STORICI Un’appassionante avventura STORICI · 4 6 Una passione in crescita 9 IL VAPORE TRAINA IL...

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Edizioni L’Informatore Agrario TRATTORI STORICI Un’appassionante avventura

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a cura di William Dozza

€ 34,00 (iva inclusa)

La storia della meccanizzazione dell’agricoltura a partire dalle origini sino alla metà del secolo Ventesimo. Una grande avventura che ha mosso i suoi primi passi dall’aratro e dall’aratura a vapore e ci ha portato sino alla mietilega e alla mietitrebbia. Al centro di essa si collocarono i trattori dei quali il volume presenta i modelli più rappresentativi costruiti a partire dal 1916 sino al 1960. Di ognuno viene raccontata la storia, la tecnica, i concorrenti e persino il prezzo di listino al momento del lancio.

A partire dal Titan dell’International Harvester che, con le sue qualità e il prezzo accessibile (13.800 lire nel 1922), riuscì a rompere la diffidenza degli agricoltori nei confronti del mezzo meccanico e spianò la strada a tutti i trattori che vennero dopo.

Documentato come un trattato, leggibile come un romanzo, questo volume vi condurrà in un viaggio appassionante, illustrato da oltre 400 immagini tra foto storiche e a colori di trattori e macchine agricole, pubblicità e disegni meccanici.

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TRATTORISTORICIUn’appassionante avventura

TRATTORISTORICI

Un’appassionante avventura

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6 Una passione in crescita

9 IL VAPORE TRAINA IL PROGRESSO NEI CAMPI10 L’aratura a vapore 14 La locomobile

17 TRATTORI AGRICOLI ATTRAVERSO LA STORIA

18 Allgaier R 22 22 Ansaldo TCA 7024 Bolinder Munktell BM 1028 Bubba C3532 Bubba LO534 Calzolari TC 1538 Case 15-2742 Deutz F2L51446 Farmall D48 Ferguson TE 2052 Fiat 55L54 Fiat 2558 Fiat 60062 Fiat 80 R66 Field Marshall MARK III70 Fordson F72 Gualdi 30

Sommario

76 HSCS R 20-2280 John Deere H84 Lamborghini DL 30 Super88 SuperLandini92 Landini L2096 Landini 35/8100 Lanz HN104 Lanz 2416108 Lesa Super Titano 30112 Lombardini TL 30116 Moline D Universal118 Nuffield 470122 OM 50 R126 Orsi HP 40 Super130 Orsi Argo134 Pavesi P4138 Porsche AP 22142 Same DA 30146 Same Puledro150 Steyr 180154 Titan 10-20158 Vierzon Super 204

163 LE MACCHINE AGRICOLE: DALL’ARATURA ALLA RACCOLTA164 Gli aratri 168 Le macchine aratrici172 I motocoltivatori176 Le seminatrici meccaniche182 Le mietilegatrici Laverda186 La motofalciatrice Laverda190 Le trebbie194 Le presse198 Le mietitrebbie202 La Laverda M 60

Sommario 5

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Fiat 600Un numero fortunato

V i sono numeri che “portano bene”, altri che menano gramo. Per Fiat c’è il numero “600” al quale l’azien-

da torinese deve molto del suo successo del Dopoguerra. Come automobile, la “Fiat 600” fu l’utilitaria che venne pre-sentata al Salone dell’auto di Ginevra del 1955 e che fu prodotta per 15 anni per un totale di oltre 2 milioni e 600.000 esem-plari. Aveva il motore posteriore di 633 cm3 che sviluppava 24 CV e venne ven-duta sul mercato al prezzo di 590.000 li-re, meno di 300 euro di oggi. Ma non fu la prima volta che il numero 600 portò fortuna a Torino. Vi fu un’altra precedente “Fiat 600”. Fu una trattrice (allora si chiamavano così, al femminile) che vide la luce nel 1949, visse solo due anni e gli esemplari costruiti raggiunse-ro a malapena i 1.000, ma furono quei

Il materiale pubblicitario d’epoca metteva in evidenza pochi dati tra cui: potenza, consumo, peso e velocità.

La trattrice Fiat 600 presentata sei anni prima dell’omonima auto, contribuì al decollo del settore agricolo della fabbrica torinese.

mille che innescarono un processo di sviluppo che continuò negli anni sino a far raggiungere all’azienda di Torino, og-gi Cnh, una posizione di rilevanza mon-diale. Che 600 sia un numero “buono” lo conferma il fatto che da qualche anno è tornato in listino un’auto con questo nu-mero. Probabilmente anche alla Cnh stanno pensando a una “600”! Era il 13 marzo del 1949 quando Luigi Ei-naudi, presidente della Repubblica, inau-gurò la 51ª Fiera dell’agricoltura e dei ca-valli di Verona; 11.000 metri quadrati di esposizione occupati da circa 300 ditte italiane e straniere: la più grande mostra che l’Italia ancora disastrata dalla guerra, avesse mai visto. Fra i trattori, vicino ai costruttori storici, si affacciavano per la prima volta case che diventeranno gran-di come, Same e Steyr, ma anche artigia-

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ni che uscivano per la prima volta dalla cerchia del paese, in cerca di quella fortu-na che mancò come Butturini, Gasparini, Tagliavini e altri che avevano percorso la strada delle “carioche”.Nel grandioso padiglione della Federa-zione dei Consorzi agrari troneggiavano tre macchine, di media potenza, adatte a tutti i tipi di terreno ed erano prodotte dalla Fiat, l’industria meccanica più gran-de del Paese che stava ancora sgombran-do dagli stabilimenti le macerie della guerra.Le tre “trattrici” erano identificate con un numero: 600 per il tipo a ruote, 601 per il modello a cingoli e 602 per la versione a triciclo. I tre modelli erano già stati pre-sentati nell’ottobre dell’anno prima al pubblico dell’8ª Mostra della meccanica di Torino, ma senza prezzo di listino, per sostenere l’interesse che si voleva far sor-gere a Verona dopo pochi mesi tra gli agricoltori. E di interesse ce ne fu tant’è vero che il 600 e il 601, rispettivamente con 326 e 363 esemplari immatricolati, ri-sultarono i trattori in assoluto più vendu-ti sul mercato italiano per l’anno 1949 e per il 1950 (409 e 756). L’entusiasmo era giustificato dal fatto che erano le macchine più a buon mercato della loro categoria e che la commercia-lizzazione era affidata ai Consorzi agrari, un’organizzazione economica, politica e sindacale che copriva capillarmente tutto il territorio nazionale.Le nuove macchine possedevano anche un contenuto tecnico di tutto rispetto, che subito non venne compreso ma che fu apprezzato solo dopo qualche anno, quando la concorrenza non riuscì a dire e a dare niente di meglio.

La tecnicaIl telaio della 600 era costituito da un mo-noblocco in fusione che comprendeva il basamento del motore, la scatola del cam-bio e il differenziale. Una scatola o “bar-ca” che forniva al mezzo una rigidità e una solidità al di sopra di ogni rischio.La parte anteriore fungeva da coppa dell’olio, chiusa da un coperchio, attra-verso il quale era possibile intervenire per

Il presidente della Repubblica Luigi Einaudi inaugura la 51a edizione della Fiera di Verona, dove furono presentati i trattoriFiat 600. Era il 1949.

sostituire i semicuscinetti (o bronzine) della testa di biella. Il motore a ciclo otto a 4 tempi e a 4 cilindri a petrolio o a ben-zina (a richiesta) denunciava una cilin-drata di 2.270 cm3 capace di erogare 22 CV a 1.400 giri/minuto.L’accensione era a magnete, la lubrifica-zione forzata con doppia pompa di ingra-naggi: una di mandata e una di recupero.Il raffreddamento era a liquido con pom-pa e radiatore.Il regolatore di velocità era centrifugo e funzionava a tutti i regimi di utilizzo del motore.I freni erano a nastro e agivano sui semi-assi all’interno delle campane; il coman-do avveniva separatamente mediante due pedali, uno a destra e uno a sinistra, al po-sto della frizione che era manuale a leva.Due cose sorprendono in questa macchi-

Trattori storici

CARATTERISTICHE TECNICHE

Modello 600 Trazione ruotePotenza (CV/giri) 18/1.400Combustibile Benzina - petrolioCilindrata (cm3)(alesaggio/corsa) (mm)

2.27085/100

Ciclo/raffredamento otto/acquaCilindri/disposizione 4/verticaleNumero marce AV/RM 4/1Velocità min/max (km/ora) 3,7/15Pneumatici ant./post. 5.50-16/9-24Lunghezza max (m) 2,40Larghezza max (m) 1,31Altezza max (m) 1,20Passo (m) 1,51Peso (kg) 1.195Anno produzione (inizio/fine) 1949/1950Esemplari costruiti 9561

Prezzo lire (anno) 1.100.000 (1949)Fonti: Fiat; 1Uma

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na: le valvole laterali e la messa in moto manuale.Fiat aveva abbandonato le valvole laterali da vent’anni, almeno nel settore agricolo. Il 700, nato nel 1926, possedeva un ottimo sistema di distribuzione in testa, e così erano orientati i maggiori costruttori ame-ricani. La sorpresa di trovarsi sbalzati in-dietro di vent’anni viene attenuata oggi dalla testimonianza di un illustre costrut-tore di piccoli motori agricoli che dovette, per ragioni di facciata, abbandonare le valvole laterali per quelle in testa. «Per il petrolio – dice – niente rende meglio di una camera di scoppio con le valvole mes-se a lato» e le ragioni sarebbero in una migliore totale combustione del partico-lare tipo di miscela petrolio-aria.L’altra sorpresa era la messa in moto a ma-novella quando i più vicini e diretti concor-

renti come Ford e Ferguson, già da una de-cina d’anni, avevano adottato l’avviamen-to elettrico. A protezione dell’impresa tori-nese intervenne la dogana, che riuscì a pe-sare sino a oltre il 50 per cento sul prezzo di vendita dei contendenti più pericolosi. Questo stesso motore fu montato pervi-cacemente sino al 1952 nella serie 25 a ruote e a cingoli.A difesa della “manovella” c’è da dire che in quegli anni parecchie fattorie agricole di pianura, e quasi tutte quelle di collina e di montagna, non erano collegate alla re-te elettrica e si sarebbero trovate in diffi-coltà per la gestione degli accumulatori.

La guidaQuasi sessant’anni ma portati con molta disinvoltura. Se non fosse per alcuni det-tagli come la manovella per la messa in moto e al rito che ne consegue, potrebbe essere preso facilmente per un trattorino di quelli che costruiscono in Polonia o in India e venduti in tutto il mondo sotto prestigiose etichette. Un carro struttu-ralmente valido, anzi, avanzato ancora oggi; un cambio meccanico eccezionale con leva a corsa corta da rimpiangere; uno sterzo diretto per una maneggevo-lezza fuori del comune; i freni a nastro interni con comando separato: sono al-

In alto, il posto di guida non aveva nulla da invidiare ai Ferguson e ai Fordson.In basso, al modello mancavail sollevatore che però sarebbe stato sprecato in quanto in Italia non c’erano gli attrezzi specifici per questo meccanismo.

cuni dei dettagli più evidenti di questa “modernità”. La frizione a comando ma-nuale è un aspetto secondario. Manca soprattutto l’idraulica per assistere lo sterzo e per movimentare gli attrezzi moderni, ma a Modena non potevano immaginare un futuro così ricco di in-ventiva in un settore che era rimasto in-gessato per tanto tempo.Il 600 è un veicolo piacevole sia da mostra che da “sfilata”: fa relativamente poco fracasso rispetto ai testacalda e ai mono-cilindrici diesel del periodo, è molto più pulito, ha un bel colore allegro e anche il colpo di manovella per la messa in moto fa parte di quella coreografia necessaria alla glorificazione di un mito.

Il collezionismoDi Fiat 600 ne vennero costruiti un mi-gliaio di esemplari e si pensa che i so-pravvissuti non superino i 200. In gene-rale appartengono a collezionisti che hanno saputo restaurarli con pazienza e attenzione perché, a parte l’età, erano macchine che soffrivano di motore e, se non si azzeccava la partenza col primo o il secondo colpo di manovella, avviarli diventava un tormentone.Indistruttibile era la trasmissione, e que-sto pregio contribuì non poco alla sua scomparsa dai campi per apparire sui piazzali degli stabilimenti. La parte posteriore del carro servì, infat-ti, da base di partenza per i carrelli eleva-tori, sui quali vennero posti propulsori più piccoli e più moderni. Miglior sorte toccò al modello 601 cingolato, che resi-stette in collina sino agli anni Ottanta anche perché la richiesta del suo carro si era praticamente esaurita. Del modello a tre ruote, la produzione fu talmente esi-gua (una cinquantina di esemplari, metà solo dei quali immatricolati in Italia), da perderne praticamente traccia. Visti gli esemplari disponibili, le quota-zioni devono essere per forza di cose estremamente prudenti e specificare an-cora una volta che riguardano macchine nello stato in cui si trovavano alla fine del loro lavoro, macchine da restaurare, mo-tore non bloccato, poiché è difficile pre-

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tendere che vadano anche in moto dopo tanti anni di “fermo”. Da non sottovalutare l’esistenza di una certa confusione che regna tra la serie 600 e la serie 25 nelle versioni R, C, CS, T, che uscirono dagli stessi stabilimenti di Modena dal 1951 al 1952. Le macchine sono superficialmente uguali e bisogna entrare in particolari come l’assale o i pa-rafanghi per non fare confusione. In questo si è anche fuorviati dalla tar-ghetta riassuntiva dei dati fissata sul cru-scotto dove, nella prima riga in alto, ap-pare il tipo di motore (600 per entrambi i tipi), poi il modello con il numero di ma-tricola del telaio.

In primo piano, la presa di potenza a puleggia che poteva essere sostituita dall’albero scanalato.

Il vaporizzatore Feroldi, semplice da gestire, era già stato impiegato da Fiat sui modelli 700 con buoni risultati.

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SuperLandiniIl testacalda più desiderato

L’ Italia del calcio vinse il campiona-to del mondo, Pirandello il pre-mio Nobel, il governo salvò dal

fallimento il Credito italiano, la Banca commerciale e il Banco di Roma. Correva l’anno 1934 quando, ai 30.000 trattori che lavoravano le terre del Regno, se ne ag-giunse uno nuovo, il SuperLandini, il più potente di tutti e tale rimase per molti anni anche nel Dopoguerra. Aveva 48 CV che erano tanti sia da un punto di vista costruttivo, sia nell’ottica dell’acquirente, convinto che fossero trop-pi e sciupati per il lavoro che richiedeva al mezzo meccanico. Per l’aratura e la treb-biatura, di cavalli vapore ne bastavano una trentina e avanzavano anche. Questo era il punto di vista della grande impresa agricola dove il lavoro, se non lo si fa og-gi, lo si può fare domani o dopodomani. Una minoranza di operatori la pensava

In questa pubblicità del 1950il trattore ha mascherina al radiatore e ruote con pneumatici, intercambiabili con quelle in ferro.

diversamente: erano coloro che, con le proprie macchine, andavano a lavorare la terra degli altri, erano i cosiddetti “conto-terzisti” che avevano bisogno di affidabi-lità per non fermarsi sul lavoro e potenza per andare veloci in perenne lotta col tempo, fosse pioggia o impegni da onora-re. Sui “cinquanta” c’erano i veicoli ame-ricani reduci dell’“aratura di Stato”, ma si trattava di macchine ingombranti, pesan-ti, impacciate per le dimensioni dei nostri campi e poi complicati nella meccanica, difficili da gestire anche per meccanici competenti, che non erano molti in quel periodo. A questi “forzati della meccani-ca”, Landini offrì il suo testacalda, un motore a due tempi senza valvole, senza carburatore, senza magnete, senza can-dele, in grado di bruciare diversi tipi di combustibile, tra i più poveri come la naf-ta, sino ai più disponibili come gli oli ve-

35 quintali di ghisa e acciaio,48 CV alla trebbia e 38 all’aratro: negli anni Trenta il SuperLandinifu il trattore più diffuso, più potente e desiderato.

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getali o animali in miscela con petrolio. Il testacalda era talmente semplice che ba-stavano poche istruzioni per metterlo in moto e carburante e acqua per mantener-lo in funzione. Il motore Landini non dif-feriva dagli altri funzionanti con il mede-simo sistema se non per la maggiore faci-lità d’accesso ai vari organi e la semplici-tà delle varie regolazioni. A parte Landini, anche tra i testacalda furono rari coloro che si cimentarono in-torno ai 50 CV. Ci aveva provato Bubba nel 1929 con un bicilindrico da oltre 23 litri, ma ci aveva subito rinunciato per le complicazioni meccaniche e per il peso eccessivo. Il grande Lanz e gli unghere-si della HSCS arrivarono quasi contem-poraneamente, ma fu per onor di firma, poiché spinsero sempre le potenze infe-riori. Una risposta giunse da Orsi ma con quantità che non potevano impen-sierire la Casa di Fabbrico (Reggio Emi-lia). Chi gli seppe tener testa fu l’Argo nel 1950, sedici anni dopo, quando il Su-perLandini aveva già praticamente ter-minato il suo ciclo. Terminato ma non chiuso, tant’è vero che nell’anno 1950 fu il terzo trattore a ruote più venduto in Italia dopo il Fiat 600 (21 CV a petrolio) e il Ferguson (27 CV a petrolio), entram-bi posti sul mercato a metà prezzo ri-spetto al SuperLandini che quotava 2 milioni e mezzo di lire con ruote di fer-ro, e 250.000 lire in più per la versione con pneumatici. Era anche il trattore ita-liano più diffuso in assoluto, preceduto solo dal Fordson, una macchina poco potente venduta a un prezzo stracciato.

La tecnicaIl SuperLandini conquistò i contoterzisti per vari motivi tra i quali la sua propen-sione ad andare in moto senza traumi e a restarci senza sussulti. La semplicità del-la manutenzione e la facilità con la quale si poteva intervenire per le riparazioni, lo facevano unico fra tutti i concorrenti dell’epoca. Si trattava di un mezzo rassi-curante al quale chiedere ogni tanto an-che qualche miracolo. Tecnicamente appartiene alla categoria dei trattori a motore portante, nel senso

che il motore fa parte integrante del tela-io. Questo telaio è costituito da soli due pezzi in fusione di ghisa: uno è il cilindro sotto il quale si trova il supporto dell’as-sale, l’altro contiene il basamento del mo-tore, la scatola dello sterzo, il cambio a tre marce più retromarcia e il differenziale. Il radiatore è frontale con ventola e cir-colazione dell’acqua a termosifone, le ruote sono in acciaio fuse con mozzo in-corporato. Il funzionamento del motore viene gestito da una scatola che contie-ne la pompa di iniezione, il regolatore e comanda l’oliatore e la ventola per il raf-freddamento dell’acqua del radiatore. Non è prevista nessuna cinghia di tra-smissione, se si esclude quella specifica per la dinamo che si monta solamente durante il lavoro notturno.

Il posto di guida, chiuso completamente, dava all’operatore un senso di protezione e di sicurezza maggiore rispetto ad altri modelli del periodo. Anche per questa ragione il SuperLandini venne preferito dai professionisti dell’aratura.

Meccanica a parte, fu la linea a porre il SuperLandini una spanna al di sopra non solo dei testacalda, ma di tutti i trattori degli anni Trenta.

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Il motore monocilindrico orizzontale ha una cilindrata di 12.200 cm3 (240 per 270 mm di corsa), che sviluppa, a 620 giri/minuto, una potenza massima di 48 CV alla puleggia e 36 al gancio. La frizione a disco è posta all’interno del volano di destra ed è comandata da un pedale, che è l’unico pedale di bordo, in quanto il freno sulla trasmissione viene azionato da una leva. La puleggia della presa di potenza era a sinistra: non ebbe mai l’albero scanalato e neppure il sollevatore idraulico. Unica concessione alla modernità degli anni Quaranta furono le ruote con mozzo flangiato per l’impiego di pneumatici e, in versione stradale, i freni sulle ruote posteriori con l’assistenza dell’aria com-pressa. Ogni marcia viene automatica-mente bloccata nella sua posizione e per

uscire bisogna premere sul pomello della leva. Era largo 1,73 m, lungo 3,350 m, pe-sava 3.500 kg a vuoto e 3.650 kg in ordi-ne di marcia. Colore: rigorosamente gri-gio macchine.

Il collezionismo Di SuperLandini nel primo anno, ovvero il 1934, ne furono costruiti 79 esemplari, con una numerazione che partì da 1.501. Nei tre anni che seguirono ne vennero prodotti 345 esemplari. Vi fu una “prima serie” le cui matricole andavano da 1.501 a 1.927. La numerazione riprese poi nel 1938 dal 4.001 e la ragione sta nel fatto che nel 1935 era stata avviata la produ-zione di un nuovo modello (Velite) con matricola di partenza 2.001 e si volevano evitare confusioni. La “prima serie” presentava alcune parti comuni al modello 40 precedente, come parafanghi, pompa d’iniezione con relati-vo comando, sagoma delle ruote e altri piccoli particolari che a volte non si riscon-trano negli esemplari che giungono a noi oggi, perché il tempo passato da allora e il periodo abbastanza movimentato hanno fatto sì che molti “prima serie” abbiano subito riparazioni abbastanza pesanti. Durante l’intera vita, la macchina subì

La meccanica del SuperLandini, semplice e funzionale, rappresentò forse la maggior ragione del suo successo.

La bilanciatura dei vari elementi del frontale rende questo modello ancora oggi gradevole e inimitabile.

CARATTERISTICHE TECNICHE

Modello SuperLandiniTrazione ruotePotenza (CV/giri) 48/620Combustibile olio pesante-nafta

Cilindrata (cm3)(alesaggio/corsa) (mm)

12.208(240/270)

Ciclo/raffreddamento testacalda/acquaCilindri/disposizione 1/orizzontaleNumero rapporti AV/RM 3/1Velocità min/max (km/ora) 3/6,2Serbatoio carburante (L) 85Pneumatici ant./post. ruote in ferroLunghezza max (m) 3,35Larghezza max (m) 1,73Altezza max (m) 1,83Peso (kg) 3.650Anno produzione (inizio/fine) 1934/1952Esemplari costruiti 3.255Prezzo lire (anno) 33.000 (1936)Fonti: A. Fontanesi, Landini dal 1884

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Per avviare il motore occorre una bombola di gas l iquido munita di regolatore

professionale e un bruciatore con piedistallo. La fiamma va indirizzata dal basso al centro della calotta che si trova sotto la testa del cilindro. Agendo sul volano, collocare il pistone al punto morto superiore. Dopo una decina di minuti di “fuoco”, quan-do la calotta avrà raggiun-to una temperatura di cir-ca 800-900 °C (colore ros-so ciliegia), porsi alla destra del veicolo (per chi guarda da dietro). Aprire la valvo-la di decompressione e fa-re ruotare il volano: si ve-drà uscire un fumo bianco e denso. Aprire il rubinetto del carburante, dare un paio di tacche alla manetta dell’accelera-tore, chiudere la valvola, dare un paio di col-petti di pompa manovrando l’apposita leva. Imprimere al volano un movimento bilancia-to terminando con energia verso destra, nel senso contrario alla marcia del motore. Biso-gna essere pronti a lasciare libero il volano perché il motore parte energicamente. Altri-menti si riprova! Nessun altro trattore testacalda si avvia co-sì facilmente come un Landini; per il Super, in particolare si può utilizzare entrambi i vo-

lani per il lancio. A bordo si sale da dietro e il posto di guida è sufficientemente conforte-vole. Gli strumenti sono ridotti all’osso: il pe-dale della frizione, la leva del freno, una ma-netta per accelerare e via! Il SuperLandini non ha mai visto un manometro o altri eventua-li strumenti che rilevano lo stato della mac-china. L’unico eccentrico tocco di moderni-

tà è un bastoncino di legno che spunta dal serbatoio dietro il tappo, per indicare il livello del carburante! Tut-to qui: ciò che non c’è non si rompe.Il pedale della frizione agi-sce con un semplice riman-do ed è strutturato in mo-

do da essere sempre morbido; l’innesto del-le marce è facile così come la loro collocazio-ne: distanziata per evitare qualsiasi errore. Lo sterzo a vite senza fine è strutturato in modo da non esser mai eccessivamente faticoso anche a veicolo fermo. In aratura, le ruote in ferro affondano i loro spuntoni nella terra e tutta la potenza passa direttamente al vomere e chi guida non sen-te più vibrazioni, scosse, rumori, ma viene invaso da un sentimento sensuale di domi-nio e di onnipotenza. Tutto questo è un Su-perLandini!

Oggi, nelle gare di aratura all’antica, il SuperLandini è in grado di dare agli appassionati grandi emozioni. In questo caso, l’operatore ha prolungato la presa d’aria per “respirare” meno polvere!

pochissime modifiche, tutte marginali che non sviarono dalla filosofia di mezzo semplice, facile da mettere in modo e an-cor più facile da condurre.La produzione annuale fu molto legata agli avvenimenti del nostro Paese: 200 esemplari ogni anno dal 1939 al 1943, in

quanto Fabbrico non lavorò mai per l’esercito; un centinaio dal 1944 al 1948, poi un finale sempre in crescendo sino ai 300 esemplari del 1950. Degli oltre 3.000 SuperLandini costruiti, ne sono rimasti in tutto qualche centina-io che i collezionisti si contendono.

A BORDO DEL SUPERLANDINI