Storia e storie stati ... · stati uniti / 2 Trump, icona «paleocon» di Massimo Teodori È...

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n. 250 DOMENICA - 11 SETTEMBRE 2016 Il Sole 24 Ore 41 Storia e storie stati uniti / 1 L’eterna questione dei neri Il tema dell’integrazione nella società americana attraversa la storia del Paese ed è tutt’oggi un nodo irrisolto, a tratti esplosivo di Vittorio Emanuele Parsi N on è facile scrivere una storia degli Stati Uniti d’America e riuscire ad essere originali. Con l’eccezione di quelle di cui si alimentano i cul- tori del gossip e della fantastoria, di cui la rete è bulimica, grandi novità sulla storia americana non se ne conoscono. In termini più complessivi, peraltro, l’oggetto è stato arato in lungo e in largo per decenni da migliaia di storici di tut- te le nazionalità, per cui, anche proce- dere verso la produzione di interpreta- zioni particolarmente inedite appare alquanto complicato. Per uno storico “americanista”, quindi, la sfida consi- ste nella realizzazione di un volume che descriva, spieghi e interpreti il “grande Paese” senza costruire solo l’ennesimo manuale universitario. Ebbene, il volu- me di Stefano Luconi è senz’altro un ec- cellente manuale universitario, scritto molto bene, accuratamente documen- tato, con una bibliografia ricca e aggior- nata, ma risulterà di sicuro interesse anche per chi voglia approfondire la co- noscenza degli Stati Uniti nell’anno delle elezioni presidenziali. Due sono le metafore che aprono e chiudono il libro. La prima, la “nazione indispensabile” cui fa riferimento il ti- tolo, è espressione resa celebre dal se- gretario di Stato Madeleine Albright (prima donna a ricoprire il prestigioso incarico) ai tempi della guerra di Bo- snia, coniata per sottolineare «i meriti acquisiti da Washington nella pacifica- zione della Bosnia a fronte dei prece- denti fallimenti degli europei». In que- sto senso, tutto il libro ci fornisce una chiave di lettura quasi introspettiva sul formarsi del comune sentire statuni- tense rispetto alla specificità america- na. È il “particolarismo” la cifra più au- tentica della lezione americana: un par- ticolarismo che si traduce alternativa- mente – ma mai in maniera esclusiva o definitiva – ora in isolazionismo ora in interventismo nelle altrui vicende. L’autore ha ben presente questa carat- teristica e ci fornisce i materiali origina- li con cui essa è stata forgiata fin dalle scaturigini del processo di insediamen- to europeo sulle coste del New England. Questo dualismo è implicito e costitu- tivo della stessa costruzione degli Stati Uniti, che «rappresentano sia la nazione di immigrati per antonomasia, sia un modello di società che mira a diffondersi nel mondo, universalizzando il proprio sistema di valori. Entrambi questi ele- menti distintivi iniziarono a profilarsi fin dal periodo coloniale, cioè prima che una porzione dell’America Settentrio- nale proclamasse l’indipendenza dal- l’Impero britannico e si costituisse in na- zione sovrana». La seconda la ritroviamo a mo’ di epi- taffio nelle conclusioni: «L’iperpotenza dai piedi d’argilla», dove sono accostate due immagini entrambe fortemente critiche rispetto agli Stati Uniti del nuo- vo millennio. Da un lato quella più evi- dente del “gigante dai piedi d’argilla” del famoso sogno attribuito a Nabuco- donosor dalla Bibbia (Daniele, II, 31-35), allusivo delle contraddizioni strutturali che (non da oggi) minano la forza e la stabilità degli Stati Uniti. Dall’altro quella della “iperpotenza”, reso popola- re dal ministro degli Esteri francese Hu- bert Védrine alla fine degli anni 90, e poi di fatto associata alla hybris con cui gli Stati Uniti esercitarono il proprio ruolo di superpotenza solitaria a cavallo degli anni Duemila. La chiave di lettura a mio avviso prin- cipale del volume è quella delle contrad- dizioni irrisolte nella storia degli Stati Uniti che, ben più dell’azione minaccio- sa di altre nazioni rivali, ne hanno pro- dotto una crescita “peculiare”. Utilizzo non a caso tale espressione perché pro- prio «l’istituzione peculiare» era il no- me con cui, nei documenti ufficiali della Federazione, si faceva ipocritamente ri- ferimento all’istituzione della schiavi- tù. Ed è proprio su questa tragica e lam- pante contraddizione tra «impero della libertà» (per dirla con Thomas Jeffer- son) e schiavitù e poi segregazione della popolazione di colore che Luconi riflet- te lungo l’intero arco del volume. Non che questa sia la sola questione che at- traversa la storia americana: ma di sicu- ro è quella più eclatante, a tutt’oggi irri- solta e ancora particolarmente esplosi- va. Il tema dell’integrazione razziale negli Stati Uniti non venne certo risolto neppure dalla Guerra Civile. Negli anni successivi alla cosiddetta “Ricostruzio- ne del Sud” (il suo sostanziale commis- sariamento da parte del Nord vincitore) esso verrà accantonato, al punto che dall’ultimo quarto del XIX secolo fino agli anni 60 del XX (grazie alle riforme fortemente volute dal presidente Lyn- don B. Johnson) la condizione dei neri negli Stati del Sud peggiorò sostanzial- mente. La popolazione di colore sarà te- nuta in posizione periferica anche du- rante il grande sforzo del New Deal roo- sevoltiano. Se quest’ultimo ridarà fiato e speranza alla working class bianca mo- dificherà solo marginalmente le condi- zioni di vita dei neri. Il lettore meno avvezzo alla storia degli Stati Uniti incontrerà in questo volume più di uno spunto, uno stimo- lo, una spiegazione delle radici pro- fonde delle ondate di tensione razzia- le che ciclicamente scuotono gli Stati Uniti, com’è accaduto in quest’anno di elezioni presidenziali. E riguardo a queste ultime, troverà più di un’illu- minazione sul fatto di come sia potuto succedere che la lotta per la somma ca- rica elettiva della più antica democra- zia si sia ridotta a quella tra la moglie di un ex presidente e un miliardario a dir poco bizzarro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Stefano Luconi, La «nazione indispensabile». Storia degli Stati Uniti dalle origini a oggi, Mondadori Education, Milano, pagg. 288, € 19 15 anni dopo | Sono passati 15 anni dall’attacco alle Torri Gemelle messo in atto dal commando di Al Qaeda. Oggi a Ground Zero le due enormi vasche con l’acqua che fluisce perenne ricordano i nomi delle vittime, impressi sui bordi in bronzo. Il complesso disegnato da Daniel Libeskind, con la Freedom Tower e il museo alla Memoria dedicato ai morti dell’attentato animano lo spazio del New World Trade Center, dove non si può mangiare per strada e non si può ascoltare musica: c’è un’atmosfera di pace e raccoglimento stati uniti / 2 Trump, icona «paleocon» di  Massimo Teodori È problematico comprendere la reale identità politica di Donald Trump, le ragioni per cui è riu- scito a divenire il candidato pre- sidenziale del Grand Old Party dopo ave- re messo fuori gioco la nomenclatura, e soprattutto quel che farebbe se entrasse alla Casa Bianca. Per mesi la sua irresisti- bile ascesa è stata punteggiata da com- menti tutt’altro che benevoli della gran- de stampa liberal - «giullare», «buffo- ne», «clown» - , e dal giudizio dei polito- logi che l’hanno descritto come populista, autoritario, realista, nativista, o addirittura fascista. Nella Febbre di Trump, il corrispon- dente dagli Stati Uniti del «Foglio» Mat- tia Ferraresi tenta di decodificare il per- sonaggio ritagliandogli addosso un’identità “paleocon” che sostiene far parte della tradizione americana non meno di quella quella “neocon” che ha avuto successo con la presidenza di Ge- orge W.Bush. Dopo avere ricostruito un’esistenza sospinta dalla narcisistica volontà di affermazione, culminata nel 1984 con la Trump Tower sulla Fifth Ave- nue (reclamizzato come il grattacielo più alto di Manhattan con dieci piani in più di quelli effettivi) e il reality show Apprenti- ce, il giornalista iscrive il candidato re- pubblicano nel fenomeno che Richard Hofstadter ha definito Anti-Intellectuali- sm in American Life. Nel saggio del 1964 lo storico partiva dall’analisi del maccarti- smo degli anni 50 («lo stile paranoico della politica americana») e risaliva ad alcuni tratti storici del carattere ameri- cano fondati sull’impopolarità dell’in- telletto, lo spirito evangelico, la rivolta contro la modernità, la paura, l’aliena- zione e il conformismo nella società do- minata dall’ideale del successo pratico che antepone i fatheads (teste grasse) agli eggheads (teste d’uovo). La tradizione repubblicana che è pre- valsa nel dopoguerra, da Eisenhower a Reagan, si basava sul conservatorismo sociale ed etico, il free market all’interno e all’estero, e su un internazionalismo aggressivo che è stato la premessa del globalismo a egemonia americana. Di- versamente i “paleo conservatori”, quale espressione della destra repubblicana che durante la Guerra Fredda ruotavano intorno alle riviste «Chronicles» e «American Conservatives», sono stati e continuano a essere caratterizzati dal- l’isolazionismo, dal protezionismo e dal nazionalismo in forma populista chia- mato anche “americanismo”, tutte istanze che sono esemplificate dalle pul- sioni “dadiste” di Donald Trump, dive- nuto una vera e propria icona pop. Per il candidato repubblicano non si può dunque parlare di un programma politico o di una linea di governo a cui si atterrebbe nel caso in cui fosse eletto l’8 novembre. A me tuttavia pare che tra le variegate suggestioni lanciate nella campagna elettorale, quella che più lega Trump ai suoi elettori sia la reazione tal- volta rabbiosa di una parte della classe media bianca impaurita all’avanzamen- to demografico e politico dei non-bian- chi (afroamericani e ispanici) rappre- sentato proprio dalla presidenza Oba- ma. Il personaggio che promette di dare agli americani «tutto quello che hanno cercato per cinquant’anni, soldi, potere, vittorie, orgoglio, e bistecche», esprime così l’archetipo della destra identitaria e cioè «il candidato dell’uomo bianco con- tro le derive multiculturali». © RIPRODUZIONE RISERVATA Mattia Ferraresi. Un fenomeno americano, Marsilio, Venezia, pagg. 160, € 12 M orello. Giuseppe Morello, alias “Artiglio”, “Mignolo” e “Jack un Dito”. Fondatore e capo della prima famiglia mafiosa di New York, e “capo dei capi” della mafia americana fino al 1910. Nato a Corleone, in Sicilia, nel 1867; sospettato di omicidio e abigeato, e riconosciuto colpevole di contraffazione da un tribunale siciliano. Giunto negli Stati Uniti nel 1892; arrestato con l’accusa di falsificazione nel 1900 e in rapporto al delitto del barile nel 1903; principale indiziato nella misteriosa scomparsa e probabile omicidio di una giovane domestica; organizzatore di vasti giri di estorsione e numerose attività illegali; sospettato di coinvolgimento in 60 omicidi. In carcere dal 1910 al 1920; al suo rilascio, fu condannato a morte dall’assemblea generale della mafia. Revocata la condanna, divenne un autorevole consigliere dei boss di seconda generazione. Ucciso nell’agosto del 1930 da mafiosi rivali. Artiglio. Morello, soprannominato “Artiglio” per via di una mano deforme provvista del solo mignolo. Delitto del barile. Benedetto Madonia, siciliano residente a Buffalo, New York, sposato con Lucy, due figli, s’era deciso ad aiutare il cognato finito a Sing Sing raccogliendo mille dollari per pagargli un avvocato che lo tirasse fuori di lì. Siccome però considerava rischioso inviargli direttamente i soldi, aveva preferito indirizzare la busta a certi conoscenti di New York, tra cui un tale Giuseppe Morello, «capo di una grande società, una società segreta» (la moglie Lucy). Passò un mese senza che nulla accadesse, né gli amici risposero alle richieste di spiegazioni di Madonia, così l’uomo decise di andare personalmente a New York per risolvere la questione. Fu ritrovato poi – la gola tagliata, diciassette lesioni in viso – il 14 aprile del 1903 infilato in un barile all’incrocio tra l’11 esima Strada Est e l’Avenue D. Immigrazione. Nel 1892 il governo statunitense aveva aperto un enorme centro d’immigrazione sull’isola di Manhattan, con centinaia di ispettori e ufficiali sanitari in grado di esaminare fino a dodicimila persone in un’ora. Qui gli emigrati venivano interrogati sulle loro prospettive di lavoro – gli uomini dovevano avere già un’occupazione ad attenderli – e dovevano dimostrare di avere il denaro sufficiente a mantenersi. Venivano anche visitati per stabilire se avessero malattie. Gli ispettori contrassegnavano i loro abiti con il gesso: L per lame (zoppia); G per goiter (gozzo); H per heart condition (disturbo cardiaco). Chi era stato contrassegnato con una di queste lettere veniva trattenuto per ulteriori accertamenti, ed eventualmente rispedito al paese d’origine. Italiani. Italiani a New York nel 1850: meno di 1.000. Nel 1880: 13.000. Nel 1900: 150.000. Nel 1910: 340.000 Little Italy. A Little Italy le condizioni di vita erano dure. D’inverno le case erano fredde e umide, i muri talmente impregnati d’acqua che quando si accendeva un fuoco si alzava il vapore; d’estate si moriva dal caldo, al punto che persino i siciliani preferivano dormire sui tetti o sulle scale antincendio. Le camere da letto fungevano da salotto, le cucine da camera da letto. I servizi igienici, al pian terreno, erano condivisi da 50 o 60 persone. Non c’erano bagni: per lavarsi bisognava andare in quelli pubblici. Tutti gli stabili erano infestati da scarafaggi, cimici e topi. Falsario. Morello, sbarcato in America nel 1892, iniziò la sua attività di falsario tra i 1898 e il 1899, avendo tentato inutilmente di sopravvivere onestamente. Arrestato nel 1900, dopo essersi messo in affari con un irlandese, una volta libero decise che si sarebbe affidato solo ad altri siciliani. E tra il 1900 e il 1903 creò la prima famiglia mafiosa di Manhattan. © RIPRODUZIONE RISERVATA Notizie tratte da: Mike Dash, C’era una volta la mafia, ed. Newton Compton, Roma, pagg. 332, € 9,90 Quant’era povera Little Italy la biblioteca di Giorgio Dell’Arti milano Annie e le sue donne P rima o poi è capitato a tutti di imbattersi in una foto di Annie Leibovitz (a sinistra, qui sopra), anche solo distrattamente, e di apprez- zarne la potenza. E chi non ha in mente l’ultima che lascia senza fiato, quella della famiglia reale britannica ritratta al completo con i figli del principe William? Per questo va colta l’opportunità di gustarsi i volti di tante donne che la fotografa ha ritratto negli ultimi 15 anni , offerta da Milano e da Ubs, che ha voluto la mostra «Women:new portrait» in uno spazio di per sé interessante, la Fabbrica- Orobia 15 (via Orobia 15, appunto, fino al 2 ottobre). Sono donne forti, quelle di Leibovitz. Donne che ce l’hanno fatta, che hanno un ruolo pubblico, si sono affer- mate come cantanti (Adele, Patti Smith), protagoniste dell’economia (Sheryl Sandberg), scrittrici ( Joan Didion, Lena Dunham ), attrici (Lupita Nyong’o), stelle dello sport (Serena Williams), esponenti politiche e paladine dei diritti umani (Aung San Suu Kyi, qui nella foto a destra; Samantha Power, Malala). «In questi ultimi 15 anni - ha dichiarato Leibovitz - ho potuto constatare come nelle donne sia cresciuto un senso di sicurezza e fiducia in se stesse». E le italiane? «Fotograferò Miuccia Prada, ho molto rispetto per lei. Volevo Elena Ferrante, ho letto la sua serie, sarebbe bello se si manifestasse», ha scherzato. Ma non troppo... – E.D.C © RIPRODUZIONE RISERVATA Il candidato esprime l’archetipo della destra identitaria, paladina della classe media bianca contro «le derive multiculturali» 1-9-2001/ 11-9-2016 AUNG SAN SUU KYI, 2012 © ANNIE LEIBOVITZ FROM WOMEN NEW PORTRAITS, COMMISSIONED BY UBS friuli storia a satta La giuria dei 200 lettori ha assegnato la III edizione del Premio nazionale di Storia contemporanea Friuli Storia a «I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piom- bo» di Vladimiro Satta, edito da Rizzoli, che ha prevalso su Ettore Cinnella ( «Ucraina. Il genocidio dimenticato», Della Porta) e Silvia Salvatici («Nel nome degli altri. Storia dell’umanitarismo internazionale», il Mulino). Premiazione a Udine il 22 settembre ANNIE LEIBOVITZ, NEW YORK CITY, 2012 © ANNIE LEIBOVITZ FROM WOMEN: NEW PORTRAITS, COMMISSIONED BY UBS Yasmine Ergas sulla «paura dell’uomo nero» Era il 21 dicembre del 2014 quando la Domenica pubblicò un’intervista di Eliana Di Caro a Yasmine Ergas, docente alla Columbia University, sulla violenza razziale esplosa in quelle settimane a New York: nella società Usa, disse la studiosa, l'uomo afroamericano è percepito ancora come simbolo del pericolo www.archiviodomenica.ilsole24ore.com

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n. 250 DOMENICA - 11 SETTEMBRE 2016 Il Sole 24 Ore 41

Storia e storiestati uniti / 1

L’eterna questione dei neriIl tema dell’integrazionenella società americanaattraversa la storiadel Paese ed è tutt’oggiun nodo irrisolto,a tratti esplosivo

di Vittorio Emanuele Parsi

N on è facile scrivere unastoria degli Stati Unitid’America e riuscire adessere originali. Conl’eccezione di quelle dicui si alimentano i cul-

tori del gossip e della fantastoria, di cuila rete è bulimica, grandi novità sullastoria americana non se ne conoscono.In termini più complessivi, peraltro,l’oggetto è stato arato in lungo e in largoper decenni da migliaia di storici di tut-te le nazionalità, per cui, anche proce-dere verso la produzione di interpreta-zioni particolarmente inedite apparealquanto complicato. Per uno storico“americanista”, quindi, la sfida consi-ste nella realizzazione di un volume chedescriva, spieghi e interpreti il “grandePaese” senza costruire solo l’ennesimomanuale universitario. Ebbene, il volu-me di Stefano Luconi è senz’altro un ec-cellente manuale universitario, scrittomolto bene, accuratamente documen-tato, con una bibliografia ricca e aggior-nata, ma risulterà di sicuro interesseanche per chi voglia approfondire la co-noscenza degli Stati Uniti nell’annodelle elezioni presidenziali.

Due sono le metafore che aprono echiudono il libro. La prima, la “nazioneindispensabile” cui fa riferimento il ti-tolo, è espressione resa celebre dal se-gretario di Stato Madeleine Albright(prima donna a ricoprire il prestigiosoincarico) ai tempi della guerra di Bo-snia, coniata per sottolineare «i meritiacquisiti da Washington nella pacifica-zione della Bosnia a fronte dei prece-denti fallimenti degli europei». In que-sto senso, tutto il libro ci fornisce unachiave di lettura quasi introspettiva sulformarsi del comune sentire statuni-tense rispetto alla specificità america-na. È il “particolarismo” la cifra più au-tentica della lezione americana: un par-ticolarismo che si traduce alternativa-mente – ma mai in maniera esclusiva odefinitiva – ora in isolazionismo ora ininterventismo nelle altrui vicende.L’autore ha ben presente questa carat-teristica e ci fornisce i materiali origina-li con cui essa è stata forgiata fin dallescaturigini del processo di insediamen-to europeo sulle coste del New England.

Questo dualismo è implicito e costitu-tivo della stessa costruzione degli StatiUniti, che «rappresentano sia la nazione

di immigrati per antonomasia, sia unmodello di società che mira a diffondersinel mondo, universalizzando il propriosistema di valori. Entrambi questi ele-menti distintivi iniziarono a profilarsifin dal periodo coloniale, cioè prima cheuna porzione dell’America Settentrio-nale proclamasse l’indipendenza dal-l’Impero britannico e si costituisse in na-zione sovrana».

La seconda la ritroviamo a mo’ di epi-taffio nelle conclusioni: «L’iperpotenzadai piedi d’argilla», dove sono accostatedue immagini entrambe fortementecritiche rispetto agli Stati Uniti del nuo-vo millennio. Da un lato quella più evi-dente del “gigante dai piedi d’argilla”del famoso sogno attribuito a Nabuco-donosor dalla Bibbia (Daniele, II, 31-35),allusivo delle contraddizioni strutturaliche (non da oggi) minano la forza e lastabilità degli Stati Uniti. Dall’altroquella della “iperpotenza”, reso popola-re dal ministro degli Esteri francese Hu-bert Védrine alla fine degli anni 90, e poidi fatto associata alla hybris con cui gliStati Uniti esercitarono il proprio ruolodi superpotenza solitaria a cavallo deglianni Duemila.

La chiave di lettura a mio avviso prin-

cipale del volume è quella delle contrad-dizioni irrisolte nella storia degli StatiUniti che, ben più dell’azione minaccio-sa di altre nazioni rivali, ne hanno pro-dotto una crescita “peculiare”. Utilizzonon a caso tale espressione perché pro-prio «l’istituzione peculiare» era il no-me con cui, nei documenti ufficiali dellaFederazione, si faceva ipocritamente ri-ferimento all’istituzione della schiavi-tù. Ed è proprio su questa tragica e lam-pante contraddizione tra «impero dellalibertà» (per dirla con Thomas Jeffer-son) e schiavitù e poi segregazione dellapopolazione di colore che Luconi riflet-te lungo l’intero arco del volume. Nonche questa sia la sola questione che at-traversa la storia americana: ma di sicu-ro è quella più eclatante, a tutt’oggi irri-solta e ancora particolarmente esplosi-va. Il tema dell’integrazione razzialenegli Stati Uniti non venne certo risoltoneppure dalla Guerra Civile. Negli annisuccessivi alla cosiddetta “Ricostruzio-ne del Sud” (il suo sostanziale commis-sariamento da parte del Nord vincitore)esso verrà accantonato, al punto chedall’ultimo quarto del XIX secolo finoagli anni 60 del XX (grazie alle riformefortemente volute dal presidente Lyn-

don B. Johnson) la condizione dei nerinegli Stati del Sud peggiorò sostanzial-mente. La popolazione di colore sarà te-nuta in posizione periferica anche du-rante il grande sforzo del New Deal roo-sevoltiano. Se quest’ultimo ridarà fiatoe speranza alla working class bianca mo-dificherà solo marginalmente le condi-zioni di vita dei neri.

Il lettore meno avvezzo alla storiadegli Stati Uniti incontrerà in questovolume più di uno spunto, uno stimo-lo, una spiegazione delle radici pro-fonde delle ondate di tensione razzia-le che ciclicamente scuotono gli StatiUniti, com’è accaduto in quest’anno dielezioni presidenziali. E riguardo aqueste ultime, troverà più di un’illu-minazione sul fatto di come sia potutosuccedere che la lotta per la somma ca-rica elettiva della più antica democra-zia si sia ridotta a quella tra la mogliedi un ex presidente e un miliardario adir poco bizzarro.

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Stefano Luconi, La «nazione indispensabile». Storia degli Stati Uniti dalle origini a oggi, Mondadori Education, Milano, pagg. 288, € 19

15 anni dopo | Sono passati 15 anni dall’attacco alle Torri Gemelle messo in atto dal commando di Al Qaeda. Oggi a Ground Zero le due enormi vasche con l’acqua che fluisce perenne ricordano i nomi delle vittime, impressi sui bordi in bronzo. Il complesso disegnato da Daniel Libeskind, con la Freedom Tower e il museo alla Memoria dedicato ai morti dell’attentato animano lo spazio del New World Trade Center, dove non si può mangiare per strada e non si può ascoltare musica: c’è un’atmosfera di pace e raccoglimento

stati uniti / 2

Trump,icona«paleocon»

di Massimo Teodori

Èproblematico comprendere lareale identità politica di DonaldTrump, le ragioni per cui è riu-scito a divenire il candidato pre-

sidenziale del Grand Old Party dopo ave-re messo fuori gioco la nomenclatura, esoprattutto quel che farebbe se entrassealla Casa Bianca. Per mesi la sua irresisti-bile ascesa è stata punteggiata da com-menti tutt’altro che benevoli della gran-de stampa liberal - «giullare», «buffo-ne», «clown» - , e dal giudizio dei polito-logi che l’hanno descritto come populista, autoritario, realista, nativista,o addirittura fascista.

Nella Febbre  di  Trump, il corrispon-dente dagli Stati Uniti del «Foglio» Mat-tia Ferraresi tenta di decodificare il per-sonaggio ritagliandogli addossoun’identità “paleocon” che sostiene far parte della tradizione americana non meno di quella quella “neocon” che haavuto successo con la presidenza di Ge-orge W.Bush. Dopo avere ricostruito un’esistenza sospinta dalla narcisisticavolontà di affermazione, culminata nel1984 con la Trump Tower sulla Fifth Ave-nue (reclamizzato come il grattacielo piùalto di Manhattan con dieci piani in più diquelli effettivi) e il reality show Apprenti­ce, il giornalista iscrive il candidato re-pubblicano nel fenomeno che RichardHofstadter ha definito Anti­Intellectuali­sm in American Life. Nel saggio del 1964 lostorico partiva dall’analisi del maccarti-smo degli anni 50 («lo stile paranoicodella politica americana») e risaliva adalcuni tratti storici del carattere ameri-

cano fondati sull’impopolarità dell’in-telletto, lo spirito evangelico, la rivolta contro la modernità, la paura, l’aliena-zione e il conformismo nella società do-minata dall’ideale del successo praticoche antepone i fatheads (teste grasse) aglieggheads (teste d’uovo).

La tradizione repubblicana che è pre-valsa nel dopoguerra, da Eisenhower aReagan, si basava sul conservatorismosociale ed etico, il free market all’internoe all’estero, e su un internazionalismoaggressivo che è stato la premessa delglobalismo a egemonia americana. Di-versamente i “paleo conservatori”, qualeespressione della destra repubblicanache durante la Guerra Fredda ruotavanointorno alle riviste «Chronicles» e«American Conservatives», sono stati econtinuano a essere caratterizzati dal-l’isolazionismo, dal protezionismo e dalnazionalismo in forma populista chia-mato anche “americanismo”, tutteistanze che sono esemplificate dalle pul-sioni “dadiste” di Donald Trump, dive-nuto una vera e propria icona pop.

Per il candidato repubblicano non sipuò dunque parlare di un programma politico o di una linea di governo a cui siatterrebbe nel caso in cui fosse eletto l’8novembre. A me tuttavia pare che tra levariegate suggestioni lanciate nellacampagna elettorale, quella che più legaTrump ai suoi elettori sia la reazione tal-volta rabbiosa di una parte della classemedia bianca impaurita all’avanzamen-to demografico e politico dei non-bian-chi (afroamericani e ispanici) rappre-sentato proprio dalla presidenza Oba-ma. Il personaggio che promette di dareagli americani «tutto quello che hannocercato per cinquant’anni, soldi, potere,vittorie, orgoglio, e bistecche», esprimecosì l’archetipo della destra identitaria ecioè «il candidato dell’uomo bianco con-tro le derive multiculturali».

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Mattia Ferraresi. Un fenomeno americano, Marsilio, Venezia, pagg. 160, € 12

M orello. GiuseppeMorello, alias “Artiglio”,“Mignolo” e “Jack unDito”. Fondatore e capo

della prima famiglia mafiosa di New York, e “capo dei capi” della mafia americana fino al 1910. Nato a Corleone, in Sicilia, nel 1867; sospettato di omicidio e abigeato, e riconosciuto colpevole di contraffazione da un tribunale siciliano. Giunto negli Stati Uniti nel 1892; arrestato con l’accusa di falsificazione nel 1900 e in rapporto al delitto del barile nel 1903; principale indiziato nella misteriosa scomparsa e probabile omicidio di una giovane domestica; organizzatore di vasti giri di estorsione e numerose attività illegali; sospettato di coinvolgimento in 60 omicidi. In carcere dal 1910 al 1920; al suo rilascio, fu condannato a morte dall’assemblea generale della mafia. Revocata la condanna, divenne un autorevole consigliere dei boss di seconda generazione. Ucciso nell’agosto del 1930 da mafiosi rivali.Artiglio. Morello, soprannominato “Artiglio” per via di una mano deforme provvista del solo mignolo.Delitto del barile. Benedetto Madonia, siciliano residente a Buffalo, New York, sposato con Lucy, due figli, s’era deciso ad aiutare il cognato finito a Sing Sing raccogliendo mille dollari per pagargli un avvocato che lo tirasse fuori di lì. Siccome però considerava rischioso inviargli direttamente i soldi, aveva preferito indirizzare la busta a certi conoscenti di New York, tra cui un tale Giuseppe Morello, «capo di una grande società, una società segreta» (la moglie Lucy). Passò un mese senza che nulla accadesse, né gli amici risposero alle richieste di spiegazioni di Madonia, così l’uomo decise di andare personalmente a New York per risolvere la questione. Fu ritrovato poi – la gola tagliata, diciassette lesioni in viso – il 14 aprile del 1903 infilato in un barile all’incrocio tra l’11esima Strada Est e l’Avenue D.Immigrazione. Nel 1892 il governo statunitense aveva aperto un enorme centro d’immigrazione sull’isola di Manhattan, con centinaia di ispettori e ufficiali sanitari in grado di esaminare fino a dodicimila persone in un’ora. Qui gli emigrati venivano interrogati sulle loro prospettive di lavoro – gli uomini dovevano avere già un’occupazione ad attenderli – e dovevano dimostrare di avere il denaro sufficiente a mantenersi. Venivano anche visitati per stabilire se avessero malattie. Gli ispettori contrassegnavano i loro abiti con il gesso: L per lame (zoppia); G per goiter (gozzo); H per heart condition (disturbo cardiaco). Chi era stato contrassegnato con una di queste lettere veniva trattenuto per ulteriori accertamenti, ed eventualmente rispedito al paese d’origine.Italiani. Italiani a New York nel 1850: meno di 1.000. Nel 1880: 13.000. Nel 1900: 150.000. Nel 1910: 340.000Little Italy. A Little Italy le condizioni di vita erano dure. D’inverno le case erano fredde e umide, i muri talmente impregnati d’acqua che quando si accendeva un fuoco si alzava il vapore; d’estate si moriva dal caldo, al punto che persino i siciliani preferivano dormire sui tetti o sulle scale antincendio. Le camere da letto fungevano da salotto, le cucine da camera da letto. I servizi igienici, al pian terreno, erano condivisi da 50 o 60 persone. Non c’erano bagni: per lavarsi bisognava andare in quelli pubblici. Tutti gli stabili erano infestati da scarafaggi, cimici e topi.Falsario. Morello, sbarcato in America nel 1892, iniziò la sua attività di falsario tra i 1898 e il 1899, avendo tentato inutilmente di sopravvivere onestamente. Arrestato nel 1900, dopo essersi messo in affari con un irlandese, una volta libero decise che si sarebbe affidato solo ad altri siciliani. E tra il 1900 e il 1903 creò la prima famiglia mafiosa di Manhattan.

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Notizie tratte da: Mike Dash, C’era una volta la mafia, ed. Newton Compton, Roma, pagg. 332, € 9,90

Quant’erapoveraLittle Italy

la bibliotecadi Giorgio Dell’Arti

milano

Annie e le sue donne

Prima o poi è capitato a tutti di imbattersi in una foto di AnnieLeibovitz (a sinistra, qui sopra),

anche solo distrattamente, e di apprez­zarne la potenza. E chi non ha in mente l’ultima che lascia senza fiato, quella della famiglia reale britannica ritratta al completo con i figli del principe William? Per questo va colta l’opportunità di gustarsi i volti di tante donne che la fotografa ha ritratto negli ultimi 15 anni , offerta da Milano e da Ubs, che ha voluto la mostra «Women:new portrait» in uno spazio di per sé interessante, la Fabbrica­Orobia 15 (via Orobia 15, appunto, fino al 2 ottobre). Sono donne forti, quelle di Leibovitz. Donne che ce l’hanno fatta, che hanno un ruolo pubblico, si sono affer­

mate come cantanti (Adele, Patti Smith), protagoniste dell’economia (Sheryl Sandberg), scrittrici ( Joan Didion, Lena Dunham ), attrici (Lupita Nyong’o), stelle dello sport (Serena Williams), esponenti politiche e paladine dei diritti umani (Aung San Suu Kyi, qui nella foto a destra; Samantha Power, Malala). «In questi ultimi 15 anni ­ ha dichiarato Leibovitz ­ ho potuto constatare come nelle donne sia cresciuto un senso di sicurezza e fiducia in se stesse». E le italiane? «Fotograferò Miuccia Prada, ho molto rispetto per lei. Volevo Elena Ferrante, ho letto la sua serie, sarebbe bello se si manifestasse», ha scherzato. Ma non troppo...

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Il candidato esprimel’archetipo della destraidentitaria, paladina dellaclasse media bianca contro«le derive multiculturali»

1-9-2001/11-9-2016

AUNG SAN SUU KYI, 2012 © ANNIE LEIBOVITZFROM WOMEN NEW PORTRAITS, COMMISSIONED BY UBS

friuli storia a satta

La giuria dei 200 lettori ha assegnato la III edizione del Premio nazionale di Storia contemporanea Friuli Storia a «I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piom­bo» di Vladimiro Satta, edito da Rizzoli, che ha prevalso su Ettore Cinnella ( «Ucraina. Il genocidio dimenticato», Della Porta) e Silvia Salvatici («Nel nome degli altri. Storia dell’umanitarismo internazionale», il Mulino). Premiazione a Udine il 22 settembre

ANNIE LEIBOVITZ, NEW YORK CITY, 2012 © ANNIE LEIBOVITZFROM WOMEN: NEW PORTRAITS, COMMISSIONED BY UBS

Yasmine Ergas sulla «paura dell’uomo nero»Era il 21 dicembre del 2014 quando la Domenica pubblicò un’intervista di Eliana Di Caro a Yasmine Ergas, docente alla Columbia University, sulla violenza razziale esplosa in quelle settimane a New York: nella società Usa, disse la studiosa, l'uomo afroamericano è percepito ancora come simbolo del pericolo www.archiviodomenica.ilsole24ore.com