissimi scaffali di libri e le statue di marmo che campeggiavano su alcuni angolidella stanza. Il buio era rischiarato dalla luce lunare che proveniva dalle grandi finestre e dipingevala sala di ombre spettrali.

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— Non aver paura! — rassicurai Morgwen. — Sebastian è dalla nostra parte.Sam le si avvicinò per tranquillizzarla. Mi accorsi che Misha era in disparte con alcune delle

Amazzoni, probabilmente stavano discutendo i dettagli del piano di fuga.— La situazione è critica — mi sussurrò Sam, attenta a non farsi sentire dagli altri. — Erzsebet si

è impossessata del corpo di Angelica, e niente sembra poterla fermare.— Lo so — ammisi, abbassando il capo. — L’ho incontrata nei corridoi. Nausica la sta

affrontando da sola per coprire la nostra ritirata.Sam scosse la testa in un moto di sconforto. Sapeva che Nausica non aveva speranze contro la

furia distruttrice di Erzsebet. — Che mi dici di Adelaide?— Temo che non ci sia più niente da fare per lei — dissi. — Erzsebet le ha teso una trappola, e io

e Sebastian ce la siamo cavata per un soffio. Purtroppo, abbiamo scoperto che anche Antonia è stataassassinata.

D’improvviso, la struttura fu attraversata da una violenta scossa che fece cadere a terra alcunilibri dagli scaffali più alti, e tra la folla si levò un urlo di sgomento.

— Erzsebet ha intenzione di distruggere il Santuario — disse Sam. — Ma non è ancora ilmomento di perderci d’animo.

— Terremo alta la fiaccola della speranza — ribattei. — Come ha sempre detto mamma.Sam si guardò intorno per un lungo istante, come per cercare le parole giuste. — Riguardo a tua

madre, ecco… — disse con voce incerta — c’è una cosa importante di cui ti devo parlare.Tuttavia, non le diedi l’attenzione necessaria. Mi ero appena resa conto che in un angolo c’era

Syara e, al suo fianco, seduta in disparte con la schiena appoggiata a un cumulo di libri, Ligea.Sgranai gli occhi, meravigliata e sollevata nel vedere che era sana e salva, e corsi verso di lei.

Quando Ligea si accorse di me, spalancò la bocca e sgranò un ampio sorriso. — Zoe! — gridò.La abbracciai forte, come se a separarci fosse stato un anno intero, mentre erano passati solo

pochi giorni.— Ho avuto tanta paura! — esclamò Ligea. — Il soffitto della mia stanza è crollato, ma per

fortuna Syara è venuta a salvarmi.— Sono felice di vedere che stai bene.— Hai ricevuto il mio regalo? — mi chiese.— Sì — risposi. — Mi ha aiutato in un momento difficile.Ligea mi rivolse uno sguardo complice. — E… hai ritrovato il tuo amore?Mi limitai ad annuire, sorridendo.Lei stropicciò le labbra e rivolse un’occhiata curiosa verso Sebastian, che nel frattempo ci aveva

raggiunto. — Adam?— Sebastian — la corresse lui.Ligea corrugò la fronte e sembrò studiarlo per un lungo istante, poi concluse: — Sembri un tipo a

posto.Lui si schermì con un sorriso. — Anche tu — e fece per tenderle la mano.— Non è il momento delle presentazioni — dissi per togliere Ligea d’impiccio. Non volevo che

facesse del male a Sebastian, né costringerla ad arretrare per l’ennesima volta di fronte a un tentativodi contatto.

Sebastian mi guardò con aria interrogativa e gli sussurrai all’orecchio: — Poi ti spiego.Finalmente, Misha ci raggiunse. Dopo un lungo abbraccio silenzioso, mi disse che era tutto pronto

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per l’evacuazione del Santuario. — Non ci resta che dare inizio alle danze — disse.Scambiò qualche parola con Syara, poi fu lei a mettersi di fronte alla folla e annunciare: —

Divideremo i ragazzi in gruppi di dieci persone. Per ogni gruppo sarà nominato un capogruppo cheavrà la responsabilità di controllare che nessuno rimanga indietro. È assolutamente necessario, inquesta fase, che tutti eseguano le istruzioni alla lettera e con la massima calma.

Vidi che le insegnanti anziane erano riunite in cerchio e si tenevano per mano, tentando di evocarela barriera psichica che doveva proteggere la nostra fuga. Mi chiesi se sarebbero state in grado disuperare le barriere magiche che, anche se indebolite sotto la furia di Erzsebet, ancora impedivano dicompiere incantesimi.

Tutto sembrava predisposto per la fuga dal Santuario, e ognuno si stava impegnando perché,nonostante la situazione fosse disperata, andasse tutto per il meglio. Ma niente andò come previsto.

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La cura

Syara si diresse con sicurezza verso lo spazio della parete lasciato libero dalle scaffalature, su cuiera dipinta una composizione floreale. Fece scorrere le dita fino a fermarle in corrispondenza di uniris blu, poi lo ruotò con decisione. Il clic di un meccanismo precedette l’apertura di un passaggioalla base dell’affresco. Syara spinse con forza la porta di pietra per liberare l’ingresso, poi iniziò aimpartire disposizioni ai gruppi.

Un’Amazzone faceva da guida, e dovette mettersi quasi in ginocchio per riuscire a infiltrarsinell’angusto passaggio, infine, uno dopo l’altro, i primi gruppi di ragazzi la seguirono.

D’un tratto, un fastidioso ronzio mi esplose nella testa. Mi portai le mani alle orecchie come seaiutasse a scacciarlo, ma non c’era niente da fare. Poi il pavimento e i muri iniziarono a tremare concigolii sinistri e mi sembrò di essere nel mezzo di un terremoto. Una corrente d’aria si insinuò nellastanza, e seppi che Erzsebet stava arrivando.

Morgwen si chinò per entrare nel passaggio, seguendo il suo gruppo, ma Merlino fu sbalzato viadalla sua spalla da una folata di vento che proveniva dal nulla. Il volatile cercò di rialzarsi eraggiungere la sua strega, ma in quel momento un crollo chiuse l’ingresso del passaggio. Rimastabloccata dall’altro lato, sentii Morgwen che urlava: — Merlino!

— Mettetevi in salvo! — gridai, mentre Merlino spiccava il volo e iniziava a volteggiare sopra lenostre teste.

Sam la rassicurò: — Andate! Non permetteremo che gli succeda niente di male!— In qualche modo ce la caveremo — disse Misha.Annuii, ma ero la prima a non crederci. Soprattutto ora che con circa la metà degli studenti ero

rimasta bloccata nella biblioteca senza alcuna possibilità di fuggire.Improvvisamente, i tremori cessarono. Il vento aumentò di intensità e nel vento si incuneava il

suono graffiante di una voce roca, l’urlo deformato di Erzsebet Bathory.Ligea si raggomitolò nel suo angolo, con gli occhi sbarrati. Nella sala si diffuse il panico, alcuni

ragazzi tentarono di rimuovere le macerie dal passaggio, altri si precipitarono verso le barricate,cercando una via d’uscita. Ma a sbarrarla era comparsa Anna Darvulia.

Sembrava più alta dall’ultima volta che l’avevo incontrata, e i capelli fluttuavano nell’aria comese si trovasse sott’acqua. Notai che il suo corpo era circondato da un alone luminoso rossastro. Capiiil motivo per cui sembrava più alta quando vidi che i suoi piedi erano staccati da terra. Si muoveva apochi centimetri dal pavimento, come se non avesse peso. Il suo arrivo coincise con il cessare delronzio che mi torturava.

Sasha le si parò davanti, puntando la spada. — Fermati! — le intimò.— Togliti di mezzo, Amazzone — sibilò Anna. — Vogliamo la Custode, e soltanto lei.— Dovrai passare sul mio cadavere — ringhiò Sebastian, posizionandosi alla mia destra, coi

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Caledvitke stretti nei pugni.Misha prese posto alla mia sinistra. — Anche sul mio.Il vento che imperversava nella stanza si dissolse, e tutta la corrente andò a convergere in un punto

di fronte all’ingresso, componendo la figura di Erzsebet, come se lei stessa fosse stata parte del ventoche ululava nella sala. La contessa si era appropriata del corpo di Angelica, e lo sguardo crudele sulsuo volto non aveva niente della ragazza che conoscevo.

Le insegnanti anziane continuavano a tentare di evocare protezioni psichiche, ma senza successo.Eseguendo una serie di gesti calibrati, Erzsebet fece spalancare il pavimento sotto i loro piedi,aprendo un vortice nero che le inghiottì. Per Erzsebet, che aveva contribuito a innalzare le barrieremagiche, era un gioco da ragazzi superarle.

Erzsebet mi guardò intensamente. Era a pochi metri di distanza. Il suo sussurro mi vibrava nellamente come una motosega. — Unisciti a me, Zoe.

— Vattene, Erzsebet — disse Sasha. — Hai avuto la tua vendetta. Ora lasciaci in pace.Erzsebet fece un cenno della mano e Sasha venne sbalzata via, sbattendo contro una libreria e

facendo crollare a terra alcuni dei libri che custodiva. Sasha si rialzò immediatamente, assumendo laposizione di guardia. Ora capivo bene quanto fossero fondate le dicerie sul valore delle Amazzoni inbattaglia. Erano davvero guerriere indomite, e non retrocedevano nemmeno di fronte a morte certa.Proprio come Nausica, Sasha sembrava determinata a combattere fino alla fine. Anna Darvulia simosse nella sua direzione, minacciosa. Syara si avvicinò, brandendo anche lei la sua spada verso ildemone.

— Io vi avverto, streghe, Amazzoni e creature del crepuscolo — sentenziò Erzsebet. — Nonopponete resistenza, o verrete sterminate. È la Custode che voglio, e farò a pezzi chiunque sifrapponga tra me e lei.

Erzsebet mi guardò con attenzione, tendendomi la mano. — Andiamo, Zoe. Il tuo posto è al miofianco — disse. — Unisciti a me. Con l’aiuto dei demoni, stabiliremo finalmente la superiorità delsangue delle streghe.

Sostenendo il suo sguardo, scossi la testa con forza. — No — affermai. — Non mi unirò mai a te.Non farò del male a un altro essere umano per soddisfare la sete di potere. A differenza di te, non micompiaccio della sofferenza altrui.

La bocca di Erzsebet si corrugò in una smorfia di fastidio. — Darvulia ha ragione. Non sei degnadel grande Dono che hai ricevuto.

Anna, che aveva raggiunto Sasha, fece un rapido movimento del polso e nella mano si materializzòuna frusta luminescente, che sembrava formata da infiniti filamenti di fuoco intrecciati insieme. Annala fece schioccare ripetutamente contro il pavimento, poi sferrò una serie di attacchi a Sasha,colpendola all’addome e alle gambe e provocando lacerazioni alla divisa.

Sasha non si fece intimorire, con dei saltelli laterali riuscì a schivare le successive frustate diAnna. Poi tentò una serie di affondi, ma Anna era velocissima, colpirla sembrava impossibile. La suapareva una danza mortale che presto coinvolse anche Misha e Syara.

— Ciò che avrai è giada e ferro piantati nel cuore, Erzsebet — minacciò Sebastian.— Non hai ancora perso la tua arroganza, giovane sterminatore di streghe? — ribatté lei.Sebastian vinse la distanza che li separava e le puntò contro i suoi pugnali. — Non mi fai paura,

contessa Bathory. Ho affrontato streghe ben più pericolose di te.— Ma io non sono affatto pericolosa — disse lei. — Io rivendico la superiorità della nostra

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razza. E ho intenzione di punire severamente chiunque si opponga all’inevitabile ascesa delle streghe.— Spostò lo sguardo sui Caledvitke di Sebastian, che si trasformarono all’istante in due serpenti asonagli che si contorcevano e sibilavano. Istintivamente, lui li lasciò cadere a terra. I due serpenti sidisposero ai lati di Erzsebet, continuando ad agitare i loro sonagli, come se da un momento all’altrofossero pronti a sferrare un attacco mortale.

— Senza le vostre lame non siete niente, voi Inquisitori — sibilò Erzsebet.— Ti sbagli, Erzsebet. La forza di un uomo non si misura dalle armi che impugna, ma dal suo

coraggio.— Non sai nemmeno più chi sei — ribatté lei, beffarda. — Cosa penserebbe tua madre, sapendo

che hai servito i suoi assassini?— Sono un uomo che difenderà la sua donna fino alla morte — affermò Sebastian.— E allora preparati a morire. — Erzsebet aprì il palmo della mano, da cui si sprigionò una luce

d’acciaio.— Lascialo stare! — esplosi. Ma era tardi. Un’ondata d’aria gelida proiettò Sebastian contro una

colonna. L’urto fu violentissimo, al punto da far tremare l’intera biblioteca.Con una piccola lama, Sam si incise una ferita sulla mano e fece scorrere abbastanza sangue per

tracciare un simbolo runico sul muro. Sapevo che stava cercando di attivare un incantesimo perallontanare la presenza di Erzsebet, ma non funzionò. Vedendo quello che stava facendo, Erzsebetrise. — Quei giochi di prestigio non funzionano con me.

Sebastian si rialzò immediatamente e corse incontro a Erzsebet come per cercare uno scontrocorpo a corpo. Ma non riuscì ad avvicinarsi abbastanza, e con un semplice gesto Erzsebet lo scagliòaddosso a una libreria di legno massiccio.

— Cos’hai intenzione di fare, Sebastian? — ringhiò Erzsebet. — Non riesci neppure a stare inpiedi!

Nonostante fosse evidente che gli costava fatica, Sebastian si rialzò. Il viso era pieno di tagli e daun lato della bocca colava una lacrima di sangue. Afferrò da terra un candelabro di ferro. — Tisconfiggerò, Erzsebet. Dovesse essere l’ultima cosa che faccio.

— Ti prego, Sebastian, no! — urlai.Ma lui continuava ad avanzare in direzione di Erzsebet, brandendo il candelabro come un’arma.

Sapevo che il ferro era in grado di bloccare il Dono, ma avrebbe funzionato con una strega potentecome Erzsebet?

— Stai cominciando ad annoiarmi — sentenziò lei. Agitò le braccia e si dissolse come aria di unatempesta, trasportandosi a un passo da lui. Scatenò intorno a sé vortici così impetuosi da faresplodere i vetri di tutte le finestre, e proiettare ogni oggetto presente nella stanza lungo traiettorieimprevedibili. Merlino volteggiava nello spazio della biblioteca, sempre più agitato.

Sebastian cercò di colpire Erzsebet con un fendente, ma lei riuscì a bloccarlo. Poi lo afferrò per ilcollo con tanta forza da sollevarlo da terra. Sebastian non riusciva a respirare. Il suo volto eracontratto, arrossato per la mancanza di ossigeno. Riuscì a caricare un calcio che la colpì a unagamba, facendola crollare a terra, poi rotolò sul pavimento e si mosse lateralmente, pronto a tentareun nuovo attacco.

Lei non riuscì a schivare il suo affondo, ma bloccò il ferro con le mani a un centimetrodall’addome. Un’espressione di dolore comparve sul suo volto. Le mani di Erzsebet emettevano unrivolo di fumo, come se il ferro che stava stringendo fosse rovente.

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Facendo leva coi piedi, Sebastian cercò di vincere la resistenza di Erzsebet. Le braccia di leicominciarono a tremare. Poi, echeggiò lo scocco di una frusta.

Il torace di Sebastian fu sferzato violentemente dall’arma di Darvulia e il candelabro gli caddedalle mani.

Erzsebet ne approfittò per compiere una magia che sbalzò via Sebastian e gli fece sbattere la testacontro lo spigolo di un tavolo. Il suo corpo si accasciò sul pavimento. — Nooo! — gridai.

Estrassi il mio athame. Lo puntai verso Erzsebet, ma la mano mi tremava. Non volevo permetterledi fare ancora del male a Sebastian, ma di fronte a me c’era pur sempre Angelica, anche se non erosicura di quanto di lei fosse rimasto ancora, all’interno del suo corpo. Forse la sua anima eraimprigionata nel profondo, ostaggio dello spirito vendicativo della contessa Bathory.

Sam mi incalzò: — Puoi farcela, Zoe! Solo tu puoi superare le barriere magiche del Santuario,proprio come hai fatto in Riabilitazione!

Sapevo di potercela fare. Ero stata persino in grado di evocare le fee, per fuggire dall’ufficio diAdelaide. Ora avrei voluto evocare un pentacolo di protezione, imprigionare Erzsebet anche solomomentaneamente per guadagnare un po’ di tempo, riorganizzare le forze, decidere una strategia. Mala mia mente si era di colpo svuotata. Ero esitante, incerta. Se davvero la magia si fa con leintenzioni, le certezze dentro di me cominciavano a vacillare. La verità è che sapevo di aver fatto delmale ad Angelica e ora avevo degli scrupoli a fargliene di nuovo. Non importava se ora dentro il suocorpo ci fosse lo spirito di Erzsebet, continuavo a vedere in lei la ragazza tormentata che aveva avutobisogno di me, ma io non c’ero stata.

Muovendosi alla velocità del vento Erzsebet mi piombò addosso, bloccandomi le braccia espalancando le fauci come un predatore pronto a fare strazio della sua preda.

Merlino volò in picchiata per aggredirla, ma a lei bastò un gesto della mano per colpirlo con unfulmine che partiva dal suo palmo. Merlino venne sbalzato lontano, contro una parete.

— Se non vuoi unirti alla mia causa, allora berrò il tuo sangue, Custode — sibilò Erzsebet. —Divorerò la tua anima e diventerò più forte di qualsiasi divinità abbia mai camminato sulla Terra.

Misha cercò di accorrere in mio soccorso, ma Erzsebet lo tenne immobilizzato a distanzascoccandogli una sola occhiata. Era capace di sviluppare enormi quantità di potere magico con gestiapparentemente innocui. La sua forza psichica era immensa. È finita, pensai. Tutto è perduto.

— Nooo! — echeggiò alle mie spalle. — Non toccare Zoe! — Erzsebet si distrasse quel tanto chebastava per permettermi di sottrarmi alla sua presa.

Con immenso stupore, mi resi conto che si trattava di Ligea. In fondo ai suoi occhi brillava unimpulso feroce che non avevo mai visto.

— Scappa, Ligea! — urlai d’istinto. Pensai che Erzsebet non si sarebbe fermata nemmeno difronte a una bambina. Temevo che l’avrebbe uccisa senza pietà.

Ma Ligea continuava ad avanzare, con le braccia protese verso la contessa, e le sue mani stavanoemanando onde psichiche che deformavano lo spazio intorno a sé. Solo allora capii che il suo potereera fuori controllo.

— Non. Toccare. Zoe — disse rabbiosa.Per un attimo, Erzsebet sembrò sorpresa. Ma, subito dopo, vidi dipingersi sul suo viso una

smorfia di sofferenza.Le sue vene si fecero più spesse, assunsero un colore scuro, e lei cominciò a contorcersi, scossa

da violenti spasmi. Poi, Erzsebet lanciò un urlo disperato, proprio come una belva colpita a morte, si

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immobilizzò e crollò a terra.Corsi ad abbracciare Ligea. La sua espressione era distaccata, come se non si fosse resa conto di

quello che era appena successo.— Va tutto bene — le sussurrai.— Mia signora! — L’espressione di Anna Darvulia assunse per la prima volta una connotazione

di umana disperazione. Poi si voltò verso Ligea. — Tu… abominio dai capelli azzurri… pagheraiper quello che hai fatto — abbaiò.

Con la coda dell’occhio, vidi che Valentino era comparso alle sue spalle. In mano stringeva unframmento di legno che doveva aver staccato da una delle librerie. Come se si trattasse di una lanciaimprovvisata, lo conficcò nella schiena di Darvulia, trafiggendola.

Darvulia vacillò per un pugno di istanti. Sembrava incredula. Poi, tra urla agghiaccianti, il suocorpo prese fuoco in un’improvvisa, spontanea combustione.

— Si dice che il cuore dei demoni sia a destra — mormorò Valentino, come se stesse pensando avoce alta. — Ora ne ho avuto la conferma.

Crollando a terra, Darvulia urtò una delle librerie, appiccando il fuoco agli antichi libri checonteneva.

Corsi per aiutare Sebastian a rialzarsi. — Tutto bene? — gli chiesi.— Sì — rispose, accarezzandosi la nuca. Stava sanguinandoSam ci incalzò: — Il fuoco si sta propagando rapidamente! Non c’è tempo da perdere!— Andiamocene da qui — dissi.Sgranai gli occhi nel rendermi conto che nel punto in cui era precipitato Merlino c’era adesso un

ragazzo dai capelli e gli occhi corvini. Aveva i lineamenti aguzzi e il corpo era un fascio di nervi.Tossicchiò un paio di volte poi si alzò, dolorante. Stentavo a crederci, ma l’incantesimo di Erzsebetaveva avuto come controindicazione quella di restituirgli il suo aspetto umano.

Fummo raggiunti da Misha. Nel giro di pochissimo le fiamme si erano estese in tutta la sala. Conl’aiuto di Syara, riuscimmo a rimuovere le barricate e far uscire in corridoio i ragazzi che eranorimasti intrappolati con noi. Quando fummo tutti in salvo, sentii una voce debole proveniredall’interno.

— A-aiuto… — Era a malapena udibile, tra il crepitare delle fiamme.— Angelica! — chiamai.— Qualcuno mi aiuti — replicò lei.Stavo per andare a prenderla, quando Misha mi fermò. — Ci penso io — disse. Poi si tolse la

maglietta di dosso e se la mise sopra la testa, come un cappuccio improvvisato per formare unaprotezione contro il fumo.

Il cuore perse un battito quando lo vidi infilarsi nella biblioteca in fiamme.Passarono dei secondi che durarono un’eternità.Poi, finalmente, tirai un sospiro di sollievo nel vederlo tornare, con tracce di bruciatura sul petto e

la pelle coperta di fuliggine. Stringeva Angelica tra le braccia.Angelica tirò un debole sorriso. Era di nuovo lei. Il potere di Ligea, in qualche modo, aveva

cacciato dal suo corpo l’anima di Erzsebet, lasciandola incolume.

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La diavolessa delle nevi

L’alba stava sorgendo quando io e Sebastian ci sedemmo sulla spiaggia in riva al lago. L’incendiodella biblioteca si era propagato nel resto dell’edificio e fin dalla nostra posizione si udiva ilcrepitio delle fiamme oltre le mura. Le pareti del Santuario stavano bruciando, e mi sembrava disentire i lamenti della pietra echeggiare nell’aria. Il baluardo di un antico potere si stava sgretolandocome la fine di un sogno.

Fortunatamente, tutti i ragazzi che avevano trovato rifugio nei sotterranei prima che Erzsebetbloccasse il passaggio erano riusciti a uscire dalla struttura, guidati da Sam e dalle Amazzoni, e ora,divisi in gruppetti sparuti, sembravano i sopravvissuti a un cataclisma.

Mi abbracciai stretta a Sebastian, assaporando il suo profumo. Poggiai la mano sui suoi pettoraliscolpiti, lui intrecciò le dita alle ciocche ribelli dei miei capelli. Con le labbra percorsi la linea deisuoi zigomi definiti, mescolando il mio respiro al suo. Ci baciammo mentre il sole nascente facevabrillare le acque del lago.

— Sei ancora arrabbiata perché ho letto la tua lettera? — fece lui.Scossi la testa, sorridendo. — No. Ma non provare a farlo di nuovo — e finsi di dargli un pugno

alla spalla. Poi mi alzai di scatto, accarezzando la mano con cui lui stava cercando di trattenermi.Raggiunsi Sam, che stava immergendo i piedi nella battigia.— È stata una lunga notte — pensai a voce alta.— Già — bofonchiò Sam. Poi, guardandomi di sottecchi, tirò un sorriso storto. — Cos’hai

intenzione di fare, adesso?— Non me ne andrò in sella al destriero di metallo del mio principe in nero, se è questo che

intendi — e persi lo sguardo sulla superficie dell’acqua che rifletteva le sagome degli albericircostanti. — Il mio progetto più immediato è trovare una caffetteria decente. Non hai idea di quantomi manchi il Bloody Mary.

— Anche a me — ammise Sam.Seguì un breve silenzio imbarazzato. Poi mi decisi a chiedere: — Allora, cosa mi dovevi dire

riguardo a mia madre?Lei prese un respiro profondo. — Ricordi la foto che hai trovato nello schedario? — ribatté.— Certo. Spero di poterla recuperare, quando l’incendio sarà stato domato.Sam proseguì: — È stata scattata proprio qui, in questa spiaggia.Volsi lo sguardo in direzione delle rovine dell’acquedotto romano. — Lo immaginavo.— Adelaide mi ha detto che aveva diciassette anni, Sofia, quando si è rifugiata al Santuario. È

accaduto dopo un viaggio in Irlanda. È venuta qui per affrontare una difficile gravidanza.— C-che cosa? — balbettai.Sam si guardò intorno per un lungo istante. — Eviterò di fare dei giri di parole. È giusto che tu

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sappia la verità. Tua madre era rimasta incinta di un giovane che si chiamava Ian — disse a vocebassa. — Non sapeva che Ian era figlio di Nudens, il dio cacciatore. E portare in grembo il figlio diun semidio è causa di un’infinità di complicazioni. Purtroppo Ian si disinteressò della cosa ma perfortuna, grazie all’esperienza di Adelaide, andò tutto bene.

— Oh, Dea! Questo significa che ho un… fratello? — chiesi, incredula.— Una sorella, per l’esattezza — disse Syara, che nel frattempo si era avvicinata a noi. I suoi

occhi color zafferano scintillavano di riflessi vivaci.La guardai con aria meravigliata. — Mamma non me ne ha mai parlato…— A quell’epoca era giovane e irrequieta — ammise Sam. — Sofia temeva di non essere in grado

di prendersi cura della sua bambina, così Syara venne data in affidamento alle Amazzoni. Sofia sipentì immediatamente di quello che aveva fatto e cercò di riavere la sua bambina, ma…

— Quando una bambina viene affidata alle Amazzoni, la madre perde ogni diritto su di lei — lainterruppi.

— Proprio così — affermò Syara. — Ho scoperto la verità per caso qualche tempo fa. Ero statagravemente ferita durante uno scontro con gli Inquisitori e avevo bisogno di una trasfusione, ma nonsi trovava un donatore compatibile, perché ho il sangue di una strega e di un semidio. Messa allestrette, Adelaide ha dovuto confessarmi la verità. Quando ti ho incontrato per la prima volta inRiabilitazione e ho visto i tuoi occhi…

— Hai sentito che qualcosa ci legava — affermai. — È successo anche a me.Sam continuò: — Quando Sofia si è trasferita a Milano e ha conosciuto tuo padre, ha deciso di

ricominciare tutto da capo. Non dev’essere stato facile tornare ad amare dopo un’esperienza delgenere, che l’aveva segnata profondamente. Al punto che qualche anno dopo ha preso la decisione didistaccarsi dalla Sorellanza. Sofia sosteneva che la sua scelta, per quanto sofferta, era necessaria perproteggere la sua famiglia. Abbiamo avuto delle accese discussioni al riguardo, io e lei, perché nonriuscivo a comprendere le sue motivazioni. Ora è tutto molto più chiaro.

— Non riesco a immaginare mamma come una persona irrequieta — dissi.— Be’, da qualcuno dovrai aver ereditato il carattere — ammiccò Syara.Mi sforzai di sorridere. — C’è stato un periodo della mia vita, quando ero una bambina, in cui

credevo che la mia famiglia fosse perfetta. E invece c’erano così tanti segreti… — mormorai. —Scoprire di essere una strega ha sconvolto la mia vita per sempre. E ora… — Rivolsi gli occhi versoil lago, prima di tornare su quelli di Syara. Erano così simili ai miei che non faticavo a credere cheSam avesse detto la verità. — Scusami, Syara, se ti sembro fredda. È solo che… mi sentoterribilmente confusa. All’improvviso è come se non sapessi più chi sono.

— Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno — ribatté lei, rivolgendomi uno sguardo pieno dicomprensione. — Certi cambiamenti hanno bisogno di essere assimilati senza fretta. Ma sappi che ioci sarò per te. Sempre.

— D’accordo — dissi. Le voltai le spalle. Mi allontanai di un passo, poi mi immobilizzai.No, Syara non meritava la mia diffidenza. Era il momento di lasciare indietro la caratteristica che

aveva contribuito ad alimentare la mia solitudine. Mi girai di scatto e la abbracciai con impeto,stringendo forte. Una lacrima mi si staccò dalle ciglia.

Rimanemmo a lungo in silenzio. Poi fui io a farle una domanda. — Adelaide è morta. Cosasuccederà ora che il Santuario è stato distrutto?

— Non è la prima volta che il Santuario viene ricostruito — rispose lei. — Finché ci saranno

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streghe che hanno bisogno di un rifugio, il Santuario continuerà a esistere.Annuii con un cenno del capo. Poco distante da noi, Valentino stava aiutando Sasha a medicare le

ferite, all’ombra di un albero dalle ampie fronde che riparava la sua pelle di alabastro dalla luce delsole sempre più abbagliante.

Morgwen stava abbracciando Merlino, come un amico ritrovato dopo una lunga separazione.Misha mi si avvicinò. — Sei stata magnifica, Zoe.— Ma che dici… — ribattei, mordendomi le labbra.— Dico sul serio.— Anche se per colpa mia sei morto?Si strinse nelle spalle. — La morte non mi fa paura se sei al mio fianco. Sono orgoglioso di essere

il tuo famiglio.Distolsi lo sguardo, improvvisamente imbarazzata. — Non stai cercando di lusingarmi per una

dose extra di crocchette, vero?Lui mi scompigliò i capelli. — Certo che no. Anche se quelle del discount non sono proprio il

massimo.— Anch’io sono fiera di te — ammisi. — Sei il miglior furetto che avrei potuto desiderare.Misha prese un ampio respiro, prima di dire: — Credo che Angelica abbia bisogno di te.Lo guardai meravigliata. Credevo di essere l’unica persona che Angelica non volesse vedere in

questo momento. — Ancora una cosa… — dissi.Lui alzò un sopracciglio, forse aspettandosi il peggio.— Non ti lascerò più a cavartela da solo — conclusi.— Ci conto. — Sorrise, e si passò le dita nei capelli neri dalle striature bianche. Poi prese le mie

mani e le strinse forte, tirandomi a sé. Per un secondo fummo così vicini che avvertii il calore dellasua pelle. Avvicinò le labbra al mio viso, fino ad appoggiarle sulla guancia, pericolosamente vicinoalla bocca, al punto che sentii le gote in fiamme.

Quando raggiunsi Angelica, la trovai seduta sul bagnasciuga con in mano il ciondolo che le avevovisto molte volte al collo.

— Come stai? — le chiesi.Lei scosse la testa. — Ricordo tutto, sai? — disse con un filo di voce. — Ogni cosa che Erzsebet

faceva o diceva è rimasta stampata nella mia mente. Ho capito con chiarezza cosa significa lasciarsidominare dall’odio. Sfruttare la magia per il proprio tornaconto ti rende davvero più simile a undemone che a un essere umano. E non c’era più nulla di umano dentro di lei. So che Erzsebet si èsoltanto servita del mio corpo per compiere la sua vendetta, ma è stato come se fossi io a farequelle… cose terribili. Ero come imprigionata in un abisso, senza avere la possibilità di oppormi.Assistere alla follia distruttiva di Erzsebet è stato devastante. La mia anima era lì dentro, da qualcheparte, e ho avuto così tanta paura che non so come farò a dimenticare, a superare tutto questo, aconvivere con ricordi così spaventosi.

— Non sei sola — riuscii a ribattere. — Non più. — Cercai il contatto con la sua mano e lelasciai una carezza sul dorso. — Scusami se non ci sono stata quando hai avuto bisogno di me.

— Non dirlo. Sono io quella che deve chiedere scusa. Ti ho tenuto a distanza, e più cercavi diavvicinarti più diventavo scostante. È solo che… — Alzò gli occhi al cielo, come per cercare leparole. — Ero invidiosa di te. Ecco, l’ho detto. Mi sembrava che tu avessi tutto. Eri circondata da

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persone che ti amavano, avevi una vita piena di opportunità. — Deglutì rumorosamente. — AveviMisha — aggiunse. — E io? Il vuoto assoluto.

— Viste dall’esterno le vite degli altri sembrano sempre migliori della nostra.Angelica annuì. Il viso era rigato di lacrime, le labbra le tremavano. — Quando ero piccola,

avevo una tata che si chiamava Viviana — disse. — Era una donna piccola e buffa, ma con un grandecuore. È stata l’ultima persona da cui mi sono fatta avvicinare. — Si inumidì le labbra. — Mentremia madre era troppo occupata con le sfilate, il jet-set e la carriera di modella, era Viviana che miraccontava una fiaba per farmi addormentare, era lei che mi preparava la colazione prima diaccompagnarmi a scuola. Questo ciondolo è l’unica cosa che mi rimane in suo ricordo. — Losoppesò tra le dita per un lungo istante. — Ma credo sia giunto il momento di separarmene.

— Perché dovresti farlo? — le chiesi.— Credo di averlo conservato perché rifiutavo l’idea che se ne fosse andata, che mi avesse

piantato in asso come hanno sempre fatto tutti quanti. Forse è perché non l’ho mai lasciata davveroandare che non riesco ad allacciare legami con gli altri. Non volevo farmi una ragione di aver persol’unica persona da cui mi sentivo compresa.

— Cosa le è successo?Angelica si schiarì la voce. — Un giorno si presentò nella mia cameretta con un meraviglioso

gattino bianco. Ricordo che era circa metà febbraio, e mi trovavo in vacanza in montagna, dove miopadre aveva una casa. Per diversi giorni, quel gattino riuscì quasi a farmi perdere interesse nellepiste da sci. Ero piuttosto brava, sai? Viviana mi chiamava “la diavolessa delle nevi”. Unsoprannome divertente, no?

— Be’, una bella ironia per una ragazza che si chiama Angelica.— Aveva un discreto senso dell’umorismo, Viviana — ammise, tirando un sorriso che sembrò

costarle fatica. — Comunque, il gattino l’avevo chiamato Snow. Era diffidente con gli estranei, maera incredibilmente affettuoso e protettivo con me. E ti assicuro che quando gli parlavo sembravapotesse capirmi. Ma forse era solo l’impressione di una bambina troppo timida e insicura per fareamicizia.

Non riuscii a trattenere un’espressione sorpresa. E se Snow fosse stato il suo famiglio? Ricordoche quando avevo trovato Nosferatu avevo pensato la stessa cosa: il buon senso suggeriva che sitrattava soltanto di un furetto, ma avevo la netta impressione che, invece, potesse davvero capirmi.Ne avevo avuto la conferma quando si era trasformato per la prima volta in Misha. Forse Angelica loaveva trovato, il suo famiglio. Ma era successo qualcosa che li aveva separati.

— Un giorno, nonostante il parere contrario di Viviana, andai a sciare fuori pista — continuò. —Sono sempre stata testarda, ma vorrei tanto che in quell’occasione Viviana fosse stata più autoritaria.Il fatto è che alcuni ragazzini più grandi mi avevano preso in giro. Dicevano che non ero abbastanzacoraggiosa per stare al passo con i loro snowboard, e mi avevano sfidato a seguirli in mezzo albosco. Io, che ero abituata alle piste battute, durante la discesa finii per perderli di vista. Poi, l’urtocon una roccia sporgente mi fece sbalzare contro un abete e mi ruppi una gamba. Non riuscivo adalzarmi, figuriamoci a camminare. E in quella situazione, in cui ero sola e indifesa in mezzo allaneve, mi venne in mente una frase che Viviana diceva sempre: Temi il bosco quanto il peggiore deituoi incubi. Secondo lei nei boschi vivono creature dimenticate dalla civiltà. Creature malvagie chepossono esigere un pegno molto alto per lasciare andare le bambine disattente che finivano nelle lorogrinfie. — Per un attimo, perse lo sguardo sulla placida superficie del lago. Poi proseguì: — Tentai

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di usare il cellulare, ma non c’era campo. Ricordo che urlai, e piansi, e invocai aiuto. Ma per orenessuno venne in mio soccorso. Cominciò a nevicare, e pensai che ero spacciata. Finché non udii ilmiagolare insistente di Snow, poco lontano da me.

Sgranai gli occhi. Allora era vero. Snow era il suo famiglio. Aveva avvertito il richiamo della suastrega in un momento in cui si trovava in difficoltà.

— Non ci potevo credere — disse Angelica. — E con lui c’era Viviana, con ai piedi delleridicole racchette per camminare in mezzo alla neve alta. Se non fossi stata praticamente assiderata,penso che sarei scoppiata a ridere. Ma stavo troppo male anche solo per farci caso. La cosa pazzescaè che Snow l’aveva guidata fino a me. Non chiedermi come sia stato possibile, Snow non era un caneaddestrato al salvataggio. Era soltanto un piccolo, dolcissimo gattino bianco dagli occhi blu. Ma senon fosse stato per lui, probabilmente sarei morta quel giorno.

Ebbi la tentazione di parlarle dei miei sospetti circa la vera natura di Snow, ma decisi che eraopportuno attendere il termine del racconto. — Come finisce la storia? — le chiesi.

— Viviana mi disse che nello stato in cui mi trovavo non era possibile trasportarmi a valle e seandò, promettendomi che avrebbe chiamato i soccorsi non appena avesse raggiunto una zona in cui cifosse segnale per il cellulare. Mi lasciò il ciondolo che portava al collo, raccomandandomi di nonperderlo mai. — Angelica deglutì a fatica. — Strinsi forte Snow, e nonostante fosse così piccolo egracile ebbi l’impressione che la sua vicinanza potesse scaldarmi. Circa un’ora dopo sentii il rumoredi un elicottero di soccorso che sorvolava la zona. Viviana aveva mantenuto la sua promessa. Ma dalì in poi, la mia memoria è confusa. — Si passò la mano sui capelli corti della nuca, e inclinò la testada un lato. — Ricordo un uomo in divisa che mi rassicurava, insistendo che sarebbe andato tuttobene, ma devo essere svenuta. Al risveglio mi trovavo in ospedale, e di Snow non c’era nessunatraccia. Non lo rividi mai più. Immaginai che fosse fuggito via, forse spaventato dai rumoridell’elicottero. Non rividi nemmeno Viviana. Fu aperta un’indagine sulla sua scomparsa, ma non siseppe più nulla di lei. Era come se fosse stata inghiottita dal bosco.

— È terribile — mi sfuggì.Angelica sembrò non prestarmi attenzione. — L’indomani mio padre mi riportò a Milano, ma da

quel giorno mi sono sentita come se qualcosa dentro di me fosse morto. E ora, dopo tutto questotempo, mi chiedo se ha ancora senso continuare a portare questo ciondolo.

— Io credo di sì — affermò Misha, lasciandole una fugace carezza sui capelli. Ero così rapita dalracconto di Angelica che non mi ero accorta che ci aveva raggiunto. — C’è una leggenda che sitramanda tra le popolazioni scandinave, secondo la quale i boschi sono abitati dalle huldra, spiriti digiovani streghe che hanno smarrito la strada di casa. Penso che Viviana abbia stretto un patto con unadi loro per salvarti la vita. In cambio, ha offerto la sua. Credo che tu debba custodire il suo ciondolo,per ricordare il suo sacrificio.

Angelica gli rivolse uno sguardo colmo di tristezza. — Io… spero che non sia così. Spero dipoterla riabbracciare, un giorno. E spero di ritrovare Snow. Non ho mai saputo spiegarmene ilmotivo, ma anche se è stato con me per pochi giorni non ho mai smesso di sentire la sua mancanza.

— Credo che Snow fosse il tuo famiglio — dissi con sicurezza. — Non perdere mai la speranza.Se è così, un giorno lo ritroverai.

— Forse hai ragione — sospirò Angelica. Sorrise debolmente, poi aggiunse: — Ti ringrazio perquello che hai fatto per me. Mi rendo conto di aver commesso un grave errore cercando di togliermi

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la vita, e non so davvero come io abbia fatto a toccare il fondo in quel modo. Ma c’era una voce,dentro, che mi sussurrava che la mia vita era inutile…

— La tua vita è preziosa — ribattei.Annuì con un cenno del capo. — Non avrei mai dovuto lasciarmi sopraffare dalla tristezza.— Non è colpa tua — affermai. — Il potere di Anna era insidioso e malevolo. Ma non potrà più

farci del male.

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La Custode delle falene

Insieme a Sebastian cercai a lungo Ligea, finché mi resi conto che si era rifugiata sul ramo più alto diuna grande quercia.

— Che stai facendo? — le chiesi.Lei non rispose, e si limitò a stringersi nelle spalle.— Andiamo, scendi di lì — la incalzai.— Per andare dove? — ribatté Ligea. — Non ho più un posto dove stare. Mia sorella è morta, e

per poco non moriva anche la tua amica.— Angelica è viva soltanto grazie a te — dissi. — Erzsebet avrebbe divorato la sua anima, se tu

non avessi utilizzato il tuo potere per liberarla.Rimase a lungo in silenzio, poi iniziò a scendere dall’albero. — Lo pensi davvero? — mi chiese,

quando fu sul ramo più basso.Annuii con decisione. — Il tuo potere è un dono. Hai salvato la vita a tanti ragazzi, oggi. — Ero

stata davvero io a dirlo? Le stesse parole che mia madre aveva scritto nella lettera per i mieidiciassette anni erano germogliate dentro di me, e ora mi sentivo in grado di regalarle a un’altrapersona. Protesi le braccia verso Ligea e le feci cenno di tuffarsi. Lei rimase per un po’ titubante, poisi decise a compiere il balzo che la portò a finirmi in braccio. La appoggiai delicatamente finché isuoi piedini non ritrovarono il contatto con il suolo.

— Ehi — sentii dire a una voce dietro di noi. Mi girai di scatto. Era Valentino. — Scusatel’intrusione, ma c’è una persona che desidera parlare con Ligea.

Lo guardai con espressione sorpresa. Non c’era nessuno nei dintorni, a parte Sebastian e me.— Non capisco — disse Ligea.— Nolwenn mi ha chiesto di condurti al tuo scoglio, dove ammiravi i fulmini che si scaricavano

nel lago. Ti sta aspettando.— Nolwenn… è viva? — fece Ligea, sgranando gli occhioni.Valentino scosse la testa. — No, piccola — le disse con voce accorata. — Però vorrebbe salutarti

prima di raggiungere il luogo a cui è destinata.Ricordai quello che aveva detto Valentino quando l’avevo conosciuto. Come negromante poteva

dialogare con gli spiriti, e aiutarli a trovare la strada verso la luce. Un brivido mi attraversò laschiena.

Ligea si mise a correre lungo la riva e io, Sebastian e Valentino faticavamo a starle dietro. Poi siimmobilizzò di colpo di fronte a una roccia lambita dall’acqua. Compì un balzo per salire, poiimmerse i piedi nel lago.

Poco lontano, una sagoma emerse lentamente dall’acqua. Era proprio lei, la ragazza dai capelliverdi che avevo visto nel riflesso quando avevo raggiunto mia nonna Isabella. Era vestita di bianco,

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come quando mi era comparsa in sogno per condurmi fino alla Stanza degli Arazzi.La ragazza dai capelli verdi curvò le labbra in un sorriso. La sua espressione era distesa,

amichevole, molto diversa da quella che le avevo visto in passato.— Ligea — mormorò, con voce carica di emozione.— Nolwenn! — esultò Ligea, e fece per sporgersi verso il lago con tale impeto che ebbi paura

che volesse tuffarsi.Nolwenn fluttuò sullo specchio d’acqua, fermandosi con i piedi nudi che sfioravano appena la

superficie del lago, a un passo dalla sorella. I suoi lunghi capelli verdi ondeggiavano sospinti dallabrezza. — Sono venuta per salutarti — disse. — Valentino mi ha liberata dalla maledizione con cuiDarvulia mi ha imprigionata in questo mondo. Grazie a lui, potrò attraversare la luce.

— Questo significa che non ti rivedrò mai più? — le chiese Ligea, imbronciandosi.Nolwenn scosse dolcemente la testa. — Significa che sarò libera.Ligea le lanciò un’occhiata implorante. — Nolwenn, ti prego… ho ancora bisogno di te.— E io ho bisogno che tu non smetta mai di ricordarti di me. — Fece una pausa, perdendo per un

attimo lo sguardo tra gli alberi del bosco. — Ricordi quella notte in cui mamma e papà ti mancavanotanto che hai iniziato a piangere e hai pensato che non avresti smesso mai più?

Ligea annuì.Nolwenn continuò: — Anche se era scoppiato un forte temporale, ero scappata dal Santuario e ti

avevo raggiunto in cima alla sequoia. Quando mi hai visto sbucare nel tuo rifugio mi avevi guardatoincredula, chiedendomi come avevo fatto a sapere che in quel momento avevi bisogno di unabbraccio. Ti ricordi cosa ti avevo risposto?

— Mi avevi detto che tu sei parte di me, perché sei mia sorella — annuì Ligea.— Il mio amore ti raggiungerà sempre, non importa quanto saremo lontane — concluse Nolwenn.— Lo so, ma… non voglio che te ne vai — pigolò Ligea.— Ci sono tante cose che ti vorrei dire, sorellina. Ma il mio tempo qui è giunto alla fine. —

Nolwenn le sorrise dolcemente, poi la avvolse in un abbraccio.— Nolwenn…— Sì?Una lacrima si staccò dalle ciglia di Ligea. — Mi manchi.Nolwenn accarezzò i capelli di Ligea, poi le baciò delicatamente la fronte. — Anche tu mi

manchi. Non avrei mai voluto lasciarti, ma ora so che non sarai più sola. Sono felice che tu siacircondata da persone che ti vogliono bene — e mi guardò con espressione benevola.

— Non te ne andare — disse Ligea tra i singhiozzi.— Non aver paura, sorellina. Starai bene. — Mentre Nolwenn parlava, vidi che la sua sagoma

stava perdendo consistenza. — Staremo bene — echeggiò debolmente, come se le sue parole fosserotrasportate dal vento.

Ligea iniziò a piangere sommessamente. La raggiunsi e la strinsi più forte che potevo, trattenendoa mia volta le lacrime a fatica.

Valentino mormorò qualcosa che non riuscii a comprendere, immaginai che stesse concludendo ilrituale per permettere a Nolwenn di seguire la luce. Poi mi guardò intensamente. — Se n’è andata —annunciò.

Sebastian si voltò, attirato da un rumore tra le frasche. Mi accorsi che al limitare del bosco eracomparsa una lepre bianca, con la coda e le orecchie nere. Si alzò sulle zampe, annusando l’aria. Poi

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compì alcuni balzi e scomparve.Salutammo Valentino e rimanemmo a lungo in silenzio di fronte al luogo in cui era scomparsa

Nolwenn.Ligea si asciugò le lacrime. — Vorrei mostrarvi un posto — disse, sforzandosi di sorridere.

Potevo solo immaginare le emozioni che si stavano rincorrendo dentro di lei, dopo aver detto addioalla sorella.

Ci fece strada attraverso il bosco, fino alla grande sequoia che era stata la sua casa. Il tronco eracosì largo che sarebbe stato impossibile abbracciarlo persino per dieci persone.

Osservai la cavità del tronco che nei disegni di Ligea rappresentava la porta. — Se impari acontrollarlo, il tuo potere potrà aiutare tante altre persone — le dissi.

— Non so nemmeno da che parte cominciare — confessò lei, intrufolandosi all’interno.— Io un’idea ce l’avrei — dichiarai.Io e Sebastian ci chinammo per seguirla. Poi presi un ampio respiro e mi concentrai per

raggiungere con la mente la cascina di Isabella. Dopo qualche passo nell’oscurità, vidi una luce tenueche proveniva da poco distante. La seguii, finché non mi sentii avvolgere dal calore familiare cheavevo provato la prima volta che mi ero trovata nel Giardino dello Spirito.

— Dove siamo? — sentii dire Ligea.— Lo vedrai — risposi.Attraversammo una porta e ci trovammo tutti e tre nella piccola cucina, dove Isabella era

indaffarata a preparare un tè.— Vi stavo aspettando — disse.Dopo essersi guardata a lungo intorno, Ligea chiese: — E tu chi sei?— Mi chiamo Isabella — rispose la ragazza, chinandosi per guardare la piccola negli occhi. Poi

allungò la mano per farle una carezza sul viso. Ligea fece per ritrarsi ma Isabella, con voce calma, larassicurò: — Non hai niente da temere. Non puoi farmi alcun male.

Ligea si fidò e, dato che il contatto non scatenò nessuna delle conseguenze a cui era abituata, vidicomparire sul suo viso un sorriso aperto. — Io sono Ligea — cinguettò. Poi iniziò a girare per lastanza e a prendere in mano ognuno degli oggetti appoggiati sul tavolo e sugli scaffali che riusciva araggiungere, per poi riporli altrove.

Sebastian osservava la scena in disparte. Era meravigliato e incuriosito. Isabella lo invitò asedersi al tavolo. Io mi accomodai di fianco a lui.

— Mi prenderesti un vassoio? — chiese Isabella, rivolgendosi a Ligea.Poco dopo, ci trovammo a sorseggiare un delizioso tè al bergamotto. — È davvero buonissimo —

mormorai.Ligea era così a suo agio che sembrava essere sempre stata qui. E anch’io, come lei, mi sentii

come se avessi finalmente trovato una casa. In quel breve frammento di tempo, in un luogo in cui lospazio non aveva significato, in compagnia di mia nonna adolescente, con una bambina dai capelliazzurri che aveva perso la famiglia e io che avevo appena ritrovato Sebastian, assaporai un istante dipura felicità.

Avrei voluto restare in quel luogo apparentemente lontano dai pericoli, da Inquisitori, Arpie emezzi demoni. Avrei voluto svegliarmi abbracciata a Sebastian dopo avergli donato finalmente tuttame stessa. E poi imparare a fare i biscotti con Isabella, insegnare a Ligea che si può guarire anchedalle ferite più profonde, come altri avevano fatto con me. Ma non potevo.

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Altrove, c’era una battaglia in corso che reclamava il mio contributo. La mia coscienza si erarisvegliata da un torpore che sembrava durato secoli, e con essa il senso di responsabilità. Michiamavano la Custode delle falene, e il mio potere parlava al popolo fee. Era giunto il momento diriunire tutte le creature soprannaturali e chi come me si era sempre sentito diverso. Era il momento diliberare streghe, negromanti, fate e Amazzoni dalla persecuzione degli Inquisitori e guidare il mondoverso la pace.

Soprattutto, mi sentivo diversa, adesso. Ero consapevole che fuggire non era una soluzione. Nonavrei abbandonato chi credeva in me, né il mio famiglio Misha, né Sam, e neppure Syara, la sorellache avevo appena scoperto di avere e a cui mi ripromisi di raccontare tutto su nostra madre, dato chelei non aveva avuto la fortuna di conoscerla. Non avrei abbandonato Sasha, l’Amazzonedall’apparenza fragile che nascondeva un cuore di guerriera, e neppure Angelica, la ragazza dalcuore di cristallo sotto la sua corazza di aggressività.

Guardai Sebastian e gli sorrisi. Strega o Inquisitore che fosse, era l’amore della mia vita e con luial mio fianco avrei combattuto per ciò in cui credevo. Ma come potevo coinvolgere Ligea in unaguerra aperta contro gli Inquisitori?

Era solo una bambina, e ciononostante aveva già conosciuto troppa violenza e troppa tristezza.Aveva bisogno di ritrovare il calore di una famiglia e almeno un briciolo di serenità.

Isabella mi scoccò uno sguardo complice. — C’è qualcuno che avrebbe bisogno di cure e dimolto, moltissimo affetto — disse a Ligea, come se mi avesse letto nel pensiero. — Ti va di darmiuna mano?

Ligea mi guardò con aria interrogativa. Io le feci un cenno di assenso, e tutti insieme seguimmoIsabella fino a una porticina, oltre la quale c’era un cortile dall’erba tagliata di fresco, su cuisaltellava un piccolo esercito di coniglietti appena nati simili a variopinti batuffoli di lana.

Isabella ne prese uno in mano e lo porse a Ligea. — Questo è Calzino — disse. — L’ho chiamatocosì perché è nero con una zampa bianca. I suoi fratellini, invece, non hanno ancora un nome. Sonorimasti orfani e devo prendermi cura di loro, o non sopravvivranno.

— Ma sono bellissimi — cinguettò Ligea. Isabella prese da uno scaffale un piccolo biberon einiziò ad allattare Calzino. Dopo averla osservata per qualche istante, Ligea si offrì di farlopersonalmente. Congiunse le mani a coppa per accogliere il coniglietto nero e imitò Isabella.

Quando ebbe finito, fece scendere il cucciolo e ne prese un altro, il più magro del gruppo. — Tichiamerò Smilzo — borbottò.

Mentre Ligea nutriva il piccolo Smilzo, Isabella le chiese: — Ti piacerebbe restare con me?Potresti aiutarmi con i miei coinquilini a quattro zampe. Ci sono così tante cose da fare qui, che nonriesco a dedicare il tempo che vorrei ai cuccioli. Per non parlare del pony.

— Hai un pony? — proruppe Ligea, illuminandosi.— Certo! — esclamò Isabella. — E anche un’asina cocciuta e impertinente.Ligea corrugò la fronte. — Mi piacerebbe tantissimo, ma… resterai anche tu, vero, Zoe?La guardai attentamente, accarezzandole i capelli. — Vorrei tanto restare con te e Isabella — le

dissi. — Ma lo sai, anch’io ho delle responsabilità da cui non ho più intenzione di fuggire. Ci sonopersone che contano su di me, là fuori. Non voglio deluderle.

— Lo diceva sempre anche mia sorella. — Ligea assentì con ampi movimenti della testa. — Sedalla paura vuoi scappare, la paura ti afferrerà per i piedi. Se dai doveri fuggirai, i doveri tidivoreranno la lingua. Ma se la vita guardi in viso, la vita ti sorriderà — canticchiò.

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— Era una fata molto saggia, tua sorella — affermai.Ligea roteò gli occhi verso l’alto. — Allora resterò con te per assicurarmi che tu non fugga più

dai tuoi doveri — dichiarò, dopo alcuni secondi di silenzio.— Lo so che saresti brava a farmi rigare dritto. Ma chi si occuperebbe di queste creature

indifese? — le chiesi.— Credi che avesse ragione Nolwenn? — ribatté lei.— In che senso?— Quando ha detto che starà bene.— Ne sono più che sicura — dissi con decisione.Ligea guardò i coniglietti che le saltellavano intorno e sembravano soltanto chiedere di essere

adottati da lei. — Davvero non ti arrabbi, se rimango ad aiutare Isabella?— Certo che no — la rassicurai. — Posso venirti a trovare tutte le volte che vorrai. Ti basterà

sussurrare al vento il mio nome, e il vento mi aiuterà a ritrovare la strada per raggiungerti.Isabella mi sorrise. — Potrai rifugiarti qui ogni volta che ne sentirai il bisogno, Zoe.— Grazie — ribattei. — Ora devo andare. I miei amici mi staranno aspettando.— Spero che troverai le risposte che cerchi — aggiunse Isabella.Annuii con un cenno del capo. — Tanto per cominciare, devo scoprire chi mi ha aiutato a sfuggire

agli Inquisitori a Milano.Sebastian mi prese la mano. — Lo faremo insieme.Avvicinai il viso al suo, e lo baciai sulle labbra turgide come i petali di una rosa appena

sbocciata. — Non permetteremo mai più al male di separarci — sussurrai.Lui ricambiò il bacio. Poi, staccandosi da me, mi rivolse uno sguardo colmo di una luce che non

avevo mai visto prima. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata.— La mia vita è stata sconvolta, oggi — disse. — Ho combattuto per un ideale che si è rivelato

una menzogna. Ho scoperto di essere stato addestrato per diventare il braccio armato degli assassinidi mia madre. Tutte le mie certezze stanno vacillando. Ma di una cosa sono assolutamente sicuro,Zoe. — Prese un ampio respiro. — Io ti amo — mormorò, mettendosi in ginocchio. Ligea e Isabellalo guardavano meravigliate. Io mi sentii avvampare. — E c’è una cosa che devo chiederti, ora —aggiunse Sebastian. — Una cosa che avrei dovuto chiederti molto tempo fa.

— So cos’hai intenzione di fare. Non ci provare — gli intimai.Lui si limitò a sorridere. L’erba fresca profumava d’estate, e sul cielo azzurro le nuvole si

rincorrevano come i sogni prima dell’alba. Intorno a noi c’erano farfalle ovunque, che volteggiavanoin traiettorie incantate. Guardandomi intensamente, Sebastian mormorò: — Voglio passare la mia vitacon te.

— Ti ho detto di non provarci — protestai, con le lacrime che iniziavano a scendermi sulleguance.

Con Isabella che singhiozzava e Ligea che applaudiva, saltellando come uno dei suoi coniglietti,Sebastian mi chiese: — Zoe Malaspina, vuoi sposarmi?

Sentii le gambe farsi di burro. Crollai in ginocchio a mia volta. Prendendo il suo viso tra le mani,dissi: — Sebastian Carelli, dovrei prenderti a pugni per questo colpo basso.

— So che ne saresti capace — mormorò lui.Le lacrime scendevano così copiose che dovetti asciugarmi il viso con il dorso della mano. —

Anch’io ti amo, maledizione — esclamai. — E la risposta è… sì! Almeno quattrocento volte sì. —

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Lo stritolai in un abbraccio. — In tutte le vite della mia esistenza.

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Striges - La voce dell’ombradi Barbara Baraldi© 2014 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., MilanoEdizione pubblicata in accordo con PNLA & Associati S.r.l./Piergiorgio Nicolazzini Literary AgencyEbook ISBN 9788852048081

COPERTINA || ART DIRECTOR: FERNANDO AMBROSI | GRAPHIC DESIGNER: DANIELE GASPARI | ILLUSTRAZIONE DI NICOLETTA CECCOLI

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Indice

Il libroL’autoreStriges - La voce dell'ombra— 1 — Oscuro come una prigione

Un brusco risveglioL’ultimo ricordoNessuna famigliaOcchi gialli, capelli rossiLigeaL’estate di BiancaneveOltre la sogliaIl fascicolo MalaspinaLa Stanza della ColpaIl destino di un’AmazzoneAdam?Vieni via con meIl sangue delle streghe

— 2 — Il ragazzo che non sapeva piangereCrisalide di pietraLe Tre Madri ErrantiNuovi nemici e vecchi amiciCome SofiaFeriteMagia avversaRicomincio da zeroCome nel sognoLa metà oscuraRun

— 3 — Se solo potessi leggere la mia menteLe ferite dell’animaL’oscurità cammina al suo fiancoNon c’è luce senza oscuritàLa notte in un abbraccioLe parole che non ti ho dettoSegui la lepre biancaAnother LoveSalice piangenteArrivederci, ZoeCos’è successo al mio famiglio?L’effetto farfallaCieli neriTroppo tardi per un cuore feritoGiorni perduti

— 4 — Ho attraversato il confineMemorie perduteCome un giorno qualunqueCosa sei tu?Vagabondi e prigionieri

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Come in un film in bianco e neroCos’ho di sbagliato?Un concerto per dueLa promessa immortaleIl buio oltre i tuoi occhiLa battagliaIl mio cuore è tempestaCarte da decifrareCome un topo in un labirintoUna fiaba crudeleIl sangue della FuriaLa voce dell’ombraSchegge di ricordi

— 5 — Il cerchio di fuocoUn bacio di puro amoreI gargoyle di Notre DameIl primo fiore sulla TerraTi fidi di me?Il futuro in una bolla di saponeLa contessa neraLa curaLa diavolessa delle neviLa Custode delle falene

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