STORIA E STORIE - giunti.it · Le unità ausiliarie dell’esercito romano 85 10.Batavi e Tungri 99...

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STORIA E STORIE

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Sul confine dell’impero

IMPRESE MILITARI E VITA QUOTIDIANA

DEI SOLDATI DI ROMA

SANDRO MATTEONI

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Tavole cartografiche: Stefano BeniniRealizzazione editoriale: Scribedit, Bologna

www.giunti.it

© 2016 Giunti Editore S.p.A.Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – ItaliaPiazza Virgilio 4 – 20123 Milano – ItaliaPrima edizione: giugno 2016

Stampato presso Grafica Veneta SpA, stabilimento di Trebaseleghe

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INDICE

INTRODUZIONE 9

I Parte 21

1. La Britannia e il mondo classico e mediterraneo 23

2. Le spedizioni di Cesare 35

3. Interludio 41

4. L’invasione romana della Britannia (43 d.C.) 47

5. La prosecuzione della campagna (43-51) 57

6. La rivolta di Boadicea 63

7. Le campagne di Agricola 71

8. La costruzione della frontiera settentrionale 77

II Parte 83

9. Le unità ausiliarie dell’esercito romano 85

10. Batavi e Tungri 99

11. il forte di Vindolanda 111

12. Tungri, Batavi e ancora Tungri 121

13. Gli Ufficiali e le loro donne 159

14. la routine militare 195

15. i soldati 217

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III Parte 233

16. La Britannia tardo romana 237

17. La fine della Britannia romana 253

18. Vindolanda dopo i Tungri 271

19. la riscoperta 287

Appendice

IL FORTE ROMANO 301

RINGRAZIAMENTI 307

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 309

INDICE DEI NOMI, DEI LUOGHI, DEI POPOLI 311

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Dedicato ai soldati che servirono Roma

sulla frontiera di Vindolanda

85-400 Anno Domini

Coorti:

I Tungri

III Batavi

VIIII Batavi

II Nervi

III Nervi

IV Galli

Vessillazioni da:

I Coorte Verdullorum

II Legione Augusta

VI Legione Victrix

XX Legione Valeria Victrix

E altri sconosciuti

Dal monumento moderno davanti al Cottage di Chesterholm, sede del museo di Vindolanda

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Introduzione

«Se mi vuoi bene, fratello, mandami delle reti da caccia», così

inizia una lettera scritta da Flavio Ceriale, comandante della

IX coorte batava che alla fine del I secolo d.C. era di stanza nel

forte di Vindolanda, lungo la frontiera settentrionale della pro-

vincia di Britannia. In un’altra lettera, anche questa giuntaci da

Vindolanda, si può leggere: «Vittio Adiutore, aquilifero della II

legione Augusta, a Cassio Secolare, il suo fratellino, molti saluti».

Flavio Ceriale era il praefectus della coorte batava, un uf-

ficiale paragonabile a un odierno comandante di battaglione;

mentre Vittio era un aquilifer (porta aquila) di una legione, la

II Augusta, quindi addirittura un ufficiale inferiore. Si tratta in

sostanza di due personaggi minori, due uomini comuni, figure

delle quali molto di rado si trovano tracce nei libri di storia.

Soprattutto occupandosi di periodi molto lontani, come

quegli anni a cavallo tra il I e il II secolo d.C. quando vissero e

scrissero le loro lettere Ceriale e Adiutore, è rarissimo avere la

possibilità di avvalersi di documenti diretti, di lettere o di atti

amministrativi scritti da uomini o donne comuni. I «grandi»

della terra lasciano tracce per i biografi del futuro, i «piccoli»

no; e anche lo studioso di microstoria che indaga le vicende

di comunità locali su lunghi periodi deve spesso rinunciare ai

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10 Sul confine dell’Impero

singoli e limitarsi alla collettività. I nomi, le vite, i problemi,

le speranze degli uomini e delle donne comuni difficilmente

vengono registrati. E ancor più difficilmente eventuali registra-

zioni sopravvivono al trascorrere del tempo. Per disporre di un

materiale simile occorre un vero e proprio miracolo. Per fortuna

però, almeno in archeologia, qualche volta i miracoli accadono;

e uno di questi miracoli archeologici è avvenuto proprio nel

remoto e secondario forte ausiliario di Vindolanda.

Cosa è successo a Vindolanda che ha portato alla scoperta

«miracolosa»? Proviamo a ricostruirlo. Anzi, proviamo a rac-

contarlo. Non possiamo essere sicuri che i fatti si siano svolti

esattamente come li esporremo, ma è molto probabile che le

cose siano andate più o meno così.

VINDOLANDA, 105 D.C.

In un giorno della primavera del 105 un cavaliere si presentò

alla porta del forte (anche una macchina efficiente come l’eser-

cito romano si fermava o quasi nel corso dell’inverno, a mag-

gior ragione nelle zone più a nord, come la parte settentrionale

della già nordica provincia di Britannia, per riprendere a pieno

regime con il sopraggiungere della bella stagione). Il cavalie-

re era un messaggero, e probabilmente arrivava dal comando

legionario di York (Eboracum), sede della IX legio Hispana da

cui dipendevano i reparti ausiliari dislocati sulla frontiera. O

forse proveniva addirittura da Londra (Londinium), dove ri-

siedeva il governatore provinciale. Il messaggio che il cavaliere

portava era destinato a sconvolgere la relativamente tranquilla

vita di guarnigione della IX cohors Batavorum. Indirettamente,

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11Introduzione

avrebbe provocato quel miracolo archeologico del quale abbia-

mo parlato.

Il messaggero fu scortato dagli uomini di guardia lungo la via

principalis fino all’incrocio con la via praetoria, dove sorgevano

i principia, l’edificio, allora probabilmente ancora in legno, che

ospitava il comando del reparto. In realtà il nostro messaggero

non avrebbe avuto alcun bisogno di essere accompagnato. Le

installazioni militari romane, che fossero i forti legionari, quelli

ausiliari o i semplici campi di marcia, variavano per dimensione,

adattandosi al tipo di unità che componeva la guarnigione, ma

erano per il resto assolutamente identici nella struttura e nella

configurazione, tanto che un soldato o un ufficiale si sarebbe

trovato perfettamente a suo agio in un forte del limes renano,

in uno della frontiera siriaca o a Vindolanda, nella Britannia

settentrionale. Anche in questa omogeneità di costruzione ri-

siedeva parte della grandezza di Roma e del suo esercito.

Comunque il messaggero raggiunse i principia, fu ammesso

al cospetto di Flavio Ceriale e gli consegnò il plico con gli ordini

per i Batavi. Ovviamente non sappiamo come Flavio reagì alla

lettura del messaggio; ma non ci pare improbabile che al preafec-

tus sia sfuggita una smorfia, nonostante la rigida disciplina alla

quale era abituato. Quegli ordini infatti avrebbero per sempre

cambiato la sua vita, quella della sua famiglia, che viveva nel

praetorium del forte, giusto dall’altra parte della via principalis,

e quelle di tutti i suoi uomini: i Batavi, infatti, dovevano quanto

prima lasciare Vindolanda, attraversare praticamente l’intero

impero e unirsi all’esercito che Traiano stava radunando sul

basso corso del Danubio per condurre la sua seconda campagna

in Dacia.

Flavio era in ogni caso un soldato, anzi un ufficiale romano,

e sapeva obbedire agli ordini. Ci piace pensare che per prima

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cosa si sia recato dalla giovane moglie, Sulpicia Lepidina, per

darle la notizia e fare in modo che iniziasse a preparare per il

lungo viaggio la familia, i figli e gli schiavi domestici. Subito

dopo deve aver riunito i centurioni, a cominciare dal suo pri-

mipilo (primus pilus), il centurione anziano al comando della

prima centuria, di fatto il vicecomandante della coorte. Molto

lavoro attendeva i soldati e gli ufficiali: si dovevano preparare

le scorte di vettovaglie per il viaggio e c’era da imballare tutto

quello che sarebbe stato necessario portare con sé: le armi, le

tende, gli attrezzi per la costruzione dei campi di marcia, i signa

(le sacre insegne della coorte) e non ultimo il denaro della cassa

del reparto. C’erano anche cose che non sarebbe stato possibile

portarsi dietro: certo una parte dei possedimenti dei soldati,

beni accumulati nel corso degli anni e che avevano reso un poco

più comoda la vita negli spartani contubernia che formavano

gli accasermamenti della truppa.

Il viaggio che li attendeva era lunghissimo. Svariate migliaia

di chilometri separano Vindolanda dal forte di Buridava, nell’at-

tuale Romania, dove si è ritrovata una piastrella con l’iscrizione

CIXB (coorte nona dei Batavi), allo stesso tempo conferma che

il reparto giunse a destinazione e ultima menzione sopravvissuta

della coorte. Un viaggio lunghissimo, dicevamo, e Flavio sape-

va che i suoi uomini avrebbero dovuto marciare il più leggeri

possibile.

Sicuramente non si poteva portare nemmeno l’archivio della

coorte. Un archivio che conteneva non solo il resoconto delle

attività militari e amministrative dei Batavi nei loro quasi dodici

anni di permanenza a Vindolanda e, in parte, della coorte dei

Tungri che li aveva preceduti, ma anche un numero importante

di lettere private, notazioni personali e comunicazioni informali

lasciate dagli uomini e dalle donne che in quel periodo avevano

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13Introduzione

vissuto nel forte; il tutto scritto, con inchiostri naturali o tramite

incisioni su cera, sopra sottili tavolette di legno.

Ceriale quindi ordinò che ci si disfacesse dell’ingombrante

e ormai poco utile archivio. Le tavolette avrebbero potuto es-

sere eliminate facilmente, avrebbero potuto ad esempio essere

bruciate; ma i soldati sono sempre simili a sé stessi, e oggi come

allora detestano distruggere le cose che per anni hanno accu-

dito con attenzione. Per decisione di qualcuno, forse di uno

dei centurioni o forse dell’actuarius, una sorta di capo furiere

responsabile degli uffici amministrativi della coorte, il materiale

fu gettato nel fossato che circondava il campo, per la precisione

a sud-ovest della fortificazione, non lontano da una delle porte.

Ed è qui che inizia il nostro «miracolo» archeologico.

In realtà, vari fattori in qualche modo contribuirono al «mi-

racolo». Il forte era costruito in un’area gessosa: Vindolanda nel-

la lingua celtica significa paese bianco, territorio bianco. Inoltre

il terreno su cui sorgeva la struttura era in pendenza verso una

stretta valle in cui scorreva un piccolo torrente, oggi chiamato

Brackies Burn, per cui ogni volta che si metteva mano alla ri-

strutturazione o addirittura alla ricostruzione della fortezza i

genieri romani tendevano ad ammassare i detriti verso la parte

più bassa del pendio per diminuirne l’inclinazione. Questi due

elementi hanno fatto sì che i vari strati si siano fortemente com-

pattati quasi sigillando i reperti che contenevano.

Quando gettarono il loro archivio nel fossato, subito prima

di lasciare Vindolanda, i soldati coprirono il materiale con un

deposito di terra gessosa, cosa che diede alle tavolette una pri-

ma protezione; e la fortuna ha voluto che all’arrivo della coorte

dei Tungri, pochi mesi o poche settimane dopo la partenza dei

Batavi, si decidesse di rivedere la struttura del forte (a differenza

dei Batavi i Tungri formavano una coorte peditata, cioè di sola

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14 Sul confine dell’Impero

fanteria, meno numerosa e che non aveva bisogno delle stalle

per i cavalli). I vecchi bastioni in terra battuta furono rimpiazzati

da una struttura difensiva permanente in pietra, e proprio sul

luogo dove erano stati sepolti i documenti venne gettata una

massicciata, forse le fondamenta di una parte del sistema viario

della fortezza. Così fin da subito si creò quello che gli archeologi

definiscono un «pozzo umido», cioè un ambiente nel quale è

molto difficile la formazione e la crescita di batteri aerobi, che

sono tra i principali responsabili del degrado dei materiali or-

ganici come il legno delle tavolette sepolte dagli ausiliari della

IX cohors Batavorum.

Furono queste le condizioni di base che consentirono il

«miracolo» archeologico della conservazione delle tavole. Ora

occorreva che qualcuno le ritrovasse, perché potessero essere

preservate, lette e tradotte, e perché il loro contenuto giunges-

se alla conoscenza di noi moderni. Questo accadde alla fine

dell’agosto del 1972.

VINDOLANDA, 1972-1973

Al termine della campagna di scavo di quell’anno, che si era

concentrata sul forte di età severiana, posteriore a quello dei

Batavi di più di un secolo, il direttore degli scavi Robin Birley

decise di affrontare un problema che da sempre affliggeva le

attività archeologiche sul sito del forte. La pendenza del terreno

e l’impermeabilità degli strati gessosi, infatti, se contribuivano

alla preservazione dei materiali organici (che nel corso degli

scavi avevano da subito iniziato a emergere), portavano però a

continui allagamenti delle trincee di scavo, con i conseguenti

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15Introduzione

rallentamenti nel lavoro e gravi problemi nella conservazione

dei reperti.

Birley e i suoi collaboratori pensarono quindi di installare

una tubazione di drenaggio al di fuori dell’angolo sudocciden-

tale del forte in pietra del III secolo. Era una zona in cui gli

archeologi non pensavano di trovare resti importanti di edifici

antichi: decisero di effettuare un profondo scavo rettilineo nel

quale poi si sarebbe inserita la tubazione di scarico delle acque.

Nel corso dello scavo ci si imbatté dapprima in uno strato

di scorie metalliche, provenienti da un’antica fonderia che era

sorta nei pressi; poi, a meno di novanta centimetri dalla super-

ficie, gli scavatori trovarono una massa di materiale organico

nerastro. Messa in funzione una pompa che salvaguardava la

trincea appena scavata dall’allagamento, gli archeologi indivi-

duarono anche pezzi di ceramica samia, la cosiddetta «terra

sigillata», di chiara origine gallo-romana. Fu l’insieme di questi

ritrovamenti a far capire a Birley di aver scoperto qualcosa di

importante, risalente alla prima fase della vita di Vindolanda,

quella del forte in terra e legno del I secolo.

Con l’avvicinarsi dell’autunno, notoriamente piovoso nelle

campagne del Northumberland, Birley decise di rimandare alla

primavera successiva ulteriori esplorazioni e fece richiudere la

trincea per preservare gli strati contenenti il materiale indivi-

duato. Nel marzo del 1973, ripresi gli scavi nell’area, Birley com-

prese di aver trovato una delle fosse di scarico utilizzate dalle

guarnigioni del primo periodo di attività del forte. Lentamente

vennero alla luce, accanto ai fori su cui si innestava una struttura

lignea (una delle porte della fortificazione di età traianea), molti

altri oggetti di varia natura. L’archeologo iniziò a esaminare una

gran massa di materiale: in gran parte tessuti e cuoiami mesco-

lati con resti di paglia e schegge di materiale ligneo.

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16 Sul confine dell’Impero

Proprio una di queste schegge attirò l’attenzione di un assi-

stente di Birley, che gliela passò perché la osservasse meglio. Ma

lasciamo parlare lo stesso Birley: «Me ne restituì una, dicendo

che gli sembrava che portasse degli strani segni. La guardai

meglio, e all’improvviso mi parve di sognare: quei segni sem-

bravano proprio parole e frasi scritte con un qualche tipo di

inchiostro». Birley si era imbattuto proprio nel luogo dove, pri-

ma di lasciare il forte, gli uomini di Ceriale avevano seppellito

il loro archivio.

L’importanza del ritrovamento fu subito chiara: le tavolette

lignee, alla fine se ne contarono quasi trecento, furono inviate

a Londra, al British Museum. Lì, con un lavoro destinato a du-

rare anni, furono separate – molte erano diventate oramai un

unico conglomerato –, stabilizzate, trattate per la conservazione

e finalmente lette e decifrate. Erano i primi testi (altre tavole

scritte sarebbero venute alla luce nel corso degli anni, le ultime

nel 2013) di quell’eccezionale corpo di documenti che oggi va

sotto il nome di «tavolette di Vindolanda».

Anche in altre aree del sito si sono potuti rinvenire oggetti

deperibili, di legno o di cuoio, che di solito non sopravvivono al

passare dei secoli. Tra questi reperti vi sono altre tavolette scritte,

meno organiche di quelle dell’archivio dei Batavi, appartenenti

anche a periodi successivi a quello dell’occupazione del forte da

parte della IX coorte. Fra le altre cose, si sono ritrovate anche

delle piccole scarpe da bambino. Per posizione e collocazione

stratigrafica, potrebbero essere appartenute proprio a uno dei

figli di Ceriale.

In ogni caso, i documenti ritrovati formano una raccolta

di testi davvero straordinaria, nella quale ai documenti am-

ministrativi e agli ordini relativi alla vita militare del reparto

si affiancano lettere personali, notazioni e appunti stesi dagli

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uomini della guarnigione (soldati, sottufficiali e ufficiali) e dalle

loro donne, la cui presenza e il cui ruolo all’interno di un’in-

stallazione militare romana vengono così per la prima volta

dimostrati con chiarezza.

Questo libro si occuperà della tavolette di Vindolanda. O

meglio: si occuperà soprattutto delle persone che hanno scritto

i testi presenti sulle tavolette di Vindolanda.

Nella prima parte del volume cercheremo di offrire un’in-

quadratura generale: quali erano i rapporti tra la Britannia e

il mondo classico, quello romano in particolare; in che modo

Roma giunse a dominare l’isola; come e perché, alla fine, si

arrivò a stabilire una frontiera proprio sulla linea che oggi va

da Carlisle a Newcastle.

Nell’ultima parte del libro ci occuperemo della storia di Vin-

dolanda dalla partenza della IX coorte dei Batavi, che lasciò

l’isola per seguire il proprio destino (del quale del resto non

sappiamo praticamente nulla) e per svolgere il proprio dovere

agli ordini dell’impero, fino praticamente alla fine del dominio

romano sulla Britannia; racconteremo anche delle numerose

modificazioni strutturali e funzionali che il sito subì nel corso

della sua storia, durata più di tre secoli; infine, scorreremo le

vicende della «riscoperta» di Vindolanda.

Ma la parte più importante, il cuore del libro, sarà quel-

la centrale, in cui, partendo dalle loro stesse parole, arrivateci

fortunosamente attraverso le tavolette di legno, cercheremo di

raccontare come questi uomini e donne del tardo I secolo d.C.

vivevano, lavoravano e talvolta combattevano in un remoto

avamposto della frontiera romana. Vedremo anche come era

strutturato, a quei tempi, un forte romano come quello di Vin-

dolanda, e proveremo a ricostruire chi fossero, come venissero

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18 Sul confine dell’Impero

reclutati, che funzione militare svolgessero gli uomini delle co-

orti ausiliarie, in particolare i Batavi della nona, e quale fosse il

loro rango nel quadro della macchina militare romana.

Cercheremo infine di capire quali fossero i loro rapporti

personali, come fossero organizzati, a quali regole obbedissero

e quali opinioni avessero del luogo dove vivevano e delle popo-

lazioni locali che li circondavano.

A tutti loro è dedicato questo libro.

NOTA SULLE FONTI

I testi delle tavolette di Vindolanda sono tradotti dall’autore sulla base dell’edizione curata da Alan K. Bowman e J. David Thomas e pubbli-cata dalla British Museum Press, di cui si segue anche la numerazione (il numero della tavoletta viene indicato tra parentesi). Parte del ma-teriale è consultabile online al sito http://vindolanda.csad.ox.ac.uk/.La traduzione di Eva Cantarella della tavoletta 291 si trova in Perfino Catone scriveva ricette. I greci, i romani e noi, Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 93-94.

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I Parte

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Oceano A

tlantic

o Maredel Nord

Parisi

Novanti

Selgovi

Dubunni

Dumnoni

Briganti

Briganti

Durotrigi

Atrebati

Co

rnovi

BelgiRegni

Demeti

Siluri

Corieltauvi

Catuvellauni

Trinovanti

Ordovici

Vallo di Adriano

Iceni

Cantiaci

Isoladi Wight

Estuariodell’Humber

Estuario della Severn

Le tribù britanniche

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Quando Robin Birley, prendendo in mano quella tavoletta di

legno, si accorse che si trattava di un documento scritto, si rese

sicuramente conto che il ritrovamento poteva essere l’inizio di

qualcosa di importante, tanto dal punto di vista archeologico che

da quello storico. Ma certo lo studioso inglese non poteva ancora

immaginare che alla fine, dal fango gessoso di Vindolanda, sareb-

be emerso un intero archivio (o almeno importanti frammenti di

un intero archivio) che avrebbe contribuito in modo decisivo alla

comprensione di come si viveva in un avamposto di una frontiera

militare, tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.

Il forte di Vindolanda faceva parte del sistema difensivo che

guarniva la frontiera settentrionale della provincia di Britannia,

esattamente su quella linea dove, due decenni dopo, sarebbe sorta

l’imponente barriera che ancora oggi possiamo in gran parte am-

mirare e che conosciamo col nome di Vallo di Adriano. Tuttavia

prima di parlare dei nostri protagonisti, i soldati e gli ufficiali

che con le loro donne vivevano a Vindolanda, partendo dai do-

cumenti e dalle lettere che ci hanno lasciato, crediamo sia utile e

forse addirittura necessario dare un inquadramento generale della

situazione dell’area, per mostrare su quali basi si fondava e come

si era definita quella lontana frontiera dell’impero che i soldati dei

forti come Vindolanda erano incaricati di controllare e difendere.

Nei capitoli che seguono cercheremo di raccontare qual era la

situazione della Britannia prima che Roma ne facesse una pro-

vincia, in quale modo la sua insularità aveva influenzato la sua

storia e quali fossero i suoi rapporti con il continente, specialmente

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22 Sul confine dell’Impero

con il mondo classico e mediterraneo al quale alla fine si trovò,

volente o nolente, a essere legata.

Poi ci occuperemo delle vicende della conquista romana, delle

lunghe campagne militari, costose in termini di risorse e di san-

gue, che Roma dovette combattere nella lontana isola atlantica e

di come, da subito, i Romani fecero avanzare, di pari passo alle

conquiste sul campo, il processo di romanizzazione dei Britanni.

Quasi a giustificare, in nome dell’idea di «civilizzazione» così cara

alla cultura romana, il processo duro e violento di conquista e di

occupazione militare.

Infine proveremo a chiarire come e perché alla fine Roma si

arrestò proprio su quella linea dove pochi anni dopo sorse, assieme

a molti altri forti, Vindolanda. Una linea che di fatto divideva in

due l’isola, lasciandone quasi un terzo alla «barbarie», tagliato

fuori dai «benefici» della civilizzazione romana. Una frontiera

che, come vedremo più avanti, i soldati ausiliari di Vindolanda

contribuirono prima a definire, poi a mantenere e a rafforzare.

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