STORIA DELLA CITTADINANZA EUROPEA - Cagliari · Al vertice europeo di Parigi del 1972, il governo...

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1 STORIA DELLA CITTADINANZA EUROPEA L’istituzione della cittadinanza europea è il risultato di un lungo processo che si inscrive nell’arco dell’intera storia comunitaria, il suo cammino è stato tortuoso e accidentato, anche se alla fine può apparire obbligato perché c’è un rapporto di continuità ideale tra i valori che stanno alla base dell’edificio comunitario e l’istituzione della cittadinanza. 1957-TRATTATO DI ROMA L’idea di cittadinanza era già virtualmente iscritta nei trattati istitutivi delle Comunità: la volontà di porre le fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei”, espressa nel Preambolo del Trattato di Roma, aveva implicitamente consacrato la volontà di procedere verso un’unione politica, con il suo corollario di uno status specifico di cittadinanza comune. Il diritto del cittadino di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri riconosciuto nel Trattato del 1957 può essere il considerato cardine della cittadinanza comune: esso costituisce il nucleo da cui si sono sviluppati tutti gli altri diritti del cittadino europeo. Libertà di circolazione: art. 3, lett. C, del Trattato di Roma La libertà di circolazione e di soggiorno viene riconosciuta nell’art. 3, lett. c, del Trattato di Roma del 1957, e comprende tra i fini della Comunità “l’eliminazione fra gli stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali”. Dapprincipio la libertà di circolazione e di soggiorno viene riconosciuta solo ai lavoratori dipendenti ed autonomi e ai prestatori di servizi (artt. 48-66) 1 ed è legata all’attuazione dell’integrazione economica, ha dunque applicazione limitata ed è rivolta solo a una cerchia definita di soggetti, qualificati dal fatto di essere economicamente attivi nella sfera economica e di svolgere una attività lavorativa, requisiti che si aggiungono alla semplice titolarità della cittadinanza nazionale. La libertà di circolazione e soggiorno dunque non è ancora una libertà assoluta e incondizionata, né viene concessa per proteggere il cittadino quale membro di un’entità politica. Cittadino comunitario Fin dal suo sorgere l’ordinamento comunitario ha individuato una prima forma embrionale di cittadinanza europea nella libertà di circolazione e di soggiorno che, anche se circoscritta alla sfera economica, ha rappresentato il riconoscimento di un primo diritto comune a tutti i cittadini degli Stati membri. Infatti, grazie alla sapienza giuridica dei fondatori della Cee, la libertà di circolazione viene coniugata con il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, iscritto nel Trattato Cee. In virtù di tale principio, ripreso nell’art. 6 del Trattato Ce del 1997, secondo cui “Nel campo dell’applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità . Il Consiglio deliberando in conformità della procedura di cui all’art. 189C, può stabilire tutte le regolamentazioni intese a vietare tali discriminazioni”, i trattati comunitari hanno esteso ai cittadini degli Stati membri della Cee alcune prerogative tradizionalmente riservate ai cittadini nazionali all’interno di ciascun ordinamento, al fine di porre il cittadino europeo nella medesima situazione giuridica goduta dal cittadino nazionale. La conseguenza è stata la determinazione di una nuova situazione giuridica, quella del cittadino comunitario, che si trova nella condizione particolare di straniero privilegiato, perché equiparato al

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STORIA DELLA CITTADINANZA EUROPEA L’istituzione della cittadinanza europea è il risultato di un lungo processo che si inscrive nell’arco dell’intera storia comunitaria, il suo cammino è stato tortuoso e accidentato, anche se alla fine può apparire obbligato perché c’è un rapporto di continuità ideale tra i valori che stanno alla base dell’edificio comunitario e l’istituzione della cittadinanza.

1957-TRATTATO DI ROMA L’idea di cittadinanza era già virtualmente iscritta nei trattati istitutivi delle Comunità: la volontà di “porre le fondamenta di una unione sempre più stretta fra i popoli europei”, espressa nel Preambolo del Trattato di Roma, aveva implicitamente consacrato la volontà di procedere verso un’unione politica, con il suo corollario di uno status specifico di cittadinanza comune. Il diritto del cittadino di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri riconosciuto nel Trattato del 1957 può essere il considerato cardine della cittadinanza comune: esso costituisce il nucleo da cui si sono sviluppati tutti gli altri diritti del cittadino europeo.

Libertà di circolazione: art. 3, lett. C, del Trattato di Roma La libertà di circolazione e di soggiorno viene riconosciuta nell’art. 3, lett. c, del Trattato di Roma del 1957, e comprende tra i fini della Comunità “l’eliminazione fra gli stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali”. Dapprincipio la libertà di circolazione e di soggiorno viene riconosciuta solo ai lavoratori dipendenti ed autonomi e ai prestatori di servizi (artt. 48-66)1 ed è legata all’attuazione dell’integrazione economica, ha dunque applicazione limitata ed è rivolta solo a una cerchia definita di soggetti, qualificati dal fatto di essere economicamente attivi nella sfera economica e di svolgere una attività lavorativa, requisiti che si aggiungono alla semplice titolarità della cittadinanza nazionale. La libertà di circolazione e soggiorno dunque non è ancora una libertà assoluta e incondizionata, né viene concessa per proteggere il cittadino quale membro di un’entità politica.

Cittadino comunitario Fin dal suo sorgere l’ordinamento comunitario ha individuato una prima forma embrionale di cittadinanza europea nella libertà di circolazione e di soggiorno che, anche se circoscritta alla sfera economica, ha rappresentato il riconoscimento di un primo diritto comune a tutti i cittadini degli Stati membri. Infatti, grazie alla sapienza giuridica dei fondatori della Cee, la libertà di circolazione viene coniugata con il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, iscritto nel Trattato Cee. In virtù di tale principio, ripreso nell’art. 6 del Trattato Ce del 1997, secondo cui “Nel campo dell’applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il Consiglio deliberando in conformità della procedura di cui all’art. 189C, può stabilire tutte le regolamentazioni intese a vietare tali discriminazioni”, i trattati comunitari hanno esteso ai cittadini degli Stati membri della Cee alcune prerogative tradizionalmente riservate ai cittadini nazionali all’interno di ciascun ordinamento, al fine di porre il cittadino europeo nella medesima situazione giuridica goduta dal cittadino nazionale. La conseguenza è stata la determinazione di una nuova situazione giuridica, quella del cittadino comunitario, che si trova nella condizione particolare di straniero privilegiato, perché equiparato al

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cittadino dello Stato in cui soggiorna, sia pure sotto profili limitati. Sul piano giuridico la figura dl cittadino comunitario rappresenta una situazione intermedia, un genere prossimo al cittadino nazionale, che si è sviluppato in direzione dell’istituzione creazione della cittadinanza europea.

Riconoscimento di una soggettività giuridica agli individui della Comunità europea Inoltre, grazie all’istituzione della Corte europea di giustizia, i giuristi hanno riconosciuto una soggettività giuridica agli individui dell’ordinamento comunitario e con essa i particolari diritti conferiti ai cittadini degli Stati membri in base a tale status giuridico emergente a livello comunitario. Ne deriva che, nella sfera propria dell’ordinamento comunitario, vengono individuati altri diritti azionabili che arricchiscono lo status di cittadino comunitario: il diritto di poter far parte delle strutture istituzionali delle Comunità e il diritto a ricorrere in giudizio presso la Corte di giustizia contro gli atti comunitari lesivi dei propri interessi, come sancisce l’art. 173 del Trattato Cee: “La Corte di giustizia esercita il controllo di legittimità sugli atti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi (…) Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente” .

Estensione della libertà di circolazione e di soggiorno Negli anni a seguire, grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia e mediante i regolamenti e le direttive della Comunità europea, si è data un’interpretazione evolutiva del principio di non discriminazione che ha esteso e approfondito il significato del diritto di circolazione e di soggiorno. L’interpretazione evolutiva della Corte di giustizia ha allargato la sfera soggettiva dei fruitori del diritto di circolazione e ha riconosciuto altri diritti legati alla sfera economica, come quelli sindacali per i lavoratori dipendenti. Per esempio, la Corte di giustizia ha esteso la libertà di circolazione ai destinatari dei servizi oltre che ai prestatori di servizi, comprendendo anche i turisti, le persone che ricevono un trattamento medico, gli studenti, le persone che viaggiano ai fini di educazione o di affari; inoltre, in via derivata, sono stati riconosciuti titolari della libertà i membri della famiglia dei beneficiari diretti, è stato riconosciuto anche il diritto a rimanere nello stato membro ove si è svolta una attività economica, allorché questa sia terminata. Tutte queste disposizioni, che estendono il diritto di libertà di circolazione, sono state recepite nelle sue linee essenziali dal Trattato dell’Unione sottoscritto a Maastricht, e si dirigono verso tre categorie di persone: i lavoratori subordinati (artt. 48-51), i lavoratori autonomi, titolari della libertà di stabilimento (artt.52-58), i prestatori di servizi (artt.59-69).

L’ELEZIONE A SUFFRAGIO UNIVERSALE AL PARLAMENTO EUROPEO Negli anni ’70 vengono proposti diversi progetti di istituzione della cittadinanza europea. Al vertice europeo di Parigi del 1972, il governo italiano avanza per la prima volta la proposta esplicita di istituzione della cittadinanza europea, condivisa dal governo belga: il presidente del Consiglio in carica Andreotti ritiene che tale cittadinanza si sarebbe dovuta aggiungere alla cittadinanza di ciascuno dei paesi membri e avrebbe dovuto consentire il godimento di alcuni diritti politici, come quello di partecipare alle elezioni comunali ai cittadini della Comunità dopo un certo periodo di residenza in uno Stato membro. La proposta del governo italiano non viene accettata, ma sortisce alcuni effetti nel vertice di Parigi del dicembre 1974, durante il quale si decide di introdurre un passaporto uniforme, si delinea la

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possibilità di riconoscere diritti speciali ai cittadini degli Stati membri in quanto membri della Comunità, viene assegnato al primo ministro belga Tindemans l’incarico di predisporre un rapporto sull’Europa dei cittadini. Nel giugno del 1975 la Commissione presenta una relazione che ribalta l’ottica della proposta di istituire la cittadinanza: dal riconoscimento di una condizione giuridica potenziale in grado di riempirsi e di arricchirsi dei più vari contenuti di diritti e doveri, si passa alla ricerca di singole e puntuali situazioni giuridiche soggettive da attribuire ai cittadini che si trovano nella condizione di stranieri privilegiati. La relazione della Commissione identifica una nuova categoria di diritti speciali da riconoscere ai cittadini degli Stati membri: i diritti di elettorato attivo e passivo a livello comunale, il riconoscimento del diritto d’accesso alle funzioni pubbliche connesse alla qualità di eletto a questo livello. Tali diritti speciali si aggiungono agli altri diritti previsti dalla cittadinanza nazionale, quali i diritti civili o privati e le libertà pubbliche da esercitarsi all’interno degli ordinamenti nazionali degli Stati membri senza comprendere l’eleggibilità a livello nazionale né l’accesso alle funzioni pubbliche di alto livello politico. Il rapporto sull’Europa dei cittadini del primo ministro belga Tindemans prende in considerazione misure per la tutela dei diritti degli europei, là dove questa non può essere assicurata esclusivamente dagli Stati membri, e si pone il problema di creare dei segni esterni della solidarietà europea. Pur muovendosi nella prospettiva indicata dalla Commissione, il rapporto Tindemans sposta l’ottica sulla problematica più generale del riconoscimento della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, che è questione più ampia del riconoscimento di diritti speciali individuati dalla Commissione. Nel 1977 il Parlamento europeo approva una risoluzione che auspica il riconoscimento di un elenco di diritti coincidente in larga parte con quella dei diritti di cittadinanza contenuta attualmente nel Trattato sull’Unione del 1992. Inoltre, fin dal 1979 la Commissione europea sottopone al Consiglio, senza risultati positivi, una proposta di direttiva volta a estendere il diritto di soggiorno indistintamente a tutti i cittadini degli Stati membri del Trattato . Di lì a un quindicennio tutte queste iniziative avrebbero condotto agli accordi di Schengen, che prevedono la soppressione delle frontiere interne alla Comunità per un numero limitato di paesi.

1979-elezioni a suffragio universale al Parlamento europeo L’elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo del 1979 rappresenta la tappa più tangibile dell’emergere di una cittadinanza comune. Parallelamente all’evoluzione giuridica, sul piano politico si sviluppa un intenso dibattito politico tra i federalisti e i funzionalisti sulla necessità di una legittimazione democratica delle istituzioni europee mediante elezioni dirette dei deputati europei. Tale discussione coinvolge le opinioni pubbliche degli Stati membri e sfocia nel riconoscimento del diritto di voto alle elezioni del Parlamento europeo, che fornisce un primo nocciolo di diritti politici , una prima sicura base politica per l’istituzione della cittadinanza europea. In quegli stessi anni si prevede la possibilità che la Comunità europea possa esercitare la protezione diplomatica a vantaggio di soggetti cittadini degli stati membri, sia pure limitatamente alle materie trasferite alla sua competenza. Come si evince da quanto scritto, l’istituzione della cittadinanza europea si evolve di pari passo con la costruzione dell’Unione europea, configurandosi come concetto dinamico, in perenne evoluzione, una forma di cittadinanza incipiente, nella quale sono assenti alcuni elementi caratteristici la cittadinanza nazionale come, per esempio, la mancanza della generalità, che è uno dei caratteri propri della cittadinanza, e la mancanza della previsione dei doveri tipici del cittadino, in particolare dell’obbligazione militare.

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Le proposte di riforma dei trattati Gli anni ‘80 sono decisivi per i successivi sviluppi dell’Unione europea. Per impulso dei federalisti, nel febbraio del 1984 il Parlamento europeo propone un progetto di revisione dei trattati comunitari e l’approvazione del Trattato istitutivo dell’Unione europea, nel quale si prevedono sostanziali riforme delle istituzioni comunitarie. La proposta del Parlamento europeo non ha seguito, ma il processo di integrazione europea prosegue lo stesso con una serie di iniziative che si concludono con la firma dell’Atto unico europeo del 1896: l’istituzione di un comitato ad hoc per l’Europa dei cittadini, il cosiddetto Comitato Adonnino; l’adozione del Libro bianco sul grande mercato interno decisa nel 1985 dalla Commissione presieduta da Jacques Delors in vista di un’ulteriore integrazione del mercato europeo e, infine, gli accordi di Schengen del 1985 che avrebbero condotto alla soppressione delle frontiere interne alla Comunità.

1984 Progetto Spinelli di Trattato che istituisce la UE Sin dall’inizio degli anni ’80 si fa pressante l’iniziativa politica di Altiero Spinelli. Deputato al Parlamento europeo e convinto assertore dell’Europa federale, Spinelli redige un progetto di trattato che avrebbe istituito l’Unione europea, coronamento della sua azione costante volta alla creazione di uno Stato federale europeo sul modello americano. Il 14 febbraio 1984 il Parlamento europeo approva la risoluzione presentata da Altiero Spinelli, che adotta il progetto di trattato sull’Unione europea, contenente sostanziali riforme delle istituzioni comunitarie tendenti a rafforzare i poteri della Commissione europea e del Parlamento europeo. L’ obbiettivo del progetto Spinelli è quello di attribuire alla Commissione il potere esecutivo; togliere al Consiglio dei ministri l’accumulo di potere legislativo ed esecutivo; attribuire il potere legislativo al Parlamento affiancato da un Consiglio dei ministri, trasformato in Camera degli Stati e deliberante a maggioranza; trasformare il Consiglio europeo in una sorta di presidenza collegiale dell’Unione europea. È il primo organico progetto di Costituzione dell’Unione europea. Inoltre, col progetto Spinelli l’istituzione della cittadinanza europea entra nell’agenda dei temi da trattare in vista della revisione dei trattati per la creazione di un’Unione politica: l’art. 3 prevede la disciplina della cittadinanza dell’UE nei seguenti termini: “I cittadini degli Stati membri sono per ciò stesso cittadini dell’Unione. La cittadinanza dell’Unione è legata alla qualità di cittadino di uno Stato membro. I cittadini dell’Unione partecipano alla sua vita politica nelle forme previste dal presente Trattato, godono dei diritti che sono loro riconosciuti dall’ordinamento giuridico dell’Unione e si conformano alle norme di quest’ultimo” . Il documento approvato dal Parlamento europeo diventerà negli anni a seguire costante punto di riferimento per tutte le iniziative che tendono alla costituzione europea e all’attuazione della riforma delle istituzioni europee. Anche se non ha un seguito immediato, perché osteggiato dal primo ministro inglese Thacher, rappresentante della concezione di un’Europa delle nazioni, tale iniziativa politica resta a testimonianza del nuovo ruolo giocato dal Parlamento europeo.

1986-ATTO UNICO EUROPEO Un altro passo in avanti in direzione della cittadinanza europea viene fatto prima con l’Atto unico europeo del 1986, e poi con le tre direttive Cee del 1990 (n. 364-365-366) che perfezionano il processo di ampliamento della libertà di circolazione.

Riforma istituzionale

L’Atto unico europeo costituisce la prima revisione globale dei trattati, rappresenta cioè la prima grande riforma istituzionale atta a migliorare il funzionamento della Comunità ed ampliarne il campo di attività. L’obbiettivo dell’ Atto unico europeo del 1986 è la creazione di un mercato unico europeo, definito quale “spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali”; a tal fine si prevede:

• l’estensione del voto a maggioranza qualificata;

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• l’introduzione di una reale cooperazione legislativa tra il Parlamento e il Consiglio; • la realizzazione di un mercato unico in cui possano circolare liberamente persone,

beni, servizi e capitali. Riformare il processo decisionale dell’UE era diventato indispensabile per raggiungere l’obiettivo del mercato unico entro il 1992 perché, se essa avesse continuato a prendere la maggior parte delle sue decisioni all’unanimità, sarebbe stato impossibile rispettare la scadenza indicata nel Libro bianco. L’Atto unico prende alcune decisioni importanti: il Consiglio europeo è levato al rango di istituzione europea; il ricorso al voto a maggioranza qualificata è esteso a nuovi campi; i poteri del Parlamento europeo sono rafforzati con la nuova procedura della cooperazione; il campo d’azione delle politiche europee si allarga alla ricerca, all’ambiente, alla coesione economica e sociale; si propone l’idea della cooperazione politica europea, anche se resta la responsabilità dei governi, e si prevede l’obbligo di consultazioni degli Stati membri allargato a questioni di politica estera, benché il voto debba essere unanime. Ma la disposizione più importante, che rimette in moto il processo di costruzione europea è l’adozione di alcune decisioni con un voto a maggioranza in sede di Consiglio dei ministri, nel quale ciascuno Stato ha un numero di voti ponderato in funzione dell’entità della popolazione nazionale.

Creazione di un mercato unificato

L’Atto unico entra in vigore il 1° luglio 1987 dopo una lunga trattativa e le ratifiche nazionali. Con la sua attuazione prende avvio la creazione del grande mercato interno che ha reso la Comunità europea uno spazio economico più integrato. Tra il 1986 e il 1992, per riuscire ad aprire i mercati nazionali rimasti chiusi fino a quel momento, la Comunità dei 12 adotta circa 280 atti di legge separati. In questo modo vengono ridotti significativamente le complicazioni ed i costi per le imprese interessate a commercializzare i propri prodotti in tutta l’Unione. In altri campi, gli Stati membri concordano semplicemente di conferire la stessa validità alle leggi e alle norme tecniche di tutti gli altri Stati membri: per esempio, un prodotto legalmente commercializzato in un paese dell’UE può essere commercializzato in tutti gli Stati membri in base al principio del “reciproco riconoscimento”. Solo nei casi in cui le norme nazionali esistenti sono troppo diverse fra loro (salute, sicurezza) sono necessarie normative armonizzate, vale a dire una nuova legislazione con norme dettagliate applicabili in tutta l’Unione. In questo modo si realizza il quadro giuridico necessario alla creazione di un mercato unificato, all’interno del quale è prevista la libertà di circolazione senza controlli e restrizioni come diritto per i cittadini, nucleo fondamentale della cittadinanza europea insieme al diritto di voto alle elezioni europee.

Creazione di uno spazio senza frontiere La definizione del mercato interno, nell’art. 7 A del Trattato Ce, come uno “spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”, rappresenta un ulteriore impulso all’evoluzione dell’interpretazione del diritto di circolazione in senso più ampio. Tale nozione presuppone che il mercato della Comunità europea funzioni allo stesso modo di un mercato nazionale: le merci, i servizi, i capitali e le persone devono poter circolare all’interno di esso, senza sottostare ad alcun controllo alle frontiere fra gli Stati membri, esattamente come se circolassero all’interno di uno Stato membro dove non esistono controlli alle frontiere fra le regioni.

1985 - ACCORDO DI SCHENGEN

Gli accordi di Schengen del giungo 1985, che anticipano gli obiettivi dell’Atto unico, rappresentano un passo importante in direzione del completamento del mercato unico: cinque stati della Comunità (Francia, Germania federale, Belgio, Lussemburgo e Olanda) firmano gli accordi in base ai quali

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viene autorizzata al loro interno la circolazione di tutte le persone senza controlli alle frontiere. La finalità dell’accordo è quella di creare le condizioni per realizzare uno spazio territoriale senza controlli alle frontiere interne, a tal fine è prevista la cooperazione per il controllo del traffico di droga e di armi; viene creato un sistema per lo scambio di informazioni relativamente a persone ricercate; vengono armonizzate le regole che disciplinano l’attraversamento delle frontiere interne; sono previste regole per l’esame delle richieste di asilo, sulla estradizione. Occorrono però cinque anni perché nel 1990 venga redatta la Convenzione dell’applicazione degli accordi di Schengen, cui aderirà in seguito anche l’Italia.

L’estensione del diritto di soggiorno a tutti i cittadini degli stati membri: direttive 364-365-366 del 1989/90

Nel 1990 la Commissione emana le direttive nn. 364, 365 e 366 del 1990, che estendono il diritto di soggiorno a persone non esercenti un’attività lavorativa, soprattutto a studenti e a pensionati, a condizione che dimostrino di essere possesso di un’assicurazione di malattia o di una fonte di reddito, tale da escludere che i soggetti in questione possano gravare sull’assistenza sociale dello Stato ospitante. Il riconoscimento del diritto di soggiorno è condizionato a due requisiti di carattere economico che costituiscono ancora una limitazione al diritto di circolazione e di soggiorno: il possesso di un’assicurazione di malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, il possesso di risorse sufficienti ad evitare oneri per l’assistenza sociale in tale Stato. Tale limitazione è determinata dal fatto che la mancanza di tali requisiti porrebbe seri problemi agli Stati ospitanti; infatti, se si ammette che lo Stato ospitante sia tenuto alle prestazioni di assistenza e di sicurezza sociale anche per i cittadini di altri paesi membri, residenti nel suo territorio e sprovvisti di mezzi di sussistenza e di assicurazione sociali, si potrebbe avere un’immigrazione interna verso gli Stati più ricchi, proprio al fine di godere dei più alti livelli di assistenza sociale: allo stato attuale gli Stati membri non sono disposti a sostenere la spesa relativa alla protezione sociale in dipendenza dell’esercizio dei diritti di circolazione e di soggiorno.

Verso la cittadinanza europea Negli anni ‘90 si accelera il processo di adozione di una cittadinanza europea. Oggi i territori dei paesi aderenti alla UE sono considerati un unico “spazio senza frontiere” per i cittadini europei.

1990/91–risoluzioni del Parlamento europeo e della Commissione sull’introduzione di forme di cittadinanza nei trattati Nel 1990 il Parlamento europeo vota una risoluzione sul tema dell’Unione europea nella quale, al punto 19 del paragrafo Diritti e libertà fondamentali ed Europa dei cittadini, si chiede l’inserimento nei trattati di disposizioni volte a sviluppare forme comuni di cittadinanza europea, tramite misure quale quella del diritto di voto per i cittadini comunitari alle elezioni comunali ed europee nello Stato membro di residenza. Nel settembre 1990 il capo di governo Felipe Gonzales lancia la proposta di configurare una cittadinanza dell’Unione, concepita come status personale inseparabile dei cittadini degli Stati membri, i quali diventerebbero soggetti di diritti e doveri specifici nell’ambito dell’Unione: tali diritti sarebbero esercitati e tutelati all’interno delle frontiere dell’Unione, rimanendo inteso che la condizione di cittadino europeo ha effetti anche al di fuori di dette frontiere. La proposta di Gonzales viene ripresa dalla Commissione europea nell’ottobre 1990 nel parere espresso sul Progetto di revisione del trattato che istituisce l’Unione politica europea, dove figura un titolo dedicato all’Unione europea, in cui la cittadinanza europea è collocata nell’ambito dell’azione volta a rafforzare la legittimità democratica della Comunità, perché si ritiene che

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solo un’autentica partecipazione dei cittadini all’opera comunitaria possa rafforzare le istituzioni europee. Anche le conclusioni del vertice il Consiglio europeo di Roma del dicembre 1990 esprimono un consenso unanime degli Stati membri sull’opportunità di esaminare il concetto di cittadinanza europea nella Conferenza intergovernativa degli Stati membri. Per l’istituzione della cittadinanza europea è fondamentale il contributo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. Oggi possiamo dire che il nucleo essenziale delle richieste del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali è stato inserito nel Trattato di Maastricht, anche se le iniziali configurazioni della cittadinanza dell’Unione erano più ambiziose rispetto a quelle effettivamente realizzate. A questo proposito è da ricordare la Dichiarazione finale votata il 30 novembre 1990 dalla Conferenza dei Parlamenti nazionali della Comunità europea, che richiede l’istituzione della cittadinanza europea. Sono da segnalare una serie di risoluzioni del Parlamento europeo che auspica l’istituzione della cittadinanza europea insieme alla revisione dei trattati, ne delinea i contenuti, chiede che i requisiti di acquisto siano fissati direttamente dall’Unione e che il contenuto dello status di cittadinanza sia più ampio di quello previsto, con l’esplicito riconoscimento dei diritti sociali e di diritti politici più numerosi di quelli elencati nel Trattato di Maastricht.

1992-TRATTATO DI MAASTRICHT La cittadinanza europea viene istituita a Maastricht all’interno del processo volto alla creazione di una nuova entità sopranazionale, l’Unione europea. In tale processo il nuovo istituto della cittadinanza è centrale perché, già nel preambolo, i capi di Stato dei dodici paesi comunitari indicano l’istituzione della cittadinanza europea tra le motivazioni della costituzione dell’Unione: nelle Disposizioni comuni del Titolo I del Trattato, all’art. B, viene enunciato l’obiettivo di “ rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione”. Oltre l’adozione della moneta unica, l’ istituzione di una cittadinanza europea rappresenta una delle maggiori novità del Trattato di Maastricht; d’altra parte è inimmaginabile costruire un mercato unico in cui le merci, i capitali e i servizi possono oltrepassare liberamente le frontiere, senza accordare tale vantaggio anche alle persone. Al di là della mera logica economica, che mira a facilitare la mobilità della manodopera e a migliorare la distribuzione delle risorse umane, il concetto di cittadinanza europea è ciò che giustifica la soppressione dei controlli delle persone decisa con gli accordi di Schengen del giugno 1985. Ci si rende conto che, per avvicinare le istituzioni europee ai cittadini, occorre rimuovere limiti di una integrazione affidata alle elités diplomatiche, burocratiche e tecnocratiche, rafforzando la coscienza della appartenenza dei cittadini degli Stati membri ad una comunità più vasta, l’Unione europea, e favorendo la creazione di un’identità europea.

1992 - Istituzione della cittadinanza europea

Il Trattato di Maastricht istituisce la cittadinanza europea, che si aggiunge a quella nazionale. Le disposizioni sulla cittadinanza europea affermano che i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal Trattato sulla Comunità europea e individuano un nucleo essenziale di situazioni giuridiche, che conferiscono spessore alla condizione giuridica dei singoli. Con ciò la cittadinanza europea diventa una realtà giuridica inequivocabile, non è più una concettualizzazione della scienza giuridica sulla base di elementi sparsi ed incompleti; diventa una realtà effettiva che produce delle conseguenze sul piano giuridico, quali la loro immediata giustiziabilità, ovvero il controllo della loro applicazione da parte della Corte di giustizia europea.

Art. 8 – 8 E

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Il Trattato di Maastricht rimodella quello di Roma del 1957 e vi introduce una parte seconda, intitolata appunto Cittadinanza dell’Unione, che comprende gli articoli che vanno dall’art. 8 all’art. 8 E, contenuti nel Titolo II del trattato, intitolato Disposizioni che modificano il trattato che istituisce la Comunità economica europea per creare la Comunità europea. Tali articoli disciplinano l’istituto della cittadinanza: i cittadini mantengono i diritti di stabilimento, circolazione e soggiorno già riconosciuti dai precedenti trattati, hanno diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e al Parlamento europeo nello stato di residenza alle stesse condizioni dei cittadini dello stato in cui risiedono; la cittadinanza garantisce il lavoro e lo studio nei paesi dell’Unione con le massime garanzie ai cittadini europei, nonché la possibilità di votare alle elezioni amministrative nel paese in cui risiedono, anche se diverso da quello di origine; ogni cittadino può individualmente, o in associazione con altri, presentare delle petizioni al Parlamento europeo e al mediatore comunitario, una sorta di difensore civico che tutela le persone fisiche e giuridiche contro la cattiva amministrazione degli organi comunitari; nel territorio dei paesi terzi in cui il proprio Stato non sia rappresentato, ogni cittadino comunitario può godere di protezione diplomatica e consolare da parte di ogni altro Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale stato. Esaminiamola brevemente:

• L’art. 8 istituisce la cittadinanza dell’Unione.

• L’art. 8.1. ne fissa il requisito per l’acquisto: è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.

• Gli art. 8.2 e 8.A determinano il contenuto della cittadinanza: • ogni cittadino gode dei diritti ed è soggetto ai doveri previsti dal trattato Ce (art. 8.2); • ogni cittadino ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati

membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso (art. 8 A.1);

o (Rispetto al trattato di Roma del 1957, l’art. 8 A.1 del trattato di Maastricht ha il merito di

generalizzare in termini incondizionati il diritto di circolazione e soggiorno, sottraendolo ad ogni residuo collegamento con l’esercizio di un’attività produttiva; quindi il godimento del diritto di circolazione e soggiorno è definitivamente staccato da qualsiasi riferimento alla condizione economica dei beneficiari, per essere rapportato a un concetto e a uno status a dimensione politica. D’ora in poi esso è un diritto dell’individuo in quanto membro della comunità politica costituita dall’Unione, indipendentemente dalla titolarità di altre qualifiche. Però sulla libertà di circolazione e di soggiorno incide ancora una limitazione significativa, derivante dal fatto che manca ogni riferimento ai diritti sociali, in particolare al diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per gli indigenti, esso dice infatti che il cittadino è titolare “fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”. Quindi il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri non è attribuito ai cittadini europei quale diritto assoluto e illimitato).

• L’ art. 8 B.1 dice che ogni cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni

comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato, nel caso sia residente in uno Stato membro di cui non possegga la cittadinanza nazionale;

• l’art. 8 B.2 afferma che ogni cittadino ha diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato, nel caso sia residente in uno Stato membro di cui non possegga la cittadinanza nazionale;

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o (con gli artt. 8 B.1- 2 il Trattato individua uno status activae civitatis, ossia riconosce i diritti politici : diritto elettorale attivo e passivo al Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro di residenza, che ora è sganciato dalla nazionalità del loro esercizio e connesso alla residenza; il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali sono invece diritti destinati ad esplicarsi all’interno dei singoli ordinamenti nazionali, ove la ratio del loro riconoscimento è quella di porre il cittadino europeo nella medesima situazione giuridica goduta dal cittadino nazionale perché lo standard di trattamento che la norma comunitaria intende garantire per tutti è quello nazionale. L’art. 8 B 1 esplicita che l’esercizio del diritto di elettorato municipale attivo e passivo del cittadino europeo, residente in uno Stato membro e di cui non abbia la cittadinanza, debba svolgersi “alle stesse condizioni dei cittadini di detto stato”).

• Secondo l’art. 8. C il cittadino europeo gode della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato: sul terreno dei rapporti internazionali vi è il riconoscimento della protezione diplomatica, anch’esso elemento tipico dello status di cittadino, anche se si esplica solo quando non sia possibile una protezione diplomatica da parte dello Stato membro, dunque è esercitata in via subordinata dalle autorità diplomatiche e consolari degli Stati membri;

• L’art. 8 D riconosce il diritto di petizione al Parlamento europeo e per la prima volta introduce il diritto a ricorrere al Mediatore europeo, introdotto per la prima volta nell’ordinamento comunitario e tendente a fornire ai cittadini europei una più ampia tutela non giurisdizionale dei loro interessi.

Nonostante gli indubbi passi in avanti, il diritto di circolazione e di soggiorno appare ancora imperfetto anche dopo il Trattato di Maastricht, perché è presente ancora una differenza di trattamento fra due categorie di cittadini: quelli che hanno risorse sufficienti per mantenersi e un’assicurazione per malattia e quelli che non hanno questi requisiti; tale differenza nasce dalla necessità di non gravare sul sistema di protezione sociale dello Stato membro ospitante. D’altra parte anche uno Stato federale come gli USA solo in anni relativamente recenti ha riconosciuto la completa equiparazione in materia di assistenza sociale e sanitaria, grazie alla giurisprudenza della Corte Suprema. Anche la Costituzione tedesca prevede (art. 11) limitazioni alla libertà di circolazione nei casi in cui possano sorgere particolari oneri per la collettività a causa della mancanza di mezzi sufficienti di sostentamento. Tutti questi condizionamenti dovrebbero essere rimossi affinché il diritto di circolazione e di soggiorno nella UE possa avere gli stessi caratteri che ha negli ordinamenti federali.

Carattere dinamico ed evolutivo della cittadinanza europea

La cittadinanza dell’Unione si caratterizza dunque come un concetto dinamico ed evolutivo e, poiché il processo di costruzione dell’Unione europea è ancora in divenire, anche i contenuti della cittadinanza europea possono variare e arricchirsi con il progredire e l’estendersi delle competenze dell’Unione a materie nuove: quanto più l’Unione procede sulla strada dell’integrazione fra gli Stati che la compongono, tanto più la cittadinanza europea si riempie dei contenuti propri della cittadinanza nazionale. Tale prospettiva di sviluppo è espressamente delineata nell’art. 8 E del Trattato di Maastricht, mediante la clausola evolutiva, un speciale procedura di revisione che permette di introdurre nuovi diritti e doveri e di prevedere disposizioni che meglio garantiscano l’esercizio dei diritti già riconosciuti. In base a tale clausola il Consiglio, deliberando all’unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può adottare disposizioni intese a completare i diritti di cittadinanza, raccomandandone l’adozione da parte degli Stati membri, conformemente alle loro rispettive norme costituzionali. Tale procedura di revisione riposa però sulla unanime volontà degli Stati membri ed è tipica della confederazione.

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Al momento attuale la cittadinanza europea è quella di un organismo statuale di cui appare problematico attribuire la qualifica di stato, in quanto la natura giuridica dell’Unione europea costituisce un’entità a mezza strada tra la confederazione e la federazione, un mirabile quidam monstrum. Al momento attuale, occorre riconoscere che l’Unione non possiede tutti i requisiti propri dello stato; ciononostante, il fatto che l’ordinamento comunitario si sia sviluppato in una dimensione di coesistenza con gli ordinamenti nazionali, che non hanno perso la loro qualità di ordinamenti originari, ha avuto delle conseguenze sull’evoluzione della cittadinanza europea e sulle situazioni giuridiche ad essa connesse.

Recezione dell’ordinamento comunitario in Italia In Italia l’autorizzazione alla ratifica dei Trattati comunitari è stata data di norma con legge ordinaria, cui non ha fatto seguito alcuna legge costituzionale di esecuzione, nonostante che i Trattati comportassero deroghe al sistema costituzionale. La copertura di tali deroghe è stata individuata nell’art. 11 della Costituzione italiana da parte del Parlamento e della Corte costituzionale: l’art. 11 consente a certe condizioni limitazioni di sovranità a favore di organizzazioni internazionali.

Verso la creazione di uno spazio di libertà, sicure zza e giustizia Un’altra limitazione alla libera circolazione deriva dalle difficoltà di creare una regolamentazione uniforme per l’attraversamento delle frontiere esterne: tale problema, ancora oggi non ancora del tutto risolto, viene affrontato alla fine degli anni ’90 con i trattati di Amsterdam e di Nizza, che danno corpo alla politica comune di sicurezza e giustizia. Infatti, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, non ci si può ancora muovere e fissare la propria residenza all’interno dei territori degli Stati membri come all’interno di uno stato federale: la data del 31 dicembre 1992, fissata per l’attuazione del mercato interno, trascorre senza una sua piena realizzazione e, alla fine degli anni ’90, lo spazio senza frontiere rimane un obiettivo ancora da raggiungere. L’attuazione del mercato interno richiede una politica comune di accesso all’interno del territorio europeo per i cittadini di paesi terzi, che rende sempre più urgente una politica per l’immigrazione, per i visti di accesso ai paesi comunitari, per la richiesta di asilo; infatti essa comporta l’eliminazione di ogni controllo alle frontiere interne all’interno dell’Unione europea, vale a dire l’eliminazione di formalità, procedure, verifiche, esami, ispezioni, ecc, limitando i controlli alle frontiere ai controlli di identità. Poiché lo smantellamento delle frontiere interne presuppone la rinuncia degli Stati membri alle loro prerogative in materia di politica interna e di sicurezza, la realizzazione di uno spazio senza frontiere richiede regole comuni per l’attraversamento delle frontiere esterne e uno standard uniforme di efficacia di controlli, in caso contrario l’intero sistema sarebbe reso vulnerabile dall’inefficienza di un solo stato o sarebbe comunque condizionato dal livello di controllo meno efficace operato da un singolo stato. In assenza di una comune regolamentazione normativa nessuno stato accetterebbe di far dipendere gli enormi problemi di sicurezza, connessi alla circolazione di soggetti di paesi terzi, dalle scelte operate autonomamente da ciascun singolo Stato membro circa l’accesso al proprio territorio di soggetti extracomunitari. Il problema dell’adozione di una politica di sicurezza comune era stato già affrontato nell’art. 100 C del Trattato di Maastricht, che attribuisce alla competenza della Comunità le determinazioni per quanto attiene alla politica dei visti, cioè la disciplina che regola le condizioni per l’ingresso, la circolazione ed il soggiorno degli stranieri nel territorio comunitario, e si prendeva l’impegno per l’adozione di ulteriori disposizioni in materia nelle Disposizioni relative alla cooperazione nei settori della giustizia e affari interni. Per risolvere tutti questi problemi vengono stipulati i Trattati di Amsterdam e di Nizza.

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1997-TRATTATO DI AMSTERDAM Il Trattato di Amsterdam pone il rispetto dei diritti dell’uomo al centro della costruzione europea e fa un ulteriore passo in avanti nel processo di approfondimento delle istituzioni UE, migliorandone l’efficacia del funzionamento nei settori della cooperazione giudiziaria, della libera circolazione delle persone e della politica estera e di sicurezza: rafforza i poteri di co-decisione del Parlamento europeo, al quale vengono assegnate nuove competenze che ne confermano il ruolo di co-legislatore in quanto espressione democratica diretta dell’Unione; rafforza i sistemi di controllo democratico e l’intervento dell’UE in nuovi settori, quali la creazione di posti di lavoro e la tutela della nostra società contro la criminalità organizzata e l’immigrazione clandestina. Lo scopo del nuovo trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997, è quello di consolidare ciascuno dei tre pilastri su cui poggia l’Unione dopo Maastricht, ponendosi quattro obiettivi principali: eliminare gli ultimi ostacoli alla libertà di circolazione e rafforzare la sicurezza negli spostamenti; rendere più efficace la struttura istituzionale ed eliminare le disfunzioni istituzionali in vista dell’allargamento a est; promuovere l’occupazione e rafforzare la tutela dei cittadini; rafforzare l’influenza dell’Europa sul piano internazionale.

L’allargamento a est

Con l’approvazione del trattato di Amsterdam 1997, si apre dunque la strada al quinto allargamento della Comunità verso i paesi dell’Europa centrale e orientale, che si realizza nel 2004. Alla fine degli anni ‘90, la preoccupazione fondamentale dei governi europei diventa quella di garantire la stabilità alle frontiere dell’Unione interne ed esterne: dopo l’esperienza di conflitti interetnici in Bosnia e nel Kossovo, in seguito allo sfaldamento della Jugoslavia, si teme un ritorno di fiamma dei conflitti territoriali, degli odi etnici e nazionalistici anche in altre zone appena uscite dal regime sovietico dopo caduta del muro di Berlino; inoltre, la prospettiva di un’Unione allargata a est rende necessario garantire il controllo delle frontiere esterne ai confini dell’Asia e della Russia. La UE chiede ai paesi candidati di soddisfare le condizioni stabilite dal vertice di Copenaghen del 1993: avere istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, la preminenza del diritto, il rispetto dei diritti dell’uomo, la protezione delle minoranze; avere un’economia di mercato che possa reggere la concorrenza, essere in grado di perseguire gli obiettivi dell’Unione europea. L’allargamento costituisce un fattore di stimolo per i progressi compiuti dalle giovani democrazie dell’Europa centrale e orientale con la prospettiva di un ancoraggio alle istituzioni democratiche e all’economia aperta dell’Unione europea.

Lo spazio di libertà sicurezza e giustizia

Prima di aprire le porte ai paesi candidati l’Unione europea cerca di consolidare l’edificio europeo (approfondimento) allo scopo di assicurare la libera circolazione dei cittadini in seno a uno spazio di giustizia e di sicurezza interna. Lo “spazio senza frontiere interne” attuato con l’Atto unico del 1986 si deve evolvere in direzione di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, realizzato concretamente integrando il sistema di Schengen nel quadro istituzionale dell’Unione. Per evitare che l’eliminazione delle frontiere comporti minore sicurezza, il Trattato di Amsterdam imprime nuovo slancio alla costruzione dello spazio di sicurezza, di libertà e giustizia, creando i presupposti per armonizzare le regolamentazioni in materia di diritto d’asilo e d’immigrazione, avvicinare le legislazioni nazionali in questo settore, rafforzare la cooperazione penale e la cooperazione a livello di polizia. In concreto, si tratta di armonizzare la politica dei visti, le condizioni di rilascio agli immigrati dei permessi di soggiorno, le procedure di asilo, le norme della cooperazione in materia civile. La soppressione dei controlli alle frontiere interne comporta, infatti, la rinuncia al controllo delle proprie frontiere da parte dello Stato, una delle sue prerogative tradizionali in materia di sovranità nazionale; se si vuole che la libertà di circolazione sia percepita come un vantaggio e non come una minaccia, lo spazio di libertà deve essere accompagnato da uno spazio di sicurezza e giustizia: occorre garantire la sicurezza ai cittadini europei sia su scala europea che su scala

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nazionale, perché l’opinione pubblica europea è sempre più preoccupata per l’insicurezza quotidiana, per la piccola e la grande delinquenza, nutrita dai traffici illegali di armi e di droghe, per la criminalità internazionale, per l’immigrazione clandestina e per il terrorismo.

Protezione dei diritti individuali dei cittadini

Inoltre, il Trattato di Amsterdam rafforza la protezione dei diritti individuali dei cittadini con nuove disposizioni riguardanti i diritti fondamentali: diritti dei consumatori e la protezione della salute, il diritto all’informazione comunitari, adotta le misure necessarie per combattere qualsiasi discriminazione fondata sul sesso sulla razza, origine etnica religione, opinione politica, handicap, età e preferenza sessuale. A tal fine prevede che l’Unione rispetti i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. L’esigenza di garantire il rispetto dei diritti fondamentali in tutti gli Stati membri dell’Unione verrà recepita da una disposizione del trattato di Nizza che prevede la possibilità per il Consiglio di constatare l’esistenza un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei diritti e delle libertà fondamentali su cui si fonda l’Unione. Tale disposizione verrà ripresa nella Costituzione europea del 2004, nella Parte I, Titolo IX, sull’appartenenza all’Unione, al comma 1 dell’art. 58, quando afferma che “Il Consiglio dei ministri, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, può adottare una decisione europea in cui constata che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’art.2”. Per esempio in base al principio che vieta la pena di morte, è evidente che l’Unione non potrebbe accettare fra i propri membri uno Stato che praticasse la pena di morte, in caso contrario si applicherebbero a quello stato le sanzioni previste alla art. I -59 sulla appartenenza all’Unione (Titolo IX, Parte I).

Principio di sussidiarietà

Infine, il Trattato di Amsterdam del 1997 contribuisce alla riforma delle istituzioni comunitarie riaffermando il principio di sussidiarietà, già suggerito nel progetto Spinelli del 1984, con il quale si vuole evitare la creazione di un Superstato accentrato. Il principio di sussidiarietà è la traduzione istituzionale della regola democratica che le decisioni devono essere prese il più vicino possibile ai cittadini: per rendere più efficace la sua azione, l’UE preferisce delegare agli organismi locali la soluzione dei problemi di loro competenza, intervenendo nei settori che non rientrano nella sua esclusiva competenza solo quando gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri: ciò significa che le decisioni legate al territorio sono prese dagli enti locali direttamente interessati, piuttosto che dagli organismi centrali dell’Unione che non conoscono l’effettivo contesto in cui si situano le questioni su cui occorre deliberare.

2000–TRATTATO DI NIZZA Alle soglie della Conferenza intergovernativa di Nizza del 2000 sono in via di realizzazione due grandi progetti politici dell’Unione: la creazione di un’Unione economica e monetaria e l’allargamento a est. Entrambi i progetti stimolano il dibattito sugli obiettivi dell’Unione e sulla necessità di una riforma istituzionale di vasta portata, che miri alla stabilizzazione del sistema istituzionale europeo e comprenda anche il rafforzamento del ruolo della società civile e dei diritti dei cittadini , mediante la redazione di una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, la quale riunisca in un unico testo, di facile lettura, i diritti personali, civili, politici, economici e sociali del cittadino europeo. Infatti, dopo il Trattato di Maastricht del 1992, che ha introdotto la cittadinanza dell’Unione europea, si è sentita l’assenza di una dichiarazione dei diritti.

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La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione non nasce dal nulla: il progetto di unione europea presentato da Altiero Spinelli nel 1984 prevedeva già entro cinque anni una dichiarazione dei diritti fondamentali; dieci anni dopo, il progetto di costituzione vanamente approvato dal Parlamento europeo conteneva un titolo sui diritti dell’uomo garantiti dall’Unione. Il passo concreto verso una carta dei diritti è stato compiuto con il Trattato di Amsterdam, che definiva in forma sommaria i principi comuni agli Stati membri e prevedeva che nel caso di violazione di tali principi uno Stato potesse essere sospeso da alcuni dei poteri inerenti al Trattato, restando in ogni caso vincolato dagli obblighi di appartenenza.

Riforma e rafforzamento delle istituzioni della Unione europea

Il rafforzamento delle istituzioni dell’UE e il suo ampliamento non sono dissociati l’uno dall’altro. La riforma istituzionale dell’Unione deriva dalla coscienza dei rischi connaturati con l’ampliamento dell’UE a 27 membri, e dalla consapevolezza che la Comunità europea si è trasformata progressivamente in un’Unione politica, sulla base della doppia legittimità di un’unione di Stati e di un’unione di popoli. Se, da una parte, solo un’Unione capace di riformare le proprie istituzioni e di allargarsi senza indebolirsi può continuare a progredire sulla via della costruzione politica, dall’altra parte, è nell’interesse dei paesi candidati unirsi a un complesso costituzionale coerente nelle strutture ed efficace nelle sue procedure decisionali. Al contempo, tale complesso istituzionale deve conservare la propria legittimità agli occhi dei cittadini e la sua identificabilità da parte dei paesi terzi, i quali si attendono che l’Unione si rivolga ad essi con una voce unitaria. In materia di riforma delle istituzioni la conferenza di Nizza approva importanti modifiche al trattato dell’Unione: ripartizione dei seggi al Parlamento europeo, ponderazione dei voti in seno al Consiglio quando si vota a maggioranza, composizione della Commissione, etc. Il trattato di Nizza resta ancora oggi quello di riferimento finché non entrerà in vigore il trattato della Costituzione per l’Europa. Le principali innovazioni di tale trattato sono:

• estensione della procedura di codecisione in vari campi e una nuova distribuzione dei seggi nel Parlamento europeo, il cui tetto viene aumentato a 732;

• revisione dei sistema di ponderazione del voto in Consiglio: le decisioni sono adottate solo se sostenute dalla maggioranza degli Stati e se ottengono almeno un determinato numerosi voti ponderati, la cui soglia minima è stata aumentata rispetto a quella passata; la decisione diventata più complicata, perché è ancora più difficile ottenere la maggioranza minima necessaria per decidere;

• estensione del campo di applicazione della maggioranza qualificata, con esclusione della fiscalità e della sicurezza sociale a causa della ferma opposizione britannica;

• cambiamento della composizione della Commissione con la rinuncia da parte degli Stati più grandi a nominare il secondo commissario: in questa prospettiva il vero problema della Commissione sarà quello di gestire la collegialità, anche se essa va ancora considerata come fonte di legittimità della Commissione;

• modifica della procedura di nomina dei Commissari e del Presidente della Commissione, che vengono designati dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata e viene approvata dal Parlamento europeo: in questo modo è stato opportunamente accentuato il carattere presidenziale della Commissione, attribuendo al presidente il potere di decidere l’organizzazione interna della Commissione, di assegnare i singoli portafogli ai Commissari e di modificarlo in corso di mandato, di nominare un numero non precisato di vicepresidenti e di chiedere le dimissioni di uno o più commissari, previa approvazione da parte della Commissione;

• semplificazione della cooperazione rafforzata, che prevede un numero minimo di otto Stati che possa ricorrervi, inoltre nei casi in cui la cooperazione rafforzata riguarda materie

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per cui è prevista la procedura di decisione il Parlamento europeo dispone del potere di parere conforme;

• eliminazione del veto nel primo e nel terzo pilastro e previsione della possibilità di deferire la questione al Consiglio europeo in caso di opposizione di uno Stato nel secondo pilastro della politica estera e di sicurezza.

In conclusione, entrambi i trattati di Amsterdam e Nizza compiono significativi progressi in direzione della costruzione della cittadinanza europea e del rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, anche se sono ancora insufficienti a preparare l’Unione europea alle varie sfide che essa è chiamata ad affrontare: la sfida interna per costruire un sistema di governance economica e politica intorno alla moneta unica, la sfida esterna che comincia con l’allargamento alle nuove democrazie dell’Est e del Sud dell’Europa in uno scenario in cui l’Unione europea deve porsi come vero attore politico internazionale.

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA UNIONE EUROPEA

Legittimazione democratica dell’UE

Dopo il Trattato di Maastricht si è avvertita la necessità di una fase costituente che coinvolga i cittadini europei nella scelta del proprio futuro. L’approccio funzionalista ha prodotto in cinquant’anni risultati storici irreversibili, ma adesso non basta più, l’Unione europea non può procedere soltanto sotto la spinta della globalizzazione dei mercati. Dopo l’unione monetaria, la parziale comunitarizzazione del terzo pilastro e l’evoluzione del diritto comunitario, l’UE deve compiere un passo ulteriore verso l’integrazione dei cittadini attraverso i diritti e una costituzione europea. Serve un atto fondativo della cittadinanza comune, un Bill of Rights che visualizzi i valori condivisi della cittadinanza, i fattori comuni del demos europeo. È un errore ridurre l’integrazione europea ad un semplice sforzo di adeguamento delle economie dei nostri Stati alle sfide della globalizzazione: occorre il sostegno dei cittadini. A questo fine l’adozione di una Carta dei diritti costituisce una tappa fondamentale nel processo di integrazione europea, perché fornisce una chiara definizione dei diritti fondamentali e rende visibili i fattori comuni della cittadinanza europea, stabilendo un referente unitario rispetto alla persistente rappresentatività nazionale degli Stati membri. I principi stabiliti analiticamente nella Carta si fondano sui valori indicati sinteticamente nell’art. 2 della Costituzione europea del 2004 2 , che costituiscono i criteri discriminanti per l’ammissibilità dei nuovi Stati all’Unione europea, definendo il perimetro giuridico per accedere all’Unione e per restarci sulla base di standard uniformi di civiltà: in base all’art. I-58 comma 1, uno Stato europeo, per poter aderire all’Unione deve rispettarne i valori: “L’Unione è aperta a tutti gli Stati membri che rispettano i valori di cui all’art. 2 e si impegnano a promuoverli congiuntamente”. Questi criteri, denominati anche criteri di Copenaghen, impongono a ciascun paese candidato di essere uno Stato di diritto pienamente democratico, di avere un’economia di mercato vitale e concorrenziale in seno all’Unione e di potersi allineare alla legislazione comunitaria.

Convenzione di Colonia

Nel giugno 1999 il Consiglio europeo di Colonia adotta la decisione di elaborare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, affidandone il compito ad un organo misto, formato da rappresentanti del Parlamento europeo, dei parlamenti nazionali, dei governi e della Commissione. A Colonia il mandato per la redazione della Carta non va oltre l’idea di una compilazione che esponga in forma ordinata e visibile le tradizioni costituzionali comuni agli Stati dell’Unione e i principi già affermati nei trattati e nella giurisprudenza comunitaria. In seguito, vengono stabiliti la composizione e il metodo di lavoro della Convenzione presieduto da Roman Herzog. Dopo un anno e mezzo di lavoro, il testo redatto dalla Convenzione di Colonia

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viene approvato dal Consiglio europeo di Biarritz e viene proclamato al vertice di Nizza il 7 dicembre 2000 dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione.

Valore simbolico della Carta dei diritti

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione riunisce in un unico testo di facile lettura i diritti civili, politici, economici e sociali del cittadino europeo, che prima solo giuristi ed esperti erano in grado di ricavare dai trattati, dalle direttive, dai regolamenti comunitari e soprattutto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. La Carta ha un indubbio valore simbolico, perché dà maggiore visibilità ai diritti individuali e, quindi, può essere letta anche da persone comuni come giornalisti, insegnanti, studenti, militanti di associazioni, contribuendo alla progressiva creazione di una cultura comune di cittadinanza dell’Unione. Indicando il fondamento della cittadinanza comune, insieme alla costituzione, la Carta dei diritti può segnare un passo importante verso la legittimazione etico-politica della cittadinanza europea: “I popoli europei – si afferma nel Preambolo alla Carta - nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. L’identità europea deve unificare i fattori comuni senza comprimere il pluralismo delle tradizioni nazionali, come si afferma esplicitamente nel Preambolo: “L'Unione contribuisce al mantenimento e di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale” e, come si ribadisce nel motto dell’UE “uniti nella diversità”, sancito nell’art. I-8 della Costituzione del 2004. Ciò vuol dire che l’identità europea non può fare a meno degli Stati nazionali e del pluralismo delle loro culture, lingue, religioni e culture. E’ la realizzazione del sogno di Jean Monnet, il quale aveva detto “Noi non coalizziamo stato, ma uniamo uomini”.

Fonti della Carta dei diritti

I 54 articoli della Carta dei diritti discendono da una pluralità di fonti: diciassette articoli o paragrafi sono ricalcati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), altri dalle dichiarazioni universali delle Nazioni unite; ventitré articoli o paragrafi sono derivati dai trattati o da direttive comunitarie, una decina dalla giurisprudenza della Corte di giustizia; dodici articoli sono desunti dalle Carte sociali adottate nel tempo dalla Comunità o dal Consiglio d’Europa. Nell’insieme l’impianto della Carta associa ai diritti civili e politici del costituzionalismo classico i diritti sociali della cittadinanza inclusiva, incrociando libertà individuali, garanzie protette, divieti e doveri.

CEDU del 1950 e la Carta dei diritti fondamentali

La Carta sancisce in maniera solenne tutta una serie di principi che trovano fondamento nei diritti e libertà fondamentali riconosciuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nelle tradizioni costituzionali dei paesi dell’Unione europea; tale line di continuità logico-storica è riaffermata nel comma 3 dell’at. I-9 della Costituzione del 2004: “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. La CEDU costituisce una delle fonti principali della Carta dei diritti fondamentali della UE , anche se il contenuto di quest’ultima è più ampio di quello della CEDU, perché non riguarda solo i diritti civili e politici, ma anche altri settori come i diritti sociali, il diritto alla buona amministrazione e il diritto alla protezione dei dati personali e la bioetica. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) venne firmata dai delegati degli Stati membri del Consiglio d’Europa nel 1950: essa vincola gli Stati membri del Consiglio d’Europa con norme di diritto internazionale e tutela le libertà fondamentali e i diritti dei cittadini singoli mediante un efficace sistema di protezione

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giuridica con organi di tutela e di garanzia, la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Commissione europea dei diritti dell’uomo istituiti a Strasburgo. Nel secondo dopoguerra la CEDU ha rappresentato un passo decisivo in direzione della salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali ad opera di una comunità regionale di Stati, che si avvale di propri organi esecutivi operanti presso la sede del Consiglio d’Europa a Strasburgo. Negli anni ‘70 tali istituzioni sono state fondamentali per avviare un dialogo fra il blocco occidentale e quello orientale: durante la Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE), svoltasi a Helsinki nel 1975, la CEDU e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo hanno costituito la base del confronto serrato fra i paesi dell’ Ovest e dell’Est sul problema dei diritti umani. La conferenza di Helsinki si è conclusa con una risoluzione in difesa dei diritti umani, che ha dato impulso e vigore al movimento dei dissidenti dei fautori dei diritti civili e delle libere frontiere nei paesi dell’Est europeo prima del crollo del muro di Berlino del 1989.

Preambolo

La Carta è preceduta da un Preambolo3 introduttivo, in cui si legge che al fine di promuovere lo sviluppo dei valori comuni è necessario che essi siano resi visibili in una Carta. Il Preambolo richiama le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri dell’Unione e le responsabilità e i doveri che il godimento di tali diritti comporta nei confronti della comunità umana e delle generazioni future: tale richiamo potrebbe costituire un passaggio fondamentale nel rapporto tra la persona e l’Unione, che in tal modo dichiara di volersi progressivamente affermare come nuovo spazio politico, fondato su un concetto di cittadinanza che non significa solamente riconoscimento di nuovi diritti a livello comunitario, ma anche il dovere di rispettare l’altrui dignità, obbligo di solidarietà, rispetto dell’ambiente. Il Preambolo della carta riafferma i valori fondamentali di dignità umana, libertà, eguaglianza e solidarietà, ribadisce il principio democratico e dello Stato di diritto, fa riferimento al “patrimonio spirituale e morale” dell’Unione, colloca la persona al centro della sua azione attraverso l’istituzione della cittadinanza europea e la creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia; ribadisce il principio di sussidiarietà, delle identità nazionali, regionali e locali, della diversità culturale, sottolinea la necessità di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici. Infine, nel Preambolo vi è anche un necessario riferimento alla pace, il valore fondante di tutta la costruzione europea, basata sulla riconciliazione tra i popoli e gli Stati europei. I principi affermati nel Preambolo si riflettono nella struttura della Carta: sul piano sostanziale gli articoli si sviluppano intorno a sei valori fondamentali: la dignità (artt.1-5); le libertà (artt.6-9); l’uguaglianza (artt.20-26); la solidarietà (artt. 27-38); la cittadinanza (artt. 39-46) e la giustizia (artt. 47-50), che individuano le sei categorie fondamentali in cui si suddividono i diritti civili, politici, economici e sociali del cittadino europeo.

Titolarità dei diritti

La titolarità varia di ampiezza dai diritti universali ai diritti operanti nello spazio giuridico dell’Unione per i residenti, ai diritti inerenti allo status di cittadinanza. Nella Carta è garantita la natura universale dei diritti nel senso che gli stessi sono attribuiti senza limitazioni soggettive, anche se taluni diritti si riferiscono ad alcune categorie di individui che rispondono a requisiti specifici. Tra questi i minori (art. II-84) e gli anziani (art. II-85), i lavoratori con riferimento ad alcuni diritti sociali, e i cittadini dell’Unione, ai quali sono riconosciute la libertà di lavoro, di ricerca di un’occupazione, di insediamento o di prestazione di servizi in qualsiasi Stato membro (art. II-75, paragrafo 2), la parità di accesso alle prestazioni previdenziali e all’aiuto sociale in un altro Stato membro (art. II-94, par. 2) nonché il diritto di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo (art. II-99) e alle elezioni municipali (art.II-100), la libertà di circolazione e di soggiorno sul territorio degli Stati membri (art. II-105, par. 1) e la protezione diplomatica e consolare (art. II-106).

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Accanto a norme che sanciscono diritti soggettivi invocabili dai singoli vi sono disposizioni che enunciano principi come quelle relative all’accesso alle prestazioni previdenziali (art. II-94, paragrafo1) o ai servizi di interesse economico generale (art. II-96), alla tutela all’ambiente (art. II-97) ed alla protezione dei consumatori (art. II-98)

Contenuti

I contenuti della Carta dei diritti possono essere ripartiti in tre aree: diritti civili e politici, diritti sociali e diritti di nuova generazione. I diritti classici, civili e politici, costituiscono la parte più tradizionale di derivazione CEDU, di libertà e di uguaglianza, nonché i diritti procedurali quali garantiti dalla convenzione di Roma e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Sono i diritti consolidati nelle tradizioni nazionali ormai metabolizzati nella vita civile europea: dignità della persona e diritto alla vita; divieto della pena di morte, della tortura e della riduzione in schiavitù; libertà di pensiero, associazione, riunione; diritto di istruzione, lavoro, sicurezza; diritto di asilo e limiti all’estradizione; eguaglianza di fronte alla legge. Per questa parte la Carta si pone in raccordo con la CEDU, rispetto alla quale la Carta dei diritti contiene altre due parti concernenti i diritti sociali e i nuovi diritti emergenti dall’evoluzione sociale e dallo sviluppo scientifico e tecnico successivi al lontano 1950 quando la CEDU fu sottoscritta a Roma. Tali diritti sono stati riconosciuti prima della proclamazione della Carta grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale ne garantiva la protezione richiamandosi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alla CEDU, in quanto principi generali del diritto comunitario. Rispetto alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea la Carta ha il merito di renderli facilmente riconoscibili e di affrontare in modo sistematico ed ordinato una materia trattata in modo eterogeneo e frammentario; infatti nella giurisprudenza comunitaria taluni diritti vengono trattati di frequente, altri si trovano raramente, alcuni mancano del tutto: gran parte delle sentenze della Corte di giustizia riguarda il diritto di proprietà e di libera iniziativa economica, ma si ritrovano pronunce sul divieto di discriminazione in base al sesso e all’uguaglianza, sulla libertà di espressione, sul rispetto della vita privata, sull’inviolabilità del domicilio e sul rispetto del segreto professionale. Infine una cospicua parte delle decisioni della Corte si è occupata di diritti fondamentali procedurali, quali il diritto alla tutela giurisdizionale, il diritto ad un giusto processo, il divieto di retroattività delle norme penali ed i diritti della difesa. La parte sui diritti economici e sociali fondamentali è ricalcata sulle Carte sociali del 1961 e del 1989, comprende alcuni articoli contenuti nel capitolo sulla libertà, come per esempio i principi di libertà di impresa (II-76) e diritto di proprietà (II-77); altri compresi nel capitolo sulla solidarietà, come per esempio, i diritti dei lavoratori (consultazione, negoziato, sciopero, collocamento, condizioni di lavoro, protezione in caso di licenziamento ingiustificato, divieto di lavoro infantile); i diritti di solidarietà (protezione della famiglia, sicurezza sociale, tutela della salute, diritto di accesso ai servizi di interesse generale). La terza e più innovativa parte della Carta comprende i diritti di nuova generazione: bioetica e ricerca scientifica; protezione dell’ambiente e dei consumatori; informazione e privacy; non discriminazione; pluralismo interculturale. Infine, la Carta prevede altri diritti di derivazione comunitaria riservati ai cittadini dell’Unione, quali la libertà di ricerca scientifica (art.II-73), la libertà di impresa (art. II-76), la protezione della proprietà intellettuale (art.II-77), la protezione dei minori (art.II-84) e degli anziani (art.II-85), la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art.II-90); l’accesso ai servizi di interesse economico generale (art.II-96), il diritto ad una buona amministrazione (art.II-101).

Valori fondamentali

I primi quattro capitoli sulla dignità, libertà, eguaglianza e solidarietà, sono inscritti in uno spazio giuridico determinato dai diritti politici di cittadinanza (suffragio democratico, trasparenza

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amministrativa, partecipazione e petizione, libera circolazione, protezione diplomatica) e dai garantismi dello Stato di diritto (imparzialità del giudice, presunzione di innocenza).

Dignità

Sotto il titolo Dignità sono elencati i diritti fondamentali che sembrano esulare dalle competenze dell’Unione europea, in particolare ci si riferisce al divieto della pena di morte e della tortura (art. II-64), della schiavitù o del lavoro forzato (art.II-65). Tali disposizioni costituiscono valori fondamentali comuni che l’Unione non può esimersi dal riconoscere, al di là delle competenze ad essa attribuite. Del tutto innovativa è la previsione dell’integrità della persona (art.II-63) in materia di bioetica, in particolare nella parte in cui pone dei principi da rispettare nell’ambito della biologia e della medicina. I principi attengono al consenso libero e incondizionato della persona interessata, al divieto di pratiche eugenetiche, al divieto di fare delle parti del corpo fonte di lucro ed infine il divieto di clonazione riproduttiva degli esseri umani. Tra le pratiche eugenetiche il divieto attiene a quelle che hanno come scopo la selezione delle persone, quali devono considerarsi le ipotesi in cui siano organizzati ed attuati programmi di selezione che comportino campagne di sterilizzazione, gravidanze forzate, matrimoni etnici obbligatori: tali atti sono considerati crimini internazionali dallo Statuto del Tribunale internazionale adottato a Roma nel luglio 1998. L’articolo sull’integrità della persona vieta la clonazione solo se riproduttiva degli esseri umani e risulta quindi meno restrittivo rispetto alla recente risoluzione del Parlamento europeo: ciò ha determinato dei conflitti perché non sono stati accolti gli emendamenti di parte cattolica che estendevano il diritto alla vita fino al concepimento e il divieto di clonazione anche a scopi terapeutici; in materia di bioetica la diversità fra cultura religiosa e cultura laica è irriducibile, e il testo della carta rappresenta un compromesso ragionevole che limita la normazione prescrittivi al minimo etico generalmente condiviso.

Libertà

Nel capitolo sulla Libertà , accanto ai diritti fondamentali già accolti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, quali il rispetto della vita privata e familiare(art.II-67), la libertà di impresa (art.II-76), il diritto di proprietà (art.II-77) ed il diritto di espressione e di informazione (art. II-71), trovano espressione quei diritti tutelati dalla CEDU, quali la libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art.II-70), la protezione dei dati personali (art.II-68) ed il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art.II_69). La libertà di religione (art.II-70) era stata riconosciuta dalla Corte di giustizia nella sentenza Prais del 27 ottobre 1976, causa 130/75, in Raccolta 1976 p.1589: questo articolo presenta degli elementi di novità rispetto alla CEDU perché viene riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza il quale non figura nella CEDU. La protezione dei dati personali (art.II-68) è tutelata in ambito comunitario dalla direttiva 95/46/CE; di conseguenza tale disposizione in parola si esercita alle condizioni previste dalla suddetta direttiva e può essere limitato alle condizioni previste dall’art. II-113 della Carta. La disposizione della Carta che garantisce il diritto di sposarsi ed il diritto di costituire una famiglia (art.II-69) presenta una differente formulazione rispetto alla CEDU, che tutela il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia: la differente formulazione ha lo scopo di disciplinare i casi in cui le legislazioni nazionali riconoscono modi diversi dal matrimonio per costituire una famiglia. Sono inoltre previste la libertà si riunione e di associazione (art.II-72), la libertà di professione ed il diritto di lavorare (art.II-75), disposizioni che pongono le basi dei diritti sindacali fondamentali, i quali si trovano sotto il capitolo della solidarietà. Nella sezione dedicata alle libertà sono comprese le libertà delle arti e delle scienze, nonché il diritto di istruzione (art.II-74), i quali si ispirano alla CEDU e alle tradizioni costituzionali comuni. L’articolo che riconosce la libertà di ricerca scientifica (art.II-73) è stato aggiunto nella versione

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definitiva alla Carta. Infine sono compresi i diritti politici quali il diritto di asilo (art.II-78) e la protezione in caso di allontanamento, espulsione e di estradizione (art.II-79).

Uguaglianza

Nel capitolo relativo all’Uguaglianza è enunciata l’uguaglianza di fronte alla legge, è statuito il divieto di discriminazione, è tutelata la diversità culturale e religiosa e linguistica e la parità tra uomo e donna. Vengono tutelati i diritti del bambino, degli anziani e dei disabili. La Carta impegna l’Unione a rispettare la diversità culturale, religiosa e linguistica nell’art.II-82. Il principio di convivenza pluralistica meriterebbe di trovare nella Carta una definizione meno generica di quella attuale: la convivenza multietnica è destinata a ingigantire nel territorio dell’Unione sotto la pressione di spostamenti demografici ineluttabili, ma rappresenta un punto debole della carta. L’accesso in Europa ai diritti di cittadinanza europea di gruppi portatori di culture radicalmente diverse da quella europea, quali gli islamici, richiede come condizione che ci accede alla società aperta ne accetti le regole, consentendo a ciascuno individuo di modificare al contatto con la società aperta le proprie scelte di vita. Una definizione meno elusiva dovrebbe affermare la prevalenza dell’identità individuale sui vincoli identitari di gruppo etnico e religioso, che al limite possono risultare incompatibili sia con la tutela dei diritti individuali sia con la reciprocità del principio di tolleranza che distingue la società aperta rispetto alle società chiuse dalle quali provengono consistenti gruppi di immigrati: il rispetto della diversità è un principio differente, anzi opposto, rispetto al vincolo di identità collettive chiuse. Il principio di non discriminazione (art.II-81) è ampiamente trattato nella Carta, compiutamente descritto in termini generali e ulteriormente specificato con norme a tutela della parità dei sessi, la protezione dei minori e l’inserimento sociale dei disabili. Poiché fra le interdizioni compare la discriminazione derivante dall’orientamento sessuale, tanto è bastato perché in Italia, la parte cattolica l’abbia osteggiato per la definizione del diritto di famiglia che la Carta garantisce “secondo le leggi nazionali che ne regolano l’esercizio” , lasciando quindi spazio alle legislazioni permissive nei confronti di unioni di fatto anche omosessuali.

Solidarietà

Nel titolo sulla Solidarietà sono state inserite disposizioni relative ai diritti fondamentali economici e sociali, prendendo ispirazione dalla Carta sociale europea e dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. L’inclusione dei diritti sociali non viene accolta favorevolmente da tutti i partecipanti al dibattito sulla redazione della Carta. La Convenzione è riuscita mediare fra le due posizioni opposte proponendo una sistemazione dei diritti sociali ed economici ispirata ad un comune denominatore, quello del rispetto della dignità umana. Nel titolo sulla Solidarietà sono adottate disposizioni relative al diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa (art. II-87), alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. II-90), il divieto di lavoro minorile (art. II-92), all’assistenza sociale e sicurezza sociale (art. II-94) ed alla protezione della salute (art.II-95), le quali oltre ad essere previste nelle Carte dei diritti dei lavoratori, trovano una più concreta disciplina nel Trattato Ce o in direttive e regolamenti comunitari. Le disposizioni relative alla tutela dell’ambiente (art.II-97) ed alla protezione dei consumatori (art.II-98) sollevano qualche perplessità circa la loro natura, dato che sono difficilmente classificabili come diritti fondamentali dell’uomo, tuttavia vista la tendenza a considerare questi nuovi diritti in modo sempre più ampio la loro inclusione nella Carta non crea difficoltà. Salvo un richiamo d’obbligo allo sviluppo sostenibile, l’articolo in questione è privo di contenuto innovativo. Manca ogni riferimento alla protezione della biosfera e della globalità degli esseri viventi; manca ogni indicazione programmatica in materia di conservazione del patrimonio naturale e di preservazione dagli inquinamenti; né vi è compreso l’obbligo di riparazione dei danni ambientali presente già nel progetto Spinelli del 1984. L’inclusione del diritto all’ambiente è comunque un passo in avanti per i paesi come l’Italia dotate di costituzioni anteriori all’epoca in cui si è

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sviluppata la domanda di tutela ambientale. Anche l’articolo successivo sulla protezione dei consumatori (art.II-98) è generico al limite della tautologia, e non accoglie aspetti salienti quali il diritto di corretta informazione e di rappresentanza associativa.

Giustizia

Anche le disposizioni relative alla Giustizia rientrano da ultimo nella categoria dei diritti fondamentali classici. Sono così riconosciuti molti dei diritti fondamentali procedurali garantiti dalla CEDU ai quali, in determinate circostanze, è riconosciuta perfino una portata più ampia rispetto alla Convenzione da cui prendono spunto.

Cittadinanza

La Carta presenta un capo intitolato Cittadinanza, che comprende i diritti dei cittadini dell’Unione già previsti nel Trattato UE. Come gli Stati membri, anche la UE offre ai propri cittadini determinate prerogative che non possono essere omesse in una Carta dei diritti, considerata come il primo passo verso il rafforzamento del carattere costituzionale dei Trattati. Nel capitolo sulla Cittadinanza sono garantiti l’eleggibilità attiva e passiva al Parlamento europeo ed alle elezioni comunali, il diritto di petizione, la tutela diplomatica ed il ricorso al mediatore. Oltre a tali diritti già previsti nel Trattato di Maastricht sono contemplati il diritto a una buona amministrazione ed il corredato diritto di accesso ai documenti

Utilità della Carta dei diritti

Oggi l’inclusione della Carta dei diritti fondamentali fa sì che tutte le istituzioni della UE siano giuridicamente tenute a rispettare la Carta ogni volta che devono applicare il diritto UE: i governi, i parlamenti, le amministrazioni degli Stati membri devono tenerne conto quando legiferano e quando emanano provvedimenti nei confronti dei cittadini europei, con la conseguenza che privati, associazioni, società etc., possano presentare ricorso di fronte a un giudice e chiedere il rispetto di tali diritti qualora ritengano che non siano stati rispettati. Inoltre, la Corte di giustizia europea, con l’adozione di un catalogo dei diritti valido specificamente per la UE, può emanare sentenze sui diritti fondamentali partendo dai principi generali del diritto, mentre prima doveva limitarsi all’esame dei singoli casi specifici.

TRATTATO DI LISBONA: diritti fondamentali Il Trattato di Lisbona fissa i diritti fondamentali relativi alla dignità dell’uomo, alla cittadinanza e alla giustizia, di cui tutti i cittadini dovrebbero godere nei confronti delle istituzioni comunitarie. Il fulcro della tanto discussa e ricercata identità europea risiede probabilmente proprio nel patriottismo costituzionale, incarnato dalla Carta dei diritti fondamentali e dallo stesso Trattato di Lisbona. Uno dei problemi dell’Europa uscita dal Trattato di Lisbona è quello di non essere ancora entrata nei cuori e nelle menti dei suoi 500 milioni di abitanti. Il quadro non è roseo a causa della sempre più scarsa affezione dei cittadini verso le istituzioni europee, testimoniata dalla bassa percentuale di partecipazione alle ultime elezioni europee. Uno dei problemi più gravi dell’unione europea, quello della scarsa presa delle istituzioni europee presso i cittadini . Oggi è in crescita il vento dell’euroscetticismo, la maggioranza dei cittadini Ue si sente lontana dai temi affrontati a Bruxelles e Strasburgo, fatica a riconoscersi nei suoi leader e appare tutt’altro che entusiasta alla prospettiva di nuovi allargamenti. Esiste un problema di consenso e di fiducia nei confronti delle istituzioni comunitarie, a risolverlo saranno le scelte coraggiose e responsabili da parte dei leader capaci di identificare gli interessi comuni, spiegarli ai cittadini, attuarli e tutelarli: occorre fare politica, il che significa cogliere le attese della popolazione, individuarle priorità, mobilitare l’opinione pubblica, ma anche saper dosare fra il realismo delle questioni immediate e la lungimiranza delle visioni più ampie. Uno dei limiti della Ue è che un popolo europeo è ancora da costruire, che i cittadini

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dell’Europa sono ancora legati ad una obbligazione politica di tipo nazional-statuale e che i nazionalismi sono più che mai vivi, stimolati anche dalla crisi economica e dalla massiccia immigrazione.

Cittadinanza duale Il cittadino dell’Unione europea continua ad essere prima di tutto cittadino del proprio stato, anche se beneficia di un gran numero di diritti riconosciuti dai trattati e ora dalla Costituzione. In sostanza i cittadini rimangono soggetti alla legislazione per gli stranieri, anche se con alcuni adattamenti destinati ad evitare le discriminazioni fra i cittadini dell’Unione, sostanzialmente rimangono stranieri privilegiati rispetto agli extracomunitari. La cittadinanza europea ha dunque un carattere aggiuntivo e complementare rispetto a quella nazionale: per il suo acquisto il Trattato non fissa requisiti ad hoc, ma la riconosce a tutti coloro che posseggono la cittadinanza di uno degli Stati membri. L’intero sistema della cittadinanza europea può essere definito di cittadinanza duale, con il quale si intende che la cittadinanza europea e quella nazionale sono due modi di esprimersi del ruolo stesso cittadino. La caratteristica peculiare della cittadinanza europea sta nel suo rapporto con la cittadinanza nazionale degli Stati membri dell’Unione: la cittadinanza nazionale non è assorbita dalla prima. Le due cittadinanze coesistono, anzi quella europea è aggiuntiva e complementare quella nazionale; lo status di cittadino europeo non comprime minimamente quello di cittadino del singolo Stato membro, ma conferisce la titolarità di altre e nuove situazioni giuridiche. Il cittadino di uno Stato membro dell’Unione è automaticamente anche cittadino europeo, quindi il requisito per l’acquisto di una cittadinanza nazionale è anche requisito per l’acquisto di quella europea. Nel consegue che la cittadinanza nazionale è la porta d’accesso alla cittadinanza europea: la cittadinanza nazionale è quella primaria e originaria, la cittadinanza europea è da essa derivata, è una cittadinanza di secondo grado, una cittadinanza satellite di quella nazionale. Le due cittadinanze sono quindi interconnesse e non separabili: da un lato, i cittadini hanno diritti e obblighi fissati dagli ordinamenti nazionali, di cui gli individui sono titolari all’interno di questi; dall’altro lato, vi sono situazioni giuridiche che dipendono da norme comunitarie, per esempio, una fattispecie di diritti sono quelli che possono consistere in uno sviluppo del principio di uguaglianza di trattamento (vedi at. 7 del Trattato Cee e ora art. 6 del Trattato Ce, che vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità). Per esempio, in base al principio di uguaglianza di trattamento, la norma comunitaria tende a far godere a tutti i cittadini degli Stati membri, ora anche cittadini europei, diritti fino a quel momento riconosciuti dagli ordinamenti nazionali solo ai cittadini dello stato di appartenenza: questo è lo schema applicato dal Trattato Cee per la libertà di circolazione dei lavoratori, di stabilimento e di prestazione di servizi. Nell’estendere all’interno degli ordinamenti comunitarie l’uguaglianza di trattamento dei cittadini europei le norme comunitarie potrebbero fissare ulteriori regole comuni; oppure può essere che siano inserite nell’ordinamento comunitario situazioni giuridiche prima disciplinate all’interno degli ordinamenti nazionali. Questo schema si trova in gran parte dei diritti che il Trattato di Maastricht fissa come nucleo primario della cittadinanza.

Cittadinanza multidimensionale Uno degli argomenti di chi si oppone all’unione politica europea è che non esiste un popolo europeo e che dunque non possa esistere un titolare originario della sovranità europea al di là dei singoli Stati. L’origine di questa tesi è la convinzione che le nazioni siano entità naturali, non formazioni storiche come diceva Croce, da cui si fa derivare l’impossibilità di creare un vincolo di solidarietà stabile fra i cittadini europei, perché ad essi non viene riconosciuta la qualità di popolo. La cittadinanza dell’Unione europea si presenta come una cittadinanza multinazionale, la quale comprende una molteplicità di appartenenze: la città, la regione, la nazione, l’Europa, il mondo. Ognuna di esse ha una propria storia ed è matrice di cultura che è parte della nostra cultura; a ognuna di esse apparteniamo, traendone alimento e doveri. Questa molteplicità di appartenenze

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culturali arricchisce la nostra vita e e dà senso alla nostra libertà; in un ordine politico giusto esse possono essere tra loro compatibili, anche se non sempre sono concordanti, in ogni caso nessuna di esse sarebbe feconda se fosse esclusiva. Nel 1932, nell’epilogo della Storia dell’Europa nel secolo decimonono Benedetto Croce individua la molteplicità delle appartenenze come un aspetto del farsi dell’unità europea: “Per intanto, già in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché, come già si è avvertito, le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che, or settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del Regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’esser loro anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalzeranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimentica già, ma meglio amate. Questo processo di unione europea, che è direttamente opposto alle competizioni dei nazionalismi e che sta contro di essi e un giorno potrà liberarne affatto l’Europa, tende a liberarla in pari tempo da tutta la psicologia che ai nazionalismi si congiunge e le sostiene e ingenera modi, abiti e azioni affini”. La costituzione europea rompe il legame <esclusivo> fra Stato e nazione e ci aiuta a capire come le società a cui noi apparteniamo siano molteplici. Il motto dell’Unione “uniti nella diversità” contenuto nell’art. I-8 indica che il presupposto dell’unificazione europea è la pluralità di culture , innanzi tutto con il presupposto di una pluralità di lingue , che di ogni cultura sono l’espressione più ricca e diffusa. La saldatura tra un’identità comune europea fondata sulla cittadinanza, ispirata alle leggi e alle istituzioni, e il pluralismo linguistico e culturale, fondato sulla differenza di lingua, storia, costumi e tradizioni, richiede tanto una connessione tra politica e cultura quanto una separazione tra loro realizzabile nella futura unione politica europea. Al contrario, lo Stato nazionale non sempre è riuscito a realizzare tale separazione, col rischio di degenerare ieri nel totalitarismo e oggi nel fondamentalismo: la vita culturale deve potersi sviluppare in modo separato e distinto dalle ideologie dominanti della sfera politica e non deve assoggettarsi al potere politico. Verso la fine dell’800 l’identità fra Stato e nazione ha generato la tendenza a fare dello Stato il soggetto dominante nella sfera della cultura, nonostante lo Stato liberale dell’800 fosse il risultato di un lungo percorso storico mediante il quale lo Stato è divenuto laico e garante della libertà religiosa e il potere politico e quello religioso si sono reciprocamente emancipati; nel ‘900 quello stesso Stato si è dato un proprio credo fondato sul nazionalismo, sulla razza e sulla classe, e ne ha fatto la base per i totalitarismi dediti all’oppressione interna e all’aggressione esterna. Non tutta la cultura europea è riconducibile alla cultura nazionale. Parte della nostra cultura è nazionale: Verdi e Manzoni in Italia; Fichte e Wagner in Germania, Shakespeare, Cervantes, etc. Parte della cultura europea è scaturita da microcosmi locali senza attraversare il filtro dello Stato nazionale o di una grande capitale: si pensi a Goethe per Weimar, Mozart per Salisburgo, Tiziano per Venezia. Il farsi dell’Europa unita ci può aiutare a riscoprire questa varietà di origini e impulsi da cui scaturisce l’immenso patrimonio culturale europeo, così come ci permetterà di capire quanto di europeo è il nostro patrimonio culturale, oltre che italiano, francese o spagnolo o tedesco o inglese. È probabile che l’unione europea ci aiuti a riconoscere una comune cultura europea: ciò sta già avvenendo negli studi storici grazie all’esplorazione di un percorso e di radici comuni, grazie a una vasta opera di ricerca dell’identità collettiva dell’Europa, a un’opera di riflessione che mira a riscrivere i manuali scolastici, alle ricerche sulla storia del diritto europeo.

NOTE 1) Trattato che istituisce la Comunità economica europea (L:14 ottobre 1957, n.1203),Titolo III (Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali) Capo I – I lavoratori : Art. 48, comma1 “La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata al più tardi al termine del periodo transitorio” ; comma 2 “Essa implica l’abolizione di qualsiasi

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discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro” ; comma 3 “Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali; d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti applicativi stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego”; comma 4 “Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi della pubblica amministrazione”. Art. 49 “Fin dall’entrata in vigore del presente Trattato, il Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all’articolo 189B e previa consultazione del Comitato economico e sociale stabilisce, mediante direttive e regolamenti, le misure necessario per attuare progressivamente la libera circolazione dei lavoratori, quale è definito dall’art. 48, in particolare: (…) d) istituendo meccanismi idonei a mettere a contatto le offerte e le domande di lavoro e a facilitarne l’equilibrio a condizione che evitino di compromettere gravemente il tenore di vita e il livello di occupazione nelle diverse regioni e industrie”. Art. 50 “Gli Stati membri favoriscono, nel quadro del programma comune, gli scambi di giovani lavoratori” . Art.51 “Il Consiglio, con deliberazione unanime, su proposta della Commissione adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per la instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi, presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali sia per il sorgere el aconservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste; b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri”. Capo II, Il diritto di stabilimento , Art. 52 “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono gradatamente soppresse durante il periodo transitorio. Tale graduale soppressione si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 58, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”. Art. 58 “Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro”. Capo III, I servizi , Art. 59 “nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità sono gradatamente soppresse durante il perioso transitorio nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario di prestazione. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno della Comunità”. Art. 60 “Ai sensi del presente Trattato, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in particolare: a) attività di carattere industriale; b) attività di carattere commerciale; c) attività artigiane; d) le attività delle libere professioni. Senza pregiudizio delle disposizioni del capo relativo al diritto di

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stabilimento, il prestatore può, per l’esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nel paese ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte dal pese stesso ai propri cittadini”. Capo IV, I capitali , Art. 67 “Gli Stati membri sopprimono gradatamente fra loro, durante il periodo transitorio e nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune, le restrizioni si movimenti dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri, e parimenti le discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o la residenza delle parti, o sul luogo del collocamento dei capitali”. 2) I valori dell’Unione stabiliti nell’art. 2 della Costituzione europea del 2004: “L’Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società fondata sul pluralismo, sulla non discriminazione, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla parità fra donne e uomini”. 3) Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Preambolo: “I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L'Unione contribuisce al mantenimento e di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento. A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendoli più visibili in una Carta. La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d'Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. In tal contesto la Carta sarà interpretata dai giudici dell’Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l’autorità del presidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del presidium della Convenzione europea. Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future”.

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