Storie di questo mondo - Novembre 2011

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Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. ANNO 3 - N° 3 - NOVEMBRE 2011 periodico di culture migranti e dell’accoglienza SPECIALE SERVIZI PER MIGRANTI, SERVIZI PER TUTTI Conversazione sul lavoro con Adriana Luciano TRENTASEI VITE IN ATTESA Incontro con i richiedenti asilo ospitati a Lemie (TO) LAVORO ERO V N ANNI DI SBARCHI Migranti, lavoro, imprese e formazione: le sfide del futuro Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 2 e 3, Catania - Trimestrale del Consorzio Connecting People – reg. Trib. di Trapani N°323 del 17/07/2009 – distribuzione gratuita

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Periodico edito dal Consorzio Connecting People

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Troppe storiesembrano storiedell’altro mondo,ma lo spazioin cui accadonoè qui e ora.

anno 3 - n° 3 - noVEMBRE 2011

periodico di culture migrantie dell’accoglienza

speciale

seRViZi peR MiGRaNTi, seRViZi peR TUTTiConversazione sul lavoro con Adriana Luciano

TReNTasei ViTeiN aTTesaIncontro con i richiedenti asilo ospitati a Lemie (TO)

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Migranti, lavoro, impresee formazione: le sfidedel futuro

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Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: [email protected]

Editore/proprietàConsorzio Connecting People Onlus

via Conte Agostino Pepoli, 68

91100 Trapani

Direttore responsabileGiorgio Gibertini

Impaginazione e stampaStudio Tribbù di Coop. Soc. Sciarabba

via Sciarelle, 4

95024 Acireale (CT)

Progetto grafico e illustrazioniGiancarlo Ortolani / Tribbù

Comitato di direzioneGiorgio Gibertini, Serena Naldini,

Susanna Rognini, Mauro Maurino,

Giuseppe Lorenti.

Coordinamento editorialeSerena Naldini, Salvo Tomarchio

RedazioneVia Lulli, 7/8

10148 Torino

Via Sciarelle, 4

95024 Acireale (CT)

[email protected]

In redazioneAlessia Barbagallo, Valentina Corrado,

Maria Chiara Cugusi, Moreno D’Angelo,

Suad Omar Sh. Esahaq, Ferdinando Firenze,

Mauro Maurino, Karolina Mitka,

Serena Naldini, Angelo Perez,

Marco Polimeni, Mariangela Recchia,

Linda Rinaldi, Luca Scarpitti,

Salvo Tomarchio,Claudia Verrillo.

editoriale 1Lavoro: singolare,maschiledi Mauro Maurino e Angelo Perez

dossier Manifesto 2Migranti e lavoro: il futuro dell’Italiadi Salvo Tomarchio

Cittadini e lavoratori “a pieno titolo”di Luca Scarpitti

Una storia di integrazionedi Suad Omar Sh. Esahaq,

I migranti e l’accesso alla formazionedi Ferdinado Firenze

dossier Nautilus 6Nautilus, impegno concreto per l’accoglienza dei migrantidi Alessia Barbagallo

intervista 10Servizi per migranti, servizi per tutti.A partire dal lavoro.di Serena Naldini

Progetti 14Sardegna: quando l’accoglienza mira alla vera progettualitàdi Maria Chiara Cugusi

150 anni di sbarchi 18Catania, 1861: L’America non è il paradisodi Marco Polimeni

Il grande cuore e l’incoscienza di una città con la cultura dell’accoglienza di Marco Polimeni

incontri 20Trentasei vite in attesadi Serena Naldini

incontri 22Dal bouquet al dpi: storie di (stra)ordinaria integrazionedi Serena Naldini

press 24Rassegna stampa di Connecting Peoplea cura di Salvo Tomarchio

news 26Notizie e curiosità a cura della redazione

media connecting 29Terrafermadi Salvo Tomarchio

Copertinaart director Andrea Catalano

illustrazione Giancarlo Ortolani

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Il dizionario italiano alla voce lavoro dice: singolare, ma-schile. Il dizionario è parziale: il lavoro nella nostra società non è né singolare, né maschile. E se parliamo di migra-zioni la vicenda si complica ancora.È per questa ragione che questo editoriale è firmato a quattro mani da Connecting People, che gestisce progetti di accoglienza di migranti, e dal Consorzio Mestieri, che invece trova la sua mission nel tema lavoro. Siamo part-ners e, più collaboriamo, più appare evidente che oggi in Italia è difficile occuparsi di migranti senza occuparsi di lavoro e viceversa.È scomodo parlare di lavoro e migranti in tempi di crisi, perché comporta considerare gli italiani che il lavoro lo perdono o non lo hanno mai trovato. La nostra Repubblica trova nel lavoro il proprio fondamento, eppure il nostro Paese non è mai riuscito a garantirlo a tutti. Non possiamo ignorare che vi è concorrenza tra gli stranieri e gli italiani meno agguerriti. Ma dare voce solo a questa concorrenza significa fare come il dizionario: usare il singolare, quando invece i mercati del lavoro sono plurali e segmentati, e molti di questi sono dominati, più che dalla concorrenza, da una complementarietà che in in alcuni casi assume persino caratteristiche di segregazione occupazionale, risultato della coesistenza di due aspetti che permangono nell’attuale contesto di crisi: da un lato, le differenze di disponibilità nell’offerta di lavoro tra ita-liani e immigrati, dall’altro, aree di domanda in segmenti bassi del mercato per qualifica o salari (nei campi dell’assi-stenza familiare, edilizia, manifatture e servizi).Tutti concordano che il lavoro sia uno dei fattori d’integra-zione. Ma non è l’unico. Se bastasse lavorare, le centinaia

di migliaia di badanti che frequentano le nostre case sarebbero integrate, così come i lavoratori a giornata impegnati nella raccolta della frutta. Il lavoro dunque è necessario, ma non è sufficiente.In questi ultimi mesi, l’Italia ha accolto svariate decine di migliaia di persone. Quale sarà il futuro dei richiedenti asilo che affollano i nuovi e i vecchi centri di accoglienza? E che futuro daremo al nostro Paese, se non riusciamo a costruire un progetto complessivo che preveda anche il loro impiego? Oltre al dizionario italiano, è utile recupe-rare l’accezione che il lavoro ha in altre lingue. In inglese

work, in tedesco werk e arbeit: l’etimo di queste parole riconduce alla radice greca erg che significa “energia”. Il lavoro è infatti anche energia applicata alla trasforma-zione di sé e della realtà. Le mi-grazioni sono una grande energia di crescita che genera importanti occasioni di innovazione sociale.E il lavoro è la chiave principale at-traverso cui realizzare questo con-tributo delle persone immigrate al

processo di cambiamento e crescita economica. La sfida è dunque la valorizzazione di questo capitale umano, costruire cioè pratiche per liberare quest’energia renden-dola produttiva non solo come utilizzo di manodopera di basso livello, ma promuovendo riconoscimento, selezio-ne in base al merito, potenziamento delle competenze e impiego qualificato. A questo fine è necessario anche mettere in campo la fiducia e la speranza, una coppia di significati al servizio del futuro della società. Di loro sul dizionario, alla voce lavoro, non vi è traccia. Ma siamo certi, che al di là delle definizioni, fiducia e speranza siano imprescindibili fattori di crescita e sviluppo.

Lavoro: singolare, maschile.

Angelo Perez Vice presidente

Consorzio Mestieri

Mauro Maurino Consiglio di amministrazione

di Connecting People

Che futuro daremo al nostro Paese, se non riusciamo a costruire

un progetto complessivo che preveda anche

il loro impiego?

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“I migranti sono persone che per varie ragioni decidono di stabilirsi altrove, lontano

dal proprio paese d’origine, compiendo, nella maggior parte dei casi, una scelta consapevole e non solo necessitata, che può generare vantaggi tanto nella società ospite che nella società di origine. Parten-do da questo principio, i migranti non sono vittime da assistere per spirito di carità o per buonismo, ma persone da accogliere perché partecipano alla creazione della ric-chezza necessaria per mantenere standard di qualità della vita elevati nei nostri paesi. Tutti gli studi demografici affermano infatti che, senza questa categoria di lavoratori, le nostre comunità non potrebbero far fronte a numerose esigenze.” Partendo da queste premesse nel luglio 2010 presentavamo il nostro Manifesto per un Pacchetto Integrazione, proponendo una serie di misure concrete e realizzabili per promuovere una reale integrazione nel nostro Paese dei migranti, considerandoli “un capitale culturale, effettivo e potenzia-le, con cui i nostri figli si confronteranno in maniera non più eludibile, condividendo con i nuovi arrivati la vita quotidiana, sociale e politica dei nostri territori”. La questione migranti, posta nei termini

di un tentativo reale e concreto di integra-zione possibile, trova un primo inevitabile banco di prova nella promozione del ri-conoscimento dei titoli e dell’inserimento lavorativo. Imprese e scuole in tal senso costituiscono così due pilastri fonda-mentali, due luoghi del quotidiano at-traverso i quali trasformare la percezione comune sul tema dei migranti e porre le basi per una trasformazione culturale

della società italiana. Nell’ambito del Pacchetto Integrazione, abbiamo ripen-sato le imprese come fattore chiave nella costruzione di un sistema che aiuti i lavoratori stranieri e le loro famiglie nei processi di inserimento; in collaborazio-ne con enti scolastici e formativi che pos-sano aiutare ad attenuare gli inevitabili ostacoli all’integrazione. In tal senso si muove il progetto nato nell’ambito degli accordi tra Compagnia di San Paolo e la Città di Torino che stanno realizzando un servizio di accompagnamento per il riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali per i cittadini stranieri così come viene descritto in questa rubrica e lunga la stessa direttrice procede il tentativo di Connecting Peo-ple di favorire l’accesso alla formazione professionale in collaborazione con l’Uf-ficio Provinciale del lavoro di Trapani.

Migranti e lavoro, il futuro dell’Italia

Strutturazione di un sistema di welfare aziendale che supporti l’integrazione e faciliti la mobilità sociale. Per il suo finanziamento, cfr. “finanziamento di progetti finalizzati all’integrazione attraverso uno storno dell’1% dei contributi previdenziali dei migranti - misura tesa a finanziare l’integrazione attraverso il tessuto delle imprese (pag. 10)”.

1

Analisi degli istituti contrattuali che possono favorire l’integrazione attraverso i luoghi di lavoro. Per la sua realizzazione, è sufficiente che sindacati datoriali e dei lavoratori orientino i vari livelli di contrattazione non solo rispetto a rivendicazioni di tipo salariale, ma anche alla ricerca di forme contrattuali innovative che favoriscano l’integrazione.

2

Iniziative di partenariato tra camere di commercio italiane e istituzioni economiche dei paesi di provenienza finalizzate al supporto di progetti imprenditoriali transnazionali che promuovano, in un’ottica di sviluppo sostenibile, il “made in Italy” all’estero e i prodotti “etnici” in Italia (cfr. Possibilità di utilizzo del Patto di Barcellona), nonché il modello italiano di welfare e di impresa sociale.

3

Le proposte contenute nel Pacchetto integrazione per costruire l’avvenire partendo da scuola e imprese

di Salvo Tomarchio

dossier

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Secondo stime del 2009, i lavoratori stranieri occupati in Italia supera-no i tre milioni e il tasso di occu-

pazione degli stranieri ha superato quello degli italiani (68% contro il 57%). A fronte di una presenza migrante ormai strutturale nella realtà occupazionale nazionale tutta-via permangono barriere di ingresso alla medesima per chi giunge in Italia di ordine linguistico, socio-economico e giuridico

che spesso pregiudicano le possibilità, soprattutto dei giovani, di mettere a frutto le proprie competenze. Questo fa sì che molti stranieri siano costretti a ricoprire mansioni dequalificate o a inserirsi solo in “nicchie etniche” del mercato del lavoro. La maggior concentrazione dell’occupa-zione straniera risulta infatti confinata nei cosiddetti “lavori delle 5 P” ovvero nei lavo-ri pesanti, pericolosi, precari, poco pagati

e penalizzati socialmente. Risulta quindi importante poter affrontare le difficoltà nel tradurre i percorsi formativi già attuati nei paesi di origine in concrete possibilità di occupazione e di realizzazione persona-le affrontando in modo mirato la tematica dell’inserimento lavorativo di chi giunge in Italia in possesso di titoli di studio e com-petenze di medio o alto livello. In tale dire-zione dal 2008 la Compagnia di San Paolo, in collaborazione con la Città di Torino, ha avviato a Torino il progetto “A pieno titolo” attuato dalla Cooperativa sociale Parella con l’obiettivo di contrastare. Obiettivo è quello di contrastare il fenomeno che vede soggetti portatori di bagagli forma-tivi e professionali di rilievo avvicinarsi a professioni di media-bassa qualifica. “A pieno titolo” è un servizio rivolto a cit-tadini stranieri con istruzione secondaria o universitaria provenienti da paesi non comunitari e comunitari di recente annes-sione (Bulgaria e Romania) interessati a ri-conoscere i titoli di studio o le competenze professionali conseguiti nel proprio paese d’origine sia per accedere o migliorare la propria condizione lavorativa che per pro-seguire gli studi nel nostro paese. I positivi risultati dell’esperienza finora maturata hanno permesso di far confluire il servizi del progetto nell’ambito delle politiche pubbliche locali e in particolare nel qua-dro delle azioni di accompagnamento del progetto europeo Urban III nel quartiere di Barriera di Milano che la Città di Torino attuerà nei prossimi tre anni.

Cittadini e lavoratori «A pieno titolo»

Stranieri

Italiani

1,73,4

12,916,1

0,61,6

84,478,9

100100

3,54,0

23,321,6

17,17,8

56,266,5

100100

4,64,4

29,725,0

27,411,6

38,359,0

100100

Tab. 1 Distribuzione e incidenza dei lavoratori stranieri per genere nei settori di attività economica. % (2007)

(Fonte: III Rapporto INPS sui lavoratori immigrati per Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes)

Incidenza % immigrati 5,6Agricoltura

Incidenza % immigrati 6,9Manifattura

Incidenza % immigrati 3,1Costruzioni

Incidenza % immigrati 5,5Servizi

Incidenza % immigrati 6,5Totale

di Luca Scarpitti

Un servizio a Torino per il riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero

dossier

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E ra il 1967, il 25 luglio, quando sono nata nel reparto di gineco-logia e maternità dell’ospedale

Martini di Mogadiscio, in Somalia, costru-ito e attrezzato dall’Italia. Come impone la cultura, mi hanno conferito il nome Suad. Durante la mia infanzia, nel mio paese non ci sono grossi problemi e, come per tanti altri bambini, la mia vita quotidiana si con-suma tra casa, scuola e giochi.Dopo la fine del periodo scolastico liceale, mi iscrivo all’Università Nazionale Somala di Mogadiscio e, in particolare, alla facoltà linguistico-culturale. Negli anni ‘80-’90, le cose iniziano a metter-si male in tutto il paese. Il regime del de-funto generale Mohamed Siad Barre aveva letteralmente trasformato la Somalia in una prigione a cielo aperto. La libertà, la democrazia e persino la legalità vengono negate ai cittadini. L’inflazione è alle stelle e lo scellino somalo non vale più niente. Nel 1988, quando io mi laureo in lettera-tura, la situazione è ormai insostenibile. A Mogadiscio, si percepisce che la situazio-ne sta per precipitare e l’anarchia è totale.A questo punto, ho cominciato a maturare la decisione di allontanarmi dal paese, perché anche molti dei miei amici partiva-no ogni giorno. La mia meta preferita era l’Italia, Roma. Anche perché la Somalia era un’ex colonia italiana e il legame storico-culturale era forte. A Mogadiscio, se andavi al cinema, il doppiaggio era in italiano. Se andavi al centro, ti trovavi in via Roma, nel Bar Savoia, in Casa d’Italia, in cinema mis-sione o in cinema equatore.Mio padre Omar, funzionario governativo, non ha avuto difficoltà a strappare un visto turistico dal consolato generale d’Italia a Mogadiscio per il mio ingresso in Italia.Il 27 luglio dell’89, arrivo all’aeroporto internazionale di Fiumicino con un volo regolare della compagnia Somali Airlines.

Per mia sfortuna, non avevo perfezionato l’italiano, come molti altri somali. In quell’e-poca, infatti, la lingua italiana era capita e parlata da quasi tutti i somali residenti nei centri urbani. Con pochi dollari, e una scarsa conoscenza della lingua, mi ritrovo alla stazione ferroviaria di Roma. Inizia per me una nuova epoca. Non era passa-ta ancora un’ora dal mio arrivo, quando mi sono accorta che mi trovavo in una Mogadiscio più progredita dal punto di vista delle infrastrutture e della tecnologia, ma simile in molti altri aspetti. C’era una comunità somala consistente, tra vecchi residenti e neo-arrivati, fuggiti come me dalla dittatura e dall’anarchia. Tra i primi che ho incontrato, ricordo un mio parente, ex colonnello delle forze armate Somale, in esilio a Roma. Ho così trovato una casa - la casa di mio zio colonnello - temporanea perché, comunque, dovevo intraprendere la mia strada per farmi una vita, ritagliarmi un spazio mio in questa società, anche se non sarebbe stata un’impresa facile.Passano due settimane. Frequento spesso il punto di ritrovo dei somali a Roma, la Stazione Termini. Entro in contatto con molti somali, alcuni dei quali avevo già conosciuto in patria. Abbiamo in comune molti aspetti: tutti siamo fuggiti dal caos, disoccupati e, in molti, anche clandestini. Il bello è che non c’era il rischio di rimpatrio: noi somali godevamo di uno status non dichiarato, di “non rimpatriabili”. In poche parole, eravamo a casa. A metà agosto, in-contro a Termini, per caso, Fowzia, una mia amica d’infanzia. Residente a Torino, era solo in visita a Roma. Un grande sollievo, una grande fortuna. Una grossa parte dei miei problemi si è risolta. Qualche giorno dopo, mi trasferisco a Torino con la mia amica. Lei, come tante altre somale a quei tempi, lavorava come collaboratrice dome-stica presso una famiglia italiana. Abitava

in un monolocale. I miei problemi di allog-gio sono così terminati. Scaduto il tempo di soggiorno consentito dal visto d’ingres-so in Italia, sono passata alla clandestinità. Nonostante questo, comincio a lavorare in nero come lavapiatti in un ristorante di To-rino. Il proprietario del ristorante mi tratta-va come una figlia. Non ho smesso ancora di benedirlo e ringraziarlo. All’inizio degli anni ‘90, grazie alla sanatoria “legge Mar-telli”, esco dalla clandestinità. Inizio così a lavorare legalmente, pagando i contributi. Ho fatto di tutto: dall’assistenza anziani alla colf, dalla baby-sitter all’operaia. Ma non solo, mi sono iscritta al primo gruppo che, in quegli anni ‘90, ha frequentato il corso di mediazione interculturale. Questa profes-sione mi ha aperto nuovi orizzonti. Oggi, Suad Omar, è una donna sposata e felice. Ho contribuito con 5 “unità figli” a questa nostra società italiana, che in base alle statistiche demografiche sta invecchiando in modo terrificante, sperando che tutti gli italiani facciano la stessa cosa.

Una storia d’integrazione

Candidata nelle liste comunali e circoscrizionali dei Verdi per la pace, Elezioni amministrative 28-29 maggio 2006. Eletta come consigliere circoscrizionale per la Circoscrizione VIII - co-ordinatrice della sottocommissione Gioventù della V Commissione (Cultura, Istruzione, Sport, Turismo e Tempo Libero e Gioventù).

Rappresentante per l’Italia della diaspora somala eletta nell’ambito del Convegno inter-nazionale delle diaspore somale - Stoccolma (Svezia) febbraio 2007, riconfermata al secondo convegno Leicester (UK) aprile 2007.

Relatrice al Convegno “The Somali Women’s Agenda” (Kenya 6-10 ottobre 2007) come por-tavoce delle donne della diaspora somala per l’Italia. In quell’occasione è stata scelta come rappresentante delle donne della diaspora so-mala in Italia.

Pubblicazioni 1997 Suad Omar Sh. Esahaq e Roberta Valetti, “Il coccodrillo che prestò la lingua allo sciacallo e altre favole dalla Somalia”, L’Harmattan Italia, 1997, Torino.

Suad Omar Sh. Esahaq

Il racconto di 20 anni di vita in Italia alla ricerca dell’integrazione possibile

di Suad Omar Sh. Esahaq

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dossier

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Negli ultimi anni in Italia è au-mentato il numero di persone richiedenti asilo ed il numero

di quanti fra questi ottengono la titolarità della protezione internazionale. Prima di entrare nello specifico della formazione quale strumento per l’accesso al mercato del lavoro delle persone richiedenti o titolari la protezionale internazionale, bisogna precisare la natura dello status giuridico degli stessi. La tutela dei soggetti in premessa è da ricercare nell’alveo della Convenzione di Ginevra relativa alla status dei rifugiati del 28 luglio 1951, quale in-tegrata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, che ha ispirato la Direttiva 2003/9/CE del Consiglio Europeo del 27 gennaio 2003 che reca le norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli stati membri. In quel momento matura, da parte della Unione Europea, la volontà di creare una politica comune dell’asilo per gli stati membri. In parti-colare l’art.11 e l’art.12 della superiore Direttiva dispongono le linee generali a cui devono uniformarsi gli stati membri per garantire il diritto al lavoro ed alla formazione professionale dei richiedenti

e dei titolari di protezione internazionale. L’Italia con il D.Lgs.205/2007 del Ministero dell’interno con gli artt.25 e 26 equipara i titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria al cittadino italiano sia per l’accesso libero al mercato del lavoro italiano privato e pubblico (art.25 D.Lgs.205/2007), sia per l’accesso all’istruzione (art.26 D.Lgs.205/2007) e quindi anche alla formazione professio-nale. L’esperienza vissuta per chi ha avuto come noi la possibilità, tramite le attività del Progetto Nautilus, di contattare e di confrontarsi con i protagonisti del mercato del lavoro in Italia, il sorgere di alcune inco-gnite legate all’effettiva equiparazione del cittadino in possesso della titolarità della protezione internazionale o richiedente asilo con i cittadini italiani per nascita.Da questa esperienza è nata una esperien-za significativa nella Regione Sicilia che, come definito dalla legge quadro sulla formazione professionale n.845/78, ha autonomia, vedi la l.r. n.24/76 e successive modifiche ed integrazioni, nella definizio-ne dei percorsi di accesso alla formazione professionale per l’apprendimento o per riqualificazione delle proprie competenze.

Nel corso delle attività del Progetto Nautilus sono sorte questioni interpretative essenzial-mente su due punti:1. Il riconoscimento del percorso di forma-zione dei richiedenti e titolari di protezione professionale svolto nel paese di origine al fine della equiparazione con i titoli di studio che in Italia consentono l’accesso alla forma-zione professionale;2. Il riconoscimento dei documenti che certificano la residenza sul territorio nazionale e la possibilità per i richiedenti asilo di utiliz-zare il domicilio temporaneo presso i centri di accoglienza quale certificazione anagrafica equiparata ai cittadini italiani ed ai titolari di protezione internazionale. Su questi due elementi la fattiva collaborazione con l’Ufficio provinciale del lavoro di Trapani, nella persona del suo dirigente, ha consentito di ovviare a tale situazione in maniera di insinuarsi tra le pieghe di una norma farraginosa ed incom-pleta che ha risolto in senso positivo i requi-siti che potevano ostare, in qualche maniera, all’accesso alla formazione per i richiedenti ed i titolari di protezione internazionale.Per i due requisiti in premessa si è arrivati alle seguenti determinazioni:1. Considerare l’autocertificazione come elemento sufficiente per coprire quanto meno l’accesso ai corsi dove fosse consentito l’accesso con il solo titolo per la scuola dell’ob-bligo in Italia;2. Considerare la domiciliazione presso i centri di accoglienza come dimora abituale del richiedente asilo e la certificazione rila-sciata dalle autorità competenti come valido documento di riconoscimento e di certifica-zione della identità del richiedente l’accesso ai percorsi formativi.

I migranti e l’accesso alla formazione

(Fonte: III Rapporto INPS sui lavoratori immigrati per Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes)

Stranieri

Italiani

Tab. 2 Livello di istruzione della popolazione (15 - 64 anni) in generale e di quella straniera in Italia, % (2007)

11,816,2

41,245,2

47,038,6

100,0100,0

Laurea e Post Laurea Licenza media TotaleDiploma

La scuola e gli altri enti formativi

La scuola è uno dei luoghi riconosciuti da sempre come cruciale per l’integrazione e la mobilità sociale. Grazie all’obbligo scolastico, tutti i bambini migranti hanno l’opportunità di imparare l’italiano e di inserirsi nella rete sociale e affettiva dei loro coetanei. E’ pur vero che i figli dei migranti devono superare maggiori difficoltà rispetto ai loro pari italiani, e che la capacità della scuola di integrarli deve essere migliorata. Uno degli strumenti per attenuare questi ostacoli è certamente l’inclusione dei loro genitori e degli adulti migranti in genere in percorsi formativi che prevedono innanzitutto l’apprendimento della lingua e della cultura italiana.

La formazione professionale per i richiedenti asilo ed i titolari di protezione internazionale

di Ferdinando Firenze

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dossier

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Si è concluso il 28 giugno 2011, con un convegno finale a Roma, Nauti-lus - Dall’accoglienza all’integrazio-

ne, progetto finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati (F.E.R.) 2009 e dal Ministero dell’Interno. Per la prima volta Connecting People infatti, proprio nel 2009, è andata oltre la tradizionale attività di gestione di centri di accoglienza per migranti, pre-sentando un progetto sull’Azione 1.2.A del F.E.R.: “Allestimento presso i centri di accoglienza per richiedenti protezione internazionale o nelle aree di riferimento del centro di Uffici di contatto - sportelli operativi”; l’unico progetto a valenza na-zionale del fondo europeo, e sicuramente il più “ambizioso”. Il Consorzio Connecting People, in par-tenariato con l’OIM, il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale de La Sapienza, l’AICCRE e il Consorzio Mestieri ha così attivato dodici sportelli di contat-to in tutto il territorio nazionale, in cui quotidianamente un orientatore ed un

mediatore culturale hanno raccolto infor-mazioni sui profili migratori di richiedenti e titolari di protezione internazionale e hanno svolto attività di informazione e orientamento su servizi socio sanitari e di accompagnamento al lavoro.Nell’insieme, sono stati raccolti dati su condizioni socioeconomiche, aspettative di vita, esperienze e competenze profes-sionali di più di 4.000 beneficiari e ogni sportello ha raggiunto i suoi piccoli, grandi risultati nell’accompagnare i richiedenti e titolari di protezione internazionale indi-viduati nel difficile cammino verso l’indi-pendenza e l’integrazione socioeconomica nella nuova società di accoglienza.Gli operatori degli sportelli di Catania e Caltanissetta, per esempio, grazie alla collaborazione con i progetti S.P.R.A.R. del territorio - precisamente Progetto Sirat Catania e Progetto Gueso Salam Acireale gestiti dal Consorzio il Nodo, e Progetto SPRAR Mazzarino gestito dalla cooperativa “I Girasoli” - tramite la somministrazione

del questionario Nautilus hanno indivi-duato i profili dei titolari di protezione internazionale più adatti a ricoprire il ruolo di mediatore culturale. Cinque titolari di protezione sono stati così assunti da Connecting, proprio nell’ambito del pro-getto Nautilus. Inoltre, quattro titolari di protezione internazionale che, in seguito allo sgombero dell’immobile sito a Catania in viale Africa, erano rimasti senza fissa dimora, e altri due già ospiti di strutture SPRAR di Catania sono stati segnalati ad un’azienda edile di Caltagirone, che li ha assunti come operai di cantiere.Tramite lo sportello Nautilus di Foggia, Connecting People ha anche siglato du-rante questa prima annualità di progetto un protocollo d’intesa con Smile Puglia, grazie al quale ha inserito quattro titolari di protezione internazionale in un Corso di Formazione per Mediatori Culturali. L’iscri-zione a questo corso ha coperto, tra l’altro, gli oneri relativi ad un’esperienza lavorati-va conseguente al rilascio della qualifica di

dall’accoglienza all’integrazione

Nautilus, impegno concreto per l’accoglienza ai migranti

Un progetto ambizioso per accompagnare i richiedenti e titolari di protezione internazionale verso l’indipendenza e l’integrazione socioeconomica

di Alessia Barbagallo - Ufficio di coordinamento del progetto Nautilusfoto tribbù

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mediatore culturale. Uno di questi parteci-panti è stato poi assunto come mediatore culturale dal Consorzio Connecting people per le attività della Tendopoli di Potenza, aperta in seguito alla recente crisi umani-taria nordafricana.Possiamo andar avanti con altri esempi di buone prassi sperimentate nei diversi contesti locali in cui hanno lavorato i nostri operatori, come per esempio l’esperienza di Gradisca d’Isonzo, dove in seguito ad un protocollo d’intesa stipulato con il Comune di Sagrado in fase progettuale, si è realiz-zato il progetto “Incontriamoci in biblio-teca”, che è stato per gli ospiti del C.A.R.A. un’occasione di apprendimento formativo ed esperienza lavorativa e li ha impegnati con diverse mansioni presso la Biblioteca comunale di Sagrado, come la presa in carico delle prenotazioni, il supporto nelle attività di classificazione dei libri, il prestito e la riconsegna e la realizzazione di inizia-tive culturali. Un altro richiedente prote-zione internazionale è stato inserito nel

Progetto “Professionisti/e in famiglia”, ha così partecipato ad un seminario su aspetti legali, pratici, igienico-sanitari e psicologici del mestiere di assistente familiare ed è stato iscritto presso lo Sportello Assistenti familiari di Gorizia di intermediazione per la ricerca del lavoro.Con Nautilus si è anche cercato, dove possibile, rispettando le direttive del Mi-nistero sulle attività progettuali, di adat-tarsi e seguire le evoluzioni del fenomeno dell’asilo in Italia e quindi dei nuovi arrivi di migranti politici prodotti dalle rivolu-zioni nordafricane, cercando di risponde-re all’aumento dei bisogni dei beneficiari seguito alla crescita esponenziale degli sbarchi in Sicilia. Per questo Connecting People ha fatto la scelta di istituire, dal 9 maggio 2011, dopo l’apertura del C.A.R.A. di Mineo, un nuovo sportello di contatto proprio in quel centro, che per grandezza e tipologia di ospiti più di tutti gli altri necessitava di segnali forti di presenza e vicinanza ai nuovi arrivati nel nostro

paese, che purtroppo spesso sono stati carenti da parte dell’ente gestore e delle pochissime associazioni che hanno avuto la possibilità di operare al suo interno. Oltre alle consuete attività di sportello, si è scelto proprio qui di dare un ulte-riore servizio ad personam agli ospiti del centro, supportandoli nella stesura di curricula e realizzando bilanci delle competenze.Gli esempi positivi di accompagnamento dei migranti politici nell’inserimento nel tessuto sociale e lavorativo locale sono stati per fortuna tanti nel corso del pro-getto ed hanno riguardato diversi benefi-ciari. Anche se numericamente, rispetto alle crescenti presenze nel nostro paese di richiedenti e titolari di protezione, sono state percentuali esigue, si è tratta-to sicuramente di segnali importanti per tutti gli ospiti dei C.A.R.A. che sono pas-sati dai nostri sportelli e, speriamo, con la seconda annualità di Nautilus, di poter fare ancor di più.

dall’accoglienza all’integrazione

In alto, un momento della partecipata tavola rotonda del convegno. In alto a destra, il qr code con la ripresa video del convegno.

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Progetto Nautilus. Dall’accoglienza all’integrazioneNautilus è potenziamento del sistema nazionale d’asilo attraverso:

- apertura di sportelli di informazione, orientamen-to, consulenza e conoscenza reciproca rivolti ai ri-chiedenti asilo e titolari di protezione internazionale a Catania, Caltanissetta, Trapani, Crotone, Brindisi, Bari, Foggia, Roma, Torino, Gradisca d’Isonzo, e da Maggio si è aggiunto lo sportello presso il Villaggio della solidarietà a Mineo;- attività formativa per gli operatori degli sportelli con 100 ore finalizzate non soltanto alla trasmissio-ne di nozioni e informazioni sul fenomeno dell’asilo in Italia, ma soprattutto alla sperimentazione e condivisione di un linguaggio e una metodologia comune di intervento;- ideazone di un questionario, a cura del comi-tato scientifico di progetto, per la la raccolta di informazioni su dati socioanagrafici, esperienze e competenze professionali, aspettative di vita dei beneficiari ultimi;- creazione di una banca dati, che raccoglie infor-mazioni e consente ricerche incrociate su alcuni campi: patrimonio essenziale per esercitare forme d’orientamento efficaci, razionali e non contingenti;- job matching, implementazione incrocio relativo ai profili professionali con la banca dati del consorzio Mestieri per avviare forme di job matching;- attività di analisi e mappatura territoriale delle

realtà impegnate a vario titolo sull’integrazione;- costruzione di network di comunità, elemento ine-ludibile per realizzare vera integrazione, attraverso la convocazione di tavoli di concertazione locale;- realizzazione e pubblicazione di un rapporto di ricerca sui dati raccolti grazie alla sommini-strazione del questionario su questa particolare tipologia di migranti.

Nautilus: la conoscenza è base per ogni politica efficace.

L’obiettivo della ricerca condotta da Nautilus non è la conoscenza fine a se stessa, ma la definizione dei “pro-fili migratori” dei rifugiati e dei richiedenti asilo, con lo scopo di supportare con elementi maggiormente aderenti alle realtà biografiche degli intervistati le po-licies di inclusione e integrazione, attivando percorsi di integrazione lavorativa coerenti con le competenze e le aspirazioni delle persone. Dai risultati delle attività è emersa l’importanza di una seria riflessione sul decreto flussi. L’emergenza umanitaria sta cambiando il volto del sistema d’asilo in Italia, rendendo sempre più stringente la necessità di strutturare un circuito integrato in grado di gover-nare il fenomeno e di una legge dedicata e organica sull’asilo in Italia. La ricerca ha rilevato anzitutto una consistente presenza di titolari di protezione internazionali che possono (e devono) diventare forza lavoro per il nostro Paese.

Giuseppe Lorenti, direttore del progetto Nautilus. in alto, l’intervento del professor M. Morcellini

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Nautilus ha raccolto più di 4000 interviste, ha conosciuto più di 4000 persone, può contribuire a rammendare la trama di più di 4000 storie. Condotta in collaborazione con il Dipartimento Ri-cerca Sociale de La Sapienza, la ricerca di Nautilus di prossima pubblicazione, farà riferimento a una base dati di più di 4000 interviste. L’intervista è molto approfondita. Composta da circa 60 domande, è frutto di un processo di collaborazio-ne di tutti i partner: Connecting People ha messo in campo il proprio know how in tema di accoglienza, OIM la propria competenza in materia di asilo e del mondo dell’immigrazione, il consorzio Mestieri ha contribuito a focalizzare gli item importanti per definire i profili e le competenze professionali, il dipartimento de La Sapienza ha definito l’aspetto metodologico. Il questionario e’ stato distribuito in 12 sportelli presenti in tutti i centri d’accoglienza per richiedenti asilo presenti sul territorio compreso il nuovo centro di Mineo e con l’aggiunta della città di Torino dove non ci sono Cara ma ci sono storicamente molti rifugiati.

Da un’analisi intermedia, condotta su circa un quarto del campione degli intervistati, -è risultato che il 90,3% degli intervistati è sono uomini, per l’86% di età inferiore ai 34 anni. La religione è musulmana nel 78% dei casi, cristiana nel 20 % di cui il 9% sono cattolici. Provengono da 40 paesi ma quasi la metà arriva da Tunisia, Afghanistan e Somalia. Il 51% e’ partito dai paesi d’origine nell’ultimo anno e l’83% dichiara di voler rimanere in Italia. La grande fram-mentazione linguistica emersa ha reso evidente la necessità di formare mediatori linguistici. Quanto alle qualifiche, il 6% ha un titolo universitario e post laurea contro il 12% degli italiani. L’ 11% dei richiedenti asilo non ha alcun titolo di studio, il 40% è diplomato o con la licenza media, il 42% ha licenza elementare. Difficile l’accesso al mercato del lavoro: solo 24 persone su 1083 hanno un’occu-pazione stabile, l’87% degli intervistati non ha mai effettuato colloqui di lavoro. Alla domanda “Quale lavoro accetterebbe?”, tutti sono disponibili a fare sostanzialmente tutto. La questione abitativa è uno dei problemi più gravi. Tra gli ospiti dei Cara, l’83% giudica positivamente l’accoglienza ricevuta in Italia.

I più soddisfatti sono i tunisini (243 risposte positive su 244 intervistati), insieme ad afghani e pakistani. Meno soddisfatti sono somali e turchi. Quanto al fenomeno dell’autosegregazione, su 1082 intervistati ben 878 affermano di vivere in stretta relazione con i propri connazionali e il 77% non frequenta mai italiani. Oltre a fornire dati indispensabili per costruire effi-caci politiche di integrazione, lo strumento dell’in-tervista ha consentito su ogni territorio l’instaurarsi di relazioni interpersonali, base per ogni possibilità concreta di intervento.

il futuro del progetto: Nautilus2 verso l’inte-grazione socio economica.

La progettazione e la realizzazione di progetti di inclusione sociale richiede tempi lunghi. I primi risultati concreti in termini di integrazione si sono raccolti dopo diversi mesi di attività di una vasta équipe multidisciplinare distribuita sul territorio italiano. Il Progetto Nautilus 2, iniziato già da diversi mesi, potrà valorizzare tutto il lavoro fatto, costruen-do percorsi di integrazione più numerosi e stabili.

Un intervento al convegno Nautilus di Nello Musumeci, ex sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

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Conversazione di Mauro Maurino con Adriana Luciano, di-

rettrice del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino e presidente del co-mitato scientifico di IRES Piemontedi Serena Naldini

Il lavoro è considerato da molti un fatto-re necessario all’integrazione. Che cosa pensa di questa affermazione? A quali condizioni ritiene che essa sia vera?

Il lavoro è fattore d’integrazione se avviene in contesti di legalità, con un reddito che consente una vita dignitosa e condizioni di lavoro accettabili. I flussi migratori degli anni ‘50 e ‘60 si sono integrati anche grazie alla fabbrica fordista; modello discutibile, autoritario, senz’altro alienante, ma che si è anche dimostrato un contenitore capace d’integrazione, sia dal punto di vista delle

condizioni economi-che, sia dal punto di vi-sta della promozione di processi di parteci-pazione sociale attra-verso il sindacato. Nel mondo delle im-prese industriali di medie o grandi di-mensioni, l’integra-zione dei lavoratori stranieri è favorita da forme di tutela analoghe a quel-le di cui godono gli italiani. Nel settore agricolo,

invece, una parte della domanda di lavoro è legata al mondo del caporalato che genera grandi disegua-glianze. In condizioni simili di sfruttamento, è difficile pensare al lavoro come fattore di integrazione. Detto questo, sottolineo che esiste un’agricoltura intelligente che vede imprenditori di qualità che sanno utilizzare la manodopera straniera in quei settori dove è sempre più difficile trovare lavoratori italiani disponibili a impegnarsi. Nel settore dei servizi la si-tuazione è più differenziata. In generale, comunque, si può dire che se l’impresa è seria e rispetta la legge, il lavoro pro-muove realmente l’integrazione.

La presenza di una quota considerevole di economia sommersa ha influenza sui processi migratori? Quali dimensioni di causa e di effetto sono rintracciabili?

Sicuramente la questione della legalità è fondante. L’economia sommersa è un ele-

mento caratteristico dell’economia italiana e, come tutti i fenomeni sociali importanti e persistenti, ha caratteristiche sistemiche. At-traverso l’economia sommersa si genera la-voro e reddito che l’economia formale non riesce a produrre. Ma l’economia irregola-re, a sua volta, non solo genera condizioni di lavoro e di vita inaccettabili ma frena lo sviluppo di un’economia sana. Un paese che consente facilmente di annidarsi nelle zone d’ombra – quale è l’economia som-mersa - può esercitare una certa attrazione, diventando destinazione di un progetto migratorio, anche su coloro che non sono in possesso dei documenti richiesti dalla leg-ge per soggiornare. Quanto più le leggi sono formalmente rigi-de e le possibilità di ingresso regolare sono scarse, tanto più si alimentano flussi di clan-destini che favoriscono la sopravvivenza e l’estensione dell’economia irregolare. Una diversa regolazione degli ingressi, potrebbe ridimensionare il fenomeno.

Mentre si discute di integrazione e lavoro dei migranti, gli italiani perdono il lavoro. È possibile intervenire per diminuire il senso di concorrenza? Quali sono a suo parere le scelte da fare?

È difficile affrontare la questione in genera-le perché il mercato del lavoro non è unico. Pur accentuandosi nei momenti di maggior disoccupazione e minore domanda, alcuni fenomeni di concorrenza tra italiani e stra-nieri ci sono da sempre. Ci sono inoltre zone di complementarietà, con una domanda di lavoro che non trova risposta nel locale. Quanto più è elevata l’offerta di lavoro, quanto più si genera un peggioramento delle condizioni e dei livelli di reddito. At-

Servizi per migranti, servizi per tutti. A partire dal lavoro

Conversazione di Mauro Maurino con Adriana Luciano, direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino

e presidente del comitato scientifico di IRES Piemonte

di Serena Naldini - Responsabile comunicazione Connecting People

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intervista

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tualmente, questo fenomeno si sta verifi-cando anche in segmenti del mercato del lavoro in cui non si registra una concorrenza tra lavoratori italiani e stranieri. Il nostro è un paese con una popolazione caratterizzata da un basso livello di sco-larità di dimensioni piuttosto consistenti. La concorrenza esiste nei settori e nelle zone in cui la domanda richiede lavoro a bassa qualificazione e l’offerta italiana è consistente: edilizia, agricoltura, pubblici esercizi, lavoro domestico. Gli stranieri non solo sono generalmente disponibili ad ac-cettare condizioni di lavoro peggiori e re-tribuzioni più basse, ma spesso a parità di mansione possono contare su un livello di scolarità più alto, su una disponibilità al la-voro e su delle competenze di vita più robu-ste. I migranti spesso hanno una marcia in più: il fatto stesso di avere scelto di emigrare li qualifica come persone che hanno voglia di farcela, di impegnarsi, che non hanno paura di affrontare le difficoltà.

Secondo lei, rendere più consapevole l’opinione pubblica che l’immigrazione può anche generare occupazione o di alcuni meccanismi che regolano il mercato del lavoro potrebbe cambiare le rappresentazioni sociali e diminuire la concorrenza?

Sono almeno 20 anni che chi si occupa di migrazioni cerca di diffondere questi ra-gionamenti. Nelle rappresentazioni che le persone si fanno delle cose, però, valgono due cose: l’esperienza diretta e i pregiudizi che si diffondono con più facilità dove man-ca un’esperienza in grado di contrastarli. Gli stereotipi si diffondono di più nei mo-menti di difficoltà, quando la carica emotiva aumenta. Negli ultimi 20 anni, si è purtrop-po anche irrobustita un’opinione politica che spaccia messaggi antimigrazioni con notevole efficacia, perché riesce ad inter-cettare il sentimento di paura delle persone.Si tratta di temi difficili, delicati, complessi, che non si affrontano con gli slogan. Riten-go preziosi, perciò, tutti i luoghi di dialogo che consentono di entrare nel merito delle cose, aprire ragionamenti, scalfire stereoti-pi, produrre cambiamenti. Si tratta però di processi complicati e difficili che vengono facilmente spazzati via da mezzi di comu-nicazione roboanti che in questi anni, so-

prattutto in alcuni territori, hanno avuto un ruolo significativo. La lotta in questi casi di-venta impari. Gli slogan non si contrastano con slogan di segno opposto. Gli altri sono più forti, perché giocano sulla paura.

Spesso però si registra una dissonanza tra ciò che si dichiara di pensare e i prin-cipi alla base delle proprie scelte. Siamo in grado di sfruttare questa dissonanza cognitiva e ribaltare la rappresentazione? Dove l’interazione è continuativa, come nei luoghi di lavoro, tra migranti e italiani fini-sce per generarsi comprensione reciproca. Il conflitto si accende e si alimenta soprat-tutto nei luoghi di prestazione di servizi pubblici: uffici anagrafe, ambulatori, ospe-dali, scuole. Qui i locali possono avvertire, anche fisicamente, il rischio di un aumento della competizione correlato alla scarsità delle risorse. Sono dell’idea che se l’ammi-nistrazione pubblica e le organizzazioni sindacali curassero di più il funzionamento dei servizi, potrebbero essere ridotte al mi-

nimo gli elementi che generano malumori e paure. Mi è successo l’altro giorno: vado all’anagrafe, trovo una coda sterminata, display rotti, impiegati ciabattanti che vanno e vengono dagli sportelli, nessuno in grado di dare un’informazione di alcun tipo... Dopo una mezz’ora, ho cominciato ad ascoltare discorsi contro gli immigrati. Ci vorrebbe un’amministrazione intelligen-te. Far funzionare bene i servizi significa correttezza, gentilezza. E poi si tratta di eli-minare la sciatteria evitabile: molte cose si possono fare anche con pochissimi euro. Quando la popolazione che ha meno risor-se si sente più a rischio, la presenza di mi-granti viene vissuta come una minaccia.

Non ci avevo mai riflettuto in questi termini. Trovo interessante il tuo punto di vista.

Molti anni fa, quando il fenomeno migra-torio ha cominciato ad assumere una certa dimensione, inaugurammo il centro inter-culturale del Comune di Torino. Una delle prime attività del centro fu quella di rea-lizzare un progetto di formazione rivolto a tutte le tipologie e i livelli di operatori del comune, dai vigili urbani, agli assistenti so-ciali, agli impiegati dell’anagrafe. Questa, a mio avviso, era un’attività da continuare. Si è fatta una tantum e poi mai più. Non è solo un’attività di formazione, ma un percorso che deve coinvolgere dirigenti. Ho fatto questa proposta qualche anno fa in un con-vegno sull’immigrazione organizzato da un sindacato. Nessuno ha mai ripreso il discor-so, né in quel frangente, né dopo.

Dovremmo lavorarci su, anche perché ha il segno di quelle attività che non in-tervengono direttamente sulla questio-ne migranti - considerata come settore di lavoro - ma sui servizi alle persone, compresi gli italiani. Questa è una delle chiavi che bisognerebbe usare. Quando si parla delle condizioni dei migranti, si parla delle condizioni di tutti.

L’ho sempre sostenuto: le politiche migrato-rie si fanno e non si dicono, ma soprattutto sono delle politiche per tutti.

Lavoro e integrazione portano con sé il tema della mobilità sociale. L’Italia è un paese in cui l’ascesa sociale è condizio-nata molto più dall’appartenenza che non dal merito. La comparsa sulla scena dei lavoratori migranti può aiutare a cambiare questa situazione o al contra-rio trasformarsi in un fattore ulteriore di cristallizzazione attraverso l’affermarsi di meccanismi di difesa?

Tutti gli studi sulle migrazioni mostrano che la mobilità sociale dei migranti si modella sulla struttura sociale dei paesi di arrivo. I processi hanno una dinamica più o meno forte a seconda di come funziona la mobi-lità sociale nei singoli paesi. In generale, le prime generazioni di migranti - se lasciamo da parte le migrazioni qualificate - hanno

Sicuramente la questione della legalità è fondante. L’economia sommersa è

un elemento caratteristico dell’economia italiana e,

come tutti i fenomeni sociali importanti e persistenti, ha caratteristiche sistemiche

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intervista

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quasi come unica chance quella del lavoro autonomo. Da questo punto di vista, il mer-cato è più democratico dell’organizzazione: se una persona ha delle capacità, può fare strada a prescindere dal colore della pelle. Nelle aziende è più difficile, anche se ci sono segnali di crescita professionale di lavorato-ri che entrano come operai comuni e poi di-ventano caposquadra. Molto spesso si parla di persone in gamba, capaci, che hanno vo-glia di lavorare e una marcia in più. Per le seconde generazioni, il processo è connesso con l’andamento della sco-larità: indubbiamente nei paesi e nei contesti in cui i migranti di seconda ge-nerazione riescono ad avere un successo scolastico, si possono verificare processi di mobilità sociale, con l’accesso a pro-fessioni di livello più elevato. Questo è particolarmente vero in Italia. Nel nostro paese, non solo vi è la questione del forte peso dell’origine sociale nella mobilità intergenerazionale e in quella di carriera. E’ in parte il retaggio di una società tradizio-nale strutturata in caste, in parte la conse-guenza di fenomeni diffusi di clientelismo. L’Italia è conosciuta nel mondo come il paese delle raccomandazioni. Per ragioni culturali e organizzative, la mobilità di car-riera dentro le organizzazioni dipende più che in altri paesi dal punto di ingresso. Le ricerche sulla mobilità sociale mostrano che

il punto d’ingresso in una organizzazione di grandi dimensioni è predittore della mobilità di carriera. Un giovane che si lau-rea mentre lavora farà dunque più fatica a far valere il suo titolo di studio rispetto a una persona che era già in possesso del titolo nel momento dell’ingresso. Non c’è una cultura che sostenga questi percorsi individuali, come ad esempio la cultura del self made man statunitense che rico-nosce di più i percorsi individuali, anche all’interno delle organizzazioni.

Qual è a suo giudizio la scelta da fare in Italia per costruire un’integrazione attraverso il lavoro? Come giudica l’idea di chiedere ai migranti di contribuire in modo particolare al finanziamento di un sistema di azioni orientate a favorire l’integrazione attraverso per esempio il versamento di contributi ad hoc?

Se fossimo in un Paese civile, mi sembre-rebbe un’ottima idea. Ma oggi in Italia c’è il rischio che questo contributo venga trasformato in una semplice tassa da far pagare in più agli stranieri senza dar loro niente in cambio. I meccanismi di prelievo sono molto centralizzati e quelli di eroga-zione hanno moltissime mediazioni. Non so se riusciremmo a garantire trasparenza e controllo sufficienti.

Ha senz’altro ragione, ma non c’è il ri-schio che si entri in una deriva presente in Italia su molti temi? Ad esempio, secondo alcuni, dato che non siamo in grado di contrastare la mafia, allora non si fanno le grandi opere.

Certo, è un rischio. Ma gli immigrati hanno poco potere di controllo sulle politiche pub-bliche e se non c’è un forte controllo, diven-ta veramente elevata la probabilità che que-sto contributo all’integrazione diventi soltanto una tassa in più. Vanno senza dub-bio studiati meglio i meccanismi per con-sentire la trasparenza. Allora può diventare un’idea realizzabile.

Adriana Luciano

Insegna sociologia del lavoro all’Università di Torino ed è diret-trice del Dipartimento di Scienze Sociali. I suoi studi riguardano il mercato del lavoro, l’immigrazio-ne, le diseguaglianze di genere e lo sviluppo locale

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intervista

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sala conferenzevia magenta, 31

novembre29-30 gamtorino

raccontare l’accoglienza,disegnare l’integrazione

in collaborazione con con il patrocinio di con il contributo di

FONDAZIONE CRT

Segreteria organizzativavia Lulli 8/7, 10148 Torino

tel. 011.2207819 - fax [email protected]

29 novembre, ore 18.30 - 23.00 forme e rappresentazioniserata di artisti e opere a confronto sulla rappresentazione dei migranti e delle migrazioni

30 novembre, ore 8.30 - 17.30fermata piemonteil convegno

Segui la diretta suhttp://www.fondazionexenagos.it/fermatapiemonte

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Sinergia, confronto e dialogo co-stante tra operatori caratterizzano il modello di accoglienza offerto

dalla Caritas diocesana di Cagliari e dalle cooperative sociali di Federsolidarietà impegnate nel “Coordinamento Sardegna emergenza umanitaria Nord Africa”. Il va-lore aggiunto è dato da un’organizzazione basata su piccoli nuclei: “Un coordina-mento unico in Italia per l’accoglienza dei profughi in piccole strutture (massimo 15/20 ospiti in ognuna) - sottolinea Carlo Tedde, referente territoriale del Consorzio Nazionale Connecting People -, che cerca di rendere più umana l’integrazione e l’inclusione dei profughi nelle comunità locali”. L’obiettivo è anche “quello di trasfor-mare le buone prassi in istruzioni operative

e procedure che scaturiscono dalla condi-visione delle esperienze”.

Dialogo e assistenza sanitaria, i punti cardine del sistema.Punto di forza del sistema è l’assistenza sa-nitaria, garantita dall’ambulatorio Caritas, in stretto contatto con gli enti ospedalieri. “Abbiamo fatto screening a tappeto per Hiv e tubercolosi - spiega Anna Cerbo, responsabile dei servizi medici della Cari-tas - oltre che la campagna vaccinale per tutti i bambini”. Tra i problemi maggiori, oltre alla diffidenza iniziale, anche il diver-so background culturale: “Per la maggior parte, gli immigrati - continua la Cerbo - non conoscono il concetto di prevenzione e vengono da paesi dove non potevano

curarsi, a causa dei costi troppo elevati. Mi ha colpito il caso di un ragazzo, di 22 anni, ora sotto cure mediche, che nel suo paese avrebbe rischiato di diventare cieco per una banale cataratta. Molti immigrati, inoltre, sono affetti da sordità, qualcuno a causa delle percosse subite”. Dovere dei medici è la prudenza, evitando ogni forma di ghettizzazione: “Abbiamo alcuni pazien-ti affetti da Aids: nel loro paese - continua la Cerbo -, questa malattia significa morte, mentre cerchiamo di far capire loro che qui è una malattia, da cui non si guarisce, ma che può essere cronicizzata”.Il valore aggiunto è dato dal confronto e dialogo costante tra gli operatori e la Protezione Civile. “A volte ci sembra di non fare abbastanza, ma abbiamo la

Sardegna, quando l’accoglienza mira alla vera progettualità

Coordinamento e strategie condivise caratterizzano l’impegno della Caritas di Cagliari e delle cooperative sociali di Federsolidarietà a favore dei profughi. Tra i punti di forza, “piccole strutture” e un confronto costante tra gli operatori

di Maria Chiara Cugusi

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progetti

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consapevolezza di non essere soli”, spiega Carlo Tedde. Tra i problemi maggiori, il rapporto con le istituzioni e la mancanza di percorsi di inserimento lavorativo. A Sorgono, il Consorzio Solidarietà ha preso in carico 18 nigeriani. “Nonostante la generosità della società civile, con gli Enti Locali - continua Tedde - forse per la novità data dall’emergenza, non si è riusciti a fare molto. Il Centro Italiano Femminile in raccordo con il volontariato ha messo a disposizione delle ragazze Nigeriane alcune macchine da cucito, per organizzare dei corsi, ma manca ancora un intervento pubblico coordinato che permetta di avviare tirocini formativi”. Un modello di accoglienza basato su piccoli “nuclei”, dove, però, la convivenza resta difficile e, ogni giorno, gli operatori cercano di aiutare gli immigrati a superare pregiudizi e paure. “Molti condomini - spiega Don Marco Lai - non sono facili da gestire, perché, per situazioni legate alla guerra, gli immigrati sono abituati a non dormire, quasi che il buio possa avere una qualche ingerenza sulla loro serenità: e ciò comporta uno stra-volgimento delle giornate degli altri”. Per non parlare poi della cosiddetta “sindrome della fame”, determinata anch’essa dall’e-sperienza pregressa della guerra: provviste accumulate sotto i letti, che rischiano di guastarsi, difficile far capire agli immigrati che qui non c’è questa necessità. Ci sono poi le differenze “territoriali”, con comuni che offrono maggiori opportunità rispetto ad altri, e diverse modalità di sistemazione: “Chi vive in una struttura o in un albergo - spiega Laura Manca, Vicepresidente di Federsolidarietà Sardegna - ha minore in-dipendenza rispetto a chi vive in apparta-mento, con divieti che creano una sorta di muro psicologico che ostacola il processo di acquisizione dell’autonomia; mentre il nostro compito dovrebbe essere quello di sostenerli in percorsi miranti a farli sentire adulti e responsabili”. Ecco perché occorre puntare su percorsi orientati verso la conquista dell’autono-mia, senza però bruciare le tappe: “Il primo obiettivo - spiega Don Marco Lai - è inve-stire nell’insegnamento dell’italiano, per

consentire loro di essere competitivi e di non rimanere ai margini della società. Ab-biamo immigrati che dopo due anni non capiscono ancora la nostra lingua e sono costretti a dormire in auto”. L’obiettivo è favorire la conoscenza della realtà ospitan-te, perciò, “stiamo investendo anche su un secondo modulo - continua Don Marco Lai -, dalle lezioni di educazione civica a quelle

di educazione stradale, dalla scuola alla salute: dobbiamo cercare di dare loro quegli strumenti fondamentali per proteggerli dal rischio di diventare gli ultimi della fila”.Una gradualità importante anche dal punto di vista psicologico, per evitare “la nascita di patologie deter-minate dalla frustrazione del non riuscire a inserirsi

nel territorio”, sottolinea Simona Murtas, responsabile del Centro d’ascolto Kepos. Il supporto psicologico è fondamentale: “la maggior parte di loro - continua la Murtas - soffre delle patologie legate al trauma migratorio, che spesso provoca una sorta di “scollamento” tra corpo e psiche: con il corpo si spostano, ma con il cuore sono an-cora nei loro paesi”. Ecco perché al di là dei singoli colloqui, “dobbiamo investire nell’e-ducazione alla conoscenza del territorio, che consente di dare un significato alla propria permanenza in un nuovo contesto

culturale”. Solo così si può pensare a un successivo inserimento lavorativo, attra-verso tirocini formativi, ma anche incentivi alle aziende, borse di lavoro. Un percorso che deve mirare a superare le diffidenze e favorire la conoscenza recipro-ca. Il laboratorio “Forme e colori dall’Africa” ideato dalla cooperativa Alkjmilla ha pro-prio questa funzione: “Gli immigrati hanno la possibilità di raccontare il loro paese - spiega Monia Podda, educatrice -, per esempio, attraverso delle cartine, abbiamo riprodotto il viaggio che hanno compiuto”. Tante piccole iniziative solidali, ma per ora nessun intervento strutturato da parte delle istituzioni. “Ci siamo sentiti soli - sot-tolinea Stefania Russo, responsabile della cooperativa Sicomoro -, senza la Caritas non saremmo riusciti a garantire neanche l’assistenza legale”.

Puntare alla progettualità, per superare la logica assistenziale.In vista della seconda accoglienza, si mira a promuovere una progettualità capace di superare la logica assistenziale e favorire la reale integrazione. Obiettivo, program-mare interventi capaci di “accompagnare” quegli immigrati, che rimarranno nell’I-sola, verso una reale autonomia, grazie al dialogo costante. “Un confronto necessario - spiega Don Marco Lai, direttore della Ca-ritas diocesana di Cagliari - per individuare strategie comuni tra i soggetti gestori, in

Uno degli obiettivi è trasformare le

buone prassi in istruzioni

operative

Da sinistra a destra i relatori del convegno: Carlo Tedde, referente territoriale del Consorzio Connecting People; l’ing. Giorgio Cicalo, protezione civile Sardegna; Don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana di Cagliari; Giuseppe Scozzari, Consorzio Connecting People.

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base alle esperienze fatte da ognuno di loro”. Tra le priorità, sostenere i ricorsi di chi ha ricevuto diniego, cercando di “abbatte-re” le frontiere e favorire la vera accoglien-za. La prossima “tappa” sarà l’incontro con la Caritas italiana, per stabilire una serie di procedure condivise a livello nazionale. Priorità, definire le linee guida nell’uso di quelle risorse già messe a disposizione dalle istituzioni per la cosiddetta “seconda accoglienza”, attraverso forme di collabo-razione soprattutto con il terzo settore. “Il tavolo regionale - sottolinea Don Marco Lai - ha destinato 500mila euro alla pro-gettazione di accompagnamento verso l’autonomia. Sarà fondamentale incidere nella delibera, stabilire aree di intervento precise e riuscire a garantire un’accoglien-za assimilata al modello Sprar”. Un occhio di riguardo sarà rivolto

all’assistenza legale e ai ricorsi di chi ha ri-cevuto diniego, già presentati al Tribunale di Roma, per cercare di chiarire le criticità emerse, dalla discriminazione di alcune na-zionalità, come quella nigeriana, fino alle audizioni effettuate davanti a un solo com-missario. In programma, anche un’azione coordinata tra legali Caritas, per sollevare una vera e propria “questione politica”, attraverso due azioni parallele: “Intendia-mo intasare i tribunali di ricorsi - spiega Piergiorgio Deidda, avvocato Caritas - e accompagnare le audizioni con certificati sanitari, che dimostrino la presenza di sin-drome depressiva post-traumatica”. Inoltre, ci sono da affrontare “diverse contraddizioni - continua Deidda -, perché, ad esempio, ad alcuni tunisini è stato concesso il permesso di soggiorno rinnovabile e, invece, alcune nazionalità sono state respinte, senza

considerare la loro lunga permanenza in Libia, un paese in guerra?”Occorre, poi, puntare sull’ “accompagnamen-to” verso le audizioni e sul potenziamento della mediazione, in modo da favorire una maggiore consapevolezza da parte degli immigrati. Per quest’ultimo punto, “i soldi sono già stati messi a disposizione - spiega Don Marco Lai -, il problema è capire quali province potranno gestire le risorse in prima linea, nel momento in cui questi progetti, seppur fuori dai bilanci diretti, vanno co-munque a incidere sul patto di stabilità”.Si affronterà anche il caso di rimpatrio vo-lontario assistito, che dovrebbe essere ga-rantito da una rete di associazioni, cercando di prevedere anche la possibilità del ritorno, anziché nei paesi d’origine, in Libia, dove la maggior parte dei profughi lavorava da anni.

Nautilus 2. Verso l’integrazione socio economicaF.E.R. 2010 - Azione 1.2AATTIVITA’

Le azioni che si intendono realizzare sono le seguenti:1) Proseguimento dell’attività degli sportelli di

orientamento e informazione a richiedenti e ti-tolari di protezione internazionale, istituiti con la prima annualità di progetto, presso o nelle vicinanze dei C.A.R.A. di Gradisca d’Isonzo, Roma, Crotone, Bari, Brindisi Restinco, Foggia, Caltanis-setta e Trapani, più uno a Catania. Si attiveranno inoltre due nuovi sportelli, uno a Cagliari, dove è presente un centro di primo soccorso e accoglien-za, ed uno a Milano, una di quelle aree metropo-litane in cui all’elevata presenza di richiedenti e titolari di protezione internazionale non sempre si riesce a dare una completa e adeguata risposta in termini di accoglienza e orientamento;

2) Mappatura dei servizi del territorio finalizzata so-prattutto all’orientamento e all’individuazione di percorsi di inserimento socioeconomico;

3) Realizzazione di interviste personalizzate per rac-cogliere dati su biografie, aspettative, condizioni abitative, competenze ed esperienze professionali;

4) Aggiornamento del questionario e della banca dati utilizzati rispettivamente per la raccolta di dati sui profili migratori e loro archiviazione;

5) Corsi di educazione alla cittadinanza su istituzio-ni, società e cultura italiana, costituzione e diritti e doveri fondamentali, procedura sul diritto all’a-silo, lavoro e formazione professionale, Servizio Sanitario Nazionale;

6) Processi di inserimento socio lavorativo attraverso forme di jobmatching;

7) Creazione di una rete di collaborazione con il Mi-nistero dell’Interno e il Servizio Centrale;

8 ) Incontro nazionale con i rappresentanti AICCRE presenti nei CTI;

9) Realizzazione di 2 incontri nazionali con la par-tecipazione degli stakeholder che lavorano nel settore dell’asilo, della formazione professionale e del mercato del lavoro e dell’informazione;

10) Realizzazione di un convegno finale.

OBIETTIVI

Obiettivo generale del progetto è quello di contribu-ire al miglioramento dell’intero sistema nazionale di asilo, utilizzando al meglio l’esperienza, il patrimonio di risorse umane, i network attivati nei territori e va-lorizzando le criticità emerse nella gestione di “Nau-tilus 1 – Dall’accoglienza all’integrazione” tramite:1) 13 Sportelli: Trapani, Caltanissetta, Catania, Bari,

Brindisi, Crotone, Foggia, Cagliari, Roma, Torino, Milano, Gradisca, Mineo;

2) Questionario e banca dati aggiornati;3) 12.000 interviste;4) 3.000 beneficiari di corsi di educazione alla cit-

tadinanza (con rilascio di attestati per almeno 2.400 partecipanti);

5) 1.600 beneficiari inseriti nello SPRAR o in altre soluzioni territoriali di accoglienza;

6) 150 ore di formazione per gli operatori di progetto;7) 2 tavoli di lavoro nazionali su mercato del lavoro

e comunicazione;8) 1 seminario con rappresentanti AICCRE nei Consigli Ter-

ritoriali per l’Immigrazione delle Prefetture – U.T.G.

16

progetti

Page 19: Storie di questo mondo - Novembre 2011

FRIULI VENEZIA GIULIA

C.I.E. Gradisca di Isonzo (GO) 248 posti

C.A.R.A. Gradisca di Isonzo (GO) 138 posti

PUGLIA

C.A.R.A. Borgo Mezzanone (FG) 780 posti

C.I.E. Restinco (BR) 83 posti

C.A.R.A. Restinco (BR) 128 posti

C.A.I. Tendopoli Manduria (TA) 1500 posti

SICILIA

Centro di accoglienza Palermo 48 posti

Centro di accoglienza Aci S. Antonio (CT) 51 ospiti

Centro di accoglienza Giarre (CT) 33 ospiti

Centro di accoglienza Locanda di Selinunte Castelvetrano (TP) 50 ospiti

PIEMONTE

Centro di accoglienza Lemie (TO)

36 ospiti

Centro di accoglienza Coazze (TO)

31 ospiti

Centro diffuso Torino e prima cintura

36 ospiti

Centro di accoglienza Settimo Torinese (TO)

166 ospiti (di cui 40 con permesso di soggiorno ex art. 20)

Centro di accoglienza Sommariva Bosco (CN)

58 ospiti

Centro di accoglienza Ivrea (TO)

80 ospiti

Centro di accoglienza Muzzano (BI)

49 ospiti

CAMPANIA

Centro di accoglienza progetto di resettlement

San Lupo (BN) 34 ospiti

BASILICATA

C.I.E. Palazzo S. Gervasio (PZ)

100 posti (gestito dal 18 aprile al 16 luglio)

Connecting People inoltre gestisce i progetti nautilus 2 e next in progress finanziati dal Fondo Europeo per i Rifugiati e Tutti Inclusi finanziato dai fondi 8 per mille a diretta gestione statale.

È on line il nuovo sito di Connecting People

www.connecting-people.it

Scopri le novità, resta aggiornato sui progetti e sulle notizie che riguardano l’immigrazione.

Scopri i contenuti multimediali e naviga nella versione digitale di

con l’archivio di tutti i numeri precedenti

CENTRI PER MIGRANTI E ALTRE ATTIVITÀ CONSORZIO CONNECTING PEOPLE

Page 20: Storie di questo mondo - Novembre 2011

Centro diGiarre

Centro diAci Sant’Antonio

Operativo dal19 luglio 2011 29 giugno 2011

Numero di ospiti

presenti

33 48

Tipologia di ospiti

richiedenti asilo richiedenti asilo

Ente propietario dell’immobile

Padri Bocconiani Diocesi di Acireale

Soci impegnati

Gruppo Cooperativo Luoghi Comuni

Gruppo Cooperativo Luoghi Comuni

Collaborazioni

Comune di Giarre, UISPUniversità popolare di

Acireale, UISP

Connecting People è presente sul territorio etneo con due centri gestiti dal Consorzio, che vede tra i soci impegnati il gruppo cooperativo Luoghi Comuni. Entrambi i centri sono stati inaugurati nell’estate del 2011 (a giugno Aci Sant’Antonio e a luglio Giarre) e nascono per tentare di far fronte alla cre-scita imponente di migrazioni dovuta alle emergenze relative agli sconvolgimenti politici e sociali nel Nord Africa, dei quali ancora oggi si sentono gli effetti. Il primo, situato ad Aci Sant’An-tonio - un piccolo centro a circa quindici chilometri da Catania – in un edificio di proprietà della Diocesi di Acireale, è il Centro di Accoglienza (C.d.A.) “La Casa dei Giovani” che ospita quasi 50 persone e collabora anche con l’Università Popolare di Acireale. Il secondo, situato a Giarre – poco più distante rispetto alla provincia etnea, circa 30 km –, in un edificio di proprietà dei Padri Bocconiani, è il Centro di Accoglienza (C.d.A.) “Congregazione Missionari Servi dei Poveri” che può ospitare fino a 33 persone e collabora con il comune di Giarre. I due centri offrono accoglienza ai migranti che sono in attesa di giudizio da parte della Commissione.

I centri gestiti da C.P. in provincia di Catania

Page 21: Storie di questo mondo - Novembre 2011

Le ciminiere a Nord della Stazione di Catania rappresentano il simbolo di una città fiorente, che fonda la sua ricchezza sulla raffinazione dello zolfo dell’entroterra siculo. Il fenomeno dell’emigrazione che interessa la nazione in questi anni sembra non intaccare il Meridio-ne, in particolare Catania. Questo stato di grazia, però, non è destinato a durare. All’alba del XX secolo la città etnea perde smalto ed entra in una crisi economica e culturale pro-fonda. Inizia il grande esodo, mitigato solo dai flussi migratori dalle campagne circostanti che confluiscono in città, attirati dai benefici dell’industrializzazione. L’idea di progresso, che permea culturalmente tutta la civiltà occidentale, diventa la costante positiva del Novecento, ma resta spesso una chimera da inseguire, che accade sempre altrove. Progres-so, però, vuol dire anche mezzi più veloci, viaggi più economici e traversate meno peri-colose. Dal 1900 al 1915 più di un milione di siciliani lascerà la terra natale per inseguire

un sogno o, a volte, per fuggire da un incubo. Le stazioni e i porti sono gremiti di viaggiatori e di loro familiari, grandi valigie di cartone legate con spago e corde, pacchi, pacchetti e fiaschi di vino, qualche chitarra e un paio di fisarmoniche. Negli occhi di tutti, di chi parte e di chi resta, tristezza e speranza. Le partenze sono concentrate principalmente nei mesi meno freddi, soprattutto in Estate. Masse di uomini, donne e bambini, volti spa-ventati e sbigottiti che, per buona parte, ve-dono per la prima volta una nave o un treno, dando una forma a qualcosa di cui avevano solo sentito parlare. Alcuni di loro non hanno mai visto il mare. Qualcuno parte da solo, con la promessa di tornare, altri invece portano qualche parente o la famiglia intera. Quasi due settimane di viaggio per attraversare l’oceano, con una sistemazione in terza classe in balia delle intemperie; giornate interminabili in cui si consolidano amicizie, si condividono timori e speranze, e cresce la nostalgia.

L’America, poi, non è il Paradiso.I Siciliani sono inseriti nel censimento del 1911 come “non white”, la categoria dei non bianchi, di colore, mentre le statistiche consi-derano separatamente gli Italiani del Nord e quelli del Meridione come appartenenti a due razze diverse, una celtica e l’altra mediterranea. Gli Italiani del Meridione sono accusati di essere sporchi, rumorosi, arretrati, di pra-ticare rituali religiosi primitivi, trascurare l’istruzione dei figli, di costringere in una condizione di subordinazione la donna all’interno della famiglia. Stranieri in terra straniera, gli emigrati meridionali hanno storicamente subito l’o-stilità delle popolazioni indigene, sono stati trattati come esseri inferiori, umiliati, derisi, oggetto di continuo razzismo ed emargina-ti; solo col tempo e con molta fatica, sono riusciti a farsi apprezzare e ad adattarsi, a integrarsi con gli abitanti, conquistando il loro spazio nella società.

Il grande cuore e l’incoscienza di una città con la cultura dell’accoglienza

Catania, 2011.Città multietnica per vocazione, centro nevralgico e crocevia di vite e racconti, Ca-tania è abituata a veder partire la sua gente piuttosto che a riceverne di nuova. Come una cortese signora del Sud, però, non nega ospitalità a nessuno, ma “divide quel poco che ha, senza far complimenti”. Catania, d’altra parte, ha un grande cuore e un po’ d’incoscienza che la rende unica. Certo, rispetto ai primi anni del Novecento, il mondo è cambiato, e con esso i modi e i tempi dell’accoglienza, ma il carattere e la sensibilità di un popolo che ha subito - e subisce anche oggi, pur con minore intensità -, lo stesso destino sia all’estero che in Patria, sono componenti essenziali per comprendere le sfumature del fenomeno immigrazione a Catania. Il mondo è cambiato, per certi aspet-ti, ma il secolo e mezzo che divide le traversate dei primi migranti siciliani in America e gli sbarchi ininterrotti delle “Carrette del mare” a Lampedusa sembrerebbero dimostrare il contrario. E forse è perché certe immagini restano impresse nella coscienza, o perché certi racconti di avi e parenti lontani sono così intensi che evocano vicissitudini che finiscono per somigliare alle scene viste nei telegiornali

o raccontate sui quotidiani, forse è anche per questo motivo che per quanto difficoltosa e penalizzante per tutta la popolazione iso-lana, in Sicilia l’accoglienza non è mai stata messa in discussione. L’integrazione, poi, è facilitata da reti strutturate di assistenza e da una cultura dell’accoglienza più consapevole, mentre i fenomeni di razzismo sono più rari e condannati socialmente. Questo è lo scenario. L’integrazione vera e propria, invece, si realizza quotidianamente “sul campo” e ognuna rac-conta una storia differente.Oggi la morfologia stessa della città di Ca-tania è cambiata, alcuni quartieri sono stati ripopolati e riorganizzati seguendo i ritmi e le tradizioni di nuovi gruppi etnici, che risignifi-cano lo spazio e i suoi confini, le relazioni e le separazioni. La conflittualità, inevitabilmente, entra in gioco negli spazi contesi, in quella spasmodica ricerca di un lavoro che a volte segna la differenza tra lo sbarcare il lunario e l’abbandonarsi alla illegalità o alla disperazio-ne. Perché Catania è una città complicata e lo scenario che un immigrato si trova di fronte è complesso e pieno di contraddizioni. Da una parte, le giovani generazioni scappano dall’iso-la in cerca di un’opportunità - quella che i loro genitori ritenevano scontata, tranne poi essere sfumata improvvisamente -, dall’altra chi rima-ne deve affrontare quella che è percepita come l’invasione pacifica di un popolo migrante in cerca di un futuro che semplicemente non è lì, ma è - ancora una volta - altrove. Sembra un grande malinteso, ma è la storia del mondo che si ripete, alimentata quotidianamente da vicende concrete di grande disagio e determi-nazione, speranza e illusione.

L’integrazione vera e propria

si realizza quotidianamente

“sul campo” e ognuna racconta

una storia differente

di Marco Polimeni

di Marco Polimeni

Catania, 1861 L’America non è il paradiso

Page 22: Storie di questo mondo - Novembre 2011

Arrivo ad agosto, appena oltre la metà. L’attesa è palpabile come il caldo che si attenua

appena tra le mura spesse della casa che le accoglie. Sono trentasei le persone, le storie d’Africa che cercano una ripartenza da questo quadrato di pareti, da questo paese incastonato nelle alti Valli di Lanzo. Alberto, il direttore del centro, mi pre-senta due signore congolesi che hanno acconsentito all’intervista.“Al centro va tutto bene - mi dicono - Ma siamo arrabbiate con il direttore”. “E perché mai?” chiedo io. La donna più magra sorri-de, e non sembra faccenda usuale per lei.

“Gli chiediamo tutti i giorni se gli hanno comunicato la data di incontro con la commissione. Lui ci dice di no e allora nous nous fâchons, noi ci arrabbiamo”. “Stiamo benissimo qui - dichiara l’altra donna - E Alberto è bravissimo, però è con lui che ce la prendiamo, anche se sappiamo che non è colpa sua”. Appena ottenuto il permesso, dovranno lavorare, mi spiegano: sono due donne sole, e da sole dovranno crescere i loro bambini. In Libia avevano un lavoro: una è maestra elementare e l’altra assistente sociale. “In Congo c’è tanta sofferenza. C’è la guer-ra - aggiungono - Siamo dovute fuggire

anche dalla Libia. Gheddafi ha spedito in Italia tutti gli stranieri, soprattutto i neri. Non abbiamo dovuto pagare un solo fran-co. Ucciderà tutti quelli che restano”.Mentre le signore salutano, Alberto mi chiede se desidero la traduzione. Decido di cavarmela con il francese e l’inglese che mastico; nel caso qualche parola sfugga, mi darà una mano lui. Dal corridoio provie-ne un certo tramestio. La porta socchiusa rivela due coppie con bambini. Le donne sono entrambe incinte.La prima coppia si siede. Lui è un inge-gnere, lei una parrucchiera.“Faccio le treccine anche alle bianche - dichiara -

Trentasei vite in attesaAgosto 2011: nel piccolo paese di Lemie, 90 abitanti ad un’ora da Torino

vive un gruppo di richiedenti asilo in attesa del giudizio della commissione di esame delle domande

di Serena Naldini

20

incontri

Page 23: Storie di questo mondo - Novembre 2011

So fare unghie, capelli, preparare le spose: questo è il mio mestiere e vorrei farlo anche qui in Italia”.L’inizio della loro fuga verso il Nord è re-cente e comincia da una violenza subita dalla signora da parte dei ribelli ugandesi durante la guerra in Congo. “Io mi trovavo al lavoro”, racconta il marito. La signora mi spiega di non essersi del tutto rimessa. “In un ospedale del Ciad, ho ricevuto le prime cure. Qui in Italia, vorrei continuare a curar-mi”. E la cura desiderata sembra andare oltre la dimensione medica.Dopo il Ciad, la famiglia si ferma in Libia, dove l’uomo trova lavoro come elettricista. L’Italia non era nei progetti. Oltre al bimbo in arrivo, la coppia ha due figli qui in Italia, una di un anno e mezzo e uno di tre, e altri tre più grandi, lasciati con una zia in Congo. Non hanno più contatti con loro da quando sono arrivati qui in Italia. “Il mio più grande desiderio - dichiara l’uo-mo - è di riunire la mia famiglia”.Qui a Lemie? “Ovunque sarà, andrà bene”,

dicono entrambi, prima di salutare. L’altra coppia in attesa è formata da due giovani. L’uomo ha lasciato il Camerun nel 2005. E’ un muratore, ma anche un calciatore che ha giocato in seconda divi-sione. “Non avrei voluto venire in Europa come immigrato - racconta - Avrei voluto avere un documento prima di partire per la Libia. Ma non ho fatto in tempo”. Chiedo loro di raccontarmi come si sono conosciuti. “It was a difficult moment for me”, dice lui. Lei dichiara sorridendo di sentirsi molto fortunata e racconta, in un inglese molto ricco, la storia di una ragazza molto giovane costretta dopo la morte del padre a sposarsi con un amico ultracinquantenne del vecchio zio. La ragazza però aveva un unico desiderio per il futuro: proseguire gli studi oltre la maturità. Decide allora di fuggire dal proprio paese, dalla propria famiglia. “Per convincermi - dice - lo zio mi promi-se che avrebbe pagato i miei studi. Ma se non avessi acconsentito, mi avrebbe

buttato fuori di casa. Non avevo altra scel-ta che fuggire”, conclude semplicemente. “Mia madre? Le donne non contano niente in Camerun. Lo zio le ha detto di restarne fuori”. “E in Italia continuerai a studiare?” le chiedo. “No, preferisco lavo-rare adesso. Ho già una figlia e ne aspet-to un’altra, che nascerà a settembre. Sono troppo vecchia, ormai”, dice. Non c’è l’ombra di un rimpianto nella sua voce. In Libia insegnava l’inglese ai bambini in una scuola privata. Qui in Italia, vorrebbe fare la commessa. “E oltre il lavoro, quali sono i tuoi sogni per la tua vita qui in Italia?” domando ancora. La ragazza sembra interdetta. Poi dichiara: “Tutti i sogni si accompa-gnano al lavoro. Come si potrebbero realizzare altrimenti?”Le chiedo uno sforzo di immaginazione, che forse le pare un salto nel vuoto, o forse solo un volo infantile. Comunque, non subito, risponde: “Mi piacerebbe tanto visitare Roma”.

In alto a sinistra una veduta di Lemie. Sopra un momento di una delle giornate di lavoro volontario che i migranti hanno offerto a Lemie

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incontri

Page 24: Storie di questo mondo - Novembre 2011

Tra il paese di Lemie e gli ospiti del centro c’è stato un contatto, uno di quelli veri, che cambiano

l’identità dei soggetti coinvolti. Secondo il filosofo Lévinas “l’incontro con l’altro è la dimensione fondamentale dell’esi-stenza, la fonte dell’etica e dell’identità: è nell’incontro con l’altro che si realizza la possibilità di essere se stessi”. Come spesso accade nei paesi piccoli - e Lemie ha 90 abitanti - il sindaco in prima persona si è messo in gioco. Ma Giacomo Liso lo ha fatto in modo decisamente origi-nale, aprendo anche alcuni momenti della

propria vita privata alle trentasei persone arrivate i primi di maggio dall’Africa.Come se Lemie fosse casa sua. E si preoc-cupasse di far sentire a casa anche i propri ospiti. Ma non solo. Tutto ciò, con lo stes-so riguardo di prima per gli altri abitanti della casa comune. Si confronta con le sfide dell’accoglienza con spontaneità contagiosa, Giacomo Liso. Alto, dinoccolato e, in mezzo alla barba grigia, un sorriso frequente e saggio di chi sembra aver sempre vestito i panni di chi apre le porte a profughi subsahariani in fuga dalla Libia in guerra.

Signor sindaco, sappiamo che ha invitato gli ospiti della struttura di accoglienza alla festa di matrimonio di sua figlia. Come è andata?

Hanno partecipato al taglio della torta e al rinfresco di chiusura, previsto nel pomeriggio. La loro presenza ha forse spiazzato alcuni degli altri invitati. Gli ospiti all’inizio sembravano un po’ inti-moriti dal contesto, diverso dall’abituale. Piano, piano, una volta vinta la timidez-za - aiutati molto anche dai loro ragaz-zini che depredavano le scodelle dei

Dal bouquet al dpi: storie di (stra)ordinaria integrazione

La vita quotidiana dei migranti di Lemie, vista da un osservatore speciale: il sindaco

di Serena Naldini

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incontri

Page 25: Storie di questo mondo - Novembre 2011

confetti - si sono ambientati. Alla fine, ho dovuto contenere il loro entusiasmo, perché, non conoscendo le nostre tradi-zioni, si stavano impadronendo di molte bomboniere e del bouquet della sposa. Comunque è stato simpatico e credo che si siano divertiti.

Oltre a partecipare a momenti di festa, gli ospiti sono stati coinvolti anche in attività di volontariato o “di restituzione”, cioè una forma di ringraziamento nei confronti del paese che ha dato loro un tetto e doni di vario tipo. In che cosa sono stati impegnati?

Per adesso, l’unica modalità per dar loro un’occupazione è il volontariato, perché per un’assunzione regolare occorre aspettare sei mesi dalla richiesta di asilo. I ragazzi hanno imbiancato i nuovi locali della biblioteca comunale e provveduto alla ricollocazione dei volumi nel nuovo sito. Hanno collaborato con il nostro cantoniere alla manutenzione ordinaria di una strada, ripulendo le canaline di sgrondo. Hanno dato una mano a instal-lare due nuovi giochi nell’area bimbi del parco. Non hanno avuto ricompense in denaro, ma dei biglietti dell’autobus per Torino, mi ha detto il direttore del centro.

E per il futuro che cosa si immagina?

Credo sia venuto il momento di fare il passo più importante, avviando un’atti-vità sistematica nel settore ambientale e cercando di creare delle opportunità di assunzione per alcuni degli ospiti all’in-terno di imprese.Mi sono permesso di scrivere diverse lettere ad aziende, chiedendo degli in-dumenti da lavoro e dei dpi per i nostri ospiti. Ho specificato che nell’attesa che si definisca il loro status, sono disponibi-li a un’attività di volontariato - o “di resti-tuzione” - in ambito ambientale, ma sono sprovvisti di indumenti adatti. Ho anche sottolineato come la costrizione a non svolgere attività lavorativa possa diventare lesiva dell’identità personale e fonte di disagio per la comunità tutta.

Il centro di accoglienza di LemieIl centro di accoglienza è ospitato a Lemie (TO) in un immobile detto Villa Buzzi di proprietà della Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo. Attualmente ospita 36 richiedenti asilo di diverse nazionalità.

All’interno del centro sono state attivate diverse attività ricreative e culturali destinate agli ospi-ti come i corsi di italiano, corsi di alfabetizzazio-ne informatica ed è attivo un servizio sanitario.

I bambini frequentano scuola e asili del vicino paese di Viù e vengono giornalmente accom-pagnati dallo scuolabus comunale. Per i più piccoli è attivo anche un servizio di ludoteca e doposcuola pomeridiano.

La gestione del centro è affidata a Connecting People che si avvale della collaborazione del-la Cooperativa Sociale Crescere Insieme e del Consorzio Kairòs.

Giacomo Liso, sindaco di Lemie. In alto a sinistra una foto di gruppo dei richiedenti asilo di Lemie invitati al matrimonio della figlia del sindaco

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incontri

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press

Rubrica a cura di Salvo Tomarchio

ANSA13.10.2011

Continuare a contribuire al miglioramento del sistema nazionale di richiedenti e titolari di protezione internazionale: è l’obiettivo generale della seconda annualità del Progetto ‘Nautilus’, finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati con il Consorzio Connecting People come capofila e Aiccre, Oim, Dipartimento Co-municazione e Ricerca Sociale de La Sapienza, Consorzio Mestieri, Itc e Consorzio Communitas come partner. Le attività messe in campo, informa una nota, saranno molteplici: innan-zitutto proseguirà l’attività degli sportelli di orientamento e informazione istituiti con la prima annualità del progetto e ne saranno aperti altri due: a Cagliari e Milano.Questi si aggiungono a quelli già funzionanti che sorgono nei pressi o nelle vicinanze dei Cara di Gradisca d’Isonzo e a Roma, Crotone, Bari, Brindisi, Foggia, Caltanissetta, Trapani, Mineo, più uno a Catania e uno a Torino.Gli sportelli informativi sono una parte del sistema delle iniziative finalizzate a un ap-proccio completo che prevede infatti - viene ricordato - una mappatura del territorio finalizzata soprattutto all’orientamento e all’individuazione di percorsi di inserimento socioeconomico dei beneficiari. Saranno tremila, ad esempio, i beneficiari che usufrui-ranno di corsi di educazione alla cittadinanza (con rilascio di attestati). Il raggiungimento di questi risultati rappresenterà il proseguimentonaturale delle attività iniziate con ‘Nautilus 1’ e, tra l’altro, rafforzerà il valore aggiunto delle best practice sperimentate sia a livello locale che nazionale con la prima annualità di progetto, assicurando un raccordo ancor più razionale tra enti gestori dei Cara, Servizio Centrale e altri attori del sistema dell’asilo politico nel nostro paese.

La Stampa09.10.2011 di Niccolò Zancan

Sami Aquid, 24, di Tunisi. Ad aprile è salito su un barcone, con un centinaio di connazionali ed èsbarcato a Lampedusa. Da un mese ha la carta d’identità italiana, rilasciata dal Comune di Ivrea. Abita in una comunità in Piemonte e lì svolge il suo nuovo lavoro: operatore sociale, contrattoda 38 ore alla settimana, tutto regolare. È uno delle migliaia di ragazzi tunisini partiti dalle coste nor-dafricane con il solito barcone, arrivato a Lampedusa nell’aprile scorso, dirottato nel Cie di Torino. Infine, da giugno, libero, con in tasca un permesso temporaneo. E destinato, come altre migliaiadi giovani connazionali, a ritornare in patria sconfitto. Ma a volte il destino gioca strani scherzi. [...]

La Valsusa13.10.2011 di Anita Zolfini

COAZZE - L’ultima foto di gruppo l’hanno fatto la scorsa settimana sui gradini del municipio di Coazze con in mano il certificato che l’amministrazione comunale ha consegnato loro per i lavori di manodo-pera svolti negli ultimi due mesi. Immortalati dallo scatto i profughi di Forno di Coazze, che proprio in questi giorni, a gruppetti, stanno salutando la casa parrocchiale di borgata Ferria che da cinque mesi li ospitava. Tanto clamore aveva suscitato il loro arrivo lo scorso 4 maggio, tanto silenziosa e alla spicciolata è oggi la loro partenza. Un viaggio della speranza: parliamo di donne e uomini, tutti trentenni, e un bambino, arrivati da Congo, Nigeria, Camerun, insieme a migliaia di connazionali. [...]

La Sicilia26.10.2011 di Mariagrazia Tomarchio

Sono 33 i rifugiati politici tra i 22 ed i 30 anni, originari del Burkina Faso e del Bangladesh, sbarcati nei mesi scorsi a Lampedusa e richiedenti asilo politico in quanto profughi di guerra, che sono ospitati a Giarre all’interno del centro sociale “Boccone del povero” in via Regina Pacis a Giarre. Ieri mattina, con un accordo firmato dal sindaco di Giarre, Teresa Sodano, un protocollo d’intesa tra il Comune di Giarre e il consorzio “Connecting people”, rappresentato dal vicepresidente dott.Orazio Ettore Micalizzi e dalla dott. Roberta Bonaccorso, si è data vita ad una speciale convenzione. [...]

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press

Il Portico17.07.2011 di R.C.

Mettere attorno ad un tavolo soggetti pubblici e privati, che da due mesi si stanno occupando dell’accoglienza degli emigrati richiedenti asilo, provenienti da Lampedusa ed in fuga dalla Libia. È il senso della giornata voluta dalla Caritas diocesana, in collaborazione con il Consorzio Solidarietà, Connecting People e Provincia di Cagliari. Un momento di confronto, per meglio definire le strategie e l’operatività nella gestione dei flussi migratori, che nel giro di due mesi hanno portato sull’Isola 434 persone provenienti dall’Africa. [...]

Gazzetta d’Alba11.10.2011 di Cristina Borgogno

Sono 58 i rifugiati accolti, dalla scorsa settimana, dal Cufrad (Centro francescano di volontariato) di località Paolorio. Una struttura specializzata per la cura dell’alcolismo e delle patologie correlate, che ospita 130 pazienti tra tossicodipendenti e alcolisti. In attesa di essere chiamati dalla Questura di Cuneo per conoscere il loro destino (otterranno il permesso di soggiorno o saranno rimpatriati), i profughi arrivano direttamente da Lampedusa. Si tratta di tre nuclei di persone. Dodici di loro, tutti giovanissimi tra i 18 e i 27 anni, sono della Costa d’Avorio, francofoni. Gli altri 46 parlano invece in-glese e sono nigeriani: tra questi, tanti giovani, ma anche quarantenni che arrivano dalla Libia dove lavoravano come meccanici, artigiani e operai e dove hanno acquisito ottime professionalità. [...]

Marsala.it12.10.2011di Jana Cardinale

Massiccia martedì pomeriggio al Complesso San Pietro la presenza di pubblico, di lavoratori immigrati, di esponenti delle istituzioni e della Chiesa all’appuntamento convocato dalla Cgil, dalla Fillea e dalla Flai Cgil di Trapani per parlare di “Caporalato e Immigrazione. Lega-lità, lavoro, diritti”: un’iniziativa dalla quale è emersa l’importante richiesta di una legge ad hoc sull’immigrazione. L’iniziativa rientrava nell’ambito della campagna di contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento in agricoltura e in edilizia, particolarmente diffuso nelle zone del territorio marsalese. Il dibattito è stato co-ordinato dalla segretaria generale della Cgil di Trapani Mimma Argurio, grazie alla relazione della segretaria provinciale della Flai Cgil, Gia-coma Giacalone, agli interventi dell’assessore Giuseppe Pinna, in rappresentanza del sindaco Renzo Carini, a quello del direttore dell’Ispet-torato del Lavoro di Trapani, Luigi Chiarpotto, del vescovo di Mazara del Vallo monsignor Domenico Mogavero, del segretario regionale della Cgil Sicilia Antonio Riolo, del presidente del Consorzio nazionale “Connecting people” Giuseppe Scozzari e del segretario generale della Fillea Cgil Sicilia Franco Tarantino. “E’ un punto di partenza per analizzare il problema radicato che riguarda non solo gli immigrati – ha detto Mimma Argurio – chiediamo di mettere in attività un tavolo per costruire dei codici etici”. Il Vescovo Mogavero ha parlato di una “battaglia di civiltà”, verso chi ha dei biso-gni ma è allo stesso tempo una risorsa per il territorio. “Nell’ultima manovra il caporalato è stato definito un reato penale – ha confermato Giacoma Giacalone – dobbiamo adesso por-tarla nel territorio e fare in modo che chi lo ha attuato paghi. E’ un problema complessivo che riguarda l’inserimento in un contesto sociale e civile in senso lato”. [...]

La Repubblica 13.10.2011di Claudia Brunetto

Adesso che vivono nel cuore di Palermo e che dalla terrazza della casa dei francescani in via dell’Infer-meria Cappuccini, dominano tutta la città, stanno bene. Anzi sperano di mettersi in regola con i docu-menti per trovare in fretta un lavoro ed essere indipendenti. Presto, infatti, saranno ascoltati da una commissione con la speranza di ottenere lo status di rifugiati politici per cui hanno fatto richiesta, appena sbarcati a Lampedusa, ormai alcuni mesi fa. Sono 46 migranti sui 25 anni, originari del Mali, che da tempo, però, vivevano in Libia per motivi di lavoro. Da lì sono stati costretti a partire quando è scoppiata la guerra. «I ribelli - raccontano - ci mettevano sulle barche e non sapevamo neanche dove saremmo arrivati. Adesso che siamo a Palermo ci troviamo bene, e vogliamo rimanere con i documenti in regola». Al centro di via Infermeria Cappuccini, gestito dall’associazione Connecting people, i migranti dormono, mangiano, giocano a dama e a pallone. Ma soprattutto vanno in giro a esplorare il territorio, a incontrare altri migranti e operatori dei vicini centri Caritas e Santa Chiara. E ogni giorno frequentano la scuola di italiano. Qualcuno segue i corsi di alfabetizzazione, altri le lezioni al centro Santa Chiara per conseguire il diploma di licenza media. «La nostra intenzione - dice Gaspare Sieli, direttore del centro di accoglienza - è quella di fare rete, di fare in modo che questi migranti possano essere autonomi e integrati nel territorio. [...]

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GRADISCA D’ISoNzo (Go)

biciclette elettriche, tosaerba e PC. Il progetto next si chiude con tanti inizidi Redazione Sqm

Nell’ambito del progetto Next, finanziato dal FER, il 29 giugno a Gorizia 15 persone appartenenti alla categoria dei RARU (Richiedenti Asilo, Rifugiati e Titolari di Protezione Umanitaria) - provenienti da diversi paesi e accolti nel CARA di Gradisca di Isonzo e in altri centri del goriziano - hanno ricevuto alcuni beni per proseguire le loro attività laboratoriali e tirocini volon-tari: tosaerba e indumenti da lavoro per la manutenzione del verde pubblico dei comuni, biciclette elettriche per consenti-re spostamenti a zero impatto ambientale, pc per i laboratori presso la biblioteca del comune di Sagrado. Le attività costruite da Next sono per-corsi personalizzati rivolti a migranti con tratti molto spiccati di vulnerabilità. Il progetto Next oggi è concluso, ma i laboratori proseguono grazie alla rete di enti e operatori attivata dal progetto stesso sul territorio goriziano.

zAffeRANA eTNeA (CT)

Scuola d’estate della Fondazione Xenagosdi Linda Rinaldi, Valentina Corradoe Claudia VerrilloOperatrici del progetto Piccoli Comuni Grande Solidarietà a San Lupo (BN)

La prima edizione della Scuola d’estate della Fondazione Xenagos, presso il grazioso albergo “Fermata Spuligni”, a Zafferana Etnea (CT), si è aperta con il moderatore Antonio Ragonesi del Co-mitato scientifico Fondazione Xenagos,

che ha introdotto i lavori sottolineando il doppio taglio con cui si intende affrontare la tematica Emergenza Nord Africa nei due giorni di lavoro: un taglio obiettivo, basato sull’analisi dei dati, e l’altro invece soggettivo, basato sulla percezione del fenomeno migratorio in genere. Si entra immediatamente nel vivo attraverso un chiaro quadro storico del fenomeno migratorio in Italia e in Europa dall’800 a oggi, illustrato da Luca Einaudi, economi-sta e storico esperto di tematiche migra-torie che ha collaborato alla creazione del Programma Nazionale Asilo (PNA) in Italia avviato nel 2001 attraverso il Protocollo d’intesa, siglato tra Ministero dell’Interno, UNHCR e ANCI per l’attuazione di politi-che innovative in materia di asilo. Tra alti e bassi dei flussi, nel giro di qualche de-cennio l’immigrazione in Italia è diventata ormai un fenomeno strutturale inarresta-bile e i motivi di ingresso sono perlopiù per lavoro domestico (74% nel 2011). Presenta, invece, una visione dell’im-migrazione dal punto di vista dell’Africa Salvatore Ippolito, rappresentante dell’UNHCR nel Sahara occidentale non-ché uno degli ideatori del P.N.A. in Italia. Riferisce che da questa parte del mondo si emigra ancora poco verso l’Europa, ri-spetto ad altre aree del mondo (Balcani e Romania). Il fenomeno che per ora è limi-tato potrebbe tuttavia aumentare molto qualora il processo di urbanizzazione

e liberazione della mano d’opera afri-cana dovesse continuare a crescere. Dell’immigrazione africana vista dall’Europa ci parla il rappresentante dell’OIM, Nadan Petrovic, che conferma l’esiguità dei flussi africani e richiama l’attenzione sulla passività dell’Italia rispetto a tale fenomeno, che tuttavia risulta preoccupante in quanto le stime prevedono un aumento dei flussi mi-gratori provenienti proprio dall’Africa subsahariana e dal medio oriente. Anche Fulvio Viviano, giornalista per Sky, critica la passività e mancanza di organizzazione nel gestire l’emergenza approdi a Lampedusa. La situazione è stata gestita grazie alla solidarietà delle persone e alle organizzazioni umanitarie in quanto lo “Stato” è intervenuto solo dopo un mese quando ormai la situazio-ne era divenuta veramente insostenibile. Dopo le diverse modalità di percezione dell’emergenza nord Africa, si passa al taglio più oggettivo dell’ultimo inter-vento della giornata di R. Compagnucci, Prefetto vice Capo Dipartimento e Vicario del Dipartimento per la Libertà Civili e l’Immigrazione, nonché uno degli ideatori del P.N.A. insieme ad Ippolito. Riprendendo i dati, Compagnucci ci ri-porta alla realtà cruda dell’inarrestabilità del fenomeno che vede l’Italia particolar-mente esposta agli sbarchi. Compagnucci propone la via delle politiche di rotazione

Rossella Celmi, psicologa del team di formazione e Claudio Guzzetta, responsabile delle procedure del progetto Next illustrano ai partecipanti al progetto i beni che stanno per essere consegnati. Foto tribbù

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della forza lavoro, ideata e già applicata dai francesi in passato. Basato su accordi con i paesi di provenienza e sul deside-rio di qualsiasi immigrato di ritornare in patria, si accolgono gli immigrati creando volani di ricchezza in base a re-lazioni egualitarie tra il paese di arrivo e provenienza. Il Prefetto fa presente la complessità di tale operazione, ma nello stesso tempo incoraggia ricordandoci la capacità degli italiani nel creare modelli, che potrebbe essere la giusta misura per un fenomeno di tali proporzioni, che po-trebbe fare scuola di democrazia globale in Europa e nel mondo. Il secondo giorno si apre con il cru-ciale intervento di Fabrizio Curcio, del Dipartimento della Protezione Civile specificando come la sua funzione sia quella coordinamento delle responsabi-lità dei vari enti pubblici e privati coin-volti nelle emergenze del paese, come quella appunto dei profughi africani. Con tale esplicitazione sottolinea come le responsabilità, da sempre ad-dossate sulla stessa, siano invece da condividere con tutto il paese Italia. La condivisione delle responsabilità si traduce poi nella predisposizione di un Piano per la gestione dell’accoglienza dei profughi tenendo conto, delle asse-gnazioni di profughi già avvenute in ogni singola regione. Egidi, funzionario della Protezione Civile dell’Emilia Romagna, ha illustra-to il Sistema regionale di protezione civile per come è stato declinato in Emilia Romagna apportando alcune modifiche al sistema implementato dal Ministero dell’Interno. Un format che ha destato interesse da parte sia della Regione Sicilia che dalla Regione Lazio. Un sistema pensato per essere affidabile e sempre pronto ad affrontare situazioni emergenziali con il coinvolgimento del potenziale insito in tutti i territori regionali. È seguita una tavola rotonda e dibat-tito sui principali nodi del convegno. I lavori si sono conclusi con la consa-pevolezza di dover fare ancora tanta strada in Italia in materia di accoglienza. Per questo si rinnova l’impegno per tirare le fila della situazione tra un anno con la seconda edizione della Scuola d’estate di Xenagos.

BARI

Cacciatori di aquilonidi Mariangela Recchia, insegnante linguaitaliana presso il Centro C.A.R.A/C.I.E. di Restinco

La sede dei missionari Comboniani a Bari è stata la cornice per la Festa dei Popoli, giunta, ormai, alla VI edizione. L’evento, concepito per promuovere la conoscen-za tra culture diverse, l’integrazione e l’esercizio alla convivenza, ha visto come protagoniste le comunità di migranti del territorio, in un incontro di razze e colori. Erano presenti tra loro anche un gruppo di afghani richiedenti asilo del C.A.R.A. di Restinco (Brindisi) impegnati in un la-boratorio di aquiloni. I giovani Afghani si sono messi a disposizione per insegnare ai bambini italiani e stranieri le tecniche di costruzione degli aquiloni e far conoscere la cultura del loro paese tramite il gioco. L’ esperienza rientra in un progetto avviato nel centro di Restinco da circa un anno: “Volarte”, grazie al quale è stato possibile valorizzare un antica tradizione afgana. Fino a qualche tempo fa l’Afghanistan, terra di burqua celesti, guerre e montagne nel cuore dell’Asia, veniva immancabilmente ricordato come il “Paese dei talebani” o la “Patria di Bin Laden”. Appellativi scomodi. Quei tempi sono finiti, e oggi l’Afghanistan

sta a poco a poco cambiando volto, identi-tà, cercando di riscattare la propria imma-gine. C’è un simbolo, uno su tutti, poetico e allegro, che meglio di altri sintetizza questa metamorfosi: è l’aquilone, immagine di libertà per eccellenza. In questa cornice, si è inserita la volontà, insieme ai ragazzi afghani, di dar voce al significato più pro-fondo di questa tradizione millenaria, che sembra appartenere a tutti. Il progetto si è svolto inizialmente solo all’interno del centro di accoglienza e successivamente nelle scuole superiori di Brindisi, spazio pri-vilegiato per favorire e diffondere processi interculturali. Inoltre, svariati sono stati gli interventi alle manifestazioni dei giovani richiedenti asilo afghani in collaborazione con l’associazione degli aquilonisti salenti-ni “La rosa dei venti”.

Un momento della prima giornata di formazione della scuola estiva della Fondazione Xenagos.Foto tribbù

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IvReA(To)

Dalla nigeria via Libia a banchette di Ivrea: paese dell’accoglienzadi Moreno D’Angelo

Da una decina di giorni sessantotto pro-fughi provenienti dalla Libia ma di origine subsahariana, sono ospitati in un albergo a Banchette, un comune limitrofo ad Ivrea. Molti sono giovani coppie senza i bimbi lasciati nei paesi di origine, ovvero Nigeria, Ciad, Ghana Guinea e Sudan.Loro obiettivo è il riconoscimento dello status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria al vaglio della commissione prefettizia che valuta le istanze. Per que-sto vengono anche assistiti nel formulare le loro domande in quanto, a volte, basta una scorretta traduzione o interpretazione per vanificare un percorso di inserimento che è costato duri sacrifici e la sfida di aver attraversato il mare su delle carrette per sfuggire a situazioni di emergenza.Tre mediatori culturali, un nugolo di ope-ratori ed insegnanti coordinati da Davide Parisi, assistono i profughi in un contesto quanto mai aperto e tollerante delle po-polazione locale.«Banchette è un paese dove sono ben inseriti da tempo oltre quattrocento im-migrati e non vi è mai stato un problema» ha detto il sindaco di Banchette Maurizio Ceol portando il suo saluto ai profughi ri-uniti per l’occasione, insieme alle autorità locali ed ai responsabili delle cooperative e consorzi sociali che gestiscono questa impegnativa emergenza. Mauro Maurino, responsabile del consorzio sociale nazio-nale Connective People per la emergen-za Nord Africa in Piemonte, descrive il percorso per rendere questa accoglienza un concreto percorso di integrazione: «Si tratta di persone a volte traumatizzate che non vanno parcheggiate. Occorre che imparino l’italiano e che si sviluppino percorsi di qualificazione professionale. L’Italia, nonostante la crisi, ha bisogno di

almeno trecentomila operai e lavoratori. Per mantenere gli attuali livelli produttivi. Saranno loro che si occuperanno in futuro dei nostri anziani. Per questo bisogna fare in modo che que-sta accoglienza faccia in modo che queste persone possano restituire alla comunità qualcosa con il loro lavoro. «Ma per rag-giungere – spiega Maurino - questi ambi-ziosi obiettivi occorre la collaborazione di diversi soggetti che operano come un rete interagente».La sua scommessa è quella di coniugare gestioni alberghiere in cui si realizzi la convivenza tra persone in accoglienza e l’ordinario utenza turistica. I primi segnali sono incoraggianti anche perchè l’impegno di questa gestione è di mantenere ottimi livelli nella qualità di servizio. La società fa parte del ramo sociale di Confcooperative.Le altre sedi piemontesi in cui vengono ospitati profughi in centri di accoglienza per richiedenti asilo sono a Lemie (Lanzo), Settimo Torinese e Coazze. Questa ultima è salita alla cronaca per gli striscioni e le iniziative denigratorie con cui alcuni esponenti leghisti avevano dato il benve-nuto ai profughi. A quanto emerge oggi il clima tra ospiti nordafricani e popolazio-ne locale è assolutamente sereno.

ToRINo

ventimila fogli bianchi per i centri di accoglienzadi Redazione Sqm

La Burgo Group, attraverso il dott. Paolo Pansa dell’Ufficio Marketing, ha donato un bancale di 48 confezioni da 5 risme di fogli ai centri di accoglienza di Con-necting People in Piemonte. Prendiamo le 120 mila pagine bianche come un augurio per 450 storie di vita che ricominciano qui in Italia. Alla Burgo Group un grazie sincero anche dalle pagine scritte di Storie di Questo Mondo.

RoMA

L’Italia sono anch’iodi Redazione Sqm

Connecting People aderisce alla cam-pagna nazionale “L’Italia sono anch’io” promossa da 19 organizzazioni della società civile. La campagna, per cui sono previsti numerosi banchetti di raccolta firme, propone una riforma del diritto di cittadinanza che preveda che anche i bambini nati in Italia da genitori stranieri regolari possano essere cittadini italiani e una nuova norma che permetta il dirit-to elettorale amministrativo ai lavoratori regolarmente presenti in Italia da cinque anni. Per raggiungere questi obiettivi le due proposte di legge di iniziativa popo-lare debbono raccogliere 50mila firme entro la fine di febbraio 2012. Sul sito web www.litaliasonoanchio.it tutti i dettagli dell’iniziativa e la mappa dei banchetti attivi.

SAN lUPo (BN)

mario (mehari) va a vivere da solo di Nello Pomona

Oggi è un giorno emozionante per noi operatori del progetto di resettlement “Piccoli Comuni Grande Solidarietà” di San Lupo. Il primo ospite che va a vivere da solo, dopo aver trovato lavoro in una piccola impresa del luogo, segna il primo passo verso l’autonomia completa e ci infonde nuove energie. Mehari, Mario come vuole essere chia-mato italianizzando il suo nome, dopo essersi ricongiunto con la moglie può finalmente impegnarsi in un progetto di vita completamente autonomo. Un ringraziamento a tutti i ragazzi di San Lupo per il lavoro svolto e a tutti coloro che si sono adoperati perché questi risul-tati divenissero raggiungibili.

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Recensione a cura di Salvo Tomarchio

Genere: film drammatico

Durata: 88’

Anno di produzione: 2011

Produzione: Cattleya - Rai Cinema

Regia: Emanuele Crialese

“Terraferma non è un film sull’immi-grazione, non è un film sui migranti. Non lo è, anche se lo può sembrare. È prima di tutto un film sugli italiani, sugli occidentali e su quella che sforzandoci ogni giorno di più per legare significante e significato, chiamiamo “la nostra civiltà”. In un’isola piccolissima vive Filippo, un pescatore di vent’anni orfano del padre, che prova insieme al nonno Ernesto a proseguire la tradizione di famiglia, fatta di sacrifici, rispetto per il mare e, soprattutto per l’uo-mo. L’altro figlio di Ernesto, Nino, si dedica invece al turismo, e tira a

campare cercando di spremere il più possibile i turisti che d’estate affollano l’isola. Giulietta, madre di Filippo, vive con angoscia e in-sofferenza la condizione dell’isola, l’assenza di prospettive per la sua vita e per quella del suo ragazzo. Questo equilibrio fragilissimo, tra vecchio e nuovo, passato e futuro, esplode nel quotidiano, nelle vite di tutti i protagonisti dal momento in cui Ernesto e Filippo soccorrono un barcone di migranti durante una battuta di pesca; riportandosi a casa una donna incinta e l’altro suo figlio.Da questo momento appare chiaro che la disperata ricerca di una “terra-ferma” non è solo un dato di cronaca, ma diventa quasi un tratto esisten-ziale, che ogni personaggio del film vive a suo modo e che nella narra-zione trova uno sbocco esemplare, feroce e concreto soltanto nella co-raggiosa scelta degli uomini e donne che decidono di attraversare il mare per dare vita ai propri sogni. E pro-prio questo esempio di ricerca, lotta e voglia di vita che viene da lontano, che ha un colore diverso ma gli stessi occhi, che irrompe e contamina di vita il mare delle spensierate italiche vacanze estive, mette a nudo le con-traddizioni, l’assenza di certezze, lo spaesamento; la terraferma di valori e orizzonti che manca così prima di tutto ad ognuno di noi. Manca ad una madre che non ha il coraggio di aspirare ad una vita fuori dall’isola, manca ad un figlio chiuso dentro se stesso, manca a chi rinnega la pro-pria umanità per paura di perdere i pochi propri privilegi da occidentale.

Preservare la vita, restare umani, avere cura degli altri, obblighi mora-li che diventano pretese impossibili e paradossali, retaggi di un “codice del mare” che male si accorda al co-dice e alla legge dello Stato, lontano e sordo, per cui “salvare la gente in mare è diventato proibito”. Terraferma diventa così un film che ci interroga sul nostro passato, che chiede prepotentemente a tutti noi dove abbiamo perso la saggezza dei nostri nonni, la saggezza dei pescatori per cui la vita di un uomo vale più della “pubblicità”, per cui l’unica legge sempre valida è quella non scritta, quella nascosta dentro il nostro essere umani.Il mare diventa uno specchio de-formante che riflette e ci restituisce il meglio e il peggio del nostro essere umani, il meglio è il peggio della nostra Italia. Ci restituisce la civiltà dei pescatori insieme al cinico consumare luoghi e persone proprio delle vacanze all’occiden-tale, ci restituisce la gratitudine di una madre salvata dall’inferno e gli occhi di suo figlio che chiedono solo futuro, pescatori.Crialese riesce dunque nell’impresa di raccontarci una fetta di presente, complesso, contraddittorio e incerto conce-dendosi il lusso di farne quasi una cronaca per immagini, senza cedere nemmeno un attimo nella retorica dell’accoglienza e senza nemmeno tentare un’epopea dei migranti. E in questo suo raccontare e raccontarci ci mette ancora una volta di fronte ad una questione che non ha ancora trovato risposte certe e condivise.

Emanuele CrialeseTERRAFERMA

Una produzione Cattleya e Rai Cinema

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