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Andrea Mantegna(1431-1506) fu sin da giovanissimo in contatto con l’arte toscana, in particolare di Donatello, e con i fermenti intellettuali della vivacissima città veneta, che lo stimolava ad approfondire lo studio dell’antico. La sua arte divenne ben presto un punto di riferimento fondamentale per gli artisti del settentrione. Al tempo di Mantegna l’antiquaria viveva un momento di grande fermento grazie alle ricerche di un gruppo di intellettuali che, attraverso lo studio dei resti antichi cercavano di ridar vita allo spirito dell’antichità soprattutto romana:tra questi Ciriaco d’Ancona e Felice Feliciano. Tra le sue opere più importanti ricordiamo il “Cristo morto” e la “Camera degli sposi” e i “Trionfi di cesare”. Il Cristo morto (noto anche come Lamento sul Cristo morto Cristo morto e tre dolenti) è uno dei più celebri dipinti di Andrea Mantegna , tempera su tela (68x81 cm), databile tra il 1475 - 1478 circa e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano . L'opera è celeberrima per il vertiginoso scorcio prospettico della figura del Cristo disteso, che ha la particolarità di "seguire" lo spettatore che ne fissi i piedi scorrendo davanti al quadro stesso. Il giorno successivo la morte di Mantegna, suo figlio Ludovico, accennando ai dipinti rimasti nello studio del padre in una lettera al marchese Francesco Gonzaga, ricorda un “Christo in scurto” (in scorcio); lo stesso dipinto viene nuovamente citata da Ludovico Mantegna in una lettera alla marchesa Isabella, in cui il figlio del pittore scrive che questo Christo in scurto è stato preso dal cardinale Sigismondo di Gonzaga, che avrebbe pagato le due opere cento ducati. L’opera rimase in mano ai Gonzaga sino alle soglie del XIX secolo, quando nel 1806 il segretario dell’ accademia di Brera Giuseppe Bossi scriveva ad Antonio Canova di mediare l’acquisto del suo “ desiderato Mantegna” , che arrivò effettivamente in pinacoteca nel 1824. L'iconografia di riferimento per l'opera è quella del compianto sul Cristo morto, che prevedeva la presenza dei "dolenti" riuniti attorno al corpo che veniva preparato per la sepoltura. Cristo è infatti sdraiato sulla pietra dell’unzione, semicoperta dal sudario, e la presenza del vasetto degli unguenti in alto a destra dimostra che è già stato cosparso di profumi. Mantegna strutturò la composizione per produrre un inedito impatto emotivo, con i piedi di Cristo proiettati verso lo spettatore e la fuga di linee convergenti che trascina l'occhio di chi guarda al centro del dramma. A sinistra, compresse in un angolo, si trovano tre figure dolenti: la Vergine Maria che si asciuga le lacrime con un

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Andrea Mantegna(1431-1506) fu sin da giovanissimo in contatto con l’arte toscana, in particolare di Donatello, e con i fermenti intellettuali della vivacissima città veneta, che lo stimolava ad approfondire lo studio dell’antico. La sua arte divenne ben presto un punto di riferimento fondamentale per gli artisti del settentrione. Al tempo di Mantegna l’antiquaria viveva un momento di grande fermento grazie alle ricerche di un gruppo di intellettuali che, attraverso lo studio dei resti antichi cercavano di ridar vita allo spirito dell’antichità soprattutto romana:tra questi Ciriaco d’Ancona e Felice Feliciano.Tra le sue opere più importanti ricordiamo il “Cristo morto” e la “Camera degli sposi” e i “Trionfi di cesare”. Il Cristo morto (noto anche come Lamento sul Cristo morto Cristo morto e tre dolenti) è uno dei più celebri dipinti di Andrea Mantegna, tempera su tela (68x81 cm), databile tra il 1475-1478 circa e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano. L'opera è celeberrima per il vertiginoso scorcio prospettico della figura del Cristo disteso, che ha la particolarità di "seguire" lo spettatore che ne fissi i piedi scorrendo davanti al quadro stesso.Il giorno successivo la morte di Mantegna, suo figlio Ludovico, accennando ai dipinti rimasti nello studio del padre in una lettera al marchese Francesco Gonzaga, ricorda un “Christo in scurto” (in scorcio); lo stesso dipinto viene nuovamente citata da Ludovico Mantegna in una lettera alla marchesa Isabella, in cui il figlio del pittore scrive che questo Christo in scurto è stato preso dal cardinale Sigismondo di Gonzaga, che avrebbe pagato le due opere cento ducati. L’opera rimase in mano ai Gonzaga sino alle soglie del XIX secolo, quando nel 1806 il segretario dell’ accademia di Brera Giuseppe Bossi scriveva ad Antonio Canova di mediare l’acquisto del suo “ desiderato Mantegna” , che arrivò effettivamente in pinacoteca nel 1824.L'iconografia di riferimento per l'opera è quella del compianto sul Cristo morto, che prevedeva la presenza dei "dolenti" riuniti attorno al corpo che veniva preparato per la sepoltura. Cristo è infatti sdraiato sulla pietra dell’unzione, semicoperta dal sudario, e la presenza del vasetto degli unguenti in alto a destra dimostra che è già stato cosparso di profumi. Mantegna strutturò la composizione per produrre un inedito impatto emotivo, con i piedi di Cristo proiettati verso lo spettatore e la fuga di linee convergenti che trascina l'occhio di chi guarda al centro del dramma. A sinistra, compresse in un angolo, si trovano tre figure dolenti: la Vergine Maria che si asciuga le lacrime con un fazzoletto, San Giovanni che piange e tiene le mani unite e, in ombra sullo sfondo, la figura di una donna che si dispera, in tutta probabilità Maria Maddalena. Il forte contrasto di LUCE, proveniente da destra, e OMBRA origina un profondo senso di PATHOS. Ogni dettaglio è amplificato dal tratto incisivo delle linee, costringendo lo sguardo a soffermarsi sui particolari più raccapriccianti, come le membra irrigidite dal RIGOR MORTIS e le ferite ostentatamente presentate in primo piano, come consueto nella tradizione. I fori nelle mani e nei piedi, così come i volti delle altre figure, solcati dal dolore, sono dipinti senza nessuna concessione di idealismo o retorica.Nel 1465 Mantegna dette avvio alla decorazione ad affresco di una stanza del castello ducale, adibita a funzioni di rappresentanza, che avrebbe in seguito preso il nome di “Camera degli sposi”, chiamata nelle cronache antiche “Camera picta”. Sulla volta e nelle lunette furono dipinti emblemi della famiglia Gonzaga, monocromi a soggetto mitologico e ritratti di imperatori romani. Mantegna studiò una decorazione ad affresco che investisse tutte le pareti e le volte del soffitto, adeguandosi ai limiti architettonici dell'ambiente, ma al tempo stesso sfondando illusionisticamente le pareti con la pittura, come se lo spazio fosse dilatato ben oltre i limiti fisici della stanza.Motivo di raccordo tra le scene sulle pareti è il finto zoccolo marmoreo che gira tutt'intorno nella fascia inferiore, sul quale poggiano i pilastri che suddividono le scene in tre aperture. La volta presenta centralmente un oculo, da cui si sporgono personaggi e animali stagliati sul cielo azzurro.

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Attorno all'oculo alcuni costoloni dipinti dividono lo spazio in losanghe e pennacchi. I costoloni vanno a terminare in finti capitelli, a loro volta poggianti sui reali peducci delle volte.La parte superiore delle lunette è occupata da dodici lunette, decorate da festoni e imprese dei Gonzaga. La volta è composta da un soffitto ribassato, che è illusionisticamente diviso in vele e pennacchi dipinti. Alcuni finti costoloni dividono lo spazio in figure regolari, con sfondo dorato e pitture a monocromo. Al centro si trova il famoso oculo, il brano più stupefacente dell'intero ciclo, dove sono portati alle estreme conseguenze gli esperimenti illusionistici della Cappella Ovetari di Padova. Si tratta di un tondo aperto illusionisticamente verso il cielo, che doveva ricordare il celebre oculo del Pantheon, il monumento antico per eccellenza celebrato dagli umanisti. Nell'oculo, scorciati secondo la prospettiva da "sott'in su", si vede una balaustra dalla quale si sporgono una dama di corte, accompagnata dalla serva di colore, un gruppo di domestiche, una dozzina di putti, un pavone e un vaso, sullo sfondo di un cielo azzurro. Per rafforzare l'impressione dell'oculo aperto, Mantegna dipinse alcuni putti pericolosamente in bilico aggrappati al lato interno della cornice, con vertiginosi scorci. L'oculo è racchiuso da una ghirlanda circolare, a sua volta racchiusa in un quadrato di finti costoloni.  Attorno al quadrato sono disposte otto losanghe con sfondo dorato, ciascuna contenente una ghirlanda circolare che racchiude un ritratto di uno dei primi otto imperatori romani. I cesari sono ritratti in senso antiorario con il nome entro il medaglione e sono:Giulio Cesare;Ottaviano Augusto;Tiberio;Caligola;Claudio;Nerone;Galba;Otone.Attorno alle losanghe sono collocati dodici pennacchi, decorati con bassorilievi di carattere mitologico, che celebrano simbolicamente le virtù del marchese quale condottiero e uomo di stato, quali il coraggio (mito di Orfeo), l'intelligenza (mito di Arione di Metimna), la forza (mito delle dodici fatiche di Ercole).La parete nord, detta “Parete della Corte”, è suddivisa in tre settori: il primo settore è occupato da una finestra che dà sul Mincio; Il settore centrale mostra il marchese Ludovico Gonzaga seduto su un trono, ritratto mentre tiene in mano una lettera e parla con un servitore dal naso adunco, probabilmente il suo segretario Marsilio Andreasi o Raimondo Lupi di Soragna. Sotto il trono sta accucciato il cane preferito del marchese, Rubino, simbolo di fedeltà. Dietro di lui sta poi in piedi il terzogenito Gianfrancesco. L'uomo col cappello nero è Vittorino da Feltre, precettore del marchese e dei suoi figli. Al centro troneggia seduta la moglie del marchese, Barbara di Brandeburgo. Il settore successivo mostra sette cortigiani che si avvicinano alla famiglia dei Gonzaga.La parete ovest, detta "dell'Incontro", è analogamente divisa in tre settori. In quello di destra avviene l'"incontro" vero e proprio, in quello centrale alcuni putti reggono una targa dedicatoria e in quello di sinistra sfila la corte del marchese. Nell'Incontro sono rappresentati il marchese Ludovico, accanto al figlio Francesco. Sotto di loro stanno i figli di Federico I Gonzaga, Francesco e Sigismondo. Sullo sfondo è rappresentata una veduta ideale di Roma, in cui si riconoscono il Colosseo, la piramide di Cestio, il teatro di Marcello,il ponte Nomentano, le Mura aureliane etc. Le pareti sud ed est sono coperte da tendaggi.

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La fama di Mantegna, più che all’immane impresa della “Camera degli Sposi”, fu però affidata ai “Trionfi di Cesare”, oggi ad Hampton Court: per la prima volta il tema antico veniva fatto rivivere in carne, con colori veri e figure vere; le tele di grande dimensione rappresentanti il lungo corteo del “Trionfo di Cesare” con i portatori d’insegne all’inizio e il carro di Cesare alla fine, sono ricche di figure in costume antico, con oggetti, armi e vessilli. Ispirate a descrizioni letterarie dei trionfi antichi, le tele del Mantegna sono mosse da un’attenta regia, che fa muovere i singoli personaggi secondo un ritmo alternato, conferendo all’insieme un forte senso di movimento.

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