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IL QUADERNO DELLA CURA Storie e geografie Testi e immagini di Maria Virginia Angulo Foronda, Juliana Forson, Anna Manzo, Giulia Maria Martinelli, Shirley Jimena Morales Saenz, Alessandra Occhineri, Rosalba Pellegrini, Gianna Pirovano, Elisa Rota, Halyna Shampanyuk, Eva Torrico Da Guzman, Isidora Vejarano, Olha Vdovychenko a cura di Chiara Cremaschi consulenza progetto fotografico di Gaia Giani UN PROGETTO DELLA QUARTA COMMISSIONE DEL CONSIGLIO DELLE DONNE

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Il quaderno della curaStorie e geografie

Testi e immagini diMaria Virginia Angulo Foronda, Juliana Forson, Anna Manzo, Giulia Maria Martinelli,

Shirley Jimena Morales Saenz, Alessandra Occhineri, Rosalba Pellegrini,Gianna Pirovano, Elisa Rota, Halyna Shampanyuk, Eva Torrico Da Guzman,

Isidora Vejarano, Olha Vdovychenko

a cura di Chiara Cremaschiconsulenza progetto fotografico di Gaia Giani

un progetto della quarta commIssIone del consIglIo delle donne

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Il quaderno della curaStorie e geografie

Testi e immagini di:Maria Virginia Angulo Foronda,Juliana Forson, Anna Manzo,

Giulia Maria Martinelli,Shirley Jimena Morales Saenz,

Alessandra Occhineri,Rosalba Pellegrini,Gianna Pirovano,

Elisa Rota,Halyna Shampanyuk,

Eva Torrico Da Guzman,Isidora Vejarano,Olha Vdovychenko

a cura di Chiara Cremaschiconsulenza progetto fotografico di Gaia Giani

un progetto della Commissione “Politiche per la Salute”del Consiglio delle Donne

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Si ringraziano per l’impegno personale e l’aiuto:

Luisa Carminati, Manuela De Vito,Ruth Cuevas, Gabriella Cavagna, Elisabetta Pernigotti,

il Parroco e le Suore della Parrocchia di San Lazzaro di Bergamo

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La cura delle persone è uno dei doveri fondamentali di una Pubblica Amministra-zione.Ecco la ragione per cui il bilancio preventivo 2013 del Comune di Bergamo, nono-

stante ulteriori 6 milioni di Euro di tagli di contributi statali , evidenzia con orgoglio che in questo settore non solo non c’è stato un taglio ma anzi che per i servizi alla persona si è voluta una voce addirittura più consistente.L’impegno del Comune di Bergamo trova un importante completamento nei progetti e nei risultati del Consiglio delle Donne che spesso ha contribuito a un migliore fun-zionamento dei servizi alla persona. Anche questa iniziativa, che ha come tema la cura domestica degli anziani e delle persone non autosufficienti , è sicuramente un documento originale, apprezzabile e concretamente utile.

Franco TentorioSindaco,

Comune di Bergamo

In tempi di grandi e repentini cambiamenti quali sono quelli che stiamo vivendo, l’abbattersi di violente crisi che scompigliano l’organizzazione sociale ha, fra le tante ricadute negative (sofferenza delle persone, delle loro famiglie, disgre-

gazione della comunità, e tanto altro) un piccolo ma significativo pregio: si aprono sconosciute possibilità di sperimentare nuovi percorsi.Questo prezioso lavoro coordinato dal Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo offre l’occasione per entrare, attraverso la lettura di diverse testimonianze, in con-tatto con il mondo dell’assistenza personale. L’attenzione è focalizzata sul fenomeno delle “badanti”. Un fenomeno esploso ormai da diversi anni, che sembrava destinato a modificarsi, se non proprio a ridimensionarsi a causa della crisi che ha reso più po-vere molte famiglie, ma che in realtà rappresenta ancora oggi una “risorsa sociale” a cui si ricorre molto spesso quando la fragilità entra nelle nostre case.Se le scelte più importanti all’interno di una comunità civile devono potersi fondare sulla consapevolezza e sulla corretta conoscenza dei problemi, credo di poter af-fermare che questo lavoro offre un’occasione importante e preziosa che rafforza la sensibilità e la solidarietà connaturate alla natura della gente della nostra bel-lissima città.

Leonio CallioniAssessore Politiche sociali – Pari opportunità,

Comune di Bergamo

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Raccontare attraverso voci in prima persona quello che possiamo definire il “fe-nomeno” della cura parentale degli anziani e dei malati terminali è sicuramente un tema difficile e venato spesso di tristezza, dolore, rimpianto, nostalgia.

Quello che ci siamo poste come obiettivo era però cercare di dare uno spaccato di questa realtà che non corresse solo sul filo del disagio, del ricordo, della malattia e della morte ma che, in un alternarsi di testimonianze intime e sincere, riuscisse anche ad evidenziare qualcosa in più, sia nei racconti delle “badanti” sia nelle espe-rienze delle datrici di lavoro.Ed, in effetti, nel “Quaderno” emergono la durezza del lavoro di cura ma anche l’opportunità di riscatto che questo ha costituito, la richiesta di aiuto domestico ma anche la disponibilità a guidare la nuova arrivata, il distacco dalla famiglia di origine ma anche la nascita di una nuova famiglia fatta di “genitori” anziani ed accuditi e di ” figlie” accudenti venute da lontano.Il “Quaderno” è un piccolo contributo per meglio conoscere, attraverso le protagoni-ste, una situazione di “welfare familiare” complessa nella sfera degli affetti, proble-matica nei diritti e nei doveri, sempre pesante dal punto di vista dell’impegno fisico , psicologico ed economico e per di più in rapida evoluzione ,e che ,quindi, merita la dovuta attenzione da parte delle istituzioni.

Luisa PeccePresidente del Consiglio delle Donne,

Comune di Bergamo

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Di fronte al bisogno crescente di assistenza in casa una delle strategie più dif-fuse è quella di ricorrere a collaboratrici a domicilio, in modo riduttivo definite “badanti”. Si tratta di un terreno reso fertile dall’incontro di soggetti estre-

mamente bisognosi: da una parte le famiglie tese a ricercare soluzioni economiche e continuative, dall’altra le donne straniere non qualificate e spesso prive di alloggio interessate a una occupazione anche poco remunerativa e - perché no - in nero (nel 30% dei casi). Per molte di esse questa è - e sarà - “la” reale opportunità lavorativa. Secondo i dati CENSIS 2013 infatti nel 2030 serviranno 500mila collaboratrici in più all’attuale milione e 655 mila operativo in Italia. Eppure i servizi di collaborazione e assistenza si caratterizzano per una cronica destrutturazione e una preoccupante sottovalutazione delle competenze (solo il 14% ha seguito un percorso formativo). Nel marzo del 2012 Regione Lombardia decide di finanziare percorsi formativi utilizzando le risorse del Ministero del Lavoro e del Fondo Sociale Europeo per un totale di circa 4.000.000 di euro. In 10 minuti tutte le disponibilità sono andate esaurite, creando sconcerto negli operatori e allo stesso tempo ponendo di fronte alle istituzioni un ulteriore indicatore chiaro della diffu-sione del fenomeno nel nostro territorio. Per ENGIM si è trattata della prima vera occasione per avviare due corsi di formazione per Assistenti Familiari secondo gli Standard Professionali definiti nel 2008, a cui hanno partecipato soprattutto donne straniere dell’Isola Bergamasca. È stata un’esperienza “intensa”, sia per le allieve e gli allievi che per i formatori, questi ultimi in prima linea anche nell’ascolto e nella rielaborazione delle esperienze di vita, delle sofferenze e delle fragilità individuali emerse durante le lezioni, a testimonianza della complessità dei processi migratori e del rapporto che si instaura tra le famiglie e le assistenti familiari. Un rapporto che nasce dal passaparola, che vede “impreparate” la famiglia (non abituata a ve-dersi come “datore di lavoro”) e le collaboratrici (spesso “culturalmente” distanti e non formate) e che, nonostante ciò, risulta spesso profondamente e reciprocamente gratificante. La consapevolezza che, una volta terminati i finanziamenti, sarebbe stato molto difficile poter avviare altri corsi e l’amarezza di non poter proseguire nel dialogo e nel supporto professionale e umano, mi ha spinto ad accogliere con entusiasmo la proposta del Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo di attivare un laboratorio di auto narrazione rivolto alle assistenti familiari e alle famiglie degli assistiti, coinvolgendo anche le ex allieve dei corsi ENGIM. Chiara Cremaschi e Gaia Giani ci restituiscono in queste pagine lo “spaccato” che spesso manca quando si parla di assistenza familiare. Ai riferimenti normativi e ai “calcoli quantitativi” si fanno largo le parole, i ricordi carichi di immagini, i suoni, gli odori, le sensazioni capaci di attivare incontri impensabili, utili a ritagliare preziosi tempi di ascolto e di riflessione. Perché - se di bisogni vogliamo occuparci - nelle vicende umane dobbiamo entrarci, per immergerci completamente, senza timori e fretta di giudizio.

Giuseppe CavallaroDirettore Engim Lombardia

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La Commissione salute del Consiglio delle donne del Comune di Bergamo, in colla-borazione con la Rete salute riproduttiva delle donne migranti, ha promosso il progetto “Storie e geografie della cura - Donne migranti e italiane si confron-

tano sull’assistenza familiare”.L’intento è quello di costruire un incontro di sguardi, esperienze, riflessioni di donne tra i diversi soggetti coinvolti nel lavoro della riproduzione e della cura, in particolare in quello che richiede l’accudimento di persone fragili, anziane, non autosufficienti.Questo “lavoro” era, fino a pochi anni fa, svolto in prevalenza da donne parenti della persona assistita, perciò neppure considerato attività lavorativa ma“semplicemente e naturalmente” parte del ruolo femminile nella gestione familiare. Assistiamo ora ad una crescente (anche se parziale) delega del lavoro di cura a don-ne straniere che entrano nelle famiglie italiane lasciando spesso nei paesi di origine famiglie e affetti propri.Le donne italiane, per salvaguardare il proprio spazio di emancipazione faticosa-mente conquistato, diventano datrici di lavoro di altre donne che nei propri Paesi di origine non hanno le stesse possibilità di emancipazione. Le donne migranti, “vicarie” nel nostro mondo degli affetti, sono portatrici di una du-plice dimensione di cambiamento tra legami e ruoli nelle famiglie d’origine e le nuove relazioni , culture e linguaggi nei paesi ospitanti.

Quali domande pone questo fenomeno e quali contraddizioni mette in luce? Quali re-lazioni si costruiscono tra le donne? Come si intrecciano tra loro esperienze di vita giocate per lo più in spazi “privati” e interventi pubblici legati al welfare, al mondo economico e lavorativo, all’ambito dei diritti? Quali cambiamenti culturali e politici sono necessari per smettere di delegare alle sole donne i lavori della riproduzione e della cura e riconoscerne l’importanza sociale complessiva?

Abbiamo scelto di articolare il percorso in due momenti, quello del laboratorio di auto-narrazione in cui hanno trovato spazio le diverse storie di donne straniere e italiane (raccolte nei “Quaderni della cura”) e il convegno, in cui analizzare gli ele-menti emersi dal laboratorio intrecciandoli con le problematiche e le trasformazioni sociali prodotte da questo fenomeno.Questa occasione di confronto con organismi istituzionali e territoriali deve racco-gliere la domanda di valorizzazione del lavoro di cura e della sua complessità, della tutela dei diritti e della costruzione di reti di sostegno come risorse per combat-tere l’isolamento e l’invisibilità e per favorire politiche di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari.

Luisa Carminati, Manuela De Vito,Ruth Cuevas, Annamaria Dorigatti,

Silvia Dradi, Anna Pagnini, Agostina Penna De Beni,Carmen Plebani, Federica Sposi,

Rosi Tentori, Christiana Von Wunster,Consiglio delle Donne

Commissione “Politiche per la Salute”

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I materiali che compongono “il Quaderno della cura” sono vari e compositi, un po’ come il gruppo che ha lavorato insieme alla sua costruzione. Abbiamo iniziato il percorso del gruppo proprio raccontando il rapporto di cura

che ognuna aveva vissuto. Si è riconosciuto il momento che era l’”inizio”nella propria storia personale. Abbiamo proseguito con i vissuti e le esperienze, per arrivare infine ad immaginare la fotografia che si vorrebbe avere per tenere insieme passato e futuro, con gioia. C’è stata molta condivisione, pur mantenendo punti di vista diversi e che a volte si sono mantenuti distanti. Indubbiamente però, avere questo appuntamento ha messo in moto, per tutte, la ricerca di ricordi e vecchie fotografie, e la voglia di mettersi in gioco scrivendo e scattando immagini.Penso che queste esperienze di condivisione e restituzione siano un bene per tutte e tutti. Per le donne che si sono messe in gioco, per noi che le abbiamo accompagnate, e per chi avrà modo di leggere e guardare il loro “Quaderno”. L’idea iniziale del laboratorio era di creare un momento d’incontro. Credo che questo abbia funzionato. Nella costruzione del “Quaderno” si è cercato di tener conto di quello che abbiamo vissuto in laboratorio. Non troverete quindi solo racconti dolorosi, che certo sono presenti, ma una gamma di sentimenti più ampia, a volte anche contraddittoria. Un po’ come è la vita.

Chiara Cremaschicuratrice del laboratorio

Non ho insegnato molto in questo corso, ma ho rubato e appreso dalla vita delle donne che hanno partecipato al laboratorio e hanno condiviso la loro storia personale e le loro esperienze lavorative. Ho avuto il privilegio di ascoltare

storie toccanti e conoscere la realtà della cura da un punto di vista solitamente ta-ciuto negli interni familiari. Posso solo ringraziare queste donne che hanno parteci-pato e portato frammenti della loro vita per realizzare questa pubblicazione.

Gaia Gianicuratrice del laboratorio

La pubblicazione dei testi rispetta l’espressione originale delle partecipanti al laboratorio

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“Mi sa che la mamma non mi stira più…” pensai guardan-dola mentre con aria svagata ed un po’ affaticata riponeva i miei vestiti nel cesto porta biancheria.

Si materializza così un presentimento: come goccia d’olio che dal profondo si libera e risale verso la superficie.Prima ti stupisce e poi ti spaventa questa verità, perché lo sai che è la verità.Cerchi di ricacciarla indietro, ma come l’olio non può riaffondare nell’acqua così questo “cattivo pensiero” rimane attivo nella mente ed è il segnale indicatore di un inizio.

“Sarà l’ultima volta che imbianco la cucina?” sospirò lei guardan-domi con occhi di bimba aspettando una risposta di conforto. “Beh certo che questa fatica durerà almeno per i prossimi cin-que anni” le dico, “poi si vedrà”.(in realtà le domandai anche in tono scherzoso se avesse intenzione di morire presto, e le dissi che era ancora giovane ed in buona salute e che ancora per qualche anno avrebbe potuto godersi la sua casa).

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Questo è stato il presentimento di mamma a fine maggio, quando ancora non c’erano manifestazioni della gravità della sua malattia.Già dall’agosto 2011 erano cominciate le avvisaglie di un malessere difficile da curare.Enzo mio fratello secondogenito, era morto a febbraio in hospice. Cinquant’anni, tumore cerebrale operato 17 anni prima che si era riattivato da circa 5 anni.Mamma non si era più data pace anche se con me non ne aveva mai fatto parola; era evidente che ne soffriva ma non lasciava trasparire più di tanto.Ad agosto 2011 la dottoressa di base le aveva riscontrato una forte depressione, trattata con un antidepressivo che però mamma aveva smesso di assumere dopo un mese.Ad ottobre erano cominciati sporadici episodi di vomito, inizialmente attribuiti a indigestione, poi a colpi di freddo, poi virus influenzali, poi non si sapeva più cosa pensare.L’iter diagnostico passò attraverso analisi del sangue alla ricerca di marker tumorali, ecografia addominale, gastroscopia, cura per l’eradicazione dell’elicobacter, test successivo di controllo, colonscopia ai primi di maggio 2012.Fin qui tutto negativo.Dopo la colonscopia ebbe per una settimana dei disturbi ad urinare e a giugno, mentre imbiancava la cucina, le si gonfiò la gamba destra.Inizialmente si sospettò di una trombosi e fu ricoverata in clinica Palazzolo per la cura e per ulteriori indagini, perché non si trovava l’ostruzione venosa che avrebbe dovuto essere la causa della trombosi.

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Si scoprì così, con una ecografia, la presenza di una massa in vescica, assolutamente assente nella prima ecografia fatta ad ottobre. Si sospettò di un tumore alla vescica e venne trasferita in urologia per gli accertamenti specifici.E qui comincia il calvario di sofferenza fisica e psicologica, in parte anche mia, per come viene gestito il decorso della sua malattia, non ancora diagnosticata, che man mano si va aggravando.

SINCRONICITÀ - la storia non poteva andare in altro modo – ogni passaggio era una porta che si richiudeva impedendo di poter tornare indietro

Quanti di noi hanno avuto il pensiero: “lo sapeva che era venuto il suo momento”..?

Qualche anno fa mamma mi aveva fatto vedere dove teneva la biancheria di emergenza, quella nuova “da usare quando si va in ospedale”. Mi era sembrato strano questo comportamento, non era sua abitudine aprire i suoi cassetti e mostrarmi le sue cose.

Poco tempo dopo era caduta in casa rompendosi cinque costole e un braccio.Fu ricoverata in ospedale ed io trovai rapidamente tutto il necessario ben ordinato nei suoi cassetti come mi aveva mostrato.Le dissi che le sue istruzioni erano state premonitrici.

Rosi

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Tutto inizio un 6 novembre, quando i miei connazionali insieme alla mia cugina, comò tanti del mio paese immigrarono nel vecchio continente alcuni in Spagna, altre in Svizzera e mia

cugina in Italia. Cosi lei divento il mio punto di riferimento, già che lei era cosi brava nel suo mestiere come badante, che con il suo aiuto, da una richiesta per un lavoro in Italia. Lei pensò a me, perché sapeva che io avevo conoscenza infermieristica e potevo benissimo essere di gran aiuto. Infatti dopo aver accettato la sua proposta, avendo avuto anche un grosso problema con i miei genitori e con pochi soldi per il viaggio; mia cugina decise di prestarmi 1500 $ ché per me erano già tanti soldi e un grande rischio: in caso d’essere rimpatriata e perdere cosi tutto…; ma mia cugina mi riassicuro che andava dritta a un lavoro e che non dovevo preoccuparmi.

Nella famiglia Ferrara, il quale il signor Ferrara mi scrisse tre lettere, poi mi dette per via telefonica,che sarei stata accolta bene come di famiglia e che comunque di non preoccuparmi. Anche raccontandomi che la sua moglie aveva sofferto morbo di Parkinson e Alzheimer; in fine mi spiegò che sua figlia mi sarebbe venuta a prendere all’aeroporto di Malpensa e che mi avrebbe messa in regola una volta uscita la legge per l’immigrazione. In quel momento mi sembrava tutto perfetto.

Di quella maniera decisi di partire in Italia, lasciando il secondo anno de università di giornalismo, che da poco avevo anche finito le magistrali e già lavoravo come insegnante per le elementari.

La mia vita no era cosi brutta né disperata,fino a quando mio padre butto via mia mamma della sua propria casa, così mi dette tanto coraggio e decisi di partire in Italia.

Un viaggio che sembrava interminabile: quattordici ore di volo, più tre ore a Milano, Bologna e un’ ora a Bazzano , non dimenticando mai la paura che avevo avuto e quando il capo della finanza mi fermò a Milano. Sembrando che lì avrebbe finito il mio viaggio: perché i poliziotti ci facevano delle domande , e si tu no sapevi rispondere, loro ti rimpatriavano nel tuo paese d’origine; infatti un ufficiale mi chiese cosa venivo a fare in Italia, io risposi che ero una studentessa e che facevo un viaggio di turismo. Che a causa dalle persone che erano fuori ad aspettare i loro parenti e si spingevano a vicenda che volevano entrare nel corridoio di arrivo, fu quella la mia salvezza , l’ufficiale mi saluto e mi lascio uscire dell’aeroporto.

Fuori cera ad aspettarmi la figlia Laura Ferrara che mi accolse con un bel sorriso e parlava anche lo spagnolo, cosi spiegandomi il tra ietto che mancava per arrivare a casa sua e cosi questo fu il viaggio più lungo della mia vita.

Shirley

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Mio suocero ha scoperto di avere il diabete e per questa causa ha perso una gamba e dopo cinque anni gli hanno amputato anche la seconda. Tutta la nostra famiglia era impegnata nell’assistenza e nella cura di mio suocero.

Nel frattempo l’Unione Sovietica si è dissolta facendoci perdere in una sola notte tutti i nostri risparmi e le nostre sicurezze. Mio padre ha perso anche la testa ed è finito in ospedale psichiatrico. Dalla dissoluzione dell’Urss è nata la possibilità di viaggiare e mio marito ha cominciato a commerciare zucchero a Mosca, poi giocattoli, elettrodomestici, biancheria in Polonia, poi in Germania a comprare un’automobile da rivendere in Ucraina. Mio marito è stato poi in America per due anni e mezzo, a seguito dell’interessamento dei nostri vicini di casa che già erano a Filadelfia. È tornato perché aveva problemi di salute. Poi hanno scoperto un tumore al polmone a mia suocera e alla sua morte hanno valutato chi doveva partire e per dove. Così è iniziato il mio tour per l’Italia.Ho preso un autobus che attraversando la Germania e la Francia mi ha portato a Parigi. La mia prima vera vacanza, due giorni in giro per la città, a confrontare prezzi nei mercatini e a respirare a pieni polmoni la libertà, la libertà che mi ispiravano persone coi capelli bianchi che si tenevano teneramente per mano. In Ucraina non si usava. Eravamo partiti in 43 ma solo io e mia cugina non avevamo contratto debiti per fare questo viaggio alla ricerca di un mondo migliore.

Halyna

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Il primo posto di lavoro mi ha trovato una suora di Milano. Anche adesso mi meraviglio: come sono riuscita a sostenere il colloquio di la-

voro senza parlare l’italiano?!Dovevo assistere una signora anziana, vedova, con malattia di Alzheimer, a Palazzolo S/O. Ero infatti la prima ucraina rimasta qui! Mi hanno raccontato che prima di me era una mia connazionale di nome Natalia che lavorava come me, in una famiglia. Era partita di testa, la famiglia l’ha curata nell’ospedale. Dopo la cura Natalia ha ripreso il lavoro – ma non per molto. Ricaduta, di nuovo l’ospedale. Alla fine l’hanno spedita a casa. E la seconda storia è ancora più triste. Tre mesi prima del mio arrivo, nel agosto del 1997, i pescatori hanno trovato nel fiume Oglio il corpo di una ragazza ucraina, di 23 anni. Aveva tanti segni di tortura, probabilmente la obbligavano a prostituirsi… Questi due sorti sono molto tragici, ma non unici, purtroppo.Ecco, mi considero molto fortunata perché nei più di 15 anni della vita in Italia sono riuscita a salvaguardare sia il corpo che la mente!

Olha

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Non ho mai dovuto, come succede a molte mie connazionali, pagare per un lavoro, perché ho sempre trovato lavoro con l’aiuto di amici e conoscenti italiani.

Annarosa mi ha aiutato a trovare tutti i lavori, tramite lei ho assistito le mamme di sue amiche, la suocera e sono entrata a far parte della sua famiglia allargata e così ho conosciuto anche Gianna e Sandro. Sandro l’ho conosciuto prima che si ammalasse, all’Ufficio Diritti della CGIl dove ero andata a chiedere un parere. La difficoltà maggiore di questo lavoro è l’approccio iniziale in cui sia io che la famiglia che mi accoglieva dovevamo prenderci le misure, conoscerci, accettarci, capirci. Con Sandro e Gianna è successa la stessa cosa, complicata dal fatto che, per la prima volta, dovevo assistere una persona giovane, più o meno mia coetanea e che l’avevo conosciuto in salute e, addirittura, era lui che mi aveva aiutato a risolvere i miei problemi burocratici.

Halyna

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Faccio uno sforzo per inquadrare la situazione che si è creata quando abbiamo saputo della malattia di Sandro e quando a me hanno detto che gli restavano 6 mesi di vita.

Nella nostra coppia Sandro era quello accudente, quello che faceva la spesa, aggiustava la bici, metteva il parquet, aggiustava tutto, era il mio capitano; da un giorno all’altro oltre all’angoscia ho dovuto risolvere anche i problemi concreti, quotidiani. Ho avuto a fianco parenti e amici che mi hanno sorretto, ma per quanto tempo ci dedicavano, e ce ne hanno dato tanto, avevano la loro vita e io restavo a casa con la mia ansia, la mia angoscia e la mia incapacità ad affrontare il quotidiano. Facevo fatica a dormire, a mangiare, a lavarmi, non ce l’avrei mai fatta senza Halyna. O forse si, perché in questa tragedia ho scoperto risorse che non credevo di avere, ma senz’altro Halyna ha fatto la badante più a me che a Sandro. Ha tenuto botta alle mie crisi di angoscia e di rabbia. Un po’ mi ha anche coccolato. Ha reso un po’ meno gravosa la situazione. Certo per lei era un lavoro, però, da subito, abbiamo cercato di considerarla una compagna di viaggio, di essere accoglienti, almeno queste erano le mie intenzioni, spesso il risultato non è stato quello sperato e senz’altro con una persona meno intelligente e disponibile sarebbe stato tutto più difficile.

Gianna

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Neniam mi pensis veni Italion por labori! Mi venis por ferii. Mi estas esperantistino, kaj havis korespondamikon, li nomigis Erman -no Mello. Li sendis al mi invitleteron kaj 500 dolarojn por la vojago.

Por havi ideon, kioma estis ci cifero por ukrainino en la 1997: mia salajro, tiu de stata instruisto, estis 3 dolaroj Ermanno min gastigis en sia domo en Valcamonica (Valkamònika), kaj mi havis la gojon koni lian patrinon – si estis eks-partizanino, kun kromnomo “Luce” (Luce, t.e. Lumo). Kaj gi, lau mi, taugis al si pli, ol bapto-nomo!…Pensis mi pasigi en Italio maksimume 2 monatojn… kaj pasis jam pli ol kvindek jaroj. Dank’al subdiro de iu rusino mi decidis resti por labori. Mia pli aga filino devis igi patrino, la dua filino lernis; do necesis la mono.

Olha

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Non ho mai pensato di venire in Italia per lavorare! Ero venuta per una vacanza. Sono un’esperantista, avevo un amico di corrispondenza, si chiamava Ermanno Mello. Lui mi ha mandato la lettera d’invito e i 500 dollari per il viaggio. Tanto per dare l’idea, che cifra era questa per una donna ucraina nel 1997: il mio stipendio d’insegnante statale era 3 dollari…Ermanno mi ha ospitato a casa sua in Valcamonica, ho avuto la gioia di conoscere la sua mamma – ex-partigiana; pseudonimo “Luce”. Che, secondo me, le stava meglio del nome di battesimo!…Pensavo di rimanere in Italia al massimo per 2 mesi… e son passati più di quindici anni ormai.Con il suggerimento di una donna russa ho deciso di rimanere per lavorare. Mia figlia maggiore stava per diventare mamma, la seconda figlia stava studiando; servivano i soldi.

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Da piccola mia nonna con le sue due figlie non vedenti mi ha cresciuta dandomi amore e attenzione. Non perché vivessi chissà quali disagi nella mia famiglia, ma solo per-ché mia madre lavorava a Milano e tornava nel tardo po-meriggio. La zia più giovane, “Teresina”, si occupava di me e di mio fratello preparandoci per andare all’asilo, che era poco distante da casa mia. Sono cresciuta quindi con l’esempio di queste tre donne impegnate ognuna con le propri mansioni: la nonna casa e cucina, la zia Sofia mungeva le vacche, la zia Teresina si districava con i nipoti oltre, a me e mio fratello altri 3, che abitavano nello stesso cortile, figli del fratello. Dal loro esempio ho imparato cosa vuol dire porre atten-zione agli altri, così che quando la zia Sofia ha deciso di non voler più vivere, all’età di 92 anni, con mente lucida e sana, si è messa a letto dicendo non voglio più mangiare

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ne bere. Con stupore ma soprattutto con rispetto, quan-do toccava a me il turno, provavo una tenerezza per que-sta donna che se ne voleva andare con dignità. Morì pro-prio quando io ero lì che le tenevo la mano e con un’altra mia cugina che si occupava della sua igiene personale. Mi sono ritrovata una seconda volta ad affrontare la cura dell’altro con mio marito, gli hanno diagnosticato un cancro al cervello, 11 mesi di sofferenza, lui consa-pevole del suo male, ed io che lo incoraggiavo a lottare a non lasciarsi andare. Ma quando ero sola in macchina urlavo il mio dolore, la mia impotenza davanti ad un atro-ce male. Forse aver cura di uno sconosciuto credo sia più sop-portabile anche se si impara a volergli bene, credo, non posso esserne certa non l’ho provato ancora.

Elisa

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Puedo decir con mucha gratitud que cuando llegue aquí encontré a personas muy buena en especial las personas que me acogieron y me esperaron para darme trabajo “el Señor Giovanni y La señora Marissa” una

pareja maravillosa que me ensenaron muchas cosas y me tuvieron también mucha paciencia porque cuando llegue aquí no sabía hablar nada de italiano ya que vine aquí improvisamente, fue una decisión no planeada en mi vida.

Trabaje dos anos en el día (ocho horas) en las que la señora Marissa me enseno con paciencia todo lo que se, por ej. que cosas le gustaba y que cosas no le gustaba al señor Giovanni, cocinar comida Italiana en si me enseñó como era el ritmo de la vida que llevaban .

El ano 2009 lamentable mente una noche ella se cayó tubo una fractura en la cadera y la internaron en el hospital, esto fue un gran golpe para el señor Giovanni que al saber que su esposa estaba en el hospital en poco tiempo el también se enfermo y

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fue internado en el mismo lugar. Después de unas semanas el regreso primero a su casa y de unos meses su esposa murió, es ahí donde entre a trabajar fisso.

Para el señor Giovanni la muerte de su esposa fue un dolor muy fuerte que se deprimió lloraba tanto, a consecuencia de todo este sufrimiento con el tiempo poco a poco llego a tener el ansaimer es ahí que se complicaron las cosas para mi, quise dejar de trabajar pero no tenia en corazón de dejarlo ya que lo había llegado a admirar y apreciar como persona tengo tanto que agradecerle el me hiso los documentos y me ayudo cuanto más lo necesitaba no podía dejarlo.

Pasando un ano justo el mes en que la señora Marissa fue internada en el hospital el señor Giovanni se cayó , me siento culpable porque después de cenar el quería ir a la cama yo no le deje porque era demasiado temprano y lo lleve a la sala y en tanto yo estaba en la cocina labavando los platos el se levanto para ir al baño y se cayo se fracturo la cadera, fue el mismo caso de su esposa ,lo llevaron al hospital por barios meses, cuando regreso su temperamento empeoro, poco a poco su mente fue empeorando fue cuando llamaron a un psicólogo y confirmaron el ansaimer le dieron medicamentos para controlarlo en la que estoy muy atenta.

Fueron meses difíciles porque yo no sabía nada ni cómo tratar a personas con esta enfermedad, siempre me recordaba de la señora Marissa cuando me decía las cosas que le gustaba y que no le gustaba a su marido así con paciencia y cariño aprendí a controlar el carácter del señor Giovanni.

Maria Virginia

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Posso dire con molta gratitudine che quando sono arrivata qui ho incontrato persone molto buone, specialmente le persone che mi hanno accolto e si sono date da fare per darmi lavoro: il sig. Giovanni e la sig.ra Marisa, una coppia meravigliosa che mi ha insegnato molte cose. Ha avuto con me molta pazienza perché quando arrivai qui non parlavo una parola d’italiano giacchè venni qui improvvisamente, fu una decisione non pianificata nella mia vita. Lavorai due anni a giornata (otto ore). La signora Marisa mi insegnò con pazienza tutto ciò che so, per esempio le cose che le piacevano e quelle che non piacevano al signor Giovanni, cucinare alla maniera italiana e come era il loro ritmo di vita .Purtroppo nel 2009 una notte lei è caduta fratturandosi l’anca e l’hanno ricoverata in ospedale; questo fu un duro colpo per il sig.Giovanni, che mentre sua moglie stava in ospedale anche lui si ammalò e fu ricoverato nello stesso ospedale.Dopo qualche settimana è tornato a casa mentre dopo qualche mese sua moglie morì, e da allora ho iniziato a lavorare fissa.Per il signor Giovanni la morte di sua moglie fu un dolore così forte che lo portò alla depressione, piangeva molto e a causa di questa sofferenza e in poco tempo cominciò a soffrire di Alzheimer; in quel periodo le cose si complicarono per me, avrei dovuto lasciare il lavoro, ma non avevo il coraggio di lasciarlo, era una persona che apprezzavo e ammiravo e a cui ero infinitamente grata per l’aiuto che mi aveva dato, i documenti che mi avevano preparato quando avevo molto bisogno, non potevo abbandonarlo.Proprio dodici mesi dopo il ricovero della signora Marisa, anche il signor Giovanni è caduto. Mi sento in colpa perché dopo cena voleva andare a coricarsi mentre io ho aspettato perché era troppo presto, e l’ho portato in sala intanto che io stavo in cucina mentre lavavo i piatti; lui alzandosi per andare in bagno, è caduto e si è fratturato il femore; fu nel stesso modo di sua moglie; lo ricoverarono in ospedale per vari mesi, e quando tornò il suo carattere era cambiato, a poco a poco la sua mente è peggiorata.Quando chiamarono uno psicologo fu confermato l’Alzheimer, gli prescrisse del-le cure per controllare la malattia, cure a cui dovevo stare molto attenta.Furono mesi difficili, io non sapevo come trattare persone con questa malattia, cercavo di ricordare quando la signora Marisa mi diceva le cose che piacevano e non piacevano a suo marito e così con pazienza e affetto, ho imparato a gestire il carattere del signor Giovanni.

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Da due settimane sto facendo la badante a una donna di 84 anni, io sono di passaggio, la nonna sta aspettando che la chiamano al ricovero.Con lei sto molto bene e lei con me, le piace come cucino e sono di ottima compagnia.Mi ha detto un giorno che sono la figlia mancata, lei ha due maschi.Mi ha detto un giorno se va al ricovero vuole che vado a trovarla la nonna.

Alessandra

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Lei si chiamava Sara ed abitava a Sotto il Monte e mi ha contattato tramite il passa parola. Dopo un breve colloquio mi ha invitata a casa sua per un giorno di prova. Quello che ho fatto è stato di suo gradimento e quindi mi ha tenuta presso di lei perché non era autonoma, era affetta da un tumore all’intestino che la costringeva a portare l’estonia: un sacchetto di gomma attaccato alla pancia che doveva essere spesso cambiato. Io di mattina ero incaricata di fare la spesa e i mestieri in casa e poi cucinavo volentieri per lei e svolgevo altri impegni che lei da sola non riusciva a compiere. Di pomeriggio la portavo a fare una passeggiata o a fare dei piccoli servizi che l’aiutavano a stare meglio. Man mano che io la frequentavo, aumentava la conoscenza reciproca e così pure la fiducia a tal punto che lei mi trattava come una figlia che lei non aveva mai potuto avere e dai suoi gesti io capivo quanto mi volesse bene.Giorno per giorno purtroppo lei peggiorava a tal punto che un giorno in bagno perse i sensi, cadde e battè la testa. Il marito chiamò il 118 e nel frattempo mi volle vicino a lei per accompagnarla in ospedale dove è stata ricoverata per un’ematoma e per la rottura dell’anca. Il marito mi ha chiesto di assisterla in ospedale dove sono stata accanto a lei per due giorni e due notti. Lei si riprese e riuscì a sostenere l’intervento all’anca. Purtroppo una sera le venne la febbre molto alta e il medico mi avvisò che sarebbe peggiorata. Infatti dopo tre giorni lei è deceduta. Tre giorni in cui per me non è stato bello vederla in quelle condizioni e mi è dispiaciuto molto vederla soffrire in quel modo e dovermi separare da lei. Sono tre anni che non c’è più e mi manca.

Anna

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NONNA AS I ALWAYS CALLED HER WAS THE GRANDMOTHER OF MY EMPLOYER, MY YOUNGER SISTER WORKS WITH THE MOTHER OF MY EMPLOYER.

SHE WAS 90 YEARS OLD. I WAS ASKED ONE DAY TO CARE OF HER ONE AFTERNOON, BECA USE NONNA EMPLOYER CLOSED AT 2 P.M. I WENT AND DID TAKE CARE OF HER FOR FOUR HOURS, WHEN I WAS LEAVING I EMBRACED HER AND AS SOON AS I TOUCHED HER SHE SAID CHE BELLO. SINCE THEN SHE REQUEST ME TO COME AND WORK FOR HER WHEN HER EMPLOYEE IS NOT AVAILABLE.LATER SHE TOLD HER CHILDREN THAT SHE PREFER THAT I SLEEP WITH HER EVERY NIGHT, SO WHEN I FINISHED MY DAILY WORK I START THERE AT SIX P.M. FROM MONDAY TO SUNDAY, WHAT I DO IS I PREPARE DINNER, GIVE HER MEDIC INE, CLEAN HER, PUT ON HER NIGHTGOWN SIT AND WATCH TELEVISION AND GOES TO BED AT 9 P.M.SUNDAYS SHE SPENDS WITH HER TWO CHILDREN EACH SUNDAY I DRESS HER UP IN THE MORNING AND ONE OF THEM PICKS HER UP TO HIS OR HER HOUSE, SHE SPENDS THE WHOLE DAY THERE AND IT WAS ON ONE OF THIS VISIT THAT WHEN I CAME BACK IN THE EVENING I MET HER SITTING IN THE ENTRANCE CHAIR, LATER GETTING TO NINE I WAS GETTING HER TO STAND UP TO CLEAN HER FOR BED THAT I REALISED THAT HER HALF PART WAS DEAD BECAUSE SHE WAS SO HEAVY AND COULD NOT MOVE.I BECAME AFRAID AND CALLED HER SON HE CAME SUDDENLY ANF HELP ME PUT HER TO BED THAT EVENING SHE WAS SAYING JULIANA PUT ME ON BED I WANT TO LIE ON MY BED, BUT SHE WAS ON BED EARLY IN THE MORNONG AN AMBULANCE WAS ARRANGED AND SHE WAS TAKEN TO HOSPITAL, SHE

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ASKED HER CHILDREN THAT SHE WILL LIKE ME TO FEED HER IN THE EVENING AS WE USED TO DO I DID THAT FOR ONE WEEK, AS I WAS LEAVING SHE HELD MY HAND SHE WILL NOT LET ME GO, I SAID NONNO I WILL MISSED THE LAST BUT BEFORE SHE LET GO OFF MY HAND.

I WENT HOME I WAS EATING WHERE WE SIT AND EATS TOGETHER WHEN ALL OF A SUDDEN THE ENTRANCE AND THE KITCHEN LIGHT WENT OFF, INFACT I CALLED HER DAUGHTER AND ASKED THAT HAS HAPPENTED IS NONNA O.K. BECAUSE ONLY THE ENTRANCE AND THE KITCHEN LIGHT HAS GONE OFF, SHE SAID JULIANA NONNA HAS PASSED AWAY.I DREAMT AND SHE WAS TELLING ME JULIANA NOW I AM GOING I STARTED CYRING IN THE DREAM SAYING NONNA DO NOT LEAVE ME, WHEN I WOKE UP AND THINKING ABOUT IT I REALISED IT WAS THE FOUTIETH DAY SINCE SHE DIED.

Juliana

Nonna, come io la chiamavo sempre, era la nonna del mio datore di lavoro, la mia sorella più giovane lavora con la mamma del mio datore di lavoro.Aveva 90 anni. Mi fu chiesto di occuparmi di lei un pomeriggio, perché la dipendente finiva alle due. Io andai e mi occupai di lei per 4 ore, quando stavo andando via l’ho abbracciata e appena la toccai lei disse: “Che bello”.Da quella volta mi chiese di andare a lavorare per lei quando la sua dipendente non poteva.Più tardi lei disse ai suoi figli che preferiva che io dormissi con lei ogni notte, così quando finivo il mio lavoro quotidiano io cominciavo da lei alle sei di pomeriggio, dal lunedi’ al sabato; io preparo la cena, le do le sue medicine, la lavo, le infilo la camicia da notte, guardiamo la televisione e va a letto alle nove.

Tutti i sabati sta con i due figli, ogni sabato il mattino la vesto e uno di loro la passa a prendere per portarla a casa sua , dove lei sta tutto il giorno e fu durante una di queste visite che tornando la sera io la trovai seduta sulla sedia all’ingresso, e più tardi, verso le nove, mentre cercavo di alzarla per lavarla prima di metterla a letto , capii che era semiparalizzata perché era molto pesante e non poteva muoversi.

Io mi spaventai e chiamai suo figlio che venne immediatamente e mi aiutò a metterla a letto quella sera, mentre lei diceva: Juliana portami a letto... Voglio stare sul mio letto.....ma era nel suo letto. Il mattino presto, chiamammo l’ambulanza e fu portata in ospedale, lei chiedeva ai figli che voleva che io la imboccassi la sera come al solito, io l’ho fatto per una settimana, appena io cercavo di andare via lei mi prendeva la mano e non voleva che io me ne andassi, io ho detto “Nonna mi mancherai” prima che lei lasciasse andare la mia mano.Andai a casa e stavo mangiando dove sedevamo e mangiavamo insieme, quando all’improvviso andò via la luce all’ingresso e in cucina. Chiamai sua figlia e chiesi cosa era successo, se la nonna fosse o.k. perché solo la luce dell’ingresso e della cucina era andata via.Lei disse “Juliana la nonna è morta”. Ho sognato che lei stava dicendomi “Juliana ora vado via”. Ho cominciato a piangere nel sogno, dicendo “Nonna non lasciarmi”. Quando mi svegliai, pensandoci, ho capito che era il 40esimo giorno da quando era morta.

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Per curare o semplicemente seguire una persona malata o semplicemente anciana è requisito per mè 4 FORZE e tanto affeto, pascienza, tanto amore e anche il suporto della famiglia dell asistito.

FORZA PSICOLOGICA FORZA DI VOLONTA FORZA FISICA FORZA SPIRITUALE

FORZA PSICOLOGICA: Per cappire ogni cambiamento, sintomo, segni, fisico o mentale che sofre a causa delle malatie, in questo caso l’ Alzheimer, prendendolò con naturalità nell senso mèdico sanitario, sensa però... che questo significhe indiferenza.

FORZA FISICA: Per sostenerla, per farla caminare, anche questo e ia cuasi imposibile per lei farlo da sola, per meterla sull sedia a rotelle, per meterlo su letto.A mamma Carla come li dico io, affetuosamente anche per farla sentire bene, pure io mi sento bene cosi. La siguo dall 2006 e mi sembra lontano, cuando andabamo a messa in Domènica, dopo tornare a casa e lasciarla con i figli. Cuando andabamo a sieme al suo orto all cuale curava e coltivaba uno suo amico della famiglia, andsabamo a prendere dei pomodori, la insalata, zucchini, melanzane e cuanto altro ect. etc.Cuando butabamo delle briscioline di pane sull prato di casa, per poi vedere da lon-tano, come scendebanno degli alberi, tanti, tanti uscelini in cerca de cibo. Questo era molto bello, perche lei era molto felice.

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Mi sembra lontano anche, cuando mamma Carla seguiva alla sua gatina con il suo piato pieno de manggiare, chiamandolà soltanto....micia! biene a manggiare... Mi sono permessa di sugerirgli un nomme, la chiamerei...“Lucrezia” pero lei se lo dimenticaba quasi sempre e mi diceva...come si quiama la gata? poi la chiamaba per nomme..soridendo, la gata pero veniba subito.Purtroppo la bella gatina Lucrezia, si amalò e mangiaba quasi niente, l’ hanno portato dal Veterinario, ma...niente da fare l’hanno trovato un tumore nei polmoni e cosi, non cè piu da 2 anni circa.

Come dimenticarme, cuando ci metibamo di acordo per cosa cucinare, guardando ricetari di cucina, el frigor per vedere gli igredienti. Cuando facebamo la torta salata o dolce, l’ strudell etc. Come dimenticarme anche cuando facebo i mestieri de casa, vogleva sempre aiutarmi, mi ricordo anche cuando pensaba abber la sedia dietro di sè e si sedeba in area e le veniba de ridere dicendo...che sciema! poi diceba sempre è meglio ridere a piangere, era uno suo consigilo di sempre.Era bello cuando al pomeriggio, ci metibamo su le poltrone di fronte alla TV per vedere suoi Documentari favoriti come... Geo & Geo, Alle fale dell Killimangiaro, Geo Magassine fra altri programi che piasceba a lei.

Alla sera, dopo un bell bagno al letto, fare la nostra preghiera, poi un bacio sublime su la sua fronte come ogni sera, per poi cheaccherare a lunnngo fin che si adormentaba.Nel matino siguente, le daba sempre il benvenuto, dicendo Benvenuta a questa giornata de Giovedi o il giorno che sia, oggi è nuvuloso o cè il sole, piove o dipendendo come si presentaba la matina.

E mi sembra cosi vicino, direve quasi ieri che abbiamo visuto tutto questo e oggi... oggi che non posa dire una parola, dare dei pasi da sola, di non andare piu in chiesa,

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di non guardare la TV. da non lavarsi da sola, da non manggiare sensa aiuto, da non mandare giù le pastiglie medicinali che prende, pero non sensa escere schiaciate o sciolte in accqua.

Il non riconoscere ai figli, parenti, amici sensa pasare prima tanta fatica, de non alegrarsi cuando arribano tutti i figli, nuere, e i nipotine (o) come prima lo faceba, era felicissima anche cuando facebamo dei pranzi in famiglia, c’era casa piena, bellissimo. Ma tutto questo lo sente soltanto col cuore e si rende conto di tutto ed è felice cosi, silenziosamente. La siguo e la capizco tanto come se fose la mia mamma propriamente.Lei sempre me diceba...sei la mia fiflia che non mai ho abbuto. Allora la sento la mia mamma e un pò la mia figlia e vedo la necesità de protègerla.

L’ abberla seguito sin dal inizio della sua malatia mi permete de cappirla e dargle il mio meglio , per tenerla lo più protetta posibile. Anche per che mi sono informata leiendo su questa malatia.Per tutto questo mi serve la FORZA DE VOLONTA; l’ affeto, l’ amore, tanto amore. La sua fragilità l’ ha fatta diventare come li dico io a volte.... Tè he “il mio cuore de cristalo” Lei è asistita da un bravo Dottore de famiglia. Che è anche il mio Dott.

LA FORZA SPIRITUALE e la mia serenità me la dà Dìo e anche il ricordo della mia vera mamma che non cè più, la cara famiglia della mamma Carla, figli, nuore, nipote , uno piu bravo dell altro con la sua mamma e me fanno sentire bene sopra tutto me danno tanta fiducia e cosi dò direvve il 100x100 anche per che è una cura personalizata. Le mie fiori, il giardino in sè, il orto, tutto questo mi danno serenità.

Eva

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Ricordo due cose.La prima un giorno che

io sgridavo Sandro per una im-prudenza commessa Halyna mi ha chiesto di non farlo davanti a lei, perché questo la imbaraz-zava. La seconda: avevo sco-perto che ad Halyna piaceva il cioccolato, ma non ne mangiava. Ad una mia esplicita domanda mi disse che mangiava quello che si portava da casa sua. Con-siderava il cioccolato un extra a cui non aveva diritto.

Gianna

I primi mesi sono stati difficili e non sembrava ci fosse futuro invece Sandro è migliorato e con loro ho, per

la prima volta, fatto una gita in montagna, ho scoperto le scalette che salgono in Città Alta, ho condiviso con Sandro la preparazione del risotto (il suo piatto preferito) ho fatto il pane e la pasta fresca con Gianna, ho imparato ad accendere la stufa e ho condiviso le mie conoscenze per fare l’orto.

Halyna

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No so come spiegare quel dolore che provai nel mio cuore quando lasciai la mia patria, al inizio sembrava tutto cosi bello, tutti gentili e normali, la signora Silvana moglie del mio capo, era una donna magra e fragile, non era tanto vecchia, quasi era dell’età della mia mamma; ricordando che, al inizio, il suo marito era una persona gentile.

Poi nei primi giorni di lavoro in Italia, cera per me la difficoltà di capire l’italiano, mi era molto difficili anche adattarmi al freddo del inverno, all’abitudini alimentare e al cambiamento di orario.

Tutto sembrava cosi diverso, che poi pian piano mi andavo adattando all’ambiente, mentre il mio capo cominciava ad avere un atteggiamento diverso: non mi lasciava avvicinarmi alla finestra, con il cibo era molto tirchio e mi faceva capire che non mi avrebbe pagato lo accordato e neanche mi avrebbe messo in regola perché secondo lui significava pagare di più. Di quella maniera cominciavo a percepire le sue vere intenzioni su di me: per esempio mi trattava come si fosse della sua proprietà, aveva le tapparelle di casa sempre svasate, lui mi faceva uscire solo due ore al giorno, secondo lui era quello per legge. Anche se a volte non volevo uscire perché faceva tanto freddo.

Shirley

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Ci sono degli aspetti della cura che trascendono, con le loro annesse problematiche, le situazioni dei singoli e mi indigna pensare che non se ne abbia piena coscienza.

In Italia esiste il concetto di famiglia anagrafica e quello di convivenza anagrafica:

Famiglia anagrafica art.4 dpr 223/89

1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.

2. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona.

Convivenza anagrafica art.5

1. Agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.

2. Le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri della convivenza, purchè non costituiscano famiglie a sé stanti.

3. Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica.

Parlando di “badanti” si è però fatta strada un’interpretazione, suffragata anche dall’Istat, che le considera persone che non svolgono attività lavorative di tipo “sterile”, al contrario: che instaurano rapporti in qualche modo di tipo affettivo.

Ci si chiede infatti: “Chi si farebbe assistere in casa propria da una persona che non dà qualcosa anche a livello affettivo?”

I Comuni procedono in ordine sparso e, proprio in virtù del ragionamento sopra esposto, pur se a macchia di leopardo, in molti inseriscono “tout court” la badante nello stato di famiglia del datore di lavoro. Questo comporta delle conseguenze.

Ad esempio, con l’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi.Se, in funzione dello stato di famiglia, la badante non è più un terzo, che ne è della responsabilità del datore di lavoro verso il dipendente?

Se la badante fa parte della famiglia per la disciplina Isee, i redditi di lavoratore e datore di lavoro sono cumulabili, allora io mi chiedo: perché parlando di cura non ci si occupa mai di questi aspetti estremamente pratici?

Giulia

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Ho cominciato a lavorare con la “mia” nonna il 8.11.1997 e mi sono dimessa nel maggio 1999. era duro, questo lavoro. Non per se stesso ma per l’isolamento, per la solitudine.Quando uscivo dalla casa dove lavoravo, spesso incontravo vicino a un’edicola un cane randagio. Però, quello non era proprio abbandonato. Il giornalaio gli dava da mangiare, i clienti lo coccolavano e lo chiamavano per nome.Nessuno mi chiamava per nome in questa piccola città dove si conoscono tutti. Nessuno mi parlava. Ero un’ombra, un fantasma per la gente. Ero nessuno.Avevo il permesso di soggiorno per tre mesi, e quando era scaduto, sono diventata anche una clandestina, una fuori legge.Lo stato d’anima che avevo allora non auguro di avere ad un nemico peggiore.

Olha

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Ricordo un giorno mentre ritornavo al lavoro prima dello previsto, che quando entrava in casa ho visto come il mio capo si approfittava de sua propria

moglie malata (una scena da non crederci). D’allora non riuscivo a stare bene, erano trascorse già quasi tre messi, mi sentivo che la mia vita non mi apparteneva più; il mio capo mi faceva sentire come una delinquente: mi diceva che la polizia mi poteva arrestare in qualsiasi momento.

E quando passarono i novanta giorni del mio visto turistico, divento per me essere una clandestina.

Shirley

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In un periodo di remissione della malattia Halyna ha preso le ferie. È andata a casa per un mese, Sandro non la voleva più, perché le ricordava la malattia, la sua perdita di autonomia. Io ho insistito per averla accanto perché mi avevano detto che sarebbe peggiorato e ridendo dicevo che ero io ad avere bisogno della badante e in quei mesi effettivamente serviva di più a me (era la mia pattumiera emotiva, compito delicatissimo e prima assolto da Sandro). In quei mesi in cui Sandro stava benino quando Halyna andava a casa per il fine settimana, noi eravamo contenti, sembravamo due ragazzini lasciati soli a casa anche se io avevo un po’ paura che potesse succedere qualcosa.

Gianna

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…”happy family one hand clapFour went out an none come back…”

Il ritornello che mi tormenta da stamattina è questo.Inizia chissà come nella notte o appena ti svegli, non l’ho sentito per radio o TV perché è un vecchio pezzo dei Genesis.Altre volte è un jingle.Interrompe l’attenzione al brusio esterno di sottofondo, dentro il nulla esistenziale, il limbo di questa giornata.Il mio sguardo si ipnotizza sulla porta che dà su un corridoio: linee rosse orizzontali lo percorrono, linee rosse verticali riquadrano lo stipite .Nello squarcio transitano figure umane, flash di volti straniti, loro non mi vedono.Occhi interrogatori, facce sperdute, bocche aperte, trapestio veloce o piedi strascicati.A volte a coppie.Il vocio così si infittisce ed aumenta al passaggio davanti alla porta, per poi attenuarsi e disperdersiAllontanandosi.Lì fuori sembra che il tempo corra, che le direzioni abbiano un senso, le parole una logica.Da qui tutto è immobile e silente.La luce è spenta e dalla finestra traspare il grigio chiarore di un cielo senza sole.Si sta al fresco.Dopo due mesi di calura a tratti insopportabile, ecco che l’estate si è rotta; “la pioggia di agosto rinfresca il bosco”.E così è stato.Ma qui non c’è stagione, tutto è regolato per dare il comfort migliore: giusta temperatura e grado di umidità, giusta luce.Chissà quale è il senso di questo momento, che cosa può insegnarmi? Che cosa ne devo trarre?Lei giace nel candido letto, dorme profondamente con la bocca aperta.La morfina di stanotte continua il suo effetto.Ieri, a nulla sono servite le normali medicine, il tormento alle gambe si è estinto solo con la (per me malefica) fiala “al bisogno”.Ora ho anche i morsi della fame… beh in effetti sono le 10 e non ho ancora..(squilla il telefono)Si non ho ancora fatto colazione.Sveglia alle 6, doccia, macchina, prendi la mamma e di corsa all’ospedale; oggi prelievo e seconda chemioterapia.Io non l’avrei fatta e non l’avrei voluta per lei, ma alla fine è qui….

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Brevi informazioni con gentilezza professionale delle infer-miere, un po’ freddina per me, ma non sono io la paziente.Lei, la paziente, giace assopita, profondamente assopita, togliendomi il disturbo di conversare o piuttosto lo spunto per “ordinarle” come si debba comportare, come sia meglio alimentarsi, reagire, assumere farmaci ed integratori e via di seguito.Sì, credo che stanotte si sia fatta la morfina per non essere in sé oggi.Non tanto per me quanto per la fatica di essere qui, in attesa, per oltre mezza giornata, in estenuante attesa degli eventi “a protocollo”.

Attesa per il prelievoAttesa dell’esitoAttesa della visita di controlloAttesa della preparazione dei farmaciAttesa dell’infusione endovenosa

Non c’è più scadenza né tempo né ora, nulla è più governabile dal proprio ritmo giornaliero, si è totalmente affidati ad altri, così, dipendenti.

Siamo in totale dipendenza da neonati fin verso l’anno di età, o almeno fino a quando si impara a camminare, da lì in poi comincia il proprio dominio del mondo e del tempo che si interrompe solo talvolta per l’influenza.Sono perdite temporanee del dominio che a volte sono piacevoli, dove ci abbandoniamo nell’accudimento da parte dei nostri cari, giustificati da una febbre o da un breve malessere.Un piccolo privilegio.A volte invece l’abbandonarsi è obbligatorio, esempio quando una lunga degenza ospedaliera ti sradica, quando le mutilazioni operatorie ti immobilizzano o pesanti cure chemioterapiche ti invalidano.Ogni volta che c’è una drastica interruzione della “propria” gestione del tempo hai la sensazione di scontrarti con un muro, poi ne segue un vuoto, un limbo.Se il corpo e lo spirito ti sostengono imparerai a riadattare il tuo senso del tempo alla nuova condizione di vita

“measuring a summer’s dayI only find it slips away to grey…” Tangerine, Led Zeppelin

Rosi

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La cosa più brutta era che il lavoro teneva occupate le mani mentre la testa era libera a rimuginare i pensieri. Le lettere io mandavo a casa ogni settimana ma ricevevo molto più raramente. Quindi rimaneva tanto spazio ai sospetti, immaginazioni. Quando af-fluivano i ricordi, i pensieri pesanti, i preoccupazioni – una ondata di nostalgia mi dava un colpo basso, sempre all’improvviso, fino a far mancare il respiro. Tutto diventava nero davanti agli occhi.A questo “mazzo di fiori” si era aggiunta anche la paura che diventava un panico quando incontrava un carabiniere per strada. Addirittura trattenevo il respiro incontrandolo! E facevo un’espiro di sollievo quando mi accorgevo che lui non mi guarda nemmeno…

Quando ho avuto, grazie alla sanatoria del 1998 il permesso di soggiorno, non avevo la forza di provare la gioia, e nemmeno un sollievo. Come se avessi al posto dell’anima un prato bruciato. Ecco, cammino per la strada e non mi sento viva, talmente sono abituata a sentirmi un’ombra… e vedo il carabiniere tanto temuto. Lui non mi guarda. All’improvviso provo una rabbia immensa! “Non mi vedi? Per te io non esisto?! Invece io – ci sono!!!” e con il passo determinato attraverso la via, una macchina frena con lo stridore. Mi metto davanti al carabiniere bloccandogli la strada. Ad alta voce gli dico: “BUON GIORNO!!!” Lui si ferma, si volta verso di me, e all’improvviso acchiappa la mia mano destra con tutte e due sue mani. La scuota e mi fa un sorriso largo da un’orecchio all’altro. E mi dice: “AUGURI, SIGNORA! BUON GIORNO”

Come se un fulmine mi ha illuminato il cervello! Avevo capito il perché voltava sempre il muso da altra parte: doveva fingere di non vedere una clandestina! Ed io scoppio nel pianto coi singhiozzi… Olha

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Visto il contratto collettivo, la badante dovrebbe pranzare e cenare con 3,70 euro al giorno. La colazione la salta o va al bar, oppure facciamo euro 1,85 diviso due.

Io vorrei sapere chi sono i firmatari dei contratti collettivi, cioè lo so chi sono, sono le associazioni, i rappresentanti di categoria, ma vorrei sapere chi sono le persone, perché ci terrei molto a farmi consigliare il menù, vorrei sapere come sfamano la badante… loro.Ho cercato in rete e ho trovato un forum dove uno chiedeva:” Cosa mangio con tre euro al giorno?” La risposta considerata migliore era:a pranzo: pasta e patate;a cena: patate e pasta.

Il menù della Badante(valori giornalieri) Pranzo e/o colazione € 1,85 Cena € 1,85 Totale indennità vitto e alloggio € 5,31 Alloggio € 1,61

Io per la badante non pretendo tanto! Certo che quella della nonna non può considerarsi “austera”.Nel 2007 spendevamo in un mese per la vita quotidiana di nonna centenaria e badante 400/450 euro, poi siamo passati a 500/550 e quindi a 600/650. Nel giugno 2012 siamo arrivati ad una spesa di 750 euro al mese. A quel punto ho preso coraggio e ho affrontato la badante, che è alta quasi un metro e ottanta e non è magra, chiedendole se si era bevuta il cervello. Le ho spiegato che siamo un paese in recessione, che tutti risparmiamo e che solo lei non sembrava rendersi conto di tale necessità. E’ giusto che la nonna mangi prodotti di qualità, ma questi non si trovano in rosticceria e non si deve per forza comprare in rosticceria, spendendo, sempre in rosticceria, 180 euro in un mese.

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Le ho fatto osservare che pur a fronte di una spesa così elevata il frigorifero, quando arrivavo io la domenica, era completamente vuoto e la dispensa languiva, mentre in cantina le cassette della frutta erano desolatamente vuote.Comunque, per buona pace in famiglia, adesso sono ridotta ad andare a fare le spese per la nonna e la badante tutti i sabati.Spendo dai 50 ai 70 euro la settimana, in più in casa, per ogni necessità, lascio un 200/250 euro mensili.Per la nostra badante le necessità consistono in:frutta esotica (trovati resti di papaia e mango nel frigo), te Lipton green e te Lipton Earl Grey (che costano il doppio del te Star), aceto di mele biologico (mezzo litro costo 3,20 euro) olio da euro 7,80 al litro e infine, l’ultima scoperta della nostra badante, sale rosa dell’Himalaya, che costa 200 volte più di quello normale Naturalmente lo ha preso con il macinino, così invece di restare su una spesa di qualche euro ha raggiunto quota 13 euro e 90 centesimi; mica poteva mettersi lei a pestarlo col pestello, tarlato, della nonna!

Certo posso dire che io dalla badante imparo tante cose, mica lo conoscevo il sale Rosa dell’Himalaya e neanche tutte le sue virtù. Probabilmente lo usava al suo paese perché dopo Chernobyl, doveva pur tutelarsi.Dimenticavo .. la nonna non sala mai la verdura, né quella cotta, né quella cruda.

Una volta gli assistenti sociali del Comune di Albino mi hanno contattato perché stavano organizzando un corso per le badanti. Gli insegnanti al corso erano medici, infermieri e psicologi. Quando ho letto l’elenco di questi soggetti ho capito subito che mancava un tipo di esperto: quello di economia domestica! Devo riconoscere che l’assistente sociale, sentendomi disquisire sul tema, pendeva dalle mie labbra, però mi guardava anche un po’ allibito, e prendeva appunti. Speriamo che gli siano serviti. Poi di sta cosa qui per la mia badante non se n’è fatto niente, perché solo le badanti di chi percepisce l’assegno di accompagnamento potevano partecipare e la nonna non lo percepisce: quelli della commissione le hanno detto che alla sua età qualcosa si deve pure avere, non ha più vent’anni!Questa badante è con noi da otto anni. Ci dispiace licenziarla, però le ho detto, quando si lamenta, che la capisco e che se vuole cambiare, se trova di meglio, sarò solo contenta per lei …(e anche per noi, ma questo non gliel’ho detto).Non ha ancora trovato di meglio…purtroppo!

Giulia

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Quando una volta il signor Ferrara mi chiese di pulire il frigorifero che puzzava dalla sporcizia, nel-

la quale io trovai un formaggio che puzzava di brutto (il gorgonzola), cosi presse il formaggio e lo buttai nella spazzatura, quando il mio capo si accorsi mi rim-proverò dicendomi che quel formaggio costava se-condo lui un occhio della mia faccia, in quel momento non seppi come ripagarli.

Mentre io già cominciavo a uscire tutti i fine settimana andavo al lavoro della mia cugina, dove mi sentivo bene con gente più buona, gentile e vera. Cosi quando gli ho raccontato della situazione che mi era capitato con il mio capo, il marito della donna che accudiva mia cugina, il signore Carlo mi fece salir in macchina per portarmi in un allevamento di mucche del suo amico.

Che gli chiese un pezzo di formaggio per ridargli al mio capo, che come lo avevo buttato via volevo restituirselo, ma il mio capo si senti offeso di quel gesto e d’allora in poi il mio lavoro non era più lo stesso, tutti i giorni lui mi faceva sentire male, avendo anche la paura di vivere cosi, e quando i vigili chiedevano cosa facevo in quella casa, io solo dovevo rispondere che ero una ospite. Era una situazione brutta, non potevo fare la doccia tutti giorni, per di più mi diceva di non chiudere la porta del bagno ogni volta che facevo il bagno. Non me sentivo più al sicuro, solo volevo andarmene.

Ma cera la famiglia di dove lavorava mia cugina che mi aiutavano a cercare un altro lavoro.

Che purtroppo come loro abitavano in campagna, uscire dal mio lavoro mi era difficile giacché non cera tanto lavoro, il signor Carlo cercò di trovarmi un posto con suoi amici, che come non avevo il permesso di soggiorno senza quello non mi potevano aiutare ne a trovare un lavoro ne a studiare, una situazione che mi lasciava in frustrazione per la mia vita.

Cosi restai ancora per due messi con la famiglia dove lavorava la mia cugina, fino a quando la signora che accudivo morì.

Shirley

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L’ italiano stavo studiando da sola, con il vocabolario, e facendo domande a chi capitava.Una volta alla settimana avevo una maestra: la donna di pulizie che da anni veniva in questa casa. La nostra Annetta entrava e spalancava le finestre, e la casa silenziosa diventava viva. Lei veniva tutti i mercoledì, e proprio mercoledì, per qualche strana ragione, quasi sempre pioveva. Ma quando veniva Annetta, la triste casa sorrideva, sembrava che entrasse il sole! Era lei mia prima Maestra. Mi insegnava a cucinare, a fare il letto. E, scoppiando dal ridere, la lingua. Le lezioni proseguivano cosi. Io ho imparato le domande che poi le facevo. “Annetta, come si chiama questo?” – chiedevo, indicando qualche oggetto… Anche adesso la mia giornata preferita è mercoledì!

Avevo un quaderno, dove scrivevo le parole, le frasi. Nel grembiule tenevo sempre i bigliettini coi nomi da studiare mentre facevo i mestieri. Ho cominciato capire prima di essere capita. E le malintese non mancavano.Una volta era venuto a trovare la nonna il suo nipotino di dodici anni. Imitando la mamma, lui mi ha chiesto: “Ha dormito? Ha mangiato? Ha riposato?”Commossa, gli rispondo: “Si, grazie! Ho dormito, ho mangiato, ho riposato.”Con il disprezzo lui mi dice: Io chiedo della nonna! Mica devo dare del Lei a una domestica!”…Cosi ho imparato un altro pronome…

Olha

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Continuava il mio tormento de essere clandestina, non potendo trovare ancora un lavoro stabile per il benedetto permesso di soggiorno.

Fino a un giorno quando ho trovato un lavoro presso una coppia di marito e moglie senza figli, ma la moglie gelosa del suo marito, non voleva che rimanesse tutto il giorno, ma solo per alcune ore,che non mi erano abbastanza per coprire tutti i miei bisogni economici.

Infatti dove abitavo, dovevo pagare il posto letto di 150 £ ogni mese, il cibo che mangiavo a mala pena arrivavo a spendere solo 30 £ e in più dovevo pagare il mio abbonamento del pullman 23 £ .

A quella epoca quello che guadagnavo era poco, cosi cercai un altro lavoro. Una volta avendolo trovato un lavoro a Gazzaniga nel ospedale, li fu quasi la stesa storia del inizio, tutto bello accordando 900£ al mese perché era un lavoro in nero, ma quando ho iniziato il mio lavoro era come un castigo, perché la nonna che accudivo soffriva di demenza senile e di verticulitis già che faceva la caca in continuazione, io non potevo dormire bene, era per me un lavoro pesante, fino a quando era arrivato il giorno della paga, che lo accordato me lo cambio a uno stipendio di 800£ con tanti pretesti. Cosi decisi di continuare solo per necessità, ma il lavoro si faceva sempre più pesante.

Decisi di lasciare quel lavoro, perché non ce la facevo più di non poter dormire e di lavorare ogni giorno di uguale forma senza avere neanche un po’ di riposo.

Shirley

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La nonna che assistevo allora era molto aggressiva. Tentava di picchiarmi e di strangolarmi. Distruggeva le cose di casa, tagliava con le forbici i suoi vestiti e le tende. Non parlava mai, non ricordava più i nomi di parenti che ogni tanto venivano a trovarla. Sorrideva solo quando vedeva il nipotino che lo scambiava per il figlio, e quando vedeva il figlio - che per lei era diventato papà. E adorava la musica.Il figlio con la sua famiglia abitava nella stessa casa, ma tutti erano molto impegnati, perciò non ci vedevamo spesso. La figlia veniva a trovare la mamma quasi tutti i giorni, e dato che anche lei era impegnatissima, le sue visite erano molto frettolose. Faceva “un salto” a casa della madre nel vero senso della parola. La “mia nonna” taceva, quindi al posto di lavoro io comu ni cavo piuttosto con il televisore che era acceso per la mia assistita tutto il giorno.

Mai fatto l’assistente familiare nella mia vita precedente! Cioè, in Ucraina… Si, assistevo i miei cari che si ammalavano e mi hanno lasciata, uno dopo l’altro. Ma la parola “Alzheimer” non ho mai sentito prima di venire in Italia! Non sapevo cosa fosse questa malattia, non ero preparata ad affrontare i mutamenti della personalità, e non ero pronta a proteggerci dall’aggressività. Non ero pronta da affrontare anche altre cose: la nostalgia e la posizione della persona di “secondo grado”.

Olha

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Dopo la fine della scuola dell’obbligo avrei voluto iscrivermi a Medici na, ho superato gli esami, ma non avevo conoscenze e così non ce l’ho fatta.

Probabilmente non ho avuto sufficiente carattere e tenacia per raggiungere il mio obiettivo, ma la passione di capire e curare mi è rimasta e mi accompagna nel mio lavoro. Oggi mi piace leggere e cercare su internet tutte le cose mediche che riguardano il Parkinson di cui è affetto il mio papà, ma anche informazioni in merito ai malanni dei miei assistiti e dei miei amici. Chiedo alla mia amica di sempre, Halyna anche lei, che è riuscita a laurearsi in Medicina e che lavora in Ucraina, tutte le informazioni e così sono un po’ dottoressa anche io.Ora sono troppo vecchia per riprendere gli studi, ma qualcosa voglio studiare ancora … prenderò la patente!

Halyna

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Un giorno mentre tornavo al lavoro mi lascio il pullman blu, chiamai subito alla figlia della signora del mio lavoro per dire che non ce la facevo ad arrivare, lei si arrabbio tantissimo, mi tratto male e mi fece sentire come se io approfittasi del lavoro, soprattutto considerata una clandestina senza niente, cosi mi arrabbiai decise d’andarmene da loro. Ma la signora non voleva, invece mi diceva che mi avrebbe denunciato e che non potevo andarmene. Subito li dico che ho chiamato alla CGIL per informarmi. La signora si spavento e subito fece dei conti e mi pago tutto quello che secondo lei mi aspettava, fu un giorno brutto per me.

Quando tornai a Bergamo, ritornai a spianare le estrade in cerca di lavoro. Che dopo grazie al passa parola di un’amica, trovai un posto di lavoro presso una famiglia, dove la mia amica lavorava con un uomo divorziato dappoco, il quale lui divento un buon amico, lavoravo solo per 4 ore o mezza giornata mi trovavo bene, mi pagava non male su 600 £. Il mio capo era un uomo divorziato che ogni volta portava delle donne diverse a casa sua.

Per quello che vedevo, mi sembrava che lui passava per un momento particolare cercava qualcuna per lui, fino a quando la trovò e la porto a nella sua villa, quasi come un castello. Ma la sua ragazza era gelosa dal rapporto amichevole che cera tra me e il mio capo. E cosi la mia vita si fu trasformando in un incubo, lei voleva solo levarmi d’intorno, infatti una volta mi accuso di averle rubato le mutande e d’avere rabbinato i suoi vestiti.

Shirley

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Ahora el es mas tranquilo en tanto todo sea normal a su alrededor, mientras no se lo hace renegar el esta bien, duerme

bien de noche ya no me hace desvelar como antes, es tierno parece un niño indefenso e inocente. Sus hijos que son tres siempre vienen a verlo y cuando ocurren algo ellos inmediatamente vienen a su encuentro.

Ahora me encuentro bien en mi trabajo claro que siempre se presenta algunas dificultades que me deja en ansia por ej. El ir de compras debo hacerlo lo más rápido que pueda porque dejo al señor Giovanni solo, en la cama y tengo miedo que se levante y se caiga.

Para mí lo más angustiarte es cuando pasa algún problema dentro mi familia en Bolivia estar encerrada me afecta tanto y me desespera, en ese tiempo me refugio en dios y procuro que mi estado de ánimo no afecte al señor Giovanni. Bueno gracias a Dios tengo trabajo y es un lugar donde me dan toda mi comodidad.

En todo este tiempo, que estoy aquí en Italia trabajando, son tantas cosas que aprendí del señor Giovanni y tantas cosas que podría transmitirme si el estuviese sano, el fue y es una persona muy fuerte, correcta y muy seria cosa que admiro de él.

Maria VirginiaOra è più tranquillo, finchè tutto è normale intorno a lui, finchè non lo si contraddice.Dorme bene di notte, non mi sveglia come prima, è tenero, pare un bimbo indifeso e innocente.I suoi figli, che sono tre, vengono sempre a trovarlo, e quando succede qualcosa, immedia tamente gli vengo no incontro.Ora mi trovo bene sul lavoro, certo che c’è sempre qualche difficoltà che mi mette ansia per lui. Andare a fare le spese devo farlo il più rapidamente possibile perchè lascio il signor Gio vanni solo, a letto e ho paura che si alzi e cada.Per me la peggior angoscia è quando c’è qualche problema nella mia famiglia in Bolivia; stare rinchiusa mi colpisce e mi fa disperare e in quei momenti mi rifugio in Dio e cerco che il mio stato d’animo non turbi il sig Giovanni. Grazie al cielo. lavoro in un posto dove mi danno ogni comodità.In tutto il periodo in cui sono stata in Italia a lavorare, sono molte le cose che ho appreso dal sig. Giovanni e tante quelle che potrei trasmettergli se stesse bene, era ed è una persona molto forte, corretta e seria cosa che ammiro di lui.

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Decisa d’andare in Spagna presse il biglietto dell’autobus che mi doveva aver portato in Barcellona, ma tutti i mie amici non volevano che andasse via, mi raccomandarono di alcuni rischi

che potevo avere, consapevole di questi rischi ero comunque pronta a fare qualcosa per cambiare la mia situazione di clandestina .

Mia cugina mi aveva detto che in Spagna potevo avere i documenti per araigo una volta impadronita sarebbe un fatto di legge che potevo studiare, lavorare in un altro lavoro, diverso di fare la domestica per che sapevo di avere la capacità di fare altri mestieri più professionali, che purtroppo i miei studi non erano validi in Italia, infatti bisognava avere un altro documento per convalidare i miei studi.

Una situazione molto difficile per me, cosi decisi di prendere quel bus che mi doveva portare in Spagna, il quale mai arrivo perché quando stava per arrivare l’autobus, si fermo in Perpignan (frontiera de Francia e Spagna).

Nella quale comincio come un calvario perché mi avevano detenuto per 8 ore, interrogandomi, su miei dati d’identificazione .

Fu uno dei momenti più frustranti che dovevo resistere perche ero detenuta per clandestinità.

In un momento meno pensato la mia vita si illumino come una luce, quando due poliziotti dopo le otto ore erano venuti a portarmi al centro d’accoglienza in Tolussa, uno di loro mi spiego come sarebbe stato le mie condizioni di detenuta e come dovevo comportarmi, questo poliziotti divento un amico.

Me permise di tenere più coraggio e pazienza e in più con la conoscenza della sua moglie di origine spagnola, diventando i miei amici, che nel mio calvario furono di grande conforto, una sensazione bellissima come se fossero angeli mandati da Dio .

Una volta uscita dal centro d’accoglienza visse un’altra esperienza particolare: quella di essere portata da altri due poliziotti gentili all’aeroporto di Monaco, poi altri due poliziotti mi portarono a Nizza, nella quale conobbi una poliziotta italiana che mi lascio andare, dicendomi con gentilezza che il mio calvario era finito.

Dopo una volta ritornata in Italia, mi dirigi a Roma che con gli stipendi rigidi e molto bassi decise di ritornare a Bergamo, dove i miei amici di Bologna seppero della mia tragica sventura in Spagna. Cosi i miei amici avevano deciso d’aiutarmi per mettermi in regola con i documenti.

Con questa bella notizia, fu come ricominciare da zero avendo la fortuna de ritornare al mio vecchio lavoro di domestica e cosi potere di nuovo sorridere.

Shirley

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Finchè respiro respiro il mondo. Così esso anima la vita e ascolto voci accarezzo volti annuso profumi i miei occhi assorbono luce assaporo la natura. Poi il respiro tace, ma di voce in voce corre il mio nome la mia storia si narra e la mia anima si fonde nel Grande Tutto. Così ora il mondorespira me. Ciao mamma

Rosi

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La foto immaginaria che meglio potrebbe rappre-sentare la mia esperienza di lavoro qui in Italia è quella di un’Ombra.Ho cominciato lavorando con gli anziani e, in tutti questi anni lontana dalla mia famiglia, ho visto in loro l’ombra dei miei genitori. Assistere, aiutare e curare un malato o un anziano non è facile. È un lavoro che richiede pazienza e forza, perché a volte ti ritrovi a convivere con situazioni di solitudine e di abbandono e devi confrontarti con i familiari delle persone che assisti, i quali, presi dal tran-tran della vita quotidiana con poco tempo e molte incombenze, non sempre dimostrano tenerezza e comprensione per i loro cari. Anche se a volte è pesante, io ho sempre trattato con cura e con affetto ogni anziano e ogni malato che ho aiutato, pensando che avrebbe potuto essere uno dei miei genitori. Quanto ho condiviso con queste persone! Le loro gioie e le loro pene, le preoccupazioni e le arrabbiature… e, nonostante tutto, anche loro hanno saputo capirmi e offrirmi comprensione e affetto. Sento di aver dato loro l’amorevolezza e la premura che non ho potuto dare ai miei genitori, essendo lontana. Ma è pur sempre un legame diverso, perché l’affetto e l’amore per i genitori sono qualcosa di incomparabile… Come l’ombra dei miei genitori mi ha sempre accompagnata in tutti questi momenti ed esperienze, così ora, insieme alla loro, mi accompagna anche l’ombra di tutte le persone che ho aiutato. Per questo motivo ho scelto l’immagine dell’Ombra.

Isidora

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Ставало дедалі важче знаходитись у тій хаті, де я працювала. Бабуся – «моя» бабуся – вже

не створювала великих проблем. Я опанувала цей вид роботи за 45 днів, що провела в лікарні «Фатебенефрателлі» в Брешії, відділення Альцґеймер, разом із підопічною. Ми з нею порозумілися, я знала, як із нею поводитись. Ось приклад. Бабусю виховували монашки, і не дай Боже її торкнутися! Алеж я мусила міняти їй памперси, мити її, вдягати. Отже, я... співала! Запам’ятавши її улюблену пісню «Там в Аризоні», починала співати, коли треба було вести бабусю до ванної кімнати. Бабуся підспівувала. Ми були непоганим дуетом!Так ось, то її сім’ю вже не годна була терпіти! Неймовірно дошкуляли дрібненькі хитрощі, це щоб не сказати – брехні. Такого типу: мені казали сушити одноразові рукавички, щоб знову їх використовувати. А мені аж свербів язик, так хотілося спитати: «А туалетний папір теж?» Мені казали, що мушу економити клейонки та памперси, бо вони дорого коштували. Та я вже знала, що їх дають безкоштовно! Ну і так далі.Мені бракувало повітря. Свербіла геть уся шкіра. Не спала вночі, не могла їсти. Відчувала себе повітряною кулькою, готовою луснути! Помітила, що не годна була перейти вулицю! Я стояла перед «зеброю» і хиталася взад-вперед, не наважуючись поставити ногу на перехід, коли навіть машини були на відстані світових років!І я звільнилась. Винайняла свою першу квартиру. І почала жити.

Нині, аналізуючи ситуацію та власну поведінку, бачу свої помилки. Більше я їх не повторювала. У нас кажуть: «Перший млинець – комом», то означає: «З першого удару дерево не падає».Я зрозуміла, що це є робота не проста. І що вона не є для мене.

Olha

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Era sempre più difficile stare nella casa dove lavoravo. La non-na – la “mia” nonna – non mi creava più dei grossi problemi. Ho imparato il mestiere nei 45 giorni che ho vissuto nell’ospeda-le “Fatebenefratelli” di Brescia, reparto Alzheimer, assieme alla mia assistita. Andavamo d’accordo, sapevo, come compor-tarmi con lei. Ad esempio, lei era stata educata dalle suore, guai toccarla! Ma io dovevo cambiarla, lavarla, vestirla. Allora io… cantavo! Ho memorizzato la sua canzone preferita “La giù nell’Arizona” e la cominciavo quando dovevo accompagnarla nel bagno. La nonna canticchiava assieme a me. Eravamo un duetto niente male!Ecco, era la famiglia che non sopportavo più! Mi davano tanto fastidio piccole furbizie, per non dire – menzogne. Tipo questa: mi dicevano di asciugare i guanti monouso per riutilizzarli. E mi prudeva la lingua a dire: “E la carta igienica, anche questa?” Mi dicevano anche che dovevo risparmiare le traverse e i pannoloni perché costano troppo. Ma io sapevo già che per loro sono gratis! E così via.Mi mancava l’aria. Mi prudeva tutta la pelle. Non dormivo di notte, non riuscivo a mangiare. Mi sentivo un palloncino che sta per scoppiare! Mi era accorta che non riuscivo ad attraversare la strada! Stavo davanti alla “zebra” e dondolavo, non riuscivo a mettervi il piede anche se le macchine erano lontani anni luce!E mi sono dimessa. Ho affittato il mio primo appartamento. Ho cominciato a vivere.Ora, analizzando la situazione, il mio comportamento, vedo i miei errori. Non li ho più ripetuti. Da noi si dice: “La prima focaccia è sempre un grumo” – vuol dire: “Al primo colpo non cade l’albero”. Ho capito che questo è un mestiere non semplice. E che non è per me.

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Mio marito ed io abbiamo vissuto insieme 38 anni, l’immagine che mi manca è la foto di Patrizio con i capelli bianchi; se ne è

andato a miglior vita troppo presto, volevamo passare la vecchiaia insieme, scherzando gli dicevo che lo immaginavo così: seduto in cucina con un bastone al fianco per aiutarsi ad alzarsi, e ridevamo di questa mia immagine, che ampliavo descrivendo il suo sguardo e il sorriso, nel guardare la scena, e che non eravamo soli, ma c’era un nuovo arrivo, un nipotino/a, il bello di essere nonni, e insieme bearci di vedere crescere una nuova creatura figlio/a di nostra figlia Claudia. Questa immagine purtroppo è fissa nella mia mente e non sarà mai realtà.

Elisa

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Cuando la señora Marissa estaba viva siempre me hablaba del deseo que tenía en ir al mar a su casa del Cogoletto añoraba andar ahí,

y ese recuerdo se me quedo, el deseo que no cumplió por lo cual me hubiera gustado tener una foto con esta maravillosa pareja en ese lugar.

Maria VirginiaQuando la signora Marisa era viva mi parlava sempre del desiderio che aveva di andare al mare alla sua casa di Cogoleto, desiderava tanto andarci e questo ricordo mi è rimasto. È stato il desiderio che non ha realizzato. È per quello che mi sarebbe piaciuto aver una foto di questa meravigliosa coppia in questo posto.

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La prima volta che sono stata sull’Himalaya ho fatto un passo molto alto (6000 metri) ero con Sandro ed un nostro amico. È stato molto faticoso in particolare perché Angelo stava male. Soffriva di mal di montagna e tendeva ad addormentarsi. Ero preoccupata, precedevo i miei due compagni, che si sorreggevano, spronandoli a proseguire. Quando sono arrivata in cima non ho dato nemmeno uno sguardo al panorama mozzafiato che mi circondava (vette di 8000 metri). Nella mia mente quella situazione è immagazzinata come un’occasione perduta, un fermo immagine non scattato. È l’attimo che non torna. Mi ha lasciato la malinconia di un fado portoghese, di un tramonto struggente, ma anche la consapevolezza della mia/nostra (di tutti) incompletezza.

La stessa sensazione la provo quando penso alle ultime ore di Sandro. Visto il peggioramento del suo stato, Sandro aveva chiesto la sedazione; avevamo un paio d’ore per salutarci prima del ritorno dei medici. Abbiamo bevuto un bicchiere di vino, gli ho chiesto se dovevo fare qualcosa di particolare per lui, gli ho detto che gli volevo bene, ma l’ansia di essere al passo mi ha trascinato oltre, parlare, chiedere ed invece, col senno di poi, quante cose avrei voluto osservare che nella fretta non sono stata in grado di memorizzare e condividere ma….Non esiste possibilità di ritorno, è una foto mancante che coincide con la vita che casualmente per me continua e per l’altro finisce.

Gianna

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Нині я не хочу згадувати Сандро слабим і вразливим, хочу пам’ятати Сандро того, раніше... до всієї цієї історії; хочу згадувати

його за письмовим столом Управління з Прав, я ще пам’ятаю, як він був вдягнений.Зараз я повертаюсь додому, у відпустку, але новий розділ одкриється, якась нова робота. Знову моє серце трохи тут, і трохи в Україні.

Halyna

Ora non voglio ricordare Sandro debole e fragile, voglio ricordarmi di Sandro prima …prima di tutta questa storia, voglio ricordarlo dietro la scrivania dell’Ufficio Diritti, mi ricordo ancora come era vestito. Ora sto tornando a casa per una vacanza, ma un nuovo capitolo si aprirà, un nuovo lavoro. Di nuovo il mio cuore un po’ qui e un po’ in Ucraina.

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До Георгія

Для тебе баба Оля – то наче мрія: десь існує.- Де баба живе? – питає тебе тато.-Там, в телефоні! -

Для мене чотири роки твого життя – все твоє життя! - то є книжечка з фотографій: показує, як ти ростеш. Та не дає відчути, як пахне твоє волосся, не дозволяє пригорнути тебе до серця... Кожна подряпинка на твоїх колінах, що не загоїла тобі поцілунком, кожна колискова, що тобі не проспівала – то є глибокий рубець на моїй душі.

...Для тебе баба Оля – наче Дід Мороз:- Існує, бо шле подарунки! -- Існує де? - - Там. Далеко, далеко -

Занадто...

Ната Страньєра

Olha

Per te la nonna Olha è un sognoEsiste da qualche parte

- Dove vive la nonna? – ti domanda il papà- Lì, nel telefono! –

Per me i tuoi quattro anni della vita - tutta la tua vita! – è un fumetto, fatto di fotografie:mi fa vedere come cresci. Ma non mi fa sentire il profumo della tua pelle, dei tuoi capelli, non mi dà il tuo corpo da stringere al cuore…Ogni graffio sulle tue ginocchia, che io non ho fatto guarire con i baci, ogni ninnananna che non t’ho cantata, lascia una cicatrice profonda sulla mia anima.

Per te la nonna è come Babbo Natale:- Esiste, perché manda i regali! – - Esiste dove? – - Lì, molto lontano –

Troppo

Nata Straniera

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Mamma esce dall’ospedale a fine luglio 2012, con la diagnosi di un linfoma e con un programma di sei chemioterapie a cui

sottoporsi ogni tre settimane.È sulla sedia a rotelle perché il suo cancro si è infiltrato a livello spinale e sta avvolgendo e stringendo tutto ciò che incontra, i nervi delle gambe sono quelli che le provocano maggiore dolore e le bloccano il movimento, a malapena fa qualche passo sorretta, una gamba la deve trascinare, si regge in piedi solo appoggiandosi a qualcuno o al tavolo.A casa sua non avrebbe potuto tornare, la sua casa nel bosco, così bella per viverci in salute, non era funzionale per l’assistenza necessaria a chi è sulla sedia a rotelle: porte troppo strette, gradini per accedere al bagno, non raggiungibile velocemente senza l’automobile, lontana dai servizi assistenziali necessari in questi casi.

Così viene accolta in casa della sua famiglia d’origine dove è rimasto Arturo, suo fratello, accudito temporaneamente da Valentina, la badante ucraina che aveva lavorato per un anno di notte per l’assistenza a Raffaele, il fratello più giovane deceduto a giugno.Valentina, cinquant’anni e molte esperienze con anziani, stava sostituendo Oksana, la badante di giorno oramai storica dei miei zii, che era in vacanza. Valentina entra subito in sintonia con mamma, ha un modo di fare accogliente e sorridente, la aiuta in quelle necessità personali che ormai non può più espletare da sola, le somministra puntualmente l’enorme quantità di medicinali previsti nell’arco della giornata, cura la casa senza dimenticare i bisogni di Arturo, accetta anche di buon grado di rimanere per qualche tempo durante la notte fino al rientro di Oksana.Io mi occupo degli aspetti burocratici e medici: domande di invalidità e accompagnamento, richieste di assistenza a domicilio, infermiera, medico palliatore, contatti con l’ospedale per appuntamenti, esami, non ricordo nemmeno più quanti.Quasi ogni giorno passo a trovare mamma, il pomeriggio dopo il mio lavoro in ufficio, ma sto con lei solo per le incombenze delle cure materiali. Quando non ci sono io c’è mio fratello, a volte i nipoti e poi una sua cugina e tanta, tanta gente che la conosce e che quotidianamente passa a salutarla.

Mamma in quel periodo è sofferente e man mano il suo umore peggiora, il rapporto fra di noi si fa teso, io cerco di stimolarla, di essere positiva, di darmi da fare per “non

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farle mancare nulla”. Chiedo persino l’aiuto dello psicologo.Lei gradisce la compagnia dei tanti che la vengono a trovare, chiacchiera e si distrae, ma con me si mostra sempre un po’ scontrosa.Di sera, in genere, la sua situazione si aggrava, è agitata, i dolori alle gambe aumentano, assume ogni tanto una fiala di morfina per tirare fino al mattino.La sera quando la lascio con Valentina provo disagio e sofferenza, mi sento una figlia inadeguata.Valentina però mi caccia con fare bonario e mi dice “Non preoccuparti, vai a casa tua, dalla tua famiglia, se c’è bisogno ti chiamo io”.Quante notti ho dormito a sprazzi, svegliandomi di colpo credendo di sentire il telefono squillare.Oppure mi svegliavo alle cinque del mattino con la certezza che mamma era sveglia nello stesso momento, senza riuscire poi a ripendere sonno.Alla fine dormire era più una sofferenza che un ristoro, ma la mattina dovevo riprendere la mia vita, figlia, marito, casa, lavoro, consapevole che quello che stavo facendo per mamma era ciò che potevo fare, ma non mi sembrava abbastanza.

Ai primi di settembre rientra Oksana e riprende l’assistenza di giorno, Valentina rimane per le notti.Valentina ogni mattina quando smonta il turno mi chiama e mi aggiorna sull’andamento della notte, permettendo di avviarmi in ufficio con un minimo di sollievo.Lei è molto professionale e sa tenere la giusta distanza, riesce a mantenere un buon livello di serenità sia con me che con mamma.Oksana invece è estremamente empatica, è affezionata moltissimo a noi, lavora dagli zii da 8 anni, è arrivata da loro all’età di 29 anni, parlava poco italiano, è stata accolta con affetto e ora è praticamente una di famiglia. Questo però crea a lei sofferenza e anche un po’ di ansia, cosa che trasmette anche a me.Si preoccupa moltissimo di non sbagliare le cure, asseconda la mamma in tutte le sue richieste, prepara dolci per la merenda, si inventa piatti speciali per stimolarle l’appetito, mi coinvolge segnalandomi tutte quelle necessità quotidiane che possono migliorare la sua vita. Solo chi vive costantemente a contatto giorno per giorno con l’ammalato riesce a vedere ogni minima variazione di salute e di umore.Il suo è un rendiconto dettagliato sul peggioramento gene-rale, sul rapido dimagrimento, su alcuni momenti di stato allucinatorio della mamma.Fra le badanti e la mamma si crea una sintonia che da una

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parte mi dà sollievo, dall’altra mi fa sentire a disagio. Quando la passo a trovare lei accentua la manifestazione del suo malessere ed io mi sento ogni volta in colpa ed inadeguata.Dentro di me mi sento straziata, vorrei che lei mi abbracciasse, che mi sorridesse, almeno una volta, che mi esprimesse apprezzamento per il mio impegno, devo dire che ad un certo punto mi sono quasi sentita in competizione con Oksana, come due figlie trattate in modo diverso.Avrei voluto sentirmi dire parole d’affetto, per assurdo di conforto.“Mamma io sono tua figlia, sono io che ho bisogno di te! Non puoi chiedermi di essere più grande di te! Non voglio crescere!”Avrei voluto una foto dove io e mamma siamo abbracciate e sorridiamo, lo scatto di un momento unico, astratto da tutto il contesto, fuori dal tempo, da portarmi come ricordo di un ultima parte della sua vita che abbiamo condiviso da adulte più di ogni altro periodo.Non ho avuto il coraggio di farla, non ci ho pensato.

Qui una foto che ha scattato una amica a Pasqua 2012, nel cortile di casa mia:mia figlia e mia mamma insieme che sorridono. Ecco avrei voluto esserci anche io.

Rosi

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La foto che non mai ho abbuto e che desiderei abber è:

Dillà su la montagna a sieme alla mamma Carla e alla mia figlia, meglio se è su le dolomite, vicino un fiume con le acque cristaline o mirando al mare.

Eva

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Il Consiglio delle Donne è un Organo Istituzionale del Comune di Bergamo, venne istituito il primo aprile del 1996 usufruendo delle indicazioni contenute nell’articolo 70 dello Statuto Comunale.

Questo organismo di partecipazione ha lo scopo di:• dare voce alla presenza, alla soggettività, alla competenza,

all’autorevolezza delle donne; • far emergere, proporre, confrontare valori e riferimenti che

stanno alla base di una convivenza democratica, partecipata, nonviolenta e che determinano la qualità della vita delle persone;

• presentare proposte in merito ai problemi della città; • essere punto di riferimento per le associazioni e i gruppi

femminili;• far conoscere il punto di vista delle donne;• costruire una città solidale da vivere e condividere.

Il Consiglio delle Donne ha funzioni di:• studio, ricerca, documentazione e proposta sulle problematiche

riguardanti la vita della città; • proposta nei confronti della Giunta e del Consiglio Comunale; • consultazione esprimendo pareri su tematiche riguardanti

l’organizzazione sociale e politica della città;• supporto, incentivazione, consulenza, messa in rete

coordinamento di gruppi e associazioni di donne;• progettazione e realizzazione di percorsi di riflessione,

confronto e azione in collaborazione con l’Amministrazione comunale e agenzie del territorio.

Il Consiglio è costituito dalle donne elette nel Consiglio comunale, dalle rappresentanti delle consigliere circoscrizionali e dalle referenti di gruppi e associazioni della città.

Il Consiglio delle Donne svolge i suoi compiti attraverso l’assemblea, l’esecutivo e le commissioni.

Le commissioni, che costituiscono i laboratori dove vengono ideate, progettate, organizzate le diverse iniziative, stanno sostanzialmente affrontando le seguenti tematiche:• le politiche educative e familiari con particolare attenzione ai

minori;• le politiche culturali tese alla valorizzazione dei saperi delle

donne attraverso le parole e le pratiche delle stesse;• le politiche per una città accogliente e accessibile per vivere

Bergamo come luogo di incontro, di benessere e di sicurezza;• le politiche per la salute per star bene con se stesse e con gli

altri;• le politiche per l’ambiente per ritrovare armonia con la natura

con particolare attenzione ai parchi;• le politiche per il territorio per una visione al femminile circa la

ricaduta delle scelte urbanistiche sulle dinamiche sociali.