Strategie di intervento per il rinforzo di strutture in c.a. mediante analisi statica non lineare....

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1 Strategie di intervento per il rinforzo di strutture in c.a. Ing. Biagio Pisano analista STACEC s.r.l. Introduzione In Italia un elevato numero di edifici sono stati realizzati in assenza di adeguate regole normative in materia di progettazione alle azioni sismiche. Come sappiamo gli edifici realizzati ai giorni nostri sono progettati basandosi sul superamento di prefissati livelli prestazionali (Performance Based Design), soddisfatti principalmente mediante il principio di gerarchia delle resistenze. Gli edifici esistenti, invece, sono il frutto di una progettazione basata sulla verifica della massima resistenza (in termini puntuali) dei singoli elementi strutturali, relative alle varie azioni di carico. In pratica, anche se l’azione sismica è stata introdotta sin dalle disposizioni pubblicate dopo il terremoto di Reggio Calabria e Messina del 1908, la progettazione basata sullo sfruttamento delle capacità dissipative della struttura è un concetto recente per la nostra nazione (Circolare n. 65 del 10 aprile 1997 e OPCM 3274/2003 in poi). Il comportamento sismico ottimale delle strutture intelaiate in c.a. è legato alla formazione di meccanismi di collasso di tipo globale che coinvolgono l’intera struttura. In particolare la gran parte dell’energia sismica in gioco viene dissipata durante la formazione di “cerniere plastiche” alle estremità degli elementi. Figura 1 - Collasso per meccanismo di piano Inoltre, la sequenza di formazione di tali cerniere si deve manifestare con un preciso ordine di formazione (gerarchia), la quale richiede un’accurata progettazione antisismica soprattutto evitando i collassi locali delle zone critiche di tipo “fragile”. Per gli edifici esistenti, invece, è più probabile che si verifichi un meccanismo di collasso di piano(b). Tale meccanismo è caratterizzato dallo schema “travi forti colonne deboli”, in cui vengono coinvolti prevalentemente i pilastri di un solo piano.

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Strategie di intervento per il rinforzo di strutture in c.a.

Ing. Biagio Pisano – analista STACEC s.r.l. Introduzione In Italia un elevato numero di edifici sono stati realizzati in assenza di adeguate regole normative in materia di progettazione alle azioni sismiche. Come sappiamo gli edifici realizzati ai giorni nostri sono progettati basandosi sul superamento di prefissati livelli prestazionali (Performance Based Design), soddisfatti principalmente mediante il principio di gerarchia delle resistenze. Gli edifici esistenti, invece, sono il frutto di una progettazione basata sulla verifica della massima resistenza (in termini puntuali) dei singoli elementi strutturali, relative alle varie azioni di carico. In pratica, anche se l’azione sismica è stata introdotta sin dalle disposizioni pubblicate dopo il terremoto di Reggio Calabria e Messina del 1908, la progettazione basata sullo sfruttamento delle capacità dissipative della struttura è un concetto recente per la nostra nazione (Circolare n. 65 del 10 aprile 1997 e OPCM 3274/2003 in poi). Il comportamento sismico ottimale delle strutture intelaiate in c.a. è legato alla formazione di meccanismi di collasso di tipo globale che coinvolgono l’intera struttura. In particolare la gran parte dell’energia sismica in gioco viene dissipata durante la formazione di “cerniere plastiche” alle estremità degli elementi.

Figura 1 - Collasso per meccanismo di piano

Inoltre, la sequenza di formazione di tali cerniere si deve manifestare con un preciso ordine di formazione (gerarchia), la quale richiede un’accurata progettazione antisismica soprattutto evitando i collassi locali delle zone critiche di tipo “fragile”. Per gli edifici esistenti, invece, è più probabile che si verifichi un meccanismo di “collasso di piano” (b). Tale meccanismo è caratterizzato dallo schema “travi forti – colonne deboli”, in cui vengono coinvolti prevalentemente i pilastri di un solo piano.

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Figura 2 - Ordine di plasticizzazione ottimale

A parità di energia sismica da dissipare, il coinvolgimento di un numero ridotto di elementi strutturali di un solo piano, comporta un notevole aggravio di deformazione sugli elementi interessati e una bassa capacità dissipativa. Spesso il piano coinvolto è il piano terra in quanto alti valori di compressione non favoriscono il comportamento duttile dei pilastri, e determinano rotture fragili che potrebbero coinvolgere la stabilità di tutta la struttura.

La formazione di collassi di tipo duttile (ad esempio rottura a flessione che precede la rottura a taglio) consente agli elementi di mantenere residue capacità portanti ai carichi verticali (figura 3). Viceversa, rotture di tipo fragile innescano possibili sequenze di collasso di altri elementi adiacenti con conseguente perdita di portanza nei riguardi dei carichi verticali (figura 4). Come evidenziato sinteticamente dalle figure questa modalità di collasso porta è frequentemente causa della perdita di vite umane, in quanto spesso le rotture fragili si manifestano senza fenomeni di preavviso.

Figura 3 – Effetti del collasso duttile Figura 4 – Effetti del collasso fragile

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Le strutture in c.a. esistenti, spesso progettate per i soli carichi verticali, sono caratterizzate da bassi quantitativi di armatura longitudinale nei pilastri rispetto alle armature a taglio. Inoltre essendo la discriminante principale il carico verticale, anche le travi risultano abbondantemente armate in direzione longitudinale e a taglio rispetto ai pilastri. Queste condizioni descritte si identificano in modo chiaro nel meccanismo di collasso “travi forti – colonne deboli”. In questo articolo, dopo aver messo in evidenza i fattori principali che influenzano la duttilità, affronteremo i possibili criteri di intervento e una casistica di rinforzi selezionati ad esempio di approccio al consolidamento degli edifici esistenti in c.a. Gli interventi sono affrontati principalmente dal punto di vista teorico, concentrandosi particolarmente sugli effetti che hanno nel contesto strutturale ed alla strategia da seguire per ottenere un comportamento antisismico. Fattori principali che limitano la formazione di meccanismi duttili L’aumento delle caratteristiche dissipative di una struttura (e dei suoi elementi) passa necessariamente per l’incremento della duttilità, in modo particolare a livello locale. Pertanto è importante capire quali sono gli aspetti e i fattori che influenzano la duttilità dell’elemento strutturale in modo da progettare interventi mirati al corretto sviluppo dei meccanismi di collasso più convenienti. Il meccanismo di rottura duttile di un elemento di una struttura intelaiata in c.a., si sviluppa in generale se la rottura a flessione perviene prima di quella a taglio. Cioè, all’incremento di un’azione (quale può essere quella sismica), l’aumento delle sollecitazioni deve creare nell’elemento un deficit relativamente alla flessione e non alla verifica a taglio. Questo è spiegato anche in virtù del tipo di diagramma di comportamento (sollecitazione-deformazione) dei due fenomeni. Riferendosi a condizioni di progettazione ideale abbiamo i seguenti diagrammi:

Il diagramma in figura 5 è relativo alla flessione ed è noto come diagramma momento-curvatura. Come si può notare il collasso è preceduto da un notevole incremento della deformazione a parità di sollecitazione. Ciò rende l’imminente collasso “evidente” ed inoltre consente di dissipare una notevole quantità di energia. Il collasso a taglio invece comporta una notevole riduzione della resistenza corrispondente a piccoli incrementi di deformazione: ciò rende “improvviso” il collasso di tipo fragile.

Figura 5 - Diagramma Momento-Curvatura Figura 6 – Diagramma Taglio-Deformazione

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Riassumendo, la duttilità di un elemento strutturale è influenzato principalmente da:

Sforzo Normale applicato

Armatura longitudinale

Armatura trasversale

Nella figura sottostante sono riportati diversi diagrammi momento-curvatura elaborati sulla stessa sezione ma con diverso sforzo normale applicato (da N1 a N5). Come possiamo notare all’incremento di sforzo normale è associato un effetto di irrigidimento dell’elemento (incremento della pendenza tratto iniziale) e una diminuzione del campo plastico, con conseguente diminuzione di duttilità (rapporto tra deformazione ultima e di snervamento).

Figura 7 - Effetti dello Sforzo Normale sulla duttilità

Relativamente alla resistenza al taglio, incrementi di azione assiale si traducono in aumenti di taglio resistente. Ciò avviene fino a determinati valori di sforzo normale (rappresentato come sforzo normale adimensionalizzato). All’incirca si può stabile un valore di 0.5, inteso come rapporto tra lo sforzo normale e la resistenza a compressione assiale della sola parte in calcestruzzo. Per comprendere meglio l’influenza di sforzo normale, armatura longitudinale e staffe, utilizziamo un semplice ed efficace metodo per stabilire il tipo di meccanismo che caratterizza un elemento strutturale. Il metodo di classificazione per “valori resistenti”, riportato qui di seguito con riferimento ai pilastri, viene applicato mediante il seguente diagramma di flusso:

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Figura 8 - Diagramma di flusso metodo classificazione meccanismo

Quindi, ipotizzando che il nodo abbia una resistenza maggiore della resistenza a taglio dell’elemento, un elemento è duttile se il taglio resistente (VRes) è superiore al taglio

associato ai momenti resistenti degli estremi (𝑀𝐶,𝑅𝑑𝑖𝑛𝑖 quello iniziale e 𝑀𝐶,𝑅𝑑

𝑓𝑖𝑛 per il finale)

dell’elemento:

𝑇(𝑀𝑅𝑒𝑠) =𝑀𝐶,𝑅𝑑

𝑖𝑛𝑖 + 𝑀𝐶,𝑅𝑑𝑓𝑖𝑛

𝐿

Nella formula precedente L è la lunghezza dell’elemento. Diagrammando i valori resistenti rispetto alla percentuale meccanica di armatura, è possibile “isolare” una zona del diagramma in cui definire l’elemento duttile (vedi figura 9):

Figura 9 – Diagrammi definizione del meccanismo

Test VResNodo > VResTaglio

se “SI”

Momenti resistenti estremi MRes

Taglio T(MRes) calcolato come:∑MRes / L

Test T(MRes) < VRes

se “SI”

Duttile

se “NO”

Fragile

se “NO”

Fragile

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L’aumento dello sforzo normale comporta sia un aumento dei momenti resistenti, sia un aumento del taglio resistente, secondo un andamento non proporzionale (vedi figura 10):

Figura 10 - Diagrammi effetti dello Sforzo Normale sul tipo di meccanismo

Come possiamo notare l’incremento di sforzo normale riduce la zona dedicata alla definizione “elemento duttile”. Stesso effetto si ottiene in termini di variazione di armatura longitudinale: l’aumento di armature implica incremento di momenti resistenti, e quindi, affinché l’elemento sia duttile è necessario un aumento di resistenza a taglio. Inoltre, utilizzando procedure non lineari, è possibile riscontrare che l’aumento di armatura longitudinale comporta un aumento di rigidezza dell’elemento (Fig. 11). Il grafico seguente è elaborato analizzando una colonna, con diversa armatura longitudinale per lato, mediante analisi statica non lineare.

Figura 11 - Effetti dell'armatura longitudinale

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Infatti, all’aumentare dell’armatura la pendenza del tratto iniziale aumenta. Sfruttiamo le considerazioni fatte in precedenza per comprendere meglio l’influenza dell’armatura a taglio. Nei riguardi della resistenza a flessione, la percentuale meccanica di armatura trasversale ha l’effetto di “confinare” il nucleo di calcestruzzo, conferendo maggior resistenza alla compressione dell’elemento corrispondente ad un modesto incremento di rigidezza. Nei riguardi del taglio, invece, nel caso in cui il collasso sia “lato armatura”

(𝑉𝑅𝑠𝑑 < 𝑉𝑅𝑐𝑑), l’aumento dell’armatura trasversale porta un incremento del valore resistente del taglio. Nel caso in cui il collasso a taglio è “lato calcestruzzo”, si ha solo il contributo migliorativo del confinamento, anche nei riguardi della resistenza alle azioni di taglio. Utilizzando lo stesso modello dell’analisi non lineare, gli effetti dell’incremento delle armature trasversali si traducono in un maggiore aumento della duttilità e dell’ energia dissipata (area sottesa dalla curva Fig. 12).

Figura 12 - Effetti dell'armatura trasversale

Riassumendo, è possibile affermare che:

Elevati valori di sforzo normale sono dannosi per la duttilità

Grandi quantità di armatura longitudinale rendono l’elemento fragile

La duttilità è favorita dalle armature trasversali

Queste affermazioni sono fondamentali per il progetto degli interventi di rinforzo per conferire alla struttura le caratteristiche antisismiche rapportate all’azione applicata.

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Strategie di intervento di rinforzo Il progetto di rinforzo degli edifici esistenti può essere affrontato solo in presenza di un completo studio preliminare delle criticità e l’elaborazione di un modello strutturale adeguato a cogliere i vari aspetti. Lo studio dello “stato di fatto” può essere fatto utilizzando i diversi metodi previsi dalla normativa:

Analisi lineare con spettro elastico

Analisi lineare con fattore di struttura q

Analisi statica non lineare (push-over)

Analisi dinamica non lineare

Per i metodi lineari è necessaria la classificazione in elementi fragili e duttili. Nel caso di spettro elastico la differenziazione è in termini di verifica (elementi fragili in termini di resistenza e duttili in termini di deformazioni). Nel caso di utilizzo del fattore di struttura q, la differenza tra i due tipi di elementi è legata al diverso valore del fattore di struttura. Quest’ultimo metodo consente di valutare l’apporto dei vari rinforzi anche in termini di duttilità. Indipendentemente dalla modellazione utilizzata (lineare o non lineare) l’analisi dinamica è particolarmente indicata per lo studio del comportamento globale all’azione sismica. Il metodo push-over, derivato dalle prime applicazioni alle pile da ponte, consente di stimare l’evoluzione di formazione delle cerniere plastiche e di conseguenza la curva convenzionale di comportamento globale della struttura, anche se il suo utilizzo per la comprensione dell’efficacia delle varie tecniche di consolidamento risulta più difficoltoso rispetto ai metodi lineari. Per l’approfondimento dei vari metodi di analisi si consiglia l’articolo “Metodi di calcolo per l’analisi della sicurezza sismica di edifici in c.a.” scritto dallo stesso autore e visualizzabile su Ingenio-Web.it (www.ingenio-web.it/immagini/Articoli/PDF/Sl8F2uqQXW.pdf). E’ importante ricordare che nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con edifici integri. Ciò comunque non aggiunge informazioni utili in più alle considerazioni che dovremo comunque affrontare per stabilire la resistenza sismica delle strutture. Infatti, l’unico “banco di prova” attendibile nei riguardi della resistenza sismica è il comportamento della struttura durante un evento sismico significativo. La gran parte degli edifici sono soggetti nel corso della propria vita al solo peso proprio con l’aggiunta di una parte dei carichi variabili considerati. In realtà, visti i tempi di ritorno di eventi severi, una struttura è concepita per funzionare al massimo delle sue potenzialità in una sola occasione (l’evento sismico), la quale con buone probabilità non è si ancora verificata. Appunto per questo motivo non possiamo basare le nostre analisi su eventuali considerazioni relative all’integrità o meno delle strutture, realizzate anche da tempo relativamente recente. Inoltre, come abbiamo già accennato, la gran parte degli edifici esistenti non è stata progettata con dettagli strutturali richiesti dai criteri antisismici. Esperienza insegna che la gran parte delle strutture esistenti sono realizzate con pilastri poco armati rispetto alle travi (per i carichi verticali il contributo dato dal calcestruzzo compresso è notevole). Le armature trasversali delle colonne presentano in media passo intorno a 25-30 cm non raffittito nelle zone critiche. Inoltre, il diametro delle staffe solo dagli anni ‘80 in poi si è attestato al Ø8, rispetto al più diffuso Ø6. Le travi venivano spesso armate con un’elevata quantità di armature longitudinali, addensate in modo particolare agli estremi mediante l’utilizzo di monconi e sagomati. Questo particolare impedisce la formazione delle cerniere plastiche in quanto le zone critiche hanno maggior resistenza alla flessione che al taglio.

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In queste zone inoltre, inoltre, sono presenti bassi valori di armatura in zona compressa, in quanto l’azione sismica delle “vecchie” normative, non era sufficiente ad indurre l’inversione dei momenti. L’evidenza seguente all’osservazione dei danni degli eventi sismici ha accertato che l’azione del sisma induce, agli estremi degli elementi, l’inversione dei momenti. Nelle recenti normative, questo aspetto, oltre ad essere colto dall’aumentata azione sismica di progetto, è evidenziato (per i nuovi edifici) dall’inserimento di un minimo di armatura compressa in proporzione a quella tesa. Le staffe delle travi esistenti, seguendo il diagramma del taglio sollecitante, presentano frequentemente per gli elementi più lunghi raffittimenti con passo medio di 10-15 cm. Al quadro descritto c’è da aggiungere inoltre che nelle regioni che erano considerate “non sismiche” è molto frequente l’utilizzo di pilastri 30x30 cm o addirittura 20x20 cm. Si riporta un esempio di armatura di edifici esistenti:

Figura 13 - Armature "tipiche" delle strutture esistenti

Volendo dare delle prime indicazioni, alla luce delle considerazioni sulle duttilità fatte, l’aumento della resistenza a taglio è, senza ombra di dubbio, un’operazione volta alla realizzazione del miglioramento del comportamento alle azioni sismiche. In generale è consigliabile progettare l’intervento in modo da contrastare lo sviluppo di meccanismi locali (in particolare meccanismi fragili). Ciò porta, come vedremo, ad un miglioramento anche del comportamento globale della struttura. In generale gli interventi di consolidamento possono essere raggruppati in due grandi famiglie:

Interventi sul comportamento globale

Interventi di rinforzo locale

Con i primi si interviene modificando la risposta della struttura, agendo sul periodo di vibrazione e sulla ripartizione delle sollecitazioni in modo da ridurre la domanda di progetto sugli elementi esistenti. Appartengono a questo tipo di interventi:

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Inserimento di pareti strutturali

Inserimento di controventi in acciaio (anche dissipativi)

Utilizzo di isolatori sismici

Con i secondi si mira ad aumentare la resistenza e la duttilità di alcuni elementi (preferibilmente in maniera sistematica) in modo da modificare in maniera minima il comportamento della struttura. Rientrano in questa tipologia:

Ringrossi con incamiciatura in calcestruzzo

Incamiciatura con profili in acciaio

Metodo CAM

Rinforzi con FRP

Una classificazione più esaustiva delle tecniche di rinforzo è riportata nelle linee guida americane “Techniques for the Seismic Rehabilitation of Existing Buildings” – FEMA 547/2006. Il testo è suddiviso in funzione delle varie tipologie costruttive, e le tabelle contenute, delle quali riportiamo un estratto tradotto, sono elaborate in funzione del deficit riscontrato. La tabella relativa alle strutture intelaiate in c.a., denominate C1, è la seguente:

Tabella 1 - Tecniche di rinforzo

Deficit Tecnica di rinforzo

Tipo Deficit Aggiunta di nuovi elementi

Miglioramento elementi esistenti

Migliorare le connessioni tra gli elementi

Riduzione della domanda

Rimozione di elementi

Resistenza globale

Numero insufficiente di elementi o presenza di elementi deboli

- Pareti in c.a. - Pareti in muratura - Telai in acciaio controventati - Elementi resistenti a flessione (c.a. o acciaio)

Incrementare le dimensioni di colonne e/o travi

- Rimozione di piani (e/o carichi) ai livelli superiori. - Isolatori sismici. - Smorzatori supplementari.

Rigidezza globale

Numero insufficiente di elementi o elementi con rigidezza inadeguata

- Pareti in c.a. - Pareti in muratura - Telai in acciai controventati - Elementi resistenti a flessione (c.a. o acciaio)

- Incrementare le dimensioni di colonne e/o travi. Rinforzi con FRP di colonne. - Incamiciatura di colonne con c.a. o acciaio. - Migliorare la capacità di deformazione degli elementi.

Smorzatori supplementari.

Eliminazioni di elementi che generano colonne corte.

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Tabella 2 - Tecniche di rinforzo

Deficit Tecnica di rinforzo

Tipo Deficit Aggiunta di nuovi elementi

Miglioramento elementi esistenti

Migliorare le connessioni tra gli elementi

Riduzione della domanda

Rimozione di elementi

Configurazione

Meccanismo di piano debole

Aggiungere resistenza o rigidezza al piano per bilanciare con gli altri piani

Angoli rientranti in pianta. Comportamento torsionale.

- Aggiunta di superfici di solai per minimizzare gli effetti delle rientranze. - Aggiunta di muri e/o telai per bilanciare.

Aggiungere tiranti, connessioni ai solai, controventi di piano.

Tamponamenti deboli o che causano torsione.

- Pareti in c.a. - Pareti in muratura - Telai in acciaio controventati o c.a.

- Sconnettere tamponamenti dalla struttura. - Sostituire tamponamenti con pareti resistenti.

Rimozione tamponamenti.

Percorso di carico

Collegamenti inadeguati

Aggiungere o rinforzare reticoli di travi

Tabella 3 - Tecniche di rinforzo

Deficit Tecnica di rinforzo

Tipo Deficit Aggiunta di nuovi elementi

Miglioramento elementi esistenti

Migliorare le connessioni tra gli elementi

Riduzione della domanda

Rimozione di elementi

Dettagli di componenti

Mancanza di dettagli duttili: generali

Eseguire miglioramento di nodi selezionati.

Isolamento sismico.

Mancanza di dettagli duttili: colonne forti / travi deboli

Incamiciature delle colonne

Mancanza di dettagli duttili: inadeguata resistenza a taglio in colonne e travi

Rinforzi FRP. Incamiciatura in c.a. o acciaio.

Mancanza di dettagli duttili: Confinamento

Rinforzi FRP. Incamiciatura in c.a. o acciaio.

Solai Inadeguata resistenza a taglio nel proprio piano.

- Pareti in c.a. - Pareti in muratura - Telai in acciaio controventati - Elementi resistenti a flessione (c.a. o acciaio)

Soletta di rinforzo in c.a. Fibre FRP.

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Interventi sul comportamento globale Ogni struttura possiede delle caratteristiche di risposta all’azione sismica intrinseche alla sua geometria, materiali, distribuzione delle masse e delle rigidezze. Tutto ciò si traduce nello studio e la valutazione dei modi di vibrare della struttura e dei periodi di vibrazione. L’utilizzo dell’analisi con spettro di risposta evidenzia come dal periodo di vibrazione dipende l’azione sismica subita dalla struttura. Nella gran parte dei casi le strutture in c.a. posseggono periodi di vibrazioni compresi nel plateau dove l’accelerazione sismica è massima:

Figura 14 - Spettro di progetto

L’intervento potrebbe essere progettato in modo da:

A. Ridurre il periodo fondamentale

B. Aumentare il periodo fondamentale

Queste soluzioni sono tanto più efficaci quanto più la struttura è regolare, in quanto la presenza di modi superiori (ad esempio a carattere torsionale) comporta un peso sempre minore del primo modo di vibrare nel computo delle azioni assorbite. Utilizzando invece l’analisi non lineare noteremo che si ottiene l’effetto sia di aumentare la resistenza del sistema che la capacità in spostamento, rispetto alla struttura esistente. Nella figura 15 possiamo notare inoltre, che mediante la curva (a) relativa alla “struttura rinforzata” abbiamo ottenuto anche una riduzione della domanda (da) rispetto alla struttura esistente (db), ottenendo un valore limite più facilmente raggiungibile.

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Figura 15 - Confronto tra strttura rinforzata ed esistente (interventi globali)

In generale, le operazioni che si possono attuare in ambito globale sono le seguenti:

Riduzione dell’irregolarità degli edifici

Riduzione delle masse

Variazioni di rigidezza e smorzamento del sistema

Aggiunta di elementi strutturali

Irrigidimento degli orizzontamenti

Modifica della distribuzione delle azioni mediante giunti tecnici

La riduzione dell’irregolarità degli edifici (sia in pianta che in altezza) può essere perseguita operando sia sulle parti strutturali che sugli elementi non strutturali. Le modifiche possono essere apportate in termini di massa, di resistenza e di rigidezza. Nell’esempio sottostante si evidenzia la situazione in cui l’irregolarità in pianta comporta valori di massa eccitata da modi torsionali. Ciò, indipendentemente dalle analisi numeriche, è causa di comportamento poco prevedibile rispetto a situazioni di regolarità, in cui l’azione sismica viene “distribuita” ai vari elementi in maniera più equa.

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Nel caso descritto nell’esempio della figura precedente, l’ampliamento in pianta della costruzione comporta una “regolarizzazione” dei modi di vibrare. Anche se il periodo si mantiene nella zona plateau (e quindi l’accelerazione sismica assorbita non varia), è evidente il vantaggio che ne risulta dal far contribuire tutti i pilastri in maniera più omogenea. È frequente il caso in cui l’irregolarità è dovuta alla distribuzioni degli elementi non strutturali, quali ad esempio le tamponature. In tal caso, innanzitutto, è necessario dotarsi di modelli strutturali realizzati contemplando anche questo tipo di elementi. Comunemente è possibile considerare le tamponature con semplici metodi “equivalenti”, come ad esempio il metodo descritto nelle FEMA 273 “Guidelines for the seismic rehabilitation of buildings”, in cui vengono aggiunte delle bielle diagonali:

Figura 16 - Metodo di modellazione delle tamponature

Utilizzando l’esempio della struttura resa regolare, possiamo notare che se aggiungiamo al nostro modello una distribuzione delle tamponature asimmetrica (ad esempio la presenza di un portico) il primo modo di vibrare risulterà avere di nuovo carattere torsionale:

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L’esempio mostrato evidenzia l’importanza degli elementi non strutturali nella modellazione delle strutture. Ancora più importanti sono gli effetti delle tamponature nell’irregolarità verticale. Prendiamo ad esempio tre modelli diversi:

1. Modello senza l’influenza dei tamponamenti (M1)

2. Modello con l’influenza dei tamponamenti (M2)

3. Modello con presenza di struttura con pilotis a piano terra (M3)

Dal confronto delle curve push-over dei tre casi notiamo che rispetto al Modello M1, la presenza dei tamponamenti, seppur con presenza di aperture, contribuisce alla resistenza di una struttura in modo determinante. In termini di resistenza notiamo che il modello M2 ha una resistenza di picco pari a circa 3 volte quella del modello M1. D’altro canto, come ci sia aspettava, il modello M2 presenta una maggiore rigidezza e di conseguenza una minore deformabilità laterale (spostamento 90% del modello M1).

Figura 17 - Confronto tra diverse modellazioni con e senza tamponature

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E’ importante notare che il non considerare i tamponamenti, nel caso dell’edificio su pilotis (modello M3), porta a risultati completamente diversi dalla realtà. Come ci si aspettava il modello su pilotis presenta un taglio resistente massimo simile a quello del modello M1, in quanto in entrambi i casi si ha il meccanismo di piano. Gli spostamenti di collasso del modello M3 sono molto inferiori rispetto a quelli stimati con il modello M1 senza tamponamenti (circa il 60%). La riduzione dell’irregolarità degli edifici può essere effettuata anche mediante l’inserimento di nuovi elementi strutturali (ad esempio pareti in c.a.) e modifica della distribuzione delle masse. Il metodo generale da seguire è basato sullo studio delle forme modali fondamentali dell’edificio. La riduzione delle masse, soprattutto ai piani alti consente la diminuzione delle azioni sugli elementi strutturali. Operativamente, oltre che alla rimozione di massetti pesanti, sostituzione di solai, demolizione di balconi, si può operare anche sulla destinazione d’uso dei vari livelli. Ad esempio la realizzazione di una copertura non praticabile, rispetto ad una con un carico variabile da abitazione, porta alla riduzione dei coefficienti di presenza della massa. Le variazioni di rigidezza e smorzamento del sistema si possono realizzare mediante vari metodi. Nel caso in cui il periodo di vibrazione fondamentale è vicino al limite inferiore del plateau, l’inserimento di pareti sismiche potrebbe portare, mediante la riduzione dell’ordinata spettrale, alla diminuzione dello stato sollecitazione degli elementi esistenti. Ma la variazione di rigidezza più proficua consiste nell’isolamento sismico. L'isolamento sismico degli edifici nasce verso l'inizio degli anni '80 come una tecnica fortemente innovativa del settore dell'ingegneria antisismica, orientata ad ottenere prestazioni strutturali notevolmente superiori a quelle conseguibili in costruzioni progettate secondo i criteri antisismici ordinari. Nel corso degli anni '80 e nei primi anni '90 si è avuto un significativo sviluppo sia di studi e ricerche teoriche che di applicazioni ad edifici, essenzialmente di nuova costruzione. Numerose strutture isolate sono state realizzate negli USA, in Giappone e in Nuova Zelanda. In Italia, pur essendo molto vivo il dibattito scientifico, le applicazioni realizzate sono ancora poche. Un vero collaudo in sito, che ha dato un impulso all’utilizzo dei sistemi di isolamento, si è avuto nei recenti eventi sismici di Northridge (1994) e Kobe (1995). In questi casi i risultati ottenuti sono stati esaltanti.

Figura 18 - Principio dell'isolamento sismico

Figura 19 - Effetti dell'isolamento sullo spettro

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L’inserimento degli isolatori consente di ottenere l’aumento del periodo proprio di vibrare della struttura per allontanarlo dalla zona dello spettro di risposta caratterizzato dalle accelerazioni massime (da periodo (a) a periodo (b) della Figura 19). L’utilizzo di isolatori inoltre agisce sullo smorzamento del sistema, migliorando ulteriormente la risposta alle azioni sismiche, come si può notare dal “salto” riportato nello spettro dal valore 0.8 Tiso in poi. L’utilizzo degli isolatori sismici porta alla struttura interessata i seguenti benefici:

la sensibile riduzione delle accelerazioni trasmesse dal sisma alla struttura

la riduzione degli spostamenti relativi d’interpiano

Una struttura isolata correttamente non riporta alcun danno in seguito all’evento sismico. Ciò rende questo tipo di intervento particolarmente indicato, dove ci sono le giuste condizioni, nell’ambito degli edifici esistenti, i quali saranno portati dall’intervento ad essere sollecitati a condizioni simili a quelli della zona non sismica. L’intervento con gli isolatori sismici fa si che la sovrastruttura possa lavorare in campo elastico e esula dal raggiungimento di particolari capacità dissipative degli elementi. L’isolamento sismico risulta essere l’intervento ideale soprattutto nei casi in cui la costruzione svolge funzioni importanti, come ad esempio gli ospedali, in quanto il livello di operatività durante l’evento risulta non compromesso. Nell’ambito delle strutture esistenti l’utilizzo di isolatori sismici è applicabile in funzione della configurazione strutturale in quanto è necessario identificare il livello al quale porre l’isolamento sismico, compatibilmente con le funzioni assegnate alla zona di edificio interessata. Un altro approccio di intervento globale consiste nell’aggiunta di elementi strutturali di nuova realizzazione con lo scopo di far assorbire a quest’ultimi la maggior parte dell’azione sismica e di irrigidire la struttura intervenendo sui modi di vibrazione dell’edificio. Comunemente questo tipo di nuovi elementi strutturali sono pareti dissipative (nel caso serva un notevole apporto di resistenza) o controventi metallici.

Figura 20 - Esempi d'interventi globali

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In ogni caso, essendo interventi che modificano il comportamento globale, sono utilizzati anche per correggere irregolarità di comportamento (regolarizzazione dei modi) ed a ridurre le eccentricità tra baricentro delle masse e delle rigidezze.

Figura 21 - Centramento dei baricentri mediante inserimento di pareti

L’intervento della figura 21 è rappresentativo di una situazione molto frequente, e cioè l’eccentricità tra baricentro di masse (in rosso) e delle rigidezze (in giallo), rappresentata in figura (a), viene “corretta” con l’inserimento di pareti nelle due direzioni. La regolarizzazione di comportamento è evidenziata dalla forma dell’ellisse delle rigidezze, la quale, disponendo pareti di lunghezza diversa e calibrata per l’obiettivo, degenera a circonferenza, il che consente alla struttura di rispondere in maniera ideale in ogni direzione. Questo tipo di interventi ha comunque l’”effetto collaterale” di caricare maggiormente le fondazioni, in particolare nelle zone adiacenti agli elementi aggiunti. Infatti, se è sicuramente vero che gli elementi esistenti risultano “sgravati” dalle sollecitazioni indotte dal sisma, è anche vero che ciò che viene “assorbito” dai nuovi elementi deve comunque essere trasferito al suolo. Quindi, in modo particolare per l’intervento con pareti, sarà spesso necessario provvedere al rinforzo del sistema fondale. Il comportamento ottimale di un edificio alle azioni sismiche è basato sulla presenza dell’impalcato rigido, il quale consente di distribuire le azioni a tutti gli elementi resistenti e di attivare la dissipazione mediante meccanismi globali. La riduzione dell’eccessiva deformabilità di orizzontamenti, è una soluzione da praticare in particolari casi in cui, avendo elaborato un modello che tenga conto della rigidezza dei solai, sia possibile effettuare confronti tra stato ante e post intervento. In particolare questo intervento è indicato per le strutture in muratura, in quanto la presenza di solai lignei non consente un adeguata ripartizione delle forze. Dal punto di vista del comportamento dinamico, la presenza dell’impalcato rigido consente di “eliminare” i modi di vibrare locali.

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Figura 22 - Effetti della deformabilità degli impalcati

Nella Figura 22 possiamo notare nel caso (b) l’efficacia della presenza di un impalcato di rigidezza superiore.

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Interventi di rinforzo locale Un approccio alternativo di rinforzo strutturale riguarda l’intervento su singoli elementi strutturali isolati. Gli interventi, come detto in precedenza, mirano ad aumentare la duttilità e le capacità dissipative degli elementi. I più comuni sono:

Incamiciature in c.a.

Incamiciatura in acciaio

Rinforzi con metodo CAM

Rinforzi con FRP

Questi tipi di interventi possono essere utilizzati sia su travi, su pilastri e anche sui nodi strutturali. Anche se locali, questi interventi hanno comunque influenza, più o meno marcata, sul comportamento globale. In particolare le incamiciature in c.a., essendo basate sull’aumento delle dimensioni delle sezioni, influenzano sia la posizione dei baricentri (con relativa ellisse delle rigidezze), sia la forma e le caratteristiche dei modi di vibrare. In maniera marginale, questo effetto è presente anche per le incamiciature in acciaio e il metodo CAM, mentre con l’utilizzo degli FRP il contributo maggiore è l’aumento di capacità deformativa. Questo tipo di interventi di consolidamento è comunque da applicare, per quanto possibile, in modo regolare ed uniforme. Interventi su zone limitate dell’edificio vanno opportunamente valutati, in modo da non realizzare notevoli variazioni nella distribuzione di rigidezze, resistenze e masse. Esclusi gli interventi con utilizzo di c.a., come abbiamo osservato utilizzando l’analisi non lineare, vale il principio rappresentato nella figura sottostante:

Figura 23 - Confronto tra strttura rinforzata ed esistente (interventi locali)

Possiamo notare che mediante la curva (a) relativa alla “struttura rinforzata” abbiamo ottenuto un incremento di duttilità del sistema con un minimo incremento di resistenza. Ciò rende praticamente immutata la domanda in spostamento (da = db). La realizzazione di incamiciature in c.a. può essere realizzata secondo varie configurazioni. Per i pilastri, anche se sono reperibili in letteratura interventi di ringrosso parziale (ad esempio su due o tre lati), l’intervento è reso efficace dall’incremento dimensionale su tutti i lati della colonna. Esso consiste nel realizzare intorno all’elemento esistente (reso privo del copriferro) uno strato in c.a. inserendo armature longitudinali e

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trasversali. Le difficoltà di getto possono essere superate con l’uso di betoncino a ritiro compensato.

Figura 24 - Intervento con camicia in c.a.

Questo tipo di intervento è utile sia per aumentare la resistenza a taglio che quella a flessione, anche se la calibrazione tra i due effetti risulta difficile soprattutto in presenza di elevata armatura longitudinale esistente o grandi spessore di calcestruzzo aggiunto. Inoltre, mantenendo adeguati rapporti tra armature trasversali e longitudinali, è possibile ottenere anche incrementi di duttilità. La valutazione dell’incremento di resistenza può anche essere effettuata secondo le indicazioni semplificative della Circ. 617/2009. In particolare, è possibile considerare tutta la sezione con la stessa resistenza a compressione (del materiale “nuovo”), trascurando che il carico venga trasmesso mediante il nucleo “esistente”. In questo caso i valori resistenti (taglio e flessione) dovranno essere ridotti del 10%.

Figura 25 - Confronto dei domini di resistenza

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Nella Figura 25 possiamo notare il notevole aumento di resistenza a flessione, riportando il dominio di resistenza di entrambe le sezioni. Rispetto ad altri interventi locali, è da tenere particolarmente d’occhio la posizione dei baricentri di rigidezze e masse. Applicato ai soli pilastri, il metodo consente di eliminare il comportamento “travi forti – colonne deboli”. L’intervento può essere realizzato solo per l’incremento della resistenza a taglio se le armature longitudinali (disposte come sole reggistaffe) non vengono ancorate agli elementi esterni al pilastro. Estendendo l’allargamento al nodo travi-pilastro, è possibile, mediante l’inserimento di armature trasversali, effettuare anche il rinforzo del nodo, utilizzando le formulazioni valide per le nuove costruzioni. L’armatura inserita sarà tale da realizzare un efficace confinamento. L’intervento così realizzato, consente di creare il funzionamento indicato dal principio di gerarchia delle resistenze. Questo tipo di intervento può essere utilizzato anche sulle travi. In particolare per creare delle nervature di travi “a spessore” (Figura 26-a e 26-b), o per aumentare le dimensioni delle travi di fondazione (Figura 26-e). L’intervento (Figura 26-c) è utile per incrementare sia la resistenza ai momenti positivi che negativi, il tipo (Figura 26-d) è indicato per i momenti positivi. A questo proposito si evidenzia che le strutture esistenti sono spesso carenti di armature all’intradosso all’incastro, in quanto solo con l’azione sismica delle recenti normative può avvenire un inversione dei momenti significativa.

Figura 26 - Interventi di ringrosso di travi con c.a.

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Per quanto riguarda l’incamiciatura in acciaio, essa presenta caratteristiche esecutive simili a quella in c.a. Consiste nel disporre degli angolari mediante malta strutturale o resina epossidica per poi saldare i calastrelli realizzati con piatti in direzione trasversale agli angolari. L’effetto del confinamento viene incrementato preriscaldando i calastrelli, che raffreddandosi inducono uno stato di pretensione trasversale. L’intervento è efficace per l’incremento della capacità portante verticale (effetto di confinamento) e la resistenza a taglio.

Figura 27 - Intervento di incamiciatura in acciaio

Per quanto riguarda la resistenza a flessione, essa è subordinata al grado di connessione degli angolari con gli elementi esterni. La Circ. 617/2009 non contempla questo tipo di effetto in quanto il dettaglio costruttivo dell’ancoraggio potrebbe essere non realizzato correttamente. Inoltre il contributo come “armatura equivalente” degli angolari non è di facile modellazione, in quanto i fenomeni di scorrimento relativo con le sezioni in c.a. esistenti dipendono dall’interfaccia resina-calcestruzzo. L’intervento, nell’ambito delle travi, potrebbe essere usato solo per il rinforzo a taglio (vedi figura sotto), utilizzando metodi di ancoraggio che consentono di utilizzarlo come elemento sotto-solaio.

Figura 28 - Placcaggi di travi con piatti in acciaio

Alcuni dei limiti di questo tipo di intervento possono essere superati da un suo diretto discendente, del quale rappresenta un “evoluzione”: il sistema CAM. Tale metodologia

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acronimo di “cucitura attiva dei manufatti” nacque inizialmente per le strutture in muratura, per poi essere esteso alle strutture intelaiate in c.a. alle quali conferisce elevate caratteristiche di duttilità. L’intervento con il sistema CAM (vedi figura sotto) viene realizzato posizionando ai vertici della sezione elementi presso-piegati ad “L” (ad ali uguali) in acciaio. I presso-piegati hanno la particolarità di presentare la superficie interna di contatto con il CLS irruvidita, mentre la superficie esterna è estremamente liscia per favorire il pretensionamento uniforme dei nastri posizionati successivamente. I nastri in acciaio ad alta resistenza (fyk pari a circa 850 MPa) sono pretensionati in modo da indurre uno stato di confinamento all’elemento stesso e possono essere sia a strati singoli o sovrapposti.

Figura 29 - Particolare ancoraggio intervento CAM

Il metodo consente di intervenire in maniera selettiva sui seguenti fenomeni:

Confinamento

Pressoflessione

Taglio

Resistenza Nodo trave-pilastro

La resistenza dell’elemento confinato, analogamente all’intervento con incamiciatura in acciaio, può calcolarsi con la seguente formulazione C8A.7.6 della Circ. 617/2009:

𝑓𝑐𝑐𝑑 = 𝑓𝑐𝑑 [1 + 3.7 (0.5 ∙ 𝛼𝑛 ∙ 𝛼𝑠 ∙ 𝜌𝑠 ∙ 𝑓𝑦𝑑

𝑓𝑐𝑑)

0.86

]

Dove:

𝛼𝑛 è il fattore di efficienza del confinamento nella sezione; 𝛼𝑠 è il fattore di efficienza del confinamento lungo l’elemento;

𝜌𝑠 è il rapporto volumetrico di armatura trasversale.

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L’incremento della capacità di deformazione può essere valutata con la formula C8A.7.8, per le deformazioni ultime:

𝜀𝑐𝑐𝑢 = 0.004 + 0.50.5 ∙ 𝛼𝑛 ∙ 𝛼𝑠 ∙ 𝜌𝑠 ∙ 𝑓𝑦𝑑

𝑓𝑐𝑐𝑑

Mentre la deformazione alla resistenza massima post confinamento può essere calcolata mediante la formula riportata nell’Eurocodice 8:

𝜀𝑐𝑐2 = 𝜀𝑐2 [1 + 5 (𝑓𝑐𝑐𝑑

𝑓𝑐𝑑− 1)]

Si rimanda ai punti di normativa citati per l’approfondimento dell’utilizzo delle formule. Come già anticipato, l’intervento consente, mediante appositi dettagli costruttivi, la “selettività” dei fenomeni da migliorare. Ad esempio, per la flessione è possibile, oltre che considerare il confinamento, anche far contribuire gli angolari nel raggiungimento delle condizioni ultime della sezione. Ciò può essere realizzato prevedendo il collegamento verticale tra angolari corrispondenti tra più livelli saldando tra essi barre di armature B450C come nell’esempio sottostante.

Figura 30 - Particolare ancoraggio intervento CAM

L’intervento CAM per il rinforzo a taglio consiste nell’applicazione di “cerchiaggi” effettuati con i nastri pre-tesi, aventi la funzione di staffatura aggiuntiva. Il passo e il numero dei nastri vengono dimensionati per raggiungere il valore di taglio resistente di progetto. Il rinforzo a taglio così realizzato, può avvenire per l’intera lunghezza dell’elemento oppure nelle zone critiche dell’elemento stesso. In particolare per le travi sono disponibili due tipi di configurazioni: ad intera altezza o sotto-solaio:

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Figura 31 - Interventi su travi con CAM

Il sistema CAM è particolarmente interessante per il consolidamento dei nodi travi-pilastro, essendo anche la parte più delicata dal punto di vista sia strutturale che di realizzazione. Il metodo consiste nell’inserimento di un piatto metallico (saldato agli angolari disposti come rinforzo su travi e pilastri), oltre che alla presenza di avvolgimenti dei nastri ad alta resistenza.

Figura 32 - Intervento nodo CAM

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Con simili effetti ma realizzati con materiali totalmente diversi, sono i rinforzi realizzati con FRP. Essi consistono in placcaggi e fasciature in modo da perseguire:

Aumento della resistenza a taglio (eliminazione collassi “fragili”)

Aumento della duttilità delle zone critiche

Aumento della resistenza a flessione

Anche i rinforzi con FRP sono di tipo “selettivo”, pertanto è possibile ottimizzare l’intervento in modo da raggiungere l’obiettivo di rendere l’elemento “duttile”. I materiali fibrorinforzati a matrice polimerica (FRP) a fibre continue sono materiali compositi che mostrano un comportamento prevalentemente elastico lineare fino al collasso. Rispetto ad altri materiali da costruzione più comuni, gli FRP presentano caratteristiche di leggerezza, elevate proprietà meccaniche, e non subiscono la corrosione. Inoltre presentano il vantaggio che la loro applicazione non comporta aumenti di spessore degli elementi strutturali. Questo tipo di materiale si trova in commercio secondo varie forme: lamine, barre, tessuti. Per le applicazioni legate al rinforzo di strutture esistenti le forme più comuni sono i tessuti bidirezionali, i quali si adattano facilmente alla superficie sui quali vengono applicati. La famiglia degli FRP è formata dai principali tipi di polimeri: fibre di vetro (GFRP), fibre di carbonio (CFRP) e fibre arammidiche (AFRP). Nella tabella seguente sono riportate i valori indicativi delle proprietà meccaniche di fibre e matrice, confrontati con il comune acciaio da costruzione.

Tabella 4 - Resistenze vari tipi di fibre

L’applicazione di queste fibre viene effettuata mediate una matrice (resina epossidica), la quale consente la perfetta adesione con il supporto sottostante in calcestruzzo. In effetti, la resistenza finale del “pacchetto” fibra-matrice-supporto è spesso penalizzata dal distacco del calcestruzzo secondo il fenomeno della “delaminazione”.

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Il rinforzo a taglio viene realizzato mediante l’applicazione di “fasce” ortogonali all’asse dell’elemento (trave o pilastro) e può essere utilizzato per ripristinare i criteri della gerarchia delle resistenze. Il rinforzo nel suo complesso deve essere valutato considerando i contributi del calcestruzzo e dell’eventuale armatura trasversale metallica presente, secondo la relazione:

𝑉𝑅𝑑 = 𝑚𝑖𝑛{𝑉𝑅𝑑,𝑠 + 𝑉𝑅𝑑,𝑓 , 𝑉𝑅𝑑,𝑐}

dove 𝑉𝑅𝑑,𝑠 e 𝑉𝑅𝑑,𝑓 sono la capacità a taglio-trazione dell’armatura trasversale di acciaio e

quella del sistema di rinforzo FRP, mentre 𝑉𝑅𝑑,𝑐 è la capacità a taglio-compressione del

calcestruzzo. Per le travi, anche per gli FRP sono possibili configurazioni “in avvolgimento” o “sotto-solaio”:

Figura 33 - Placcaggio travi con FRP

Il rinforzo a flessione viene realizzato applicando nelle zone da rinforzare una o più lamine preformate, oppure in alternativa, uno o più strati di tessuto impregnati in situ. Il rinforzo a flessione è da utilizzare per elementi strutturali soggetti ad un momento flettente di progetto maggiore della corrispondente resistenza. Nel caso di elementi “duttili”, l’aumento della resistenza a flessione potrebbe creare un meccanismo di tipo “fragile”, pertanto è spesso necessario accoppiare anche il rinforzo a taglio. L’aumento della resistenza a flessione è indicato nel caso in cui siamo in presenza di elementi con debole armatura, in quanto la presenza di elevate quantità di armatura esistente rende inefficace il contributo dell’FRP. Nel caso delle travi, il consolidamento può essere utilizzato anche per superare deficit di resistenza ai carichi gravitazionali. In questo caso, essendo il rinforzo di FRP applicato su una struttura già sollecitata, si deve tenere conto dello stato di deformazione della struttura all’atto dell’applicazione.

Figura 34 - Lunghezze di ancoraggio lb

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La massima efficacia del rinforzo a flessione si ottiene ad una certa distanza lb dall’estremo della fibra (vedi Fig. 34), la quale deve essere superiore alla lunghezza ottimale di ancoraggio, calcolata in funzione delle caratteristiche della fibra e del calcestruzzo di supporto. Per i nodi travi-pilastro l’intervento con FRP risulta, rispetto ad altre soluzioni, di facile realizzazione in quanto l’applicazione oltre ad essere esterna all’elemento strutturale, si adatta alle diverse forme geometriche del nodo. Come ogni rinforzo con fibre è importare creare un supporto il più omogeneo e resistente possibile. Riportiamo alcuni esempi di configurazione dell’intervento applicato ai nodi:

Figura 35 - Interventi sui nodi con FRP

Gli interventi sui nodi possono essere dimensionati anche per “assorbire” le spinte delle tamponature. In questo caso, sfruttando le caratteristiche di direzionalità delle fibre è

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necessario disporre ordini di fibre diagonali che, abbracciando i pilastri superiore ed inferiore, avvolgono il nodo contrastando le forze scambiate con il pannello murario. Possiamo vederne due esempi nella figura sottostante:

Figura 36 - Interventi sui nodi con FRP (con fasce diagonali)

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Conclusioni Come abbiamo potuto notare esistono varie e differenti tecniche di rinforzo strutturale. Tutti i tipi di rinforzi locali, utilizzati per zona sismica, hanno il fine di conferire duttilità ed evitare meccanismi di rottura fragile. Le differenze tra i vari sistemi sono per lo più di carattere realizzativo, in quanto i vari fenomeni sono tutti basati sulle teorie di comportamento degli elementi in c.a. Riportiamo una tabella riassuntiva dell’efficacia dei vari metodi per i vari fenomeni:

Tabella 5 - Confronto tra i vari interventi locali

Flessione Taglio Confinamento Nodo

Incamiciatura in c.a. X X X(2)

X

Rinforzi FRP X(1)

X X(2)

X

Incamiciatura in acciaio X X(2)

Metodo CAM X(1)

X X(2)

X

(1) Solo se ancorati efficacemente

(2) Effetto sempre abbinato al rinforzo a taglio

Inoltre, come ogni aspetto tecnologico e costruttivo, ogni intervento presenta elementi che comportano vantaggi nell’utilizzo e criticità. Si riportano alcune riflessioni nella tabella seguente:

Tabella 6 - Valutazioni sui vari interventi locali

Vantaggi Svantaggi

Incamiciatura in c.a. - Semplicità concettuale - Richiede mano d’opera non specializzata - Economicità rispetto ad altre tecniche

- Tecnica molto invasiva - Effetti sul comportamento globale (rigidezza, baricentri e modi di vibrare) - Possibili concentrazioni di tensione su elementi circostanti

Rinforzi FRP - Leggerezza (variazioni di massa trascurabili) - Selettività effetti flessione/taglio - Limitati effetti globali

- Richiede mano d’opera molto specializzata - Applicazione che richiede particolare attenzione - Richiede protezione contro incendio - Durabilità (alterazioni caratteristiche resina a lungo termine)

Incamiciatura in acciaio

- Facilità di realizzazione - Campo d’uso limitato

Metodo CAM - Selettività effetti flessione/taglio - Comportamento efficace rispetto alle ipotesi di calcolo - Limitati effetti globali

- Richiede mano d’opera specializzata - Applicazione che richiede particolare attenzione

In merito agli interventi globali, operando spesso con strutture non progettate in maniera antisismica, potrebbe risultare proficuo affrontare il problema dal punto di vista del miglioramento del comportamento globale. Ancor di più rispetto agli interventi locali, la tipologia di soluzione è molto ampia. In quest’ambito è importante operare una corretta analisi del modello di calcolo in modo da isolare i fenomeni critici. Le varie soluzioni possono essere in prima fase progettate in senso teorico, e successivamente devono essere pensate con dettagli costruttivi idonei a sviluppare il comportamento previsto. In particolare soluzioni come l‘inserimento di isolatori sismici o altri sistemi dissipativi conferiscono alla costruzione elevate prestazioni nei riguardi di funzioni importanti delle strutture in seguito all’evento sismico.

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Bibliografia [1] Reinforced Concrete Structures – R.Park, T.Paulay –1975 [2] Linee Guida - “Techniques for the Seismic Rehabilitation of Existing Buildings” – FEMA 547/2006. [3] Isolatori sismici per edifici esistenti e di nuova costruzione – D. Foti, M. Mongelli - 2011 [4] Criteri di Progettazione Antisismica – L. Petrini, R. Pinho, G.M. Calvi - 2004 [5] Linee Guida cucitura attive manufatti in c.a. EDILCAM – R. Marnetto – A.Vari - 2013 [6] Linee Guida per la riparazione e il rafforzamento di elementi strutturali, tamponature e partizioni – RELUISS - 2009 [7] D.M. 14/01/2008 – ‘Norme Tecniche per le Costruzioni’ [8] Circolare Ministero delle Infrastrutture 617 del 02/02/2009 - 'Istruzioni per l'applicazione delle «Nuove norme tecniche per le costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008.' [9] Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di Interventi di Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di Compositi Fibrorinforzati - CNR-DT 200 R1/2013 - 2013 Software utilizzato Elaborazioni numeriche effettuate mediante il software FaTA-E prodotto da Stacec. Contatti Ing. Biagio Pisano Stacec s.r.l. – www.stacec.com Email: [email protected], [email protected]