Strade Del Meridione - Settembre 2011

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S trade del M eridione Rivista dei Capi Calabresi dell’AGESCI settembre 2011 COMUNICARE IN CO.CA., L/C, E/G, R/S ________________ COMUNICARE CON UN METODO ________________ MAI SENZA L’ALTRO _______________ VIENI AVANTI CREATIVO _______________ INSERTO: PAGINE SCOUT COMUNICARE CON: - Gruppi - Zone - Quadri - Incaricati - Segreteria - Rivendita Le Buone Prassi Profumo di Futuro Educare alla Fede Abitare la Terra Come il Sale da cucina Una comunicazione che crea identità LE RUBRICHE Narrare è Comunicare!

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La Rivista dei Capi Calabresi dell'AGESCI

Transcript of Strade Del Meridione - Settembre 2011

StradedelMeridioneRivista dei Capi Calabresi dell’AGESCI settembre 2011

COMUNICAREIN CO.CA.,L/C, E/G, R/S________________COMUNICARECON UN METODO________________MAI SENZAL’ALTRO_______________VIENI AVANTICREATIVO_______________INSERTO:PAGINE SCOUT

COMUNICARE CON:- Gruppi- Zone- Quadri- Incaricati- Segreteria- Rivendita

Le Buone Prassi

Profumo di Futuro

Educare alla Fede Abitare la Terra

Come il Saleda cucina

Una comunicazioneche crea identità

LE RUBRICHE

NarrareèComunic a re !

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SdM L’EDITORIALESu Strade del Meridione di

Aprile, Mafalda apre l’editoriale scri-vendo: “ È l’ultimo che scrivo da Re-sponsabile Regionale”. Io invece ini-zierò scrivendo: “ È il primo editorialeche scrivo come Responsabile Regio-nale”. Cosa non facile per me, e guardaun po’, i contenuti di questo numerodi cosa parlano? di “comunicazione”.Quando è arrivata l’e-mail di Gino,nella quale proponeva l’impostazio-ne di questo numero, mi sono detta:“e adesso?” Poi ho pensato: “dove è ilproblema? I miei compagni di strada,Fabio e Don Massimo, che avrannocurato questa pagina altre volte, miaiuteranno a capire come fare!”. Inve-ce eccomi qui a scrivere parlando alsingolare, perché loro, “i mieic o m p a g n i

di strada”, hannopensato di lasciarmi tutta la scena,

essendo il primo editoriale dopo lamia nomina a Responsabile Regiona-le.

Ma torniamo al contenuto diquesto numero. Il modo che noi es-seri umani possediamo per far cono-scere un accaduto o una storia è rap-presentato dal Narrare e, l’incontroregionale per Consigli di Zona “Maisenza l’altro”, ha dato luogo a nuoveNarrazioni. L’evento ha permesso, at-traverso il raccontarsi, di vivere insie-me, di ritrovarsi nell’emozione, nellariflessione e nella condivisione delledifficoltà e delle ricchezze che ognu-no possiede che ha consentito di fareun bilancio del percorso iniziato piùdi un anno fa e ha disegnato l’oriz-zonte da raggiungere in un futuro

prossimo. Questo è quanto Mafaldae Gigi sottolineano nel loro raccontoscritto a quattro mani.

Ci sono state culture che han-no fatto a meno della ruota, ma non cisono culture che hanno fatto a menodelle storie. L’uomo, da quando scri-ve graffiti nelle caverne, racconta dimiti, di cronache quotidiane, di diariecc. Il racconto ci aiuta a metterci inrelazione con i fatti, anche se non liabbiamo vissuti, attraverso quell’ at-teggiamento in cui si chiede all’altrodi coinvolgersi, di fare un pezzo dicammino insieme……Oggi nell’era della comunicazionesuper tecnologica trova spazio il “no-stro” modo di comunicare”? Credoproprio di “si” se questo si fonda e silega a esperienze autentiche e since-re. Così come, Carmelina e Gionatafocalizzano nel loro articolo.

Il bello dell’ascoltare storieconsiste nell’aprire le menti, nonnel sentirsi interrogati. L’uomo èda sempre affascinato dai raccon-ti, che in fondo non sono altroche palestre dove ci si allena avivere e a interpretare il mondo.

Lewis Carroll diceva “Le storie sonodoni d’amore”. Il piacere dei bambiniche ascoltano un racconto sembraevidente, quello dell’adulto che rac-conta dovrebbe essere altrettanto.Raccontare una storia senza trovar-ci piacere, meravigliarsi del riuscirea suscitare interesse o entusiasmonei bambini, sottrae alla narrazionemolto della sua efficacia, Akela di Ca-labria lo sa bene e ci ricorda quantoè perchè è importante continuare afarlo.

II Metodo, elemento fondan-te e distintivo dell’ Agesci, ci forniscestrumenti da permetterci di entra-re in comunicazione con i ragazzi diqualunque età, di riuscire a stabilireuna relazione capace di comunica-re con loro e di farli comunicare fraloro in modo un po’ più profondo del

SOMMARIO 2 - EDITORIALE 3 - PINACOTECA REGIONALE

Concetta Greco 4 - EDUCARE ALLA FEDE rubrica

Amare come il sale da cucina 6 - MAI SENZA L’ALTRO 5 - ABITARE LA TERRA rubrica 8 - COMUNICARE CON UN METODO10 - COMUNICARE COMUNITÀ11 - INSERTO: PAGINE SCOUT15 - RACCONTARE IL RACCONTO17 - LA LEGGE CONSIGLIA18 - SUONA LA SVEGLIA20 - ABITARE LA TERRA rubrica

Profumo di Futuro22 - COMUNICARE COL CANTO23 - LE BUONE PRASSI rubrica

Una comunicazioneche crea identità

Reg. Trib. di Lamezia Terme n° 68/87C/o AGESCI CalabriaVia Trento, 47 Lamezia Terme ( CZ)

Direttore Responsabile:Labate Mangiola Bruna

Redazione:Gino ArcudiStefania GrassoMarco ColonnaAntonio D’Augello (web)Vincenzo Baglio (foto)Pasquale Topper Romeo (foto)Gaetano Spagnolo (grafica)

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mia voglia di conoscere quel mondonon passava. E così, con la scusa di ac-compagnare i miei figli, mi avvicinaiall’Associazione ed ebbi, da subito,la convinzione di trovarmi nel postogiusto a fare la cosa giusta. Mi sentiianche accompagnata, oltre che dallamia volontà, anche dalla volontà diChi aveva continuato a farmi sentireinterpellata dalla realtà dello scouti-smo. Ed eccomi qua a dire ancora unavolta “si” a questa nuova chiamata alservizio di Responsabile Regionale.Posso solo aggiungere che, anche in

questa occasione, cercheròdi fare “del mio meglio “.A questo punto, Stradedel Meridione, augura aConcetta un proficuo la-voro a servizio dei ragazzi,che come lei, hanno visto

nell’Agesci, un luogo dove potersiesprimere liberamente comunican-do le proprie capacità.

A questo punto, Strade del Meridio-ne, augura a Concetta un proficuolavoro a servizio dei ragazzi, checome lei, hanno visto nell’Agesci,un luogo dove potersi esprimere li-beramente comunicando le propriecapacità.

consueto. È così che il vademecum diSergio e Elena sottolinea quanto puòessere efficace una attenta modali-tà di comunicazione in un Consigliodella Legge.

Esiste un alfabeto della vita ele narrazioni sono il modo privilegia-to per comunicarlo alle nuove gene-razioni, la veglia RS, così come la de-finisce Edo Martinelli, “è un rito chevuole cambiare il corso delle cose”.Marina e Gianfranco nel loro articoloci ricordano che i racconti, celebratiin una veglia RS, sono un tuffo in unmondo di simboli che appartengo-no non ad una età ma al semplicefatto di essere umani, dove tutto è:concreto,non recitato e non ricreato,dove non si imita la vita ma la si vive.

Quanto finora detto si tradu-ce in una azione educativa collocatain un ambiente caratterizzato dallacorresponsabilità e dalla solidarietàreciproca. Impegno che ogni Comu-nità Capi, degna di questo nome, siassume. Quella Comunità Capi di cuiBarbara parla nel suo articolo defi-nendola un “coro” capace di renderemelodia anche se le note sono messealla rinfusa.Il filosofo russo Gurdjieff sosteneva:“noi siamo le parole che ascoltiamo”.E’ proprio così. Se noi decidessimo diutilizzare, tutti insieme, lo stesso lin-guaggio, allora le parole che userem-mo nelle nostre relazioni, divente-rebbero parole che contribuirebberoa dare valore aggiunto alle nostreComunità .

Spero di essere riuscita adentrare in comunicazione con voi, secosì non è stato, pazienza. Ci prove-rò ancora, ma permettetemi di darviun consiglio: “tuffatevi nella letturadegli articoli che seguono non ve nepentirete.Buona Lettura!Concetta GrecoResponsabile Regionale

CHI È CONCETTA GRECO?In Agesci dal 1990, ha iniziato il suocammino da Capo nel Gruppo ViboValentia 2, nel quale in sei anni ha svol-to il suo servizio in tutte le branche. Èstata membro di Comitato di Zona, hacurato la formazione del tirocinio inZona fra il 2006 e il 2010. Attualmentericopre l’incarico di Capo Gruppo.Capo Campo CFT e membro della Pat-tuglia di formazione regionale.Nella vita privata Concetta è Direttored’albergo che gestisce assieme a suomarito Pino e a Domenico(uno dei tre figli).Dal confessionale ci dice:“Quando ero piccola, vede-vo i miei compagni darsi ap-puntamento il sabato, in sedescout, ed io rimanevo fuori daquesta realtà, che tanto miincuriosiva, ma che mi era impossibi-le vivere perché abitavo a Vibo Marina(dove allora non esisteva alcun Grup-po). Mio padre, lavorava fuori regione,e mia madre, con 4 figli da badare, nonpoteva di certo accompagnarmi nelGruppo scout più vicino. Ad attirarmiera, come tutti i ragazzi della mia età,la curiosità. Gli amici che frequentava-no gli scout raccontavano tante cosedivertenti soprattutto dopo un’uscitao un campo. Passavano gli anni e la

PINACOTECA REGIONALE

concettaGreco

responsabile

regionale

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EDUCARE ALLA FEDE

Quando una comunicazione viene il-luminata dalla Parola di Dio sentiamol’emozione di aver incontrato la Verità.Ecco come è iniziato il Consiglio Regio-nale del 3 luglio scorso a Soriano.

Mai senza l’altro:il cammino continua… (appunti peruna riflessione condivisa)

C’era una volta un re che ri-spondeva al nobile nome di Enricoil Saggio. Aveva tre figlie che si chia-mavano Alba, Bettina e Carlotta. Insegreto, il re preferiva Carlotta. Tut-tavia, dovendo designare una soladi esse per la successione al trono, lefece chiamare tutte e tre e domandòloro: «Mie care figlie, come mi amate?».La più grande rispose: «Padre, io tiamo come la luce del giorno, comeil sole che dona la vita alle piante.Sei tu la mia luce!». Soddisfatto, il refece sedere Alba alla sua destra, poichiamò la seconda figlia.

Bettina dichiarò: «Padre,io ti amo come il più gran-de tesoro del mondo, la tuasaggezza vale più dell’oroe delle pietre preziose. Seitu la mia ricchezza!». Lu-singato e cullato da questofiliale elogio, il re fece sede-re Bettina alla sua sinistra.Poi chiamò Carlotta. «Etu, piccola mia, come miami?», chiese teneramen-te. La ragazza lo guardòfisso negli occhi e risposesenza esitare: «Padre, ioti amo come il sale da cu-cina!». Il re rimase interdetto: «Checosa hai detto?». La collera del retuonò terribile: «Insolente! Come osi,tu, luce dei miei occhi, trattarmi così?Vattene! Sei esiliata e diseredata!».La povera Carlotta, piangendo tut-te le sue lacrime, lasciò il castello eil regno di suo padre. Trovò un po-sto nelle cucine del re vicino e, sic-come era bella, buona e brava, di-venne in breve la capocuoca del re.Un giorno arrivò al palazzo il re En-rico. Tutti dicevano che era triste

e solo. Aveva avuto tre figlie, ma laprima era fuggita con un chitarristacaliforniano, la seconda era andatain Australia ad allevare canguri, e lapiù piccola l’aveva cacciata via lui...

Carlotta riconobbesubito suo padre. Si mise ai fornelli epreparò i suoi piatti migliori. Ma inve-ce del sale, usò in tutti lo zucchero. Ilpranzo divenne il “festival” delle smor-fie: tutti assaggiavano e sputavanopoco educatamente nel tovagliolo.Il re, rosso di collera, fece chiamare lacuoca. La dolce Carlotta arrivò e soa-vemente disse: «Tempo fa, mio padremi cacciò perché avevo detto che loamavo come il sale da cucina, che dàgusto a tutti i cibi. Così, per non dargliun altro dispiacere, ho sostituito il saleimportuno con lo zucchero».Il re Enrico si alzò con le lacrime agli

occhi: «È il sale della saggezza che par-la per bocca tua, figlia mia. Perdonamie accetta la mia corona!». Si fece unagran festa e tutti versarono lacrime digioia: erano tutte salate, assicurano le

cronache del tempo!«Voi siete il sale della terra!»…( Mt 5,13 ) ( BRUNO FERRERO )In Comitato regionale, quando ci sia-mo ritrovati per preparare questo Con-siglio, mi è stato chiesto di offrire unariflessione che in un certo qual modoci aiutasse a fare il punto sul camminofatto fin ad oggi. Guardando a quantol’Associazione sta compiendo in que-sto periodo, immaginando il futuro econ uno sguardo al bene che c’è in tut-ta l’Associazione, ho pensato che pote-

vo offrire due elementi utili: il primo èil racconto di Bruno Ferrero, il secondouno strumento che traccia il camminodella Chiesa per questo decennio (Edu-care alla vita buona del Vangelo).

Dal racconto si evince anzitutto la ric-chezza che il Re possedeva, e che do-vendo essere donata ad una delle trefiglie con la successione al trono, nonpoteva essere divisa.Obbligato dal suo ruolo il Re non eralibero di poter decidere secondo il suocuore, ma come padre che ama i proprifigli pone a tutte tre una stessa doman-da: Mie care figlie, come mi amate?Stupisce la domanda fatta che in se hauna fine delicatezza ma nel contempouna acuta intuizione: chiede come loamavano, non quanto…Il come…Questo è un primo elemento che oggiin questo consiglio possiamo far emer-gere dal nostro confronto.Riflettendo, in seno al Comitato, venivafuori che come realtà regionale si sta

lavorando parecchio, tantesono le iniziative e le propo-ste ma, a volte, ci si imbattenel come riusciamo a met-tere in rete tutto quello chefacciamo. Il diffuso atteg-giamento dell’autoreferen-zialità, che spesso riemergenelle relazioni tra Gruppi eZone, ci fa rallentare il pas-so.Il cammino fatto con il la-voro del Labozone, arriva-to al evento per i Consigli aRoccelletta di Borgia, ci haindicato chiaramente che lastrada che abbiamo intra-

preso, “mai senza l’altro” ci orienta alsuperamento di tale limite e ci porta asviluppare percorsi e iniziative che ciaiutano a crescere non solo come nu-mero, ma in qualità, nello stile e nelcontenuto nella proposta che voglia-mo offrire alle nuove generazioni.I dati dei censimenti di quest’anno cidicono che c’è un andamento verso ilbasso delle adesioni e questo ci deveportare a fare una riflessione comu-ne sulla proposta educativa che deve

AMARE COME IL SALE DACUCINA

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EDUCARE ALLA FEDEessere sempre alta, fatta con convin-cimento e che non confida esclusiva-mente nelle proprie capacità persona-li, ma con la fortezza dei contenuti e diprogetti (da quello del Capo a quelloeducativo del Gruppo) che guardanoal bene di tutti.Continuando la lettura di questo rac-conto, viene fuori che le prime due fi-glie hanno dato una risposta al padreche è stata semplicemente fallimenta-re… anche se avevano det-to cose bellissime, poi, neifatti, le hanno smentite coni loro atteggiamenti, mentrechi non era stata compresa,e di conseguenza allontana-ta, non ci aveva messo solocuore e sentimento, ma an-che saggezza (sale), nel comunicarequale fosse il sentimento che provavanei confronti del padre Re.Dal racconto al Racconto delle SacreScritture, dove, nel Libro degli Attidegli Apostoli troviamo chiaramenteesplicitato questo come nella vita delleprime comunità che erano animati daldesiderio della condivisione come ric-chezza della vita stessa.

In questo testo noi scopriamo che gliApostoli non vivevano di spontanei-smo dettato dalla novità della propo-sta, né tanto meno da un’idea politicache voleva sovvertire il proprio statodi vita sociale, ma da una forza inte-riore (grazia), che consentiva loro dimantenere la gioia di un dono ricevu-to e sempre più condiviso.La forza della loro testimonianzascaturiva dall’atteggiamento umiledell’accoglienza del dono.Per vivere dunque con questo stiledel come, si lasciavano educare , cioèplasmare dalla grazia, che diventavasempre più determinante per la lorocrescita.La Parola accolta e annunciata era lafonte, era lo stile di vita, era la testimo-nianza.

A chiarire ulteriormente il mio pensie-ro è il documento che la Chiesa italia-na ha proposto per questo decenniocon un titolo che è un

invito a concretizzare, nella vita del-le nostre comunità cristiane e quindianche nella nostra, le motivazioni ed icontenuti per Educare alla vita buonadel Vangelo noi stessi e, attraverso lanostra testimonianza, anche i ragazziche Dio ci ha affidato.Nel Capitolo 4 – La Chiesa, comunitàeducante – così si esprime il documen-to:«Un solo corpo e un solo spirito»

35. Nell’unico corpo di Cristo,che è la Chiesa, ogni battez-zato ha ricevuto da Dio unapersonale chiamata per l’edi-ficazione e la crescita dellacomunità: «Un solo corpo e unsolo spirito, come una sola è lasperanza alla quale siete stati

chiamati, quella della vostra vocazio-ne... Ed egli ha dato ad alcuni di essereapostoli, ad altri di essere profeti, ad altriancora di essere evangelisti, ad altri diessere pastori e maestri, per preparare ifratelli a compiere il ministero, allo scopodi edificare il corpo di Cristo» (Ef 4,4.11-12).Nella Chiesa unità non significa unifor-mità, ma comunione di ricchezze per-sonali. Proprio esprimendo nella loro di-versità l’abbondanza dei donidi Gesù risorto, i vari carismiconcorrono alla vita e allacrescita del corpo ecclesialee convergono nel riconosci-mento della signoria di Cristo:«finché arriviamo tutti all’uni-tà della fede e della cono-scenza del Figlio di Dio, finoall’uomo perfetto, fino a raggiungere lamisura della pienezza di Cristo… agen-do secondo verità nella carità, cerchia-mo di crescere in ogni cosa, tendendo alui, che è il capo, Cristo» (Ef 4,13.15).Dall’unità in Cristo scaturisce l’impegnoa vivere questo dono nei diversi ambitidella vita, a cominciare dalla famiglia:tra coniugi (cfr Ef 5,21-33) e tra genitori efigli: «Figli, obbedite ai vostri genitori nelSignore, perché questo è giusto… E voi,padri, non esasperate i vostri figli, mafateli crescere nella disciplina e negli in-segnamenti del Signore» (Ef 6,1.4). Anchenella vita sociale i cristiani sono chiama-

ti a manifestare questo spirito di comu-nione e di unità (cfr Ef 6,5-9).La complessità dell’azione educativasollecita i cristiani ad adoperarsi in ognimodo affinché si realizzi «un’alleanzaeducativa tra tutti coloro che hanno re-sponsabilità in questo delicato ambitodella vita sociale ed ecclesiale»60. Fede,cultura ed educazione interagiscono,ponendo in rapporto dinamico e co-struttivo le varie dimensioni della vita.La separazione e la reciproca estranei-tà dei cammini formativi, sia all’internodella comunità cristiana sia in rapportoalle istituzioni civili, indebolisce l’effica-cia dell’azione educativa fino a render-la sterile. Se si vuole che essa ottenga ilsuo scopo, è necessario che tutti i sog-getti coinvolti operino armonicamenteverso lo stesso fine. Per questo occorreelaborare e condividere un progettoeducativo che definisca obiettivi, con-tenuti e metodi su cui lavorare.(Da Educare alla vita buona delVangelo – Orientamenti Pastoralidell’Episcopato italiano per il decen-nio 2010-2020)

Queste semplici indicazioni posso-no aiutarci ad acquisire un passo

sostenuto nel camminoche stiamo affrontando indirezione del bene nostroe dell’Associazione. ComeCapi dobbiamo riuscire amantenere le nostre rela-zioni, personali ed associa-tive, in una logica di educa-zione reciproca e mai senza

l’altro, percorrendo quei sentieri cheportano al raggiungimento dellameta comune, consapevoli che ci siarriva soprattutto equipaggiati con lagrazia di Dio e con il nostro impegno.La strada da fare è tanta ma vale lapena metterci sulla strada perché lameta della nostra speranza è incon-trare Cristo Gesù.

Buon camminoDon MassimoAssistente Ecclesiastico Regionale

“nella Chiesa

unità nonsignifica

uniformità”

“occorre

elaborare econdivide-re un

progetto edu-cativo”

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Le strutture associative, se vissute conpesantezza e burocrazia, rischiano didiventare luoghi ostici per una buonaed efficace comunicazione. L’esperien-za dell’Incontro regionale per Consiglidi Zona del maggio scorso, attraverso ilracconto di Gigi e Mafalda, ci indica qua-le è l’abito indossare quando si è invitatial Consiglio di Zona e soprattutto che lostile della partecipazione è “mai senzal’altro”.

Mafalda: La richiesta di tratteggiarecon qualche pennellata alcuni aspet-ti salienti dell’Incontro regionale perConsigli di Zona “Mai senza l’altro”dello scorso 13-15 maggio, mi ha solle-citato a rispolverare la bella abitudinedella scrittura congiunta, stimolanteesercizio di confronto e arricchimen-to reciproco. Ho chiamato così Gigi egli ho proposto di ripensare entrambiall’evento, esperienza condivisa daglialbori della progettazione fino alla sua“messa in opera”.Gigi: Fine giugno, mentre le riunioni diCo.Ca. si diradano per lasciare più spa-zio ai preparativi per le imminenti at-tività estive con i ragazzi, una graditatelefonata richiama ad un diverso im-pegno associativo, scrivere a quattromani un articolo sul recente Incontroper Consigli di Zona.L’occasione è ghiotta, sia per il piaceredi riprendere una consolidata ma sem-pre piacevole esperienza di scritturacomune che impegna ad uno scambiodi opinioni e ad una sintesi che riflettale diverse sensibilità, sia perché questoci obbliga a dire la nostra su un even-to importante che entrambi abbiamocontribuito a pensare, ideare, proget-tare e alla fine abbiamo vissuto.Ci si chiede spesso se un evento sial’inizio o la fine di un percorso : solleci-tati per un anno dall’ormai noto Labo-zone, laboratorio espressione di tuttele Zone calabresi, coordinato da Fabri-zio Marano, i Consigli di Zona si sonoconfrontati a partire da stimoli comuniadeguati e calati poi nella realtà deisingoli contesti zonali. Considerandoquesto aspetto, l’incontro può dirsi unpunto d’arrivo.

MAI SENZA L’ALTROL’ultimo verbo proposto dal percorso diavvicinamento all’evento: dare speran-za, ci rinvia ad un’idea della Zona chedesideriamo costruire, in questo senso,possiamo considerarci invece all’iniziodi un nuovo cammino.Noi amiamo pensare però che l’evento,ogni evento, abbia un valore in sé: la te-stimonianza concreta e tangibile dellabellezza dell’esserci, della voglia d’in-contrarsi uniti da ideali condivisi e daldesiderio/esigenza continua di rimet-tere in discussione il propriomodo di concretizzarli.Si potrebbe dire che questoè vero, o può essere vero, pertutti gli incontri, certo è chein questi anni abbiamo impa-rato, così come la volpe delpiccolo principe, a gustaredei piccoli riti : le Assembleeregionali e prima ancora le Assembleedi Zona, i Consigli regionali e quelli diZona, gli eventi formativi e quelli isti-tuzionali. Oggi pensiamo sia giustoribadire come questo debba o possadiventare patrimonio di tutta l’associa-zione regionale ed allora ogni incontrodiventa festa, occasione di ritrovo a cuisi vuole partecipare ad ogni costo.“Mai senza l’altro” ha rappresentatoper noi uno stile del fare le cose, un

esempio di circolarità dell’associazio-ne dove tutti pur giocando ruoli diversiconvergono sul progetto comune.Una delle belle immagini uscite dai

lavori di gruppo è stata quella che haparagonato i Consigli alla tavola roton-da di re Artù, dove alla necessaria pre-senza di un re (compiti di responsabi-lità) i diversi ruoli si confrontano in uncontesto di circolarità delle esperienze,nel rispetto per il mandato di ciascuno,sottolineando la dignità stessa dellastruttura in cui si opera il proprio ser-vizio.Ci ha accolti il sole ed in un’anticipa-zione d’estate che ci ha accompagnati

per tutti e tre i giorni, ab-biamo vissuto in stile scouttutti i momenti che hannoscandito l’evento: la route,il montaggio campo, l’alzabandiera, insomma il climatipico del campo scout. Cor-nice dell’evento la suggesti-va area del Parco Archeolo-

gico della Roccelletta con la bellissimaBasilica di Santa Maria della Roccella,di epoca bizantina, intorno alla qualesi è svolta la coinvolgente Veglia delsabato sera.Ci siamo sentiti sorretti ed accompa-gnati dagli illustri ospiti: il Presidentedel Comitato nazionale, Alberto Fan-tuzzo, ed un membro della pattuglianazionale di Fo.Ca., Maria Baldo, giàincaricata nazionale alla Fo.Ca, che, ap-

prezzando la ricchezza dei contenutiche hanno contrassegnato il percorsopreparatorio, hanno collegato le no-stre riflessioni con quanto si

LO VOLETE UN CONSIGLIO..……..………….... DI ZONA?

“la voglia di

incontrarsi

uniti da

ideali”

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MAI SENZA L’ALTROsta elaborando a livello nazionale. Lacronaca dei lavori dell’incontro è stataricca di momenti diversi e molte sonole proposte su cui occorrerà lavorare.Solo qualche cenno.L’immagine della Zonache l’evento regiona-le ha delineato risultaconnotata da:• relazioni au-tentiche tra le Comu-nità Capi, tra i Responsabilidi Zona, tra Comitato/Con-siglio, tra Comunità Capi eComitato. Relazioni con-traddistinte da linguaggicondivisi. La qualità dellerelazioni consente di poteresternare le proprie pover-tà affidandosi al sostegnofraterno degli altri; impe-gno nella costruzione didinamiche adulte, capacidi gestire con maturità esaggezza la complessità, avolte la fatica, comunquela ricchezza del confronto;• capacità di saperguardare lontano, il respirodella Zona non è solo unarelazione con il territorio“su chiamata”, ma è tale daintercettare occasioni diformazione continua peri propri Capi, cogliendoistanze e coinvolgendosinella costruzione di pro-getti comuni;• capacità di discer-nimento, scelte oculate,consapevoli, sagge, riferitea mandati e impegni (RdZ, membri dicomitato, Capi Gruppo), a garanzia diuna qualità della proposta.Inoltre, sono affiorati alcu-ni interessanti interrogativisui quali occorrerà riflettere:la vocazione di una Zonacoincide con l’attuale distri-buzione delle stesse nellenostra regione? Una diversaconfigurazione favorirebbeuno sviluppo migliore, più capillare e,soprattutto, più attento alle realtà piùbisognose (scout e territoriali)?

Un documento stilato ad hoc infor-merà l’Associazione tutta in manierapuntuale sui contenuti emersi, un la-scito ricco, articolato, coinvolgente. Anoi sembra utile sottolineare l’impor-

tanza di esserci sentiti tutti chiamati acostruire un’associazione migliore per

i nostri ragazzi, una associa-zione che sia già qui ed oraesempio di apertura, dispo-nibilità, accoglienza, speran-za.A proposito di contami-nazione, sostantivo che èstato opposto ad autorefe-renzialità - ricordiamo che

l’evento è nato dall’esigenza espressanel nostro Progetto regionale di supe-rare l’auto-

referenzialità riscontrata sia nelle di-namiche interne che esterne alla vitaassociativa- ci si potrebbe chiedere aquesto punto, e chi è rimasto a casa?Anzitutto ci dispiace che non abbia

condiviso con noi questabella occasione di incon-tro e confronto tra Quadri,poi sarà compito del Co-mitato/Consiglio regionalecoinvolgere comunque suicontenuti e le scelte l’As-sociazione tutta, perché ifrutti di ogni attività signi-ficativa devono semprediventare patrimonio asso-ciativo.Certo, sfogliare virtual-mente la ricca galleria foto-grafia presente sul nostrosito e ritrovarsi, ripercor-rere mentalmente e visi-vamente i momenti più si-gnificativi dell’evento, nonha prezzo! Per tutto il resto(parafrasando uno sloganpubblicitario) ci sarà …una monografia di Stradedel Meridione e quant’altrosi riuscirà a produrre.Concludendo, cosa ci lasciaquesto evento?Una certezza, la certezzadi aver scommesso giu-sto quando diversi annifa (in una serie di Consigliche precedevano e antici-pavano alcune idee forzadell’attuale Progetto re-gionale) l’associazione hapuntato le proprie energie

sui Consigli (zonali o regionale).I Consigli sono davvero (ed ancor piùdovranno diventare) quei luoghi oriz-zontali dove insieme responsabili eincaricati a vario livello danno corpo espirito ai territori di riferimento e allanostra associazione.Mafalda Cardamone e Luigi Mazzei

“la certezza diaver

scommesso

giusto”

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Cos’è che raccontano i nostri ragazzi se non le cose fattecon entusiasmo ? Noi Capi abbiamo fatto tutto quan-to c’era da fare per rendere la comunicazione delle loroesperienze entusiasmante alle orecchie dei loro coeta-nei? Se per loro la notizia da comunicare sono le coseche sono riusciti a fare, per noi, notizia è comunicare laloro voglia di crescere per superare i propri li-miti e per farli giungere alla dimensione di unavita felice. Gli Incaricati al Metodo, Carmelinae Gionata, nell’articolo che segue, coniuganoMetodo e comunicazione per dare vita ad unaricetta fatta per nutrire di fiducia una relazioneeducativa.

Nel vivere l’esperienza di educatori spesso ci poniamodomande riguardo alle modalità del dialogo educativotra l’adulto e il ragazzo e, in particolare, poniamo l’atten-zione sulla comunicazione, e i suoi complessi linguaggi,attraverso la quale possiamo relazionarci con bambini,ragazzi, giovani.B.P. pensa che un capo scout, per dare vita a un auten-tico rapporto educativo con il ragazzo, deve porsi e co-municare come un fratello maggiore che dàfiducia, che sa giocare, entusiasmarsi edentusiasmare, che opera e costruisceinsieme al ragazzo senza pretenderevantaggi di ruolo, che conosce e satrasmettere saperi concreti e origina-li, che non si impone con autorità mavive l’esperienza accanto al ragazzo,crescendo insieme a lui, in un am-biente di avventura.Questa intuizione di B.P., innovativae sconvolgente ai suoi tempi, bensi accorda con il significato del ter-mine comunicazione che, possia-mo notare, ha origine da comune( communis: communicare) indi-cante “appartenenza a più per-sone; mettere in comune; unirein comunità”. Il riferimento allacomunità ci rimanda alla con-divisione, che è il modo perrealizzare comunità, quindicomunicazione come pos-sibilità di trasmettere e condividereesperienze e modi di essere per capirsi, per conoscer-si, per risolvere i problemi. Comunicare è un crescereinsieme poiché é comunicando che si riesce a cresceree a collaborare interscambiando i ruoli tra chi accoglie

e chi guida e mettendo insieme quelle emozioni, sensa-zioni e sentimenti che fanno parte di una interazione trapersone.Dio per primo comunica, cioè “mette in comunione” sestesso con l’uomo: Gesù è Parola che comunica all’uomoil mistero di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo e quindianche in Dio è presente la dinamica della comunicazione.Il comunicare é il frutto della costruzione del rispettoreciproco perché nel comunicare non si può non tene-

re conto degli interessi dell’altro e non si puònon valorizzare l’altro né trasferire all’altro soloinformazioni, messaggi, idee, sentimenti.In quest’ultima accezione la comunicazione èquella dei media, della pubblicità, monodire-zionale, con caratteri di comprensione imme-diata ma non di condivisione e di partecipa-zione, perché con tali mezzi comunicativi non

esiste la possibilità di scambio tra chi parla e chi ascolta,scompare l’interazione e la relazione.L’attuale canale comunicativo più diffuso, Internet, rista-bilisce in parte la possibilità di interazione. “Ma si tratta diuna interazione mediata da un mezzo che può prescin-dere dall’uomo, dalla sua soggettività, dalla sua perso-nale modalità espressiva (il tono di voce,l’inflessione, lacalligrafia, ecc.). Inoltre l’accesso al canale comunicativorichiede il possesso di un codice e di competenze non

generalizzate e, pur favorendo un ancor maggioredominio dello spazio e del tempo

di comunicazione, pone preci-si vincoli di accesso che costi-tuiscono discriminanti genera-

zionali, culturali e sociali”.In altre parole, la tecnologia fa-vorisce sempre più le possibilità

di connessione ed interazione maquesto non comporta automati-camente lo sviluppo della comu-

nicazione, anzi da questa è esclusochi non aderisce al sistema e nonacquisisce il codice idoneo.

Nella modalità di dialogo e di relazio-ni che stiamo vivendo c’è spazio per lo

scoutismo? La generazione-facebookcosì desiderosa di conoscere, incon-trare, parlare attraverso uno schermo,

che si lascia allettare dalla pubblici-tà, che non usa le parole che usano gliadulti, ma anzi abolisce gli aggettivi e

abbrevia parole e frasi, che non conoscepiù le distan- ze e si chiede come si faceva quando nonc’erano i telefonini, per questa generazione ha senso larelazione educativa proposta da B.P.?

COMUNICARECOMUNICARE CON UN METODO O……UN METODO PER COMUNICARE?

“Gesù è Parolache comunica

all’uomo il

mistero diDio”

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Dalla nostra esperienza di relazione con i ragazzi siamopersuasi che anche questa generazione, come quel-le che l’hanno preceduta, vuole un mondo migliore diquesto, quando qualcuno glielo racconta con sincerità esenza incoerenze, quando l’adulto, attraverso un rappor-to franco e diretto, entusiasma alla ricerca della profon-dità del proprio spirito e di quello degli altri, all’amoreper la natura, alla voglia di misurarsi con le difficoltà ealla conoscenza di uomini e donne testimoni di impe-gno per un mondo più giusto.Allora la comunicazione è legata ad esperienze signifi-cative personali e di gruppo e non si tratta di trasmetteresolo notizie, informazioni, conoscenze, ma di comunica-re reciprocamente espe-rienze, modi di vederele persone, le cose, ilmondo. Questo presup-pone la costruzione diun rapporto di fiduciareciproca, di empatia, diascolto, di accoglienzadell’altro, insomma unacomunicazione profon-da prodotta da modali-tà comunicative diversee che per realizzarsi habisogno di tempo per laelaborazione personalee la interiorizzazione.Nello scautismo questamodalità comunicativaè espressa col termine“trapasso delle nozioni”.“Io credo che noi, capiscout, possediamo, per-ché ci è stata trasmessae affidata, una ereditàpreziosa di strumenti, diesempi e di valori, chepossono dare spessoree solidità al nostro sensodi responsabilità e al no-stro desiderio di servire ipiù giovani”. (Anna Perale)Come vivere autenticamente lo scautismo? Con la gran-de intuizione di BP “imparare facendo”, il “fare” comune,concreto, che vissuto attraverso l’incontro personale, lacondivisione di momenti intensi, il dialogo, dà alla co-municazione profondità e globalità in quanto fa inter-venire tutta la persona: spirito, corpo, pensiero e sen-sazione. Non si vede bene che col cuore, l’essenziale èinvisibile agli occhi.(Saint-Exupery)

Occorre partire dalla vita dei ragazzi, far vivere loroesperienze che possano coinvolgerli fisicamente, spiri-tualmente, intellettualmente, così che i gesti, gli oggetti,le esperienze quotidiane, i giochi, i racconti divenganosimbolo e rimandino a qualcosa di più. Gli strumenti delmetodo ci forniscono occasioni e suggerimenti per farvivere ai ragazzi esperienze autentiche e significative.

Il branco con l’ambiente fantastico, la vita di squadrigliae di reparto con lo scouting e l’impresa, la comunità diclan con il servizio permettono di vivere momenti di av-ventura e di gioco che, anche per il clima di forte entusia-smo, fanno veicolare la proposta educativa e i momenti

di pausa, di riflessione,di ascolto di se stessi edei propri pensieri, diconfronto con gli altri(l’ascolto d’un raccontogiungla, una caccia fran-cescana, una veglia allestelle, un gioco kim nelbosco, un hike, una ve-glia rover) permettonola riflessione sulle espe-rienze vissute renden-dole determinanti per laloro crescita interiore.Dobbiamo essere atten-ti a proporre uno scau-tismo che sia fatto digioco, di vivere insiemee di narrazione, di unnarrare che non signifi-ca solo raccontare ma èsoprattutto quell’atteg-giamento in cui si chie-de all’altro di coinvol-gersi, di fare un pezzo dicammino e di cercare diimparare da ciò che si èvissuto.Tante sono le situazioniin cui i nostri bambini,

ragazzi e giovani sono chiamati a fare questo: il gioco,che chiede coinvolgimento personale; il racconto, chechiede di immedesimarsi e rielaborare; l’esperienza co-munitaria, che chiede lo sforzo di comprendere gli altrie rende la gioia delle cose fatte assieme…Carmelina e Gionata – Incaricati alCoordinamento Metodologico

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COMUNICARECome in una staffetta, la frase “noi scout per dire le cose lefacciamo”, passa da un campo di formazione ad un Incon-tro per Partenti, da una Comunità Capi ad una conferenzastampa per presentare una attività importante. Questa fra-se però nasconde un rischio: quello dell’autoreferenzialità!Non comunicare quanto facciamo può voler dire rinuncia-re al confronto e rimanere prigionieri delle nostre “tradizio-nali” convinzioni. Comunicare le “cose che facciamo”, pernoi che abbiamo compiti educativi, assume il significatodi “aiutami a comprendere meglio il bene da realizzare”.L’articolo di Barbara va proprio in questa direzione: una co-municazione per riuscire a rendere le nostre Comunità Capimigliori.

“Capire” cosa sia o cosa dovrebbe essere una ComunitàCapi non è semplice.Si tratta di una comunità di vita o di una comunità di ser-vizio? E’una grande famiglia felice o un insieme di adulti,spesso male assortiti, che non si sono scelti ma si ritrova-no a fare strada assieme?Guardando alla Comunità Capi di oggi, non è possibiletracciarne un profilo statico, né racchiuderla in una defi-nizione preconfezionata.La Comunità Capi è una realtà in continua evo-luzione, che cerca però di rimanere saldamen-te attaccata a quei valori del Patto Associativo,grazie all’adesione dei quali è nata.Al di là di ogni differenza di età, caratteriale, odi vedute, tutti coloro che si ritrovano in Comu-nità capi sono degli adulti che “vogliono” fareun servizio educativo, insieme! E cioè, i capisono principalmente una comunità di “fratelli maggiori”che, con gratuità e intenzionalità educativa, si mettonoal fianco dei ragazzi che gli sono affidati, per guidarli lun-go il percorso della loro vita.Quindi, far parte della stessa comunità significa, prima ditutto, condividere gli stessi valori, riconoscersi nello stes-so sistema di regole, che aiuti tutti a mantenere una con-dotta comune. Ciò fa della co.ca. un sistema complessodi rapporti interdipendenti, ovvero il comportamento diciascuno influisce inevitabilmente su quello degli altri.Pertanto, è fondamentale che ogni singolo capo abbiachiaro quali siano gli obiettivi condivisi dalla comunità,ma anche quali siano gli strumenti o, meglio, lo stile,il modo di fare le cose. Come dire, ogni capo ha la suaidentità, le sue peculiarità, una “diversità di carismi”, cheè senz’altro fonte di ricchezza all’interno del gruppo co-munità. Ma ogni singolo capo deve parlare nella stessalingua dell’altro, per non essere dissonante, per essereun ingranaggio perfetto del motore della comunità. Unasana relazione tra adulti presuppone l’uso di un linguag-gio comune; è la possibilità di comunicare sullo stessopiano che consente di comprendersi.Ciò che è importante non perdere mai di vista, all’inter-

no di questa relazione, è quello che potremmo definire lamissione della co.ca., che si può riassumere nella coope-razione consapevole di tutti i capi verso il raggiungimen-to di obiettivi condivisi.L’affettività, piuttosto che la simpatia o al contrario la di-scordanza tra singoli, sono elementi incidentali rispettoal compito che ciascun capo si assume all’interno dellaco.ca. Il volersi bene, l’essere amici che si frequentanoanche al di fuori delle riunioni, piuttosto che non farsitroppa umana simpatia, non dovrebbero essere elementideterminanti rispetto alla buona o mancata riuscita deicompiti della co.ca. Andare oltre la sfera emotiva, chepure fornisce linfa vitale alle relazioni all’interno del grup-po, richiede uno sforzo di astrazione notevole, che si puòrealizzare tanto più agevolmente, quanto maggiore è laconsapevolezza del capo del proprio ruolo di educatore.Infatti, quanto più forte è la motivazione del singolo alraggiungimento degli obiettivi (educativi) condivisi, neitempi e nei modi che la comunità ha scelto assieme, de-finendo i ruoli e le competenze di ognuno, tanto minoresarà la tendenza del singolo capo a premere per l’affer-mazione di sé rispetto all’altro, piuttosto che per soddi-sfare i propri bisogni anziché quelli del gruppo.Si potrebbe, metaforicamente, paragonare la co.ca. ad un

coro, fatto da tante voci diverse, che scelgonodi cantare la stessa melodia, la stessa musica.Ogni singola voce ha senso e valore rispettoal coro, solo se canta in armonia con le altre, el’armonia si crea, se ognuno esegue la propriala propria parte (voluta, scelta e condivisa, nonimposta!), se rispetta il tempo, la tonalità. Nonsi entra in un coro Gospel per pretendere poi

di cantare musica Rock, né si sceglie di fare parte di in uncoro, se si vuole fare i solisti.Per uscire fuori dalla metafora, attraverso l’appartenenzaal gruppo comunità capi si cresce anche come individuima non individualmente. Ciò non avviene sempre e co-munque. Se così fosse, le co.ca. sarebbero tutte isole feli-ci, luoghi sereni, di confronto pacato fra adulti responsa-bili. Invece, il nostro panorama associativo include anchescenari non molto edificanti, di gruppi gestiti secondomodalità relazionali distorte, per nulla aderenti ai principidell’essere scout. Ma, quando si aderisce al Patto Associa-tivo, ci si riconosce in un gruppo e si viene riconosciutidal gruppo, si acquisisce la consapevolezza di sé e deglialtri “assieme”, armonicamente collegati per realizzare icompiti che il gruppo si è dato, ed è allora che ciascunodiventa comunità. *Barbara Cartella

* cfr. “La gestione del gruppo di adulti”, di Gian Vittorio Pula,da Manuale del Capo Gruppo, Ed. Scout Fiordaliso.

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“se così fosse

le co.ca.

sarebbero

tutte iso-le felici”

mappa online dei gruppi scout calabresi:

http://g.co/maps/v66q

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Ecco come, Akela di Calabria, ci introduce a uno strumen-to per una comunicazione efficace in Branca L/C. Leggendol’articolo viene in mente la metafora del pescatore, il quale,se vuole esercitare la pesca con successo, deve usare un’escaappetibile per il pesce. Buona meditazione.

“tu vuoi sapere, Cocci, perché la lanterna illumina la GrandeQuercia. Ascolta.”

Ci fu un tempo….Quella di raccontare i racconti è una prerogativa degliscout, ed in particolare della branca l/c, che si è traman-data per lungo tempo e che ancora oggi, per fortuna, èviva; qualcosa che vale la pena continuare, arricchire, ap-profondire.Infatti,oggi più che mai, si avverte un gran bisogno delcontatto personale, della comunicazione, della narrazio-ne in un tempo che preferisce solitamente limitare il dia-logo ad un puro e semplice scambio di informazioni, dati,notizie, sostituendo al confronto una serie ininterrotta dimonologhi. E questo è tanto più vero quando si parla dicomunicazione tra adulti e bambini, resa difficileoltre che dalla soggettiva differenza di linguag-gio, di strumenti, di esperienza anche dalla sem-pre più netta separazione tra mondo infantile emondo adulto. Una separazione che spesso di-venta un altro muro tra i due mondi e che finisceper lasciare in una grande solitudine il bambi-no che, chiuso nella sua casa si consola troppospesso con la televisione, playstation o socialnetwork, che gli fanno immaginare di vivere quella vitacomunitaria, avventurosa e varia che gi è negata. Attra-verso queste strumenti che sono “mimo” della realtà delbambino si abitua pian piano a spegnere la sua creatività,a limitarla ad un universo pantofolaio e casalingo che loallontana sempre più dallo spirito dell’avventura, da ognitipo di iniziativa personale e comunque dalla vita vera.Non è certo questo il risultato cui noi tendiamo comeeducatori ed è anzi contro tutto ciò che dobbiamo ingag-giare la nostra battaglia.Importante quindi fissare un punto: l’educatore scout chevuole riuscire coi bambini deve sforzarsi di diventare nonsolo un tecnico del gioco, ma anche un tecnico del rac-conto.Perché raccontare racconti, dunque?Anzitutto per riuscire ad entrare in contatto con quelloche potremmo definire il territorio intimo del bambino,il suo mondo, la sua maniera di vivere e pensare. Spessoun racconto può essere un ponte gettato tra questi duemondi tanto a lungo separati, stabilendo così un contattonon superficiale, fatto solo di ordini, informazioni, brevie secche comunica-

zioni, ma più profondo, addirittura spirituale.Raccontare delle storie è quindi anzitutto un modo percomunicare con il mondo dei bambini, per istaurare conessi dei validi rapporti personali, un dialogo continuo ecomunitario. Un racconto narrato ad un gruppo di bam-bini è un ottimo mezzo per mettersi in sintonia con ilgruppo stesso, senza violenza, ma entrando pian piano,in punta di piedi, nel loro mondo.Raccontare delle storie può servire anche ad avvicinareil bambino al mondo della lettura, in modo più felice egioioso di quel che non avvenga solitamente nella scuo-la. Un racconto entusiasmante udito dalla viva voce diqualcuno è, quasi sempre, il ponte di passaggio verso lostudio, l’amore, la passione per i libri.Raccontare, infine, vuol dire stimolare la creatività, la fan-tasia, la voglia di inventare. Bisogna raccontare una favolaci insegna Rodari non solo perché il bambino la capiscae la goda, ma anche perché la faccia propria e riesca poia riutilizzare gli schemi per creare lui stesso delle favole.Quando il bambino da ascoltatore diventa creatore sia-mo sicuramente sulla strada giusta. In questo modo egliriuscirà non soltanto, oggi, a capire le favole e a domi-

narle ma probabilmente domani a capire cosac’è dietro le parole, e spiegarsi il perché di certiavvenimenti, e gli avranno dato uno dei tantistrumenti critici per controllare e decifrare larealtà.Molti di voi si chiedono quali sono le tecnicheper raccontare al meglio. Lo stesso BP racco-manda nel Manuale dei Lupetti parte III unaparticolare attenzione alla mimica, all’intona-

zione, alle pause. Pochi comunque sono gli accorgimentida tenere presenti: evitare di leggere il racconto, ma an-che di impararlo a memoria, perché in entrambi i casi sirischia di perdere quella spontaneità che è alla base diogni dialogo; credere in quel che si racconta, cioè essererealmente, profondamente partecipi del discorso che sista portando avanti; imparare l’arte del saper tralasciare,cioè trasmettere soprattutto l’essenziale, che non è certola trama del racconto, anzi con essa spesso non ha nientea che vedere.Cosa raccontare nei Branche e nei Cerchi? Favole anticheo moderne come quelle di Fedro, Esopo, Calvino, Rodari etanti altri. Raccontare aneddoti, semplici narrazioni di fattiveri, che devono essere brevi e vivaci. Sono destinati adillustrare una chiacchierata. Racconti ordinari della duratadi 15-20 minuti, contengono una storia completa coi suoipersonaggi, le sue esperienze, la sua trama. Grandi storiea più episodi. Barzellette e indovinelli.Dove fare il racconto? È molto importante che il raccontoabbia luogo in un posto tranquillo da possibili distrazioni,in modo da creare un’atmosfe-

RACCONTARE IL RACCONTOCOMUNICARE L/C

“imparare l’artedel saper

tralasciare, cioètrasmettere

soprattutto

l’essenziale”

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ra appropriata. Per un normale racconto di 15-20 minutiè bene che i bambini posano sedersi comodamente. In-fine come nella spiegazione di un gioco o di un’attività,occorre che tutti i bambini possano vedere chi racconta.Per questo è tradizione adottare la forma del cerchio. Nelcerchio il narratore parla dal suo posto e non dal centro,stando seduto o accovacciato.L’arte di raccontare …Se il racconto è un’opera d’arte, ilraccontare è un’arte. Ma va detto anche che chiunque,con un pò di applicazione, può divenire, se non un insi-gne artista, almeno un onesto artigiano. La prima ten-tazione da cui occorre liberarsi è quella di leggere il rac-conto, ossia di tenere un testo sotto gli occhi. Leggendo,anche parzialmente, non si diverrà mai“onesti artigiani”.E anche ammesso che uno riesca a dare alla lettura unai n t o n a z i o n evivace e nonm o n o t o n a ,rimane tra illeggere e ilr a c c o n t a r euna differenzasostanziale: “Ilnarratore è li-bero, il lettoreè vincolato. Ilnarratore nonè legato danulla: è liberodi osservare ilsuo uditorio,di seguire o diguidare ognimutevole at-mosfera, diusare il propriocorpo, i propriocchi, la pro-pria voce in appoggio alla sua espressione. Anche il suopensiero è più libero, giacché egli lascia che la storia gliesca con le parole del momento... Per questo motivouna storia raccontata è più spontanea di una letta, qua-le che sia la qualità della lettura.Via, dunque, il libro. E via anche la scaletta, anche breve,anche scritta nel palmo della mano.Raccontiamo a mente, e racconteremo con il cuore. Ciònon significa che sia necessario imparare letteralmentea memoria il racconto - salvo qualche frase caratteristicao di più forte contenuto educativo - ma certo occorrepossedere pienamente, senza errore possibile, lo svi-luppo della trama con le varie vicissitudini. Il narratoredeve arrivare a vedere, con la sua immaginazione, i fat-ti, quasi si svolgessero dinanzi a lui. Deve assimilare la

storia fina al punto da farla divenire una sua esperienzapersonale.Il racconto dovrà essere fatto in una lingua semplice, allaportata dei bambini, senza cercare alcuna affettazione oeffetto poetico o letterario.Ciò comporta che il narratore deve in un certo senso usci-re da se stesso, dalla sua “cultura”, ed “entrare nella pelle”del suo racconto e dei bambini che lo ascoltano. “Entra-re nella pelle del racconto” significa anche sentire il latodrammatico delle situazioni, e non aver l’aria distaccatao flemmatica di chi sa già che tutto andrà a finire bene.Questa esperienza di raccontare con entusiasmo, con al-legria, con sentimento, di “uscire dalla propria pelle” qualiche possano essere le proprie preoccupazioni, amarezzeo delusioni del momento (che un educatore non deve mai

trasferire suibambini) è ciòche conferisceal raccontarel’aspetto autoe-ducativo per chiracconta. Sarànecessario par-lare a voce unpo’ più alta delnormale, senzaperò gridare, epossibilmentevariando ognitanto, in modoappropriato, siail volume dellavoce, sia il tono.Anche i perso-naggi potrannoessere caratte-rizzati: donnee bambini po-

tranno parlare con voce più fievole. Infine i gesti: occorreche siano naturali, sobri, espressivi. Non vanno moltipli-cati arbitrariamente, altrimenti l’attenzione dei bambinirischia di spostarsi dalle parole ai gesti. Questi ultimi ver-ranno tanto più naturali e spontanei, quanto più il nar-ratore avrà saputo “uscire da se stesso” e immedesimarsinella storia.Un ultimo avvertimento è quello di ascoltare le riflessionio i commenti che i bambini fanno sullastoria, in modo da ricavarne le loro reazioni.Topper, Akela di Calabria

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COMUNICARE E/GOvvero il Consiglio della Legge in Branca E/G passa-to ai raggi “X” dagli Incaricati alla Branca. Un artico-lo che fornisce le coordinate per utilizzare, in modointenzionale e corretto, uno strumento pensato percomunicare con il mondo degli adolescenti e giocatosul terreno del rispetto degli altri, di se stessi e di regolecondivise.

Cari capi reparto e non, con questo articolo abbiamovoluto regalarvi una summa della nostra decennale ri-flessione su uno strumento decisivo, fondamentale, ine-ludibile del metodo della branca E/G: il Consiglio dellaLegge (nel seguito detto CdL). Vi consigliamo una let-tura calma e riflessiva, che vi consenta di interiorizzare iconcetti principali e vi aiuti a orientare correttamente ivostri passi futuri.Lo stile che abbiamo adottato è quello del vademecum,da ritagliare e portare sempre con voi, in cui accostiamomotivazioni educative/pedagogiche (in grassetto) allemodalità operative consigliate per i vostri reparti :

Il CdL insegna a dialogare in modo di-retto e costruttivo. La tecnica consigliata perrafforzare questa potenzialità educativa delCdL è questa: appendere alla parete le foto deimembri del consiglio d’impresa, in caso di ve-rifica di un’impresa di reparto, o dei capi sq.,in caso si voglia verificare il sentiero degli E/G;consegnare a tutti gli E/G una o più freccetteappuntite; invitare a colpire con le freccette le immagini(nota bene: solo le immagini) degli E/G per rafforzare laloro capacità di confrontarsi e di affrontare le questioniin modo diretto tra loro.

È una scuola di protagonismo per i ragazzi. Po-tete stimolare questo aspetto all’apertura del CdL e,eventualmente , anche in chiusura. Nel vostro interven-to, che comunque non deve essere più lungo di 25 mi-nuti, potete sottolineare con puntualità tutti gli impegnie le mete in cui gli E/G si sono cimentati. Gli E/G potran-no eventualmente portare elementi a loro discolpa, selo riterranno utile.

Insegna a formulare un pensiero fondatosull’esperienza e non solo opinioni. Certo, questa affer-mazione dipende da quanta esperienza gli E/G fannodavvero sul campo, nella vita dei nostri reparti. Il nostropunto di vista privilegiato ci fa affermare che non biso-gna esagerare con le esperienze in età preadolescenzia-le, specie se pericolose e vissute in autonomia. Una bellachiacchierata è sempre stata più efficace rispetto a unapasseggiata o a un torneo di pallavolo.

Permette di prendere impegni davanti alla co-munità...

Questa fase, solitamente, risulta troppo lunga e indige-sta ai capi reparto, specialmente più giovani. Per velo-cizzarla, consigliamo di consegnare un bigliettino a ogniE/G e un pennarello per segnare rapidamente gli impe-gni e le mete che hanno scelto. In questo modo ci riser-viamo tutto il tempo necessario per le cose veramenteimportanti.

… e di verificare gli impegni presi. A volte abbia-mo sperimentato una forma di amnesia e una certa reti-cenza degli E/G a rielaborare le esperienze vissute e gliimpegni presi. Un modo simpatico e coinvolgente perfar ricordare gli impegni e mete che hanno assunto a ini-zio anno è quello di tatuare sulle loro braccia ideogram-mi che li rappresentino in modo accattivante e trendy.

Educa a sentirsi parte di una squadra vincente.Uno degli strumenti più potenti per rinsaldare rapportipositivi e costruttivi tra persone è condividere esperien-ze positive ma impegnative, rassicuranti ma al contem-po esigenti. Un’attività consolidata che vi consigliamodi vivere è una partita di pallascout contro il Consigliodegli Anziani: sarà un’occasione insostituibile per far cre-scere il reparto in fiducia e autostima, oltre che in capa-

cità atletiche.Il CdL va vissuto con frequenza almeno

quindicinale, altrimenti non si ha il polso delreparto. Certo, può capitare di essere costrettia fare slittare un CdL già in programma, speciese si prende la decisione (infelice) di lanciareun’impresa di reparto o di sq. e si incorre neiprevedibili ritardi, quasi sempre dovuti alla

scarsa competenza e alle deboli motivazioni degli E/G.Il CdL è il luogo in cui gli E/G sono chiamati a

confrontare il comportamento e l’atteggiamento tenutirispetto ai contenuti della legge… a questo riguardo èd’obbligo un mega-concorso a premi per scovare chi co-nosce più di tre articoli della legge scout. E un superpre-mio per chi riesce a immaginare che quegli articoli pos-sono, in qualche misteriosissimo modo, essersi incrociaticon le esperienze vissute in squadriglia e in reparto.Vorremmo condividere con voi tante altre utilissime ri-flessioni, ma il nostro Bignami deve concludersi qui. Cisentiamo di lasciarvi un’ultima chicca: diffidate di quelliche ancora ricordano il vetusto motto “Ask the boy”! Ri-cordate sempre di non fare influenzare i vostri program-mi e le vostre attenzioni educative dalle passioni , dalleaspirazioni, dagli interessi anche più nascosti dei vostriE/G. Solo così sarete certi che vivranno con gioia la loropermanenza in reparto e, soprattutto, diventeranno ra-gazzi e ragazze migliori .Un abbraccio al contempo affettuosissimo e interroga-tivo.Elena e Sergio, Incaricati alla Branca E/G

LA LEGGE……. CONSIGLIA

“insegna a

formulare unpensiero

fondato sul’esperienza”

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Lo stile di scrittura usato nell’articolo dagli incaricati allaBranca R/S induce a stare “svegli” nel percorrere il testo frapunti interrogativi ed esclamativi, virgole, punti e virgola,puntini sospensivi, ecc. La posta in gioco è alta: far compren-dere ai Capi (tutti e non solo quelli della Branca) che la VegliaRover (e non solo rover) è uno dei modi per comunicare almondo le vicende del nostro passato e, nel rappresentare ilpresente, indica, a chi vi partecipa, il passaggio che porta adun mondo migliore.

Proveremo adesso insieme a voi, affezionati e coraggio-si lettori, ad avventurarci lungo sentieri ignoti e selvaggi,che attraversano terre ostili, desolate e così poco frequen-tate da essere avvolte da un’aura di mistico terrore.Ci inoltreremo lungo i perigliosi e accidentati scenari chefanno da sfondo ad uno degli strumenti della metodolo-gia RS più misteriosi, scabrosi, sconosciuti, vilipesi, ignora-ti, violentati (ok, basta) fra quelli con cui quotidianamentearmeggiamo. Esatto, parliamo di lei… della Veglia RS!!“La veglia RS!!??” direte voi, “Già, proprio quella lì”, rispon-diamo noi.La prima cosa da fare è sedersi, tirare un lungosospiro, ripetere a se stessi “Sono un capo Age-sci!! Ce la posso fare!!” e, subito dopo, scoper-chiando il vaso di Pandora, porsi la fatidica do-manda: cosa diamine è una Veglia RS!?!?Procediamo con ordine. Chiariamoci prioritaria-mente le idee su cosa essa non è. Non è una ve-glia di preghiera (sennò la chiameremo “veglia-dipreghiera”); non è una recita teatrale; non è un fuoco dianimazione. E allora di che parliamo??E proprio qui parte lo scatto d’orgoglio, l’azzardo inazzar-dabile, la sfida all’ignoto. Proveremo, udite udite, a raccon-tarci questo ambiguo strumento in 7 agili punti… e cheDio ce la mandi buona!

Punto 1: in alto i cuori!Per ben cominciare ci farebbe comodo una bella defini-zione, una frase lapidaria e definitiva che apra orizzonti difatale fascinazione e suggestione. Non essendo, noi umi-li estensori di questo scritto, capaci di produrre nulla delgenere, facciamo nostre le parole di Edo Martinelli che cispiega che la veglia RS è“un rito che vuole cambiare il cor-so delle cose”, di conseguenza uno strumento potenzial-mente capace di smuovere qualcosa, di stimolare un cam-biamento, sollecitare una riflessione, sollevare un moto diindignazione. Giusto perché“la veglia ha bisogno di realtàconcrete, assolute, non di falsificazioni. Non si deve recita-re, si deve agire. Non deve ricreare, deve creare. Non deveimitare la vita, si deve vivere”. Appunto… la veglia è “unrito che vuole cambiare il corso delle cose”.Perbacco, che premessa!! Vediamo il seguito…

Punto 2: un occhio ai sacri testi…Visto che lo ritroviamo sul comodino di noi tutti, fresco fre-sco ma già sgualcito per la sua costante frequentazione,proviamo a dare una rapida scorsa al regolamento meto-dologico di recente restyling (ed in particolare all’appositoarticolo sulla Veglia RS che, a partire dal nome stesso, si èvoluto dotare di una formulazione nuova e abbastanza piùnutrita della precedente), evidenziando alcuni passaggi incui si parla della veglia come di:- un momento di incontro e di interazione della Co-munità con altre persone;- un gesto di valore politico, possibilmente arric-chente e provocatorio;- uno spazio di espressione competente che mettein gioco linguaggi diversi e che valorizza il coinvolgimentodei singoli.

Punto 3: in principio c’è… l’esperienza.Se la veglia è strumento per comunicare qualcosa, logicavuole che ci sia un qualcosa da comunicare. Va da sé cheuna Comunità RS che sente l’urgenza di raccontare e rac-contarsi è una comunità che su qualcosa di concreto haragionato, sperimentato, litigato. Potrebbe trattarsi di unpensiero condiviso, una presa di posizione o una riflessio-

ne maturata al termine di un Capitolo, il fruttogustoso di un incontro, una testimonianza illu-minante, un servizio che ha lasciato il segno. C’èpoi un altro aspetto che non va dimenticato. Laveglia rappresenta lo sfondo accogliente di unacomunicazione autenticamente a più voci, cheaiuta a tenere il ragionamento aperto, a con-dividerlo e rilanciarlo fra attori e spettatori, a

maturare, in corso d’opera, un’idea nuova, che potrebbeessere qualcosa di diverso dallo spunto originale, perchépiù masticata, elaborata, condivisa. Diciamo che la vegliaRS è un cantiere aperto che trae sostanza e valore dal suorestare tale.

Punto 4: a chi ci rivolgiamo?Può essere offerta al Clan stesso (nel corso di una route,per esempio), proposta all’interno del nostro Gruppo, adun pubblico esterno, a chiunque vorremmo arrivasse ilmessaggio che intendiamo lanciare. Ciò che conta è chetale pubblico sia valorizzato come soggetto attivo, inter-locutore di un dialogo autentico che dovrà catturare inte-gralmente la partecipazione di ogni soggetto coinvolto.Proprio per questo non parleremo soltanto agli occhi edalle orecchie del nostro pubblico, ma solleciteremo tut-ti i sensi disponibili toccando le corde della sensibilità edell’emotività.

Punto 5: la macchina da guerra!Qui giochiamo in casa, o per lo meno dovremmo… possia-mo calare sul tavolo le nostre due carte preferite: compe-

SUONA LA SVEGLIA!È L’ORA DELLA VEGLIA

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“sono un capo

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tenza e progettualità (?!). La veglia chiede di essere ideata,pensata, programmata, non solo per rispondere all’esige-za di fare le cose per benino (che già sarebbe una santacosa), ma perché i dettagli, qui più che mai, sono funzio-nali all’obbiettivo centrale, comunicare efficacemente unpensiero. È richiesta una logistica impeccabile, una sceltaadeguata dello scenario (un teatro, un cortile, le vie di unpaese, una vecchia abbazia, la riva del mare, …), una sud-divisione dei compiti ben congegnata, che consenta di sol-lecitare ogni RS perché agisca da protagonista (servirannosceneggiatori, registi, fonici, tecnici delle luci, attori, …), lospazio dovu-to a delle pro-ve adeguate.Richiede curadei dettagli,buon gusto,rispetto delpubblico checi offre la suaattenzione eche non vapunito conmesse in sce-na approssi-mative o ec-cessivamentepretenziose.

Punto 6: gliingredienti…Qui vige unaregola au-rea… non cisono regole,dentro un si-mile conteni-tore può star-ci di tutto! Omeglio, qual-siasi tecnicaespressiva è valorizzabile se funzionale alla condivisionedel messaggio che ci sta a cuore. Potremmo giostrare framimo, clownerie, tecniche di teatro sociale, teatro musi-cale, teatro dell’oppresso, ombre cinesi, video… la varietàdei linguaggi e delle tecniche di animazione anzi, all’inter-no della stessa performance, contribuisce a potenziare laqualità della confezione e la capacità di penetrazione delcontenuto.

Punto 7: perché mai tutto questo??!!Cosa fa della veglia RS uno strumento di straordinaria ef-

ficacia sul quale vale la pensa spendersi più di quanto,forse, abitualmente facciamo? Fra i suoi tanti caratteri,secondo noi, il suo essere un piccolo compendio di ciòche l’intera proposta RS abitualmente propone, essendouno strumento che va molto oltre se stesso. Non è esclu-sivo momento di espressione e animazione, ma scuola direlazione (con se stessi, la propria comunità, il mondo), in-vito a scalfire l’ordinario, ad aggiungere al coro una vocediversa, a proporre una visione spiazzante, o comunqueragionata e non superficiale, di quanto ci sta intorno. Èatto concreto di partecipazione e segno di tensione civile.

È palestra di im-pegno personalenella sperimen-tazione di talentie competenze,laboratorio diricerca di dotinascoste, invitoad esercitare ildono della pro-fezia. È una delleprincipali occa-sioni che abbia-mo per ricordarciche siamo bravi eche è nostra am-bizione lasciaretracce visibili e ri-conoscibili, e nonconfuse e ap-prossimative, delnostro passaggioqui ed ora.

Per concludere,vi inviteremmo adare un’occhiataal volume “La ve-glia R/S” di LauraGalimberti (ed.

Agesci/Fiordaliso), un sussidio, in circolazione da qualchemese, che ci è servito per mettere in fila queste quattroparole ma che, soprattutto, potrebbe servire a chi ha vo-glia di approfondire l’argomento. Sono un centinaio dipagine più che esaustive e ricche di spunti tecnici e sug-gerimenti pratici di pronto utilizzo anche per il capo piùpigro e rassegnato allo scorrere ineluttabile degli eventi.Buona comunicazione a tutti!!La Pattuglia R/S

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Avere il coraggio e la capacità, come Capi e soprattuttocome Comunità Capi, di proporre nel contesto sociale, sen-za timori, il patrimonio di valori che ci contraddistingue e diriconsiderare il nostro “impegno politico” come responsa-bilità nei confronti della nostra terra, verso la quale siamochiamati a far sentire la nostra voce “profetica”.( dal Manifesto culturale )

L’Assemblea dell’Agesci del 25 e 26 giugno 2011 a Car-deto è stata definita straordinaria poiché fuori dai tempiordinari dei dettami regolamentari. Decisa dal Consigliodi Zona per giungere alla stesura del Progetto di Zona,a cui verranno affidati i tre anni futuri della Zona dei DueMari. E’ stata pensata su due giorni (cosa un po’ insolitaper un’Assemblea) per stimolare ai valori della condivi-sione, dell’incontro, del confronto e della comunità chedavanti ad un altare diventa Comunione. Preparare unevento è come mettere un piede nel vuoto. Un vuotodato da tante varianti: da quello insignificante della me-teorologia a quello piùimportante del numerodi partecipanti. Ma quelprimo passo nel vuotodiventa indispensabilequanto si vuole colmarelo spazio dell’indifferen-za e scardinare i cancellidella chiusura nel miopiccolo spazio parroc-chiale e/o di quartiere.È il Responsabile di ZonaMimmo Polito che spie-ga come si fa a passare“Dallo spazio di un corti-le alla conoscenza delmondo”: “Solo chi viag-gia e si fa viandante comprende le necessità dello stra-niero. Solo chi si priva delle sue certezze materiali com-prende la sobrietà e sa riconoscere cosa davvero èimportante. Solo chi vive cose nuove con spirito di av-ventura è capace di aprirsi al futuro che viene con tuttoil suo carico di sorprese e novità. Solo chi è aperto all’im-previsto ha speranza che i suoi progetti prendano forma.E la forza dei nostri progetti è nel fatto che non sono so-litari ma progetti/sogni collettivi, progetti comunitariche ci portano ad animare i cortili ogni sabato e ogni do-menica con un impegno ed una costanza che è solo dichi crede fermamente nella propria missione. Dal cortileal mondo attraverso la strada. Se il cortile è piccolo ed èfacile associarlo al gioco dei piccoli, il mondo è ciò in cuiogni adulto si trova proiettato e si proietta, perché nelmondo la nostra presenza è in divenire. I Capi scouts pre-

senti all’evento sono arrivati dai cortili parrocchiali dellaDiocesi, da Scilla a Saline, per interrogarsi seriamentesulle risposte e le strategie educative da mettere in cam-po per affermare che per noi la ricchezza delle diversità èpatrimonio irrinunciabile: il dialogo, l’ascolto, la com-prensione della condizione dell’altro sono presuppostiper promuovere una rinnovata corresponsabilità. Pen-siamo si debba siglare un Patto nuovo. Un Patto fra leparti, un Patto fra chi ha scelto ed è divenuto di parte; lanostra parte è quella di chi crede che solo l’educazionepuò cambiare stabilmente il mondo, perché incide le co-scienze e genera comportamenti. Siamo di parte secon-do le scelte del Vangelo. Vogliamo esserlo dentro la no-stra Chiesa; lo saremo anche fuori riguardo le questioniimportanti che interrogano l’uomo e il cittadino. Nel no-stro specifico, che è il campo educativo, chiederemo aciascuno di fare la propria parte e faremo la nostra perl’obiettivo comune: fare dei nostri giovani persone signi-ficative e felici. Persone cresciute giocando nei cortili …cittadini di un mondo tutto da conoscere e con tanto dacambiare.”“Solo l’educazione può cambiare stabilmente

il mondo”, dice MimmoPolito e sul tema delcambiamento abbiamosentito la Responsabiledi Zona Antonella Pietra-fesa a cui abbiamo chie-sto come 2.000 camicieazzurre possono produr-re cambiamento: ”1.650ragazzi, di età compresatra gli 8 e i 21 anni, gui-dati da 370 Capi coinvol-ti in un unico processoeducativo per consenti-re, ai primi di diventareadulti capaci di scelteconsapevoli e buoni cit-

tadini, ai secondi di affermarsi come testimoni credibili.La specificità del metodo scout sta nell’imparare facen-do, favorendo l’esperienza attraverso l’utilizzo di stru-menti adatti per ogni fascia d’età: il gioco per i bambini,l’avventura per i ragazzi, per ricercare, nell’età adole-scenziale, attraverso esperienze comunitarie e di servi-zio, la dimensione propria di ogni persona che orienta lapropria vita verso una vocazione. Tutto questo non puòprescindere dall’essere parte attiva e viva del territorio incui viviamo, richiedendo a tutti e a ciascuno di giocarsi inprima persona. In questa cornice si è inserita la nostrapresenza a Cardeto. Un luogo che ci ha accolto con lostile ed il calore delle migliori tradizioni, consentendocidi fare strada tra i boschi con lo zaino sulle spalle e of-frendoci la grande opportunità di un confronto nel no-stro stile. Rafforzare le nostre relazioni

ABITARE LA TERRAPROFUMO DI FUTURO

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ABITARE LA TERRAè stato il primo passo per guardare con forza alla realiz-zazione di quel cambiamento necessario per testimo-niare, fino in fondo, la speranza che portiamo in noi. Unincontro con tutti i Capi della Zona, che ci ha consentitodi riflettere su temi a noi cari, partendo dalle analisi dellediverse fragilità e dei diversi talenti, delle diverse realtàterritoriali, dei diversi modi di sentirsi, per essere Chiesaall’interno di ogni parrocchia, per arrivare, infine, a indi-care obiettivi e percorsi che segneranno il nostro cam-mino nei prossimi tre anni. Un importante incoraggia-mento ci giunge dal documento della CEI “Educare allaVita buona del Vangelo” che invita con forza ad aprirciverso relazioni nuove, a proporre una Chiesa in cui i ra-gazzi possano vivere da protagonisti i cambiamenti det-tati dalla loro crescita. Il tempo che stiamo vivendo inDiocesi, è un tempo propizio per lavorare insieme a chi sioccupa di educazione e la nostra Associazione ha sem-pre ritenuto che il modo migliore per far crescere i ragaz-zi fosse accompagnarli stando loro accanto, con la pa-zienza e la competenza, di chi vuole e crede che da unarelazione autentica possano nascere uominispeciali. Concludo ringraziando tutti coloroche hanno reso possibile l’evento (il Consiglio eil Comitato di Zona, gli Incaricati alle Branche ealla Formazione Capi) ed in particolare la Pat-tuglia Emergenze e Protezione Civile che han-no curato la logistica e i percorsi che ci hannoportato al Santuario di Mallamaci. “Da molteParrocchie in una Parrocchia per fare Chiesa”, ecco comeDon Ernesto, Parroco della Parrocchia di Santi ApostoliPietro e Paolo di Cardeto (ma anche Assistente di Zona),spiega come l’evento organizzato dall’Agesci dialogacon il territorio dell’importante paese aspromontano.Don Ernesto dice che ogni Gruppo scouts rappresentaricchezza per la Parrocchia e sul territorio dove trovaespressione esso rappresenta un riferimento per le fa-miglie che vi trovano sostegno alla loro azione educati-va, ma è anche riferimento per ogni Parroco che si sentesostenuto dalla presenza di Capi educatori che concor-rono all’azione pastorale di educare i bambini, i ragazzi ei giovani ai valori del Vangelo. Per Don Ernesto la presen-za di tanti Gruppi scout all’interno del Paese ha significa-to la mobilitazione di tanti cittadini cardetesi che hannovoluto affermare i valori dell’accoglienza propri dellaloro identità di popolo che “simpatizza”con gli ospiti. Mal’esperienza di ospiti ha dato all’Agesci la possibilità dimanifestare il proprio carisma educativo in una realtàche ha necessità dell’amicizia di chi possiede questo ca-risma. Una amicizia che incoraggia a curare i propri gio-vani per poter concepire un futuro possibile, un futurocerto. Il Parroco di Cardeto aggiunge che ad accogliere iCapi dell’Agesci c’era anche l’Aspromonte che da centoanni accoglie le esperienze

scout e che rappresenta questo libro aperto dove leg-gere le meraviglie di Dio. Un Aspromonte che continuaad insegnare il senso del mettersi per strada per cercarecose vere e il valore dell’essenzialità. In questo gioco fraparti particolare rilevanza riveste la fiducia nella Provvi-denza che sa quello che occorre per affermare il benecomune nella Parrocchia di Cardeto come nella Zonadei Due Mari dell’Agesci. Due comunità diverse, quelladi Cardeto e quella dei Capi dell’Agesci, ma che attra-verso la dimensione del servizio entrambe contribui-scono a dare umanità a tante vite. Quanto affermato daDon Ernesto ci rimanda a qualche giorno prima dell’As-semblea straordinaria dei Capi dell’Agesci, quando DonIachino, nella Conferenza stampa di presentazionedell’evento, promossa dall’Ufficio Comunicazioni Socia-li della Diocesi, così si esprimeva: “Affidare a Don Erne-sto la Comunità di Cardeto quasi contestualmenteall’incarico di Assistente Ecclesiastico dell’Agesci ha vo-luto segnalare allo scoutismo questa zona montanadella Diocesi perché possa essere guardata con simpa-

tia e la simpatia degli scouts si manifesta at-traverso la presenza, l’animazione. Una simpa-tia che diventa impegno pastorale perchéadottare queste zone diventa testimonianzaforte di comunione che fa bene allo scouti-smo, fa bene alla chiesa e fa bene ai tanti gio-vani che nell’esperienza dell’incontro trovanorisposte di senso alla loro vita.” Alla Conferen-

za stampa del 23 giugno c’era anche il Sindaco, Dr. Pie-tro Fallanca, che ha motivato nel suo breve interventosu come i valori della nostra terra possono essere messial servizio dell’educazione ed ha comunicato come lacomunità di Cardeto si stava preparando ad accoglierei Capi dell’Agesci. Sabato25 Giugno l’incontro fra dueComunità riunite come fossero UNA, che insieme han-no inaugurato l’inizio delle attività oratoriali e che insie-me hanno cenato (cena offerta dall’Amministrazionecomunale) nella piazza del Paese dove si è ballata la ta-rantella perché c’era motivo di fare festa, la festa delproprio battesimo, quel sacramento che ci rende figlidello stesso Padre. Domenica 26 giugno a Mallamacidove all’ombra di un Santuario centenario i Capidell’Agesci hanno fatto quel primo passo verso la co-struzione del Progetto di Zona e tra le voci, i canti e igiochi dei gruppi di lavoro abbiamo sentito un profu-mo intenso ma delicato, rispettoso di tutti gli altri pro-fumi. Un profumo che si poggia sull’esistente ma nonne cancella la storia anzi la esalta e individua gli odorisgradevole convertendoli in gradevoli. Che l’Agesci del-la Zona dei Due Mari abbia scoperto il“profumo di futu-ro?”G. A.

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Ad una Riunione di Branca, come ad un fuoco di Bivacco. Ad unaVeglia di Preghiera come sulle strade di una Route. Dentro unpullman che ci porta verso nuove avventure come in un Campodi Formazione. La Legge Scout lo cita quasi fosse un valore: LoScout e la Guida sorridono e CANTANO anche nelle difficoltà.Sette note chiamate a raccontare le avventure e gli eventi piùimportanti della nostra storia. Il canto come modo di comunica-re la nostra identità.

Il cielo stellato, una chitarra e un gruppo di ragazzi con i panta-loncini corti seduti attorno a un caldo fuoco scoppiettante cheriscalda il volto mentre la schiena rimane fredda.Si alza un canto al cielo, e anche il vento sembra vo-ler unirsi al coro con il suo dolce fruscio …

Voglio soltanto cantare un canto, / voglio soltantoguardare un campo, / però non voglio cantar dasolo, / voglio vedere gli uccelli in volo!

Il coro si fa più pieno, forte, deciso. Diventa energia,entusiasmo, calore.

Voglio portare il mio canto amico/ a qualsiasi amico che lo vor-rà! / Io voglio aver un milion di amici / per ben più forte potercantar!

Non si può immaginare un cam-po, un fuoco senza canti, senzamusica.La musica è il primo strumentoper creare la Comunità all’internodi un gruppo.Aiuta, con la sua allegria e spen-sieratezza, a tessere rapporti sin-ceri, a stringere amicizie, a creareinsieme qualcosa di bello, piace-vole.Lo sa bene chi ha fatto dell’ottavoarticolo della Legge il suo mottodi vita: lo Scout e la Guida sorri-dono e cantano anche nelle diffi-coltà.Perché la musica solleva il cuore erende la vita più piacevole.Si canta con la voce e con il cuore;si strimpella senza pensarci trop-po una musica energica, a voltepiù mesta, altre volte un po’ ma-linconica. Si suona per il gusto distare insieme agli altri, per sentirsiuniti, senza pensarci troppo.Si canta insieme perché il sentie-ro sia meno faticoso e la strada più piacevole.La musica aiuta ad avvicinarci all’altro, anche a chi conosciamodi meno, a capire i suoi gusti, il suo stato d’animo.Perché cantare è mettersi vicini, condividere lo stesso canzo-

niere; è insegnare e imparare dall’altro un canto nuovo; met-tersi in ascolto.Ogni volta che la chitarra inizia a suonare, e s’intona un cantoinsieme, s’impara ad ascoltare l’altro nello strumento che suonae nella voce che è; s’impara a cercare l’unisono, l’intonazione… l’intesa.

S’impara ad ascoltare anche la voce di chi ci è vicino e di chi èpiù lontano; si ascolta chi è timido e quasi sussurra, chi è piùestroverso e ha voglia di raccontarti qualcosa; cercare di far sìche ogni voce possa essere udita, modulando la propria abbas-sando a volte il tono, a volte imparare a esprimersi con decisio-ne e coraggio.

Ci si mette in cerchio, in modo che tutti si possanoguardare in volto, pian piano, si fa gruppo, nasce l’in-tesa, si stringono legami: ecco la Comunità!Cantare insieme significa imparare a esprimersi percome si è, essere se stessi e stare bene con gli altri,anche se non hanno il nostro stesso carattere, per-ché in un coro esistono così tante voci, e per ognivoce che si unisce alla melodia, il canto assume sfu-mature diverse.

Ogni suono è un colore diverso, è un timbro speciale e unico. Èsentirsi un tutt’uno con gli altri, stare bene insieme.Il canto diventa Comunità, specchio dell’essere gruppo, con i

pregi e i difetti di tutti- anche diquelli meno intonati o, meglio,di chi non ha ancora imparato a“educare” la propria voce.Cantare è imparare le pause e isilenzi, capire quando è il mo-mento di far uscire la voce, tenereil ritmo, cercare un’armonia, starebene insieme.È portare lontano il cuore, dimen-ticare per un momento i proble-mi, mettere da parte gi screzi esentirsi coro, condividere le stes-se parole, sorridere e cantare an-che nelle difficoltà.Perché ogni difficoltà è più facileda superare quando non ci si sen-te soli.La musica ha un potere universa-le immenso, ci aiuta a riflettere, ècapace di coinvolgere tutti.Così diventa mezzo di unione,per comunicare all’altro che nonsi è mai soli, ma si è coro.

Allora è vero:Voglio portare il mio canto ami-co/ a qualsiasi amico che lo vorrà!/ Io voglio aver un milion di amici

/ per ben più forte poter cantar!

Volpe Che Percorre Il Sentiero Fino In FondoErika Polimeni

VOGLIO SOLTANTO CANTARE UN CANTOCOMUNICARE COL CANTO

“ogni suono

èun colorediverso,

èun timbrospeciale eunico”

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Il Consiglio generale 2009 ha approvato il primo pianodi comunicazione della nostra Associazione.Uno degli obiettivi indicati nel piano era quello di «Aiu-tare a far maturare la consapevolezza che le unità, iGruppi e i singoli sonoi primi responsabili del-la comunicazione». Tragli strumenti individuati:l’uso coordinato dell’im-magine (emblema, cartaintestata, buste, bigliettida visita, mail…) per dareall’AGESCI un’identità pre-cisa e chiara e uno stileomogeneo, per unifor-mare le comunicazionidirette sia all’interno cheall’esterno dell’Associazio-ne, per fornire una «visibi-lità associativa» uniforme, per dare un supporto ai varilivelli associativi (Regioni, Zone e Gruppi). Abbiamo giàun’uniforme che esprime un legame di fraternità fra gliassociati e ci caratterizza anche all’esterno dell’Associa-zione: il suo uso è indicato nel Regolamento. Si tratta oradi uniformare e regolare il modo in cui emblema, colori,carta intestata, depliant, locandine parlano dello scauti-smo a chi non è scout.Siamo in un ambito in cui non vanno privilegiati l’indi-pendenza, il personalismo o l’autodeterminazione diogni livello, Branca, Settore, ma va invece promossa ediffusa l’unitarietà della nostra Associazione, dandole inquesto modo forza e autorevolezza anche verso l’ester-no.Siamo in un ambito in cui va promossa e diffusa l’unita-rietà della nostra Associazione, dandole in questo modoforza anche verso l’esterno. Si tratta di adottare uno stileunico nella comunicazione, completando un processoche è già in parte iniziato, ma che non ha ancora trovatocapillare e precisa diffusione. Invitiamo ogni Gruppo afarsi parte attiva in questo processo di coordinamento.Si parla di“immagine coordinata”se l’Associazione, nellasua interezza, si presenta nello stesso modo: dal CapoScout che invia una lettera a tutti i soci, al capo Gruppoche invia una richiesta al proprio Comune. Serve per tra-smettere un’identità precisa, chiara e uno stile omoge-neo, per fornire una visibilità associativa uniforme, perun’immediata riconoscibilità. È quindi importante chel’immagine che emerge dai livelli locali dell’Associazio-ne sia uguale a quella nazionale.I vari livelli associativi (Regioni, Zone e Gruppi) sono per-ciò tenuti ad adeguarsi a essa, in modo tale da adot-

LE BUONE PRASSItare uno stile unico nella comunicazione e contribuire inmodo diretto a una visibilità associativa unitaria.

Nell’area download dell’home page del sito Agesci po-tete scaricare il manuale dell’immagine coordinata,

edizione 2011. I file di uti-lità ai quali fa riferimentoil manuale (emblema neivari formati, carta intestatae buste con i campi da per-sonalizzare con indirizzo eriferimenti locali, bigliettoda visita) non sono stati in-seriti nella cartella di down-load volutamente, al fine dievitare un utilizzo non auto-rizzato.

I file possono essere richie-sti alla segreteria regionale

all’indirizzo [email protected] oppure all’Inca-ricato Regionale Settore stampa [email protected] ed anche attraverso la segreteria nazionaleall’indirizzo [email protected] o oppure all’Incari-cato nazionale Settore stampa [email protected]

Nell’inserto delle pagine centrali di questo numero tro-vate gli indirizzi mail dei Gruppi e quelli assegnati ai di-versi Incarichi associativi oltre che i numeri di telefono.Non saranno più quelle personali che bisognava aggior-nare ogni volta che cambiava una figura perché scadutao dimissionaria, con la conseguente perdita di comuni-cazioni e soprattutto di “storia”. L’invito è di attivarli su-bito e di usarli per le vostre comunicazioni associative.Buona Comunicazione a tuttiGino Arcudi -Incaricato Regionale alla Stampa

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